00.– US - Camera di Commercio Italiana per la Svizzera

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00.– US - Camera di Commercio Italiana per la Svizzera
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risparmio:
Anno 107 - n. 5 - Maggio 2016
La Rivista Anno 107 - n.5 - Maggio 2016
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Il 1° giugno si conclude
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Editoriale
di Giangi Cretti
È il caso di dirlo: dopo 17 anni, ha i giorni contati.
Poi, una volta officiata, il primo giugno, la liturgia del taglio del nastro, sarà consegnata al mondo.
Dapprima, il 4 e 5 giugno e nei mesi a venire, a coloro che vorranno approfittare
dell’occasione ed essere fra quelli che la percorreranno con viaggi speciali.
In seguito, dall’11 dicembre, diverrà patrimonio comune di chi utilizzerà il treno
per trasferirsi dal sud al nord delle Alpi. E viceversa.
Stiamo parlando del tunnel di base del San Gottardo: con i suoi 57 km, la galleria ferroviaria più lunga al mondo.
Un’opera di altissima ingegneria, talmente appetita, da trasformarsi in oggetto del desiderio
di molti. Che avrebbero voluto poterne esibire,
assumendola, la paternità. Tant’è, che quatto
quatto (semplicemente distratto?), qualcuno c’ha
pure provato. Senza successo. Perché quella che
avvicina ancor di più il nord al sud dell’Europa (e
viceversa) è un’opera che la Confederazione elvetica ha voluto e realizzato sul proprio territorio a
proprie spese.
Un’opportunità: perché si accorciano le distanze,
non solo geografiche fra l’Europa mediterranea
e quella continentale; perché cambierà il modo
di pendolare, con tutto quello che comporta in
termini di incontro di persone, di abitudini e di
culture (pur sempre affini); perché ci si aggancia
al treno (non solo metaforico) dell’alta velocità
favorendone lo sviluppo anche sull’asse nord-sud
(e viceversa).
Al contempo, una sfida: perché dovrebbe tradursi
in un tangibile incentivo al trasferimento del
trasporto delle merci dalla gomma alla rotaia;
perché sulla sua reale funzionalità pesano gli
sbocchi in entrata e in uscita, sia a nord sia al
sud della Svizzera, dove perplessità permangono
attorno all’effettiva agibilità delle rampe d’accesso e dei centri di smistamento intermodale.
Se, con attenzione, si guarda a settentrione di
Basilea, dove l’infrastruttura logistica deve garantire il trasbordo efficiente dal camion al treno
(e viceversa), con preoccupazione si registra che
a meridione di Chiasso lo stesso obiettivo, puntualmente evocato a parole, non sembra trovare
adeguata concretezza nei fatti.
La Svizzera, per sua natura e per i trafori che ha
realizzato negli ultimi due secoli, è al centro di uno
dei principali assi del trasporto merci in Europa.
Ogni anno, attraverso le Alpi svizzere, viaggiano su
rotaia circa 26 milioni di tonnellate di merci, per
l’80 per cento in transito internazionale.
Con la galleria di base, il collegamento transalpino assumerà la caratteristica di una ferrovia di
pianura. Con conseguenti notevoli vantaggi, de-
rivanti dal fatto che consente il transito di treni
più lunghi e più pesanti, con l’impiego di meno
locomotive e tempi di percorrenza ridotti. I treni
merci non avranno più bisogno di una locomotiva di spinta supplementare, il che permetterà
di evitare lunghe manovre di smistamento. In tal
modo, il trasporto merci su rotaia diventerà più
concorrenziale, acquisendo efficienza e affidabilità maggiori. La capacità di trasporto aumenterà:
nella nuova galleria potranno, infatti, transitare
fino a 260 treni merci al giorno, a fronte degli
attuali 180.
Naturale prevedere, lo confermano anche diversi
studi, che questo volume sarà destinato ad aumentare in futuro. Comprensibile, pertanto, che
si voglia evitare l’ingorgo e le conseguenze – soprattutto a sud - dell’effetto imbuto.
Vantaggi ci saranno anche per il traffico passeggeri.
Solo nel bacino di utenza tra la Germania meridionale e l’Italia settentrionale, più di 20 milioni
di persone beneficeranno di questa opera. La
ferrovia di pianura permetterà collegamenti
ferroviari più rapidi (meno di 20 minuti il tempo
di percorrenza in galleria) e, si confida, affidabili
e puntuali.
Nella galleria i treni viaggiatori transiteranno, con
cadenza semioraria. di regola a 200 km/h; in futuro sarà possibile raggiungere punte di 250 km/h.
La riduzione dei tempi di percorrenza avverrà
gradualmente a partire dal 2016. Una volta conclusi i lavori sull’intero asse del San Gottardo (incluse le tratte di accesso e la galleria di base del
Ceneri pronta nel 2020), il risparmio di tempo tra
Zurigo e Lugano ammonterà a circa 45 minuti.
Se è vero, fin dal 1967, che la Cina è vicina, è
altrettanto vero che, fra poco, Milano e Zurigo,
vicini, lo saranno ancor di più.
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Sommario
1
4
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17
Editoriale
Sommario
PRIMO PIANO
Galleria di base del San Gottardo
Si conclude il conto alla rovescia
L’epopea dei trafori alpini:
Ieri e Oggi
1° giugno 2016:
Inaugurazione della galleria di base
del San Gottardo
INCONTRI
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«Diciamola tutta: le donne sono più brave»
Donne in Carriera: Susanna Moccia
Sanità digitale o mHEALTH: le “app
mediche” qualificazione e aspetti della
responsabilità civile
La nuova normativa penale tributaria italiana
CULTURA
Ginevra tra i Savoia e la Svizzera e l’eroica
notte dell’Escalade (1602)
Dalla Svizzera degli Stati alla Svizzera federale
Il Salone dei Visionari
Lingotto Fiere, 12-16 maggio
Sardinien – Land der Türme / Sardegna –
Territorio delle Torri
Marcel Duchamp. Dada e neo-dada
Fino al 26 giugno al Museo comunale d’Arte
Moderna di Ascona
Le Corbusier sulla banconota da 10 franchi
Biografie in filigrana
La Rsi allo specchio delle opinioni dei
cittadini della Svizzera italiana
Lo studio illustrato dal presidente della Corsi
e dal direttore dell’Osservatorio
dell’Università di Losanna
DOLCE VITA
L’unico concerto svizzero di Paolo Conte
Il 18 maggio al Kongresshaus di Zurigo
300 anni e nemmeno una penna bianca…
Anteprima Chianti Classico Collection 2016
50a edizione di Vinitaly: Vinta la sfida
della qualità
Addio Menù degustazione
Al ristorante ora il piatto si condivide
“Two legends, two birthdays”
Jeep e Montreux Jazz Festival
Jeep e Harley-Davidson sempre insieme
Quando si condividono valori autentici
79
80
Fiat Fiorino - Il van per la città si rinnova
Pininfarina H2 Speed
Nasce da una collaborazione italo-svizzera
il Best Concept di Ginevra 2016
Verona Legend Cars
Modelli unici del Museo Nicolis e le
esibizioni del campione Miki Biasion
30 anni Pirelli P Zero
Storia per numeri di un’icona del mondo
automobilistico
Sommario
82
IL MONDO IN CAMERA
A Losanna, i vini del Piemonte: non solo
Barolo e Barbaresco
Taste of italy:
il meglio del vino italiano a Zurigo
Seminario sul settore dell’aviazione a Torino
Barolo & Friends event 2016 a Zurigo
Incontri d’affari con le imprese del Friuli
Venezia Giulia
Go-italy - Rimini life style 2016
86
Taste of italy – food edition:
il meglio del cibo italiano a Ginevra
88
Le Rubriche
83
84
85
A Ginevra corsi di cucina in lingua
italiana
Al centro commerciale di Emmen
Grande successo per l’area del gusto
italiano
Contatti Commerciali
Benvenuto ai nuovi soci
Servizi Camerali
6
In breve
41
L’elefante invisibile
9
Italiche
43
Per chi suona il campanello
11
Elvetiche
45
Benchmark
13
Europee
47
Scaffale
15
Internazionali
61
Sequenze
23
Cultura d’impresa
64
Diapason
26
Burocratiche
71
Convivio
33
Normative allo specchio
74
Starbene
35
Angolo Fiscale
76
La dieta rivista
37
Angolo legale Svizzera
77
Motori
38
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In copertina: Essenziale, quai sterile nel suo grigiore. Eppure in questo tunnel c’è un concentrato
delle tecnologie più innovative, al salvaguardia, in modo particolare, dei livelli di sicurezza.
Editore
Camera di Commercio
Italiana per la Svizzera
Direttore - Giangi CRETTI
Comitato di Redazione
A.G. LOTTI, C. NICOLETTI,
S. SGUAITAMATTI
Collaboratori
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M. Calderan, G. Cantoni,
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C. D’ambrosio, V. Cesari Lusso,
M. Cipollone, P. Comuzzi,
D. Cosentino, A. Crosti,
L. D’alessandro, F. Dozio,
M. Formenti, F. Franceschini,
T. Gatani, G. Guerra, M. Lento,
R. Lettieri, F. Macrì,
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In Breve
Il Senato ratifica l’accordo
Italia-Svizzera sulle doppie
imposizioni fiscali
Lo scorso 21 aprile l’Aula del Senato ha approvato definitivamente il ddl di ratifica dell’Accordo italo-svizzero sulle doppie imposizioni fiscali (Ratifica ed esecuzione del Protocollo che modifica la Convenzione tra
la Repubblica italiana e la Confederazione svizzera per
evitare le doppie imposizioni e per regolare talune altre questioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio, con Protocollo aggiuntivo, conclusa a Roma
il 9 marzo 1976, così come modificata dal Protocollo
del 28 aprile 1978, fatto a Milano il 23 febbraio 2015).
Relatore in Aula, Gian Carlo Sangalli (Pd) che, dopo aver
sintetizzato gli obiettivi del ddl, ha segnalato ai colleghi
Aspettativa di vita nei
Paesi dell’OCSE
che “nel corso dell’esame presso la Commissione affari
esteri, il Governo ha accolto un ordine del giorno, presentato dal senatore Micheloni e sostenuto da tutta la
Commissione, in cui si impegna a tutelare la posizione
dei cittadini italiani che hanno svolto attività lavorative
all’estero, “in qualità di residenti iscritti all’AIRE ovvero
come lavoratori transfrontalieri, e con i proventi di tali
attività, già assoggettata a tassazione e contribuzione
obbligatoria nello Stato estero, abbiano ivi costituito
attività finanziarie o abbiamo acquisito immobili”.
La Svizzera è al terzo posto tra i Paesi membri
dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) per aspettativa di vita
alla nascita con 82,9 anni. Davanti alla Confederazione vi sono la Spagna (83,2) e il Giappone (83,4). Quarta l’Italia con 82,8 anni. È quanto
emerge dall’ultimo rapporto Health at a Glance
dell’OCSE, basato sui dati del 2013. In Occidente,
spiega il documento, rimane più alta la speranza di vita delle donne, anche se la forbice si sta
richiudendo. I più longevi sono i maschi svizzeri,
con 80,7 anni, seguiti dagli italiani con 80,3 e dai
giapponesi e spagnoli con 80,2. Tra le donne in testa vi sono le giapponesi con 86,6 anni, seguite da
spagnole e italiane. La media OCSE è di 80,5 anni,
con un guadagno di oltre 10 anni dal 1970 a oggi.
Circa il 50% degli over 65, che rappresenta la media OCSE, riporta di essere in buona salute. Nuova
Zelanda e Canada registrano rispettivamente il 90
e l’80%. Nel 2013 la spesa sanitaria pro capite
media si attestava a 3.544 dollari (3.459 franchi).
Stati Uniti, Svizzera e Norvegia superano di gran
lunga tale media.
Conferenza a Ginevra:
La nuova via dell seta cinese
Il prossimo 1° giugno, alle 18.30 la Walker School of Business & Technology
(WSBT) del campus ginevrino della Webster University (www.webster.ch)
ospiterà una conferenza dal titolo: “One-Belt, One-Road: How foreign
companies can take advantage of what could be China’s next wave of
economic growth?”
La conferenza si prefigge lo scopo di spiegare al grande pubblico l’evoluzione
dell’ambizioso progetto di ricreare la “via della seta” anche tramite la nuova
Banca Asiatica d’Investimento nelle Infrastrutture (AIIB), che conta ormai
oltre trenta membri e sta facendo concorrenza alla Banca Mondiale.
La cosiddetta “One-belt, One-road” (OBOR) è la nuova via della seta cinese.
L’OBOR è ormai il cavallo di battaglia della politica estera del presidente
6 - La Rivista maggio 2016
Fca: trimestre record, utile
netto sale a 528 mln
Il gruppo Fca chiude un primo trimestre
2016 record con un ebit adjusted quasi
raddoppiato a 1,4 miliardi di euro e tutti
i settori in positivo. L’utile netto adjusted
è pari a 528 milioni (497 milioni in più
rispetto al primo trimestre 2015). I ricavi
netti di 26,6 miliardi di euro, in crescita del
3% (+4% a parità di cambi di conversione).
I veicoli consegnati a livello globale sono
pari a 1.086.000 unità, in linea con il primo
trimestre 2015; le consegne globali di Jeep
sono salite a 326.000 unità (+15%).
Fca conferma così i target 2016 del gruppo:
fatturato oltre i 110 miliardi di euro, quindi
sullo stesso livello del 2015, ebit adjusted
di oltre 5 miliardi (4,8 l’anno scorso), utile
netto adjusted di oltre 1,9 miliardi di euro
(rispetto a 1,7), indebitamento netto industriale inferiore a 5 miliardi di euro.
I risultati del primo trimestre sono stati approvati dal consiglio di amministrazione a
Londra, presieduto da John Elkann. La quota di mercato di Fca è in crescita al 13,2%
negli Stati Uniti e al 6,7% in Europa. Confermata la leadership di mercato in Brasile.
Le vendite di Jeep in Apac sono in rialzo del
17% grazie alla produzione locale.
Nel trimestre è stata avviata la produzione
della nuova Chrysler Pacifica nello stabilimento canadese di Windsor, del Maserati
Levante a Mirafiori con inizio della commercializzazione in Europa nel secondo
trimestre del 2016 e della Fiat Mobi in
Brasile. In Cina, la produzione della Jeep
Renegade è iniziata ad aprile. La raccolta
ordini di Magneti Marelli si è attestata a
653 milioni di euro (+17% rispetto al primo
trimestre 2015).
Xi. Questa via della seta, non è solamente una delle mosse geopolitiche
più importanti della Cina; è l’estensione al di fuori della Cina del modello
di sviluppo basato sulle infrastrutture che ha avuto un notevole successo
all’interno della Repubblica Popolare Cinese. Attualmente, questo modello
offre un importante pilastro per lo sviluppo economico di una serie di paesi
dell’asia Centrale; cioè, un vantaggio immediato per le aziende cinesi. Come
possono trarre vantaggio da questo notevole cambiamento le aziende
europee? Soprattutto, come possono avviare accordi di cooperazione con
le aziende cinesi? Questi problemi saranno l’oggetto del dibattito della
conferenza che si terrà alla Webster University di Ginevra. Interverranno
il professor Dominique Jolly, direttore della WSBT, il professor Georges
Haour, docente all’imd, il professor Xiankun Lu, partner dell’ideas Center
di Ginevra, James Zhan, direttore dell’investment Enterprise Division
dell’unctad, e Jean-Guy Carrier, presidente della Camera di Commercio
della Via della Seta.
Gentiloni:
priorità attrarre cervelli
dal mondo
L’Italia punta a competere mondialmente per
la caccia ai talenti. È una “strategia chiara e
complessiva” quella delineata dal ministro degli
Esteri, Paolo Gentiloni, aprendo i lavori del terzo
Convegno “European Networks and Agencies for
Internationalization” insieme al Ministro per l’Istruzione Stefania Giannini.
“La promozione della conoscenza e della internazionalizzazione della cultura italiana - ha ribadito anche in questa occasione Gentiloni - sono
in questo momento una priorità della nostra politica estera”. In un contesto difficile come quello
attuale, in cui “la globalizzazione” può rappresentare anche “dei rischi per la nostra sicurezza,
per le nostre economie” secondo Gentiloni “l’internazionalizzazione della cultura italiana può
dare straordinari frutti per la competitività”. E il
pensiero del titolare della Farnesina non può che
andare “a Valeria Solesin e Giulio Regeni” vittime
“in contesti diversi” ma accomunati dal fatto di
essere “protagonisti, come tanti altri ragazzi italiani, di questi percorsi di internazionalizzazione
del nostro sistema di istruzione e universitario”.
C’è ancora del lavoro da fare in coordinamen-
to con il ministero dell’Istruzione, ha aggiunto
Gentiloni, sottolineando la necessità di incrementare le risorse a disposizione per borse di
studio e gli accordi bilaterali fra atenei, nonché
facilitare lo snellimento delle procedure per il
rilascio dei visti di studio, che lo scorso anno,
rammenta, “hanno raggiunto quota 52 mila, di
cui 7 mila a favore di studenti cinesi. Una cifra
impressionante - ha rimarcato Gentiloni - se si
pensa che qualche anno fa erano poche centinaia. Ma molto possiamo ancora fare”. L’attrattività dell’Italia nel mondo, ha concluso, “merita di
essere promossa in maniera sempre più efficace
e integrata.”
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Italiche
di Corrado Bianchi Porro
Non bisogna perdere la fiducia
Le sfide dell’Europa non sono la flessibilità nei confronti dell’austerità. Sono molto più serie. Si chiamano posizione comune nei confronti dei migranti e rifugiati, come nei confronti del terrorismo e della disoccupazione
giovanile. Sono sfide europee, che quindi esigono soluzioni europee.
Così alla conclusione del suo intervento il messaggio del ministro italiano per l’economia, Carlo Padoan, al recente convegno
Ambrosetti che si è tenuto a Cernobbio. Con questo, il ministro italiano ha risposto alle critiche di chi interpreta la posizione
talora critica dell’Italia nei confronti di Bruxelles come un tentativo di ottenere maggiore spazio sul bilancio, perché sarebbe
come chiedere di allungare la corda alla quale impiccarsi più tardi, secondo il pensiero espresso da Luigi Zingales, pure presente
al dibattito finale del workshop.
In effetti, rispetto all’anno precedente, le indicazioni delle cifre dell’Italia risultano pur sempre in miglioramento, con un Pil in
lieve crescita e un deficit in marginale diminuzione. D’altra parte il rallentamento è globale e le incertezze coinvolgono non tanto
l’economia, quanto la politica. Se c’è un rallentamento nella crescita, è perché il quadro internazionale è molto peggiorato. È
aumentata l’incertezza politica globale, i cui esiti sono assai più difficilmente prevedibili.
Per l’Italia poi, i problemi vengono da lontano, con il combinato disposto di una crisi recessiva e ritardi strutturali che vanno ancor
più indietro nel tempo. In questo contesto, cosa sta facendo il Governo? Innanzitutto, ha commentato Padoan, ha attivato una
strategia agganciata alla natura strutturale dei problemi e dunque non ci si possono attendere soluzioni definitive se non nel
medio termine. I problemi strutturali devono poi essere accompagnati da misure capaci di cambiare i comportamenti individuali
delle imprese, famiglie e Stato in un quadro di finanza pubblica pure in miglioramento, ma in cui gli spazi sono ristretti.
In secondo luogo, l’impegno del governo in tema di finanza pubblica è di continuare il risanamento nella coscienza di muoversi
nel sentiero stretto della riforma senza perdere la fiducia. Essa è infatti un elemento essenziale per far evolvere le cose in senso
positivo, specie quando bisogna farlo partendo da una crisi profonda. La caduta della fiducia è infatti un fenomeno a lungo citato
dalle istituzioni internazionali per analizzare il calo degli investimenti mentre ricostruire la fiducia una cosa difficilissima. Ciò vale
per la politica all’interno di un Paese come, a livello europeo, quando bisogna avere fiducia in quello che fanno gli altri, in modo
tale che si abbia confidenza nelle regole comuni.
Certo non basta declinare i principi, ha detto Padoan. La valutazione di un successo in una politica di riforme va seguita nella sua
implementazione cercando di individuare nei risultati se i provvedimenti adottati cominciano a dare i primi frutti nell’orizzonte
proprio del medio termine, anche se a volte ci sono effetti di annuncio immediato di breve termine che migliorano subito il clima.
Quindi in Italia le riforme continuano e non è vero che la spinta alle riforme stia venendo meno. Può darsi che lo stimolo sia meno
intenso di quello che sarebbe richiesto, ma il progresso c’è. Si vede in alcuni campi, come nel mercato del lavoro, nei provvedimenti
per le banche e nella giustizia civile.
La riforma più spesso è evocata è il Jobs Act, che continua ora nella sua traduzione in norme, come nella contrattazione di secondo
livello che è il punto saliente e porterà benefici ai lavoratori e al livello di produttività, di cui si è solo teorizzato per decenni. In
secondo luogo, vi sono gli investimenti. Essi sono la grandezza cruciale e possono essere agevolati con misure specifiche. Nel
filone della finanza per la crescita, si sta identificando un nuovo pacchetto di misure ciascuna delle quali da sola non farebbe
le prime pagine dei giornali ma che insieme aiuteranno le imprese. Anche in questo caso esse costano e il vincolo di bilancio va
sempre rispettato.
Poi c’è l’aspetto degli investimenti pubblici che sono una questione, oltre che di risorse, di processi . È una strategia importante che
richiede di migliorare la progettualità e la macchina amministrativa permettendo agli investimenti di accadere, utilizzando risorse
che già ci sono. Mai come oggi è importante avere efficienti investimenti pubblici perché sostengono la domanda, aumentano la
crescita e colmano ritardi strutturali. Con la legge di stabilità approvata qualche mese fa, il Governo ha messo mano a una serie
di impedimenti legati al patto di stabilità interno permettendo di liberare notevoli risorse di investimenti pubblici da utilizzare nel
mezzogiorno senza peggiorare la finanza pubblica. Per le banche, la questione degli istituti è complessa. Esse sono in una situazione difficile, ma gestibile. Le sofferenze si possono aggredire in un orizzonte di due o tre anni in un orizzonte
ragionevole. La situazione è complicata dal quadro regolatorio che, nel corso degli ultimi anni, è stato reso stringente in termini
di sorveglianza unica e in termini di disciplina degli aiuti di Stato che hanno delimitato i margini di manovra lasciati alle autorità
nazionali in termini di gestione. Il Governo italiano ha introdotto un meccanismo di garanzia che riteniamo sia utile.
Vi sono poi misure di velocizzazione delle misure concorsuali e risolvendo i conflitti in tempi più brevi significa rendimenti più
elevati e una soluzione delle sofferenze. C’è poi la riforma delle banche popolari, la riforma delle BCC, le piccole cooperative il cui
scopo è quello di facilitare o incoraggiare il sistema bancario a trovare soluzioni strutturali che permettono agli istituti di essere più
solidi, avere maggiori capacità di accedere ai mercati dei capitali, renderli efficienti e avere una redditività più elevata.
Quanto alla Spending Rewiev, nel 2016 i tagli di spesa sono di 25 miliardi su una la spesa pubblica intorno agli 800. Non è qui
solo un problema di quanto spendiamo, ha detto il ministro, ma di qualità della spesa. In termini di spesa sanitaria il Governo ha
ridotto da 33 mila a 35 i centri di spesa, il che vuol dire efficienza, e risparmi, sempre da considerarsi nell’orizzonte temporale del
medio termine.
maggio 2016 La Rivista - 9
Elvetiche
di Fabio Dozio
Asilo al voto
Il prossimo 5 giugno l’elettorato svizzero sarà chiamato alle urne per decidere, tra l’altro,
la riforma della legge sull’asilo. Nel settembre dello scorso anno il Parlamento ha approvato una modifica della legge in vigore, ma l’Unione democratica di centro si è opposta
con un referendum.
Tempi duri per i rifugiati, anche se la Convenzione di Ginevra garantisce il diritto d’asilo dal 1951.
Un diritto che deve proteggere contro le persecuzioni, la repressione politica, la violenza e il razzismo. La legge svizzera
sull’asilo chiarisce che “sono rifugiati le persone che, nel Paese d’origine o di ultima residenza, sono esposte a seri pregiudizi a
causa della loro razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le loro opinioni politiche”.
Sul pianeta sono circa 50 milioni le persone che si muovono cercando asilo.
Lo scorso anno, in Svizzera, la Segreteria di Stato della migrazione ha registrato 39’523 domande d’asilo; ne ha esaminate 21’118 in prima istanza e ha accordato l’asilo a 6’377 persone. Tre quarti delle domande sono state respinte.
Come funziona la gestione dei richiedenti asilo nella Confederazione?
Ogni persona ha il diritto di chiedere asilo ma, per ottenere lo statuto di rifugiato, deve dimostrare di essere perseguitata. Un richiedente può consegnare la domanda d’asilo a qualsiasi posto di frontiera, o direttamente in Svizzera, se
già entrato clandestinamente. Chi chiede asilo viene assegnato a un centro di registrazione e di procedura: a Chiasso,
Vallorbe, Kreuzlingen, Zurigo o Altstätten. Chi è già stato registrato in un altro paese non ha diritto di restare in Svizzera
e, secondo la Convenzione di Dublino, viene classificato come NEM, “non entrata in materia”, e dovrà ritornare nel paese
in cui si è annunciato. Se la domanda d’asilo è convincente, la persona ottiene lo statuto di rifugiato. Se non sembra
credibile, ma è impossibile rinviarlo nel suo paese d’origine, può beneficiare di un’ammissione provvisoria e di una
protezione temporanea. Se non si ritiene accettabile la richiesta, la persona deve lasciare la Svizzera entro sei mesi. Chi
rifiuta di partire in modo volontario può essere rimpatriato con la forza.
I richiedenti asilo, una volta registrati, devono consegnare all’autorità i loro beni di un valore superiore ai mille franchi,
per contribuire a coprire i costi.
Nel primo trimestre di quest’anno sono state presentate in Svizzera 8’315 domande d’asilo, circa il 45% in meno rispetto
all’ultimo trimestre del 2015. Malgrado questa riduzione, le autorità ritengono che, visto lo scenario europeo, nei prossimi mesi ci possa essere un forte afflusso di rifugiati. Il mondo politico, su questo tema, è molto sensibile. Non manca
chi insiste nel prefigurare scenari allarmanti, con migliaia di profughi alle frontiere. E, in questo contesto, c’è anche chi come il consigliere di Stato leghista Norman Gobbi in Ticino - non esita a proporre la chiusura delle frontiere con l’Italia.
Insomma, siamo di fronte a un’enorme catastrofe umanitaria – come ha sottolineato, recentemente, da Lesbo, Papa
Francesco – ma la politica risponde in modo contradditorio. L’Europa non riesce a coordinare una risposta coerente al
fenomeno delle migrazioni. La Svizzera cerca di mantenere una legge che garantisca il diritto all’asilo, anche se nel corso
degli anni vi è stato un inasprimento, come nel 2012, con una restrizione della nozione di rifugiato e una limitazione
del ricongiungimento famigliare.
La modifica della legge sull’asilo in votazione il prossimo 5 giugno prevede di velocizzare le procedure. La Confederazione, d’intesa con Cantoni e Comuni, propone di istituire nuovi centri nazionali di registrazione per rendere più veloce le
valutazioni e le registrazioni, con l’obiettivo di concludere la maggior parte delle procedure entro 140 giorni.
Altra novità è la messa a disposizione del richiedente di un rappresentante legale. “Per garantire la correttezza delle procedure – afferma Berna – i richiedenti asilo ricevono fin dall’inizio la consulenza e la rappresentanza legale necessarie, in
modo da essere meglio informati sulla probabilità di successo della loro domanda e sui loro obblighi nella procedura d’asilo”.
Fra le modifiche figura anche un obbligo legale per i cantoni di scolarizzare i bambini ospitati nei centri federali e
l’obbligo di tenere in considerazione i bisogni particolari dei minori non accompagnati. Queste misure sono salutate da
Amnesty International come fattori positivi, che rendono la legge accettabile, anche se si confermano aspetti negativi,
come l’impossibilità di chiedere asilo nelle ambasciate svizzere all’estero e il non riconoscimento della diserzione come
motivo d’asilo e la creazione di centri speciali per richiedenti asilo “recalcitranti”.
L’UDC è sola a combattere la modifica di legge, assieme, per motivi opposti, a una minoranza di sinistra che la ritiene
un ennesimo inasprimento del diritto d’asilo.
maggio 2016 La Rivista - 11
Europee
di Viviana Pansa
Turbolenze di primavera
Tornano a temere un rallentamento della crescita in Europa G20, Fondo monetario internazionale e
Banca centrale europea. Prima il presidente della Bce, Mario Draghi, che nell’editoriale del Rapporto
2015 dell’istituto annuncia un 2016 “non meno impegnativo” dell’anno appena trascorso, per via
dell’incertezza che pesa sull’economia globale e del pericolo deflazione non ancora scongiurato.
Draghi solleva interrogativi sulla tenuta dell’Europa a fronte di nuovi shock, che non possono essere esclusi visto che “le prospettive per l’economia mondiale sono circondate di incertezza”. Le misure di stimolo adottate dalla Bce – ribadisce – hanno
consentito al Pil dell’area euro di mantenere una performance di circa 1,5 punti percentuali in più rispetto a quanto sarebbe
avvenuto senza alcun intervento nel periodo 2015-2018, tuttavia l’inflazione è ancora eccessivamente bassa. Ma ad allarmare
il presidente della Bce è il dato sociale della disoccupazione giovanile, che lo spinge a paventare una “generazione perduta”,
ossia la mancanza di prospettive per una generazione che è “la più istruita di sempre”, situazione che deve essere affrontata
agendo velocemente. La rassicurazione è quella di non abbassare la guardia e della possibilità di usare, se necessario, altri
strumenti straordinari, mentre si sollecitano i governi a fare la loro parte continuando con l’impegno ad un risanamento dei
conti che sia “amico della crescita” e dunque meno penalizzante per i lavoratori e le famiglie.
G20 e Fmi, in meeting primaverile a Washington, rivedono al ribasso le stime di crescita per il 2016 e non solo. Il Fondo monetario si spinge anche a considerare il rischio di una “stagnazione secolare”, uno scenario che richiama una tesi risalente agli
anni Trenta, ai tempi della Grande Depressione,ritenuto in questi ultimi anni via via più convincente e illustrato recentemente
sulla rivista Foreign Affairs da Lawrence Summers, docente all’Università di Harvard che è stato anche sottosegretario al Tesoro
con il presidente degli Stati Uniti Bill Clinton e consulente economico di Barack Obama. L’ipotesi è quella di un ciclo economico molto più duraturo della crisi che abbiamo sino ad oggi affrontato, in gran parte determinato da una spirale recessiva
innescata da un tasso di crescita della popolazione mondiale alquanto rallentato – in sintesi e semplificando, un circolo in cui
meno popolazione si traduce nel medio e lungo periodo in meno acquisti e meno investimenti - per contrastare il quale occorrerebbe un ripensamento complessivo di quanto sino ad oggi messo in atto in termini di politica monetaria e fiscale, ed un
diverso giudizio dello stesso indebitamento, pubblico e privato, riposizionamento da tempo auspicato anche dal premio Nobel
per l’economia Paul Krugman. L’Fmi non esclude ora questa eventualità, quando ribadisce ai governi la necessità di preparare
piani di emergenza anti-shock. Sebbene la crescita a livello mondiale continui, lo fa ad un ritmo “sempre più insoddisfacente,
lasciando il mondo più esposto ai rischi del ribasso”, afferma il capo economista Maurice Obstfeld: l’aumento del Pil mondiale
per il 2016 viene stimato nelle ultime previsioni del Fondo del 3,2%, invece dell’aspettativa precedente al 3,4%; la crescita
nel 2015 è stata del 3,1%. Per il 2017 l’incremento atteso è stata invece rivisto dal 3,6% al 3,5%. Corrette anche le stime di
Stati Uniti, con un aumento del Pil atteso nel 2016 di un +2,4% (rispetto al precedente +2,6%), e Russia, di cui si prevede
una contrazione pari all’1,8%, mentre l’unica revisione in positivo è quella del Pil cinese, che crescerà nel 2016 del 6,5% e
nel 2017 del 6,2%. Le previsioni di crescita del Pil dell’eurozona sono state tagliate all’1,5% nel 2016 e all’1,6% nel 2017 (la
stima precedente era di un +1,7% per entrambi gli anni), mentre nel 2015 l’aumento registrato è stato di 1,6%, un andamento
piuttosto in linea con le previsioni “perché – segnala l’Fmi – il rafforzamento della domanda domestica ha controbilanciato la
debolezza degli stimoli esterni”.
Per quanto concerne i singoli Paesi, la Francia dovrebbe crescere di un 1,1% nel 2016 e di 1,3% nel 2017, la Spagna del 2,6%
quest’anno e del 2,3% l’anno prossimo e anche la Germania subisce un ribasso di 0,2 punti percentuali, che significa un
aumento di Pil dell’1,5% nel 2016 e dell’1,6% nel 2017. In Italia la crescita è stata più debole del previsto, così che le stime,
dall’1,3% di gennaio, passano all’1% per il 2016 e all’1,1% nel 2017. Per il governo la stima del 2016 è di 1,2%, un ottimismo
necessario a placare gli interrogativi sulla costante crescita del nostro debito pubblico, che ha sforato nello scorso mese di
febbraio i 2.214 miliardi di euro, 21 miliardi in più rispetto a gennaio – avverte Bankitalia, - così da giungere al 132,45% del Pil.
Dati preoccupanti anche per la Commissione europea e a fronte dei quali il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan ha potuto
solo fornire rassicurazioni sul percorso di riduzione intrapreso e che dovrebbe portare nel 2019 ad una percentuale del 123,8%.
Pesano intanto su tutta l’Europa gli interrogativi sugli esiti del referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione, previsto
a giugno, e sull’Italia in particolare quelli relativi all’emergenza migranti, dopo l’allarme sull’aumento degli sbarchi dovuto
all’arrivo della bella stagione e alla chiusura del canale balcanico a seguito dell’accordo siglato con la Turchia. Ancora una
volta, con l’annuncio della chiusura del Brennero da parte dell’Austria e il rifiuto di Berlino all’ipotesi di Ue-Africa bond per
finanziare progetti infrastrutturali dei Paesi di origine e transito dei flussi – una delle proposte lanciate dall’Italia nel “migration
compact” avanzato all’Unione dal premier Matteo Renzi – si teme il rischio isolamento a fronte di complesse dinamiche che
tuttavia è miope escludere non finiranno per incidere su tutto il continente.
maggio 2016 La Rivista - 13
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Questo documento e le informazioni in esso contenute sono fornite esclusivamente a scopi informativi. © UBS 2016. Tutti i diritti riservati.
ab
Internazionali
di Michele Caracciolo
di Brienza
Gli sforzi dell’ONU per la Siria
Il conflitto siriano è un’immane catastrofe che dura da cinque anni: oltre un milione di feriti, 1,2
milioni di case danneggiate, almeno 250’000 morti, di cui la stragrande maggioranza sono civili.
Per non parlare poi dei danni che dureranno per varie generazioni: oltre due milioni di bambini non
vanno a scuola a causa della guerra.
Nel luglio 2014, Staffan de Mistura è stato nominato Inviato Speciale per la Siria dal Segretario Generale delle Nazioni
Unite, Ban Ki-moon. Prima di questo incarico, de Mistura ha lavorato per oltre trent’anni in zone coinvolte in conflitti come
la Somalia, i Balcani, il Medio Oriente, il Nepal e l’Afghanistan. De Mistura ha la doppia nazionalità svedese e italiana ed
è stato Viceministro degli Affari Esteri del governo Monti nel 2013. Oggi il suo ruolo d’Inviato Speciale serve a fornire un
sostegno di mediazione per fermare la violenza della crisi siriana e promuovere una risoluzione pacifica del conflitto senza
escludere nessuna delle parti in causa. A tal proposito è plausibile, ma non verificabile, che, come dichiarato a La Rivista
da una fonte anonima, alcuni rappresentanti del cosiddetto Stato Islamico siano a Ginevra per osservare le negoziazioni in
corso. Ricordiamo che questa milizia territorializzata per quanto sia stata colpita duramente dall’aviazione russa continua
a controllare ampie zone del territorio siriano.
De Mistura e il suo staff hanno ottenuto in ambito ONU un risultato storico sulla crisi siriana: il primo accordo di cessate il
fuoco che ha funzionato dall’inizio del conflitto. Nel dicembre 2015, la risoluzione 2254 dell’Assemblea Generale dell’ONU
è stata presentata al Consiglio di Sicurezza e adottata all’unanimità dal Consiglio stesso. La risoluzione al punto 6 recita:
“Requests the Secretary-General to lead the effort, through the office of his Special Envoy and in consultation with relevant
parties, to determine the modalities and requirements of a ceasefire as well as continue planning for the support of ceasefire
implementation, and urges Member States, in particular members of the ISSG, to support and accelerate all efforts to achieve
a ceasefire, including through pressing all relevant parties to agree and adhere to such a ceasefire”.
La maggior parte degli attori del conflitto ha preso l’impegno di partecipare alle negoziazioni iniziate a Ginevra alla fine
di gennaio di quest’anno. C’è stata una breve sospensione del dialogo per via del fatto che, come spesso accade durante
questo tipo di negoziazione di cessate il fuoco, ogni parte ha cercato di avanzare e di rafforzare militarmente le posizioni
raggiunte. Un merito da riconoscere a de Mistura è senz’altro il fatto di voler coinvolgere nelle negoziazioni la società
civile e le associazioni di donne rappresentate a Ginevra dal Women Advisory Board, un gruppo di dodici rappresentanti
indipendenti della società civile siriana.
Il 26 febbraio de Mistura ha annunciato che 97 gruppi armati e il governo siriano hanno espresso la volontà di accettare un
sistema di cessazione delle ostilità. L’ultimo giro di negoziazioni è iniziato il 10 marzo scorso e si sta focalizzando sui temi
della nuova governance, la nuova costituzione della Siria e le elezioni da tenersi entro diciotto mesi. Non vi è solo un’ottica
di lungo periodo per uscire dal conflitto, ma si cerca anche un sollievo a breve termine per la popolazione che va dal cessate
il fuoco alla fornitura di aiuti umanitari. Le Nazioni Unite hanno confermato che a una settimana dal cessate il fuoco il
livello di violenza si è ridotto drasticamente, senza tuttavia escludere incidenti.
Riportiamo qui di seguito le parole di Staffan de Mistura pronunciate durante l’incontro con la stampa lo scorso 18 aprile a Ginevra [T.d.R.]: “Nel percorso politico non dobbiamo aspettarci che dopo cinque anni di conflitto una transizione politica sia raggiunta
in appena una settimana per miracolo. Siamo franchi su questo punto. Infatti, vi è un notevole passo avanti rispetto al passato: tutti
sono d’accordo sul fatto che l’espressione “transizione politica” è il punto dell’agenda. […] Non vi è alcun segreto sul fatto che una
parte stia insistendo sulla implementazione del TGB [N.d.R. Transitional Governing Body] e l’altra parte – il governo – stia adesso indicando il proprio interesse nel lanciare un’iniziativa per un governo con una base ampia. Entrambe le parti rivendicano che questa
sia la strada verso la transizione politica. La differenza è chiaramente ampia ma questa è esattamente la natura delle negoziazioni”.
Il maggior gruppo dell’opposizione siriana è disposto a condividere l’appartenenza al Transitional Governing Body con gli
attuali membri del governo del presidente Bashar al-Assad, ma non con Assad stesso, come dichiarato da Salim al-Muslat,
portavoce dell’HNC (High Negotiations Committee), il 14 aprile scorso alla Reuters. Ha continuato al-Musat: “Vi sono molte
persone dall’altra parte con le quali possiamo veramente trattare. Non porremo nessun veto fino a quando non ci manderanno criminali, fino a quando non ci manderanno persone coinvolte nell’uccisione dei siriani”. Insomma, la pace a questo punto
dovrebbe passare attraverso l’uscita di scena di Assad, congedato dal suo stesso schieramento.
[email protected]
maggio 2016 La Rivista - 15
La galleria di base
del Gottardo
Claudio Guidotti coordina per le FFS l’inaugurazione al portale sud della galleria di base
Sta per concludersi
il conto alla rovescia
“Se la percorri ti sembra di essere in
un ambiente sterile, completamente
vuoto. Pareti spoglie grigie. Eppure,
non immagini quanta tecnologia ci sia
dietro quei pannelli, lungo quei cunicoli. Una monitorizzazione di tutto il
percorso, un controllo costante per garantire il massimo della sicurezza”.
Chi mi confida queste impressioni è Claudio
Guidotti che, dopo essersi occupato per le
FFS dell’Expo, per le stesse ferrovie coordina
ora la realizzazione al portale Sud dell’inaugurazione ufficiale che il prossimo 1° consegnerà al mondo la più lunga galleria ferroviaria sinora costruita.
Un’opera immane che, trapassando il massiccio del San Gottardo per 57 km, accorcerà
i tempi di percorrenza fra il nord e il sud delle
Alpi di circa 45 minuti.
“In 20 minuti” – mi spiega ancora Guidotti –
“sei dall’altra parte”, portando la durata del
viaggio da Bellinzona a Erstfeld a poco più di
35 minuti. Finora, il tragitto via Airolo-Göschenen ne dura 75.
I treni merci potranno viaggiare ad una velocità fra i 100/120 km/h, quelli passeggeri a
200. Anche se in realtà potrebbero viaggiare
a 250, ma, come mi spiega Guidotti, mantengono questa velocità per garantire il transito di 3 treni merci intercalati fra due treni
passeggeri. Se i treni passeggeri viaggiassero
ad una velocità più sostenuta non consentirebbero la capacità che prevede il transito in galleria di un treno passeggeri, 3 treni
merci, un terno passeggeri e via con questa
frequenza. La sincronia è fondamentale.
L’organizzazione della giornata inaugurale – rigorosamente riservata alle autorità e
a chi, a vario titolo, ha potuto accreditarsi prevede un impegno notevole per la messa
in sicurezza dei luoghi, tanto al portale sud
come quello nord, in cui si svolgeranno le cerimonie e il taglio del nastro. La presenza di
almeno tre capi di governo: italiano, francese
16 - La Rivista maggio 2016
e tedesco, oltre alle numerose altre autorità
e rappresentanze dal mondo intero, comporta un’assunzione di responsabilità enorme
al pari dell’investimento di risorse umane e
finanziarie. Con l’aria che tira, dovesse succedere qualcosa, mentre gli occhi del mondo
sono puntati su questa minuscola parte della
piccola Svizzera gli effetti sarebbero catastrofici.
Accanto alla sicurezza, che evidentemente è
prioritaria, particolare sforzo viene assorbito
per garantire tutti gli aspetti logistici: fra gli
altri, il trasferimento delle autorità e delle persone, l’area posteggi. “Al portale sud,
nella zona fra l’ex Monteforno di Bodio e la
stazione di Biasca verranno creati 1800
posteggi, serviti regolarmente da
shuttle bus”.
Tutto questo impegno non si
esaurirà nella giornata del 1°
giugno, ma sarà propedeutico
alle giornate del 4 e 5 giugno durante le quali sia a sud che a nord si
svolgerà una grande festa popolare.
“Ci aspettiamo 100’000 persone. Quasi
tutte vorranno approfittare per essere fra i primi ad attraversare la nuova
galleria”. L’occasione è ghiotta, con 30
franchi (15 per chi ha l’abbonamento a metà prezzo) si percorre, in un
verso o nell’altro, la galleria di base,
per poi tornare al punto di partenza obbligatoriamente percorrendo
la linea di montagna.
L’accesso ai luoghi dei festeggiamenti è invece gratuito. In programma ci sono numerose attrazioni, esposizioni e visite guidate in quattro aree nei
pressi dei portali di accesso alla galleria: a
Pollegio e Biasca a sud delle Alpi e a Erstfeld
e Rynächt nel canton Uri.
Una volta archiviata l’inaugurazione ufficiale
e la festa popolare, in Ticino ci saranno ancora due appuntamenti legati all’apertura
della galleria di base: il 14 ottobre l’inaugu-
razione della nuova stazione di Bellinzona,
con successiva festa popolare il 15 e il 16;
l’11 dicembre, giornata in cui il transito nella
gallerai di base sarà formalmente aperto al
traffico normale, verrà inaugurata la nuova
stazione di Lugano. Lo stesso giorno rientrerà
in funzione anche la storica funicolare che
collega la stazione al centro della città.
Il lavoro per Claudio Guidotti, che coordina il
lavoro anche di questi eventi, continua.
I luoghi della festa popolare in programma il 4 e
5 giugno prossimi
1° giugno 2016:
Inaugurazione
della galleria di
base del San
Gottardo
di Tindaro Gatani
Ieri: Perforatrice utilizzata per il traforo ferroviario del San Gottardo (1872-1882)
L’epopea dei trafori alpini:
Ieri e Oggi
Rispetto agli altri Paesi europei, la Svizzera arrivò al suo
appuntamento con la Ferrovia con qualche decennio di ritardo, dovuto soprattutto alla convinzione che la configurazione orografica del Paese non fosse adatta all’impianto di linee per il nuovo mezzo di trasporto. A ostacolare
la realizzazione di una politica nazionale dei trasporti su
rotaia c’erano anche la mancanza di coordinazione intercantonale, le gelosie dei vari potentati locali, l’opposizione
dei contadini, i dissidi politici e religiosi che avrebbero poi
portato, nel 1847, alla Guerra del Sonderbund tra Cantoni
progressisti e quelli conservatori.
Oggi: Fresatrice impiegata per lo scavo della galleria di base del San Gottardo
L’azione di Luigi Negrelli
Proprio mentre infuriavano i venti, che avrebbero portato allo scoppio di quella guerra
civile, lo zurighese Martin Escher-Hess, a
capo di una commissione intercantonale per
la realizzazione di una rete ferroviaria, nel
1845, informò l’amico trentino Luigi Negrelli
(1799-1858), incaricato di studiare la fattibilità di un sistema ferroviario svizzero, che
«il momento politico particolarmente critico
della Confederazione» imponeva un’ulteriore
pausa di riflessione. Il ristabilimento della
pace e dello spirito di collaborazione e di
solidarietà tra i Cantoni avevano, infatti, la
preminenza su tutto il resto, compreso lo sviluppo industriale e quindi quello dei trasporti. Di fronte a quelle serie titubanze, Negrelli,
tra l’altro rispondeva al suo amico di Zurigo:
«La Svizzera deve poter azionare di nuovo la
potente leva dell’industria e del commercio...
Cercate di ottenere attraverso la discussione
con le rispettive autorità l’autorizzazione per
la costruzione di una ferrovia tra Basilea e
Zurigo... Intervenite con impeto presso il vo-
stro governo, dimenticando il colore politico
degli altri governi, mettetevi con decisione,
da solo o con alcuni amici, alla testa di queste
imprese, che devono diventare le nuove arterie pulsanti dell’industria e dei trasporti della
Svizzera» (MATHYS Ernst, Männer der Schiene, Berna 1947, p. 164).
La risposta da Zurigo, nella quale Martin
Escher-Hess lo informava che la tanto paventata bufera stava per abbattersi sulla
Confederazione, non scoraggiò il Negrelli, che lo incitò ancora, scrivendo: «Proprio
adesso e proprio a causa di questi funesti
disordini interni la questione ferroviaria deve
essere tenuta viva, perché essa svierà l’attenzione della popolazione dalla lotta politica e
contribuirà alla pacificazione dei partiti più
che tutti gli scritti e le mediazioni, perché infine le ferrovie devono cominciare a splendere
sulla Svizzera come un arcobaleno».
La ferrovia, oltre che come mezzo di trasporto, doveva essere vista anche come mezzo di
unione tra i vari Cantoni e quindi come portatrice di pace tra i contendenti. E fu per questo
che, mentre la tempesta si avvicinava sempre
più, il 2 giugno 1845, veniva approvato lo Statuto fondamentale per la costruzione del primo tratto della ferrovia svizzera, quello tra Baden e Zurigo. Con l’articolo 7 veniva assegnata
al Negrelli «la carica di Ingenieur en Chef con
tutte le più estese funzioni che presso una
qualsiasi impresa ferroviaria per azioni competono ad un ingegnere capo e cioé la superiore
direzione tecnica dell’intera impresa» (Ibidem).
Nella primavera del 1846 si cominciò con la
realizzazione della prima linea ferroviaria svizzera, appunto quella tra Zurigo e Baden, passata alla storia come la Spanischbrötlibahn,
dal nome di una specialità di Baden molto
apprezzata a Zurigo, che entrò in funzione il
9 agosto del 1847. Al Negrelli fu assegnato
allora anche il compito di esprimere un suo
parere sul futuro dei trasporti della Confederazione. Egli era, infatti, allora uno dei pochi
a rivolgere il suo interesse a tutto il sistema
nel suo insieme: su strada, su rotaia, sui mezzi
natanti, avendo maturato sul campo una forte
esperienza in ognuno di questi settori.
maggio 2016 La Rivista - 17
Ieri: Caduta del diaframma del vecchio traforo del San Gottardo
San Gottardo
Quella del Negrelli — come fa notare Roberto Contro — fu insomma «una completa
immersione nel mondo elvetico». Tanto che
«l’esperienza svizzera e il contemporaneo fervore europeo per le ferrovie furono sprone a
un’attività che divenne subito irrefrenabile e
fu rivolta principalmente ad attuare a favore
dell’Austria e delle sue province il tentativo
di costruire una rete ferroviaria capace di
assicurare, a secondo della scena politica,
la mobilità interna e/o l’attenuazione dell’isolamento». Sotto la direzione del Negrelli
prese così corpo «il progetto di una grande
rete alpina integrata con una rete fluviale
parzialmente da ridisegnare, entrambe concepite considerando oltre alla morfologia
del territorio e alle difficoltà tecniche conseguenti anche le valenze economiche derivanti dall’assetto industriale esistente e da quello
indotto, nonché le prescrizioni economiche
dell’esercizio» (CONTRO Roberto, Progetti di
Luigi Negrelli in campo ferroviario, in LEONARDI Andrea, Luigi Negrelli ingegnere e il
Canale di Suez, Trento 1990, pp. 374- 377).
L’unica difficoltà che il Negrelli vedeva era
quella dello scavo dei tunnel sotto le Alpi per
la mancanza di mezzi adatti e soprattutto
per l’impossibilità d’aereazione delle gallerie.
Di grandi gallerie ferroviarie si cominciò a
parlare soltanto dopo la costruzione delle
prime perforatrici, delle macchine per la ventilazione e dell’invenzione della dinamite. Le
perforatrici furono impiegate dal 1861 e la
dinamite, fabbricata da Alfred Nobel, sostituì
la polvere nera dal 1867.
18 - La Rivista maggio 2016
La prima grande galleria ferroviaria fu quella
di 15.003 m, scavata sotto il massiccio del
San Gottardo (tra il 1872 e il 1882), i cui lavori costituirono la prima epopea degli operai italiani nello scavo dei trafori alpini. Una
volta approvati i progetti e fatta la gara di
appalto, oltre 5000 operai italiani si riversarono ad Airolo e a Göschenen, i due villaggi
rispettivamente all’imbocco del versante sud
e nord della futura galleria. Al finanziamento iniziale l’Italia partecipò con 45 milioni di
lire, la Germania 20 e altrettante la Svizzera,
che poi avrebbe riscattato tutta la spesa.
La ditta appaltatrice cercò di risparmiare
sulle paghe degli operai, sulla previdenza e
quindi sull’igiene e sull’assistenza medica,
diminuendo anche quei pochi accorgimenti
che potevano garantire una larvata sicurezza sul posto di lavoro e aumentando, nello
stesso tempo, tutti quei piccoli sotterfugi
che erano dei veri e propri soprusi. Per lottare
contro le ripugnanti condizioni, il 28 luglio
1875, alcuni operai abbandonarono il lavoro
in galleria perché l’aria era appestata dai gas
sprigionati anche dalle esplosioni della dinamite e dalle locomotive a vapore impiegate
per il trasporto di materiali e persone. Per
stroncare lo sciopero sul nascere, intervenne
allora un drappello di uomini armati di stanza in Canton Uri, che, accolti da fischi e lanci
di sassi, aprirono il fuoco, uccidendo quattro
operai e ferendone altri in modo grave.
Al San Gottardo i morti per incidenti sul lavoro furono 200, di cui molti dilaniati dalla
dinamite. A loro vanno aggiunti le centinaia
di vittime della silicosi, contratta in galleria, che li avrebbe portati a un’atroce morte
prematura. Altri morirono per la cosiddetta
malattia del tunnel. Secondo una prima diceria «si ammalavano d’anemia infettandosi
con l’acqua». Poi si scoprì che la malattia
era causata da un parassita, l’anchilostoma duodenale, di color bianco roseo, che si
sviluppa nell’acqua degli anfratti in cattive
condizioni igieniche, e attraverso la pelle
raggiunge quindi l’intestino dell’uomo, fissandosi alla mucosa del duodeno con la sua
bocca a ventosa. L’anchilostoma, evacuata
dagli operai infetti, galleggiava insieme
agli escrementi nei rigagnoli della galleria,
dove si moltiplicava grazie alle temperature
dell’acqua, oscillanti tra i 27 ed i 33 gradi.
E gli uomini si infettavano anche perché
spesso camminavano a piedi nudi lungo
quei rigagnoli.
Oggi: Caduta del diaframma di una delle due gallerie di base del San Gottardo
Gli scavi del Sempione
Una volta terminati i lavori del San Gottardo
si avviarono quelli per la trasversale alpina
del Sempione, con un progetto che assegnava al tunnel la lunghezza di km 19,803
e prevedeva l’importo totale dei lavori, da
Briga fino all’ingresso nella stazione d’Iselle,
in franchi 75.040.000. Al posto del metodo
convenzionale con lo scavo di un’unica galleria a binario doppio, esso prevedeva due
gallerie parallele, a binario unico con medesimo livello. L’inizio dei lavori fu ritardato da
difficoltà finanziarie. Così, il Trattato per la
costruzione del 25 novembre 1895 entrò in
vigore solo il 28 luglio 1898, quando avvenne
lo scambio ufficiale delle ratifiche tra l’Italia e la Svizzera. I lavori iniziarono nel corso
dello stesso 1898 e durarono 9 anni. L’inaugurazione avvenne il 19 maggio 1906 alla
presenza delle massime autorità elvetiche e
italiane, tra cui il Presidente della Confederazione Ludwig Forrer e il Re d’Italia Vittorio
Emanuele III di Savoia. La lunghezza totale
del tunnel del Sempione risultò di km 19,825,
di cui 9,073 in Svizzera e 10,752 in Italia. La
sua apertura fu festeggiata con l’Esposizione
internazionale di Milano, che richiamò nella
capitale lombarda migliaia di visitatori, molti
dei quali giunsero servendosi dei primi treni
che circolarono sulla linea del Sempione.
Come per il Gottardo, anche per il traforo
del Sempione, come nota Giuseppe Volante,
sanitario dell’impresa dal lato sud, la mano
d’opera che servì al compimento di questo
colossale lavoro, era quasi interamente italiana. Ai lavori del solo versante sud furono
interessati stabilmente tra i 7.500 e gli 8.000
operai, di cui 2.600 addetti ai lavori in galleria e gli altri in quelli esterni e nei servizi.
Per sistemare tanta gente si cercò di compiere «veri miracoli». Per evitare speculazioni
e mantenere concorrenziali i prezzi al consumo, fu facilitata l’apertura di numerosi spacci
e rivendite di generi alimentari, forni per il
pane e innumerevoli osterie. Furono stabilite
multe severe a quelli che non ottemperavano
alle norme di igiene e di pulizia, indicate da
espressi avvisi.
Le buone intenzioni non ebbero, però, l’effetto desiderato, perché, come testimonia il
Volante, «l’operaio malvolentieri si lasciava
incasermare, e presto disertò il dormitorio e la
cantina, dove gli pareva di non essere sufficientemente libero, poiché, naturalmente, un
regolamento provvedeva al buon andamento
dell’azienda, limitava gli schiamazzi, e un
personale a ciò destinato vigilava affinché
l’ordine non venisse disturbato». Alle imprese
non restò altra scelta che chiudere i dormitori e lasciare libertà agli operai. Lungo le
strade che portavano ai cantieri, «ovunque vi
fosse un palmo di terreno sorsero, allora, innumerevoli baracche di legno, addossate alle
pareti di roccia».
Si trattava di costruzioni sorte «senza alcun
Ieri: Le ardite impalcature dello scavo della galleria del Sempione
piano prestabilito» che, sfuggendo «a ogni
regolamento d’igiene pubblica», divennero «la piaga più vergognosa del Sempione,
contro la quale lottarono invano tutti quelli
che avevano a cuore la salute dell’operaio».
Queste baracche, che contenevano «almeno
quattro letti, in ciascuno dei quali dormivano
due persone per volta, che si alternavano due
o tre volte nella giornata, a seconda delle ore
di lavoro... erano situate sotto il piano stradale, senza luce, mal ventilate, i rifiuti della
vita domestica finivano sulla strada, facendo
emanare un fetore nauseabondo» (VOLANTE
Giuseppe, Intorno alle condizioni igieniche e
sanitarie in cui si svolsero i lavori della galleria del Sempione, Torino 1906). Le reiterate
intimazioni delle autorità di provvedere allo
sgombero dei rifiuti restava lettera morta.
Le latrine «erano tenute in uno stato tale di
sporcizia e di disordine, che nessuno osava
avventurarvisi e così ogni angolo della strada
era diventato un vero deposito di escrementi».
Sul versante nord la situazione era la stessa,
se non peggio.
Lötschberg
Al Sempione, tra i tanti provvedimenti per
curare l’igiene sul lavoro, si giunse a evitare
l’ingresso ai portatori ancora sani dell’anchilostoma, mediante l’esame metodico degli
individui sospetti, e impiantando latrine in
tutta la galleria, che, invece di essere usate,
nonostante i severissimi ordini e la stretta vigilanza, furono boicottate o completamente
rese inservibili, e la malattia continuò così a
mietere vittime.
Dopo il Gottardo e il Sempione, mancava ancora la realizzazione di un’altra grande impresa alpina: il traforo delle Alpi bernesi sotto
il massiccio del Lötschberg. Dopo decenni di
studi e progetti, il 27 giugno 1906, il Gran
Consiglio di Berna accettò, con 174 voti favorevoli e 14 contrari, il progetto governativo
per la Ferrovia del Lötschberg, affidando alla
Compagnia della Ferrovia delle Alpi bernesi il
compito di risolvere le questioni finanziarie
per l’attuazione dell’opera.
I lavori, dopo le brutte esperienze del Gottardo e del Sempione, furono un primo banco
di prova non solo per le organizzazioni che
lottavano per la difesa degli operai, ma anche per lo Stato italiano e per quello svizzero, che concordarono migliori condizioni di
accoglienza per i lavoratori, sotto la sorveglianza dei funzionari del consolato italiano
e quella degli ispettori del lavoro svizzeri, che
vigilavano sul rispetto delle leggi e delle disposizioni. C’erano poi i sindacati, le varie organizzazioni caritatevoli, i partiti e le chiese
locali, tutti impegnati a rendere meno triste
la vita di migliaia di operai occupati in lavori
tanto duri. Si organizzarono scuole e asili per
il figli degli operai, che per il 97% provenivano dall’Italia. Con la novità che non tutti
erano originari dalle regioni settentrionali,
come al Gottardo e al Sempione. Al Lötschberg soltanto il 30% circa proveniva dall’Italia
settentrionale, un altro 30% dall’Italia centrale e ben il 40% dal Mezzogiorno. A pieno
ritmo gli Italiani impiegati nei vari servizi
erano oltre 9.000.
La presenza di tanta gente, soprattutto nei
villaggi Frutigen e di Kandersteg, posti a
nord e a sud degli scavi, creò molti problemi,
ma le autorità riuscirono a gestire al meglio
ogni evenienza, vietando agli appaltatori di
affittare le abitazioni o di gestire le mense,
affidate a gestori terzi a prezzi controllati.
Le condizioni li lavoro anche al Lötschberg
erano estreme: le vibrazioni delle perforatrici, il movimento dei detriti, l’acre odore
della dinamite e la forte umidità, rendevano
maggio 2016 La Rivista - 19
l’aria irrespirabile. C’era poi la temperatura,
che sfiorava costantemente i 35 gradi fino a
punte di 50° per cui si dovette far ricorso a
nuovi sistemi di raffreddamento.
I provvedimenti presi avevano migliorato le
condizioni di lavoro e ridotto la percentuale
degli incidenti rispetto al Gottardo e al Sempione. La disgrazia, nonostante tutte le prevenzioni e le precauzioni, arrivò lo stesso alle
ore 3 del mattino di venerdì 24 luglio 1908,
quando al km 2,675, dopo il brillamento di
una carica di dinamite, una valanga di acqua
e fango invase la galleria. La maggior parte
degli operai riuscì a fuggire e a mettersi in
salvo, ma 25 di loro, tutti italiani, mancarono
all’appello. Lo scavo, tra una zona rocciosa e
l’altra, si era trovato sul fondo di una morena,
che, squarciata dall’esplosione della dinamite, aveva lasciato passare le acque del suolo.
L’ora notturna aveva comunque evitato che
la catastrofe assumesse un bilancio più alto,
tenendo conto che di giorno erano migliaia
gli operai addetti a lavori (GATANI Tindaro
– TASSELLO G. Graziano, L’Epopea dei trafori
alpini, Basilea 2008).
La realizzazione dell’AlpTransit
Il 1° giugno prossimo, con l’inaugurazione
del nuovo tunnel ferroviario del San Gottardo
si fa un altro importante passo avanti sulla
completa realizzazione di AlpTransit l’ambizioso progetto svizzero di alta velocità lungo
gli assi del Lötschberg e del San Gottardo,
con tunnel di base scavati a diverse centinaia
di metri sotto le vecchie gallerie.
Agli inizi degli Anni Novanta, mentre in Italia
si cominciava a discutere sull’opportunità e
la convenienza di una linea ferrovia ad Alta
Velocità (AV = TAV: Treni Alta Velocità in italiano), tra Lione e Torino e si costituivano i
comitati per il sì e per il no, l’uno contro l’altro armato, in Svizzera, il 27 settembre 1992,
i cittadini furono chiamati alle urne per pronunciarsi sui progetti AlpTransit e, soprattutto, sul finanziamento dell’opera.
Il progetto della NEAT (Neue Eisenbahn-AlpenTransversale) fu accolto da oltre il 63,%
dei voti e ottenne la maggioranza in tutti
Cantoni, a esclusione di Appenzello Interno e
di Uri. Il 20 febbraio 1994 fu accolta dal popolo, con quasi il 52%, anche l’iniziativa cosiddetta delel Alpi che tende a limitare il traffico
su gomma con il trasferimento del trasporto
delle merci dalla strada alla ferrovia.
Per introdurre la tassa sul traffico pesante,
che doveva andare a completare il finanziamento di AlpTransit, nel 1998, il Consiglio
federale dovette sottoporre la questione a
referendum, approvato con il 57,2% dei voti
il 27 settembre dello stesso anno.
Oggi: Veduta di una delle gallerie di base del San Gottardo
20 - La Rivista maggio 2016
La prima ad essere realizzata è la galleria di
base del Lötschberg che ha esteso il collegamento ferroviario, lungo 34,6 km, da Frutigen
fino a Raron. È stata inaugurata il 16 giugno
2007, è stata resa subito disponibile per il
traffico merci, mentre il traffico passeggeri
è iniziato a circolare al cambio di orario annuale il 9 dicembre delo stesso anno.
La galleria di base del Gottardo
L’Azienda AlpTransit San Gottardo SA, affiliata al 100% delle Ferrovie federali svizzere, ha assunto la regia dei lavori della nuova
trasversale i cui tratti più importanti sono
le gallerie di base del San Gottardo e del
Monte Ceneri. Il punto più alto dell’opera è
di appena 550 m s.l.m. e la sua lunghezza
complessiva di 57 km da Erstfeld a Bodio ne
fa il traforo ferroviario più lungo del mondo.
Questa altitudine massima classifica la linea
come ferrovia di pianura, permettendo in
pratica la sua percorrenza a una velocità di
250 km orari. In attesa che vengano conclusi
quelli del Monte Ceneri (2010), i lavori della
galleria di base del San Gottardo sono stati
ultimati con un anno di anticipo sulla tabella
di marcia.
Mercoledì 1° giugno 2016, a 17 anni dall’inizio dei lavoro del cunicolo principale, la
galleria sarà inaugurata ufficialmente per
Le direttrici del progetto svizzero AlpTransit
entrare poi in funzione, a pieno ritmo, dal
prossimo 11 dicembre. L’inaugurazione del
1° giugno, alla quale sono state invitate
autorità e personalità provenienti dai cinque Continenti, rappresenta un primo passo
dell’impresa, che sarà completata nel 2020
con l’entrata in servizio della galleria di base
del Monte Ceneri.
Nel dicembre 2004 è stato aperto all’Alta
Velocità il tratto Berna-Olten, che ha ridotto
i tempi di percorrenza tra Zurigo e la capitale federale a meno di un’ora. Dal 16 giugno
2007 è già in esercizio la galleria di base del
Lötschberg di 34,6 km, che collega Frutigen,
in Canton Berna, con Raron, nel Vallese. La
Svizzera è dunque all’avanguardia anche per
quanto riguarda l’alta velocità ferroviaria
fissata. L’AV svizzera prevede la circolazione
di treni con trazione elettrica mediante linea
aerea mentre in Cina sono già in servizio treni futuristici a lievitazione magnetica, che
viaggiano ad alta velocità senza l’attrito con
le rotaie, altrove esistono linee esclusive solo
per l’alta velocità come le TGV in Francia e lo
Shinkansen in Giappone.
la costruzione di AlpTransit San Gottardo, la
capacità di transito giornaliero di treni merci
passerà dagli attuali 150 a 200 convogli, che
potranno essere anche più lunghi di quelli
odierni. Questo corrisponde a una capacità di
trasporto di circa 40 milioni di tonnellate di
merci all’anno, che rappresenta circa il doppio della capacità attuale. Si prevede che un
buon terzo dei treni merci viaggerà via Luino
e i restanti due terzi via Chiasso.
Nella nuova galleria, particolare cura è data
alla sicurezza con stazioni di soccorso concepite per l’arresto di emergenza di un treno
e vie di fuga e di evacuazione. Sul percorso
di salvataggio verso l’altra galleria non si
devono attraversare binari né utilizzare scale
o ascensori. Le stazioni di soccorso e i relativi cunicoli laterali e di collegamento sono
ventilati, in caso di eventi anomali, con aria
esterna, mentre nell’altro tubo il fumo sarà
aspirato da potenti turbine. Una leggera sovrapressione è sufficiente per mantenere libera da fumo la via di fuga nell’altra galleria.
Partendo dalla stazione di soccorso, un treno
di salvataggio trasporterà i passeggeri fuori
dalla galleria. Anche nel caso in cui un treno
si arresti fuori di una stazione di soccorso,
i viaggiatori potranno utilizzare i cunicoli
trasversali come via di fuga verso la galleria
adiacente.
La lunghezza dell’intero sistema di cunicoli
della galleria di base del San Gottardo è di
km 151.840. La lunghezza dal portale nord
di Erstfeld fino al portale sud di Bodio, è
57.104 km e quella inversa è di 57.017 km,
per un totale di canne a binario unico di km
114.121. Il diametro di scavo della fresatrice
impiegata era compreso tra m 8,63 a 9,58. Il
numero di taglienti rotanti sulla testa perforatrice della fresa andava da 60 a 66 unità.
Particolare attenzione oltre che alla sicurezza sul lavoro, è stata data al rispetto
dell’ambiente, coniugato anche con il maggiore utilizzo possibile dei materiali estratti.
La costruzione della Galleria di base del San
Gottardo ha prodotto milioni di tonnellate di
materiale di scavo. Questo materiale, definito «una montagna dalla montagna», invece
di costituire un problema, si è trasformato in
una grande risorsa come materia prima da
costruzione. Mediante frantumazione, lavaggio e setacciamento, il materiale di scavo
è stato, infatti, utilizzato, mischiandolo ad
acqua e al cemento, come inerte per calcestruzzo e reimpiegato, quindi, là dove era
stato ricavato. La preparazione è avvenuta
direttamente sul cantiere. Il materiale di scavo restante è stato offerto a terzi interessati
oppure è stato impiegato in alcuni siti per
preservare preziose risorse naturali.
La grande impresa in cifre
La NEAT è finanziata da un fondo alimentato
dai dazi sui carburanti, dalla tassa sul traffico
pesante forfettaria e da altre entrate. Oltre
alle strutture immobili il nuovo concetto dei
trasporti svizzero prevede l’ammodernamento del materiale rotabile, che contribuirà alla
notevole riduzione dei tempi di percorrenza.
Oggi per il percorso Zurigo – San Gottardo – Milano si impiegano ancora 3 ore e
40 minuti, in futuro questo tempo sarà ridotto a 2 ore e 40 minuti, con prospettive
di effettuare ulteriori riduzioni di tempo. La
ferrovia costituisce così una reale alternativa al traffico automobilistico e aereo. Con
Moderna motrice svizzera di Gottardo 2016
maggio 2016 La Rivista - 21
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NEWS MAGGIO 2016
Autodenuncia esente da pena e recupero d’imposta semplificato in caso
di successione
Dall'inizio del 2010 in Svizzera è possibile ricorrere all'autodenuncia esente da pena e al recupero d'imposta semplificato nei casi di successione.
Recupero d'imposta semplificato in caso di successione
Grazie al recupero d'imposta semplificato il termine di riscossione dell'imposta sul reddito e sulla sostanza non dichiarati dal defunto è stato
ridotto. Determinanti non sono più gli ultimi 10 anni, ma unicamente
gli ultimi tre anni precedenti il decesso del defunto. Ne possono beneficiare gli eredi qualora dichiarino senza indugio la sottrazione d'imposta
del defunto e adempiano l'obbligo di collaborazione, richiesto in particolare per l'allestimento di un inventario completo ed esatto della successione. La procedura semplificata di recupero d'imposta viene avviata solo
se le autorità fiscali non erano ancora al corrente della sottrazione di redditi o sostanza.
Autodenuncia esente da pena
Se il contribuente denuncia spontaneamente la sottrazione, la prima
volta va esente da pena. Sono dovuti solo il recupero d'imposta (fino a 10
anni) e gli interessi di mora. Analogamente al recupero d'imposta semplificato in caso di successione, anche l'autodenuncia esente da pena
viene concessa solo se le autorità fiscali non erano al corrente della sottrazione e il contribuente aiuta senza riserve le autorità fiscali e dimostra
di fare tutto il possibile per pagare il recupero d'imposta. L'autodenuncia
esente da pena è estesa alle persone che partecipano a una sottrazione
d'imposta, nel senso che istigatori, complici o partecipanti possono fare
uso del principio dell'autodenuncia alle stesse condizioni previste per il
contribuente.
Validità per Confederazione, Cantoni e Comuni
La procedura semplificata di recupero d'imposta in caso di successione e
l'autodenuncia esente da pena sono ancorate nella legge federale sull'imposta federale diretta (LIFD) e nella legge federale sull'armonizzazione
delle imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni (LAID) e si applicano
pertanto sia all'imposta federale diretta sia alle imposte sul reddito e sulla
sostanza di Cantoni e Comuni. Tutte le altre imposte e tasse (come ad es.
l'imposta sul valore aggiunto, l'imposta preventiva, i contributi AVS/AI
ecc.) non versate sono dovute integralmente e con gli interessi di mora.
Fonte: Dipartimento federale delle finanze DFF
Cultura
d’impresa
di Enrico Perversi
Meglio dormirci sopra
Gestire il sonno è una delle capacità di una leadership efficace ed orientata ai risultati.
Il XXI secolo vede le imprese affrontare nuove sfide. La prima di queste è la velocità del cambiamento che aumenta, sono molti anni che lo diciamo, ma continua ad essere vero tanto che mi succede di sorridere quando ritrovo
questa affermazione in documenti di parecchi lustri fa. Il secondo argomento in agenda di tutti è la rivoluzione
digitale che ha cambiato e continuerà a cambiare le regole del gioco nel mondo degli affari ma anche nella vita
personale, un solo dato per tutti: il flusso di informazioni disponibili per ciascuno di noi cresce del 40% all’anno.
Questo significa che nel 2020 ci piomberanno addosso 30 volte le informazioni che riceviamo oggi.
La terza sfida riguarda il basso coinvolgimento delle persone in azienda, una ricerca di Tower Watson del 2014 dice che
la percentuale di dipendenti coinvolti attivamente negli obiettivi aziendali non supera il 40%. Naturalmente quindi
le imprese si chiedono quale leadership sia in grado di affrontare questo tema e vengono proposti modelli di vario
tipo che hanno in comune il fatto di rifuggire dal capo che crea tensione, che genera stress. Una coach inglese, Sue
Coyne, propone il modello delle 3H: il leader ideale persegue la felicità (Happy), la salute (Healthy) ed il successo (High
performance), facendo attenzione a definire il successo come piacersi, fare cose che piacciono, farle in un modo che
piaccia anche agli altri.
La felicità è un tema decisamente impegnativo da affrontare in una pagina, vorrei quindi riflettere sulla salute e sul
benessere in generale che unanimemente è riconosciuto come un fattore vitale in un ambito dove, al contrario, è
frequente sentir parlare di ore di lavoro eccessive, di pressione sui risultati, di conflitti permanenti, di stress distruttivo.
Un leader deve curare la salute del suo cervello innanzitutto non smettendo mai di apprendere, uscendo dalla sua
zona di comfort e affrontando cose nuove che non sa fare. Le nostre capacità mentali si giovano anche grandemente
dell’esercizio fisico e di una alimentazione equilibrata ed attenta, le raccomandazioni su questi due aspetti sono note
e trattate in tutti gli ambiti da quelli scientifici a quelli più divulgativi, tuttavia chi poi pratica quanto raccomandato
è ancora una minoranza.
La consapevolezza è un elemento che si sta affermando come una delle capacità centrali di un leader efficace, l’essere
presente attento momento per momento favorisce l’ascolto degli altri, una comunicazione coinvolgente, la concentrazione e la creatività. Il multitasking e la connessione continua 24 ore su 24 sono pericoli reali tanto che la mindfulness
è entrata nelle aziende e vi sono incontri dedicati a come gestire tutti gli strumenti che la tecnologia ci offre senza
farcene travolgere. Tuttavia il fattore più trascurato è il riposo ed il sonno in particolare, considerato a torto una
perdita di tempo. Esiste l’opinione che sia possibile comprimere il tempo dedicato al dormire per produrre di più, in
nome della produttività e della necessità di risposte veloci si allungano gli orari di lavoro, si saltano i pasti. Francesco
Peverini, medico e docente che si occupa da oltre 20 anni di disturbi del sonno, ci segnala nel suo bel libro dal pessimo
titolo “È facile dormire se sai come farlo” che 17 ore di veglia prolungata provocano variazioni del livello di attenzione
pari a quelli che si hanno dopo aver bevuto a digiuno due bicchieri di vino, quando la veglia sale a 20 ore i bicchieri
diventano quattro (per la legge americana si è ubriachi) con potenziali modificazioni nel parlare , nell’attività motoria,
nella memoria, nei processi decisionali e nell’applicarsi alla soluzione di problemi complessi. Dormire 4-5 ore per notte
per una settimana lavorativa influenza significativamente attività quali comprendere un contesto in rapida evoluzione,
immaginare soluzioni innovative a particolari problemi, valutare il rischio anticipando le possibili conseguenze, operare
processi decisionali su temi complessi.
Arianna Huffington nel suo libro The sleep revolution uscito di recente, parla di una vera e propria crisi della cultura
della deprivazione del sonno che ha caratterizzato le scorse decadi testimoniata, per esempio, dalle oltre 5000 app
che appaiono nell’Apple Store ricercando la parola “sleep”. Secondo l’autrice la rivoluzione rappresentata dalla riappropriazione del sonno sarà in grado di modificare non solo la vita degli individui ma addirittura il mondo in cui viviamo.
Il leader quindi deve aver cura di sé per poter essere efficace in azienda questo è testimoniato da numerose ricerche
scientifiche ma anche dalla saggezza popolare che a fronte di una decisione complessa ci ricorda che è “meglio dormirci sopra”.
[email protected]
maggio 2016 La Rivista - 23
Donne in carriera:
Susanna Moccia
di Ingeborg Wedel
L’Expo di Milano ha ospitato anche
la nostra donna in carriera: e la sua
statua era visibile nel Padiglione Italia con quella di altre sette donne
ritenute “tra le eccellenze dell’imprenditoria italiana”, accanto alla
rappresentanza di illustri personaggi
maschili.
La vetrina dell’Expo ha permesso a
molte aziende meritevoli di essere
maggiormente apprezzate, e farsi
conoscere al vasto pubblico venuto a
visitare questa imponente rassegna.
Per conoscere la nostra donna in carriera le lasciamo la parola che ci illustra le tappe del suo percorso professionale e poi risponderà alle nostre
consuete domande.
«Sono Susanna Moccia, ho trentaquattro anni e sono nata a Castellammare di
Stabia (Na). Sono laureata in Economia
Aziendale presso l’Università degli Studi
di Napoli “Parthenope”; sposata, ho due
figli: Alfonso, quattro anni, e Benedetta,
un anno e mezzo. Lavoro nell’azienda
di famiglia “La Fabbrica della pasta di
Gragnano”, che produce pasta artigianale da tre generazioni, e la cittadina è
conosciuta in tutto il mondo come “la
città della pasta”. Gestisco l’azienda assieme ai miei tre fratelli, Ciro, Antonino e
Marianna, occupandomi soprattutto dei
rapporti commerciali con l’estero. Sono
immersa in questo mondo sin da bambina, quando dopo la scuola correvo in
azienda e, nel laboratorio, mi divertivo
a creare i diversi tipi di pasta. Nel 1989,
quando mio padre Mario venne a mancare, con i miei fratelli decidemmo di
chiudere l’azienda. Mi sono laureata in
Economia Aziendale e, sempre con i miei
fratelli, ho iniziato a occuparmi della gestione di una catena di supermercati.
Tuttavia, il richiamo della pasta si di-
24 - La Rivista maggio 2016
«Diciamola tutta:
le donne sono più brave»
mostrò più forte di ogni interesse economico e nel 2007, noi quattro abbiamo
deciso di riaprire il pastificio. A decretare
il successo dell’impresa è stata la capacità di innovare in un settore fortemente tradizionale. Tante le novità relative
alla produzione, con macchinari sempre
nuovi e al passo coi tempi, e ai prodotti,
dalla Caccavella – il formato di pasta più
grande del mondo – alla prima pasta artigianale senza glutine, grazie alle quali
“La Fabbrica della pasta di Gragnano”
ha saputo conquistare anno dopo anno
importanti fette di mercato. I nostri prodotti sono presenti, tra l’altro, in Europa,
Brasile, Giappone e Australia. Di recente
abbiamo siglato un’importante collaborazione con l’azienda piemontese Cuki,
per la distribuzione sul mercato nazionale e internazionale di un nuovo prodotto».
Quanto tempo le è farsi
apprezzare come manager?
È difficile fare una stima, perché ogni
caso è a sé. Io ho cominciato a lavorare molto giovane con i miei fratelli e
questa circostanza mi ha consentito di
muovermi con maggiore dimestichezza
in azienda, anche se non ho avuto sconti.
Quando nel 2007 abbiamo deciso di riaprire l’azienda di famiglia, ci siamo tutti
rimboccati le maniche, senza distinzione
di genere. Credo che lavorare sodo accorci notevolmente i tempi.
Quali difficoltà, in quanto
donna, ha dovuto affrontare nel
mondo del lavoro?
Vi sono alcuni settori ancora prettamente
maschili. Per fortuna, le cose stanno cambiando. Con il tempo, sempre più donne
si sono messe alla prova, portando con sé
prerogative tipicamente femminili come
la cautela, la bassa propensione al rischio e la maggiore attenzione nell’agire.
Certo una donna deve ancora lavorare il
doppio per raggiungere gli stessi risultati di un uomo. Ma le sue qualità uniche
e insostituibili sono la carta vincente da
giocare. Infatti, credo che una donna non
abbia bisogno di diventare “maschile” per
farsi apprezzare, in un mondo aziendale
fatto di uomini. Io sono sempre rimasta
me stessa, difendendo le mie posizioni e
le mie idee. Questo ha funzionato. Anzi
è stato un plus che mi ha fatto sentire
apprezzata dai colleghi.
Ha incontrato diffidenza
nei confronti del suo ruolo
dirigenziale?
No, e, se c’era, è scomparsa uando arrivano i risultati. Ci vuole pazienza e perseveranza, ma è anche il momento più entusiasmante. Dimostrare anche a se stessi
di avercela fatta è un’esperienza che vale
la pena di essere vissuta, anche a costo di
enormi sacrifici.
Quali sono gli ostacoli principali
che ha dovuto superare?
Realizzarsi nel lavoro e al contempo avere una vita familiare soddisfacente spesso è una vera e propria sfida. Soprattutto
in Italia, che è agli ultimi posti in Europa
per quanto riguarda l’impiego femminile.
Molte donne che lavorano sono spesso
sotto stress, poiché rinunciano al riposo,
alle vacanze, allo sport, al tempo speso
con la famiglia e con gli amici.
Si é sentita in qualche modo
svantaggiata per il fatto di
essere donna?
Dover dimostrare quotidianamente di essere all’altezza del ruolo che ti è stato affidato o che ti sei conquistata e conciliare
gli impegni di moglie e di madre alle scadenze e agli obiettivi che ogni giorno mi
do come imprenditrice e nel ruolo di Pre-
sidente del Gruppo Giovani Imprenditori
dell’Unione degli Industriali di Napoli, non
è facile. C’è sempre un pregiudizio, anche
solo iniziale, da parte degli uomini e la
donna deve sempre dimostrare di valere
di più per accedere alle stesse posizioni.
L’importante è non demordere, anche se
ammetto che a volte, nei rari momenti di
relax, ho la sensazione di dedicare troppo
poco tempo a me stessa.
Riscontra qualche vantaggio
nell’esser donna?
Sentirmi realizzata in quello che faccio, nonostante le difficoltà. La vita che
conduco mi soddisfa e credo che la mia
dedizione sia un ottimo esempio anche
per i miei figli. Fare carriera è molto interessante, poiché ti mette di fronte a
sfide nuove.
Quanti possono essere per la
donna i privilegi?
Non credo che ce ne siano. Non mi sono
mai fermata e la strada che ho percorso
è stata spesso in salita.
Si sostiene che l’intuito
femminile sia superiore di quelle
maschili, perché?
Il perché è presto detto: le donne sono
pragmatiche, razionali ma sanno metterci il cuore, hanno una naturale predisposizione al sacrificio e, diciamola tutta,
sono più brave.
Quanto conta per la donna in
carriera l’arte della seduzione?
Anche allo stato inconscio.
Credo che nel mondo del lavoro ci siano molte donne belle e affascinanti,
ma l’arte della seduzione è sempre più
spesso praticata anche dagli uomini.
In generale non è un tema che mi appassiona, anche perché a mio avviso le
doti di una donna sono altre: capacità,
intelligenza, perseveranza.
Qual è la soddisfazione
maggiore per una donna
manager?
Riuscire a gestire situazioni delicate con
la lucidità che ci contraddistingue.
Che atteggiamento assume con
le sue collaboratrici?
Di tolleranza e comprensione. Consiglio sempre a tutte di avere tenacia e
portare avanti idee e progetti lavorando sodo.
In base alla sua esperienza, a
cosa deve rinunciare la donna
in carriera per affermarsi
professionalmente?
È chiaro che, essendo in azienda fino a
tarda sera, incastrando qualche viaggio di lavoro e cene serali con clienti e
colleghi, ad essere sacrificata è la vita
privata. Ma ciò che conta è la qualità
del tempo che trascorro con la mia famiglia e non la quantità. I miei bambini
crescono sereni.
Trova il tempo per qualche
hobby
Per scaricare la tensione amo ascoltare
musica, fare lunghe passeggiate e dedicarmi alla cucina, anche se il tempo non
basta mai.
maggio 2016 La Rivista - 25
Burocratiche
di Manuela Cipollone
Le novità in Gazzetta Ufficiale
Nuove regole nel codice della strada, ma anche per le banche di credito cooperativo.
Sono solo due delle leggi entrate in vigore nel mese appena passato con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Il Parlamento ha anche stabilito che il 3 ottobre di ogni anno
sarà la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione.
Non entra in vigore con la pubblicazione, invece, una delle riforme più contestate e discusse approvate dal
Parlamento: il cosiddetto ddl Boschi, cioè la riforma costituzionale del Governo Renzi che per entrare in vigore
avrà bisogno di un ulteriore passaggio: il referendum confermativo.
Entro tre mesi dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, un quinto dei membri di una Camera, o cinquecentomila elettori, o cinque Consigli regionali possono domandare che si proceda al referendum popolare. Firme
che i parlamentari hanno raccolto appena tre giorni dopo la pubblicazione del decreto. Dunque ad ottobre –
almeno così ha più volta annunciato il Governo - si torna a votare in Italia e all’estero: il referendum confermativo – al contrario dell’abrogativo – non richiede quorum. Agli elettori verrà chiesto se intendono confermare
o non confermare le modifiche costituzionali del ddl Boschi. A vincere il referendum sarà l’opzione più votata
tra “sì” e “no” alla conferma della legge.
Sul fronte nomine, il Governo ha perso il suo Ministro per lo Sviluppo Economico. Mentre scriviamo l’interim
è ancora nelle mani di Matteo Renzi, chiamato a nominare il successore di Federica Guidi dimessasi alla luce
delle intercettazioni che coinvolgevano il suo ex compagno nell’affaire Tempa Rossa. Al Mise è arrivato Ivan
Scalfarotto, nominato Sottosegretario, incarico che ricopriva alla Presidenza del Consiglio.
Novità al Consolato onorario svizzero a Padova: ricevuto l’exequatur dal Ministero degli esteri, l’incarico è stato
affidato a Massimo Carraro.
L’omicidio stradale è legge
È entrata in vigore da poco più di un mese la legge che ha introdotto in Italia il reato di omicidio stradale e
del reato di lesioni personali stradali che, finora, non erano reati a sé, ma solo aggravanti dei reati di omicidio
colposo e di lesioni personali colpose.
L’omicidio stradale colposo diventa reato a sé, graduato su tre varianti: resta la pena già prevista oggi (da 2 a
7 anni) nella “ipotesi base”, quando cioè la morte sia stata causata violando il codice della strada. Ma la sanzione penale sale sensibilmente negli altri casi: chi, infatti, uccide una persona guidando in stato di ebbrezza
grave, con un tasso alcolemico oltre 1,5 grammi per litro, o sotto effetto di droghe rischia ora da 8 a 12 anni di
carcere. Sarà invece punito con la reclusione da 5 a 10 anni l’omicida il cui tasso alcolemico superi 0,8 g/l oppure abbia causato l’incidente per condotte di particolare pericolosità (eccesso di velocità, guida contromano,
infrazioni ai semafori, sorpassi e inversioni a rischio).
Stretta anche per le lesioni stradali. Ipotesi base invariata ma pene al rialzo se chi guida è ubriaco o drogato: da
3 a 5 anni per lesioni gravi e da 4 a 7 per quelle gravissime. Se comunque ha bevuto (soglia 0,8 g/l) o l’incidente
è causato da manovre pericolose scatta la reclusione da un anno e 6 mesi a 3 anni per lesioni gravi e da 2 a 4
anni per le gravissime.
Se il conducente fugge dopo l’incidente scatta l’aumento di pena da un terzo a due terzi, e la pena non potrà
comunque essere inferiore a 5 anni per l’omicidio e a 3 anni per le lesioni. Altre aggravanti sono previste se vi è
la morte o lesioni di più persone oppure se si è alla guida senza patente o senza assicurazione. È inoltre stabilito
il divieto di equivalenza o prevalenza delle attenuanti su alcune specifiche circostanze aggravanti. La pena
è invece diminuita fino alla metà quando l’incidente non è conseguenza esclusiva dell’azione del colpevole.
26 - La Rivista maggio 2016
In caso di condanna o patteggiamento (anche con la condizionale) per omicidio o lesioni stradali viene automaticamente revocata la patente. Una nuova patente sarà conseguibile solo dopo 15 (omicidio) o 5 anni
(lesioni). Tale termine è però aumentato nelle ipotesi più gravi: se ad esempio il conducente è fuggito dopo
l’omicidio stradale, dovranno trascorrere almeno 30 anni dalla revoca.
Qualora la patente sia di un altro Stato anziché la revoca vi sarà l’inibizione alla guida in Italia per un periodo
analogo.
Per il nuovo reato di omicidio stradale sono previsti il raddoppio dei termini di prescrizione e l’arresto obbligatorio in flagranza nel caso più grave (ubriachezza, droga). Negli altri casi l’arresto è facoltativo, restando però
espressamente escluso, limitatamente alle lesioni, se il conducente presta subito soccorso. Il pm, inoltre, potrà
chiedere per una sola volta di prorogare le indagini preliminari.
Istituita la Giornata nazionale in memoria delle
vittime dell’immigrazione
È entrata in vigore il 16 aprile scorso la legge che ha istituito la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione che verrà commemorata ogni 3 ottobre “al fine di conservare e di rinnovare la memoria di quanti hanno
perso la vita nel tentativo di emigrare verso il nostro Paese per sfuggire alle guerre, alle persecuzioni e alla miseria”.
Il 3 ottobre non è una data scelta a caso: il 3 ottobre del 2013 a poche miglia dal porto di Lampedusa un’imbarcazione libica stracolma di migranti affondò uccidendo 366 persone.
L’articolo 2 della legge istitutiva spiega che in occasione della Giornata nazionale “sono organizzati in tutto
il territorio nazionale cerimonie, iniziative e incontri al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica alla solidarietà
civile nei confronti dei migranti, al rispetto della dignità umana e del valore della vita di ciascun individuo, all’integrazione e all’accoglienza”. Nel secondo comma si sottolinea in particolare l’importanza di coinvolgere i
giovani per sensibilizzarli “sui temi dell’immigrazione e dell’accoglienza”.
La riforma le banche di credito cooperativo
Un’altra legge entrata in vigore a metà aprile è quella che riforma le banche di credito cooperativo. La legge,
inoltre, recepisce l’accordo raggiunto con la Commissione Europea sullo schema di garanzia per agevolare le
banche nello smobilizzo dei cosiddetti “crediti in sofferenza”.
La riforma, in particolare, prevede l’obbligo per le BCC di aderire ad un gruppo bancario cooperativo che abbia
come capogruppo una società per azioni con un patrimonio non inferiore a 1 miliardo di euro; l’adesione ad
un gruppo bancario è la condizione per il rilascio, da parte della Banca d’Italia, dell’autorizzazione all’esercizio
dell’attività bancaria in forma di banca di credito cooperativo.
La Bcc che non intenda aderire ad un gruppo bancario (cd. “way out”), può farlo a condizione che
abbia riserve di una entità consistente (almeno 200 milioni) e versi un’imposta straordinaria del
20 per cento sulle stesse riserve. Non può però continuare ad operare come banca di credito cooperativo e deve deliberare la sua trasformazione in s.p.a. In alternativa è prevista la liquidazione.
La società capogruppo svolge attività di direzione e di coordinamento sulle BCC in base ad accordi contrattuali chiamati “contratti di coesione”. Il contratto di coesione indica sia la disciplina che
i poteri della capogruppo sulla singola banca. I poteri saranno più o meno stringenti a seconda
del “grado di rischiosità” della singola banca misurato sulla base di parametri oggettivamente
individuati.
L’attuazione della riforma è demandata alla Banca d’Italia ed al Ministero dell’Economia: la
Banca d’Italia dovrà disciplinare con regolamento i requisiti minimi e operativi della capogruppo e il contenuto del contratto di coesione; al Ministero dell’Economia spetterà di stabilire il
numero minimo di banche di un gruppo cooperativo.
Il provvedimento prevede inoltre la concessione di garanzie dello Stato sulle “sofferenze
cartolarizzate” così da favorire lo sviluppo del mercato italiano dei non performing loans
(prestiti non performanti), facilitando l’accesso di investitori con orizzonte di medio-lungo
periodo e contribuendo a ridurre la forbice di prezzo tra chi vende e chi compra
crediti deteriorati, che rappresenta l’ostacolo principale per la crescita di questo mercato.
Il provvedimento contiene anche l’abolizione dell’anatocismo sui conti correnti, conti di pagamento e carte
revolving (finanziamenti
a valere sulle carte di credito) e il pagamento delle
multe con i servizi di home
banking.
maggio 2016 La Rivista - 27
A SUO AGIO TANTO SUL CIRCUITO
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Svizzera: 139 g/km. Un’offerta di Chevrolet Europe, Stelzenstrasse 4, 8152 Glattpark, Svizzera.
Sanità digitale o mHEALTH:
di Barbara Klett*
le “app mediche” qualificazione
e aspetti della responsabilità civile
Il mercato offre oggigiorno infinite applicazioni mobili, con
svariate funzioni tra le quali anche funzioni nell’ambito della sanità, come ad esempio l’applicazione per l’analisi dei
valori della glicemia oppure testi di consultazione nel campo della medicina. Dette applicazioni sono chiamate “app”:
l’abbreviazione di applicazione software.
Questo testo esamina se tali applicazioni sono da qualificare
come “prodotti medici” ai sensi della legge e quindi affronta
la questione degli obblighi legati alla messa in circolazione
di tali prodotti e quella della responsabilità qualora l’applicazione dovesse risultare difettosa.
Introduzione
I telefoni portatili (cellulari) originariamente usati per telefonare sono diventati
già da tempo dei veri e propri apparecchi
multifunzionali, utilizzabili anche nel settore sanitario.
Le previsioni davano già nel 2015 l’utilizzo
di 160.000 app per la salute.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità
(OMS) definisce con il termine mHealth:
«una pratica medica e di salute pubblica supportata da dispositivi mobili quali
smartphone, dispositivi di monitoraggio dei
pazienti, PDAs e altri dispositivi wireless».
L’offerta di tali applicazioni si rivolge a
utenti professionisti come ad esempio
medici o studenti di medicina ma anche
a utenti profani. La scelta è variegata,
va dalle diary-app, che tengono traccia
dell’attività fisica, delle calorie ingerite, alle fitness-app, per registrare dati su
corsa, passeggiate, giri in bici, alle app per
smettere di fumare o per condurre uno stile di vita salutare. Sul mercato si trovano
però anche applicazioni collegate ad apparecchi atti a misurare la pressione, il livello
degli zuccheri nel sangue o la misurazione
del polso analizzandone i valori corrispondenti, ad altre applicazioni pensate a calcolare la dose di farmaco fino a quelle capaci di accertare la presenza di melanomi o
alterazioni della pelle. Sussistono tuttavia
comprensibili dubbi sulla reale efficacia di
queste applicazioni. Studi specifici hanno
dimostrato che diversi tipi di applicazioni
atte a esaminare alterazioni sospette della pelle con riferimento ad un algoritmo
hanno classificato erroneamente quasi un
terzo dei melanomi definendoli benigni. Le
conseguenze di una funzione scorretta di
applicazioni cosiddette “mediche” possono
dunque avere conseguenze fatali.
Numerose disposizioni di legge e trattati
internazionali formano una base di regolamentazione dei prodotti medici (chiamati dispositivi medici) atta a garantire
che l’immissione in commercio di prodotti,
inclusi i dispositivi medici, non rappresen-
ti un pericolo per la sicurezza e la salute
dei loro utenti e di terzi. In Svizzera si fa
riferimento in particolare alla Legge federale sui medicamenti e dispositivi medici
(anche chiamata Legge sugli agenti terapeutici, LATer) del 15 dicembre 2000 e
all’Ordinanza relativa ai dispositivi medici
del 17 ottobre 2001 (ODmed), del 17 ottobre 2001. Queste basi giuridiche riprendono i requisiti delle numerose direttive
europee riguardanti i dispositivi medici
(direttive 90/385/CEE, 93/42/CEE, 98/8/CE
e 2007/47/CE).
La legislazione sulla sicurezza dei prodotti
e sui dispositivi medici, infatti, è in gran
parte standardizzata in tutta Europa. La
Svizzera con gli Stati membri dell’UE, i
paesi EFTA e la Turchia ha sottoscritto un
trattato internazionale atto a riconoscere
reciprocamente il Sistema di accreditamento, rispettivamente gli Organismi di
accreditamento nazionali (cosiddetti Conformity Assessment Bodies). Questo sistema di riconoscimento reciproco garantisce
maggio 2016 La Rivista - 29
il rispetto degli obblighi del produttore legati all’immissione sul mercato di prodotti
sicuri e permette la vendita diretta al di
fuori delle frontiere nazionali e dunque un
accesso agevolato al mercato.
Gli accordi sul reciproco riconoscimento in
materia di valutazione della conformità, i
cosiddetti Mutual Recognition Agreement
(MRA), sono importanti per la politica
commerciale come strumento riconosciuto
dall’OMC per eliminare gli ostacoli tecnici
al commercio nel settore regolamentato a
livello statale. Nei settori di prodotti per
i quali la legislazione applicabile della
Svizzera e quella dell’UE sono considerate
equivalenti il MRA con l’Unione europea
(UE) permette agli uffici svizzeri di valutazione della conformità riconosciuti di
effettuare valutazioni della conformità per
il mercato interno dell’UE e dunque di permettere l’introduzione di questi prodotti
sul mercato europeo senza ulteriori esami.
Le app per la salute sono da
considerarsi dispositivi medici?
Si pone dapprima la questione se le applicazioni mediche (app mediche) sono
da considerarsi prodotti medici e quindi
sottostanti alle disposizioni speciali per la
commercializzazione e il monitoraggio dei
prodotti medici.
Secondo la legge sugli agenti terapeutici e l’Ordinanza relativa ai dispositivi
medici, sono dispositivi medici i prodotti
destinati o dichiarati come tali a un uso
medico, compresi i software impiegati
per scopi diagnostici o terapeutici. Dalla
definizione di “dispositivo medico” contenuta nella direttiva europea 93/42/CEE
30 - La Rivista maggio 2016
una “app medica” è tale se progettata e
realizzata con finalità di: diagnosi, cura,
attenuazione, trattamento o prevenzione
di una malattia oppure con funzioni che
incidono sulla struttura o su una funzione
del corpo dell’uomo. L’app per la salute è
dunque equiparabile a un dispositivo medico software regolamentato e in quanto
tale è sottoposta alla specifica regolamentazione.
Appartengono invece ad un’altra categoria
le app informative come le app per accedere a info mediche in ogni luogo e momento
(Medical reference app) database farmaci,
manuali, riviste, atlanti medici, schemi terapeutici oncologici) o le applicazioni per
la formazione continua atte alla condivisione di case studies, e-learning, simulazioni chirurgiche, che riprendono dunque
unicamente un sapere medico, senza che
tali conoscenze possano essere utilizzate per la diagnosi o la terapia su pazienti
specifici. Esse non rappresentano - di principio - un prodotto medico ai sensi delle
normative appena menzionate. Una chiara
distinzione delle tipologie di app per la salute, app per cura e app meramente informative può comunque essere difficile e va
esaminata e ponderata accuratamente.
Sia per il diritto svizzero che per quello
europeo un dispositivo medico che può
servire all’individuazione, al trattamento
e al monitoraggio di malattie, infortuni
o problemi di salute simili, sottostà dunque alla normativa dei dispositivi medici.
Rilevante non è unicamente la dichiarazione delle funzioni dell’applicazione da
parte del produttore. Determinante per la
qualifica di app medica è piuttosto la sua
applicazione e presentazione e la tipologia
specifica. Un’avvertenza come ad esempio
“Questo prodotto non è un dispositivo medico ai sensi della Legge sugli agenti terapeutici” non impedisce la qualificazione di
prodotto medico, a meno che, la sua destinazione concreta non sia effettivamente di
tipo medico.
Effetti della qualificazione di
dispositivo medico
Un dispositivo medico non deve, se usato
secondo le indicazioni, mettere in pericolo
la salute degli utilizzatori, dei consumatori, dei pazienti o di terzi. Le prestazioni o l’efficacia dichiarate devono poter
essere provate. Mentre i medicamenti
necessitano un’omologazione dall’ente
nazionale preposto prima di essere messi
in commercio e sottostanno ad un sistema di controllo, l’immissione sul mercato
di un dispositivo medico presuppone una
cosiddetta procedura di valutazione della
conformità. Chi immette in commercio un
dispositivo medico deve, infatti, presentare alle autorità competenti per il controllo
nel quadro della sorveglianza sul mercato,
su richiesta, la dichiarazione di conformità
e i relativi certificati e deve quindi poter
dimostrare che i dispositivi sono conformi
ai requisiti fondamentali e che soddisfano
l’efficacia o la prestazione pubblicizzata.
Chi immette in commercio dispositivi medici è inoltre tenuto a introdurre e gestire
un sistema di monitoraggio dei prodotti
che consenta di raccogliere e valutare le
esperienze fatte con essi, nonché, di fare
in modo che le conoscenze da esso risultanti vengano prese in considerazione al
momento della loro fabbricazione o del
loro sviluppo ulteriore.
Procedura di valutazione della
conformità per dispositivi medici
Prima di procedere alla procedura di valutazione della conformità è necessario
determinare la classe di rischio del dispositivo medico. La procedura, infatti, varia a
dipendenza della classificazione dei rischi
del dispositivo in questione. Essa o è effettuata dal fabbricante e primo distributore,
che immette il dispositivo medico in commercio, o da un organismo di valutazione
della conformità. Le quattro categorie di
rischi previste dalla legge si basano sui potenziali rischi che possono derivare dall’uso previsto. I dispositivi medici possono essere immessi sul mercato unicamente se la
procedura di valutazione della conformità
è stata eseguita con successo.
I dispositivi medici immessi in commercio
devono inoltre recare un contrassegno di
conformità (CE oppure MD, quest’ultimo
con validità solo all’interno della Svizzera).
Obblighi di monitoraggio e
notifica per dispositivi medici
Gli obblighi legati alla messa in commercio
di un prodotto medico non sono da sottovalutare, essi non si limitano alla fase della
produzione. Chi immette in commercio un
dispositivo medico ha, infatti, l’obbligo di
monitorarlo. In particolare la persona responsabile della prima immissione in commercio di un prodotto in Svizzera o in uno
Stato contraente deve adottare misure
idonee che permettano di individuare i pericoli che possono derivare dall’utilizzazione del prodotto, di prevenire eventuali pericoli e di poter altresì tracciare quest’ultimo. E ciò per la durata di utilizzazione
indicata. A tal fine il fabbricante deve
gestire un sistema di osservazione dei prodotti (contestazioni; esperienze rilevanti in
merito all’applicazione e all’efficacia; articoli nella stampa specializzata; propri risultati d’esame; misure correttive). La legge prescrive un esame delle contestazioni
concernenti la sicurezza del prodotto e, se
necessario, l’esecuzione di campionature e
misure correttive adeguate.
Ogni persona che immette successivamente in commercio il prodotto deve contribuire al rispetto dei requisiti di sicurezza
e collaborare alla sorveglianza sulla sicurezza dei prodotti immessi in commercio.
A tal fine raccoglie le contestazioni e le
esperienze rilevanti in merito all’applicazione e all’efficacia e le fornisce per il sistema di osservazione dei prodotti.
La persona responsabile della prima immissione in commercio del dispositivo medico
deve inoltre notificare all’ente preposto
eventi gravi, adottare le misure necessarie a ridurre il rischio, quali il richiamo del
prodotto, e presentare un rapporto delle
tendenze qualora nell’ambito delle osser-
vazioni del dispositivo viene constatato un
aumento del tasso di eventi.
La legge sui prodotti di sicurezza
Gli standard di sicurezza nel settore dei dispositivi medici corrisponde agli obiettivi e
ai principi della Legge sulla sicurezza dei
prodotti (LSPro) del 1° luglio 2010.
La legge sulla sicurezza dei prodotti trova
applicazione in caso di immissione in commercio di prodotti a scopo commerciale o
professionale ed è applicabile a titolo sussidiario qualora in un settore specifico come ad esempio quello della sanità - non
esistano altre disposizioni di legge aventi
lo stesso obiettivo.
Anche ai sensi della legge sulla sicurezza dei
prodotti i software cadono nella definizione
di “prodotto”. Essa trova dunque applicazione anche per l’immissione sul mercato
di app. Una app che non cade nella definizione di dispositivo medico sottostà dunque
alla normativa della sicurezza dei prodotti.
La legge sulla sicurezza dei prodotti non
conferisce oneri unicamente al produttore
e all’importatore. Anche il distributore è
chiamato a contribuire al rispetto dei requisiti di sicurezza e a collaborare alla sorveglianza sulla sicurezza dei prodotti immessi
in commercio. La legge gli attribuisce esplicitamente il compito di adottare misure che
rendano possibili un’efficace collaborazione
con il produttore o l’importatore e con gli
organi di esecuzione competenti. Il produttore e a titolo sussidiario l’importatore, il
distributore o il prestatore di servizio sono
dunque tenuti a rispettare gli obblighi legati
all’immissione in commercio.
Anche la legge sulla sicurezza dei prodotti
richiede una dichiarazione di conformità in base alla quale il prodotto soddisfa
i requisiti di sicurezza e sanitari di base.
Obblighi di informazione per
dispositivi medici
Chi immette in commercio un dispositivo
medico ha il dovere di fornire informazioni
sul prodotto. Ogni dispositivo deve essere
corredato dalle necessarie informazioni per
consentire di identificare il fabbricante e per
garantirne un’utilizzazione sicura, tenendo
conto della formazione e delle conoscenze del potenziale utente. Se la destinazione
prevista di un determinato dispositivo non è
immediatamente chiara per l’utente, il fabbricante deve indicarlo chiaramente sull’etichetta e nelle istruzioni per l’uso. Per i prodotti in commercio in Svizzera è inoltre richiesto, che l’informazione sui dispositivi sia
redatta nelle tre lingue ufficiali. La formulazione linguistica può essere sostituita da
simboli concretizzati da norme armonizzate.
maggio 2016 La Rivista - 31
Il produttore o un altro responsabile che
immette un prodotto in commercio deve,
nell’ambito della sua attività, adottare misure idonee, per individuare i pericoli che
possono derivare dall’utilizzazione normale o ragionevolmente prevedibile del prodotto, ciò per la durata indicata o prevedibile di utilizzazione del prodotto. Inoltre
essi devono garantire la rintracciabilità del
prodotto e poter prevenire eventuali pericoli. La legge elenca in particolare le misure adottate per prevenire il pericolo, quali
la disposizione di avvertenze sui pericoli, il
blocco delle vendite, il ritiro dal mercato o
il richiamo del prodotto.
Anche la legge sulla sicurezza dei prodotti
prevede un obbligo di informazione dell’utente molto esteso. Un concreto potenziale
pericolo di un prodotto deve essere adeguatamente segnalato mediante la presentazione, le istruzioni per l’istallazione
e la manutenzione come pure mediante
avvertenze e consigli di prudenza, le istruzioni per l’uso e tutte le altre indicazioni o
informazioni relative al prodotto.
La responsabilità per applicazioni
difettose
La responsabilità in caso di immissioni sul
mercato di prodotti difettosi è regolata in
Svizzera dalla legge federale sulla responsabilità del produttore, che corrisponde
alle disposizioni previste nella direttiva eu-
ropea 85/374/CEE riguardante la responsabilità per danno da prodotti difettosi. La
legge prevede una responsabilità oggettiva del produttore rispettivamente di colui
che immette il prodotto in commercio. Un
prodotto è difettoso quando non offre la
sicurezza legittimamente attesa tenendo
in considerazione tutte le condizioni del
caso. Essa è applicabile nella stessa misura indipendentemente se l’applicazione
difettosa in questione sia da considerarsi
un’app medica o invece un app generica.
Qualora esista un rapporto contrattuale
tra l’utente e il produttore/importatore o
distributore dell’applicazione difettosa è
possibile inoltre intravedere una responsabilità contrattuale.
Inasprimento della giurisprudenza
a livello europeo
Una decisione recente della Corte di giustizia dell’Unione europea ha ritenuto che
per principio i produttori di apparecchiature
mediche sono da considerarsi responsabili
già nel sospetto di un potenziale difetto.
Secondo la sentenza del 5 marzo 2015 (AZ.
C-503/13 e C-504/13), infatti, qualora un
dispositivo medico presenti un potenziale
difetto, tutti i prodotti dello stesso modello
possono essere qualificati come difettosi.
Nel caso concreto si trattava di pacemaker
e defibrillatori automatici impiantabili. Il
fabbricante di un siffatto dispositivo difet-
toso è tenuto a rimborsare i costi connessi
alla sua sostituzione, in quanto tale sostituzione è necessaria per ripristinare il livello
di sicurezza che ci si può legittimamente
attendere. Con questa sentenza, la Corte
di giustizia ha abbassato notevolmente il
livello dei requisiti per la responsabilità del
prodotto per i dispositivi medici considerati
i notevoli rischi per la sicurezza di tali prodotti per il paziente. E’ dunque un segnale
ammonitore che mira alla prevenzione. Tenuto conto delle enormi conseguenze economiche di una tale responsabilità, il fabbricante di dispositivi medici dovrà prestare
attenzione alla qualità impeccabile dei suoi
prodotti e all’osservanza degli obblighi previsti dalla legge.
A livello legislativo è in preparazione un
inasprimento dell’attuale normativa. L’Unione europea sta elaborando una bozza
del regolamento sui dispositivi medici, che
ha lo scopo di sostituire le direttive esistenti e inasprire l’attuale legge. Questo
sviluppo influenzerà anche la legge svizzera, che già attualmente si appoggia alle
normative dell’Unione europea.
Conclusione
Un’applicazione (app) nell’ambito della sanità può essere qualificata come dispositivo medico ai sensi della legge e sottostare
alle normative corrispondenti. In assenza
di tale qualifica trova applicazione la legge
sulla sicurezza dei prodotti. Chi produce o
immette sul mercato un’applicazione deve
essere consapevole dei doveri previsti dalla
legge sia questa settoriale, nell’ambito della
sanità, sia quella generale riguardante l’immissione sul mercato di un prodotto. Gli obblighi legati alla gestione dei rischi del prodotto non sono limitati alla fase produttiva
ma si protraggono per la durata prevedibile
di utilizzazione di un prodotto. La responsabilità in caso di difetti dei prodotti è una responsabilità oggettiva del produttore come
pure del fornitore per danni causati in seguito a un difetto del suo prodotto. Si nota
una chiara tendenza, nella giurisprudenza e
in ambito legislativo, all’inasprimento della
responsabilità di colui, che immette un prodotto sul mercato. Importante è comunque
l’identificazione dei rischi e degli obblighi
che la legge attribuisce ai responsabili dei
diversi anelli della catena di produzione rispettivamente d’immissione in commercio
di prodotti. Inevitabile è inoltre un’accorta
gestione dei rischi e una copertura assicurativa idonea, sia per quel che concerne la
somma assicurativa che la validità territoriale, che prenda dunque in considerazione i
rischi specifici dei prodotti immessi in commercio.
*LL.M., Avvocato specialista FSA responsabilità civile e diritto assicurativo, Zurigo
32 - La Rivista maggio 2016
Normative
allo specchio
di Carlotta D’Ambrosio
con la collaborazione
di Paola Fuso
Le dimissioni in Italia e Svizzera:
procedura informatica vs comunicazione
orale o scritta tra le parti
La fine del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ha cambiato rito: dalla carta stampata all’uso
di internet. La modifica è stata introdotta dal decreto attuativo del job act (L. 183 del 2014) che infatti contiene
cinque deleghe riguardanti: gli ammortizzatori sociali; i servizi per il lavoro e politiche attive; rapporti di lavoro
e contratti; semplificazione delle procedure e degli adempimenti; le mamme lavoratrici. Rientra nella delega
dedicata alla semplificazione (art. 26 del D.lgs. 151 del 2015) il decreto ministeriale in ordine alle dimissioni
volontarie e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro che dovranno essere effettuate in modalità esclusivamente telematiche, tramite una procedura online accessibile dal sito Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali. Fino al marzo 2016 le dimissioni si rassegnavano secondo le disposizioni della legge Fornero (L. 92/12):
il lavoratore dimissionario doveva alternativamente: 1) procedere alla convalida presso le sedi competenti: la
Direzione Territoriale del Lavoro o il Centro per l’impiego o altre sedi individuate dai CCNL; 2) sottoscrivere
un’apposita dichiarazione in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto.
La nuova disciplina voluta dal Job Act prevede, invece, che le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di
lavoro siano fatte, a pena di inefficacia, esclusivamente con modalità telematiche su appositi moduli resi disponibili dal
Ministero del lavoro attraverso il sito www.lavoro.gov.it e trasmessi al datore di lavoro e alla Direzione territoriale del
lavoro competente con le modalità individuate da un decreto ministeriale. Il dipendente ha un “diritto di ripensamento”
perché, entro sette giorni dalla data di trasmissione del modulo, ha la facoltà di revocare le dimissioni e la risoluzione
consensuale con le medesime modalità. Decorso il termine di 7 giorni, in assenza di esercizio del diritto di ripensamento
le dimissioni diventano definitive.
Ma come funziona il diritto di recesso del lavoratore nel diritto svizzero?
A livello internazionale, il diritto del lavoro svizzero è sicuramente uno dei più liberali. Permette alle parti di porre fine al
rapporto di lavoro in qualsiasi momento, nel rispetto degli accordi presi e della legge. A seconda del tipo di rapporto, si
distinguono le modalità della sua estinzione. Per il rapporto di lavoro a tempo determinato il rapporto cessa, senza alcuna comunicazione fra le parti, alla data pattuita o al momento da loro definito in modo inequivocabile. Se il rapporto
continua tacitamente dopo la scadenza del termine pattuito, da quel momento è considerato a tempo indeterminato. Se
il contratto di lavoro è stipulato per più di dieci anni, dopo dieci anni ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto
per la fine di un mese, con preavviso di sei mesi. Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione del rapporto. L’infrazione commessa
dal lavoratore o dal datore di lavoro deve essere tale da ledere in modo grave la fiducia di controparte, determinando
il licenziamento o le dimissioni per “giusta causa”. Nel contratto di lavoro a tempo indeterminato sia il datore di lavoro
sia il lavoratore possono recedere dal contratto tramite il licenziamento o le dimissioni, che producono effetto soltanto
se e dopo che controparte le ha ricevute. Il licenziamento e le dimissioni si possono dare oralmente. Nel caso in cui il
contratto stipulato tra le parti preveda esplicitamente una forma ai fini della validità del recesso (lettera oppure lettera
raccomandata), tale formalità è da rispettare comunque, altrimenti il recesso è nullo.
Dunque la forma del recesso è orale tranne quando la legge o il contratto abbiano previsto diversamente e non si fa differenza tra dimissioni e licenziamento. È evidente la semplicità e la semplificazione presente nel diritto elvetico in ordine
alla fine del rapporto di lavoro che sia consensuale o meno. La super tutela approntata in Italia e solo per i lavoratori si
giustifica come strumento per contrastare l’odiosa pratica delle dimissioni “in bianco”.
Ma è risolutiva? Al momento è difficile giudicare, di certo non tutti hanno dimestichezza con la tecnologia (la procedura
per accedere al sito clicklavoro.gov.it è molto complessa), senza contare la difficile posizione del datore esposto per un
verso al diritto di ripensamento del lavoratore, dall’altro soggetto a possibili truffe. Il lavoratore, infatti, invece di dimettersi inviando il modulo potrebbe rendersi irreperibile obbligando l’azienda al licenziamento disciplinare con quello che
ne deriva, comprese le indennità di disoccupazione.
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maggio 2016 La Rivista - 33
La nuova normativa penale tributaria
Il Centro di Diritto Penale Tributario di Torino (diretto dal Prof. Ivo
Caraccioli già ordinario di diritto penale alla Università di Torino) ha
concluso la pubblicazione di un testo, redatto da numerosi autori, in
merito alla riforma dei reati tributari. Il testo dal titolo “I nuovi reati
tributari” (edizione 2016) ed è uscito per le edizioni Giuffrè.
(PaCom) Il testo che qui, brevemente, si commenta nasce dalle
modifiche legislative che sono
state apportate alla normativa
penale tributaria quale vigente
in Italia e questo è avvenuto
mediante il Decreto Legislativo
158/2015.
Il nuovo diritto penale tributario
italiano si caratterizza per alcuni
elementi che possiamo riassumere in breve nei seguenti:
1.
Esistenza di una fattispecie di frode fiscale che possiamo dire conclamata (ovvero
nascente sostanzialmente da
fatture false1); in buona sostanza siamo in presenza delle
operazioni inesistenti (o meglio
delle operazioni per le quali esiste solo il documento contabile).
2.
Esistenza di una fattispecie di frode fiscale mediante
altri artifici che non sono le fatture false ma le operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente
o l’utilizzo di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento; questa è
una frode fiscale insidiosa in quanto siamo fuori dalla fattispecie delle fatture per prestazioni inesistenti
ma siamo in un mondo molto vario che sul piano
letterale potrebbe comprendere numerose situazioni
(anche confinanti con l’abuso del diritto)2.
3. Esistenza di una fattispecie di dichiarazione infedele3 che resta nel vago pur con qualche aggiustamento determinato da una ricerca di ragioni di certezza
del diritto.
Il reato di frode fiscale trova sempre nella dichiarazione dei redditi il suo momento di consumazione ovvero
è in quella sede che il contribuente deve riportare i dati
non corretti e quindi ridurre l’imponibile o (e questa
è una novità) la imposta dovuta (quello che avviene
prima della dichiarazione diciamo che poco rileva ai
fini penali).
Accanto a queste fattispecie si pone il problema della
omessa dichiarazione (fattispecie che oggi è molto di
moda considerando i casi della stabile organizzazione
occulta dei quali si discute sui giornali e / o della cd estero vestizione) che è lo strumento principe per cercare di
“stanare” qualche contribuente che sostiene di operare in
modo estraneo all’ordinamento italiano4.
Sul piano procedurale (e anche sanzionatorio) molto
importante è l’articolo 12 bis della nuova normativa che dispone la confisca del prezzo del reato sia in
forma diretta (“ … è sempre ordinata la confisca dei
beni che ne costituiscono il prezzo o il profitto …”) sia
nella forma per equivalente (“ … la confisca di beni
per un valore corrispondente …”) e questo elemento è
importante in quanto di fronte ad una verifica fiscale
che porti alla denuncia di un fatto sanzionabile con la
normativa penale è lecito procedere al sequestro e poi,
in caso di condanna e / o patteggiamento, alla confisca
(che consiste nella apprensione definitiva del profitto o
di beni di valore equivalente) del quantum il reo abbia
potuto prendere.
Il testo del Centro di Diritto Penale Tributario prende in
esame le modifiche normative ed unitamente agli altri
testi usciti su questa materia nell’ultimo periodo viene
a comporre una adeguata biblioteca per l’operatore del
diritto (avvocati e dottori commercialisti in primo luogo)
chiamato a confrontarsi ogni giorno con situazioni sempre più complesse e certamente foriere di rischi che non
possono essere ignorati.
QUESTA E’ LA FRODE CLASSICA OVVERO QUELLA IN CUI NEL BILANCIO PRIMA E NELLA DICHIARAZIONE POI VENGONO INSERITI COSTI CHE
NON ESISTONO IN QUANTO NON ESISTE LA PRESTAZIONE SOTTOSTANTE CHE VIENE PORTATA NEI DOCUMENTI CONTABILI A SUPPORTO.
LA NORMA DEVE TROVARE ANCORA UN COMPIUTO SVILUPPO MA QUALCHE CONSIDERAZIONE RELATIVAMENTE AI CD DOCUMENTI DETENUTI
A FINI DI PROVA COMINCIA A VEDERSI.
3
QUESTA NORMA E’ STATA DEPOTENZIATA MA RESTA COMUNQUE UNA NORMA CHE POTREBBE CONSENTIRE QUELLE INFORMATIVE DI REATO
CHE TANTO HANNO PREOCCUPATO I MANAGER DI SOCIETA’ MULTINAZIONALI.
4
SI TRATTA DELLA UNICA NORMA CHE CONSENTE DI FORNIRE ASSISTENZA PENALE DI FRONTE AL TEMA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
OCCULTA E POSSIAMO DIRE CHE IL LEGISLATORE HA MANCATO UNA OCCASIONE PER FORNIRE ASSISTENZA PENALE A QUALCHE FATTISPECIE
CHE TROVA NEL BEPS IL SUO SVILUPPO.
1
2
34 - La Rivista maggio 2016
Angolo
Fiscale
di Tiziana Marenco
La società di capitali svizzera
e lo scambio di informazioni (1 parte)
a
Non abbiamo mai dubitato del fatto che la Svizzera, una volta umilmente accettato l’incarico di scambiare informazioni, avrebbe preso il compito alla lettera. Il Tribunale Federale Svizzero, stando ai considerandi della recente sentenza del 1° marzo 2016 (2C_594/2015), sembra tuttavia essersi totalmente
immedesimato nella funzione di messaggero.
In questo caso, che riguarda una delle numerosissime domande di assistenza amministrativa in materia
fiscale rivolte al nostro paese dalla Francia, il fisco francese aveva chiesto informazioni su una società
a responsabilità limitata (Sarl, equivalente alla Sagl italiana), l’unico socio della quale sarebbe un residente francese (“contribuente francese”) che avrebbe in precedenza trasferito alla società svizzera dei
marchi al fine di non più incassare direttamente (in Francia) i canoni dalla società che li utilizzava,
tesaurizzandoli invece nella società svizzera.
Il fisco francese chiedeva quindi informazioni riguardanti l’assoggettamento della società, il tasso di imposta applicato ai
redditi nel 2010 e l’ammontare di imposte effettivamente pagato, l’attività esercitata dalla società, le risorse impiegate
sul luogo (uffici e personale), il numero di impiegati e di attivi ed infine le somme in termini di remunerazione, dividendi
e altri versamenti effettuati a favore del contribuente francese.
L’Amministrazione Federale delle Contribuzioni (ATF) aveva deciso che la domanda poteva soddisfare le condizioni degli
accordi e le informazioni dovevano quindi essere trasmesse. La società svizzera si era opposta e aveva chiesto che
unicamente le informazioni riguardanti l’assoggettamento in Svizzera e il fatto che il contribuente francese non aveva
ricevuto alcuna prestazione nel 2010 dovevano e potevano essere trasmesse alla Francia insieme con l’estratto dal registro di commercio, mentre per le altre informazioni non erano date le condizioni dello scambio.
Il Tribunale Federale Amministrativo, chiamato a dirimere la vertenza, aveva dapprima considerato che il tasso d’imposta
e la somma di imposte pagate dalla società svizzera non erano informazioni pertinenti alla domanda del fisco francese
e che quindi queste informazioni erano escluse dallo scambio. Per quanto riguardava le altre, il TFA aveva esaminato se i
limiti del diritto interno svizzero, applicabili in caso di scambio di informazioni, imponevano ulteriori correzioni. Ritenendo la società svizzera “terza persona” non direttamente toccata dalla domanda di informazioni, la stessa poteva essere
obbligata solo al rilascio di informazioni riguardanti prestazioni effettuate al contribuente francese.
L’AFC non si è data per vinta e ha impugnato la decisione davanti al TF. Il TF ha impostato la sentenza riassumendo
dapprima i nuovi standard della Convenzione Modello OCSE (art. 26, corrispondente all’art. 28 della Convenzione franco-svizzera in materia di doppia imposizione) che permettono agli stati di richiedere e scambiare le informazioni verosimilmente pertinenti al fine di applicare le disposizioni della Convenzione o la legislazione tributaria interna dello stato
che ne fa richiesta, fermo restando che la Convenzione non può essere interpretata in tal modo da costringere uno
stato a fornire informazioni che non potrebbero essere richieste sulla base della legislazione interna o nel quadro
della pratica amministrativa corrente dello stato richiesto e di quello richiedente. Tale riserva secondo il commentario
ufficiale della Convenzione Modello OCSE è da intendere nel senso che, al di fuori dei procedimenti penali, possono essere richieste e ottenute solo le informazioni che potrebbero fare oggetto di richiesta in procedura di tassazione ordinaria.
Per quanto riguarda quest’ultima fa stato la Legge Federale sull’Imposta Federale Diretta del 14 dicembre 1990 (LIFD),
ed in particolare le disposizioni degli artt. 124-127. Mentre secondo l’art. 127 una terza persona ha un obbligo di cooperazione limitato a certificare le prestazioni effettuate a favore del contribuente che fa oggetto di un procedimento,
gli artt. 124-126 LIFD prevedono per il contribuente stesso obblighi assai più estesi di collaborazione con le autorità.
Gli art. 124-126 LIFD fanno parte della sezione 2 del capitolo sugli obblighi procedurali e sono esplicitamente titolati
“OBBLIGHI DEL CONTRIBUENTE”.
(continua)
[email protected]
maggio 2016 La Rivista - 35
Einladung zum Seminar
Auswirkung der Steuerreformen in Italien und der Schweiz auf
die unternehmerischen Tätigkeiten und die Verhandlungen
(Roadmap) zwischen den beiden Ländern
Die Italienische Handelskammer für die Schweiz freut sich, in Zusammenarbeit mit dem Europa Institut an der Universität Zürich zur Tagung über die
Auswirkung der Steuerreformen in Italien und der Schweiz auf die unternehmerischen Tätigkeiten und die Verhandlungen (Roadmap) zwischen den beiden
Ländern einzuladen.
Es ist eine besondere Ehre und Freude für die Italienische Handelskammer für die Schweiz, dass sie für diese Tagung die beiden Exponenten in den steuerlichen Verhandlungen zwischen Italien und der Schweiz, Dr. Vieri Ceriani, Rom, und Botschafter Christoph Schelling, Bern, gewinnen konnte.
Mit den Gesetzesdekreten in der zweiten Jahreshälfte 2015 – ergänzt durch das Haushaltsgesetz für 2016 – hat die italienische Regierung u.a. das Steuerrecht in Bezug auf die internationalen Aspekte – Investitionen von Ausländern in Italien und Investitionen von italienischen Unternehmen im Ausland
– grundlegend reformiert, im Sinne einer größeren Rechtssicherheit und gewissen Anreizen für ausländische Investitionen in Italien und der Verbesserung
der Wettbewerbsfähigkeit der italienischen Unternehmen bei ihren Tätigkeiten im Ausland (z.B. Einführung der branch exemption).
Die früher geltenden blacklists für Unternehmen wurden von Italien abgeschafft und der Begriff der Niedrigbesteuerung im Ausland wurde neu definiert.
Das ist auch für die Schweiz von großer Bedeutung.
Gegenstand der Tagung sind die internationalen Aspekte der italienischen Steuerreform und der Schweizer Unternehmenssteuerreform III sowie deren
konkreten Auswirkungen auf die wirtschaftlichen Beziehungen zwischen Italien und der Schweiz, wobei auf die spezifischen Regelungen bei grenzüberschreiten Investitionen eingegangen wird.
Mittwoch, 1. Juni 2016
09.00 Uhr – 17.00 Uhr
Hotel Marriott, Neumühlenquai 42, Zürich
Programm
09.00 - 10.00 Uhr
Italien: Neuerungen bei der Gewinnermittlung für Unternehmen (patent box, Sonderabschreibungen 140%;
Forderungsverluste; Schuldzinsen, Abzugsfähigkeit
Lohnkosten für IRAP-Zwecke u.a.)
Italien: Andere Neuerungen
• Steuerstrafrecht und Verwaltungsstrafen
• Neuer Begriff des Rechtsmissbrauchs bei steuerlichen Gestaltungen
• Neue Veranlagungsfristen
Referenten: Dr. Luca Occhetta
Dr. Manfred Psaier
10.00 – 10.20 Uhr Kaffeepause
10.20 – 11.15 Uhr
Italien: Neuerungen im internationalen Bereich und
ihre Auswirkungen auf die Schweiz
• Neues Ruling-Verfahren für internationale
Sachverhalte
• Abschaffung der blacklists
• Neue Definition der Niedrigsteuerländer
• Neue CFC-Regelung
• Erweiterung der Gruppenbesteuerung
• Neue Ermittlung des steuerpflichtigen Gewinns
bei einer Betriebstätte (AOA)
• Dividenden aus Niedrigsteuerländern
• Wegzugsbesteuerung und steuerliche Wertansätze bei Zuzug von ausländischen Unternehmen
• Steuerbefreiung für Gewinne/Verluste einer
ausländischen Betriebstätte
Referenten: Dr. Siegfried Mayr
Dr. Vito Alexander Paciello
Dr. Manfred Psaier
11.15 – 12.15 Uhr
Schweiz: Die Unternehmenssteuerreform III
Referent: Prof. René Matteotti
12.15 – 13.30 Uhr Lunch
13.30 – 14.00 Uhr
Schweiz: Steuerrulings, neue Entwicklungen
Referent: Dr. Luzius Cavelti
14:00 – 14:30 Uhr
Schweiz: Die derzeitigen steuerlichen Regelungen
in der Schweiz, die für die italienischen Neuerungen
von Relevanz sind.
Referent: Richard J. Wuermli
14.30 – 15.00 Uhr Kaffeepause
15.00 – 16.00 Uhr
Das Abkommen vom 23. Februar 2015 über den
Informationsaustausch zwischen Italien und der
Schweiz und state of the art der Roadmap
Referenten: Dr. Vieri Ceriani
Botschafter Christoph Schelling
16.00 – 17.00 Uhr
Round table und Beantwortung von Fragen aus dem Publikum
Dr. Vieri Ceriani, Botschafter Christoph Schelling, Prof.
Dr. René Matteotti, Dr. Siegfried Mayr
Leitung der Tagung: Prof. Dr. René Matteotti, Dr. Siegfried Mayr
Unterlagen: Die Unterlagen zum Seminar werden den Teilnehmern vor Ort abgegeben.
Sprache Deutsch (Dr. Vieri Ceriani: Englisch)
Tagungsgebühr
Für Mitglieder der Italienischen Handelskammer für die Schweiz
CHF
430.Für NichtmigliederCHF
570.Anmeldung bis am 25. Mai 2016 an:
Italienische Handelskammer für die Schweiz, Seestrasse 123, 8027 Zürich
oder E-Mail an: [email protected]
Die Tagungsgebühr ist gleichzeitig auf unser Bankkonto zu überweisen,
(IBAN:CH92 0483 5024 5590 0100 2 /SWIFT: CRES CH ZZ 80A / CAB: 4835)
Rechnungen werden nur auf ausdrücklichen Wunsch ausgestellt.
Abmeldung
36
- La25.Rivista
maggio
2016 Rückerstattung der Tagungsgebühr
Vor dem
Mai 2016:
Komplete
Nach dem 25. Mai 2016: Keine Rückerstattung
Referenten
Von Schweizer Seite:
• Botschafter Christoph Schelling, Leiter Abteilung Steuern, Staatssekretariat für internationale
Finanzfragen (SIF), Bern
• Dr. Luzius Cavelti,LL.M., Rechtsanwalt, eidg. dipl.
Steuerexperte, Partner Altenburger Ltd legal +
tax, Zürich
• Prof. Dr. iur. René Matteotti, LL.M.,
ordentlicher Professor für Schweizerisches, europäisches und internationales
Steuerrecht an der Universität Zürich
und Rechtsanwalt, Baker & McKenzie,
Zürich
• Richard J. Wuermli, Managing Partner, dipl.
Steuerexperte (CFP), TAX EXPERT International
AG, Zürich
Von italienischer Seite:
• Dr. Vieri Ceriani,Berater des Finanzministers
für die Steuerpolitik, Ministero Economia e
Finanze, Rom
• Dr. Siegfried Mayr, Steuerberater, Senior Partner der Kanzlei Mayr Fort Frei,
Mailand, und Dozent für internationales
Steuerrecht
• Dr. Luca Occhetta, Steuerberater, Partner
der Kanzlei Pirola Pennuto Zei& Associati,
Mailand
• Dr. Vito Alexander Paciello, Steuerberater,
Kanzlei Mayr Fort Frei, Mailand
• Dr. Manfred Psaier, Steuerberater, Partner der
Kanzlei Psaier & Geier, Brixen (Prov. Bozen/
Bolzano)
Angolo legale
Svizzera
di Massimo Calderan
La procedura civile e il
sistema giudiziario svizzero
2a parte
Come descritto nel numero precedente de La Rivista, nel 2011 è entrato in vigore il Codice di diritto processuale civile
svizzero (CPC), che ha unificato il diritto processuale civile a livello federale, mentre i Cantoni continuano a regolare in gran
parte l’organizzazione giudiziaria e la competenza per materia dei tribunali e delle autorità di conciliazione.
Il CPC da particolare peso alla composizione stragiudiziale delle controversie. Prima di adire il giudice competente, deve
aver avuto luogo un tentativo di conciliazione. Di conseguenza, tutti i Cantoni hanno dovuto istituire un’autorità di conciliazione, come il giudice di pace già esistente in alcuni di loro.
Le parti possono chiedere di avvalersi della mediazione al posto della conciliazione, ma anche duran-te un processo in
corso, sia in primo sia in secondo grado. La mediazione è caratterizzata dall’intervento di un terzo neutrale e indipendente,
che non ha potere decisionale e che non può es-sere istruito né dal giudice né dall’autorità di conciliazione. La mediazione
ha una sua struttura for-male, che dovrebbe aiutare le parti a trovare un compromesso; le loro dichiarazioni non possono
es-sere considerate nel procedimento giudiziale senza il loro consenso.
Il CPC obbliga i Cantoni ad almeno due gradi con pieni poteri cognitivi. Quale primo grado solitamen-te è previsto un
tribunale di un Distretto del Cantone (Bezirksgericht o Amtsgericht / Tribunal de di-strict o Tribunal de première instance /
Preture), mentre il secondo grado è costituito dal Tribunale Cantonale o Superiore (Kantonsgericht o Obergericht / Tribunal
cantonal o Cour de Justice / Tribuna-le d’appello). È venuta meno la base legale per il terzo grado cantonale (ad esempio il
Kassationsgeri-cht nel Canton Zurigo), abrogato con il CPC.
Vari Cantoni prevedono, inoltre, tribunali specializzati in materia del lavoro (Arbeitsgericht / Conseils des prud’hommes) o
della locazione (Mietgericht), composti da giuristi e da professionisti che rap-presentano le categorie interessate.
Negli ambiti definiti dal CPC (quali le controversie in materia intellettuale o cartellistica) i Cantoni de-finiscono un unico
grado competente in giudizio.
Quattro Cantoni, ossia Argovia, Berna, San Gallo e Zurigo, hanno un tribunale commerciale quale uni-co grado decisionale
a livello cantonale per controversie tra due parti iscritte al registro di commercio in Svizzera o all’estero (qualora tale condizione sia adempiuta solo dal convenuto, l’attore può sce-gliere se rivolgersi al tribunale commerciale o al giudice ordinario),
derivanti dall’attività commerciale di una delle parti. Tali tribunali sono composti da giuristi e professionisti specializzati in
materia, ga-rantendo così la necessaria competenza in sede di trattazione della causa. Il 70 % delle cause viene risolto in
via transattiva. Pertanto, la durata media delle procedure è breve (meno di un anno), con un dispendio di tempo, energia
e denaro delle parti relativamente basso. Le decisioni sono impugna-bili con ricorso in materia civile al Tribunale federale.
L’ultimo grado è il Tribunale federale, al quale si può ricorrere contro le decisioni degli ultimi gradi cantonali, se nelle cause
di carattere pecuniario il valore ammonta almeno a CHF 15.000 in contro-versie in materia del diritto del lavoro e di locazione, e a CHF 30.000 nelle altre materie. La Legge fe-derale sul Tribunale federale svizzero e la Legge federale di procedura
civile federale disciplinano la procedura davanti al Tribunale federale.
Un ricorso contro le decisioni del Tribunale federale può essere inoltrato alla Corte Europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo, ove ne ricorrano i presupposti di legge.
Qualora entrambe le parti siano svizzere e abbiano deciso di devolvere la competenza su controver-sie future o già esistenti
in materia civile a un tribunale arbitrale, si applicano le regole dell’ultimo ca-pitolo del CPC, dedicato all’arbitrato “interno”.
Queste norme regolano la costituzione del tribunale arbitrale, la sede in un luogo svizzero, la designazione, la ricusazione
e la destituzione degli arbitri, così come le garanzie minime del procedimento. Il tribunale arbitrale può ordinare provvedimenti cautelari. Il lodo è direttamente impugnabile dinanzi al Tribunale federale, ancorché le parti possano scegliere il
tribunale cantonale quale ultima istanza. Le norme sono simili a quelle più conosciute che si applicano all’arbitrato internazionale, dove almeno una delle parti non è svizzera e la sede non de-ve necessariamente trovarsi in Svizzera.
Nel caso le parti raggiungano un accordo nell’ambito della procedura di conciliazione, di una media-zione o del giudizio,
deve essere approvato dall’autorità di conciliazione o dal giudice adito affinché diventi un titolo esecutivo. L’istanza che
approva l’accordo ha soltanto il compito di verificare che es-so non sia manifestamente sproporzionato e che non violi il
diritto imperativo.
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maggio 2016 La Rivista - 37
Convenzioni
Internazionali
di Paolo Comuzzi
Note in merito alla
“Diverted Profit Tax”
È del tutto evidente che la impresa multinazionale realizza profitti in diversi paesi e cerca ovviamente di sfuggire
alla tassazione prevista nei paesi meno convenienti1. Si tratta di un fenomeno ben compreso dalle diverse Amministrazione Finanziarie che ovviamente cercano di combatterlo2. In questo senso anche la Amministrazione
Fiscale del Regno Unito si è messa di impegno e lo scopo di questo complesso di norme sulla Diverte Profit Tax
è quello indicato con chiarezza dalla stessa Amministrazione con le parole “… The main objective of the diverted
profits tax is to counteract contrived arrangements used by large groups (typically multinational enterprises)
that result in the erosion of the UK tax base…”. È del tutto evidente che la norma ha un intento certamente
punitivo nei confronti di coloro che pongono in essere accordi “…which lack economic substance involving
entities with an existing UK taxable presence. The primary function is to counteract arrangements that exploit
tax differentials and will apply where the detailed conditions, including those on an “effective tax mismatch
outcome” are met ...”. È importante evidenziare questo punto: nessuno punisce una riorganizzazione aziendale
dettata da esigenze di mercato ma nessuno tollera una riorganizzazione che abbia come scopo la riduzione delle
imposte3. In ogni caso è lecito dire che “… from a policy perspective, this legislation represents a move ahead of
the developing BEPS agenda. It will be interesting to see if other territories decide to adopt a similar approach
…”. In ogni caso “… HMRC has invited comments on this draft legislation and taxpayers should engage in the
consultation process …”.
Premessa
Possiamo dire che ormai la lotta tra le imprese multinazionali globalizzate e le diverse Amministrazioni Finanziarie è una lotta
senza quartiere4 e questo in tutti i paesi.
Si tratta di una lotta tesa ad impedire al contribuente lo sfruttamento di asimmetrie informative e di differenziali di imposta
senza che alla base di questo atteggiamento sussista una qualsiasi ragione di carattere economico.
In estrema sintesi “… The DPT is a new tax, charged at 25% on profits that are considered to be artificially diverted from the UK.
The legislation is very complex; there are two sets of conditions where DPT would be applicable, and often both will apply to the
same fact pattern …”.
In qualsiasi Stato (come del resto in UK) avviene quanto segue “… UK resident companies and non-resident companies carrying
on a trade in the UK through a permanent establishment, are chargeable to corporation tax on profits. The computation of those
profits is subject to: 1) the transfer pricing rules (at Part 4 Taxation (International and Other Provisions) Act2010 (TIOPA); 2) the
rules on profits attributable to a UK permanent establishment (PE) of a non-UKresident company (at Part 2, Chapter 4 Corporation Tax Act 2009 (CTA 2009)); and 3) the rules on whether a non-UK resident company has a PE in the UK (at Part 24, Chapter
2 Corporation Tax Act 2010 (CTA 2010)…”
Ebbene questo corpo di norme sembra non bastare più nell’attuale momento storico per raggiungere una piena tassazione
della ricchezza che si produce nello stesso.
Allo scopo di risolvere il problema si passa alla mossa ulteriore che consiste proprio in questa forma di imposizione “aggiuntiva”
che viene discussa nel presente contributo.
Commenti
Scopo della norma
Lo scopo della normativa DPT è evidente quando vengono usate le parole “…This measure will introduce a new tax on diverted
profits. The diverted profits tax will operate through two basic rules. The first rule counteracts arrangements by which foreign
companies exploit the permanent establishment rules. The second rule prevents companies from creating tax advantages by
using transactions or entities that lack economic substance …”.
38 - La Rivista maggio 2016
Le paure dei paesi
In sostanza la paura di ogni paese consiste nella presenza di una stabile organizzazione occulta (e ricordiamo per inciso che in
Italia avere una stabile organizzazione occulta genera anche un reato non in quanto tale ma in forma indiretta per la omissione della dichiarazione dei redditi) e / o nell’utilizzo di transazioni e / o società che non hanno alcuna sostanza economica
(o meglio che non hanno sostanza ma hanno un solo e chiaro scopo che consiste nella riduzione della materia imponibile).
Nel primo caso si ha che “… The first test is called “avoidance of a UK PE” and applies where a foreign company is making sales
of goods or services to UK customers, with a related party company present in the UK which is performing activities in relation
to these sales, for example marketing support services. For the DPT to apply there would need to be a main purpose to avoid tax,
or the “tax mismatch” conditions would need to be met. The tax mismatch conditions effectively mean: the profits in the foreign
company are taxed at a rate lower than 80% of the UK corporation tax rate; and the foreign company would not meet the economic substance test (more on this below) …”.
Nel secondo caso si ha che “… The second test is called the “insufficient economic substance test” and has an overriding test that
it is reasonable to assume the transaction(s) were designed to secure a tax reduction (where tax is defined to include non-UK tax
as well as UK tax). If this condition is met, the DPT is applied where: a UK company or PE makes payments to another company or
there is a reduction in UK income, and either: the tax reduction resulting from the transaction(s) outweighs any other financial
benefit from the transactions; or where the contribution of economic value to the transactions(s) by the other company is less
than the tax reduction. The contribution of economic value focusses only on functions/activities performed by the company (or
outsourced to third parties), and appears to ignore any contributions to the profit of the company generated through the capital/
assets owned or risks borne …”.
L’aspetto della procedura per la contestazione
Ovviamente siamo in presenza di una norma complessa e di fatto tendende a colpire la elusione e di conseguenza si ha che
“…The legislation will provide that where a designated HMRC officer determines that the diverted profits tax should apply a
preliminary notice would be issued explaining, among other things, the reasons the amount of the charge and the basis on which
it has been calculated (including the details of the amount of the taxable diverted profits). The recipient would have 30 days to
make representations and the designated HMRC officer may consider certain specified matters within a further 30 day period
before either issuing a charging notice on the original or a revised amount, or confirming that no charge arises …”.
In buona sostanza la normativa deve essere applicata mediante un contraddittorio preliminare e prima di emettere l’accertamento (charging notice) un contraddittorio ufficiale è necessario.
La richiesta di un procedimento nella forma del contraddittorio è essenziale in quanto “… these tests are very complex to apply
and elements are subjective. The insufficient economic substance test is of particular concern because it narrowly focusses on
activities and functions. This means in practice it could be very hard to assess the position and to be confident as to whether or
not the test is passed or failed …”.
In questo senso la norma, per quanto riguarda l’Italia dovrebbe includersi nell’ambito del più generale principio dell’abuso del
diritto ben noto al contribuente ed alla Amministrazione Finanziaria.
L’esigenza della cassa
Il pagamento della imposta DPT viene richiesto subito ed infatti si dice che “…The charging notice will require the payment of
the diverted profits tax within 30 days. Penalties will apply for late payment…”.
Si ha quindi una certa severità nella raccolta della “cassa” che appare mancante in ragione di un atteggiamento del contribuente che non si giudica completamente corretto.
L’esame della dottrina
Della normativa si è occupata autorevole dottrina (mi riferisco a Phillip Baker5) che ha concluso in modo secco su alcuni punti:
1. challenge to the DPT before the UK domestic courts based on compatibility with the UK’s double tax treaties would not
be successful;
2. a claim based upon compatibility with human rights law would be bound to fail.
3. Where this writer disagrees is with the conclusion that it is doubtful that the DPT would survive an EU law challenge.
Whilst entirely accepting that, at the current state of development of EU direct tax law, it is impossible to be categorical
as to the impact it may have, this writer believes that there are other aspects of EU law that need to be taken into consideration and, when these are considered, it is more likely that the DPT would survive a challenge based upon EU law, if
one were brought.
Conclusione
Siamo di fronte ad una normativa certamente complessa e che vive della tensione attuale in cui ogni Stato è alla ricerca di
risorse e vuole impedire che si operi nel proprio territorio senza alcun pagamento di imposte.
Gli sviluppi di questa normativa sono da valutare nel prossimo futuro con estrema attenzione e si deve anche tenere conto di
quella che sarà la applicazione pratica della stessa negli anni a venire.
In ogni caso l’illustre Autore conclude affermando che “…The DPT targets similar arrangements to those that are the targets of
the current BEPS Project. If it is the case that the DPT cannot be compatible with EU law, then it is hard to see how EU Member
States could combat BEPS effectively within the scope of EU law …” e siccome il BEPS non si tocca è lecito pensare che anche
queste norme troveranno un loro sviluppo nel prossimo future sempre con lo scopo preciso e puntuale di impedire la erosione
della materia imponibile ed il trasferimento della ricchezza in posti molto più convenienti di quelli in cui la stessa si produce.
Questo non per cattiveria ma per la semplice ragione che le imposte riducono il profitto che può essere trasferito agli azionisti.
Si pensi alla forte evoluzione che ha avuto la Amministrazione Fiscale negli ultimi (diciamo) 10 – 12 anni.
3
Se questo scopo debba essere mero o basti la prevalenza è una discussione che non ci interessa in questa sede.
4
Le norme che sono state emanate nei diversi Stati per impedire che si abbia erosione di base imponibile sono molteplici e sempre più evolute.
5
L’Autore ne ha parlato in British Tax Review.
1
2
maggio 2016 La Rivista - 39
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L’elefante
Invisibile1
di Vittoria Cesari Lusso
Integrazione:
tanti elefanti invisibili dietro una parola
Esitavo molto a trattare l’argomento. Stando al mio percorso intellettuale e professionale non avrei in teoria dovuto avere molte
remore. In passato sono stata l’autrice di una tesi di dottorato all’Università di Neuchâtel sul tema dell’integrazione dei giovani figli di
immigrati. Sono stata tra le fondatrici, una trentina di anni fa (!), di una rivista multilingue che si chiamava “InterDIALOGOS”. Ho pubblicato articoli e libri sull’argomento. Ma erano altri tempi. Che sembrano ormai lontani anni luce. Gli immigrati di cui si parlava allora
in Svizzera portavano cognomi a consonanza italiana, spagnola, portoghese. Erano di religione cattolica. I loro paesi di origine erano
inseriti in un processo di costruzione europea, ecc, ecc. … Per quanto concerne l’Italia, la sua svolta epocale da terra di emigrazione a
paese di accoglimento era appena agli inizi.
Nonostante tale mio percorso, le remore che provo oggigiorno a riprendere l’argomento dell’integrazione degli immigrati sono enormi.
È vero che il termine integrazione continua a essere sulla bocca di tutti, ma la realtà a cui attualmente si riferisce ha subìto tali e tanti
sconvolgimenti da rendere obsolete le analisi e riflessioni dell’ultima parte del secolo scorso.
Sappiamo bene che i fenomeni migratori assumono ormai dimensioni apocalittiche, risvolti drammatici e implicazioni umane e
politiche di tale ampiezza da infiammare dibattiti e animi in tutte le democrazie occidentali. I vari media ci rendono edotti in tempo
reale del moltiplicarsi di impressionanti movimenti di popolazioni che fuggono da guerre, carestie, miseria, dittature, persecuzioni, o
semplicemente da condizioni di vita non corrispondenti ai modelli dei paradisi occidentali. Gli stessi media ci inondano quotidianamente con commenti e prese di posizione ideologiche che contribuiscono non poco a una divisione rigidamente manichea del nostro
mondo in buoni e malvagi, a seconda che le persone si schierino per un’accoglienza a tutto campo delle ondate migratorie oppure
siano a favore di misure restrittive e protettive. Senza distinguo in questo caso tra chi cerca di ragionare sul fenomeno e chi fa della
xenofobia un credo impenetrabile.
Una cacofonia di voci dunque nella quale è sempre più difficile orientarsi. Se in mezzo a tanta confusione oso inserirmi con una mia
riflessione è perché mi sembra di far parte di una folla nella quale circola un elefante che troppi cercano di non vedere: quello delle
difficoltà di integrazione culturale (o di inclusione come è di moda dire oggi) dei nuovi flussi migratori e degli immensi mezzi che
occorre mobilizzare per affrontarle.
Un Paese per funzionare richiede un minimo di coesione sociale, di condivisione di valori, di sentimento di appartenenza a una casa
comune.
La coesione riposa su basi quali una lingua comune, su radici storiche e retaggi culturali condivisi. Tutti gli italiani ad esempio sanno
perché in quasi tutte le città ci sia un corso Garibaldi o una piazza Dante, o un viale Puccini. Attraverso quali mezzi integrare chi è
estraneo a tali simboli culturali? Tra i valori fondanti le società occidentali vi sono colonne di enorme portanza quali: separazione
Chiesa/Stato; uguaglianza uomo/donna; libertà di parola e di culto. Si tratta di fondamenti conquistati e costruiti attraverso secoli di
lotte, sconfitte e vittorie. Come integrare le comunità che si identificano con valori antitetici?
Che dire poi del sentimento di appartenenza al paese di accoglimento? In passato spesso le prime generazioni di immigrati hanno
continuato a sentirsi italiani, spagnoli, ecc…, pur vivendo in altri paesi. Hanno altresì conservato l’abitudine di guardare la televisione
del proprio paese di origine, di riunirsi tra connazionali, di tifare per le squadre nazionali. Ma ciò non ha impedito loro di favorire
l’integrazione dei propri figli, nati e scolarizzati nei paesi in cui sono immigrati. Questi hanno potuto così effettivamente integrarsi sul
piano economico, culturale e sociale. Hanno potuto anche sentirsi svizzeri, tedeschi, ecc. senza provocare tragedie in famiglia. Il che
ha permesso ai cosiddetti secondos di creare forti legami di appartenenza con le nuove patrie, senza rinnegare la storia e la cultura
delle loro famiglie.
Una vecchia leggenda indiana narra di un elefante che pur
muovendosi tra la folla con al
sua imponente mole passava
comunque inosservato. Come
se fosse invisibile…
1
Per i figli delle nuove ondate migratorie tutto è molto più complicato. La loro identità biculturale è formata da elementi
spesso fra di loro inconciliabili . Occorrerebbero immani sforzi di mediazione per aiutare i giovani e le loro famiglie a non scegliere la
via più facile, ossia quella del rancoroso isolamento e del rifiuto pregiudiziale della cultura del paese di accoglimento. E non parlo di
coloro che diventano terroristi assassini (meglio non mescolare tutto). Parlo dei numerosi casi di rifiuto di integrazione di bambini e
giovani che frequentano oggi le nostre scuole. Ecco due esempi tra infiniti altri.
A Cremona, un ragazzino di famiglia mussulmana non ha trovato di meglio da fare dopo i fatti di Parigi e di Bruxelles che esternare
ai suoi compagni la sua contentezza per le stragi compiute dai correligionari e imbracciare un quaderno a mo’ di mitra simulando di
sparare colpi e destra e manca.
A Therwil, tranquillo villaggio di Basilea campagna, due adolescenti hanno deciso di non più stringere la mano alle insegnanti di sesso
femminile, affermando che la religione mussulmana glielo vieta. Le autorità «comprensive» li hanno dispensati.
Forse il prossimo passo politicamente ancora più corretto sarà quello di chiedere a tutti i bambini di conformarsi a questo e altri tabù…
maggio 2016 La Rivista - 41
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Che il giovedì sia il nuovo venerdì è cosa nota – ma di fatto giovedì me ne sto a casa, mentre venerdì è
la “Museumsnacht”: in questa nottata marzolina musei, collezioni, monumenti eccetera restano aperti
per gli insonni bernesi e non.
Sorvolo sulla visita a Palazzo federale e sul giro della città vecchia su macchine d’epoca, e veniamo
al sodo: nell’Antikesammlung dell’Università (una collezione di copie di celebri statue greco-romane)
c’è un concerto di un quartetto d’archi (uno dei violinisti è amico del mio coinquilino: è quello con la
barba); la musica è roba dell’altro mondo, a tratti fluttuante e soave e a tratti stridente ed inquietante,
e l’atmosfera è incredibilmente suggestiva, con tutte quelle statue seminascoste a tutelarci... sulla parete di fondo vedo l’ombra tesa e contorta di Laocoonte che viene stritolato dai serpenti, e, proprio di
fianco, una statua colossale di un’imperiosa Atena che lo surclassa in dimensioni (l’Atena di Velletri);
ora, dovete sapere che, manco a farlo apposta (... ma non sarà mica ... apposta?), è stata proprio Atena
a spedire i serpenti ad ammazzare Laocoonte, poiché questi cercava di convincere i troiani a non fidarsi
del “regalo” dei greci (un certo cavallo...); trascinato dalla musica io pensavo: puoi avere tutta la ragione del mondo, ma finché sei un uomo se rompi le palle a un dio finisci stritolato e punto.
Sabato il fratello di un amico fa il dj in un club sepolto nella città vecchia: ci si va e ci si diverte tirando mattina:
e non c’è molto di notevole da aggiungere.
Ma domenica mattina per esorcizzare il weekend faccio un passeggiata a zonzo per la città vecchia col naso
un po’ all’insù, un po’ all’ingiù: e un po’ dritto davanti come dovrebbe; ci sono dei ragazzi che sfrecciano in bici
rimbalzando sul porfido e assorbendo i rapidi impatti nelle pudenda senza battere ciglio, al che io rido ma uno
mi guarda e fa Mo-o-orge-e-e e allora rido ancora di più, ma loro sono già spariti; così attraverso per il lungo
tutta la lingua di terra della città vecchia e, arrivato, per così dire, sulla punta, tra le molte parole che vi si sono
perse scopro una scalinata di pietra col tetto di legno che scende dalla chiesa di Nydegg (costruita sulle rovine di
un castello distrutto dagli stessi bernesi per ragioni bernesi e quindi imperscrutabili: ad ogni modo, ecco perché
un rassicurante cartello recita “Burgtreppe”), poi attraverso un ponte che scopro essere il più antico della città
(la targa dice: blablabla 1487) e arrivo in zona fossa degli orsi: mentre passo davanti alla Mahogany Hall sento
della musica: la canzone è Stella by Starlight; mi precipito dentro e mi rendo conto che dev’essere una di quelle
domeniche (una al mese) in cui Philipp, un mio ex compagno di università convertitosi al contrabbasso, suona col
suo trio (e un ospite sempre diverso) per una matinée jazz a base di Martini, tartine di salmone e garbate frivolezze
– alla perfezione dei sensi mancherebbe giusto qualche ostrichetta: ma siamo pur sempre a Berna.
Così mi godo il meriggiare, saluto Philipp e riparto in direzione sudovest lungo il fiume in cui si specchia la muraglia dei giardini della cattedrale, nonché la cattedrale stessa, si capisce: allibisco alla Grande Bellezza di Berna ora
dall’esterno come prima dall’interno dei suoi vicoli di pietra parlante; peccato che il sentiero è parecchio trafficato
di famigliole, cani e turisti: fa niente. Arrivato in zona casa decido di allungare passando dal lido di Marzili, dove
tra i reduci del sabato sera rannicchiati a sbarellare in santa pace e tra i giovani temerari – di certo bernesi da
generazioni – che inneggiano al primissimo caldo buttandosi nel fiume con virili squittii, incontro due tizi che
ho conosciuto al quarto piano della biblioteca (con uno scherzo stupidissimo che ha a che vedere con il Libro di
Mormon e finti rituali sulla piattaforma B: ma questa è un’altra storia); ci esibiamo in una notevole performance di
code mixing stupendo gli increduli astanti con la nostra capacità di esprimerci contemporaneamente in francese,
italiano, tedesco e spagnolo, e dopo poche chiacchiere più o meno intellegibili continuo la passeggiata e, pochi
metri prima di uscire dal lido, mi trovo spianate davanti su un’apposita fila di tavole di legno un gruppetto di
ragazze in topless che non regalano la minima attenzione al mio divertito imbarazzo.
Entro in casa giusto in tempo per vedere il Lugano che batte il Grasshopper al Letzigrund. Ah, è davvero primavera:
beati i nottambuli – essi saranno aggiornati…
maggio 2016 La Rivista - 43
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Benchmark
di Nico Tanzi
Le storie e la vita, ovvero:
il fil rouge fra la Bibbia
e lo Storytelling
Un tempo, ormai lontano, erano i nonni, la sera accanto al fuoco, a raccontarle. Alcuni privilegiati avevano il teatro, ma erano davvero in pochi (anche se in alcune epoche e in alcuni
paesi il teatro è stato tutt’altro che un luogo elitario, come in parte lo è oggi). Poi è arrivato il
cinema, e la gente ha cominciato a prendere l’abitudine — magari il sabato sera — di gustarsele col naso all’insù egli occhi fissi sullo schermo. Infine, la televisione: che ce le ha portate
nel salotto di casa, e non a caso per qualcuno era il «focolare elettronico»…
Parliamo delle storie: piccole e grandi, indimenticabili o superflue. Accompagnano la nostra vita, da sempre: dalle
fiabe ascoltate da bambini prima di fare la nanna, raggomitolati sotto le coperte con gli occhi sbarrati nell’attesa,
alla spettacolare fiction contemporanea. (Lo so, ci sono anche i libri — grazie al cielo: ma in questo caso mi riferisco
a quel filone che va dalla cosiddetta narrazione orale alle sofisticatissime serie tv dei nostri giorni. La lettura infatti
introduce una componente «attiva», richiede al lettore uno sforzo personale nella «messa in scena», anche visiva, di
ciò che legge, e tutto ciò cambia in modo significativo il senso dell’operazione).
Quali caratteristiche deve avere, una storia, per piacere al pubblico? Per «funzionare»? Chi conosce un po’ la materia
sa bene che non è certo un caso se alcune storie si dimenticano subito dopo averle ascoltate (o «viste» sullo schermo),
e altre invece continuano ad essere tramandate e raccontate per secoli. I meccanismi che stanno alla base della
costruzione di una storia, infatti, sono talmente rigorosi da poter (quasi) essere l’oggetto di una scienza esatta. Lo
sanno bene gli autori delle sceneggiature di film e telefilm, che applicano al loro lavoro regole e formule molto vicine
a quelle matematiche.
A fondamento di tutte queste regole, però, c’è un principio di base: la storia deve offrire all’ascoltatore (allo spettatore) la possibilità di identificarsi con il protagonista. È quello che accade nell’Odissea di Omero come in Guerre stellari,
in Hansel e Gretel come in Rocky. E perché ciò avvenga, deve fare leva sugli archetipi comuni al genere umano (il lupo
di Cappuccetto rosso o la matrigna di Biancaneve, ad esempio, rievocano la forza malvagia che fa di tutto per distruggere l’eroina: l’antagonista, nei termini della narratologia). Ma soprattutto, ogni storia che si rispetti deve mettere
in scena un percorso in cui si passa da una situazione di partenza ad una di arrivo attraverso il superamento di una
serie di ostacoli. Il più frequente è lo scontro – appunto – con l’antagonista, che porta l’eroe a diventare più forte, a
prendere coscienza dei propri mezzi e ad avviarsi verso il proprio destino. Più o meno glorioso che sia.
È uno schema — un archetipo, anche questo — che si ripete fin dalla notte dei tempi. Nel vero senso della parola: il
Diluvio Universale è uno dei casi canonici, e non a caso si trova nella Bibbia come in altre culture (quella azteca, per
esempio). Qual è la struttura di questo mito? Vediamo: una situazione di partenza (la coabitazione di uomini e dei sulla terra dopo la creazione; un perturbamento causato dai comportamenti dell’uomo, con conseguente castigo divino
(il diluvio, appunto); e infine, quando la terra riemerge, un nuovo equilibrio come punto d’arrivo. Niente di nuovo sotto
il sole: anche Cenerentola — o vogliamo prendere la Vivian di Pretty Woman? — compie lo stesso percorso: situazione
di partenza (disagio e povertà) / perturbazione dell’equilibrio (il ballo, rispettivamente l’incontro con il ricco Edward)
/ nuovo equilibrio (il matrimonio con il principe azzurro). Un equilibrio da raggiungere naturalmente attraverso il
superamento degli ostacoli e la lotta contro l’antagonista.
Le storie — quelle vere, quelle che funzionano dall’alba dei tempi — sono tutte caratterizzate dal superamento degli
ostacoli. Perché? Perché la lotta per superare quegli ostacoli — per sposare il principe azzurro — è la vita stessa. Senza
ostacoli non c’è mutamento ma immobilità. Senza la lotta per raggiungere i propri obiettivi, la storia non funziona
per il semplice motivo che non c’è vita. (Il che, peraltro, rende tragicomicamente assurda la nostra eterna pretesa
che nella vita tutto fili sempre liscio). E invece non c’è differenza, fra le storie e la vita. Nelle une e nell’altra, ciò che
permette di crescere è il movimento, lo scontro (il Pòlemos di cui parlava Eraclito). Lo sanno bene gli specialisti di
storytelling, una delle nuove frontiere (seppur antichissima nelle sue radici) del marketing contemporaneo. Magari
sarà il caso di tornarci su prossimamente.
maggio 2016 La Rivista - 45
Lingotto Fiere,
12-16 maggio
L’immagine che dà il titolo al Salone 2016 è Visioni, un’opera d’arte appositamente creata e donata al Salone da Mimmo Paladino. L’elaborazione grafica è stata realizzata dallo studio dell’architetto Pierluigi Cerri, fra i più grandi grafici e designer italiani.
Il Salone dei Visionari
Il 29° Salone Internazionale del Libro di Torino si terrà nei
Padiglioni 1, 2, 3 e 5 di Lingotto Fiere da giovedì 12 a lunedì 16 maggio 2016. L’inaugurazione, alle 10.30 di giovedì
12 maggio, sarà affidata al Ministro per i Beni, le Attività
Culturali e il Turismo Dario Franceschini. È annunciata nel
corso del Salone la visita del Presidente del Consiglio Matteo Renzi.
Sono oltre 1.000 gli editori presenti al Salone 2016, chi con proprio stand, chi all’interno di spazi collettivi e istituzionali. Tutti
confermati i marchi editoriali, dai grandi gruppi ai piccoli e medi
editori. Un gradito ritorno quello di Donzelli. Ritorna Amazon che
debutta il suo nuovo marchio di editoria
cartacea APub. Presente per la prima volta
l’Istituto Luce.
Settanta i nuovi espositori che debuttano al Salone. Fra loro La Conchiglia di
Capri, raffinato libraio-editore di scuola
napoletana, estremamente curato nella
scelta cartaria e tipografica e molto attivo
sul fronte degli incontri fra le culture del
Mediterraneo. E i 24 editori indipendenti dell’Incubatore, che festeggia 10 anni:
provengono da tutta Italia e hanno meno
di due anni di vita.
I convegni e dibattiti in programma sono a
1.222, cui andranno ad aggiungersi quelli
del Salone Off. Trentasette le Sale Convegni e Laboratori, compresa le nuove Sala
Romania e Sala Babel.
Sono già oltre 500 gli operatori internazionali accreditati all’International Book Forum, di cui più di 250 stranieri provenienti
da 41 Paesi. Fra gli editori rappresentati
all’Ibf, i francesi Flammarion, Gallimard
e Xo; i tedeschi Piper, Suhrkamp, Kunst-
46 - La Rivista maggio 2016
mann, Hanser e Alexander; gli spagnoli
Anagrama, Narcea e Sexto Piso.
I Paesi presenti al Salone con un proprio
stand: Albania Azerbaijan e Romania, che
ha realizzato e dato il suo nome a una sala
convegni dotata di 50 posti e che – accanto alla propria programmazione - ospita numerosi incontri di Officina ideati per
valorizzare il ruolo dei piccoli editori.
Le Istituzioni nazionali italiane sono rappresentate da Presidenza del Consiglio dei Ministri, Miur - Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Ministero della Difesa,
Cnr – Centro Nazionale delle Ricerche.
Dopo Calabria, Veneto e Lazio, la Regione
Ospite d’onore nel 2016 è la Puglia. Le altre Regioni Italiane presenti con un proprio spazio sono Basilicata, Calabria, Friuli
Venezia Giulia, Lazio, Piemonte, Sardegna,
Toscana e Valle d’Aosta.
Area Startup. Quest’anno debuttano al Salone 10 nuove startup selezionate attraverso la call internazionale lanciata dal Salone
per i migliori progetti di editoria digitale.
Casa Cookbook. Sono 25 gli espositori presenti quest’anno. Tra le novità: Cucchiaio
d’Argento, FunnyVegan, CEF publishing,
Luca Maroni - Sens e Moka Libri. Torna
Phaidon Press, brand internazionale con
sedi a Londra, Parigi, Barcellona, Milano,
Tokyo e New York.
Nello spazio Collettiva editori per ragazzi sono 12 gli editori presenti: Biblioteca
dei Leoni, Eli – La Spiga edizioni, Grappolo
di Libri Editore, Erba Moly, Italy for Kids,
Kite edizioni, Lo editions-Officina Libraria,
Sestante edizioni, Teke Arcobaleno, Uovonero, Edizioni Curci, Carthusia.
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a 10 € l’intero), e l’introduzione del nuovo
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ideata una nuova striscia di eventi e concerti serali con grandi nomi della musica
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Staglianò
Il consenso e la politica
Ignazio
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nell’era Renzi
Al posto tuo
Così web e robot ci
stanno rubando il lavoro
Un marziano a Roma
(Einaudi - pp 246 € 18,00)
Come si fa politica oggi? Che caratteristiche deve avere un leader per risultare vincente? Com’è il mondo
che si muove dietro le quinte dell’incessante show
mediatico? «Compagni e amici, sulla comunicazione come siamo messi? Quale lavoro state facendo su
voi stessi? Come prepariamo le comparsate tv?». Così
Matteo Renzi apostrofava gli esponenti del Partito democratico durante una direzione del 7 giugno
2015. Per il premier-segretario la comunicazione è
da sempre al cuore della strategia politica. Ma come
si costruisce e come si mantiene appetibile il «brand»
Matteo? Quanto di quello che vediamo è vero?
La giornalista del Fatto Quotidiano Wanda Marra,
cronista politica, mostra come funziona il vortice
che, giorno per giorno, agitando passioni, aspettative e speranze collettive, porta alla costruzione del
consenso intorno a un leader. Un «prodotto» frutto
di moltissime discipline al lavoro simultaneamente:
pubblicità, spin, comunicazione, moda, psicologia,
sceneggiatura, marketing, storytelling, fotografia,
giornalismo. Avvalendosi di più fonti, il libro si muove
su livelli diversi: dai risvolti psicologici – quanto si è
persone e quanto personaggi – a quelli sociologici – il
riferimento a «modelli» e tendenze collettive –; dalla
costruzione della propria immagine e del look, all’uso
dei social media, soprattutto di Twitter, per dichiarazioni a metà tra l’ufficioso e l’ufficiale; dai video e le
foto istituzionali sul sito del governo ai rapporti politici
gestiti attraverso un mezzo apparentemente confidenziale come WhatsApp. Sullo sfondo un’ipotesi che
si fa sempre più pressante: e se la politica fosse solo la
punta dell’iceberg?
Wanda Marra è nata nel 1970 a Napoli. Vive e lavora
a Roma, dove fa la cronista parlamentare per il Fatto
Quotidiano. Vendere un’idea è il suo primo libro.
P come Posto, il tuo posto di lavoro. Quello che
internet e le macchine si portano via. Ieri la tecnologia sostituiva i colletti blu, oggi quelli bianchi.
E domani?
Qual è l’ultima volta che avete comprato un biglietto del treno allo sportello invece di farlo
online? O un cd in un negozio di dischi? O che
avete messo piede in banca? Non siete i soli. Il
risultato individuale è una maggiore convenienza
immediata, quello collettivo è la fine di quei lavori.
È una schizofrenia che ci riguarda tutti. Le macchine hanno sempre rimpiazzato gli uomini. Prima
però lo facevano nei compiti pesanti, colpendo i
colletti blu. Ora sostituiscono il lavoro dei colletti
bianchi. In passato l’aumento della produttività
dato dalla tecnologia si trasformava in più ricchezza per la società: se uno perdeva il lavoro in
manifattura ne trovava un altro nei servizi. Ormai
le macchine corrono troppo forte e distruggono
più posti di quanti non riescano a creare. Web e
robot, dunque, dopo globalizzazione e finanza,
stanno uccidendo la classe media. Perché più le
macchine diventano a buon mercato, pù gli esseri
umani sembrano cari in confronto. Questo libro è
un viaggio in un futuro che è già arrivato, a cui
stiamo pagando un prezzo cruento, ma dall’esito
non inevitabile. A patto che ce ne rendiamo conto,
prendendo delle radicali contromisure.
Riccardo Staglianò è nato a Viareggio nel 1968
ed è inviato de «la Repubblica». Ha iniziato la sua
carriera come corrispondente da New York per il
mensile «Reset», ha poi lavorato al «Corriere della
Sera» e oggi scrive inchieste e reportage per il «Venerdì». Per dieci anni ha insegnato Nuovi media
alla Terza Università di Roma.
A distanza di pochissimi mesi dal clamoroso epilogo del suo
mandato, Ignazio Marino ha scritto la sua verità. Un racconto, duro e senza censure, che rivela le resistenze che ha
trovato e svela quelle che alla fine lo hanno eliminato; l’analisi, punto per punto, di una stagione del governo di Roma
che voleva marcare un cambiamento assoluto; il ricordo,
commosso e grato, di tutti coloro (cittadini e assessori) che
hanno partecipato insieme a lui a questa avventura e lo
hanno sostenuto fino in fondo. La sua visione di una città
che può uscire dalla palude e presentarsi al mondo come
grande capitale europea proiettata nel futuro.
Il sogno spezzato della sua amministrazione, da quando
strappò la guida di Roma a Gianni Alemanno, fino alle firme da un notaio dei consiglieri del Pd con alcuni della destra, che insieme ne determinarono la caduta. Una vicenda
che ha tenuto banco per mesi su tutti i media nazionali e
internazionali, in un crescendo di attenzione che ha reso il
sindaco Marino una delle figure pubbliche più riconoscibili
e dibattute. Eppure, non è mai stato semplice incasellarlo
in una definizione: un sindaco fuori posto, non capito da
tutti i romani e accoltellato dal suo stesso partito? O un
sindaco onesto, assediato dal sistema di potere di Mafia
Capitale, sostenuto dai cittadini e tradito clamorosamente
da chi lo doveva difendere?
Un sognatore ingenuo, un puro e duro, un tecnico, un politico, un marziano a Roma? In un racconto serrato, pieno
di dettagli sulla vita e l’amministrazione della capitale,
Marino disegna un ritratto esplosivo, ma niente affatto
scandalistico, della politica romana e non solo. Forse per la
prima volta un sindaco racconta in dettaglio la complessità e l’urgenza delle decisioni quotidiane, la pressione delle
influenze dietro le quinte, le difficoltà di far comprendere e
accettare il cambiamento, i rapporti di forza, i meccanismi
non meritocratici, che ha cercato di cambiare, alla base di
tante nomine. Senza paura di fare nomi e cognomi.
maggio 2016 La Rivista - 47
La Svizzera prima della Svizzera
Non si può parlare di Storia della Svizzera senza conoscere gli avvenimenti che
precedettero la formazione del primo nucleo della Confederazione Elvetica, nel
lontano 1291. Bisogna, infatti, avere un quadro, anche se solo per sommi capi, di
quei fatti che furono all’origine del lungo e difficile percorso che, dopo oltre cinque secoli, avrebbe portato all’unità geografica e politica di questo Paese nei suoi
confini attuali.
Storia molto complessa e ancora più affascinante, se si considera che il suo territorio
non ha costituito «mai un’unità né politica né linguistica», né «culturale o economica».
C’è dunque una Storia della Svizzera prima della Svizzera, che bisogna conoscere
per capire a fondo gli avvenimenti che hanno portato poi alla formazione e al
duraturo mantenimento, nei secoli, della Confederazione Elvetica.
Tindaro Gatani, nostro prezioso collaboratore, ricercatore e appassionato studioso dei rapporti italo-svizzeri, ha raccolto l’invito di realizzare una sintesi della
storia di questo Paese dalle origini alla fondazione della Confederazione.
Il risultato di questo lavoro sono le 13 puntate apparse sulla Rivista da gennaio
2012 a febbraio 2014, che, dopo un’attenta revisione, rispondendo anche alla
richiesta di molti lettori, vedono la luce sotto forma di un volume.
Chi fosse interessato può richiedere copia del volume
al prezzo di CHF 25.— (+ costi di spedizione)
inviando una mail a: [email protected]
oppure telefonando allo 044 289 23 19
La Svizzera: da Morgarten (1315)
a Marignano (1515)
Le puntate apparse su «La Rivista», dal marzo 2014 a settembre 2015, sono
state adesso raccolte in un volume curato dallo stesso autore, Tindaro Gatani, con il titolo La Svizzera: da Morgarten (1315) a Marignano (1515), nel
quale si narrano gli avvenimenti di quei duecento anni che videro la Nazione
elvetica diventare la più grande potenza militare europea. La pubblicazione
si aggiunge al primo volume La Svizzera prima della Svizzera, edito sempre
dalla Camera di Commercio Italiana di Zurigo.
Chi fosse interessato può richiedere copia del volume
al prezzo di Fr. 25.— (+ costi di spedizione)
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Giacomo Casanova in Svizzera
Il nostro collaboratore Tindaro Gatani ha pubblicato un interessante volume sulle avventure amorose di Giacomo Casanova in Svizzera, la prima opera in italiano che tratta delle
gesta del grande libertino e avventuriero veneziano in Terra elvetica. Nella premessa, tra
l’altro, l’autore scrive: «Tutte le pubblicazioni sulle avventure di Giacomo Casanova sono
coronate da successo, non sempre, però, per merito dei vari curatori ma, piuttosto, per il
brillante racconto che, nella sua Storia della mia vita o Memorie, ne fa lo stesso avventuriero veneziano, che ha saputo unire l’arte di grande amatore con quella di consumato
affabulatore. Per non appropriarmi della sua forza narrativa ho voluto che fosse lui stesso,
con il suo racconto, a condurre i lettori attraverso la Svizzera del suo tempo. Per questo
mi sono limitato solo a riassumere, a chiosare, a soffermarmi su alcune alte personalità
dell’Ancien Régime elvetico, il periodo storico che precedette la Rivoluzione francese e la
bufera napoleonica che avrebbe, poi, investito, sovvertendola, la vecchia Confederazione.
(…) Da parte mia ho seguito le sue gesta servendomi dell’aiuto di quanti mi hanno preceduto sulle sue orme nello stesso itinerario e, soprattutto, della guida esperta di Pierre
Grellet (1881-1957) che, con Les aventures de Casanova en Suisse, pubblicate a Losanna
nel 1919, ha saputo tracciare con maestria un quadro puntuale e fedele delle sue imprese
in Terra elvetica. (…)».
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Dalla Svizzera
degli Stati a
quella federale
Il massacro della notte di San Bartolomeo (23-24 agosto 1572), in un quadro di François Dubois (1529-1584)
Ginevra tra i Savoia
e la Svizzera
di Tindaro Gatani
Dopo che le differenze religiose avevano
spaccato in due la vecchia Confederazione, cattolici e riformati, pur non debordando mai dall’alleanza federale, si
facevano la guerra non guerreggiata a
base di continui dispetti e dissapori per
ostacolarsi a vicenda negli affari interni e
internazionali.
Ognuna delle due fazioni faceva alleanze
separate con i rispettivi correligionari, ma
al momento di prendere un’eventuale decisione di intervento armato rispondevano
puntualmente con il classico vogliamo,
ma non possiamo, per ragioni di pace interna alla Nazione.
Emanuele Filiberto di Savoia
I cattolici non riconobbero l’appartenenza
del Vaud e degli altri baliaggi romandi a Berna. Per loro la Confederazione, come detto,
finiva a Murten. I riformati, da parte loro
contrastavano in ogni modo gli stretti legami
degli avversari con la Spagna e con il Ducato
di Milano. «I cantoni cattolici — come nota
il Gilliard — erano in maggioranza, ma essi
e l’eroica notte dell’Escalade (1602)
potevano mobilitare un numero inferiore di
uomini e disponevano di minori risorse della
quattro città protestanti. I seguaci delle due
confessioni si guardavano con sospetto, ma
evitavano di scontrarsi» (GILLIARD Charles,
op. cit., p. 46). Anzi, si mostravano saldamente uniti nelle comuni attività redditizie come
nell’amministrazione dei baliaggi e nel servizio mercenario alla Francia. Le differenze
si erano fatte più vistose dopo il trattato di
Cateau-Cambrésis del 1559, quando il duca
Emanuele Filiberto di Savoia (1528-1580)
era ritornato in possesso degli antichi domini, che suo padre aveva dovuto abbandonare
alla Francia nel 1536, quando, Francesco I,
con il pretesto di punirlo per la sua sempre
più stretta alleanza con Carlo V, aveva invaso
ed annesso la Savoia (1486-1553), spingendosi fino a Torino.
Carlo II (1486-1553) e suo figlio Emanuele
Filiberto, costretti a fuggire a Vercelli erano
troppo deboli per sfidare la Francia. Solo avvenimenti esterni potevano fargli sperare di
riprendersi il Ducato. L’occasione si presentò
quando Inglesi e Spagnoli, dopo aver invaso
Errata corrige
Il Dottor Giorgio Giacosa, attento lettore della Rivista, mi ha segnalato l’errore contenuto
nell’articolo su San Carlo Borromeo, pubblicato sul numero di marzo, facendo notare che
la Peste di San Carlo Borromeo del 1576-1577, di cui si parla nell’articolo a p. 39, non deve
essere confusa con quella dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, che è del 1630, quando
arcivescovo di Milano era Federico Borromeo, nipote di San Carlo.
Ringrazio l’amico Giacosa, che tanti suggerimenti preziosi mi ha già dato quando scrivevo
La piccola Venezia di Zurigo (Das Venedigli), assicurandolo che si è trattato solamente di
una svista. Io stesso in più occasioni avevo già distinto le due epidemie. Segnatamente in
Emigrazione italiana, n. 8-9, 25 febbraio 1987, p. 3, e in I Rapporti italo-svizzeri attraverso
i secoli, vol. 2, Tra Riforma e Controriforma, Patti-Zurigo 1988, p. 171, dove, tra l’altro, ho
scritto: «I rapporti tra il santo e la Svizzera si mantennero stretti anche in occasione della
peste del 1576-1577, conosciuta, appunto, come Peste di San Carlo». Questa epidemia è,
dunque, distinta da quella dei Promessi sposi. Il resto dell’articolo sull’impiego dei monatti
svizzeri resta valido.
Mi scuso comunque con i lettori per l’errore in cui sono, involontariamente, incorso.
la Francia minacciando la stessa Parigi, costrinsero Francesco I a sottoscrivere la pace
di Crepy (18 settembre 1544), con la quale
era stato costretto, tra l’altro, a restituire
ai Savoia le terre occupate tranne Pinerolo
e Montmélian. Quell’impegno rimase però
solo sulla carta, Francesco I continuò a tergiversare e dopo la sua morte (1547), il suo
successore Enrico II si recò a Torino accolto
trionfalmente dalla popolazione. A Carlo II di
Savoia restavano solo Asti, Cuneo, Fossano,
Ivrea, Nizza, Vercelli e la Valle d’Aosta, cioè
un piccolo e discontinuo territorio divenuto
zona cuscinetto stretta tra i Francesi a occidente e gli Spagnoli di Milano a oriente.
Dopo la morte del padre, il gravoso compito
di riscattare il Ducato di famiglia spettava a
Emanuele Filiberto I (1528-1580) detto Testa di ferro, che mise allora in campo tutte
le iniziative necessarie per restituire l’antico
splendore al suo casato, anche se avrebbe
poi dovuto aspettare fino alla pace di Cateau-Cambrésis del 1559, prima di ritornare sul
suo Ducato, senza tuttavia riacquistare tutta
la vecchia integrità territoriale. La restituzione della Savoia, de la Bresse e del Bugey a
Emanuele Filiberto, sarebbe stato «per Ginevra, un colpo terribile, perché» il nuovo assetto «alterava completamente l’equilibrio delle
forze nel bacino del Lemano», e minacciava
da vicino non solo la stessa città di Calvino, ma anche Losanna e i baliaggi bernesi
del Vaud. I timori dei Ginevrini furono confermati quando, l’anno dopo, l’11 novembre
1560, i Cantoni cattolici non si fecero nessun
«scrupolo di concludere con lui [Emanuele Filiberto] un trattato di alleanza, in cui veniva
riconosciuto al duca, come sua legittima proprietà, tutto il Paese di Vaud». Era un’alleanza
che «equivaleva a un tradimento nei riguardi
di Berna e di Ginevra».
Il Casato dei Savoia
I Bernesi, «minacciati da una nuova guerra,
in cui, al fianco del duca di Savoia, avrebbero
maggio 2016 La Rivista - 49
Emanuele Filiberto di Savoia detto Testa di ferro (1528-1580), stampa settecentesca
avuto contro i propri confederati cattolici»,
furono «obbligati a cedere» e, il 30 ottobre
1364, con il trattato di Losanna, resero al
duca, «in cambio del formale abbandono del
Paese di Vaud propriamente detto, i baliaggi di Gex, di Ternier e di Thonon». Lo stesso
dovettero fare i Vallesani che, con il trattato di Thonon, del 3 marzo 1569, dovettero
restituire a Emanuele Filiberto la zona dello
Chablais con la vallata d’Abondance, riuscendo, tuttavia, a conservare il baliaggio di
Monthey con Saint-Maurice e la valle d’Illiez,
dove d’allora in poi «le frontiere non sono state più modificate».
L’unica perdente era Ginevra che si venne a
trovare «nuovamente incastrata nel territorio savoiardo, alla mercé del duca» (MARTIN
William, op. cit., pp. 98-99). Ai Ginevrini,
50 - La Rivista maggio 2016
impegnati nell’immane opera della costruzione dell’edificio del calvinismo universale, non restava altra speranza che quella di
chiedere l’ammissione nella Confederazione,
ma la loro richiesta fu respinta, nelle Diete
del 1572 e del 1573, per il voto contrario dei
Cantoni cattolici, che si spinsero oltre, facendo al duca, a dispetto di tutti patti federali,
«l’esplicita promessa d’interdire ai loro confederati evangelici ogni alleanza con Ginevra».
I cattolici non tralasciarono quindi alcuna
occasione per dimostrare al duca la loro
amicizia che, dopo la sua morte, nel 1581,
essi rinnovarono ufficialmente al figlio e successore, Carlo Emanuele I di Savoia detto il
Grande (1562-1630).
Il nuovo duca, facendo leva sull’appoggio
dei cattolici svizzeri e della potente Spagna,
cominciò a tessere allora una fitta rete di alleanze per riprendersi non solo il resto della
vecchia Savoia, ma anche per avanzare gli
antichi pretesi diritti sulla Borgogna. Nelle
sue rivendicazioni non poteva mancare Ginevra che faceva da cerniera tra le due regioni.
Tra gli stretti parenti francesi, suoi avversari, e quelli spagnoli, Carlo Emanuele scelse,
anche per motivi religiosi, questi ultimi. Sua
madre, Margherita di Valois (1523-1574),
era figlia di Francesco I e di Claudia di Francia e sorella, quindi, di Enrico II regnante di
Francia (1519-1559), la cui figlia Elisabetta
di Valois (1545-1568) era andata sposa di
Filippo II di Spagna (1527-1598) dalla cui
unione era nata Caterina Michela d’Asburgo
(1567-1597) andata in moglie appunto allo
stesso Carlo Emanuele I di Savoia.
Il groviglio di intrecci di doppie e triple parentele, spesso imposte dai trattati di pace,
non impediva ai regnanti di quei tempi di
scannarsi l’un l’altro, anzi erano proprio le liti
per le eredità e le successioni ad alimentare
le continue guerre che insanguinavano l’Europa. Di fronte al potente nemico, a Ginevra,
sottoposta a continui allarmi e minacce, non
restava che, con il consenso di Berna, di cercare l’appoggio francese. Il 29 agosto 1579, i
Ginevrini sottoscrivevano con il Re di Francia
Enrico III (1551-1589), succeduto sul trono
al fratello Carlo IX (1550-1574), il trattato di
Soletta, con il quale i Francesi si impegnavano a retribuire una guarnigione formata da
bernesi e solettesi in caso di attacco savoiardo alla loro città.
Darsi ai Francesi, per i Ginevrini era, però,
peggio che cadere dalla padella nella brace. Enrico III, figlio quartogenito di Enrico
II e Caterina de’ Medici che, nell’agosto del
1572, era stato, insieme alla madre, uno dei
promotori della terribile strage della notte di
San Bartolomeo, nella quale erano stati trucidati migliaia e migliaia di Ugonotti, si era
fatto promotore di una dura persecuzione dei
calvinisti francesi. La soluzione definitiva per
i Ginevrini sarebbe stata solo l’ammissione
nella Confederazione, che chiesero di nuovo
e di nuovo fu osteggiata e respinta dai cattolici nel 1582. Il 30 agosto 1584, la città di
Berna, dopo aver ricevuto l’assenso di Zurigo,
concesse la comborghesia a tutti i Ginevrini.
Adesso, dichiarare guerra a Ginevra equivaleva ad attaccare Berna e di riflesso anche
Zurigo.
Parigi val bene una messa
I Cantoni cattolici, in previsione di un probabile scontro, risposero con la costituzione
della Lega o Fratellanza cristiana, poi d’oro
o borromea (vedi La Rivista di marzo) e con
una nuova alleanza con la Spagna (1587).
Nella primavera del 1589, quando Enrico III
entrò in guerra con la Savoia, i Ginevrini,
aiutati da truppe bernesi e di altri Cantoni,
occuparono il Paese di Gex, lo Chablais, la
Blesse, il Bugey e il Faucigny, acquistando
così un spazio territoriale vitale al sostentamento della loro città. Si trattava di un’azione concordata con lo stesso Enrico III, tanto
che l’operazione militare si era svolta sotto il
comando militare di Nicolas Harlay de Sancy,
suo ambasciatore straordinario. Il 2 agosto
dello stesso anno 1589, Enrico III, ultimo Re
del Casato Valois, veniva ucciso a coltellate a Saint-Cloud dal frate fanatico Jacques
Clément. Gli succedeva sul trono di Francia il
cognato Enrico IV di Borbone detto il Grande
(1553-1610), divenuto capo del suo Casato
dopo la morte del padre Antonio di Borbone-Vendôme re di Navarra. Nel 1572, Enrico
IV si era unito in prime nozze con Margherita
di Valois (1553-1615), figlia di Enrico II e di
Caterina de’ Medici, da non confondere con
l’omonima zia (1523-1574) andata sposa a
Emanuele Filiberto di Savoia.
Dopo la morte di Enrico II, sul trono di Francia si erano succeduti i figli: Francesco II dal
1559 al 1560, Carlo IX dal 1560 al 1574 e
appunto Enrico III dal 1574 al 1589. Essendo
morto prima dello zio Enrico III anche Francesco Ercole di Valois (1555-1584), ottavo
figlio di Enrico II e di Caterina de’ Medici,
senza lasciare eredi, il trono fu assegnato a
Enrico IV, come erede presuntivo, cioè in via
provvisoria, la cui posizione poteva essere
rimpiazzata per la nascita di un altro erede
legittimo.
Con quella eredità presuntiva all’ultimo dei
Valois succedeva quindi sul trono di Francia il
primo re di Casa Borbone. Quella designazione creò molte speranze tra i riformati svizzeri
e particolarmente a Ginevra. Il nuovo re, sin
dal 1569, si era distinto come capo dei calvinisti francesi, anche se, dopo la strage della
notte di San Bartolomeo, era stato costretto ad abiurare la sua fede e a vivere sotto
stretta sorveglianza. Nel 1576 ritrattò la sua
abiura forzata e tornò a mettersi a capo degli
Ugonotti, ingaggiando una dura lotta contro
il cognato Enrico III ed Enrico di Guisa, capo
del partito cattolico, nella cosiddetta «guerra
dei tre Enrichi».
Il Guisa, appena saputo della designazione al
trono di Enrico IV, si adoperò per farlo scomunicare, facendosi promotore del trattato
di Nemours del 7 luglio 1585, con il quale
impose a Enrico III la revoca dell’editto di pacificazione tra cattolici e protestanti. Scoppiò allora di nuovo una guerra fratricida che
insanguinò per anni la Francia. Il 23 dicembre 1588, Enrico di Guisa fu assassinato su
ordine dello stesso Enrico III, che l’anno dopo,
ferito, a sua volta a morte, prima di spirare
riconobbe il cognato come suo successore. La
Lega cattolica si oppose e, solo dopo molti
altri scontri armati, Enrico IV, con un’altra
abiura, quella del 25 luglio 1593, pronunciata nella Basilica di Saint-Denis, si aprì la
strada verso il trono, convertendosi di nuovo
al cattolicesimo.
Gli storici discutono ancora sulla sincerità di
quella conversione, anche perché alcuni di
loro gli attribuiscono la celebre frase «Parigi val bene una messa». Assoggettata Parigi
nel 1594, Enrico IV dovette sostenere ancora
tre duri anni di guerra (1595-1597), prima di
sconfiggere definitivamente la Lega cattolica
e costringere la Spagna alla Pace di Vervins
(Piccardia) del 1598, con la quale sarebbe
entrato in possesso di quasi tutto il suo regno, ad esclusione di Marsiglia, ancora occupata da Carlo Emanuele I di Savoia.
Della ragion di Stato
Frontespizio dei dieci libri Della Ragion di Stato di Giovanni Botero, Venezia 1589
Forte della vittoria sui suoi avversari, Enrico
IV concesse allora libertà di coscienza e di
culto agli Ugonotti con l’editto di Nantes del
30 aprile 1598, ponendo termine alle guerre
di religione, che avevano devastato la Francia. L’anno dopo fece dichiarare nullo il suo
matrimonio con la cugina Margherita di Valois, passata alla storia anche con il nome di
Regina Margot. Il 5 ottobre 1600 sposò per
procura, in seconde nozze, Maria de’ Medici
(1573-1642, figlia di Francesco I de’ Medici
granduca di Toscana e di Giovanna d’Austria.
Quella fu una data importante anche per la
storia della musica italiana, perché nel corso
delle celebrazioni, durate una settimana, fu
rappresentata a Firenze l’Euridice musicata da
Jacopo Peri su libretto di Ottavio Rinuccini, il
primo melodramma pervenuto fino a noi.
Per Enrico IV non era facile governare un regno lacerato da lotte intestine e ridare alla
Francia il posto che le spettava nel consesso
degli Stati europei. Fu determinato nel sof-
maggio 2016 La Rivista - 51
era un processo che richiedeva l’ammodernamento delle attività industriali e commerciali, sotto la guida di governi stabili in grado
di prendere provvedimenti legislativi chiari e
dare incentivi sicuri.
Per ironia della sorte, le teorie di Botero, pensate per i principi cattolici, furono messe in
pratica da quelli protestanti: dall’Olanda alla
Germania, ai Paesi scandinavi. Tra i primi a
far tesoro della variabile economica boteriana ci fu Enrico IV, che, in breve tempo riuscì
a riformare le disastrose finanze francesi e a
estinguer il debito pubblico, creando anche
una riserva aurea con la quale finanziò lo sviluppo dell’industria e dell’agricoltura. Tutte
gli anticattolici d’Europa salutarono in lui il
principe illuminato che avrebbe potuto tenere testa agli Asburgo e alla Chiesa di Roma.
La Serenissima Repubblica veneta, minacciata su più fronti dagli Asburgo e dal Papato, si
premurò di stringere un patto di alleanza con
la Francia garantendosi i collegamenti con
essa attraverso i passi grigioni e la Svizzera.
I riformati svizzeri erano contenti di aver un
re amico sul quale, all’occorrenza di un attacco, potevano fare assegnamento. Gli unici
a non essere allegri erano i Ginevrini che, pur
considerando Enrico IV, nonostante l’abiura,
il primo monarca di fede calvinista, sapevano
che la ragion di Stato gli imponeva di fare
gli interessi della Francia che, per quanto li
riguardava, cozzavano contro quelli della
loro città.
L’Escalade
Uno degli interessi primari di Enrico IV era
la liberazione di Marsiglia con il suo importante porto, che Carlo Emanuele I di Savoia,
alleato della Spagna, aveva occupato nel
1590, al tempo degli scontri di religione. Per
riavere quell’importante piazza commerciale,
Enrico IV intraprese una nuova guerra con
Enrico IV di Borbone il Grande (1553-1610), in
un ritratto d’epoca di Frans Pourbus il Giovane
(1569-1622)
focare tutte le cospirazioni dei nobili e dei
cattolici spalleggiati dagli Asburgo, contro i
quali lanciò una nuova guerra che avrebbe
avuto come campo di battaglia anche i Grigioni e il loro baliaggio della Valtellina. L’azione del nuovo monarca francese in campo
economico sembra ispirarsi alla Della ragion
di Stato di Giovanni Botero (1544-1617),
uscita a Venezia, nel 1589, lo stesso anno
cioè della sua designazione al trono. Botero,
dopo aver bollato come «rea e falsa» la teoria machiavelliana sullo stesso argomento
e rivalutato la morale e la religione come
strumenti di governo, proponeva una ferma
lotta alle eresie, che comportavano dissidi tra
i sudditi. Per lui lo Stato doveva essere confessionale e la garanzia dell’ortodossia spettava alla Chiesa. A Enrico IV interessavano di
più le teorie di Botero, che, ancora una volta,
in opposizione a Machiavelli, davano molta
importanza all’economia e alla demografia
come criterio per la valutazione dell’importanza di uno Stato. Prendendo ad esempio
la Spagna, grande paese per estensione dei
suoi domini, sui quali, a detta di Carlo V, non
tramontava mai il Sole, e per le immense
risorse coloniali, Botero sosteneva che, con
il passare del tempo, era un Paese destinato
a impoverirsi sempre di più, perché incapace di promuovere le industrie, i commerci e
l’agricoltura, cioè non creava ricchezza per il
popolo, ma erano solo i nobili ad arricchirsi
sempre più. Il futuro sarebbe stato allora dei
Paesi dinamici, che avrebbero investito nel
campo dello sviluppo economico e culturale dei loro popoli. Quello indicato da Botero,
52 - La Rivista maggio 2016
Carlo Emanuele di Savoia il Grande (1562-1630), ritratto d’epoca
Pianta di Ginevra all’inizio del XVII secolo, in un disegno di Matteo Merian il Vecchio del 1640 circa
la Savoia (1600), con l’intento di vincerla
per poi attrarla nella sua sfera di influenza.
Le operazioni militari, limitate a scaramucce, furono interrotte dall’intervento di papa
Clemente VIII, che si offrì da arbitro tra i due
contendenti. Il delegato pontificio Pietro Aldobrandini, riuscì a far concludere il trattato
di Lione del 17 gennaio 1601, con il quale
Carlo Emanuele I di Savoia restituiva Marsiglia e il suo territorio alla Francia, la quale gli
dava in cambio il Marchesato di Saluzzo, che
le era stato assegnano dal trattato di Pace di
Cateau-Cambrésis nel 1559.
In base al trattato di Lione, Ginevra dovette consegnare i territori del Paese di Gex, lo
Chablais, la Blesse, il Bugey e il Faucigny, che
occupava, come detto, dal 1589, al loro alleato Enrico IV, che, qualche anno prima, per
rassicurarla di quei suoi possedimenti aveva,
tra l’altro, detto: «Su questo paese io non
possiedo più diritti che sulla Castiglia», come
per dire ai Ginevrini: statevene tranquilli,
contate pure sul mio appoggio! E invece, la
ragion di Stato aveva voluto altrimenti e loro
dovettero accontentarsi «di un regime economico speciale, istituito da lettere patenti del
25 maggio 1602, che diede origine alle zone
franche». Si trattava di «un magro compenso
in cambio di una sovranità! Nel 1602, gli Svizzeri rinnovarono il trattato col Re [di Francia],
senza compiere alcuno sforzo a favore di Ginevra» (MARTIN William, op. cit., p. 101).
L’obiettivo principale raggiunto da Enrico
IV fu quello di farsi amico e alleato Carlo
Emanuele di Savoia, la cui politica da allora
in poi prese un carattere antispagnolo, un
indirizzo molto utile anche per contenere e
ostacolare la supremazia asburgica in Italia.
Approfittando dell’isolamento di Ginevra,
abbandonata da tutti, Carlo Emanuele di Savoia tentò di impadronirsene con un colpo di
mano. L’azione militare fu preparata nel segreto più assoluto per non insospettire né il
Re di Francia né i Cantoni protestanti. Nella
notte tra il 21 e 22 dicembre del 1602, con
il favore delle tenebre, le truppe savoiarde al
comando di Charles de Simiane, signore di
Albigny, si avvicinarono alle mura della città,
sicuri di coglierla di sorpresa. In effetti, 200300 soldati ducali, servendosi di lunghe scale
(donde il nome di Escalade dato all’operazione), erano riusciti a superare la muraglia
della Corraterie per facilitare, poi, da dentro,
l’invasione del grosso del contingente, attraverso la Porta nuova. Isaac Mercier, un soldato di guardia, riuscì, però, a calare in tempo
la saracinesca e a dare l’allarme. Svegliati di
soprassalto, i Ginevrini si riversarono armati
per le strade, ingaggiando una violenta difesa, strada per strada. I combattimenti infuriarono per quasi due ore, mentre il folto del
contingente savoiardo, rimasto fuori le mura,
era costretto a sentire le invocazioni di aiuto
dei loro commilitoni. Alla fine dello scontro,
per le strade della città, si contarono un centinaio di morti di cui solo 17 erano i difensori. Enrico IV impose allora delle trattative
con i buoni uffici di Glarona, Basilea, Soletta, Sciaffusa e Appenzello, cioè dei Cantoni
meno implicati nello scontro religioso interno
alla Confederazione. I negoziati, iniziati il 21
marzo, si conclusero il successivo 21 luglio
con la firma della Pace di Saint-Julien, con la
quale, il duca Carlo Emanuele, riconoscendo
l’implicita indipendenza di Ginevra, la esentava dal pagamento dei pedaggi negli Stati
della Savoia e si impegnava a non costruire
fortificazioni né a far stazionare sue truppe
nel raggio di quattro leghe dalla città (HUBER
Lucienne, in Dizionario Storico della Svizzera,
DSS, online, alla voce Saint-Julien, pace di).
Scena dell’Escalade di Ginevra nella notte tra il 21 e 22 dicembre del 1602, da una stampa d’epoca
maggio 2016 La Rivista - 53
Nuraghe Su Nuraxi a Barùmini
Sardinien - Land der Türme
Sardegna – Territorio delle Torri
La mostra archeologica, inaugurata lo
scorso 14 aprile 2016 presso il Museo
Archeologico dell’Università di Zurigo,
sarà aperta fino al 25 settembre 2016
Una grande mostra archeologica dedicata
alla Sardegna nuragica, dal titolo Sardinien
– Land der Türme / Sardegna – Territorio delle Torri, è stata inaugurata giovedì 14 aprile
2016, presso il Museo Archeologico dell’Università di Zurigo (Archäologische Sammlung
der Universität Zürich).
La mostra, presentata per la prima volta fuori
dall’Italia, dopo i successi di Cagliari, Roma e
Milano, ospita circa 800 oggetti in bronzo, pietra e ceramica, provenienti per la maggior parte
da musei della Sardegna e frutto degli scavi effettuati negli ultimi decenni in tutta l’isola.
Obiettivo principale è quello di far conoscere
al pubblico la cultura nuragica e il patrimonio culturale della Sardegna, una delle mete
turistiche preferite dagli Svizzeri.
La cultura nuragica, che si estende dall’età
del bronzo fino alla prima età del ferro (ca.
1500 – 600 a. C.), è caratterizzata soprattutto dalle massicce e monumentali torri coniche in sasso a più piani (chiamate in sardo
nuraghe) di cui si conoscono a oggi più di
7’000 esemplari in tutta l’isola, e dalle statuette in bronzo a forma umana o di animale.
Attraverso un filo conduttore su tre temi
(il metallo, l’acqua e la pietra) il percorso
espositivo presenta ai visitatori gli aspetti
fondamentali di questa civiltà: l’architettura,
il mondo del sacro e quello funerario, le tecnologie edilizie (in particolare quelle idrauliche), la società, l’economia, il territorio, la
metallotecnica e l’arte. Uno spazio di rilievo è
riservato al paesaggio sardo, in particolare ai
grandi monumenti statuari in pietra provenienti da Mont ‘e Prama vicino a Cabras, una
delle più importanti scoperte archeologiche
fatte in Italia negli ultimi anni.
Un’applicazione 3D su schermo gigante, consente di ammirare in mostra queste statue di
guerrieri e pugili di grandezza colossale.
Statuetta di cervo in bronzo da Esterzili, Domu
de Orgìa
terra di torri
54 - La Rivista maggio 2016
Navicella in bronzo della cultura nuragica da
Padria, Badde Rupida
Entrata libera
orari:
martedì-venerdì 13-18
sabato e domenica 11-17
lunedì e festivi chiuso
Indirizzo:
Institut für Archäologie und Archäologische
Sammlung der Universität Zürich,
Rämistrasse 73, 8006 Zürich
Visite guidate:
ultimo martedì del mese alle ore 17.15 o su
richiesta
Statua di pietra da Mont’e Prama
Marcel Duchamp: la geniale Boîte-en-valise, esposizione miniaturizzata ambulante delle sue prime opere
Fino al 26 giugno al
Museo comunale
d’Arte Moderna di
Ascona
di Augusto Orsi
Marcel Duchamp.
Dada e neo-dada
Lo spirito Dada, (parola che secondo i critici d’arte non vuol dire nulla) del nonsense, dello
sconvolgimento dei generi, del divertissement puro, della provocazione, e della dissacrazione
dell’arte paludata, “pompier” e dei musei tombali, fortunatamente esiste ancora.
Prodotti significativi e rappresentativi creati dal dadaismo, dal New Dada, di estrazione statunitense e dalla corrente Fluxus, che si ispira al dadaismo, possono essere visti, ammirati e
manipolati al Museo comunale d’Arte Moderna di Ascona fino al 26 giugno nella brillante,
divertente ed “esuberante” esposizione ‘Marcel Duchamp. Dada e neo-dada’, organizzata in
collaborazione con lo Staatliches Museum di Schwerin (Germania), che ha collaborato alla
creazione della mostra e ha prestato opere di Marcel Duchamp, pontefice del movimento, che
conobbe la notorietà solo al ritorno dagli Stati Uniti, dove il Dadaismo attecchì rigogliosamente
generando, anche la Pop Art.
Creazioni iconiche
Marcel Duchamp: Nu descendant un escalier
Com’è ormai noto, il Dadaismo, movimento
rivoluzionario, inizialmente letterario, che
coinvolse rapidamente tutte le espressioni
creative è nato nel Cabaret Voltaire di Zurigo
cento anni fa.
Nelle arti plastiche, quasi immediatamente
si apparentò al Cubismo, il primo e il più
importante movimento artistico d’avanguardia sorto intorno al 1907 con Braques,
Picasso ed altri artisti operanti a Parigi,
mentre nel campo letterario sfociò nel
surrealismo di Breton e nei Calligrames di
Apollinaire.
Precursori della provocazione per il loro stile
di vita bohémien, sono anche da considerare
Rimbaud e Verlaine, che, tra l’altro, alla Gare
di Lyon, dopo essersi spidocchiati lanciavano
gli abominevoli insetti sui passeggeri in attesa dei treni!
Danno il là alla mostra asconese alcune creazioni iconiche di Marcel Duchamp quali la
Gioconda di Leonardo da Vinci trasformata
in un “amusant portrait” dadaista, il surreale
ante litteram “Nu descendant un escalier’, un
condensato di contraddizioni della razionalità, i Tabliers de la ‘blanchisseuse’, che oggi
potrebbe essere anche uno spot pubblicitario, ma soprattutto la geniale Boîte-en-valise, esposizione miniaturizzata ambulante
delle sue prime opere, che nel suo viaggio
iniziatico per negli Stati Uniti, portò come
bagaglio a mano.
In mostra, non meno importanti, sono i pastiches visivo-verbali, ma allo stesso tempo “concettuosi” di alcuni artisti di Fluxus,
gruppo ancora attuale, comprendente artisti
internazionali come George Maciunas, Nam
June Paik, Emmett Williams, Dick Higgins,
Robert Filliou, Daniel Spoerri, e lo spiazzante
e brillante Ben Vautier con folgoranti scritte
pubblicitarie di sentimenti quali “I’m sad”,
“I’m bad” ed altre.
Marcel Duchamp: la Gioconda di Leonardo da Vinci trasformata in un “amusant portrait” dadaista
Un’arte di rottura
Il rivoluzionario Duchamp, considerato fra i
più importanti e influenti artisti del XX secolo animò dadaismo e surrealismo, iniziando,
l’arte concettuale con i suoi ready-made e
gli assemblaggi, e ispirò la pop art, il Fluxus,
fino alla Net e alla Mail art. La sua fu un’arte
di rottura, la cui influenza diede senso alle
avanguardie sviluppatesi nel secolo scorso.
maggio 2016 La Rivista - 55
Biografie in
filigrana
Le Corbusier, progetto Immeuble-Villas, 1922
di Giuseppe
Muscardini
Le Corbusier sulla
banconota da 10 franchi
Nell’immagine sul fronte della banconota da 10 franchi Le
Corbusier ha lo sguardo attento e gli occhiali alzati sulla
fronte. Pare volgere la mente agli anni dei primi successi:
all’età di quindici anni conseguì un premio all’Esposizione
di Arti Decorative di Torino del 1902.
L’Italia del giovane Charles-Eduard
La nascita per così dire “accidentale” a La-Chaux-de-Fonds nel 1887 (da
padre francese e madre belga), suona come indizio di predestinazione
per il giovane Charles-Edouard-Jeanneret-Gris, che all’età di trent’anni
adotterà lo pseudonimo di Le Corbusier. Qui frequenta la Scuola d’Arte
affinando le proprie abilità pittoriche e conseguendo un soddisfacente
Ritratto fotografico di Le Corbusier
riscontro nel 1902 quando si aggiudica, appena quindicenne, un premio per aver presentato
all’esposizione di Arti Decorative di Torino il
prototipo di un orologio da taschino. All’Italia
resterà legato fin da questa prima fase della sua
formazione, visitando dal 1907 le città venete
e toscane alla ricerca dei moduli architettonici del Rinascimento, che studia con lo stesso coinvolgimento di chi nutre l’ambizione di
percorrere strade nuove. L’utilizzo del cemento
armato, già sperimentato dal parigino Auguste
Perret, suo datore di lavoro all’epoca del soggiorno nella capitale francese, rappresenta una
strada nuova che il giovane intraprende con entusiasmo, aprendo uno studio di architettura in
Rue de Sèvres. La fortuna gli arride, perfeziona
la conoscenza e l’applicazione del materiale da
costruzione più innovativo, progettando e costruendo ben settantacinque edifici in diverse
nazioni e lavorando nel contempo ad importanti progetti urbanistici. Trasferitosi nel 1946
a New York, Le Corbusier si spegne nell’estate
del 1965 a Roquebrune-Cap-Martin, località
turistica della Costa Azzurra.
56 - La Rivista maggio 2016
Gli occhiali di Le Corbusier
A prima vista sembrerebbe ingenerosa la
valutazione di Marcel Proust sulle potenzialità espressive della fotografia: La fotografia acquista un po’ della dignità che le
manca quando cessa di essere una riproduzione della realtà e ci mostra cose che
non esistono più. È ingenerosa perché le
“cose” realizzate da Le Corbusier in realtà
esistono ancora, e a giudicare dall’interesse
Biografie in filigrana
Mentre nella Confederazione si dibatte, talvolta in modo acceso, sulle nuove banconote
che la Banca Nazionale Svizzera sta mettendo in circolazione (quella di 50 franchi è già
disponibile e ‘naturalmente’ al centro di polemiche relative alla grafica, alla presunta fragilità) il nostro collaboratore ha deciso di “circostanziare il valore culturale e sociale che la
Banca Nazionale Svizzera ha opportunamente riconosciuto alle personalità svizzere effigiate sulle banconote da 10, 20, 50, 100, 200 e 1000 franchi: Le Corbusier, Arthur Honegger,
Sophie Taeuber-Arp, Alberto Giacometti, Charles-Ferdinand Ramuz e Jacob Burckhardt.”
Considerando che le motivazioni culturali che hanno portato alla scelta delle personalità raffigurate nella serie divisionale sono già state illustrate al momento dell’emissione delle banconote,
Muscardini sceglie un approccio originale soffermandosi “sulle influenze esercitate dalla cultura
italiana sulle rispettive esperienze biografiche e sulla produzione di ogni singolo personaggio”. A
tal proposito ha deciso di trattare “i sei tagli delle banconote attualmente in circolazione - con le
rispettive immagini elaborate e realizzate dal graphic designer zurighese Jörg Zintzmeyer (19472009) - in sei articoli”. Che appariranno a partire da questo numero nella serie Biografie in filigrana.
che destano negli studiosi più qualificati,
resteranno a lungo, sia come rappresentazione di moduli spaziali appropriati, sia
come arredi di un paesaggio urbano che
raggiungono dignità anche per l’eccellenza
della raffigurazione dei fotografi. Ma certo il giudizio di Marcel Proust riguarda le
cose e non gli uomini, perché se così non
fosse avremmo difficoltà a comprendere
l’immediatezza dell’espressione di Le Corbusier nell’immagine elaborata e realizzata
dal graphic designer zurighese Jörg Zintzmeyer (1947-2009) sulla banconota da 10
franchi, che è parte dell’ottava serie emessa
nel 1996 dalla Banca Nazionale Svizzera.
Il ritratto è mutuato da una fotografia in
bianco e nero e restituisce di Le Corbusier
una posa abituale, con quel vezzo di portare
per praticità gli occhiali rotondi sulla fronte,
in attesa di usarli. L’osservatore, lo studioso,
il pittore, il poeta, il designer e l’architetto
illustre che guardava il mondo alzando di
tanto in tanto gli occhiali di tartaruga sulla
fronte per dare una pausa alla mente vigile,
aveva anche degli umanissimi franamenti, inducendolo talvolta ad esprimersi con
amarezza: Ho nel mio animo del bianco e del
nero; sento dell’oscuro nella mia luce, e avverto che qualcosa di tragico e aspro dimora
in me. Altre volte era l’ironia a connotare
un più edificante stato d’animo, così come
traspare dai suoi sapidi aforismi: L’arte del
decoratore consiste nel fare nelle case altrui
quello che non si sognerebbe mai di fare nella propria. Eppure quell’ironia stava a significare che la casa dell’uomo deve rispondere
a criteri razionali e soddisfare nella semplicità le esigenze di chi la abita. La Maison de
l’homme di Zurigo mantiene quelle caratteristiche di semplicità e funzionalità a cui
il grande architetto e urbanista si ispirava;
così come le mantiene la Maison Blanche
di La-Chaux-de-Fonds, realizzata tra il 1911
e il 1912 e oggi patrimonio dell’Unesco, a
testimonianza del radicale rinnovamento
operato da Le Corbusier nelle tecniche costruttive del Novecento.
Moduli austeri e monastici, nel
ricordo delle Certose italiane
Aveva 25 anni quando disegnò interamente gli spazi interni ed esterni della Maison
Blanche, arredi compresi, misurandosi fin
da allora con la duttilità di materiali nuovi come il linoleum e l’eternit, e sposando
concezioni rivoluzionarie in fatto di moduli
costruttivi. Abolì dal suo progetto i tradizionali muri maestri, sostituendoli con quattro
pilastri di cemento. Ne scaturì una concezione architettonica meno sacrificata, permettendo nel tempo di variare liberamente
la disposizione dei muri senza intoppi per
la statica dell’edificio, nonché di aumentare il senso di abitabilità degli spazi interni.
Scriveva a questo proposito: La mia stanza
ha l’austerità e la nudità di una clinica o di
un monastero. Si legge in questa affermazione la sintesi di una visione estetica e
funzionale derivante dallo studio dei luoghi
di culto italiani, come la Certosa del Galluzzo a Firenze, visitata da Le Corbusier nel
1907. Innegabile poi l’influenza italiana
nel progetto de l’Immeuble Villas, moderno
edificio residenziale parigino del 1922 che
l’architetto svizzero interpretò nel rispetto
dei modelli adottati per le celle certosine. I
disegni allegati al progetto ne svelano le intenzioni: moduli equidistanti, giustappunto
austeri e nudi, intercalati da spazi comuni
idealmente associati ai chiostri conventuali.
Nella sua inarrestabile formazione non potevano passare inosservati i luoghi religiosi
italiani, così come le piazze e gli edifici storici romani, di cui produsse schizzi e disegni preparatori. Esperienze raccolte in ben
sedici viaggi compiuti in Italia dal 1907 a
poco prima della morte. In consonanza con
il purismo formulato dall’architetto e designer svizzero, sul retro della banconota da
dieci franchi lo sfondo è occupato dai disegni allestiti per l’assetto della città indiana
di Chandigarh. Ma vi figura anche il celebre modulor, il sistema di proporzioni da lui
ideato per l’architettura, che fissava a 182,9
centimetri il parametro per l’altezza umana
nella progettazione degli spazi abitativi.
Fronte e retro della banconota da 10 franchi
maggio 2016 La Rivista - 57
La Rsi allo specchio
delle opinioni dei cittadini
della Svizzera italiana
Il 14 giugno 2015, la modifica della Legge radiotv
è stata accettata di stretta misura con il 50,1%
di voti favorevoli. 19 Cantoni hanno respinto la
riforma. In Ticino il fronte dei No ha raggiunto il
52%. Nel Cantone dei Grigioni si sono affermati i
Sì con il 50,8% dei voti.
Su mandato della CORSI e della RSI, l’Osservatorio della vita politica regionale dell’Università
di Losanna è stato incaricato di approfondire le
ragioni del voto e di raccogliere le opinioni sulla SSR/RSI presso un campione di pubblico nella
Svizzera italiana.
I risultati dello studio si possono consultare su
www.unil.ch/ovpr
L’Osservatorio della vita politica regionale dell’Università di Losanna ha presentato a Comano i risultati di
uno studio realizzato su mandato CORSI (Società cooperativa per la Radiotelevisione della Svizzera di lingua
italiana) e RSI per capire le ragioni del voto del 14 giugno 2015 sulla modifica della legge federale sulla radiotelevisione (LRTV) e, più in generale, per analizzare le
opinioni dei cittadini verso la RSI e il servizio pubblico.
Lo studio si è avvalso di un’inchiesta d’opinione rappresentativa realizzata nel settembre 2015 presso 1’790
cittadini del cantone Ticino e del Grigioni italiano.
Per usare paghi
Secondo l’inchiesta OVPR, le tendenze emerse nella Svizzera italiana sono in parte simili a quelle identificate dall’analisi VOX sul piano nazionale. Fra le motivazioni addotte dai
sostenitori della modifica ha prevalso il principio secondo
cui “ognuno deve pagare, perché ognuno può utilizzare la
RTV”. Tra gli oppositori alla riforma, nella Svizzera italiana è
prevalso l’orientamento secondo cui “non tutti utilizzano la
58 - La Rivista maggio 2016
RTV, quindi non tutti devono pagare”, più di quanto rilevato
dall’analisi VOX nazionale (41% vs 32%). I votanti vicini
alla Lega e all’UDC tendono ad avere rifiutato la modifica
della LRTV, mentre i votanti vicini al PLR e al PPD, e in misura ancora maggiore al PS e ai Verdi, l’hanno sostenuta.
Chi si colloca a destra o nel centro-destra tende ad essersi
opposto alla modifica. Chi ha meno fiducia nel Consiglio
federale e si ritiene meno soddisfatto dall’offerta radio-televisiva della RSI tende a collocarsi fra i contrari della riforma. L’indagine svolta nella Svizzera italiana mostra inoltre
che chi non segue mai né i canali televisivi né i canali radio
della RSI ha respinto a larga maggioranza la modifica legislativa (rispettivamente con il 71,7% e il 62,2% di No).
Tendenze in chiaro-scuro
Al di là del voto, le valutazioni verso la RSI e il servizio
pubblico emerse dall’inchiesta mostrano tendenze in chiaro-scuro. Da un lato, la fiducia nelle televisioni e radio
pubbliche RSI appare maggiore di quella nei confronti della
stampa, dei giornalisti in generale, nonché delle televisioni
e radio private. I ¾ degli interpellati considera l’offerta radiotelevisiva della RSI abbastanza o molto adeguata, quasi
9 su 10 condividono abbastanza o molto l’opinione secondo
cui “i programmi d’informazione sono equilibrati e permettono di farsi un’idea chiara dell’attualità”, mentre l’83,6%
concorda, abbastanza o molto, con l’affermazione per cui
“nell’informazione, i giornalisti della RSI dimostrano oggettività ed equilibrio”. Se l’84,1% ritiene che “la Svizzera italiana ha diritto, come le altre due regioni linguistiche a due
canali tv e tre canali radio”, l’82,5% concorda con l’opinione “bisogna tutelare e difendere la RSI come secondo datore
di lavoro più importante della Svizzera italiana”. Dall’altro,
non mancano elementi di criticità: il 67,6% si dice abbastanza o molto d’accordo con l’opinione secondo cui “la
politica è spesso presentata in modo tendenzioso”; il 72,2%
tende inoltre a ritenere che “l’informazione lasci troppo
spazio all’internazionale e non pone abbastanza l’accento
sui fatti locali”; una forte minoranza (46,8%) ritiene inoltre
che “la RSI dispone di troppe risorse economiche che non
sa gestire e sfruttare”, mentre il 52,3% degli intervistati si
dice abbastanza o molto d’accordo con l’opinione per cui
“i giornalisti e in generale i dipendenti della RSI godono di
troppi privilegi”. Infine, più del 76% dei rispondenti ritiene
che la RSI debba “migliorare il contatto con il pubblico della
Svizzera italiana”.
Lo studio illustrato
dal presidente della Corsi
e dal direttore dell’Osservatorio
dell’Università di Losanna
Nell’intervista che segue, alcuni punti dello studio, le
ragioni che lo hanno determinato, la sua attualità vengono affrontati dalla prospettiva del presidente della
CORSI Luigi Pedrazzini, e del direttore dell’Osservatorio
dell’Università di Losanna Oscar Mazzoleni.
Luigi Pedrazzini:
capire meglio le motivazioni,
elaborare informazioni
In qualità di Presidente della CORSI, ci può
spiegare come è nata l’iniziativa di svolgere
un sondaggio sul voto del 14 giugno 2015
nella Svizzera italiana?
L’esito del voto nella Svizzera italiana ha suscitato commenti sia nella nostra regione che nel resto della Svizzera.
C’è chi ha detto e scritto che la maggioranza degli svizzero italiani ha voluto “sanzionare” la RSI, chi ha affermato
(oltralpe) che gli svizzero italiani non tengono più di tanto
alla “loro” radiotelevisione, chi, ancora, ha commentato il
voto sostenendo che si è rifiutata una nuova tassa… A noi
è sembrato importante capire meglio le motivazioni, per
raccogliere informazioni da elaborare costruttivamente per
svolgere la nostra missione di rappresentanti del pubblico.
Perché vi siete rivolti all’Università di Losanna?
Perché all’interno di questa università opera l’Osservatorio della politica regionale diretto dal prof. Oscar Mazzoleni, che ben conosce la nostra realtà e che a più riprese,
con i suoi collaboratori, ha dato prova di grande professionalità, competenza e indipendenza.
Dal sondaggio emerge che il numero di
cittadini che esprime poca fiducia nella RSI
è esiguo anche fra chi ha votato No alla
revisione della legge sulla radiotv. Tenuto
conto delle vicende e delle polemiche degli
ultimi due mesi lo studio sembra arrivare nel
momento più opportuno, quasi ad assolvere
la RSI dalle critiche interne ed esterne. Allora,
“tous va bien Madame la Marquise”?
Lo studio è stato commissionato prima della “bufera” che
ha investito la RSI e la sua pubblicazione non ha lo scopo
di calmare le acque. È vero che alcune conclusioni divergono in parte da cose che sono state dette e scritte nelle
ultime concitate settimane. Io penso che si tratti oggi di
prendere atto innanzitutto che il voto negativo sulla modifica della riscossione del canone non è stato determinato
da un diffuso sentimento anti-RSI. C’è fiducia nell’azienda
e agli svizzeri italiani importa molto del suo futuro e della
futura offerta SSR. Queste constatazioni sono di stimolo
per affrontare con decisione i problemi e le tensioni emersi recentemente e per ulteriormente lavorare sulla qualità
dell’offerta. L’esito del sondaggio deve portare la direzione
della SSR e della RSI, così come la CORSI (per quelle che
sono le sue competenze), a darsi da fare per non disperdere
un capitale così importante di credibilità!
I risultati dello studio evidenziano come buona
parte degli intervistati che percepiscono come
tendenziosa l’informazione alla RSI siano vicini
alle posizioni di Lega e UDC. Si tratta di una
fascia di pubblico di cui tenere conto e che alle
urne può fare la differenza. Cosa dice loro?
Cercare l’oggettività è il compito di ogni giornalista serio.
Per i collaboratori della RSI questo à ancora più importante perché il loro lavoro è finanziato dal canone, che
con il nuovo sistema sarà pagato da tutti. Indipendenza e
neutralità e essere pronti a discutere apertamente del pro-
maggio 2016 La Rivista - 59
prio lavoro soprattutto con chi lo critica e lo
considera tendenzioso è oggi un atto dovuto.
Nella misura in cui questo discorso interessa
la CORSI, siamo pronti a fare la nostra parte
a beneficio di tutte le aree di pensiero. Mi si
consenta però di aggiungere che il risultato
finale non deve essere una RSI che si lascia
condizionare e rinuncia a lottare per una
comunicazione completa e trasparente! Alla
CORSI sta a cuore l’oggettività, e allo stesso
modo anche la professionalità e l’indipendenza dei giornalisti RSI.
L’80% degli intervistati concorda sul
fatto che il servizio pubblico di qualità
ha i suoi costi. Contemporaneamente
l’84% è convinto che l’informazione
non debba dipendere da interessi
commerciali, quindi debba essere
finanziata con fondi pubblici. Se
nel 2018 il canone venisse davvero
abolito, come si potrebbero conciliare
queste due posizioni?
Sarebbero di fatto inconciliabili ! Bene perciò capire, come sembra essere il caso per la
maggioranza degli svizzero italiani, che l’esistenza di un servizio pubblico radiotelevisivo
ha, fra gli altri, lo scopo di garantire una voce
giornalistica indipendente e di qualità ed è
comunque soggetto, a differenza di entità
private, a una vigilanza istituzionale.
La CORSI come intende utilizzare
i risultati di questo studio? Pensa
che potrà modificare alcune lacune
rimproverate alla RSI?
La CORSI è ponte fra la RSI e la Svizzera italiana. Questo studio è fonte di molte informazioni da far transitare sul “ponte”, non tanto per
modificare lacune ma per avere una RSI che
conosce a fondo le aspettative del suo pubblico
e che è capace di considerarle nella sua offerta
mantenendo al contempo un respiro nazionale.
Oscar Mazzoleni:
Un’inchiesta di
opinione è sempre
un’istantanea ma…
Lei è direttore dell’Osservatorio
della vita politica regionale
dell’Università di Losanna e nel
contempo è membro del Consiglio
regionale della CORSI. Non pensa
che l’aver accettato di svolgere
questa inchiesta possa comportare
un conflitto di interessi?
Il mandato è stato attribuito all’Università
di Losanna e non al sottoscritto. Il CR della
CORSI, di cui faccio parte, non è stato chiamato in alcun modo a pronunciarsi in merito
all’opportunità di attribuire questo mandato.
60 - La Rivista maggio 2016
Non è stato quindi nemmeno necessario ricusarmi (cosa che ovviamente avrei fatto).
Nel collaborare allo svolgimento del mandato sono stato chiamato a rappresentare
prima di tutto l’Università e a rispettare le
sue regole di autonomia e di deontologia
scientifiche. Anche quando nel passato lavoravo in un dipartimento nell’amministrazione
cantonale ticinese - ovviamente targato politicamente - ho sempre fatto prevalere l’autonomia scientifica alla partigianeria.
Il sondaggio è finanziato dalla
CORSI e dalla RSI per un ammontare
di poco meno di 50.000.- fr. Non è
un costo eccessivo?
L’Università ha un proprio tariffario. Per un’indagine di questa ampiezza e qualità (circa 180
domande con un campione rappresentativo di
1790 persone) si tratta di un prezzo certamente concorrenziale in Svizzera. Tenga conto
che l’inchiesta è “chiavi in mano”, nel senso
che tutti i costi sono compresi, dalla raccolta
alla digitalizzazione dei dati, fino all’analisi e
alla elaborazione del rapporto di ricerca. Inoltre, con questo tipo di mandati l’Università di
Losanna chiede, nel far valere la propria reputazione d’istituzione accademica, che il committente si assuma una parte dei costi fissi
dell’infrastruttura (overheads).
Come si è svolto il lavoro?
Una parte dei lavori è stata svolta dalla
nostra équipe di Losanna, con l’aggiunta
di una studentessa. Andrea Pilotti, Carolina
Rossini e Virginie Debons hanno assicurato
l’elaborazione dei dati statistici e la redazione del rapporto di ricerca. Personalmente, ho supervisionato il tutto. I compiti che
abbiamo potuto o dovuto esternalizzare
(spedizioni, tipografia, digitalizzazione)
sono stati svolti facendo capo a ditte e persone attive nella Svizzera italiana.
Dopo le vicissitudini che ha
attraversato la RSI negli scorsi mesi,
questo sondaggio resta sempre
attuale? Altrimenti detto, se si
dovessero porre oggi le medesime
domande al pubblico, il risultato
sarebbe verosimilmente lo stesso?
Difficile fornire una risposta generale. Un’inchiesta di opinione è sempre un’istantanea e
le opinioni sono suscettibili di cambiamento
in funzione del mutamento del clima generale e, nel caso di un voto, dei contenuti della
campagna. È bene comunque distinguere le
opinioni fra loro. È probabile che l’opinione da molti condivisa ancora nel settembre
2015 dell’esistenza di privilegi particolari dei
dipendenti RSI non avrebbe lo stesso tenore
oggi. Altre opinioni, meno toccate dall’attualità, che attivano valori o principi di fondo
condivisi dalle persone, possono rimanere
attuali, come ad esempio quella che riguarda
il diritto ad un’offerta comparabile in tutte le
principali regioni linguistiche del paese.
Fino a che punto l’appartenenza
a aree politiche condiziona la
percezione del servizio pubblico nella
Svizzera italiana? Da politologo,
ritiene che sia inevitabile?
A livello svizzero, con il sondaggio Vox, nella
Svizzera italiana, con la nostra inchiesta, abbiamo visto che il voto del 14 giugno è stato
segnato in modo rilevante dalle appartenenze
politiche. Che lo si voglia o no, quello del canone radiotv è un tema politicizzato. Occorre però
capire come il dibattito sul servizio pubblico
che si annuncia a breve potrà essere letto come
una questione che divide il centro-destra dal
centro-sinistra. Nulla è scontato, anche perché
abbiamo rilevato che una parte dei cittadini non
ha ancora un’opinione chiara su alcune questioni significative, comprese quelle legate al funzionamento delle aziende di servizio pubblico.
Sequenze
di Jean de la Mulière
A Hologram
for the King
The Man Who
Knew Infinity
Mountains
May Depart
di Tom Tykwer
di Matt Brown
di Jia Zhang-ke
Alan Clay è un cinquantenne americano, divorziato, ha una figlia da mantenere a cui
vorrebbe garantire il pagamento delle tasse
per il college. La crisi dei mercati e della sua
vita privata l’ha lasciato stremato. La sua
unica chance di rimettere in sesto le sue
finanze e di garantire un futuro alla figlia
si chiama re Abdullah, il un monarca miliardario visionario che vuol realizzare una
città ipertecnologica in un’immensa oasi in
mezzo al nulla destinata a diventare la città
del futuro. Il compito di Alan è difficilissimo.
Deve convincere re Abdullah ad acquistare
la sua mirabolante invenzione. Un ologramma in grado di far apparire chiunque in 3D,
direttamente nella tenda del sovrano. Ma
cosa succede se il re tarda ad arrivare? Se
i funzionari rimbalzano Alan da un ufficio
all’altro? L’esilio rischia di diventare interminabile. E mentre cerca disperatamente
di evitare l’ennesimo fiasco della sua vita
con la bella dottoressa Zahra Hakem, Preso
dal panico di trovarsi di fronte all’ennesimo
fallimento, Alan, trovandi ad affrontare una
situazione in cui non ha più nulla da perdere, scopre però che lì in mezzo al deserto,
fra tutti gli imprevisti, gli incontri, i disagi la
vita può essere vissuta e affrontata anche
partendo da altri presupposti.
Liberamente tratto dall’omonimo libro di
Dave Eggers il film ci fornisce una sua tragicomica interpretazione del sogno Americano. Proiettato in anteprima al Tribeca Film
Festival il 20 aprile, il film rappresenta una
novità assoluta poiché per la prima volta
tratta la realtà aumentata e gli ologrammi non come conseguenza di uno scenario
futuristico o distopico, ma come tecnologie
ben inserite in un presente analogo a quello
in cui viviamo.
Presentato al Festival del Cinema di Toronto e
lo scorso settembre a quello di Zurigo arriva
nelle sale il film di Matthew Brown, che racconta le vicende del matematico indiano Srinivasa Ramanujan.
Srinivasa Ramanujan (nel film interpretato da
Dev Patel), nato nel 1887 nella regione indiana
di Madras, è celebre per aver formulato diverse
teorie matematiche molto complesse, pur non
avendole mai dimostrate formalmente. Fattosi
notare da uno dei suoi datori di lavoro, venne
messo in contatto con l’Università di Cambridge dove si ritrovò a collaborare con il professore G.H. Hardy (interpretato sullo schermo da
Jeremy Irons). Un’accoppiata curiosa e segnata
da numerosi problemi: da un lato, i metodi
discordanti dei due uomini (Ramanujan rifiutava di capire l’importanza della verifica delle
tesi prima che queste fossero pubblicabili);
dall’altro, l’atteggiamento snobistico e razzista
dell’élite di Cambridge, ancora convinta che
l’India non fosse degna di grandi attenzioni.
La storia di Ramanujan e la caratterizzazione
dei personaggi rendono i centoquarantotto
minuti del film piuttosto godibili, aggiungendo
un capitolo ben riuscito alla serie di film dedicati al mondo della matematica attraverso il
racconto delle menti geniali che l’hanno rivoluzionata, quali il recente La teoria del tutto
sulla vita di Stephen Hawking e l’ormai classico A Beautiful Mind su John Forbes Nash Jr.
Una bella parabola umana su un povero ragazzo indiano senza istruzione, illuminato da
una passione sconfinata per i numeri e sulla
sua avventura oltre l’oceano per dimostrare al
mondo la parità etnica tra colonizzati e colonizzatori, tra “bianchi” e “neri” e su come ha
portato un soffio di spiritualità in un mondo
impregnato di razionalismo e laicismo come la
Cambridge degli anni Dieci.
A Fenyang, nel 1999, Liangzi, operaio di una miniera di carbone, e Jinsheng Zhang, uomo d’affari ambizioso con pochi scrupoli, amano entrambi
Tao, la bella della città. Tao, cedendo al desiderio
di benessere a sorpresa alla fine sposa il ricco
Zhang e con lui ha un figlio di nome Dollar. Nel
2014, quindici anni dopo, Tao è una donna divorziata e Dollar è emigrato in Australia insieme
al padre. Nel 2025, in Australia, il diciannovenne
Dollar non parla più cinese e a malapena comunica con Zhang, ormai in bancarotta. Tutto ciò
che ricorda di sua madre è solo il nome.
Con Mountains May Depart, il regista continua il suo nuovo percorso intrapreso col precedente Il Tocco del Peccato, realizzando una
pellicola anche inevitabilmente discontinua
e disomogenea, di tre episodi concatenati dal
corso del tempo e che ci inducono tuttavia a
riflessioni complesse ed intime su ciò che sono
i nostri affetti e ricordi, comunque non cancellabili dal tempo e dal destino avverso.
Un mélo lungo 25 anni in cui tratteggiare
l’ennesima urgente riflessione sulla Cina tra
ieri, oggi e domani. Un cinema ambizioso ma
generosissimo, una continua matrioska di sorprese e idee.
Amarissimo e nostalgico, il film è un ulteriore ottimo ed imprescindibile tassello di una
saga familiare governata da scelte imprudenti
ed infelici e da individui che cercano delle risposte, sapendo già di non avere il tempo per
ottenerle, almeno nella totalità. Lo conferma
anche un finale che strappa il cuore. Rimette
al centro del discorso Tao, ricordandoci che è
stata lei la vera protagonista sin dall’inizio. Il
suo nome in cinese significa “grandi onde”. Il
film inizia proprio col rumore delle onde del
mare, che si scontrano contro le montagne,
che resteranno nell’identità di un paese anche
se spariranno per sempre.
maggio 2016 La Rivista - 61
Il 18 maggio al
Kongresshaus di
Zurigo
L’unico concerto
svizzero di Paolo Conte
Alle soglie degli 80 (li compirà il prossimo 6 gennaio), mentre alcuni suoi
colleghi più giovani abbandonano la
scena (Ivano Fossati e Francesco Guccini per restare nel solco del cantautorato italiano), lui non si nega (e soprattutto,per fortuna nostra, non ci nega)
l’ennesima tournée.
Pochi concerti, come suo solito, che lo
porteranno in questo mese di maggio,
il 18 per la precisione, al Kongresshaus
di Zurigo, prima di approdare a Bregenz
il 6 e il 9 giugno e a Barcellona il 28.
Sarà perché l’Avvocato (con Gianni
Agnelli condivideva l’antonomasia)
nato ad Asti il 6 gennaio del 1937)
e votato alla musica fin dal 1974 (di
quell’anno è il suo primo album, Paolo
Conte, ma già prima aveva scritto per
altri interpreti), non intende andare in
pensione: «Ci sono artisti che desiderano morire in scena, altri che se la sentono di praticare la difficile arte di fare i
pensionati. Ma poi, di notte, col favore
delle tenebre, la musica potrebbe bussare alla porta...».
Dopo quasi 50 anni di carriera – fa
specie che già nel 1983 il Club Tenco
lo avesse insignito del Premio alla carriera - continua deliziare le orecchie
più raffinate con la sua musica e le
sue canzoni (vere proprie poesie attraversate da folgoranti intuizioni) in cui
confluiscono, in sontuoso amalgama,
i ritmi sincopati e ricercati del jazz e
quelli vibranti e sensuali della musica
latinoamericana.
Musica e testi di non sempre facile approccio ed immediata comprensione,
eppure popolari ed apprezzati anche
dal grande pubblico e al di fuori dei
confini italiani, dove il cantautore si
esibisce cantando in italiano (talvolta
alternando il dialetto genovese) con
qualche ammiccamento, più che altro
62 - La Rivista maggio 2016
sotto forma di calembour, al francese.
Ci sta che Paolo Conte sia amato dai
francesi, tanto evidente è la sua parentela artistica con il filone colto degli
chansonniers. Sorprende, ma solo come
primo riflesso, che goda di fama anche
presso i tedescofoni e gli anglofoni: ma
qui evidentemente più della parola può
la musica. Irrilevante forse, nello specifico, che la “lucertola non sia il riassunto del coccodrillo”; rilevante invece
che “il tango sia il riassunto di una vita”.
È di due anni fa il suo ultimo album,
il sedicesimo, (al quale si sommano i
cinque live e un paio di best of). Il titolo è di quelli che (come il tango?)
riassumono una vita artistica. Snob,
allude al personaggio che porta in sé
le qualità di una persona “non ordinaria” come lo sono - chiarisce l’autore
- gli intellettuali, gli snob e i dandy;
categoria, quest’ultima, a cui Conte
ha dichiarato di sentirsi più vicino:
“in quanto il dandy è più puro e più
profondo. Lo snob è più raffinato, ma
anche più superficiale”.
Sono quindici brani originali che compongono il disco. Scritti e arrangiati nel
consueto stile dell’autore. La chiave interpretativa dell’opera risiede nella ricerca (più suggerita che mostrata) di
una critica al “modus vivendi” contem-
poraneo. Non a caso, in una recente intervista, l’artista evidenzia il desolante
quadro della realtà italiana, in particolare sotto il profilo culturale: “Noto
che c’è un momento debole dal punto di
vista musicale e letterario. I “cantautori
storici” che ho conosciuto e che sono
venuti prima di me erano tutte persone
coltissime. Oggi, invece, la gente scrive
improvvisando. Non sono ottimista ma
spero che qualcosa cambi”.
Nell’attesa, godiamoci questo artista
che continua a regalare alla musica
italiana colori e suggestioni di un sapore unico e inconfondibile.
Paolo Conte in concerto
mercoledì 18 maggio ore 20.00
Kongresshaus, Zurigo
Biglietti: CHF 160/130/100/70 (posti a
sedere numerati)
Prevendita: www.allblues.ch • www.
ticketcorner.ch • Tutti Ticketcorner,
Uffici postali, Manor, SBB • Tel. 0900
800 800 (CHF 1.19/min., tariffa rete
fissa)
Organizza: allblues in collaborazione
con LM Live Music GmbH/Aurora Production
Vinci un biglietto per il concerto di Paolo Conte
Rispondi correttamente a questa domanda:
Dove e quando è nato paolo Conte?
Invia la tua risposta entro il 12 maggio a: [email protected] e avrai la possibilità di vincere
un biglietto per il concerto che Paolo Conte terrà a Zurigo il prossimo 18 maggio.
In bocca al lupo.
Diapason
di Luca D’Alessandro
Claudio Baglioni
Gianni
Morandi
Capitani Coraggiosi
Daniele
Silvestri
Acrobati
“Abbiamo il vento di una vita sulla faccia, in questo nostro breve tempo senza età.” Quest’estratto del progetto Capitani Coraggiosi riflette
in modo emblematico la ricca esperienza di due cantanti che, in ben
cinque decenni, hanno svolto un ruolo di punta nello sviluppo continuo della musica leggera italiana. Claudio Baglioni e Gianni Morandi
riassumono in questo lavoro la loro storia, i loro pensieri e i sentimenti, dialogando su ciò che la vita può riservare in ogni fascia di
età. Capitani Coraggiosi, nel momento del lancio, ha riscontrato un
successo immediato: la serie di dieci concerti realizzati al Centrale
del Foro Italico a Roma nel mese di settembre 2015 ha fatto il tutto
esaurito. La playlist comprende alcuni tra i più grandi successi della
musica popolare italiana dagli anni 60 a oggi.
“È un disco più poetico che politico”, dichiara Daniele Silvestri in riferimento al suo ultimo album, progettato, scritto e inciso su disco
in ben cinque anni di lavoro. Un disco nato da piccoli appunti su
iPhone, Jam Session spontanei, per poi - man mano - sfociare in
sequenze, armonie e melodie. Il risultato: 18 brani inediti, innanzitutto poetici. Vi partecipano tra gli altri Roberto Dell’Era, Caparezza e Diego Mancino. Acrobati è ricco di contenuti e di musica, un
sound potente, che si muove tra generi diversi, dal rock, al funky,
dalla canzone d’autore all’elettronica. Richiama l’attenzione la copertina che ritrae su delle funi sospese dei personaggi in ricerca
del loro equilibrio. Un disegno originale proveniente dalla penna di
Paolino De Francesco.
Niccolò
Fabi
Una Somma Di Piccole Cose
Paolo Fresu,
Richard Galliano,
Jan
Lundgren
Mare Nostrum II
“Si slacciano cinture e moschettoni di protezione e ci si lascia andare, lentamente, all’indietro. Non mi abituerò mai al fatto che
qualcosa di tanto privato diventi tanto pubblico. Ma così è ... “ Con
queste parole Niccolò Fabi ha messo in commercio il suo ottavo disco in studio da solista. Un disco che è stato anticipato dal singolo
Una Somma Di Piccole Cose ed uscito definitivamente il 22 aprile
scorso, a due anni di distanza dal successo ottenuto con Il Padrone
Della Festa del trio Fabi-Silvestri-Gazzè e a quattro anni da Ecco,
album con cui il cantautore romano si è aggiudicato la prestigiosa
Targa Tenco. Niccolò Fabi è conosciuto per i suoi progetti anticonvenzionali. È un autore capace di trattare tematiche sociali e ambientali con un vocabolario semplice, ma al tempo stesso originale.
Il trombettista sardo Paolo Fresu, il fisarmonicista francese Richard Galliano e il pianista svedese Jan Lundgren formano il trio Mare Nostrum che
rappresenta un insieme di tre culture jazzistiche diverse. La loro serie - che
porta lo stesso nome del trio - è una vera e propria risposta di stampo
europeo al variegato e multiforme mondo del jazz internazionale, tuttora
padroneggiato dal paese d’origine, gli Stati Uniti. Ciascuno dei tre artisti può avvalersi di una propria personalità da musicista affermato: Paolo
Fresu, ad esempio, ha percorso vari progetti che vanno dal genere cinematografico a quello del jazz di sperimentazione; Richard Galliano che con
la fisarmonica si muove tra il mondo della classica e del tango argentino.
Insomma: Mare Nostrum II è un lavoro che raduna in sé l’alta classe del
jazz contemporaneo.
(Sony)
(Universal)
(Sony)
(ACT)
maggio 2016 La Rivista - 63
Anteprima
Chianti Classico
Collection 2016
di Rocco Lettieri
300 anni e nemmeno
una penna bianca…
Maestosi galli neri a guardia del territorio definito dal bando emanato da Cosimo III de’ Medici
I nove comuni del territorio dove si produce il Chianti Classico
è diventato museo a cielo aperto in onore del trecentesimo anniversario dal bando emanato da Cosimo III de’ Medici che per
primo ne individuò i confini nel 1716. Per tutto il periodo delle
anteprime toscane, piazze, rotonde e crocevia dei nove comuni
chiantigiani hanno ospitato altrettante maestose sculture raffiguranti il celebre profilo del Gallo Nero, che da centinaia di anni
campeggia su timbri, stemmi ed etichette. Un omaggio che il
Consorzio Vino Chianti Classico ha voluto offrire al suo territorio,
che d’ora in poi lo caratterizzeranno ancora di più: le installazioni
saranno, infatti, permanenti e donate ai comuni. Le opere sono
state realizzate dagli Artisti Luca e Stefano Ruggeri, che dai primi
anni ‘70 svolgono in Toscana la loro professione nell’ambito della
sceno-tecnica teatrale e della scultura, restaurando e sostituendo
con copie in resina opere d’arte in tutta la regione.
E il Gallo nero cantò prima di
quello bianco
Diventato simbolo non solo di un prestigioso vino, ma di un intero territorio e di
uno stile di vita, il Gallo Nero si appresta
quest’anno ad accogliere turisti e wine
lovers a caccia di vendemmie da ricordare e leggende da riscoprire. La sua storia
affonda le radici nel Medioevo, come testimoniato dalla formella “Allegoria del
Chianti”, custodita a Palazzo Vecchio, sul
soffitto del Salone dei Cinquecento affrescato da Giorgio Vasari. Il Gallo Nero
campeggiò anche sugli scudi dell’antica
Lega Militare del Chianti in epoca di aspre
battaglie tra le città di Firenze e Siena,
diventando il protagonista di una curiosa
leggenda.
Si narra, infatti, che in epoca medievale
per porre fine alle interminabili guerre, le
64 - La Rivista maggio 2016
due città decisero di affidare la definizione
dei propri confini a una singolare prova tra
due cavalieri: sarebbero partiti all’alba al
primo canto del gallo e avrebbero stabilito
il confine nel punto in cui si fossero incontrati. A questo scopo i senesi allevarono
con cure attente e generose un bel gallo bianco, mentre i fiorentini scelsero un
gallo nero che tennero a digiuno in modo
che, il fatidico giorno, cominciasse a cantare ancor prima del sorgere del sole. Fu
così che il cavaliere fiorentino partì prima
di quello senese e arrivò fino a Fonterutoli, a una dozzina di chilometri da Siena,
assicurando così il controllo di quasi tutto
il Chianti alla Repubblica Fiorentina. Nei
secoli successivi Il Gallo Nero seguitò a essere associato a questo territorio, motivo
per il quale i produttori di Chianti Classico non ebbero alcun dubbio quando, nel
1924, dovettero scegliere un simbolo che
rappresentasse il loro vino.
Chianti Classico Collection, è uno dei
principali appuntamenti dell’agenda vitivinicola internazionale, che è stata protagonista il 15 e il 16 Febbraio nel suggestivo
scenario della Stazione Leopolda di Firenze, ormai consueta location della manifestazione. Il primo degli appuntamenti nel
cartellone degli eventi è stato dedicato al
Trecentesimo, con un dibattito sulla storia
del Chianti Classico e sulle motivazioni che
hanno indotto, già tre secoli fa, il regnante del tempo a tutelarlo e proteggerlo. A
condurre il dibattito, Sebastiano Barisoni,
noto giornalista e conduttore radiofonico,
che ha dato la parola da subito al presidente Sergio Zingarelli. Sul palco, poi si
sono alternati, nomi e famiglie che hanno
fatto la storia del Chianti Classico e del suo
I numeri della Leopolda del Vino
Consorzio, dagli Antinori ai Ricasoli, dai
Capponi ai Beccari, che Barisoni ha coinvolto in un racconto a più voci sul mondo
del Gallo Nero e sul percorso storico che
ha portato il Chianti Classico al successo
di oggi.
“Questa è la quarta volta che partecipo alla
Chianti Classico Collection non solo in veste di produttore ma come Presidente del
Consorzio Vino Chianti Classico – ha affermato Sergio Zingarelli – e sono sempre
più consapevole dell’importanza di questo
evento che ogni anno cresce, portando a
Firenze giornalisti e operatori da tutto il
mondo. Oggi iniziano le celebrazioni dei
300 anni, da quel 24 settembre del 1716
quando Cosimo III dei Medici, con il bando granducale “Sopra la Dichiarazione de’
confini delle quattro regioni Chianti, Pomino, Carmignano e Valdarno Superiore”,
stabiliva con precisione i territori entro
i quali dovevano essere prodotti i vini per
ottenere la denominazione corrispondente:
una vera e propria Doc ante-litteram. Cosimo III istituì anche le Congregazioni di Vigilanza sulla produzione dei vini, strutture
che hanno segnato il primo solco per la definizione degli attuali Consorzi: dovevano,
infatti, controllare il rispetto delle norme di
produzione richieste dalla denominazione.
Il vino era considerato così rappresentativo
del “decoro della Nazione” che occorreva
mantenerne alta e tutelarne la qualità. Il
Chianti Classico, fin dagli albori della sua
storia, deve quindi fama e successo soprattutto al dinamismo e alla coesione dei
propri produttori: oggi si contano circa 600
aziende, di dimensione ed estrazione diverse, che da oltre novanta anni hanno scelto
di far parte di un’associazione consortile”.
165 aziende per 587 etichette in degustazione. Un totale di 7000 bottiglie che sono
state aperte e servite da una squadra di 50
sommelier in due giorni di manifestazione
alla presenza di oltre 250 giornalisti provenienti da 30 diversi paesi del mondo e più
di 1500 operatori. 47 le anteprime da botte dell’annata 2015 e ben 70 le etichette di
Chianti Classico Gran Selezione.
Come da tradizione il primo giorno della
manifestazione, è stato dedicato esclusivamente alla stampa nazionale e internazionale, mentre il 16 febbraio l’evento è
stato anche aperto agli operatori del settore. Alla Leopolda, inoltre, è stato possibile
anche assaggiare in degustazione gli oli di
27 aziende produttrici di DOP Chianti Classico. Il secondo evento importante è stato
lo snocciolamento dei dati commerciali.
Nel 2015 le vendite complessive del Gallo
Nero sono salite dell’8%, merito del forte
trend delle esportazioni a quota 80%, ma
anche di una ripresa del mercato italiano,
che dopo vari anni di stasi torna a dare
segnali di crescita (+2%). Prosegue l’andamento positivo delle vendite di Chianti
Classico che, dal 2009, l’anno più buio della crisi mondiale, possono vantare ad oggi
una crescita complessiva del 48%. Per quel
che riguarda i suoi mercati tradizionali,
anche per il 2015 gli Stati Uniti si confermano al primo posto, assorbendo circa il
31% delle vendite totali, seguiti dall’Italia
al 20%, dalla Germania con il 12%, dal Canada con il 10%, da Regno Unito con il 5%,
dai Paesi Scandinavi, Svizzera e Giappone
al 4%, da Benelux, Cina e Hong Kong al
3%, e infine dalla Russia con l’1%.
“Siamo molto soddisfatti dell’andamento
del mercato – ha affermato il Presidente
del Consorzio – un risultato che premia il
lungo lavoro di rilancio della denominazione svolto negli ultimi anni e culminato
con l’introduzione della Gran Selezione,
la nuova tipologia di Chianti Classico sul
mercato da due anni. La Gran Selezione è
nata dall’esigenza di valorizzare le punte qualitative del Chianti Classico e oggi
rappresenta circa il 4% delle vendite dei
vini del Gallo Nero. Un grande vino che ha
qualificato ulteriormente la nostra denominazione e che ha già riscosso successi
di critica e l’apprezzamento del pubblico
internazionale e che in breve tempo si è posizionato nella sfera delle eccellenze enologiche mondiali”.
“In Italia il territorio del Chianti Classico
può essere a ragione definito come un vero
e proprio distretto produttivo e contare su
numeri da grande impresa, - ci dice Giuseppe Liberatore, Direttore generale del
Consorzio - con un fatturato globale stimabile in oltre 700 milioni di euro, un valore della produzione vinicola imbottigliata
maggio 2016 La Rivista - 65
di circa 400 milioni di euro. La parte del leone la fanno i mercati esteri che assorbono
l’80% e direi che ci sono ancora margini di
crescita nei paesi emergenti come la Cina e
il Sud-Est asiatico. Anche l’Inghilterra e la
Germania sono in ottima ripresa”.
In occasione del Trecentenario del riconoscimento del territorio del Chianti Classi-
66 - La Rivista maggio 2016
co, il Consorzio ha messo in atto un ricco
cartellone di iniziative, distribuite nell’arco
di cinque mesi da aprile a ottobre. Dalla
musica allo sport, dall’arte all’enogastronomia, il menu della prossima stagione è
quanto mai variegato. “Il clou dei festeggiamenti – ha detto Giuseppe Liberatore
– avrà luogo sabato 24 settembre, in due
luoghi simbolo di Firenze: il Salone dei Cinquecento e il Nuovo Teatro dell’Opera, che
ci dedicherà un concerto. Sarà possibile
anche immergersi nelle colline toscane con
la Maratona del Chianti (5 giugno, San Casciano Val di Pesa), l’Ecomaratona (15 e 16
ottobre, Castelnuovo Berardenga), o poter
assistere a un festival di musica organistica
a Radda in Chianti (da giugno a ottobre) o
di blues (a luglio a Castelnuovo Berardenga). Appuntamento con la storia, invece,
con Radda Medievale e con la Mostra/racconto del “primo territorio di Vino” che resterà visitabile per l’intera stagione a Casa
Chianti Classico, sempre a Radda, nell’antico convento di Santa Maria al Prato.
Altri appuntamenti saranno dedicati agli
appassionati di ciclismo, a partire dalla
tappa del Giro d’Italia che toccherà il territorio del Gallo Nero domenica 15 maggio e
si svilupperà lungo un percorso di continui
sali-scendi tra Radda e Greve in Chianti.
Scenari mozzafiato per amatori e professionisti il 18 settembre, con la Gran Fondo
del Gallo Nero e il 2 ottobre con l’Eroica,
dedicata agli amanti del vintage e delle
sfide estreme. A Firenze, la via della moda
sarà protagonista di un progetto capace di
unire due dei motori produttivi del made
in Italy: la moda e il vino. “Galli Neri in
Tornabuoni” porterà bottiglie da collezione
nelle vetrine più chic, mentre le degustazioni troveranno spazio all’interno delle
boutique. Non mancano, infine, gli appuntamenti con la buona tavola: dal format
più moderno dello street food (Barberino
Val d’Elsa, 16 e 17 aprile, a San Casciano a giugno) alla sfida culinaria di uno dei
piatti-immagine della regione, la bistecca,
in un campionato dedicato (San Casciano
Val di Pesa, Mercatale, sempre a giugno),
e molti altri ancora. Ad accompagnare i
piatti tradizionali sarà manco a dirlo il vino
del Gallo Nero.
Chianti Classico Collection –
La degustazione
La degustazione dei giornalisti si è tenuta
come al solito nella struttura della ex Stazione Leopolda addobbata molto elegantemente per la ricorrenza del Trecentenario.
161 aziende; 371 vini in degustazione fra:
Chianti Classico Docg 2014 (anteprima –
50 campioni); 2013 (81); 2012 (31); 2011
(9) e 2010 (2); Chianti Classico Docg Riserva 2013 (anteprima – 26 campioni);
2012 (56); 2011 (24); 2010 (19); 2009 (5) e
2006 (1); Chianti Classico Docg Gran Selezione 2013 (8 campioni); 2012 (22); 2011
(29); 2010 (6); 2009 (1) e 2008 (1).
Prima di addentrarci nella degustazione
fornisco ai lettori alcune informazioni sulle
vendemmie di cui ho fatto scelta di degustazione: la vendemmia 2014 (anteprima),
la 2013 e la Riserva 2013 e la vendemmia
2012 Gran Selezione. D’altro canto, è impossibile se si vuole dare credibilità alla
degustazione personale fare tanta retorica. Meglio degustare con cura meno vini
e avere idee più chiare sulle scelte fatte.
maggio 2016 La Rivista - 67
Quindi, parliamo dei 50 vini degustati
dell’anteprima Chianti Classico Docg 2014.
L’annata 2014 è stata caratterizzata da
forti escursioni termiche e da piovosità
abbondanti alternate a giornate ventilate
e temperature sotto la media. Tutto questo ha messo a dura prova i viticoltori, ma
chi ha preso la decisione di diradare in
più fasi ed ha posto molta attenzione ai
propri vigneti nei periodi di sviluppo vegetativo è riuscito a ottenere prodotti di
ottima qualità. Il lavoro dei tecnici e dei
vignaioli portato avanti nei mesi precedenti la vendemmia ha determinato un sicuro
successo nel raggiungimento di standard
qualitativi. Molte aziende hanno dovuto
investire in mano d’opera e ore di lavoro
per controllare le problematiche derivanti
dall’eccessiva umidità, intervenendo con
diradamenti e disinfettando le aree più a
rischio (vigneti a bassa quota). In effetti,
alla fine dell’estate, per i viticoltori dell’Italia centro-settentrionale, si prospettava
una delle vendemmie più problematiche
della storia. I primi campioni di uve del
territorio, raccolti a fine agosto, si presentavano ancora non del tutto invaiati
e con un’elevata acidità. Tuttavia, le favorevoli condizioni climatiche del mese di
settembre e della prima metà di ottobre,
68 - La Rivista maggio 2016
con giornate estive e notti fresche, hanno consentito alla pianta una maturazione
graduale ma completa che ha permesso, a
metà ottobre, di vendemmiare uve (in particolare il Sangiovese) in grado di produrre
vini eleganti ed equilibrati, con una spiccata componente aromatica ed acida, perfetta per il loro successivo invecchiamento.
Tra le mie degustazioni dei Chianti Classico
2014 c’erano anche 16 prove di botte, ma
contrariamente agli altri anni, sono stati proprio questi vini a darmi le emozioni
e le conferme più evidenti. Le preferenze
sono andate ai vini delle seguenti aziende:
Barone Ricasoli; Castello di Ama; Castello
di Fonterutoli; Castello di Monsanto; Castello di Querceto; Castello di Selvole; Castello di Volpaia; Cigliano; Fattoria di Vegi;
Fèlsina; Isole e Olena; Le Miccine; Nozzole;
Oliviera; Panzanello; Poggio Scalette; Pomona-Bandini; Renzo Marinai; Rocca delle
Macìe; Rocca di Castagnoli; Rocca di Montegrossi; San Giusto a Rentennano; Torraccia di Presura; Vignamaggio e Villa Cerna.
La degustazione dei Chianti
Classico Docg 2013…
Da un punto di vista strettamente meteorologico il 2013 ha registrato nel primo
semestre un’elevata piovosità con una
tendenza a temperature che spesso si sono
stabilizzate sotto le medie dei periodi di
riferimento: ad un inverno vero ha fatto
seguito una primavera che ha tardato a
invertire una tendenza prettamente invernale, causando una fioritura tardiva.
Il caldo arrivato veramente intorno alla
metà di luglio ha accelerato i processi di
maturazione delle uve, che ha proseguito con regolarità durante un’estate dalle
temperature tipiche della stagione e da un
settembre perfetto che ha accentuato le
escursioni termiche già registrate in estate
e ha permesso una maturazione delle uve
decisamente equilibrata. Il lavoro dei tecnici e dei vignaioli portato avanti nei mesi
precedenti la vendemmia ha determinato
un sicuro successo qualitativo.
Se i primi campionamenti delle uve Sangiovese, vera anima del Chianti Classico,
avevano già evidenziato un buon livello
di zuccheri con la giusta acidità, a giochi
fatti possiamo costatare che nelle zone del
Gallo Nero ci siamo trovati con una qualità delle uve al di sopra della media, con
livelli di maturità dei polifenoli ottimale
ed in perfetto equilibrio con la struttura
acida delle uve. Questi parametri, insieme
alla concentrazione zuccherina dei mosti
non eccessivamente elevata, come spesso
accade nelle annate molto calde e siccitose, hanno permesso di condurre i processi
di vinificazione esaltando le potenzialità
delle uve. Le fermentazioni alcoliche prima e malolattiche dopo, hanno mostrato
avvii repentini e decorsi regolari senza
problematiche particolari, a dimostrazione
della sanità delle uve e dell’ottimale bilanciamento dei suoi principali componenti
nobili. I vini risultano molto equilibrati, fra
profumi e sapori e ben dosati ed equilibrati sono i polifenoli, l’estratto, i tannini, la
glicerina, in modo da armonizzarsi senza
che nessun elemento prevalga sull’altro,
grazie anche alle non eccessive gradazioni
alcoliche che si sono sviluppate in seguito
all’andamento climatico della stagione.
La mia personale degustazione del secondo giorno, dei Chianti Classico Docg 2013
(81 campioni, tutti degustati, solo 4 prove
di botte) ha visto prevalere i vini delle seguenti aziende che preferisco differenziare
in due categorie: da 89 a 92/100 e da 93
in su. Qui a seguire quelle aziende sopra i
93/100: Bibbiano; Castelvecchi; I Sodi; Isole & Olena; Istine; Mannucci Droardi; Vecchie terre di Montefili. E qui le altre aziende: Barone Ricasoli; Bindi Sergardi; Borgo
La Stella; Borgo Scopeto; Casale dello
Sparviero; Casaloste; Castellinuzza & Piuca; Castello di Paneretta; Fietri; Fontodi; La
Sala; Lamole di Lamole; Le Masse; Melini;
Nittardi; Orsumella; Querciabella; Podere
La Cappella; Principe Corsini-Le Corti; San
Fabiano Calcinaia e Villa a Sesta.
Dei Chianti Classico Docg Riserva 2013 c’erano 25 vini, tutti degustati (uno era difettoso in tutte le bottiglie) e solo tre prove di botte. Difficile lasciarne fuori qualcuno. Segnalo
pertanto solo quelli che hanno superato i
miei 92/100: Castagnoli Terrazze; Castello di
Gabbiano; Cecchi Riserva di Famiglia; Dievole Novecento; Monteraponi Il Campitello;
Orsumella Corte Rinieri; Rocca delle Macìe
Riserva Famiglia Zingarelli; Santo Stefano
Drugo e Vignamaggio Gherardino.
…e quella del Chianti Docg Gran
Selezione 2012
L’annata 2012 sarà ricordata nel territorio del
Gallo Nero per la grande paura di fine estate,
quando dopo mesi di siccità si temeva un’annata davvero difficile. Fortunatamente già
a fine agosto, dopo una stagione povera di
acqua e una delle estati più calde degli ultimi
anni in Chianti è tornata la pioggia che ha
fornito l’apporto idrico necessario a garantire
anche per questa strana stagione una buona
annata di Chianti Classico. Certo, l’andamento climatico registrato fino alla fine di agosto
ha inciso sulla quantità di uva che è stata
portata in cantina. La produzione 2012 si è
attestata intorno ai 235.000 hl registrando
un calo quantitativo del 16% rispetto all’annata 2011.
Una vendemmia all’insegna del Sangiovese. Infatti, sarà proprio il vitigno principe
del Chianti Classico a caratterizzare questo
nuovo millesimo grazie alla sua maggiore
adattabilità a condizioni termiche più difficili che ha retto molto bene gli scompensi
climatici di questa stagione. I benefici effetti del mese di settembre hanno garantito un ottimo decorso del processo di maturazione delle uve che sono state colte nei
tempi ormai tradizionali del territorio del
Chianti Classico, tra fine settembre e inizio
ottobre. Dal punto di vista sanitario le uve
sono arrivate in cantina in condizioni perfette proprio grazie alla alte temperature
e alla carenza di umidità che hanno impedito l’insorgere delle tradizionali malattie
della vite (peronospora, oidio, ecc.). Questo
ha favorito un corretto e repentino decorso della fase fermentativa, che ha dato
vita a un contenuto medio di alcool non
esagerato (intorno ai 14 gradi nelle punte massime). I Chianti Classico 2012 sono
quindi vini ben equilibrati, con un ottimo
bilanciamento tra alcol, acidità e polifenoli
che garantiscono prodotti morbidi, con un
grande frutto e una buona ma non eccessiva componente alcolica.
A palato già abbastanza provato, ho preferito degustare solamente i 22 vini della
Gran Selezione 2012. Molto polemizzata
dal grande critico italo-americano Antonio Galloni, la Gran Selezione con le sue
rigorose leggi qualitative (solo uve di proprietà, Sangiovese minimo 90%, uscita sul
mercato solo dopo 30 mesi successivi alla
vendemmia, 3 mesi di affinamento in bottiglia, ecc) a noi italiani ha riservato tante
sorprese. Anche se a dire la verità molti
critici nostrani hanno visto questa operazione come una riedizione più “bevibile”
dei famosi supertuscan. Sono solo le prime
tre edizioni. Erano 33 produttori nel 2010.
Già nel 2012 si era oltre i 60. Si vocifera
che per l’annata 2013 si dovrebbe superare
il centinaio. Diamo tempo al tempo. Ultima
annotazione: in questo contesto nella vendemmia 2012 ci fu una forte grandinata
che colpì a macchia di leopardo. Pertanto alcune aziende non hanno prodotto la
Gran Selezione.
La mia personale degustazione dei 22 campioni ha visto nella Top Ten Chianti Classico Docg Gran Selezione 2012: Castellinuzza di Cinuzzi; Castello di Fonterutoli;
Castello di Gabbiano Bellezza; Castello di
Querceto Il Picchio; Fattoria di Corsignano
L’Imperatrice; Fattoria di Lamole Lama della Villa; Fontodi Vigna del Sorbo; Principe
Corsini Villa Le Corti Don Tommaso; Rocca
delle Macìe Sergio Zingarelli e Tenuta di
Nozzole La Forra.
maggio 2016 La Rivista - 69
50a edizione di Vinitaly:
Vinta la sfida della qualità
In
crescita
buyer e affari,
con
visitatori sempre più
qualificati. È la
cifra di Vinitaly
2016 che ha
chiuso i battenti lo scorso
13 aprile, con
130mila operatori da 140
nazioni e ha visto
superare lo storico
record di 100mila
metri quadrati netti
espositivi, prima rassegna al mondo per superficie con
più 4.100 espositori da più di 30 Paesi.
Quasi 50mila le presenze straniere, con 28mila buyer
accreditati dai mercati internazionali in aumento del
23% rispetto al 2015, grazie al potenziamento delle
attività di incoming di Vinitaly e del Piano di promozione straordinaria del Made in Italy (www.vinitaly.it).
Il fuori salone Vinitaly and the City ha registrato 29mila
presenze, interpretando la strategia di diversificazione
dell’offerta per gli operatori professionali a Vinitaly, da
quella rivolta ai wine lover, appassionati e giovani con
degustazioni, spettacoli ed eventi culturali nelle piazze
del centro storico di Verona.
“L’obiettivo era quello di dare un segnale chiaro alle
aziende espositrici e ai visitatori, per fare in modo che
la 50ª edizione di Vinitaly fosse quella che proiettava la
rassegna nei prossimi cinquant’anni”, ha dichiarato il
presidente di Veronafiere, Maurizio Danese. “L’aver saputo mantenere la parola data e creare un format che
ha soddisfatto in pieno le attese, sia per il wine business
in fiera sia per il wine festival in città, con un’edizione
di Vinitaly and the City dai grandi numeri, è motivo di
orgoglio e di impegno per migliorare ulteriormente il
prossimo anno”. “Questa edizione è stata l’occasione,
inoltre, per celebrare la storia di una manifestazione
che da 50 anni promuove nel mondo il vino italiano e
la sua cultura”, continua Danese. “Per la prima volta,
infatti, un capo dello Stato ha inaugurato ufficialmente Vinitaly. Il presidente Mattarella ha ricordato la fun-
70 - La Rivista maggio 2016
zione del Vinitaly quale “vettore e simbolo della qualità
vitivinicola italiana, apprezzata nel mondo”, nell’ambito di un progetto di “internalizzazione e sostegno
dell’export verso nuove aree di consumo”.
Vinitaly 2016 ha ricevuto la visita anche del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che ha discusso degli
sviluppi delle vendite digitali del vino, insieme a Jack
Ma, fondatore di Alibaba, il colosso dell’e-commerce
cinese che proprio da Verona ha lanciato il 9 settembre
la Giornata del vino in Cina. Con loro anche il ministro alle Politiche agricole, Maurizio Martina, che nella
giornata conclusiva ha organizzato in fiera il Forum
dei ministeri europei dei principali Paesi a vocazione
vinicola.
“Da questa edizione emergono segnali interessanti
sia dall’estero che dal mercato interno”, spiega il direttore generale di Veronafiere, Giovanni Mantovani,
“confermando la capacità del Salone di interpretare le
tendenze, mettere a frutto il lavoro di internazionalizzazione e capitalizzare esperienze importanti, come la
realizzazione del Padiglione del Vino ad Expo 2015. In
particolare, a questo Vinitaly, aumentano in modo significativo, ed in ordine di rilevanza quantitativa delle presenze, i buyer da Stati Uniti (+25%), Germania
(+11%), Regno Unito (+18%), Francia (+29%), Canada
(+30%), Cina (+130%), Giappone (+ 21%), Paesi del
Nord Europa (+8%), Paesi Bassi (+24%) e Russia (+18
per cento). Dati positivi anche dal fronte interno, con gli
operatori dal Centro e Sud Italia cresciuti mediamente
del 15 per cento”.
Nei quattro giorni, oltre agli incontri b2b, si sono tenuti più di 300 appuntamenti tra convegni, seminari,
incontri di formazione sul mondo del vino. In primo
piano, come ogni anno, le esclusive degustazioni, tra
cui quella della Vinitaly International Academy che ha
ricordato la figura di Giacomo Tachis, uno dei più grandi enologi italiani recentemente scomparso.
In contemporanea a Vinitaly, si sono svolte come ogni
anno, Sol&Agrifood, la manifestazione di Veronafiere
sull’agroalimentare di qualità (www.solagrifood.com),
ed Enolitech, rassegna su accessori e tecnologie per la
filiera oleicola e vitivinicola (www.enolitech.it).
Sono stati 2.357 i giornalisti accrediti da 47 nazioni che
hanno seguito la manifestazione. La prossima edizione
di Vinitaly è in programma dal 9 al 12 aprile 2017.
Convivio
di Domenico Cosentino
Addio Menù degustazione
Al ristorante ora
il piatto si condivide
I primi sentori li avevo percepiti durante il mio soggiorno a Rimini, quando all’osteria de Borg , i camerieri portarono a tavola le diverse pietanze
servite tutte su grandi piatti di portata, aggiungendo: “Servitevi, nella
nostra osteria, i piatti si condividono”. A Venezia, dove ho trascorso le
feste di Pasqua, ho avuta la conferma: “Il Menù degustazione” come
l’abbiamo conosciuto negli ultimi anni, ha ormai vita breve! Alla Giudecca come a Campo Santa Marina; a Burano o a Murano; in Piazza San
Marco o a Ponte di Rialto; nei ristoranti, nelle osterie e cichetterie veneziane da me visitate, ho dovuto prendere atto che, fra gli italiani, è ormai
sempre più diffusa la tendenza ad abbandonare il percorso di assaggi e
assaggini che tanto ha caratterizzato la ristorazione d’autore dagli anni
settanta ad oggi. Ovunque il viaggiatore goloso ha pranzato, ha sentito
sempre la stessa frase: “Menù degustazione? No, grazie”. E pensare che
dopo l’avvento della nouvelle cuisine, si andava al ristorante per prova-
re una cucina diversa, nuova, creativa e il menù degustazione era per
provare piccole porzioni di più piatti e dunque moltiplicare al massimo
l’esperienza. Addirittura poteva succedere che alcune guide gastronomiche assegnassero riconoscimenti a locali con un’ampia offerta di menù.
Sembra passata un’era geologica: era l’epoca della ricerca di una cucina
“esotica”, necessariamente diversa da quella tradizionale, tramandataci
dalle nostre nonne, dalle nostre mamme, che predisponevano (in special
modo i piatti freddi o antipasti) in tavola, secondo il servizio detto “alla
francese”, prima dell’ingresso dei convitati.
Menù o servizio “alla
francese”
In verità era già successo in passato! Il portare a tavola (non singoli)
ma più piatti, secondo il servizio “alla francese”, viene dall’antico ed
Menù condiviso (orizzontale)
maggio 2016 La Rivista - 71
Menù o servizio “alla russa”
Baccalà mantecato con polenta
è rimasto in voga sino alla prima metà del XIX secolo. Il grande Escofier, che all’arte di comporre i menù dedicò un intero libro, affermava
che la composizione dei menù era una delle cose più difficili nel mestiere del ristoratore, dato che bisognava trovare il giusto equilibrio,
la disponibilità dei prodotti, le specialità che costituiscono il punto
di forza del locale, la necessità di rinnovarsi ma anche di compiacere
la clientela abituale, e l’offrire al cliente la possibilità di fare pranzi
abbondanti o leggeri, tradizionalisti o innovativi secondo il loro gusto. Volendo restare sempre in Francia, lo stesso grande chef Carême
concepiva i suoi menu secondo il servizio alla “francese”. Questi
menu venivano serviti in tre tempi: una prima parte costituita dai
antipasti freddi e caldi, dal potage fino agli arrosti; una seconda riservata alle portate successive all’arrosto, in prevalenza, piatti freddi
e verdure quali contorni; una terza di pasticceria. Questi piatti predisposti in tavola, conferivano al pranzo (o cena) un tratto di grande
magnificenza, ma dava anche luogo a qualche inconveniente: sia
perché le pietanze si raffreddavano; sia per la confusione provocata
dalla compresenza sulla tavola di grandi vassoi coperti e scoperti.
Seppioline con il suo nero in “tecia”
72 - La Rivista maggio 2016
A cambiare le carte in tavola e semplificare le cose, ci pensò, nel secondo decennio dell’ottocento, l’Ambasciatore Russo a Parigi: il principe
Alexander Borisovich Kurachin. Egli introdusse, proprio a Parigi, il Menù
o Servizio detto “alla russa”. Secondo la tradizione, l’Ambasciatore russo
aveva introdotto un servizio che portava in tavola direttamente dalla
cucina le vivande secondo l’ordine e il momento richiesto dal menù: così
le vivande arrivavano ai commensali appena preparate, guadagnando in
aroma e profumo, oltre che in freschezza e in aspetto. Un influente chef
di quell’epoca, Urban Dubois, vide i vantaggi di questo stile di servizio, se
ne fece promotore e riuscì ad imporlo in tutta la ristorazione francese,
definendolo anche “Menù Verticale”, per distinguerlo dal “Menu Orizzontale” (più piatti predisposti in tavola) che, secondo lo chef, veniva
servito nella cucina orientale: cinese, giapponese maggiormente. A differenza di prima, con il servizio alla russa, le portate di Dubois venivano
servite scaglionate in senso verticale e in tempi successivi; si passava
dall’antipasto alla frutta o al dolce soffermandosi più a lungo sul piatto centrale che dava significato alla successione cronologica delle altre portate, facendo attenzione a rispettare il principio dell’equilibrio e
dell’armonia: un piatto croccante si accompagnava a un piatto sugoso,
un piatto agro a uno dolce, uno piccante a uno di gusto delicato. Appunto, l’equilibrio e l’armonia dei contrasti.
Ispirati alla Cucina orientale
Ora, volendo essere sinceri, a proposito della discesa nella scala dei gusti,
ovvero l’armonia dei contrasti, è giusto aggiungere che i Padri Luminari
della nouvelle cuisine: Bocuse, Troisgros, Girardet, ma anche Gualtiero
Marchesi, proprio alla cucina orientale si sono ispirati, quando negli anni
Settanta iniziarono a proporre ai propri clienti nei loro ristoranti una
cucina creativa basata su prodotti di qualità, leggera, proponendo un
Menù degustazione (in Verticale), dove, a volte, in rispetto dell’armonia
e dei contrasti, servivano una zuppa di funghi dopo un fritto (perlopiù
di verdure). Accorpiù, ritenevano i Padri della Nuova Cucina, il menù
degustazione dava loro, nella composizione, maggior spazio alla creatività al fine di conseguire risultati estremamente stimolanti, rendendolo,
oltretutto, più coerente con le esigenze salutistiche e nutrizionali; più
congeniale allo stile di vita contemporanea.
Ora il piatto si condivide
Oggi, sembra che tutto sia cambiato! Forse sono cambiate le abitudini degli Italiani, visto che adesso al ristorante si va più spesso
e non si possono fare ogni volta dodici assaggi diversi. Si cerca
originalità, sì, ma spesso questa si esprime attraverso elementi che
appaiano lontani da quelli di qualche anno fa: oggi emergono piaceri dello stare a tavola, concretezza, sostenibilità. I giovani cuochi sotto i quaranta, sostengono che la creatività non si trova solo
negli accostamenti negli ingredienti e nell’estetica del piatto, ma
anche nel modo di servire e nel recupero di abitudini dimenticate.
Ecco, allora, che all’Osteria di Santa Marna, Campo Santa Marina,
Venezia, dove la tradizione è un modo di essere contemporaneo,
si serve un piatto che cela un tesoro di riso e bisi all’interno e il
piacere è anche di sporzionarlo tra i commensali a tavola. Stesso
discorso vale per i cichetti serviti all’Enoteca Al Volto, Calli Cavalli
– San Marco, Venezia, dove per un conto ragionevole, puoi ripercorrere tutta l’Isola gastronomica, tanto è ampia la scelta: sarde
in saor, crostini con baccalà mantecato, seppioline in tecia, polpette di carne, frittura di verdura e il fegato alla veneziana. Impresa
ancora più ardua quella della Trattoria Ai Cacciatori di Claudio e
Massimiliano alla Giudecca: piccolo e simpatico locale. Si va dai
panini e sopressa, formaggi o verdure ai più classici folpetti lessi,
alle seppioline al nero di seppia e polenta, ai bigoli in salsa, al musetto di pesce, ai carciofi in tecia fino alle moeche e carciofi fritti. Il
calice di vino, si può scegliere tra una buona selezione di vini del
Triveneto. Perché, come sostengono questi giovani “contestatori”
il piacere di stare a tavola non è solo quello di concentrarsi sul
proprio piatto ma sempre più quello di ritrovare un mondo condiviso per integrare con gli altri e, perché no, con il mondo fuori.
Una parte non secondaria del gusto passa anche da questo: siamo
il paese dei grandi sapori ma anche di quella convivialità che tutto
il mondo ci invidia.
Carciofi in “Tecia” (secondo
Trattoria Ai Cacciatori):
Ingredienti per 4 persone:
4 carciofi,
40 g di olio extravergine d’oliva,
uno spicchio d’aglio,
una carota,
un gambo di sedano,
una cipolla,
un mazzetto di prezzemolo,
sale e pepe
Come li preparano alla Trattoria Ai cacciatori:
Puliscono e lavano ben bene i carciofi. In una casseruola con l’olio
d’oliva fanno rosolare lo spicchio d’aglio. Lo tolgono e aggiungono un
trito ottenuto con le verdure del sedano, carota e cipolla. Fanno rosolare. Immergono i quattro carciofi interi e puliti. Coprono con brodo
vegetale bollente e lasciano cuocere per 15-20 minuti. Aggiustano di
sale, spolverano con prezzemolo tritato e pepe nero. Portano in tavola
i carciofi ancora caldi con la loro salsa, pronti per essere condivisi.
Timballo di sarde in saor(menù verticale)
Il vino:
con i carciofi, difficile la scelta del vino. Ai Cacciatori, hanno consigliato e servito un calice di Valpolicella Classico.
maggio 2016 La Rivista - 73
L’ortoressia: l’ossessione
della dieta perfetta
Mangiare sano è una delle azioni più importanti per la salute delle persone, ma quando si esagera e si raggiungono degli estremi può tramutarsi
in disturbo.
Esiste una patologia ossessivo-compulsiva, chiamata Ortoressia. In base
a recenti dati diffusi dal Ministero della Salute, sarebbero oltre 3 milioni
gli italiani con disturbi alimentari e di questi circa il 15% soffrirebbe di
questo disturbo, con una netta prevalenza degli uomini (11,3%) rispetto
alle donne (3,9%).
Un italiano su 3 dichiara di avere almeno un amico fissato con l’alimentazione. Questo non vuol dire soffrire di Ortoressia, però è già un segnale che
potrebbe indicare una potenziale “vittima” di questa patologia.
Il termine Ortoressia fu coniato per la prima volta nel 1997 dal dietologo
americano Steven Bartman. Molto se ne è parlato su quotidiani illustri come
The Daily Telegraph e The Indipendent, portatori di un messaggio forte contro certi comportamenti alimentari, il più delle volte ossessivi, che producono conseguenze negative sulla salute delle persone.
Già in passato la dottoressa Bettina Isenschimd, consulente per i disordini
alimentari presso l’Hôpital de l’Isle di Berna, denunciò il fatto che in Europa,
le persone venissero sottoposte a un continuo bombardamento di informazioni su ciò che fa bene o fa male alla salute, rendendo la spesa al centro
commerciale una vera e propria sfida quotidiana.
Un’indagine promossa da Nutrimente, associazione per la prevenzione, la
cura e la conoscenza dei disturbi del comportamento alimentare, condotta
su circa 1200 italiani tra uomini e donne di età compresa tra i 18 e i 65 anni
e realizzata con metodologia WOA (Web Opinion Analysis) attraverso un
monitoraggio online sui principali social network, blog, forum e community
dedicate, ha voluto indagare il rapporto degli italiani con il cibo.
«L’ortoressico sviluppa una vera e propria fobia per i cibi considerati “pericolosi” come gli OGM (organismo geneticamente modificato) – afferma la dott.
ssa Sara Bertelli, psichiatra e presidente dell’Associazione Nutrimente Onlus
-. Questa ossessione porta ad una dieta molto restrittiva e all’isolamento sociale. È come se il cibo “sano” diventasse una missione morale e tutte le altre
sfere di vita passassero in secondo piano.
Quando un comportamento alimentare diviene ortoressico in maniera rigida, si può affrontare con una buona psicoterapia, che sottolinei i benefici e
le limitazioni di tale rigidità e che aiuti ad individuare delle alternative più
funzionali. La psicoterapia può essere affiancata da un approccio dietologico
che vada a correggere le sindromi carenziali che possono insorgere, quali deficit vitaminici (ferro calcio vitamina d vitamina b12)».
alla perfezione le dosi di pranzo e cena, senza sgarrare di un solo grammo,
con il fine di evitare cibi ricchi di sale, zucchero o geneticamente modificati.
Al secondo posto si posiziona il tempo trascorso al supermercato (75%)
che si lega inevitabilmente al primo punto. Spendere gran parte del tempo
libero al supermercato, alla ricerca degli alimenti più salutari presenti sugli
scaffali, a discapito di altre attività più utili per il benessere della nostra
salute, come l’attività fisica.
Al terzo posto il pensiero ossessivo del cibo (71%). Molti italiani e non solo,
passano più di 3 ore al giorno a pensare al cibo: cosa prendere e come
preparalo? Fa bene o non fa bene? Meglio evitare e mangiarlo ogni tanto?
Uno status ossessivo che riguarda la ricerca e la selezione dei cibi, comune
tra giovani e anziani.
L’Ortoressia nervosa si differenzia dai disturbi alimentari come l’anoressia e
la bulimia, perché l’obiettivo iniziale non è quello di dimagrire. Paradossalmente tutto parte dall’idea di stare bene, attraverso un’alimentazione sana
e mirata, può trasformarsi in breve tempo in un fanatismo alimentare che
fonda le sue convinzioni in conoscenze spesso superficiali.
Diversamente da altri disturbi alimentari il focus non è sul peso o sulla forma
corporea, ma sul mantenere il proprio corpo puro e sano. In quest’ottica è più
vicino allo spettro ossessivo-compulsivo che a quello dei Disturbi della Condotta Alimentare. In comune con i DCA vi è la ricerca del perfezionismo, il bisogno
di controllo, gli esiti sull’organismo e sulle sfere di vita. Un’altra fonte di rischio
di questa ossessione è che la conoscenza di questi soggetti spesso non si fonda
su una reale competenza riguardo la nutrizione, ma su convinzioni personali,
sentito dire, notizie pseudoscientifiche trovate su internet.
Le “fissazioni” dell’ortoressico
Le città in cui è più diffuso il fenomeno
Queste le “fissazioni” più comuni che contraddistinguono l’italiano-medio
a rischio ortoressia?
La pianificazione dei pasti si posiziona al primo posto con il (78%). Dedicare
gran parte della domenica a cucinare per la settimana ventura, calcolando
Le città italiane dove questa patologia rischia di diffondersi a macchia d’olio
sono queste.
Al primo posto si colloca Milano (33%), capitale della moda e non solo. Sono
infatti i meneghini i più ossessionati dai valori nutritivi del cibo, capaci di
74 - La Rivista maggio 2016
spendere gran parte del tempo libero al centro commerciale, per disegnare un
menù settimanale maniacale.
Al secondo posto si posiziona Roma (27%). Amatriciana e cacio e pepe vengono messe da parte, provocando insoddisfazione affettiva e persino l’isolamento sociale, causati dalla persistente preoccupazione legata al mantenimento
di tali rigide regole alimentari.
Il podio è completato da Torino (21%) dove, fatta eccezione per agnolotti e
bagna càuda, i torinesi non transigono e vivono l’alimentazione attraverso
rigide regole alimentari auto imposte.
Le situazioni che vengono condizionate
dal disturbo
Seguire una dieta ferrea che non prevede nessun incidente di percorso, può
portare le persone ad affrontare situazioni spiacevoli e dannose. Ma quali
sono le situazioni più singolari della vita quotidiana, nelle quali influisce
maggiormente questa patologia?
Rinunciare a un appuntamento galante (76%) si posiziona al primo posto.
Capita spesso che proprio l’uomo rimandi al mittente una proposta romantica. Paradossale e poco galante, le fissazioni del partner a volte possono
creare situazioni di forte tensione nella coppia.
Disertare le uscite di gruppo (72%) è un altro classico che colpisce gli italiani. Trovare ogni giorno una scusa, per evitare di fare l’aperitivo con gli amici
o con i colleghi di lavoro, «assolutamente dannoso» per la propria salute,
mette l’individuo nella condizione di vivere un isolamento sociale perenne.
Evitare cerimonie (68%) è un altro gesto che può essere frainteso. Pensato
con la volontà di non volersi tuffare nella serie infinita di prelibatezze che
solitamente seguono le celebrazioni, questo gesto può essere vissuto dai
parenti del festeggiato/a come un affronto nei confronti del proprio figlio o
nipote, andando a creare tensione tra le parti.
Bere acqua brucia calorie e
idrata i muscoli
È quanto emerge da uno studio americano. L’esperimento ha dimostrato
che un aumento dell’1% del consumo giornaliero di acqua è associato a
una diminuzione dell’8,6% dell’apporto energetico complessivo
Stanti così le cose, ecco dunque, che l’acqua può rivelarsi un valido alleato
per ritrovare il peso forma in vista dell’estate. Bere acqua brucia, infatti,
calorie e idrata i muscoli, mantenendoli più attivi. Un effetto descritto
dalla scienza in vari studi, l’ultimo dei quali indica che consumare da 1 a
3 bicchieri al giorno potrebbe tagliare da 68 a 205 kcalorie al dì, oltre a
diminuire il consumo di sodio, zuccheri e grassi saturi.
La ricerca, pubblicata sul Journal of Human Nutrition and Dietetics, è stata
condotta dall’università dell’Illinois esaminando le abitudini alimentari di
18.300 americani. I partecipanti sono stati invitati a riportare tutto ciò
che hanno mangiato o bevuto in 2 giorni, e per ognuno è stata calcolata la
quantità di acqua consumata quotidianamente. L’apporto calorico medio
era di 2.157 calorie, di cui circa 125 provenienti da bevande zuccherate
e 432 da alimenti a basso impatto nutrizionale come dessert e spuntini.
Si è visto che un aumento dell’1% del consumo giornaliero di acqua era
associato a una diminuzione dell’8,6% dell’apporto energetico complessivo. L’incremento comportava inoltre un calo da 5 a 18 grammi di zuccheri
assunti, da 7 a 21 g di grassi saturi e da 78 a 235 g di sodio.
Gli autori hanno anche spiegato le ragioni del potere brucia-calorie: una
volta introdotta nel nostro organismo, l’acqua viene portata da 22 a 37
gradi C, e questo riscaldamento è in grado di bruciare i grassi negli uomini
e i carboidrati nelle donne. Risultati poi confermati nel 2007 da un altro
studio di controllo. Un effetto simile è stato riscontrato nel 2011 da un
gruppo di ricerca israeliano, in bambini maschi dagli 8 agli 11 anni e in
sovrappeso.
I ricercatori hanno descritto un aumento medio del 25% del tasso metabolico dopo aver bevuto acqua (10 millilitri per chilo corporeo, a una
temperatura di 4°C): l’effetto cominciava entro 24 minuti dall’ingestione
e durava in media 40 minuti. Oltre all’effetto termogenico, gli scienziati
evidenziano il ruolo della «spinta metabolica» dei muscoli conseguente
all’idratazione: un tessuto muscolare correttamente dissetato è più attivo.
«Una buona motivazione per raggiungere l’obiettivo di almeno un litro e
mezzo al giorno - raccomandano gli esperti - e beneficiare di tutte le proprietà amiche della salute che l’acqua può vantare».
E benché la dieta italiana non sia uguale a quella americana, i benefici di
una corretta idratazione non hanno cittadinanza. La letteratura scientifica
internazionale rende evidente il ruolo dell’acqua nell’attivare una serie di
meccanismi metabolici conosciuti come termogenesi, ossia la produzione
di calore con dispendio energetico, che ci aiutano realmente a perdere
peso. Un altro aspetto molto importante è che l’effetto dell’acqua sul metabolismo è di breve durata, tra mezz’ora e un’ora. Ecco perché non è
importante solo bere, ma farlo spesso durante tutto l’arco della giornata,
senza arrivare ad avere sete.
maggio 2016 La Rivista - 75
La dieta
Rivista
di Tatiana Gaudimonte
Shopping, che passione!
(Signori uomini, riguarda anche voi)
Cosa c’è di meglio, per tirarsi su il morale o darsi un piccolo (o grande!) premio, di una bella tornata di
godurioso shopping? Pacchetti e pacchettini colmi dei nostri nuovi acquisti, ben piegati ed incarta-ti,
sono un peso ben piacevole da portare alla fine di una giornata dedicata a noi stessi! Cari uomini, non
fate i finti tonti! Nonostante il luogo comune che vuole l’uomo succube della giornata di shop-ping
della sua dolce metà, so bene che moltissimi di voi sono altrettanto attenti nella scelta di tessuti e
pellami e che avete un occhio ben aperto sulla qualità.
Quello che dunque mi lascia perplessa, è che spesso accanto a tanta attenzione dedicata a ciò che dobbiamo
mettere SUL corpo, spesso non corrisponda un’altrettanto meticolosa cura nella scelta di ciò che invece
metteremo NEL corpo. Mi rendo conto che la spesa degli alimentari possa essere me-no elettrizzante di una
puntatina in boutique, ma è pur vero che sbagliare gli acquisti al supermerca-to può creare ben maggiori
danni di un capo d’abbigliamento comprato con leggerezza.
Da grande curiosona quale sono, non manco mai di sbirciare i carrelli di quelli davanti e dietro di me in fila
alla cassa. E lì vedo veramente di tutto: il diciottenne con la sua merenda di bevanda energeti-ca e brioscina
in busta, la signora attenta alla linea con lo yogourtino “light” e i biscotti senza zucche-ro (ma magari fatti
con farina bianca ed impastati di olio di palma e addolciti con dolcificante chimi-co), la mamma amorevole
col carrello pieno di dolci travestiti da “cereali per la colazione” dei suoi bambini e litri di latte parzialmente
scremato, l’impiegato frettoloso col panino per il pranzo pieno di condimenti non identificati che poi stenterà a tenere gli occhi aperti davanti al pc nel pomeriggio e così via. E qui stiamo parlando di cibo che viene
portato abitualmente alla bocca, non di sgarri occa-sionali (vedi rubrica di aprile)!
Considerando il pieno di cibi raffinati, conservati, gonfiati, dolcificati e variamente impoveriti di cui riempiamo regolarmente le dispense, non c’è da stupirsi se il numero di individui sovrappeso, allergi-ci o intolleranti
e delle vittime del famigerato burn-out sia in continua crescita, mentre il mercato di farmaci e integratori
di vario genere va alla grande.
Possibile che a nessuno venga in mente che la risposta alla spossatezza innaturale che accompagna le
giornate non sia l’ennesima pillolina pubblicizzata in tv o sulle riviste, ma una maggiore attenzione a
come riforniamo giorno per giorno il nostro organismo? Nessuno di voi metterebbe dell’olio bruciato nel
motore della propria auto o della sabbia nel serbatoio della benzina. Perché allora accettare su-pinamente
di ingurgitare quotidianamente cibi che compromettono l’efficienza di una macchina ben più importante:
il nostro corpo?
Riscoprite il piacere dello shopping anche al supermercato o nel vostro negozio di fiducia, spendete qualche
minuto in più a leggere le etichette e a scegliere prodotti di qualità, lasciando sugli scaffali cibi dalle liste di
ingredienti chilometriche e piene di misteriose sigle che iniziano con la “E”. Fate mangiare a chi ci crede, una
massa di creduloni, i vari pastoni sostitutivi, alimenti “light”, zuppe fatte di poco più che esaltatori di sapidità.
Non nascondetevi dietro al comodo pretesto della mancanza di tempo per preparare un pasto sano: internet
fornisce centinaia di ricette il cui tempo di preparazione è inferiore ai venti minuti. Fatevi esploratori del gusto
e con lo stesso spirito avventuriero con cui osate le nuove tendenze di moda, assaggiate cibi mai provati prima
o cucinateli in modo diverso. Il cibo è un piacere, lo abbiamo insegnato al mondo: perché disimpararlo?
Frutta e verdura biologiche, pesce, carne e prodotti caseari freschi, pasta, riso e pane integrale: ecco dove
andare a cercare innanzitutto vitamine, minerali, acidi grassi essenziali, antiossidanti: non in una insipida
pastiglietta! Maggiore sarà la qualità dei prodotti che riempiranno il nostro carrello, mi-nore sarà la necessità di completare la spesa con un giro in farmacia. Così, magari, avrete il tempo di provare quella gonna
appena vista in vetrina…
[email protected]
76 - La Rivista maggio 2016
Motori
di Graziano Guerra
Nuova Opel Astra Sports Tourer
La democratizzazione dell’alta tecnologia
Al recente Salone di Ginevra, nuova Astra è stata eletta Auto dell’Anno
2016. La nuova versione Sports Tourer della premiata serie è stata recentemente presentata alla stampa svizzera in sessione dinamica sull’asse Rothrist – Losanna. Con visita al museo Olimpico, dove, al ristorante
Club Coubertin, è stata battezzata con dell’ottimo Vufflens-le-Château
«Réserve du Musée», AOC La Côte, e con lo splendido Assemblage rouge
«Réserve du Musée», Vaud AOC (pinot noir, gamaret, garanoir, gamay). Mai
meta fu più adeguata – nell’anno delle Olimpiadi di Rio - per il test di un
modello vincente che, dopo un’ottima preparazione, dovrà competere con
agguerrite concorrenti, come VW Golf Variant, Ford Focus, Skoda Octavia,
Peugeot 308, Seat Leon ST, Renault Megane Grandtour, Toyota Auris Touring Sports, Hyundai i30, Kia Cee’d, Honda Civic Tourer, Audi A3 Sportback.
Tradizione e successo
La nuova Astra Sports Tourer è la decima generazione della station wagon compatta Opel campionessa di vendite. Da quando uscì nel 1963
dagli stabilimenti Opel la prima Kadett A Caravan, degli oltre 24 milioni
di Kadett e Astra circa 5,4 milioni erano in versione familiare.
Filosofia stilistica che sposa eleganza e precisione tedesca
Il design si è fatto leggero e atletico, con un frontale dinamico. L’abitacolo
ha una struttura chiara, con meno pulsanti, e sfoggia materiali pregiati.
Porta in dote tecnologie e i sistemi di assistenza di lusso, come l’illuminazione IntelliLux LED, l’assistente personale per la connettività e i servizi
Opel OnStar, l’infotainment IntelliLink di nuova generazione con integrazione dello smartphone tramite Apple CarPlay e Android Auto regolabili su
touchscreen fino a 8 pollici. Inoltre, si possono avere dotazioni impensabili
fino a poco tempo fa, come la telecamera che riconosce i segnali stradali,
il preavviso di collisione e frenata di emergenza automatica, assistenza
di mantenimento corsia a sterzata attiva, parcheggio automatico, telecamera di retromarcia, volante riscaldabile, chiusura e avvio senza chiavi.
Dall’estate prossima pure il controllo di distanza. Una nota particolare: il
portellone posteriore si apre con un piccolo movimento del piede!
L’architettura leggera, completamente nuova, con acciai ultra-resistenti e struttura compatta, ha contribuito alla notevole riduzione di
peso rispetto al modello precedente - fino a 190 Kg - che si traduce in
agilità, maggiore potenza, migliore manovrabilità e soprattutto meno
carburante consumato. Invariate le dimensioni esterne - lunga 4702 è
larga 1871 con i retrovisori chiusi, e alta 1510 mm – ma offre più spazio
all’interno; il volume di carico, aumentato di 80 è ora di 1.630 litri.
Motori di ultimissima generazione
In Svizzera è in vendita con motori a benzina di alluminio a tre e quattro
cilindri, e diesel. Le potenze variano da 100 a 200 CV e i prezzi partono
da CHF 22‘100. Il vertice delle prestazioni è raggiunto dal nuovo turbo
benzina 1.6 ECOTEC DI da 200 CV, da CHF 32‘200, mentre i prezzi per il
Power-Diesel 1.6 BiTurbo CDTI da 160 CV partono da CHF 33‘600. Questo nuovo diesel top di gamma, sviluppato dal General Motors Powertrain Europe di Torino, con sovralimentazione a due stadi, sviluppa 350
Nm di coppia, in quinta marcia passa da 80 a 120 km/h in 8,1 secondi,
consuma 4,1 l/100km (Emissioni di CO2 dichiarate: 109 g/km). I cambi:
manuale a sei marce; a cinque per i motori base 1.4 e 1.0; automatico
Easytronic 3.0 di ultima generazione con il 1.0; è opzionale l’automatico
a 6 rapporti a basso attrito per il 1.4 ECOTEC Direct Injection Turbo da
150 CV e il 1.6 CDTI da 136 CV. Il modello è dedicato alle famiglie, ma fa
l’occhiolino ai conducenti di auto aziendali.
maggio 2016 La Rivista - 77
“Two legends, two birthdays”
Jeep e Montreux Jazz Festival
Jeep celebra quest’anno i suoi 75 anni di storia e per farlo ha deciso
di calcare, per la seconda volta di seguito, i palchi del Montreux
Jazz Festival, che festeggia la sua 50esima edizione. La prestigiosa
sponsorizzazione celebra gli anniversari di due miti: una leggenda
americana nel campo automobilistico e una rassegna musicale che
ogni anno richiama centinaia di migliaia di appassionati nella storica
cittadina svizzera. Ciò che lega i clienti Jeep agli artisti e ai visitatori del Montreux Jazz Festival sono soprattutto la passione per la
creatività, la novità e lo spirito di avventura. Jeep metterà a disposizione per il trasferimento degli artisti e degli ospiti internazionali
una flotta esclusiva di circa 30 vetture tra le quali spiccano i modelli
dell’esclusiva edizione speciale “75th Anniversary”.
Il Montreux Jazz Festival è in cartellone dal 1° al 16 luglio 2016.
Hanno confermato la loro presenza artisti internazionali del calibro di Muse, Lana Del Rey, Santana, Deep Purple, Neil Young, Simply Red, Van Morrison, Patti Smith, Marcus Miller e Zappa. Biglietti
per i concerti del Montreux Jazz Festival sono acquistabili sul sito
www.montreuxjazzfestival.com.
Jeep e Harley-Davidson sempre insieme
Quando si condividono valori autentici
Alla base della collaborazione, rinnovata per il terzo anno consecutivo,
vi è la condivisione di valori autentici quali passione, libertà e senso
di appartenenza. Dopo il successo
delle due precedenti edizioni – più di
600.000 partecipanti nel 2014 e oltre
un milione nel 2015 – la partnership
tra le due icone americane si rinnova
con un ricco programma che fino a
settembre prevede eventi in otto Paesi europei (Francia, Germania, Olanda, Austria, UK, Italia, Slovenia e Repubblica Ceca), oltre al raduno in Sud
Africa. In ciascun raduno sarà allesti-
Fiat Professional
Fullback è partner ufficiale di FIM Motocross World
Championship 2016
Il nuovo pick up di Fiat Professional ha fatto il suo debutto al “MxGP
of Europe” a Valkenswaard, nei Paesi Bassi, come veicolo ufficiale del
MxGP 2016. In configurazione “cabina estesa” e dotato di un motore
turbodiesel in alluminio da 2,4 litri da 180 CV abbinato alla trazione
integrale e al cambio manuale a sei marce, si è presentato al pubblico con una speciale livrea in tema con il motocross, realizzata in collaborazione con Garage Italia Customs di Lapo Elkann. Il campionato
MxGP si svolge tra febbraio e settembre in 18 tappe tra Europa, Stati
Uniti, Qatar, Argentina e Messico. Il Fullback è in vendita da maggio.
78 - La Rivista maggio 2016
to l’Harley Village dove sorgerà lo stand Jeep con l’intera gamma a disposizione del pubblico per emozionanti test drive. Non mancherà una selezione
di showcar Jeep personalizzate con esclusivi accessori Mopar. Protagonisti
dei diversi raduni europei saranno i club ufficiali JOG (Jeep Owners Group)
e HOG (Harley Owners Group). Fondato nell’agosto del 2014, il JOG è il solo
e unico fan club ufficiale del marchio Jeep, gestito direttamente dal brand
e attivo in 24 nazioni della regione EMEA, conta 64.000 membri. HOG è
nato nel 1983 e annovera un totale di 116.000 iscritti nell’area EMEA.
News e video del marchio Jeep in EMEA sono disponibili ai link:
Brand blog: www.jeep-people.com
Facebook: www.facebook.com/JeepOlllllllOpeople
Instagram: www.instagram.com/jeeppeople/
Twitter: www.twitter.com/Jeep_People
YouTube: www.youtube.com/JeepOlllllllOPeople
Fiat Fiorino - Il van per
la città si rinnova
Il veicolo che ha inventato il
segmento small van dopo più di
370.000 unità vendute si rinnova e si presenta nelle dimensioni
perfette per la in città, che lo
rendono facile da parcheggiare
senza rinunciare a una buona capacità di carico (fino a 2,8m3) con portata
fino a 660 Kg. L’evoluzione introduce un design modern e nuove caratteristiche che lo posizionano in alto nella sua categoria, per prestazioni, costo
di gestione, comfort e funzionalità. La strumentazione mostra una nuova
grafica con retroilluminazione permanente. In plancia è stato inserito un
cassetto portaoggetti. Il rinnovato sistema di infotainment con touchscreen
a colori è disponibile anche con navigatore satellitare. In Svizzera il nuovo
Fiorino è disponibile nelle configurazioni Cargo e Combi in tre allestimenti,
Base, Swiss e Adventure, e tre motorizzazioni benzina, Natural Power e diesel, con il nuovo sistema EcoJet a richiesta, con prezzi da CHF 11’990
Pininfarina H2 Speed
Nasce da una collaborazione italosvizzera il Best Concept di Ginevra 2016
La concept car H2 Speed di Pininfarina ha ricevuto il premio Best
Concept del Salone di Ginevra 2016 nell’ambito degli Editors’ Choice
Awards assegnati dal magazine americano Autoweek. H2 Speed è la
visione innovativa di Pininfarina di un’auto da pista ad alte prestazioni basata su una rivoluzionaria tecnologia a idrogeno fuel cell, sperimentata dall’azienda svizzera GreenGT. A metà strada tra il prototipo
da competizione e la super car di produzione, H2 Speed è la prima
auto da pista a idrogeno ad alte prestazioni al mondo, merito della
tecnologia Full Hydrogen Power, un potente gruppo motopropulsore
“elettrico-idrogeno” fuel cell messo a punto dal partner GreenGT. Il
risultato è una vettura a zero emissioni in grado di raggiungere i 300
km/h rilasciando nell’atmosfera solo vapore acqueo. Grazie ad una potenza massima di 503 cavalli, consente di accelerare da 0 a 100 km/h
in 3,4 secondi. Notevole anche la rapidità di rifornimento, sconosciuta
alle elettriche tradizionali: il pieno di idrogeno può essere fatto in soli
3 minuti. Oltre quello atmosferico, H2 Speed azzera quasi del tutto
l’inquinamento acustico: la sua espressione sonora si avvicina molto
al silenzio. La concept car si rivolge agli appassionati della velocità e
dell’innovazione attratti dall’esclusività tipica di un veicolo di design
Pininfarina prodotto in serie limitata.
Verona Legend Cars
Modelli unici del Museo Nicolis e le esibizioni del campione Miki Biasion
Dal 13 al 15 maggio alla Fiera di Verona saranno in bella mostra oltre mille
auto d’epoca da tutta Europa, modelli unici anni ’50, tutte le Lamborghini
Miura, la mostra monotematica Carrozzeria Touring Superleggera, i lotti
dell’asta Maison Bibelot e l’appuntamento biennale Amiki Miei dedicato
a Lancia e Lancia da competizione. Il Museo Nicolis di Villafranca, una
delle istituzioni heritage più importanti d’ Europa, svela i contenuti della
sua partecipazione: gli anni ’50, con le carrozzerie e i marchi emblema
del made in Italy. In mostra vetture uniche: Maserati A6 1500 1947, un
prototipo a firma Pinin Farina e la seconda costruita della serie; Fiat 1100
E 1950 della Carrozzeria Castagna, nota come “Vistotal” per il suo parabrezza senza montanti laterali; Fiat 1100 Sport barchetta, 1948, della Carrozzeria Motto, un esemplare unico che ha partecipato alla Mille Miglia
del 1948 con Alessio Pedretti. Domenica 15 maggio, i possessori di Lancia
Delta e Lancia da competizione potranno parcheggiare in fiera e assistere
alle esibizioni in area test drive
dell’unico italiano a vincere il
Campionato del Mondo Rally e per ben due volte - al volante
della sua leggendaria Lancia
Delta e di altri modelli a sorpresa. Miki Biasion (nella foto) sarà
con Lancisti anche a tavola,
chiacchierando in completo relax di gare e di macchine di ieri
e di oggi. Parteciperanno anche
alcuni esperti di Lancia Delta,
per offrire preziosi consigli sui
ricambi e la manutenzione.
Abarth e Movistar Yamaha MotoGP
I frutti speciali di una partnership all’insegna della passione sportiva e della ricerca
Abarth è Official Sponsor e Official Car Supplier del Team Movistar Yamaha MotoGP, impegnato nel Campionato mondiale FIM MotoGP. Dalla
partnership è nata la serie speciale Abarth 595 Yamaha Factory Racing.
E, fra le novità dello Scorpione, la nuova Abarth 124 spider e l’inedita
community ufficiale “The Scorpionship”. La Yamaha YZR-M1 2016 sfreccia sui circuiti della MotoGP portando sulla carena frontale il logo dello
Scorpione, sinonimo di “racing” e simbolo di un patrimonio davvero unico nel suo genere. Alla serie speciale Abarth 595 Yamaha Factory Racing
i due brand hanno lavorato insieme sviluppando una vettura così come
solitamente si elabora una moto da corsa. Gli interventi hanno riguardato la potenza del motore (da 140cv a 160cv), il filtro BMC, sospensioni
e ammortizzatori, cerchi in lega da 17” in nero opaco e scarico Record
Monza. Una conferma dell’eccellenza tecnica del brand è rappresentata
anche dalla nuova Abarth 124 spider, presentata in anteprima mondiale
al Salone di Ginevra. È possibile ordinare i primi 2.500 modelli prodotti
quest’anno nelle Officine Abarth in edizione numerata e in esclusiva, a
un prezzo di 40.000 euro in tutta Europa. La passione sportiva si può
ritrovare in “The Scorpionship”, l’unica community ufficiale del brand
dedicata ai possessori delle vetture, ai collezionisti, ai membri dei club
Abarth e ai semplici appassionati. Iscriversi al sito scorpionship.abarth.
com garantisce vantaggi in termini di promozioni e di attività sportive,
anche attraverso raduni che coinvolgeranno tutti i fan.
Nella foto: Lin Jarvis, CEO di Yamaha Motor Racing e Paolo Gagliardo,
Head Operations Abarth accanto alla nuova Abarth 124 spider.
maggio 2016 La Rivista - 79
30 anni Pirelli P Zero
Storia per numeri di un’icona
del mondo automobilistico
Si dice P Zero e la mente si affolla di star che hanno prestato il proprio volto a campagne che hanno fatto la storia
della pubblicità. P Zero, e già si sente il rombo dei bolidi
di Formula Uno che sfrecciano con pneumatici slick sulla
cui spalla spicca, in diversi colori, quel marchio che oggi
contraddistingue un portafoglio di 11 prodotti, diversificati
per applicazioni, vetture, stili di guida, aree geografiche.
Non sorprende dunque che il nome di battesimo voluto dalla
casa della Bicocca per il suo ultimo nato sia ancora P Zero.
Origine, caratteristiche e destino del nuovo P Zero si possono racchiudere in alcuni indicativi numeri. Partendo proprio dallo Zero affiancato
alla P del marchio. Un nome nato per caso,
ma destinato a diventare iconico. P Zero sta
per “progetto zero”, gli ingegneri, infatti, erano indecisi su come chiamare quella nuova
gomma per impieghi sportivi sviluppata per
la Lancia Delta S4. Era il 1986: 30 anni fa.
L’anno dopo, il debutto in strada con la Ferrari F40 fu il primo dei progetti sviluppati su
misura per le vetture più potenti, segnati dalla continua evoluzione di auto e pneumatici.
L’incessante innovazione è riassumibile in un
altro numero, il 302, equivalente alla differenza in cavalli tra la F40 dell’87 e le super
car attuali. Una differenza che significa crescita della potenza, ma anche della richiesta
di sicurezza alla quale i P Zero hanno fatto da
battistrada. In ogni senso.
Pirelli punta ancora sullo Zero per consolidare la leadership mondiale nel segmento
delle auto prestige e accelerare la crescita
in quello delle vetture premium. A trent’anni dal debutto, la Casa della Bicocca lancia
sul mercato l’ultima versione della gomma
che negli ultimi decenni ha fatto la storia
80 - La Rivista maggio 2016
del settore in tutte le sue varianti: dal System al Rosso, passando per il Nero e il Corsa al P Zero del 2007. Oggi il ventaglio arriva
senza problemi fino al 22 pollici e l’offerta
si amplia con soluzioni winter, summer o
All Season. Per non parlare delle numerose tecnologie inserite negli pneumatici. Dal
run flat al seal inside, alla tecnologia per la
riduzione del rumore nell’abitacolo PNCS
(Pirelli Noise Cancelling System). O dei materiali alternativi, la cui ricerca è in continua evoluzione: dalla lolla di riso al guayule, e dei diversi disegni battistrada, ognuno
sviluppato per esaltare le caratteristiche di
ciascun modello, oppure degli pneumatici
marcati con copertura sviluppata specificatamente per quella vettura.
Tre modelli, un solo campione
L’ultima evoluzione della P lunga racchiude tre varianti tecnologiche con differenti
applicazioni e prestazioni, ciascuna destinata a vetture diverse. Per le auto con un
temperamento più sportivo presenta un di-
segno battistrada meno “lamellato” capace
di favorire un comportamento più dinamico
della vettura. Si addice invece di più alle
berline il disegno con spalla esterna più
intagliata, per assorbire meglio l’impatto a
terra a vantaggio del confort. Più aggressivo il terzo disegno, che si avvicina ai “cugini” slick della Formula Uno, sviluppato per
i nuovi P Zero Corsa. A ogni vettura il suo
P Zero dedicato, e questo è anche il cuore
della strategia Perfect fit Pirelli.
Nato con la camicia
Il nuovo P Zero, è proprio il caso di dirlo,
è nato con la camicia: appena lanciato ha
già una “dote” di 60 omologazioni. Il giusto
erede di una famiglia che conta 800 omologazioni sul parco circolante (1000 in totale,
comprendendo i modelli auto fuori produzione) e che calza una vettura su due nel
segmento prestige. Vetture da sogno come
la Lamborghini Centenario, la Ferrari GTC4
Lusso, la Mercedes GT AMG o la Porsche
Boxter hanno già scelto il nuovo P Zero.
Mondo in Camera
A Losanna, i vini del Piemonte:
non solo Barolo e Barbaresco
Seminario sul settore
dell’aviazione a Torino
Barolo & Friends event 2016
a Zurigo
A Ginevra corsi di cucina
in lingua italiana
Al centro commerciale di Emmen
Grande successo per l’area
del gusto italiano
Incontri d’affari con le imprese
del Friuli Venezia Giulia
Go-italy - Rimini life style 2016
Taste of italy – food edition:
il meglio del cibo italiano
a Ginevra
Taste of italy: il meglio del
vino italiano a Zurigo
Contatti commerciali
Benvenuto ai nuovi soci
Servizi camerali
maggio 2016 La Rivista - 81
A Losanna,
i vini del Piemonte:
non solo Barolo e Barbaresco
La Camera di Commercio Italiana per la Svizzera,
in collaborazione con la CCIAA di Torino, organizza una degustazione di vini a Losanna martedì
10 maggio 2016 presso il prestigioso hotel Lausanne Palace con incontri BtoB tra operatori elvetici del settore (stampa, importatori, ristoratori,
sommelier, HORECA, dettaglianti) e cantine della
provincia di Torino. Scopo della degustazione è di
presentare sul mercato i vini piemontesi ancora
poco noti e dal grande potenziale di crescita sul
mercato elvetico.
Durante la manifestazione, sono previste due
sessioni: nell’arco della prima sessione (dalle ore
14.30 alle ore 17.30) ci saranno appuntamenti con
i professionisti elvetici del settore. La seconda sessione sarà rivolta al BtoC.
Per maggiori informazioni
Camera di Commercio Italiana per la Svizzera
Ufficio di Ginevra
Tel.: +41 (0)22 906 85 95
[email protected]
ne operanti nel settore aviazione e aerospaziale in
possesso di una strategia di sviluppo internazionale. Il Canton Vaud e l’Aeropole di Payerne offrono,
infatti, un terreno fertile per avviare collaborazioni
commerciali con altre ditte dello stesso settore
svizzere, o in generale estere, per aprire filiali o
creare joint venture con partner locali. Il seminario
sarà in italiano e in inglese e a conclusione ci sarà
un lunch di networking per le ditte partecipanti e la
possibilità dio incontrare i relatori one-to-one per
eventuali approfondimenti sul mercato.
10:20 Swiss export market Mrs. Marianna Valle,
Deputy Secretary General, Italian Chamber of Commerce for Switzerland
10:40 Canton of Vaud: Excellence in research and
innovation Mr. Jean-Frédéric Berthoud, Director,
Economic Development State of Vaud (DEV)
11:00 Aeropole Center of Competence: Ecosystem
with competences in aviation and space-related
domains. Mr. Pierre-André Arm, Director, Regional
community of Broye (COREB) 12.00 AM Network
finger-lunch
13:30 One to one meetings
Seminario sul settore dell’aviazione a Torino
La Camera di commercio italiana per la Svizzera
(CCIS) in collaborazione con il Canton Vaud e la
Camera di commercio di Torino, organizza un seminario a Torino il 12 maggio, presso il Centro Congressi Torino Incontra, rivolto a tutte le ditte italia-
Programma
09:30 - 10:00 Registration & welcome coffee
Institutional greetings Chamber of commerce of
Torino – Enterprise Europe Network
10:10 Welcome speech Mr. Jean-Frédéric Berthoud, Director, Economic Development State of
Vaud (DEV)
Per ulteriori informazioni
Marianna Valle
[email protected]
Tel. 0041 22 906 85 95
Barolo & Friends event 2016 a Zurigo
Il Consorzio I Vini del Piemonte è lieto di presentare la sesta edizione di Barolo &Friends, un “Walk
Around Tasting” per incontrare oltre 20 selezionati
produttori piemontesi, degustare il meglio delle
loro produzioni e avvicinarsi alla tradizione gastronomica piemontese.
L’evento avrà luogo:
Martedì, 17 maggio 2016, presso la Zunfthaus
zur Saffran (Limmatquai 54, 8001 – Zurigo), dalle
16.30 alle 21.30
Ore 18.00 Atelier Piemonte “Il Ruchè, un vino per
ogni abbinamento”, a cura della giornalista di Vinum Ursula Geiger
Ore 19.30 Atelier Piemonte “I vini del Piemonte: la
ricchezza delle sue varie espressioni”, a cura della
giornalista di Vinum Ursula Geiger
82 - La Rivista maggio 2016
Ore 19.00 Verticale di Barbaresco guidata da Renata Schwarz, Sommelier e Natale Simonetta (Proprietario Cascina Baricchi)
Sconto di CHF 5.- per soci CCIS, clienti dell’enoteca Buonvini, membri di Mondovino e lettori di Vinum (che dovranno presentare coupon all’ingresso).
Biglietti
Walk Around Tasting
Acquisto online: CHF 20.Acquisto sul posto il giorno dell’evento: CHF 25.Walk Around Tasting + Atelier Piemonte “Il Ruchè,
un vino per ogni abbinamento”
Acquisto online: CHF 30.Acquisto sul posto il giorno dell’evento: CHF 35.Walk Around Tasting + Atelier Piemonte “I Vini del
Piemonte: la ricchezza delle sue varie espressioni” o
Verticale di Barbaresco
Acquisto online: CHF 40.Acquisto sul posto il giorno dell’evento: CHF 45.-
BIGLIETTI online
https://www.amiando.com/NMWTMWP.html
oppure alla cassa serale
informazioni:
[email protected]
Tel. +41 (0)44 289 23 29
Altre informazioni sull’evento:
http://www.baroloevent.com/en/eventi/zurigo-2016/
Incontri d’affari
con le imprese del Friuli Venezia Giulia
La Camera di Commercio italiana per la Svizzera
(CCIS), in collaborazione con le Camere di Commercio di Udine e Pordenone, organizza in Svizzera
dal 24 al 26 maggio degli incontri BtoB tra ditte
del Friuli Venezia Giulia e gli operatori svizzeri interessati ad incontrarle dei seguenti settori: agroalimentare (vino e alimenti), cosmetica, sistema casa,
assicurazione (periti e broker assicurativi).
Gli incontri avranno luogo presso le sedi degli operatori svizzeri o presso le sedi della CCIS a Ginevra,
Zurigo e Lugano.
Cosa: incontri d’affari – settore Food&Vino, edilizia,
cosmetica, assicurativo
Quando: dal 24 al 26 maggio 2016
Dove: direttamente presso le sedi delle aziende o
le sedi della CCIS
Per maggiori informazioni:
Lysiane Bennato - Ufficio di Ginevra
tel +41 22 906 85 95
[email protected]
Go-italy Rimini life style 2016
La Camera di Commercio Italiana per la Svizzera (CCIS) seleziona un
gruppo di 8 importatori svizzeri nei settori:
agroalimentare, moda e
accessori moda, turismo
per scoprire la “West
Coast” italiana.
Un viaggio di affari di
due giorni sul territorio
di Rimini e provincia sarà
infatti organizzato per
tutti coloro che sono interessati a trovare partner
commerciali in questa bellissima regione d’Italia.
Il programma prevede incontri con produttori di
food, di abiti e accessori moda e visite alle strutture
ricettive e ai luoghi turistici romagnoli.
Tutti i costi di viaggio e soggiorno saranno a carico
di CCIS!
Programma di massima:
Domenica 29 Maggio:
arrivo a Rimini dei buyers svizzeri
Lunedì 30 Maggio:
- Incontri B2B per i buyer dell’agroalimentare e
della moda (con possibilità di degustazioni o espo-
sizione dei capi di abbigliamento)
- Incontri B2B e visite per i rappresentanti svizzeri
di Tour Operator e agenzie di viaggio
Martedì 31 maggio:
Educational tour (Rimini e dintorni con degustazioni) per tutta la delegazione
Mercoledì 1 giugno:
ritorno in Svizzera
Per maggiori informazioni:
Lysiane Bennato
[email protected]
Tel: 022 906 85 95
Taste of italy food edition: il meglio del cibo italiano a Ginevra
Siete produttori di specialità della gastronomia
italiana?
Volete esportare in Svizzera ma non riuscite a trovare il giusto canale?
Siete già presenti ma desiderate espandere la Vostra quota di mercato?
La Camera di Commercio Italiana per la Svizzera
Vi dà la possibilità di farlo partecipando alla prima manifestazione che raggrupperà le eccellenze
del cibo italiano “Taste of Italy – Food Edition: il
meglio del cibo italiano in Svizzera” che sarà organizzata il 30 maggio 2016 presso l’Hotel Le
Richemond di Ginevra
Il programma è il seguente:
- Dalle ore 14.30 alle ore 17.30: incontri BtoB
(ristoratori, importatori, dettaglianti, stampa)
- Dalle ore 17.30 alle ore 20.30: apertura
ad un pubblico selezionato di intenditori e
amatori di cibo italiano di qualità con possibi-
lità di vendita dei
prodotti
Per maggiori
informazioni
CCIS – Ufficio di
Ginevra
Lysiane Bennato
[email protected]
Tel. 0041 229068595
Taste of italy il meglio del vino italiano a Zurigo
La Camera di Commercio Italiana per la Svizzera ha il piacere d’invitare i professionisti del settore vitivinicolo e wine lovers a l’evento «Taste of
Italy: il meglio del vino italiano in Svizzera».
Programma:
Dalle ore 14.30 alle 17.30: incontri BtoB (ristoratori, importatori, dettaglianti, sommelier,
stampa)
Dalle ore 17.30 alle 21.00: apertura ai wine
lovers e ad un pubblico selezionato della business community zurighese
Luogo: FIFA World Football Museum, Seestrasse 27 CH-8002 Zürich
Data: Giovedì, 9 giugno 2016
Per maggiori informazioni:
Ufficio di Zurigo
Camera di Commercio Italiana per la Svizzera
Tel: +41 44 289 23 29
[email protected]
L’entrata è libera, ma è obbligatorio iscriversi
entro e non oltre il 6 giugno 2016.
maggio 2016 La Rivista - 83
A Ginevra
corsi di cucina
in lingua italiana
La Camera di Commercio Italiana per la
Svizzera (CCIS) e Opera Vini Italiani organizzano, per la prima volta a Ginevra,
il corso di cucina in lingua italiana. I corsi si indirizzano non solo ai collaboratori
e ai quadri della ristorazione ma anche
a tutti gli appassionati della cucina italiana. Scopo del corso, programmato
secondo moderni canoni di formazione
professionale, è di informare ed educare
il consumatore, nonché di preparare in
modo adeguato il personale addetto alla
ristorazione. Ogni lezione prevede una
breve introduzione al programma della
serata e la partecipazione attiva di tutti i corsisti all’elaborazione delle ricette
previste. Il tutto sotto l’inquadramento
dello chef istruttore e del suo assistente.
I corsi non hanno scopo di lucro ma di
divulgazione delle più efficaci tecniche
di preparazione di una quarantina delle
migliori ricette della cucina italiana. La
CCIS rilascerà ai partecipanti un attestato di capacità professionale di base.
Il corso prevede un totale di 10 lezioni:
1) “Il profumo della farina” - Approccio
alla conoscenza del mondo delle farine e
degli impasti per la produzione di pane,
pane speciale, focacce e grissini. Ricette semplici e gustose per avere sempre
pane e focacce in casa.
2) “Finger Food e pasticceria salata” Bicchieri, cucchiai, bamboo piccole e
stuzzicanti proposte in miniatura. Basi
concrete per stupire gli amici a cena con
aperitivi e stuzzichini ad “effetto”.
3) “Non basta dire pasta” - Imparare e
lavorare i differenti impasti per le varie
tipologie di pasta all’uovo. Capire le proprietà meccaniche e gustative delle sfoglie per tagliolini, ravioli, lasagne, pasta
tirata a mano.
4) “Il risotto si fa col brodo” - Preparazione ed apprendimento di tutte le basi
per elaborare diverse tipologie di risotto,
84 - La Rivista maggio 2016
partendo da un buon brodo fino alla fase
piu delicata della mantecatura.
5) “Per non fare … la solita minestra” Preparazione di zuppe calde, fredde, vegetali o con carne e pesce, insomma imparare a preparare delle gustose e divertenti zuppe con ingredienti di stagione.
6) “Tutto crudo e … niente arrosto” - Tra
le classiche preparazioni italiane abbiamo crudi, carpacci e tartare. Nel corso
impareremo a preparare ,tagliare e servire delle ottime preparazioni a base di
carne cruda o marinata.
7) “Le tre “c”… carne, cottura, condimenti” - Approcci basilari per cominciare a
lavorare e cucinare la carne capendo i
principi base delle cotture e dei condimenti.
8) “Pesce al cartoccio” - Differenti preparazioni di pesce al cartoccio, imparando a sfruttare la tecnica di cottura per
estrarre sapori ed umori.
9) “Dolci risvegli” - Basi per la preparazione di dolci da forno per le colazioni
come crostate, plumcake, torte al cioccolato.
10) “Dessert nei bicchieri” - Crostate,
plumcake, dolci da colazione.
Sede e costi
I corsi si svolgeranno presso il laboratorio professionale di cucina della Brasserie des Tours, a Ginevra (Carouge).
http://www.bdt.ch/ Il corso avrà inizio
martedì 03 maggio 2016 e avrà cadenza
settimanale. Data prevista di fine corso:
05 luglio. Orario: dalle 18:30 alle 22:00
Il costo del corso è il seguente: · Corso
completo : CHF 1’450. · Riduzione 10%
prevista per: A) Soci CCIS: CHF 1’300.
Nella retta sono compresi: il materiale
didattico, un grembiule ed un cappello
da cuoco, la presenza e l’assistenza di
uno chef italiano di affermata reputazione* e di un suo assistente, la degustazione delle pietanze prodotte durante
i corsi, l’attestato di capacità rilasciato
dalla Camera di Commercio Italiana
per la Svizzera, la degustazione di vini
italiani di prestigio abbinati alle ricette
elaborate nel corso di ogni lezione.
Contatti
Camera di Commercio Italiana per la
Svizzera Ufficio di Ginevra
Lysiane Bennato, Tel: 022/906 85 95
E-Mail: [email protected]
Opera Vini Italiani
Francesco Mancuso Tel: 079 250 00 35
E-mail: [email protected]
*Gianluigi Alla, arrivato in Svizzera
come Chef Esecutivo all’ Auberge Communale de Carouge, é da anni docente
presso la prestigiosa scuola “PEPE VERDE” di Roma. Collabora inoltre con molti
giornalisti del settore e ha partecipato
alla pubblicazione di libri di ricette quali
“Creazioni Divine”, “Grandi Chef, Piccoli Prezzi”. Onnipresente nel panorama
gastronomico italiano, si è poi cimentato in sfide culinarie quali “Cooking
for Wine” e “La Prova del Cuoco”, oltre
ad aver preso parte a congressi come
“Mia Rimini”. Attivo in Italia dal 1990
al 1998, Alla si è poi trasferito a Londra,
dove ha lavorato al ristorante “San Lorenzo” di Winbledon e al “Savoy Hotel”.
Ritornato poi in patria dopo due incarichi di breve durata presso il Casinó di
Madrid ed il Mugaritz di San Sebastian,
lo chef ha gestito un albergo nei pressi
di Latina, i cui piatti sono stati nominati
nella guida Gambero Rosso 2003. Tra le
altre esperienze degne di menzione, Alla
ha lavorato presso il ristorante Marconi
23 dal 2004 al 2009, per poi essere nominato Chef Esecutivo presso il “Salotti”, detentore di una stella Michelin. Dal
2014 si è dedicato con passione all’apertura e alla gestione dell’” Auberge
Communale de Carouge”.
Al centro commerciale di Emmen
Grande successo per
l’area del gusto italiano
Per i nostalgici e i curiosi dell’enogastronomia italiana, per due settimane, dal 4 al 16
aprile 2016 il centro commerciale Emmen
Center, a pochi passi da Lucerna, ha dedicato un’ampia area all’interno della struttura
all’insegna dei buoni sapori italiani.
L’iniziativa, nata da un’idea della Manor di
Emmen, ha visto un’intensa collaborazione tra una delle maggiori catene di grande
distribuzione in Svizzera, Manor appunto, e
la Camera di Commercio Italiana per la Svizzera (CCIS), che, dal canto suo si impegna
nello svolgere il ruolo di coordinamento e
intermediazione tra le aziende italiane e la
realtà svizzera.
A seguito di numerose richieste di adesione e
dopo un’accurata selezione, ventitré piccole
e medie aziende italiane hanno partecipato
all’evento a Emmen.
Ogni azienda ha avuto a disposizione uno
stand, dove poter esporre i propri prodotti e
specialità locali.
I visitatori hanno potuto ammirare, degustare e acquistare scegliendo fra la vasta gamma ed eterogeneità di prodotti della nostra
penisola provenienti dalle diverse regioni italiane: dalla pasta fresca ai ravioli, dal riso al
miele, al caffè, all’olio extra vergine di oliva,
all’ aceto balsamico, dai formaggi ai salumi,
ai cannoli e al gelato siciliani, dagli amaretti alle conserve, alle confetture, ai pesti e
sott’oli artigianali, dai vini ai liquori. Tra gli
altri, hanno suscitato un particolare interesse
e catturato il palato dei visitatori anche due
prodotti ‘esclusivi: il tartufo, di differenti varietà molto pregiate, e lo zafferano in pistilli,
che ha davvero sorpreso il pubblico per la sua
rarità.
L’alta qualità dei prodotti è stata garantita dalla certificazione BIO, assegnata alla
maggior parte di essi, molti dei quali senza
glutine.
Il pubblico si è dimostrato entusiasta dell’iniziativa e, tra un acquisto e l’altro, si è
concesso una piacevole passeggiata nell’area del gusto italiano, girovagando tra i vari
stand alla ricerca di sapori autentici e genuini italiani ed ha avuto modo di degustare
varie specialità. In alcune giornate è stato
possibile anche parlare direttamente con i
Il vicedirettore della catena di Manor a Emmen Hanspeter Ebnöther e il Segretario Generale della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera (CCIS) Fabrizio Macrì.
produttori, che hanno illustrato la storia della loro azienda e le varie fasi di lavorazione
del prodotto.
Nei due sabati di maggiore affluenza di visitatori la manifestazione si è animata ulteriormente grazie all’intrattenimento musicale del gruppo folk “Radici di Calabria” di
Zugo: una ventina di ballerini calabresi hanno danzato con costumi tipici, canti e musiche locali riuscendo a coinvolgere grandi e
bambini nell’atmosfera italiana.
Soddisfatti della manifestazione si sono dichiarati anche il vicedirettore della catena
di Manor a Emmen Hanspeter Ebnöther e il
Segretario Generale della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera (CCIS) Fabrizio Macrì.
maggio 2016 La Rivista - 85
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maggio 2016 La Rivista - 87
Sede Lugano
Via Nassa 5CH-6900 Lugano
Tel: +41 (0)91 924 02 32
Fax: +41 (0)91 924 02 33
E-Mail: [email protected]
Sede Zurigo
Seestrasse 123CH-8027 Zurich
Tel: +41 (0)44 289 23 23
Fax: +41 (0)44 201 53 57
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Servizi
Camerali
Sede Ginevra
12-14 rue du Cendrier CH-1211 Ginevra 1
Tel: +41 (0)22 906 85 95
Fax: +41 (0)22 906 85 99
E-Mail: [email protected]
La CCIS (Camera di Commercio Italiana per la Svizzera) è l’hub di riferimento in Svizzera per imprese medie
e piccole, grandi aziende e marchi del Made in Italy, consorzi, associazioni di categoria ed enti pubblici che
abbiano l’obiettivo di accrescere la presenza economica italiana in Svizzera. Fondata nel 1909 la Camera
appartiene alla rete delle Camere di Commercio Italiane all’Estero, riconosciute dal Governo italiano quali
strumenti di promozione del Made in Italy nel Mondo e suscitatrici di opportunità e investimenti delle imprese
dei paesi in cui operano verso il mercato italiano.
La CCIS assiste con i suoi servizi tutti i soggetti
svizzeri e italiani coinvolti negli scambi economici tra
Italia, Svizzera e Liechtenstein.
La gamma dei suoi servizi è ampia e strategicamente
strutturata in aree tematiche:
Esportazioni
- Ricerca buyers/clienti
- Consulenza fiscale (rappresentanza fiscale e
recupero dell’iva italiana, svizzera e tedesca)
- Consulenza di natura commerciale e doganale
- Export & Investment Desk - Dalla Svizzera nel
mondo
- Informazioni finanziarie e legate alla solvibilità dei
partner (visure, rapporti commerciali, ecc.)
- Organizzazione di degustazioni, workshops ed
eventi
- Realizzazione di delegazioni ed export strikes
(visite presso buyers svizzeri)
- Organizzazione ed accompagnamento di espositori
italiani a fiere svizzere e di visitatori elvetici a fiere
italiane
- Organizzazione di seminari ed incontri di affari
- Focus settoriali
88 - La Rivista maggio 2016
Investimenti
- Apertura di un’attività
- Investire nella ristorazione
- Appalti pubblici in Svizzera
- Attività di M&A e di Corporate Finance
Comunicazione e promozione turistica
La Rivista, magazine mensile in lingua italiana, e
www.go-italy.ch, portale bilingue, in italiano tedesco,
per l’italianità in movimento
Corsi
- Corsi per professionisti e semplici appassionati
- Corsi per sommelier in lingua italiana
Altro
- Recupero Crediti
- Ricerca di dati statistici
- Traduzioni ed interpretariato
- Agevolazioni speciali per i soci
I settori di punta
Agroalimentare, Industria elettromeccanica, Sistema
Casa, Sistema Moda, Innovazione tecnologica e
Start-up, Turismo, Pubblicità e Comunicazione
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listino CHF 16 090.– più vernice speciale CHF 550.– meno CHF 4000.– cash bonus, prezzo d’acquisto in contanti CHF 12 640.–, rata di leasing mensile a partire da CHF 149.– IVA incl. Pagamento straordinario CHF 0.–, durata 60 mesi, 10 000 km / anno,
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