Atti incontro costitutivo - Circolo Culturale Ettore Calvi
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Atti incontro costitutivo - Circolo Culturale Ettore Calvi
INCONTRI UN 2003 DI INCONTRI SU • La pace e il mondo del lavoro • Previdenza e povertà • La riforma del mercato del lavoro CHI SIAMO? Il Circolo Culturale Ettore Calvi nasce da una storia di amicizia tra alcuni sindacalisti della CISL. Si è costituito il 5 aprile 2003 a Milano e ha sede in Via Livigno 18. I Promotori: Guerinoni Romano, Bottini Claudio, Bruseghini Fiorenzo, Colombini Angelo, Colombo Fiorenzo, Faiotto Stefano, Formis Valeriano, Fossati Elisabetta, Fumagalli Fiorindo, Fumagalli Tino, Gheno Stefano, Girgenti Sergio, Guizzardi Ivan, Isella Aldo, Larghi Gerardo, Malini Maurizio, Mattiacci Delio, Meazzi Carlo, Merlini Pierpaolo, Meroni Ambrogio, Molla Giorgio, Motta Angelo, Ori Maurizio, Pirulli Giovanni, Puglia Alfredo, Rimoldi Attilio, Rongone Tommaso, Tigrino Silvio, Turri Franco, Vari Lanfranco. 3 ADESIONE Il Circolo Culturale Ettore Calvi - Via Livigno, 18, Mi - si propone di realizzare in modo stabile un luogo dove promuovere riflessioni, giudizi, iniziative sui temi del lavoro a partire dagli insegnamenti della Dottrina sociale della Chiesa, con particolare riferimento all’impegno nell’ambito del lavoro. Lo scenario La situazione economica e sociale del nostro Paese e le trasformazioni in atto nel mercato del lavoro rendono necessarie la creazione di spazi di confronto di dialogo e di testimonianza sulla questione del lavoro con una visione capace di aprirsi, sia alla globalità dei temi che ad ognuno dei singoli aspetti. L’affermazione del lavoro tra i valori fondamentali che realizzano la persona rappresenta il punto di partenza e di giudizio per ogni attività economica e no. Questo valore deve però oggi fare i conti con lo scenario cambiato, nel quale i modelli di riferimento determinati da parole come responsabilità, realizzazione personale, giusto salario e solidarietà non trovano facile applicazione. L’evidenza di un nuovo compito La riconferma del lavoro come fattore fondamentale per la persona va coniugata con la proposta di nuovi strumenti di regolazione del mercato del lavoro. Questa esigenza culturale e operativa riguarda tutti coloro che operano con responsabilità aziendali o sindacali. Solo a partire da una concezione del lavoro come espressione del proprio essere è pos- COGNOME E NOME (leggibili) INDIRIZZO TEL. 4 E-mail: sibile all’uomo diventare protagonista della trasformazione della realtà. Lo strumento associativo La scelta del Circolo è funzionale ad una esperienza associativa fatta di momenti conviviali e di amicizia dove appaia immediatamente libero e naturale lo scambio di esperienze e di opinioni sul tema della connessione tra senso del lavoro e senso della vita. Il Circolo è un luogo in cui gli stessi associati possono ripensare al loro ruolo, alle motivazioni ideali e trovare nella compagnia le occasioni di rinnovata passione al proprio impegno. Oltre all’attività associativa locale e nazionale e la realizzazione di incontri per sostenere uno sviluppo adeguato alle tematiche, il Circolo costituirà al proprio interno un Comitato Scientifico con esperti in grado di contribuire alle riflessioni con analisi e dati. Tra gli obiettivi del Circolo c’è anche la ricerca di sinergie con altri soggetti che operano su questo terreno e la disponibilità a mettersi in rete con questa realtà. La scelta di intitolare il Circolo ad E. Calvi, primo Segretario della CISL a Milano, risponde al ricordo di operosità che il suo lavoro sindacale e politico, originato da una fede vissuta e dall’appartenenza ad un popolo, ha saputo testimoniare. Firma per adesione ETTORE CALVI Nato a Milano nel 1907, militò fin da giovanissimo nelle file dell’Azione cattolica, di cui fu dirigente dal 1924 al 1940. Combattente nella Seconda Guerra Mondiale, con la fine del conflitto ha inizio la sua attività sindacale: nel 1945 è infatti dirigente del sindacato poligrafici di Milano. tato. Membro della Commissione difesa della Camera, passa poi alla Commissione Lavoro; promotore di numerose proposte di legge di carattere sociale, all’iniziativa sua e di Buttè si deve la costituzione, nel 1955, della commissione per l’Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei lavoratori in Italia. Nel 1946 viene designato segretario della Camera del Lavoro di Varese; quindi, nello stesso anno, è eletto vicesegretario della Camera del Lavoro di Milano, carica che ricopre fino al luglio 1948. Dopo la riconferma alle successive elezioni del 1958, in occasione del Congresso Provinciale della CISL milanese nel 1959 lascia la carica di segretario generale, divenendo presidente del Consiglio Generale dell’Unione. Fino al ‘59 è anche membro eletto nell’Esecutivo confederale della CISL. Partecipa attivamente agli eventi che portano alla costituzione della Libera CGIL, divenendo Segretario Generale dell’Unione provinciale di Milano, alla cui guida resta anche in seguito all’unificazione delle correnti sindacali democratiche nella CISL. Ancora deputato nel 1963 e nel 1968, dal 1960 al 1968 è nominato sottosegretario al Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale. Nel 1972, infine, viene eletto senatore. Promotore e dirigente della Democrazia cristiana milanese, consigliere comunale nel capoluogo nel 1951, nel 1953 si presenta alle politiche per la DC e viene eletto depu- Ettore Calvi muore a Milano nel luglio del 2001. 5 ASSOCIAZIONE CIRCOLO CULTURALE ETTORE CALVI INVITO Il CIRCOLO CULTURALE ETTORE CALVI in occasione della sua costituzione che si terrà a Milano: SABATO 5 APRILE 2003 dalle ore 10,00 alle ore 13,00 presso il Teatro delle Erbe - Sala Bridge Via delle Erbe, 2 - Milano propone un seminario sul tema: “A 40 ANNI DALL’ENCICLICA PACEM IN TERRIS IL MONDO DEL LAVORO SI INTERROGA” Parteciperanno: • Monsignor Alfredo Abbondi; Rettore dell’Almo Collegio Capranica di Roma • Prof. Sergio Zaninelli; Direttore dell’Istituto di Storia Economica e Sociale Mario Romani dell’Università Cattolica di Milano Durante l’incontro saranno presentate lo scopo, le attività e le iniziative del Circolo Culturale per il Comitato Promotore Romano Guerinoni 6 GUERINONI “A 40 anni dalla Pacem in Terris il mondo del lavoro si interroga” Un tema drammaticamente attuale. Tutti parliamo di pace. Nei luoghi di lavoro, in famiglia, in Parrocchia, nel sindacato. Ne parliamo anche noi per capire, per fare nostre le ragioni del Papa, per essere responsabili operatori di pace. Abbiamo chiesto a Mons. Abbondi di aiutarci in questa rilettura storica (ma attuale) della Pacem in Terris. Al Prof. Zaninelli di aiutarci ad approfondire il tema del rapporto tra pace e il mondo del lavoro. Nel dare la parola a Mons. Abbondi mi sovviene il richiamo del Papa nel suo messaggio per la Giornata Mondiale della pace di quest’anno “fare del 40º anniversario della Pacem in Terris un’occasione quanto mai opportuna per fare tesoro dell’insegnamento profetico di Papa Giovanni XXIII“ oppure le parole del Papa in occasione della giornata del 5 marzo, giornata di digiuno e preghiera per la pace “noi cristiani, in particolare, siamo chiamati ad essere come delle senti- nelle della pace, nei luoghi in cui viviamo o lavoriamo.” Ci è chiesto, cioè, di vigilare, affinché le coscienze non cedano alla tentazione dell’egoismo, della menzogna e della violenza. Oppure il richiamo del nostro Cardinale in occasione del convegno diocesano sulla Pacem in Terris; un richiamo a conoscere in modo corretto e senza smagliature o unilateralismi la posizione della Chiesa sulla pace e delle sue concrete implicazioni. Richiami che poco hanno che vedere con un pacifismo dilagante che mi sembra usi le parole del Papa e la posizione della Chiesa per fini diversi da quella responsabilità personale a cui tutti siamo invece chiamati. 7 Mons. A. ABBONDI Nel breve tempo a disposizione proporrò alcuni spunti di riflessione e suggestioni sul tema fondamentale Pacem in Terris - cioè la pace - così come la Chiesa la intende e la insegna. Al professor Zaninelli lascerò la trattazione più sistematica dell’enciclica in quanto tale. Quasi quarant’anni fa (11 aprile) veniva firmata e promulgata da Giovanni XXIII questa lettera enciclica che nel titolo originale latino recita così “Litterae encyclicae Pacem in Terris de pace omnium gentium in veritate, iustitia, caritate, libertate costituenda “e cioè “Lettera enciclica sulla pace fra i popoli da stabilire nella verità, giustizia, carità e libertà”. Una brevissima premessa di contestualizzazione. Nell’archivio dell’Almo Collegio Capranica - sotto assedio in questo momento da parte di molti studiosi - sono custoditi molti manoscritti del Cardinale Pietro Pavan che fu uno dei principali estensori della Pacem in Terris e fra i principali collaboratori del Papa. Pavan non fu nostro ex alunno, ma, in omaggio alla storia che il Collegio Capranica ha avuto a Roma, ci lasciò buona parte del suo archivio che è, come ha detto, è sotto assedio poiché molti vorrebbero porre mano ad un’edizione critica dell’enciclica. Conformemente alle regole degli archivi Vaticani, queste carte sono però ancora sub secreto, sono riservati; sono aperti, infatti, solo gli archivi del Concilio Vaticano II. Pace da stabilire fra tutti i popoli – costituenda, dice il testo originale -, un lavoro quindi, non un pacchetto già confezionato! Avendo insegnato per anni teologia nel seminario della mia diocesi, qualche volta affrontavo questo tema “sul campo”, anche perché il rapporto tra discenti e professore può essere una realtà che diventa conflittuale se non ben compresa. 8 È un dono di Dio, si dice; sì, vero; ma è un dono da “trafficare”tutti i giorni. La pace non è la pace dei cimiteri, la pace è una lotta, qualcosa che si costruisce; e certe terminologie che nel sindacato potrebbero sembrare conflittuali, prodromi di guerra, invece, letti infine, lette cioè nell’orizzonte della dottrina e dell’insegnamento sociale della Chiesa, diventarlo fonte di lavoro, d’attività, di formicolio d’iniziative affinché questa pace possa essere costituita. La pace, insomma, non è assenza di movimento o d’azione. “Le cose ovvie solo quelle che più facilmente si dimenticano”, diceva qualche settimana fa un vescovo durante il ritiro spirituale di quaresima ai nostri 53 alunni, e mi ha colpito tantissimo (anche perché qualcuno alla fine mi ha detto “Don Alfredo io sarei rimasto ad ascoltarlo fino a stasera!": è un bel segno quando un vescovo riesce ad interessare così dei giovani!). Il vescovo esordì proprio ricordando quella frase del suo vice rettore: "le cose più ovvie solo quelle che più si dimenticano”, proprio perché sono (considerate) ovvie. In seminario ricordo sempre ai miei alunni che noi siamo qui per costruire una pace tra noi, per il compito che abbiamo, che pensiamo ci sia stato affidato e a cui vogliamo votarci e, nelle convivenze tutte, sappiamo invece che quando si dà per scontato una cosa, come già posseduta, allora questa è già morta da qualche istante. Ecco perché, non potendo e non volendo fare un excursus della Sacra Scrittura e del Magistero, ma non potendo nemmeno saltare la Sacra Scrittura a piè pari, guardo un punto essenziale di quel che il Signore Gesù dice: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace"; e guardando anche quelle bandiere che in questi giorni troviamo appese a molti balconi, mi viene in mente l’apertura della Pacem in Terris"…. La pace in terra, anelito profondo degli essere umani di tutti tempi può veni- Mons. ABBONDI re instaurata e consolidata solo nel pieno rispetto dell’ordine stabilito da Dio". È un anelito profondo, la pace ne fa parte, e potremmo mettere la in quel insieme di esigenze e di evidenze originali di cui la struttura del cuore umano è fatta - proprio come l’ossatura di quella costruzione mirabile che è piena di desideri perché piena di mancanze. Quello che l’uomo desidera è qualcosa che in qualche modo conosce, in qualche modo pre-sente e che va compiuto e ricevuto, cercato. In qualche modo conosce e possiede, non in modo compiuto, perché altrimenti non desidererebbe; non si cerca ciò che già si possiede in modo adeguato. Neppure si cerca ciò di cui non si conosce l’esistenza. L’uomo cerca la pace che conosce, la cerca perché come la possiede (cioè la conosce) non gli basta. Quindi un “oggetto” così configurato, che ha un tale status nell’esperienza umana, va cercato, domandato, atteso, con la consapevolezza che non lo produco da solo e non viene originato da me stesso; viene dato da una fonte che non è in me ma che in me ha un punto di ricezione e recezione. Di tali oggetti ce ne sono tanti nella persona; il loro complesso armonicamente edificato tende a generare ciò che chiamiamo felicità. Ecco perché parlare della pace significa parlare dell’uomo e del metodo con cui l’uomo realizza quella tensione, quel desiderio di felicità, quella aspirazione di infinito che lo costituisce e lo definisce. Senza questo non è uomo, non si compie, non si realizza. È bello interrogarsi sull’uomo, sul suo desiderio di infinito, di totalità; credo che solo il cristianesimo in Occidente lo cerchi ancora e lo cerchi in qualche luogo, in qualche ambito di amicalità che un luogo preciso, lo cerchi non come ideologia ma con le modalità di costruzione di luoghi di “sopravvivenza”. Quando crollava l’Impero Romano stava- no un po’ come noi oggi; noi siamo un po’ come nel terzo o quarto secolo! Perché? Perché quando la moralità era ormai a zero, quando di figli non se ne facevano più, quando l’esercito era di mercenari - ovviamente stranieri -, quando il livello della tassazione era diventato poco sopportabile, e via di questo passo, cosa fecero i cristiani dopo aver versato sangue per qualche secolo? Non si misero a puntellare l’Impero, ma fecero quello che avevano incontrato, fecero il cristianesimo. Anche se erano pochi da lì cominciarono; e ci sono voluti secoli (e mi vengono i brividi a pensare a quanti ce ne vorranno da oggi in avanti) per riportare l’uomo a un livello decente, meno bestiale di quello che ci stiamo preparando. Per questo, senza arroganze e soprattutto senza lamentele, facciamo questa cosa “che guarda l’uomo, lo prende per mano e gli dice: “guarda quante bandiere, quante parole….., quanti gridano "Pace! Pace!"; ma domandati: qual è il contenuto vero di questa parola? Non è ideologico, non è rivendicativo, non è da stadio! È un’appartenenza esplicita alla Chiesa, e da quest’appartenenza può e deve nascere un giudizio, non da me; e la ragione va tirata fuori, va utilizzata. Nella Chiesa si sta davanti ad un Uomo che dice: “vi lascio la pace, vi do la mia pace, non come la dà il mondo“ cioè anestetizzandovi (“fate quel che volete, basta che non pensiate!”). L’anestetico è indispensabile per il potere, perché l’uomo che pensa, l’uomo che si guarda un attimo dentro, arriva chiedersi che cosa il mondo gli sta offrendo rispetto a quello che veramente lui domanda e desidera; un così è un uomo pericoloso per il potere, è un uomo che rischia di accorgersi che il “re è nudo“ e di dirlo poi a tutti scoprendo così l’inganno di sempre. Senza la presenza del potere anestetico 9 Mons. ABBONDI del “non (mi) penso” è chiaro che l’uomo diventa pericoloso per il potere che lo inganna, pieno di odio; ed è anche chiaro il fatto che uno, da solo, in balia della sua ragione parzialmente usata perché il cuore non è venuto fuori tutto, cammina sempre più zoppo e può diventare anche violento, feroce cattivo perché il desiderio strutturale del cuore non li dà pace - non può dargli pace perché strutturale - e lui non trova la pace che cerca sopra ogni altra cosa in quanto ingrediente essenziale della felicità, cioè del suo compimento. La Pacem in Terris, che si inserì in una quasi decennale o ventennale cadenza di documenti riguardanti le tematiche sociali, richiamava l’uomo contemporaneo, l’uomo della rivoluzione industriale, all’essenziale, a come gestire le risorse umane e anche economiche rispetto a quel che l’uomo desidera veramente; ecco, la Pacem in Terris si situa lì in mezzo. Chiunque, leggendo la prima pagina, rimarrebbe un attimo sorpreso da quante volte viene usata la parola “ordine", che oggi viene percepita spesso nella sua accezione opposta. Papa Giovanni XXIII parte dalla constatazione del grande ordine dell’universo, del cosmo - cosmo viene da “cosmos”, dal verbo “cosmo“ da cui deriva anche la parola cosmetici: la bellezza come armonia, come ordine. Ordine, dunque, non come violenza dittatoriale soft o esplicita che sia, ma come ogni cosa al posto dove deve andare, dove l’uomo la deve ri-porre, luogo dato e indicato e suggerito da una sapienza che non è la nostra. Il passaggio successivo, il non ordine, il disordine dell’/nell’essere umano: l’uomo diventa nemico di se stesso, claudicante. Ecco allora il perché della dottrina sociale della Chiesa, la traduzione, il suggerimento di quello che dice il Vangelo (documento dei 10 testimoni, amici di quell’Uomo che ha avuto questa innegabile e presuntuosa pretesa per la quale è stato ucciso, eliminato - e chi lo segue sarà sempre sotto tiro, sotto mira -, pur essendo colui che porta salvezza): “pace in terra agli uomini di buona volontà“ o, nella versione lucana, “agli uomini che Dio ama”, e Dio ama tutti gli uomini. La pace un dono, ci dice il Magistero della Chiesa riecheggiando la Scrittura, ma se a questo dono non apri la mano, se a Colui che sta alla porta tu non apri, (“… verrò da lui, cenerò con lui”) … e, ancora, se tu chiuso ti opponi, allora tu stesso sei il protagonista del rifiuto, della tua mancanza piena di rabbia se non di cinismo. In una situazione molto faticosa che capitò di venire ad una persona molto vicino a me, una situazione di conflitto che richiedeva una risposta di pace profonda, interiore, per poi essere offerta all’esterno, gli amici le dissero: “guarda più su”, non guardarti dentro narcisisticamente, ma “guardati addosso“- come dicevo sempre ai miei alunni, che bisogna guardarsi l’ombelico - non narcisisticamente, ma come a quel punto che nella carne dice che siamo stati fatti, non ci facciamo da soli; siamo stati fatti, perciò apparteniamo! La pace come faccia di amici che ti guardano e ti correggono, non è tua, non è costruzione tua, è di un “Altro”, è dono: devi lasciartene trapassare per poterla possedere, per poterne godere. Non è appartenenza - parola che di questi tempi fa raddrizzare i capelli, come le parole autorità e obbedienza - pensare che la fatica o la lotta siano nemiche di ciò che desideriamo; questa è veramente la menzogna suprema: presentare come nemico ciò che invece è proprio strumento, traiettoria, ingrediente indispensabile per un bene. È il lavoro dell’ideologia che è affermazione eretica, verità impazzita che assolutizza, cioè scioglie e Mons. ABBONDI slega dalla verità totale una verità “verità“ parziale, cioè menzogna. Invece la pace nasce da una verità che ci fa liberi; senza libertà c’è schiavitù e nella schiavitù l’uomo si sente non libero, si sente inquieto, il cuore senza pace, senza quiete, irrequieto, e quindi può nascere, anche da lì, una sana inquietudine che è la lotta per affermare la verità delle cose; non la lotta contro qualcosa o qualcuno e neanche contro il mio limite: questo è un po’ il moralismo che nel mondo cattolico aleggia e che il contrario della morale; la morale indica l’appartenenza ad un Uomo dentro la storia. Pacem in Terris parla anche del rapporto tra esseri umani e poteri pubblici all’interno delle singole comunità politiche, Stati, ma anche organizzazioni sopranazionali. La dottrina sociale della Chiesa si è poi ampliata fino al punto di essere non “strumento-ricettina-prescritta“ (scritta prima) che noi dobbiamo applicare, ma è traccia per dire all’uomo cristiano che ha avuto un dono e che lui ha una marcia in più, una risorse in più, dentro tutto il limite che sperimenta e che riconosce ancora meglio di chi non ha speranza che questo limite venga salvato; un cristiano è più libero perché si può permettere di riconoscere suo limite, sapendo che questo limite, se affidato, è già salvato, e uno non ha tristezza. Occorre recuperare un giudizio originale, legato alle origini e non a quello che penso io. Questo desiderio originale trova una risposta in Cristo che indica una compagnia: una mano che ti trasporta lungo la storia che è la sua Chiesa. Cristo è la nostra pace. Possiamo dire non cosa è la pace, ma chi è la pace? Si, è un Uomo; e di questo facciamo esperienza. Che sciocchezza è invece pensare che la pace si fa assolutizzando la propria parte di ragione. San Paolo ribadisce che la fonte della pace è Cristo. Da Paul Claudel sappiamo che “la pace, chi la conosce, sa che gioia e dolore in parte uguale la compongono”. La pace è una lotta e non bisogna aver paura di questa lotta, e la misericordia cristiana (queste sono categorie che nella dottrina sociale della Chiesa riemergono) non è un “volemose bbene“ o un oppure “ma in fondo, poi, Dio in qualche modo mi salverà” (!) perché la salvezza non è qualcosa che viene dopo la morte. Comincia qui ora, è il centuplo qui ora, è la pienezza e il compimento, è l’eternità da ora. Ecco perché è un uomo nuovo che fa la pace, è una compagnia di uomini nuovi. Se una persona parte così non teme nessun nemico. Quando me lo ricordano io ringrazio Dio di avermi dato amici che mi correggono e ringrazio anche chi mi ha reso capace di lasciarmi correggere. È chiaro che non è una realtà che si può acquisire una volta per sempre: va acquisita come il nostro respiro, rinnovandola ad ogni istante; il nostro cuore il nostro cervello, grazie a Dio, funzionano anche quando dormiamo e quindi anche nel nostro sonno si cerca la verità. Conversione del cuore. Non si può avere pace se non si cambia, se non ci si lascia cambiare. La conversione non è cambiare abitudini o azioni; la conversione riguarda i criteri, i criteri con cui si sta di fronte alla realtà, con cui si giudica la realtà. Papa Pio XII, ex alunno del Collegio Capranica, aveva come motto “Opus Justitiae Pax”: la pace è opera della giustizia, senza giustizia non c’è pace. Come Papa Giovanni Paolo II ci ha ricordato non molto tempo fa: “non c’è pace senza giustizia e 11 Mons. ABBONDI non c’è giustizia senza perdono". Questa parola è da “uomini“ perché tutti sanno che devono essere perdonati e ogni genitore sa che se non perdona non si riesce ad andare avanti. Cosa fa il cristiano nel sindacato? Innanzitutto cerca di riconquistare giorno per giorno la sua caratteristica, documentando, richiamando e indicando la vera essenza della pace dentro conflitto, dentro la contrapposizione; non in una riconciliazione di tipo corporazioni del ventennio, ma dentro una riconciliazione che è unità possibile per camminare su un binario comune; suggerendo metodi. Ecco, un sindacato che deve educare a questa pace, soprattutto un sindacato che nasce da un’esperienza umana di cattolici. Mi perdonate ma sono rimasto spiazzato leggendo che di fronte alla questione della guerra e della pace - la Chiesa aveva come compito l’educazione. Bisogna prendere 12 invece una posizione. Un’educazione non è prendere una posizione, no?! Un’educazione dell’uomo, ricordandogli si deve avere presente chi è e di Chi è poi, soprattutto, dove va, cioè perché esiste. Ci agitiamo tanto…. Ma qui casca l’asino! Perché agitarsi tanto? “Forse che il fine della vita è vivere?“ Poterlo chiedere ad una madre direbbe “no, il fine è dare la vita”, in tutti i molteplici sensi che una madre conosce. Vi ricordo la lettera di Giacomo apostolo “mostrami la tua fede senza le opere e Io con le mie opere ti mostrerò la mia fede”. Una fede incarnata. Pertanto la santità è il culmine della pace. Il tempo è tiranno e queste due ultime cose sono state “tirate là“ così, solo come titolo. A voi riprenderle. Grazie.