Atti incontro costitutivo - Circolo Culturale Ettore Calvi

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Atti incontro costitutivo - Circolo Culturale Ettore Calvi
INCONTRI
UN 2003 DI INCONTRI SU
• La pace e il mondo
del lavoro
• Previdenza e povertà
• La riforma del mercato
del lavoro
CHI SIAMO?
Il Circolo Culturale Ettore Calvi
nasce da una storia di amicizia
tra alcuni sindacalisti della CISL.
Si è costituito il 5 aprile 2003 a Milano
e ha sede in Via Livigno 18.
I Promotori:
Guerinoni Romano, Bottini Claudio, Bruseghini Fiorenzo, Colombini Angelo, Colombo
Fiorenzo, Faiotto Stefano, Formis Valeriano, Fossati Elisabetta, Fumagalli Fiorindo,
Fumagalli Tino, Gheno Stefano, Girgenti Sergio, Guizzardi Ivan, Isella Aldo, Larghi
Gerardo, Malini Maurizio, Mattiacci Delio, Meazzi Carlo, Merlini Pierpaolo, Meroni
Ambrogio, Molla Giorgio, Motta Angelo, Ori Maurizio, Pirulli Giovanni, Puglia Alfredo,
Rimoldi Attilio, Rongone Tommaso, Tigrino Silvio, Turri Franco, Vari Lanfranco.
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ADESIONE
Il Circolo Culturale Ettore Calvi - Via
Livigno, 18, Mi - si propone di realizzare in
modo stabile un luogo dove promuovere
riflessioni, giudizi, iniziative sui temi del lavoro a partire dagli insegnamenti della Dottrina
sociale della Chiesa, con particolare riferimento all’impegno nell’ambito del lavoro.
Lo scenario
La situazione economica e sociale del
nostro Paese e le trasformazioni in atto nel
mercato del lavoro rendono necessarie la
creazione di spazi di confronto di dialogo e di
testimonianza sulla questione del lavoro con
una visione capace di aprirsi, sia alla globalità
dei temi che ad ognuno dei singoli aspetti.
L’affermazione del lavoro tra i valori fondamentali che realizzano la persona rappresenta il punto di partenza e di giudizio per
ogni attività economica e no.
Questo valore deve però oggi fare i conti
con lo scenario cambiato, nel quale i modelli di riferimento determinati da parole come
responsabilità, realizzazione personale, giusto salario e solidarietà non trovano facile
applicazione.
L’evidenza di un nuovo compito
La riconferma del lavoro come fattore fondamentale per la persona va coniugata con la
proposta di nuovi strumenti di regolazione del
mercato del lavoro.
Questa esigenza culturale e operativa
riguarda tutti coloro che operano con responsabilità aziendali o sindacali.
Solo a partire da una concezione del lavoro come espressione del proprio essere è pos-
COGNOME E NOME (leggibili)
INDIRIZZO
TEL.
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E-mail:
sibile all’uomo diventare protagonista della
trasformazione della realtà.
Lo strumento associativo
La scelta del Circolo è funzionale ad una
esperienza associativa fatta di momenti conviviali e di amicizia dove appaia immediatamente libero e naturale lo scambio di esperienze e di opinioni sul tema della connessione tra senso del lavoro e senso della vita. Il
Circolo è un luogo in cui gli stessi associati
possono ripensare al loro ruolo, alle motivazioni ideali e trovare nella compagnia le
occasioni di rinnovata passione al proprio
impegno.
Oltre all’attività associativa locale e nazionale e la realizzazione di incontri per sostenere uno sviluppo adeguato alle tematiche, il
Circolo costituirà al proprio interno un
Comitato Scientifico con esperti in grado di
contribuire alle riflessioni con analisi e dati.
Tra gli obiettivi del Circolo c’è anche la ricerca di sinergie con altri soggetti che operano
su questo terreno e la disponibilità a mettersi in rete con questa realtà.
La scelta di intitolare il Circolo ad E. Calvi,
primo Segretario della CISL a Milano, risponde al ricordo di operosità che il suo lavoro
sindacale e politico, originato da una fede
vissuta e dall’appartenenza ad un popolo, ha
saputo testimoniare.
Firma per adesione
ETTORE CALVI
Nato a Milano nel 1907, militò fin da giovanissimo nelle file dell’Azione cattolica, di
cui fu dirigente dal 1924 al 1940.
Combattente nella Seconda Guerra
Mondiale, con la fine del conflitto ha inizio la
sua attività sindacale: nel 1945 è infatti dirigente del sindacato poligrafici di Milano.
tato. Membro della Commissione difesa della
Camera, passa poi alla Commissione Lavoro;
promotore di numerose proposte di legge di
carattere sociale, all’iniziativa sua e di Buttè si
deve la costituzione, nel 1955, della commissione per l’Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei lavoratori in Italia.
Nel 1946 viene designato segretario della
Camera del Lavoro di Varese; quindi, nello
stesso anno, è eletto vicesegretario della
Camera del Lavoro di Milano, carica che ricopre fino al luglio 1948.
Dopo la riconferma alle successive elezioni del 1958, in occasione del Congresso
Provinciale della CISL milanese nel 1959
lascia la carica di segretario generale, divenendo presidente del Consiglio Generale
dell’Unione. Fino al ‘59 è anche membro
eletto nell’Esecutivo confederale della CISL.
Partecipa attivamente agli eventi che portano alla costituzione della Libera CGIL, divenendo Segretario Generale dell’Unione provinciale di Milano, alla cui guida resta anche
in seguito all’unificazione delle correnti sindacali democratiche nella CISL.
Ancora deputato nel 1963 e nel 1968, dal
1960 al 1968 è nominato sottosegretario al
Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale.
Nel 1972, infine, viene eletto senatore.
Promotore e dirigente della Democrazia
cristiana milanese, consigliere comunale nel
capoluogo nel 1951, nel 1953 si presenta
alle politiche per la DC e viene eletto depu-
Ettore Calvi muore a Milano nel luglio del
2001.
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ASSOCIAZIONE CIRCOLO CULTURALE ETTORE CALVI
INVITO
Il CIRCOLO CULTURALE ETTORE CALVI
in occasione della sua costituzione che si terrà a Milano:
SABATO 5 APRILE 2003
dalle ore 10,00 alle ore 13,00
presso il Teatro delle Erbe - Sala Bridge
Via delle Erbe, 2 - Milano
propone un seminario sul tema:
“A 40 ANNI DALL’ENCICLICA PACEM IN TERRIS
IL MONDO DEL LAVORO SI INTERROGA”
Parteciperanno:
• Monsignor Alfredo Abbondi; Rettore dell’Almo Collegio Capranica di Roma
• Prof. Sergio Zaninelli; Direttore dell’Istituto di Storia Economica e Sociale Mario
Romani dell’Università Cattolica di Milano
Durante l’incontro saranno presentate lo scopo, le attività e le iniziative del Circolo Culturale
per il Comitato Promotore
Romano Guerinoni
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GUERINONI
“A 40 anni dalla Pacem in Terris il mondo del lavoro si interroga”
Un tema drammaticamente attuale.
Tutti parliamo di pace. Nei luoghi di lavoro, in famiglia, in Parrocchia, nel sindacato.
Ne parliamo anche noi per capire, per fare
nostre le ragioni del Papa, per essere responsabili operatori di pace.
Abbiamo chiesto a Mons. Abbondi di aiutarci in questa rilettura storica (ma attuale)
della Pacem in Terris.
Al Prof. Zaninelli di aiutarci ad approfondire il tema del rapporto tra pace e il mondo
del lavoro.
Nel dare la parola a Mons. Abbondi mi
sovviene il richiamo del Papa nel suo messaggio per la Giornata Mondiale della pace
di quest’anno “fare del 40º anniversario della
Pacem in Terris un’occasione quanto mai
opportuna per fare tesoro dell’insegnamento
profetico di Papa Giovanni XXIII“ oppure le
parole del Papa in occasione della giornata
del 5 marzo, giornata di digiuno e preghiera
per la pace “noi cristiani, in particolare,
siamo chiamati ad essere come delle senti-
nelle della pace, nei luoghi in cui viviamo o
lavoriamo.”
Ci è chiesto, cioè, di vigilare, affinché le
coscienze non cedano alla tentazione dell’egoismo, della menzogna e della violenza.
Oppure il richiamo del nostro Cardinale in
occasione del convegno diocesano sulla
Pacem in Terris; un richiamo a conoscere in
modo corretto e senza smagliature o unilateralismi la posizione della Chiesa sulla pace e
delle sue concrete implicazioni.
Richiami che poco hanno che vedere con
un pacifismo dilagante che mi sembra usi le
parole del Papa e la posizione della Chiesa
per fini diversi da quella responsabilità personale a cui tutti siamo invece chiamati.
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Mons. A. ABBONDI
Nel breve tempo a disposizione proporrò
alcuni spunti di riflessione e suggestioni sul
tema fondamentale Pacem in Terris - cioè la
pace - così come la Chiesa la intende e la
insegna. Al professor Zaninelli lascerò la trattazione più sistematica dell’enciclica in quanto tale.
Quasi quarant’anni fa (11 aprile) veniva
firmata e promulgata da Giovanni XXIII questa lettera enciclica che nel titolo originale
latino recita così “Litterae encyclicae Pacem
in Terris de pace omnium gentium in veritate, iustitia, caritate, libertate costituenda “e
cioè “Lettera enciclica sulla pace fra i popoli
da stabilire nella verità, giustizia, carità e
libertà”.
Una brevissima premessa di contestualizzazione.
Nell’archivio dell’Almo Collegio Capranica
- sotto assedio in questo momento da parte
di molti studiosi - sono custoditi molti manoscritti del Cardinale Pietro Pavan che fu uno
dei principali estensori della Pacem in Terris e
fra i principali collaboratori del Papa.
Pavan non fu nostro ex alunno, ma, in
omaggio alla storia che il Collegio Capranica
ha avuto a Roma, ci lasciò buona parte del
suo archivio che è, come ha detto, è sotto
assedio poiché molti vorrebbero porre mano
ad un’edizione critica dell’enciclica.
Conformemente alle regole degli archivi
Vaticani, queste carte sono però ancora sub
secreto, sono riservati; sono aperti, infatti,
solo gli archivi del Concilio Vaticano II.
Pace da stabilire fra tutti i popoli – costituenda, dice il testo originale -, un lavoro
quindi, non un pacchetto già confezionato!
Avendo insegnato per anni teologia nel
seminario della mia diocesi, qualche volta
affrontavo questo tema “sul campo”, anche
perché il rapporto tra discenti e professore
può essere una realtà che diventa conflittuale se non ben compresa.
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È un dono di Dio, si dice; sì, vero; ma è un
dono da “trafficare”tutti i giorni.
La pace non è la pace dei cimiteri, la pace
è una lotta, qualcosa che si costruisce; e
certe terminologie che nel sindacato potrebbero sembrare conflittuali, prodromi di guerra, invece, letti infine, lette cioè nell’orizzonte della dottrina e dell’insegnamento sociale
della Chiesa, diventarlo fonte di lavoro, d’attività, di formicolio d’iniziative affinché questa pace possa essere costituita. La pace,
insomma, non è assenza di movimento o
d’azione.
“Le cose ovvie solo quelle che più facilmente si dimenticano”, diceva qualche settimana fa un vescovo durante il ritiro spirituale di quaresima ai nostri 53 alunni, e mi ha
colpito tantissimo (anche perché qualcuno
alla fine mi ha detto “Don Alfredo io sarei
rimasto ad ascoltarlo fino a stasera!": è un
bel segno quando un vescovo riesce ad interessare così dei giovani!). Il vescovo esordì
proprio ricordando quella frase del suo vice
rettore: "le cose più ovvie solo quelle che più
si dimenticano”, proprio perché sono (considerate) ovvie. In seminario ricordo sempre ai
miei alunni che noi siamo qui per costruire
una pace tra noi, per il compito che abbiamo, che pensiamo ci sia stato affidato e a cui
vogliamo votarci e, nelle convivenze tutte,
sappiamo invece che quando si dà per scontato una cosa, come già posseduta, allora
questa è già morta da qualche istante.
Ecco perché, non potendo e non volendo
fare un excursus della Sacra Scrittura e del
Magistero, ma non potendo nemmeno saltare la Sacra Scrittura a piè pari, guardo un
punto essenziale di quel che il Signore Gesù
dice: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace"; e
guardando anche quelle bandiere che in
questi giorni troviamo appese a molti balconi, mi viene in mente l’apertura della Pacem
in Terris"…. La pace in terra, anelito profondo degli essere umani di tutti tempi può veni-
Mons. ABBONDI
re instaurata e consolidata solo nel pieno
rispetto dell’ordine stabilito da Dio". È un
anelito profondo, la pace ne fa parte, e
potremmo mettere la in quel insieme di esigenze e di evidenze originali di cui la struttura del cuore umano è fatta - proprio come
l’ossatura di quella costruzione mirabile che
è piena di desideri perché piena di mancanze. Quello che l’uomo desidera è qualcosa
che in qualche modo conosce, in qualche
modo pre-sente e che va compiuto e ricevuto, cercato. In qualche modo conosce e possiede, non in modo compiuto, perché altrimenti non desidererebbe; non si cerca ciò
che già si possiede in modo adeguato.
Neppure si cerca ciò di cui non si conosce l’esistenza. L’uomo cerca la pace che conosce,
la cerca perché come la possiede (cioè la
conosce) non gli basta.
Quindi un “oggetto” così configurato,
che ha un tale status nell’esperienza umana,
va cercato, domandato, atteso, con la consapevolezza che non lo produco da solo e non
viene originato da me stesso; viene dato da
una fonte che non è in me ma che in me ha
un punto di ricezione e recezione.
Di tali oggetti ce ne sono tanti nella persona; il loro complesso armonicamente edificato tende a generare ciò che chiamiamo
felicità. Ecco perché parlare della pace significa parlare dell’uomo e del metodo con cui
l’uomo realizza quella tensione, quel desiderio di felicità, quella aspirazione di infinito
che lo costituisce e lo definisce. Senza questo
non è uomo, non si compie, non si realizza.
È bello interrogarsi sull’uomo, sul suo
desiderio di infinito, di totalità; credo che
solo il cristianesimo in Occidente lo cerchi
ancora e lo cerchi in qualche luogo, in qualche ambito di amicalità che un luogo preciso, lo cerchi non come ideologia ma con le
modalità di costruzione di luoghi di “sopravvivenza”.
Quando crollava l’Impero Romano stava-
no un po’ come noi oggi; noi siamo un po’
come nel terzo o quarto secolo! Perché?
Perché quando la moralità era ormai a zero,
quando di figli non se ne facevano più,
quando l’esercito era di mercenari - ovviamente stranieri -, quando il livello della tassazione era diventato poco sopportabile, e
via di questo passo, cosa fecero i cristiani
dopo aver versato sangue per qualche secolo? Non si misero a puntellare l’Impero, ma
fecero quello che avevano incontrato, fecero
il cristianesimo. Anche se erano pochi da lì
cominciarono; e ci sono voluti secoli (e mi
vengono i brividi a pensare a quanti ce ne
vorranno da oggi in avanti) per riportare
l’uomo a un livello decente, meno bestiale di
quello che ci stiamo preparando.
Per questo, senza arroganze e soprattutto
senza lamentele, facciamo questa cosa “che
guarda l’uomo, lo prende per mano e gli
dice: “guarda quante bandiere, quante parole….., quanti gridano "Pace! Pace!"; ma
domandati: qual è il contenuto vero di questa parola? Non è ideologico, non è rivendicativo, non è da stadio!
È un’appartenenza esplicita alla Chiesa, e
da quest’appartenenza può e deve nascere
un giudizio, non da me; e la ragione va tirata fuori, va utilizzata.
Nella Chiesa si sta davanti ad un Uomo
che dice: “vi lascio la pace, vi do la mia pace,
non come la dà il mondo“ cioè anestetizzandovi (“fate quel che volete, basta che non
pensiate!”). L’anestetico è indispensabile per
il potere, perché l’uomo che pensa, l’uomo
che si guarda un attimo dentro, arriva chiedersi che cosa il mondo gli sta offrendo
rispetto a quello che veramente lui domanda
e desidera; un così è un uomo pericoloso per
il potere, è un uomo che rischia di accorgersi che il “re è nudo“ e di dirlo poi a tutti scoprendo così l’inganno di sempre.
Senza la presenza del potere anestetico
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Mons. ABBONDI
del “non (mi) penso” è chiaro che l’uomo
diventa pericoloso per il potere che lo inganna, pieno di odio; ed è anche chiaro il fatto
che uno, da solo, in balia della sua ragione
parzialmente usata perché il cuore non è
venuto fuori tutto, cammina sempre più
zoppo e può diventare anche violento, feroce cattivo perché il desiderio strutturale del
cuore non li dà pace - non può dargli pace
perché strutturale - e lui non trova la pace
che cerca sopra ogni altra cosa in quanto
ingrediente essenziale della felicità, cioè del
suo compimento.
La Pacem in Terris, che si inserì in una quasi
decennale o ventennale cadenza di documenti riguardanti le tematiche sociali, richiamava l’uomo contemporaneo, l’uomo della
rivoluzione industriale, all’essenziale, a come
gestire le risorse umane e anche economiche
rispetto a quel che l’uomo desidera veramente; ecco, la Pacem in Terris si situa lì in mezzo.
Chiunque, leggendo la prima pagina,
rimarrebbe un attimo sorpreso da quante
volte viene usata la parola “ordine", che oggi
viene percepita spesso nella sua accezione
opposta.
Papa Giovanni XXIII parte dalla constatazione del grande ordine dell’universo, del
cosmo - cosmo viene da “cosmos”, dal verbo
“cosmo“ da cui deriva anche la parola
cosmetici: la bellezza come armonia, come
ordine. Ordine, dunque, non come violenza
dittatoriale soft o esplicita che sia, ma come
ogni cosa al posto dove deve andare, dove
l’uomo la deve ri-porre, luogo dato e indicato e suggerito da una sapienza che non è la
nostra.
Il passaggio successivo, il non ordine, il
disordine dell’/nell’essere umano: l’uomo
diventa nemico di se stesso, claudicante.
Ecco allora il perché della dottrina sociale
della Chiesa, la traduzione, il suggerimento
di quello che dice il Vangelo (documento dei
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testimoni, amici di quell’Uomo che ha avuto
questa innegabile e presuntuosa pretesa per
la quale è stato ucciso, eliminato - e chi lo
segue sarà sempre sotto tiro, sotto mira -,
pur essendo colui che porta salvezza): “pace
in terra agli uomini di buona volontà“ o,
nella versione lucana, “agli uomini che Dio
ama”, e Dio ama tutti gli uomini.
La pace un dono, ci dice il Magistero della
Chiesa riecheggiando la Scrittura, ma se a
questo dono non apri la mano, se a Colui
che sta alla porta tu non apri, (“… verrò da
lui, cenerò con lui”) … e, ancora, se tu chiuso ti opponi, allora tu stesso sei il protagonista del rifiuto, della tua mancanza piena di
rabbia se non di cinismo.
In una situazione molto faticosa che capitò di venire ad una persona molto vicino a
me, una situazione di conflitto che richiedeva una risposta di pace profonda, interiore,
per poi essere offerta all’esterno, gli amici le
dissero: “guarda più su”, non guardarti dentro narcisisticamente, ma “guardati addosso“- come dicevo sempre ai miei alunni, che
bisogna guardarsi l’ombelico - non narcisisticamente, ma come a quel punto che nella
carne dice che siamo stati fatti, non ci facciamo da soli; siamo stati fatti, perciò apparteniamo!
La pace come faccia di amici che ti guardano e ti correggono, non è tua, non è
costruzione tua, è di un “Altro”, è dono: devi
lasciartene trapassare per poterla possedere,
per poterne godere.
Non è appartenenza - parola che di questi
tempi fa raddrizzare i capelli, come le parole
autorità e obbedienza - pensare che la fatica
o la lotta siano nemiche di ciò che desideriamo; questa è veramente la menzogna suprema: presentare come nemico ciò che invece
è proprio strumento, traiettoria, ingrediente
indispensabile per un bene. È il lavoro dell’ideologia che è affermazione eretica, verità
impazzita che assolutizza, cioè scioglie e
Mons. ABBONDI
slega dalla verità totale una verità “verità“
parziale, cioè menzogna.
Invece la pace nasce da una verità che ci
fa liberi; senza libertà c’è schiavitù e nella
schiavitù l’uomo si sente non libero, si sente
inquieto, il cuore senza pace, senza quiete,
irrequieto, e quindi può nascere, anche da lì,
una sana inquietudine che è la lotta per
affermare la verità delle cose; non la lotta
contro qualcosa o qualcuno e neanche contro il mio limite: questo è un po’ il moralismo
che nel mondo cattolico aleggia e che il contrario della morale; la morale indica l’appartenenza ad un Uomo dentro la storia.
Pacem in Terris parla anche del rapporto
tra esseri umani e poteri pubblici all’interno
delle singole comunità politiche, Stati, ma
anche organizzazioni sopranazionali.
La dottrina sociale della Chiesa si è poi
ampliata fino al punto di essere non “strumento-ricettina-prescritta“ (scritta prima) che
noi dobbiamo applicare, ma è traccia per dire
all’uomo cristiano che ha avuto un dono e
che lui ha una marcia in più, una risorse in
più, dentro tutto il limite che sperimenta e
che riconosce ancora meglio di chi non ha
speranza che questo limite venga salvato; un
cristiano è più libero perché si può permettere di riconoscere suo limite, sapendo che questo limite, se affidato, è già salvato, e uno
non ha tristezza.
Occorre recuperare un giudizio originale,
legato alle origini e non a quello che penso io.
Questo desiderio originale trova una
risposta in Cristo che indica una compagnia:
una mano che ti trasporta lungo la storia che
è la sua Chiesa.
Cristo è la nostra pace. Possiamo dire non
cosa è la pace, ma chi è la pace? Si, è un
Uomo; e di questo facciamo esperienza.
Che sciocchezza è invece pensare che la
pace si fa assolutizzando la propria parte di
ragione.
San Paolo ribadisce che la fonte della pace
è Cristo.
Da Paul Claudel sappiamo che “la pace,
chi la conosce, sa che gioia e dolore in parte
uguale la compongono”.
La pace è una lotta e non bisogna aver
paura di questa lotta, e la misericordia cristiana (queste sono categorie che nella dottrina sociale della Chiesa riemergono) non è
un “volemose bbene“ o un oppure “ma in
fondo, poi, Dio in qualche modo mi salverà”
(!) perché la salvezza non è qualcosa che
viene dopo la morte. Comincia qui ora, è il
centuplo qui ora, è la pienezza e il compimento, è l’eternità da ora. Ecco perché è un
uomo nuovo che fa la pace, è una compagnia di uomini nuovi. Se una persona parte
così non teme nessun nemico. Quando me lo
ricordano io ringrazio Dio di avermi dato
amici che mi correggono e ringrazio anche
chi mi ha reso capace di lasciarmi correggere.
È chiaro che non è una realtà che si può
acquisire una volta per sempre: va acquisita
come il nostro respiro, rinnovandola ad ogni
istante; il nostro cuore il nostro cervello, grazie a Dio, funzionano anche quando dormiamo e quindi anche nel nostro sonno si cerca
la verità.
Conversione del cuore.
Non si può avere pace se non si cambia, se
non ci si lascia cambiare. La conversione non
è cambiare abitudini o azioni; la conversione
riguarda i criteri, i criteri con cui si sta di fronte alla realtà, con cui si giudica la realtà.
Papa Pio XII, ex alunno del Collegio
Capranica, aveva come motto “Opus
Justitiae Pax”: la pace è opera della giustizia,
senza giustizia non c’è pace. Come Papa
Giovanni Paolo II ci ha ricordato non molto
tempo fa: “non c’è pace senza giustizia e
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Mons. ABBONDI
non c’è giustizia senza perdono".
Questa parola è da “uomini“ perché tutti
sanno che devono essere perdonati e ogni
genitore sa che se non perdona non si riesce
ad andare avanti.
Cosa fa il cristiano nel sindacato?
Innanzitutto cerca di riconquistare giorno
per giorno la sua caratteristica, documentando, richiamando e indicando la vera essenza
della pace dentro conflitto, dentro la contrapposizione; non in una riconciliazione di
tipo corporazioni del ventennio, ma dentro
una riconciliazione che è unità possibile per
camminare su un binario comune; suggerendo metodi. Ecco, un sindacato che deve educare a questa pace, soprattutto un sindacato
che nasce da un’esperienza umana di cattolici. Mi perdonate ma sono rimasto spiazzato
leggendo che di fronte alla questione della
guerra e della pace - la Chiesa aveva come
compito l’educazione. Bisogna prendere
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invece una posizione. Un’educazione non è
prendere una posizione, no?!
Un’educazione dell’uomo, ricordandogli si
deve avere presente chi è e di Chi è poi,
soprattutto, dove va, cioè perché esiste. Ci
agitiamo tanto…. Ma qui casca l’asino!
Perché agitarsi tanto? “Forse che il fine della
vita è vivere?“ Poterlo chiedere ad una
madre direbbe “no, il fine è dare la vita”, in
tutti i molteplici sensi che una madre conosce.
Vi ricordo la lettera di Giacomo apostolo
“mostrami la tua fede senza le opere e Io con
le mie opere ti mostrerò la mia fede”.
Una fede incarnata. Pertanto la santità è il
culmine della pace.
Il tempo è tiranno e queste due ultime
cose sono state “tirate là“ così, solo come
titolo. A voi riprenderle.
Grazie.