Stendhal - Simone per la scuola

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Stendhal - Simone per la scuola
Stendhal
Il profilo letterario e le opere
Stendhal (pseudonimo di Marie Henri Beyle, scelto in onore della città prussiana,
Stendal, che dette i natali a Johann Winckelmann) nasce a Grenoble nel 1783. Perde
presto l’adorata madre e trascorre l’infanzia, ricordata come solitaria e infelice, con
il temuto padre e l’odiata zia Stephanie. Tiranneggiato anche dalla figura opprimente del suo precettore, l’abate Raillane (uno dei principali motivi per cui detesterà la religione e la monarchia), trova conforto solo negli affascinanti racconti
del premuroso nonno Gagnon, grazie al quale impara ad amare la filosofia e la letteratura, ereditandone quello spirito libero che lo animerà sempre. Attratto da una
vita avventurosa, nonostante gli studi matematici e di disegno intrapresi, rinuncia
a frequentare il Politecnico di Parigi e si arruola nell’esercito nel 1800. Giunto a
Milano, scopre l’Italia e i suoi piaceri (la musica, il teatro, l’amore) e comincia a
redigere un «Giornale», pubblicato postumo. Ritornato a Parigi, inizia a frequentare
i salotti intellettuali e trova un posto di prestigio nell’amministrazione statale.
Dal 1805 al 1814 è impegnato in diverse missioni all’estero (Russia, Italia, Austria,
Germania) al seguito di Napoleone, alternandole a lunghi soggiorni nella capitale
francese. Nel 1814, a causa della caduta dell’imperatore e della Restaurazione,
sceglie di stabilirsi a Milano, dove trascorre anni frenetici e attivi accanto alla
donna più importante della sua vita, Matilde Dembowska. In questa città si avvicina agli ambienti liberali e romantici del «Conciliatore», ma nel 1821, divenuto
sospetto per il governo austriaco, è costretto ad abbandonare Milano e a fare
ritorno a Parigi, dove trascorre anni contrassegnati da un’enorme creatività. Dopo
la Rivoluzione del 1830 è nominato console di Francia a Trieste, ma gli austriaci,
temendo le sue idee liberali, lo costringono a trasferirsi a Civitavecchia. Tra questa
città e Parigi egli trascorre gli ultimi anni della sua vita. Si spegne nella capitale
francese nel 1842.
Le prime opere (Vite di Haydn, Mozart e Metastasio, 1815, e La storia della
pittura in Italia, 1817), pur se ricalcate su lavori analoghi (la prima deriva da
Giuseppe Carpani, la seconda dall’abate Lanzi), evidenziano una certa originalità
di scrittura e un tentativo di realizzare una sociologia dell’arte. Nel 1817 viene
pubblicato Roma, Napoli e Firenze, volume ricco di intelligenti osservazioni sui
costumi italici. Il tormentato amore con Matilde gli ispira Dell’amore (1822), una
sorta di trattato filosofico (per alcuni una singolare monografia psicologica) denso
di spunti autobiografici. In questi anni si getta a capofitto nella polemica tra
classicisti e romantici, pubblicando un pamphlet intitolato Racine e Shakespeare
(1823-25), nel quale appoggia la concezione letteraria del Romanticismo, a suo
giudizio più moderna e realistica.
Il primo romanzo, Armance, risale al 1827 e dà inizio al cosiddetto “realismo romantico” (la storia si svolge a Parigi ai tempi della Restaurazione e qui avviene il
suicidio finale del protagonista, causato dalla sua incapacità di amare). Seguono
Passeggiate a Roma (1829), Il Rosso e il Nero (1830-31) e Memorie di un turista
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(1838). Nel 1839 termina (in appena cinquantadue giorni) uno dei suoi romanzi più
riusciti, La Certosa di Parma, nel quale si assiste a un progresso della poetica stendhaliana: dalla storia considerata come una “cronaca” del presente, infatti, egli si
muove verso una concezione della storia stessa in cui il presente è un momento
significativo dell’esperienza umana nel suo insieme. L’eroe di quest’opera (Fabrizio
del Dongo) è caratterizzato, a differenza del protagonista del romanzo Il Rosso
e il Nero, da una visione della vita meno in­quieta, nella quale l’ansia distruttiva
viene sostituita da una rassegnazione meditativa, che porta infine il protagonista
a ritirarsi nella Certosa di Parma (monumento nato dall’immaginazione dell’autore).
Durante la sua permanenza a Civitavecchia comincia a comporre i romanzi Lucien
Leuwen (basato sulle disillusioni di un giovane borghese), Lamiel e l’autobiografia
(dall’infanzia al primo soggiorno milanese) La vita di Henri Brulard, rimasti purtroppo incompiuti e pubblicati postumi. Dopo la morte vengono dati alle stampe
anche la versione completa delle Cronache italiane (modellate su testi italiani
del Rinascimento) e Ricordi di egotismo (nel quale recupera gli anni parigini dal
1821 al 1830). Solo nell’ultima parte della sua vita, Stendhal inizia a godere di un
riconoscimento da parte dei contemporanei (importantissima, a tal scopo, risulta
la pubblicazione del saggio sulla Certosa di Parma da parte di Honoré de Balzac nel
1840), ma è soprattutto tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo che autori come
Taine, Zola e Nietzsche rivalutano appieno le caratteristiche di vitalità (prodotta
dall’incessante ricerca della felicità e dal culto dell’egotismo individualista sostenuti dall’autore nella vita e nell’arte), realismo e approfondimento psicologico,
fortemente radicate in tutta la produzione stendhaliana.
L’opera
Il Rosso e il Nero
Il Rosso e il Nero è indubbiamente il romanzo più noto di Stendhal e uno dei
suoi più imponenti capolavori. Pubblicata negli ultimi mesi del 1830 (anche se
con la data del 1831) e divisa in due parti (formate rispettivamente da trenta e
quarantacinque capitoli), questa cronaca del XIX secolo (come lo stesso sottotitolo
indica) riscrive, in maniera sicuramente originale e ricca di spunti autobiografici
(l’ambiente di Grenoble è presente in tutta l’opera: alcuni personaggi ricordano il
nonno, i genitori, i maestri o, addirittura, semplici conoscenti), la vicenda dolorosa
del seminarista Antoine Berthet, processato e con­dannato a morte nel 1827 per
aver ferito, per vendetta, Madame Michaud. Quest’ultima (madre dei bambini ai
quali Berthet faceva da precettore) era infatti la sua amante; la donna, abbandonata per la figlia di Monsieur de Cordon, rende pubblica la notizia della relazione
impedendo di fatto le nozze tra i due giovani.
Gli elementi innovativi di questo straordinario romanzo di Stendhal sono innumerevoli, ma isoleremo principalmente quelli legati al contenuto, ai personaggi e
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allo stile. Il tema centrale del romanzo Il Rosso e il Nero è, senza dubbio, quello
dell’ascesa sociale e della conseguente lotta di classe. Mai nessun ro­man­ziere,
prima di Stendhal, aveva trattato in maniera così analitica e realistica tale scottante problema della Francia contemporanea. Julien, figlio perfetto di un mondo
in graduale cambiamento, capace di proporre nuove gerarchie sociali, si rende ben
presto conto che l’egoismo e l’astuzia sono le due doti abilitate ad assicurare il
trionfo nella società che conta. In effetti, a dispetto delle sue aspirazioni militari
(egli è, infatti, un ammiratore di Napoleone), tra il Rosso (l’Esercito, emblema
della Francia napoleonica) e il Nero (la Chiesa, simbolo della Francia della Restaurazione), il protagonista sceglie il secondo, poiché, dopo un’attenta e calcolata
valutazione, gli sembra un universo maggiormente ordinato, in grado di offrirgli,
attraverso la sua secolare tradizione, la continuità di quel compromesso da lui
tanto agognato.
Stendhal, vittima anch’egli di una profonda disillusione provocata dal fallimento
degli ideali napoleonici e dalla successiva Restaurazione, pare immergersi nelle tristi
vicende di Julien, osservato, nonostante la sua evidente negatività, con uno sguardo
non troppo malevolo dal suo creatore. Ed è proprio una certa compassione di fondo
a permettere all’autore la penetrazione profonda nella psicologia del protagonista:
Julien Sorel (ammirato anche da Honoré de Balzac) si propone come un personaggio
a tutto tondo, analizzato con onestà nei suoi contraddittori pensieri e comportamenti, in grado di presentarsi al lettore, anche contemporaneo, quale significativo
testimone di quella sintesi tra Romanticismo e realismo, che in quegli anni si andava
compiendo, soprattutto nel romanzo. Egli, se da un lato appare ancora legato alla
tradizione degli eroi romantici, tragicamente predestinati al fallimento delle proprie
aspirazioni, dall’altro diviene il simbolo incarnato del nuovo individuo borghese che,
messa al bando ogni attitudine eroica, si limita a trarre il massimo profitto dalle
situazioni contingenti impiegando il minimo sforzo. In effetti, solo tenendo conto
della sua matrice romantica, si può spiegare l’istintiva reazione finale, che, facendogli mettere da parte per un attimo ogni ragionevole prudenza, gli causa la totale
distruzione di quanto aveva freddamente calcolato e realizzato.
La trama L’azione del romanzo ha come sfondo la Francia della Restaurazione,
realisticamente resa in tutta quell’atmosfera di compromesso e perbenismo che –
inevitabilmente – influenza i suoi appartenenti, e vede il protagonista Julien Sorel,
di origini contadine, impegnato nella sua rapida ascesa sociale. Il giovane, infatti,
desideroso di conquistarsi un posto di rilievo nella società, sfrutta la propria intelligenza e il proprio fascino, diventando precettore dei pargoli del benestante Monsieur de Rênal (sindaco di Verrières, cittadina della Franca contea, dove si svolge
la vicenda). Ben presto inizia una relazione con la moglie di questi, ma l’intrigo
viene scoperto. Per evitare uno scandalo, Sorel è allontanato dalla residenza dei
Rênal ed entra nel seminario di Besançon. Grazie a una raccomandazione dell’abate
Pirard, diventa segretario del marchese de la Mole. La figlia del marchese, Mathilde,
conquistata dalla determinazione di Julien, se ne innamora; ma quando il giovane
sta per realizzare i suoi sogni di gloria, avendo ottenuto un titolo nobiliare e una
promessa di matrimonio, viene raggiunto dalla vendetta dell’antica amante, che
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con una lettera svela tutta la verità. Assalito dal rancore, Julien Sorel spara in
chiesa a Madame de Rênal ed è perciò condannato alla ghigliottina.
La vendetta di Julien
Ricevuta la lettera di Madame de Rênal, Julien è assalito dal rancore e decide di vendicarsi.
[Il Rosso e il Nero, II, 35]
«Dov’è la lettera1 della signora de Rênal?» disse freddamente2 Julien.
«Eccola3. Non ho voluto mostrartela prima che tu fossi preparato».
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«Quello che devo alla santa causa della religione e della morale mi obbliga, signore,
al passo penoso che sto per compiere presso di voi; una regola infallibile mi ordina
in questo momento di fare del male al mio prossimo, ma allo scopo di evitare un più
grande scandalo4. Il dolore che provo deve essere vinto dal sentimento del dovere. È
anche troppo vero, signore: la condotta della persona a proposito della quale mi chiedete tutta la verità è potuta apparire talvolta inesplicabile e talvolta addirittura onesta5.
Si è potuto credere opportuno nascondere o mascherare in parte la realtà delle cose: ciò
era richiesto dalla prudenza quanto dalla religione. Ma questa condotta, che desiderate
conoscere, è stata in effetti del tutto condannabile, e più di quanto io possa dire. Povero
e avido, servendosi della più consumata ipocrisia e seducendo una donna debole e infelice, quest’uomo ha cercato di farsi una posizione e di diventare qualcuno. Fa parte del
mio penoso dovere aggiungere che il signor J.6, secondo quanto sono costretta a credere,
non ha nessun principio religioso7. In coscienza devo ritenere che uno dei suoi mezzi
per riuscire in una casa consista nel sedurre la donna che gode di maggiore influenza.
Protetto da un apparente disinteresse e ricorrendo a frasi da romanzo, egli non ha altro
scopo oltre quello di riuscire a disporre del padrone di casa e della sua fortuna8. Egli si
lascia alle spalle sventure ed eterni rimorsi9…» ecc. ecc.
Questa lettera lunghissima e semicancellata dalle lacrime10 era sicuramente scritta dalla
signora de Rênal; era anche scritta con maggior cura del solito.
«Non posso biasimare il marchese11», disse Julien quando l’ebbe finita. «Egli è giusto e prudente. Quale padre vorrebbe dare la sua figlia prediletta a un uomo simile?
Addio12!».
1. la lettera: Julien si riferisce alla lettera inviata da Madame de
Rênal al marchese de la Mole.
2. freddamente: l’avverbio sottolinea la premeditata crudeltà del
personaggio.
3. Eccola: ora la lettera è in possesso di Mathilde.
4. Quello … scandalo: Madame de Rênal appare una donna romanticamente prostrata dalle sofferenze d’amore, ma anche attenta a preservare una moralità messa in serio pericolo dal suo
spregiudicato comportamento.
5. talvolta … onesta: indubbiamente la personalità di Julien è
complessa e indecifrabile per la sua infelice vittima.
6. J.: è l’iniziale di Julien: Madame de Rênal non scrive per intero
il nome del suo antico amante nell’inutile tentativo di salvare un
onore già ampiamente perso. Inoltre, al fine di rendere maggiormente realistico il tono della lettera, si cela l’identità per mantenere la riservatezza, come era in uso negli scambi epistolari del
tempo.
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7. secondo … religioso: la devota e onesta Madame de Rênal delle
righe precedenti, ora, pur se tra mille giustificazioni morali (sono
costretta a credere), evidenzia una voglia di vendetta contro Julien assieme a una chiara prevenzione nei confronti di persone
provenienti da classi sociali più basse.
8. Protetto … fortuna: la donna, in questo caso, sottolinea quanto
Julien sia mostruoso nell’utilizzare espedienti tipicamente romanticiu (il disinteresse economico, la poesia) per ottenere obiettivi puramente materiali (il denaro altrui).
9. eterni rimorsi: naturalmente sono quelli di Madame de Rênal,
che si sente una peccatrice senza possibilità di perdono.
10. lacrime: il dettaglio realistico puntualizza la natura appassionata della donna.
11. biasimare il marchese: dar torto al marchese.
12. Addio!: in questo saluto definitivo è racchiusa tutta l’essenza
del romanticismo di Julien, creatura in fondo istintiva, che va incontro alla propria fine predestinata.
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Julien saltò giù dalla carrozza e corse verso la diligenza ferma all’angolo della strada.
Mathilde, di cui egli sembrava essersi dimenticato13, fece qualche passo per seguirlo;
ma gli sguardi dei negozianti che facevano capolino alle porte delle botteghe e che la
conoscevano, la costrinsero a rientrare precipitosamente in giardino14.
Julien era partito per Verrières15. Durante quel rapido viaggio non riuscì a scrivere a
Mathilde come aveva in progetto di fare: la sua mano non tracciava sulla carta che dei
segni illeggibili16.
Arrivò a Verrières una domenica mattina. Entrò dall’armaiolo, che lo colmò di complimenti per la sua recente fortuna17. Era la novità del paese18.
Julien durò19 molta fatica a fargli capire che voleva un paio di pistole. L’armaiolo le
caricò dietro sua richiesta.
Suonavano i tre tocchi20: è questo un segnale ben noto nei villaggi francesi, e dopo i
diversi scampanii mattinali21 annuncia l’inizio immediato della messa.
Julien entrò nella chiesa nuova di Verrières. Tutte le finestre alte dell’edificio erano coperte con tende di color cremisi22. Julien venne a trovarsi qualche passo dietro il banco
della signora de Rênal. Gli sembrò che ella pregasse con fervore23. La vista di quella
donna che lo aveva tanto amato24 fece tremare a tal punto il braccio di Julien, che sulle
prime egli non potè mettere in atto il suo disegno. «Non posso», si disse. «Fisicamente,
mi è impossibile25».
In quel momento il chierichetto che serviva messa suonò per l’elevazione26. La signora
de Rênal chinò il capo, che per un attimo rimase quasi interamente nascosto dalle pieghe
dello scialle. Julien non la riconosceva più con sicurezza. Sparò contro di lei un colpo di
pistola, e fallì la mira: sparò un secondo colpo, ed ella cadde27.
[Trad. di M. Lavagetto]
13. Mathilde … dimenticato: accecato dalla volontà di vendetta.
14. fece … in giardino: la marchesina è descritta come una fanciulla aristocratica, immersa nelle proprie illusioni amorose,
anche se attenta al corretto comportamento sociale (ella seguirebbe d’istinto l’amato, ma rientra in casa intimorita dagli sguardi
dei negozianti).
15. Verrières: graziosa cittadina provinciale, situata nel centro della Francia, dettagliatamente descritta nel primo capitolo
dell’opera.
16. la sua mano … illeggibili: Julien, in preda alla rabbia, non
riesce più ad avere controllo sulle sue azioni.
17. recente fortuna: il matrimonio con la marchesina.
18. Era la novità del paese: la frase sintetizza tutto il provincialismo degli abitanti di Verrières.
19. durò: impiegò.
20. i tre tocchi: si noti come Stendhal, amante della scrittura “intellegibile”, si sforzi di spiegare al lettore ogni minimo dettaglio.
21. mattinali: del mattino.
22. tutte le … cremisi: dopo una veloce carrellata sui movimenti
del personaggio principale (la partenza di Julien dalla casa di
Mathilde e il suo arrivo a Verrières), l’autore si sofferma sulla
descrizione dell’interno della chiesa, al fine di rallentare il ritmo
e preparare il lettore alla scena culminante. Cremisi: color rosso
vivo e brillante.
23. con fervore: per cercare di alleviare il proprio senso di colpa.
24. lo aveva tanto amato: Madame de Rênal esce vincente dal
confronto poiché sinceramente innamorata di Julien.
25. fece tremare … impossibile: una sorta di romantica tenerezza
si impossessa, per un attimo, del crudele Julien.
26. l’elevazione: il momento di maggiore spiritualità dell’intera
celebrazione religiosa.
27. Sparò … cadde: si noti il sostenuto ritmo della descrizione,
molto più vicino alla tecnica del montaggio cinematografico che
a quello della narrazione tradizionale.
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Leggere e interpretare
Il brano è estratto dal trentacinquesimo capitolo della seconda parte, intitolato Un uragano. Il
passaggio racconta il momento culminante dell’intera vicenda, ovvero la lettura dell’epistola inviata da Madame de Rênal al padre di Mathilde per informarlo della vera natura di Julien. Il ritratto
che la disillusa e romantica signora (figura che per molti critici ricorda la madre di Stendhal) fa
del giovane amante, se da un lato puntualizza in maniera eloquente gli aspetti fortemente negativi della sua sfaccettata personalità (egli appare infatti, avido, ipocrita e seduttore di una donna
debole e infelice), dall’altro sottolinea quanto siano ancora effettive le discriminazioni di casta (lo
definisce appunto Povero) nella società francese dell’Ottocento.
Nonostante il suo passato coinvolgimento sentimentale con un uomo di classe inferiore, ora
Madame, anche se in preda a un insostenibile dolore (che ella definisce, invece, sentimento del
dovere, al fine di evitare un più grande scandalo), tende a evidenziare il fatto che la meschinità
d’animo di Julien è direttamente collegabile alla sua umile origine (egli non ha altro scopo oltre
quello di riuscire a disporre del padrone di casa e della sua fortuna). Ed è proprio il tema centrale dell’ascesa sociale a tutti i costi a differenziare la calcolata crudeltà di Julien Sorel (Egli si
lascia alle spalle sventure ed eterni rimorsi) da quella di Valmont (protagonista delle Relazioni
pericolose, 1780-82, di Choderlos de Laclos), che, per certi versi, può essere considerato il suo
antecedente letterario più diretto.
In realtà, Valmont (ultimo rappresentante dell’Illuminismou settecentesco) studia perverse strategie seduttive per semplice diletto personale (egli, infatti, scommette sul suo sicuro successo) o
addirittura per mettere alla prova la sua resistenza razionale di fronte all’impeto dell’altrui passione
(sceglie, accuratamente, donne inesperte e apparentemente inaccessibili, in quanto secondo il
suo parere maggiormente influenzabili), mentre Julien usa il fascino di romantico figlio del popolo
(Protetto da un apparente disinteresse e ricorrendo a frasi da romanzo…) per migliorare semplicemente la propria posizione iniziale. Quest’ultimo, pur se di provenienza proletaria, si dimostra
un perfetto prodotto della mentalità borghese medio-alta, incarnandone la costante smania di riconoscimento sociale da parte di aristocratici ormai disorientati dal cambiamento e per questo
motivo facile preda dell’arrivismo della classe media. Certamente la voglia di vendetta (al di là delle
catastrofiche conseguenze) e una certa titubanza nel mettere in atto il suo disegno denunciano il
possesso di requisiti anche romantici e istintivi da parte del giovane, che però, alla fine, fa prevalere
il suo spirito profondamente laico e sacrilego (non dimentichiamo che egli intraprende la carriera
religiosa per convenienza e non per vocazione), violando un atto assolutamente spirituale come
quello dell’elevazione. Il suo unico scopo è infatti quello di riaffermare la natura pragmatica e materialista del nuovo homo economicus che, ad ogni costo, desidera mettere a segno, nonostante
inevitabili errori di valutazione (Sparò contro di lei …e fallì la mira), tutti gli obiettivi prefissati (sparò
un secondo colpo, ed ella cadde).
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