Depressione e Demenza Vascolare
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Depressione e Demenza Vascolare
Articolo 2 n.9/00 22-05-2001 15:18 Pagina 12 RICERCA CLINICA E AGGIORNAMENTO DIAGNOSTICO Francesco Panza, Vincenzo Solfrizzi, Francesco Torres, Cristiano Capurso, Anna Maria Basile, Alessia D’Introno, Maurizio Monti, Antonio Capurso Cattedra di Geriatria, Centro Universitario per lo Studio dell’Invecchiamento Cerebrale, Unità di Ricerca per la Memoria, Università di Bari Depressione, demenza vascolare e malattia di Alzheimer: associazioni e sovrapposizioni Depressione e demenza, assieme agli altri disordini di tipo psichiatrico dell’età anziana meno frequenti, rappresentano una delle sfide più affascinanti della psicogeriatria e sono problemi che richiedono una maggiore attenzione da parte dei sistemi sanitari per minimizzare i loro effetti sulla disabilità e porre le basi per il miglioramento della qualità di vita di pazienti e caregiver. Le stime sulla prevalenza della depressione maggiore in età anziana variano in un range molto ampio a causa dei criteri utilizzati per la diagnosi e della procedura seguita per quantificare i casi (1,2). Nella Tabella 1 sono elencati studi che forniscono stime di prevalenza utilizzando diversi criteri diagnostici (3-15). Negli studi in cui sono stati utilizzati i criteri DSM i tassi di prevalenza per la depressione maggiore in età anziana sono stati di circa il 5% o meno, tranne che in due studi condotti in Tasmania e in Svezia (9,14). Le stime ottenute con questi criteri suggeriscono inoltre che la prevalenza della depressione decresca con l’avanzare dell’età, anche se i dati provenienti dalla Baltimore Epidemiologic Catchment Area (ECA) dimostrano come, mentre la depressione maggiore effettivamente declini in età anziana, gli altri tipi di depressione mostrino stime di prevalenza crescenti con l’aumentare dell’età (16). Le differenze nelle stime di prevalenza, come è stato detto, sono attribuibili a differenze metodologiche nella composizione del campione studiato, ai diversi setting utilizzati e ai diversi criteri diagnostici. Stime basate su scale costruite per quantificare la sintomatologia depressiva (Geriatric Depression Scale – GDS - o Center for Epidemiological Studies Depression Scale) sono in accordo con l’impressione clinica che la prevalenza della depressione aumenti con l’avanzare dell’età. Sono infatti rilevabili sintomi depressivi significativi in circa il 15% degli ultrasessantaciquenni (Tabella 1). Gli studi di incidenza sulla depressione in età anziana che utilizzano i criteri DSM mostrano un pattern di declino con l’avanzare dell’età identico agli studi di prevalenza (17,18). Del resto molta della disabilità legata alla depressione può essere associata con la sola sintomatologia depressiva anche se i pazienti non rispettano i criteri clinici DSM per la depressione maggiore (19). Un attento esame delle stime per la depressione minore rivela inoltre come un numero significativo di soggetti anziani dovrebbe essere identificato come portatore di un disturbo di tipo depressivo, confermando che i pazienti con depressione minore siano più anziani e con un maggior numero di malattie somatiche. L’età diviene quindi una delle variabili cruciali nell’influenzare la presentazione, l’espressione e il riconoscimento della depressione, e può anche riflettere differenze nell’eziologia dei disturbi depressivi. Infatti, soggetti anziani con sintomatologia depressiva senza “sadness” (pensieri o volontà di suicidio, sensazione di essere senza speranza o senza scopo) sono risultati essere, in un follow-up a 13 anni, ad aumentato rischio di deficit funzionali, declino cognitivo e mortalità (6). In un altro studio prospettico, soggetti anziani con sintomatologia depressiva si sono dimostrati essere a rischio più elevato di deficit funzionali in un follow-up a 4 anni (20). Quindi la sintomatologia depressiva, anche senza una diagnosi clinica precisa, sembra essere un fattore di rischio di declino sia funzionale che cognitivo (21,22). Un processo patofisiologico comune, come per esempio le lesioni vascolari, può essere ipotizzato per lo sviluppo della depressione e del processo dementigeno. Ulteriori studi sulle associazioni tra depressione e ansia, funzioni cognitive e stato funzionale potrebbero chiarire le modalità di presentazione della depressione in età anziana. 12 Articolo 2 n.9/00 22-05-2001 15:18 Pagina 13 D E M E N T I A U P D AT E – N U M E R O 9 , G E N N A I O 2 0 0 1 Tabella 1 – Stime di prevalenza di depressione maggiore e minore in soggetti anziani provenienti da setting community-based [modificata e integrata da: Gallo e Lebowitz, 1999 (2)] Stime di prevalenza per 100 soggetti Studio N. Età (anni) Nazione Criteri DSM Depressione maggiore Depressione minore 3,7 11 997 ≥65 USA Copeland et al, 1987 (5) 445 ≥65 USA AGECAT* 16,2 14,1 Copeland et al, 1987 (5) 396 ≥65 Inghilterra AGECAT 19,4 13,2 Copeland et al, 1992 (4) 1070 ≥65 Inghilterra AGECAT 11,3 10,7 1612 ≥65 USA DSM 1,7 15,8 1259 ≥65 Olanda DSM 3,7 – 297 ≥65 Inghilterra Int. clinica 10 16,2 Blazer et al, 1980 Gallo et al, 1997 (3) (6) Heeren et al, 1992 Kay et al, 1964 (8) Kay et al, 1985 (9) Kivela et al, 1988 (7) (10) Lindesay et al, 1989 Lobo et al, 1995 (11) (12) Myers et al, 1984 (13) Skoog et al, 1993 (14) van Ojen et al, 1995 (15) 274 ≥65 Tasmania DSM 10,2 19 1529 ≥65 Finlandia DSM 3,7 23,2 890 ≥65 Inghilterra Short-CARE** 4,3 9,2 1080 ≥65 Spagna AGECAT 4,8 – 2110 ≥65 USA DSM 0,8 1,5 13 6,6 11,7 – 347 ≥65 Svezia DSM 4051 ≥65 Olanda AGECAT * Automated Geriatric Examination for Computer Assisted Taxonomy ** Short form of the Comprehensive Assessment and Referral Examination DEPRESSIONE E RISCHIO DI DEMENZA E DECLINO VaD) rispetto alla malattia di Alzheimer (Alzheimer’s disease, AD) (26). La possibilità che la depressione possa essere un fattore di rischio di demenza (includendo sia VaD sia AD) o di declino cognitivo è stata esaminata dalla nuova analisi dell’EURODEM di un pool di dati provenienti da undici studi caso-controllo in cui venivano esaminati potenziali fattori di rischio per la AD (27). In questo pool vi erano quattro studi che analizzavano i dati di pazienti in terapia antidepressiva prima dell’esordio della AD, raggiungendo un’associazione di tipo significativo se raggruppati con un odds ratio (OR) di 1,82. Solo uno di questi studi ha ottenuto singolarmente dei risultati significativi. Per verificare se la depressione possa rappresentare un sintomo prodromico di AD, sono state eseguite inoltre delle analisi per sintomi depressivi insorti fino a 10 anni prima dell’esordio della AD e a più di 10 anni prima. I risultati hanno indicato come l’entità dell’associazione non vari di molto tra gli episodi depressivi più recenti (OR=1,60) e quelli più distanti nel tempo (OR=1,92). In altri cinque studi caso-controllo (28-32) sono stati trovati OR simili o più elevati rispetto all’a- COGNITIVO Esistono diversi lavori che associano depressione e deficit cognitivi significativi e una metanalisi degli studi che mettono a confronto soggetti con sintomatologia depressiva con soggetti non depressi ha rilevato una ridotta performance dei primi in quasi tutte le aree cognitive esplorate da test neuropsicologici specifici (23). Questa ridotta performance sembra non essere solo presente nei soggetti anziani, poiché lo stesso accade in soggetti con meno di 60 anni d’età. La depressione può essere anche una condizione che coesiste con la demenza: in campioni di pazienti dementi utilizzati in trial clinici è stata infatti riportata un’elevata prevalenza di depressione (24). Nella popolazione generale questa associazione è più sfumata, ma i pazienti dementi hanno tuttavia una più elevata prevalenza di depressione, almeno nelle demenze di tipo moderato (14,25). In uno studio con un campione di popolazione “community-based” la prevalenza di depressione è stata riscontrata essere più elevata nella demenza vascolare (vascular dementia, 13 Articolo 2 n.9/00 22-05-2001 15:18 Pagina 14 RICERCA CLINICA E AGGIORNAMENTO DIAGNOSTICO nalisi EURODEM, ma solo in due casi tale associazione si è dimostrata significativa (29,32). I due soli studi che prendevano in considerazione episodi depressivi risalenti a più di 10 anni prima dell’esordio della AD non hanno ottenuto risultati significativi. Infine una metanalisi recentissima sui sei studi presi in considerazione ed eseguita con il metodo “odd man out” ha fornito un intervallo di confidenza al 95% (IC 95%) per il rischio relativo (RR) di 1,16-3,50 (33). Tuttavia i punti di debolezza degli studi casocontrollo sono ben noti; infatti l’esposizione al rischio, in questo caso l’anamnesi positiva per episodi depressivi, viene valutata solo dopo che la demenza è stata diagnosticata. Quindi la diagnosi di pregressa depressione viene effettuata soprattutto grazie al caregiver che può avere un’imperfetta conoscenza di episodi spesso lontani nel tempo. Evidenze che provengono invece da studi prospettici, nei quali la depressione viene diagnosticata prima dell’esordio della demenza, possono essere molto più probanti. A tutt’oggi esistono sette studi longitudinali nei quali viene valutata la presenza di depressione come fattore di rischio per la AD o demenza, in cui però, tranne che in un caso, la durata del follow-up è relativamente breve (34-40) (Tabella 2). Quattro di questi studi hanno trovato un’associazione di tipo significativo (34,35,39,40) e una metanalisi eseguita sempre con il metodo “odd man out” sui primi sei studi ha di- mostrato come l’effetto sia eterogeneo con un IC 95% dello studio di Kessing et al (39) che non è sovrapponibile agli altri: escludendo questo “outlier”, l’IC 95% per il RR era di 1,08-3,20 (33). La presenza di pregressa depressione può essere anche un fattore di rischio di declino cognitivo e negli ultimi anni sono stati pubblicati 5 studi prospettici riassunti nella Tabella 3 (22,36,41-43). Solo due di questi studi hanno trovato delle associazioni significative (42,43) e la durata del follow-up era generalmente breve anche se uno degli studi ha superato i 12 anni (22). Un ulteriore punto di debolezza degli studi prospettici è che esaminano la depressione solo in una determinata dimensione temporale, mentre gli studi caso-controllo hanno la possibilità di considerare un’intera storia di sintomatologia depressiva trattata farmacologicamente. Infatti, soggetti che non soffrono di depressione al basale degli studi longitudinali possono incorrere in tale tipo di patologia nel corso del follow-up. D’altro canto la depressione in trattamento farmacologico può essere di gravità maggiore rispetto a quella che si riscontra normalmente negli studi community-based e la gravità della malattia può far aumentare il rischio di sviluppare una demenza (44). Dall’analisi comparata degli studi sopra riportata si potrebbe quindi concludere che la depressione è associata a un rischio aumentato di svi- Tabella 2 – Risultati di studi prospettici che verificano l’ipotesi della depressione come fattore di rischio di AD o demenza [modificata e integrata da: Jorm, 2000 (33)] Studio Buntinx et al, 1996 (34) Devanand et al, 1996 Henderson et al, 1997 Chen et al, 1999 (35) (36) (37) Diagnosi outcome Assessment della depressione N. Follow-up (anni) Risultati (IC 95%) Demenza Diagnosi del medico di base 19103 1-10 OR=2,38 (1,08-5,06) Demenza (>AD) Sintomatologia depressiva 478 1-5 RR=2,05 (1,16-3,62) Demenza Depressione maggiore 667 3,6 OR=0 (0-5,5) AD Depressione maggiore/distimia 803 4 RR=1,28 (0,51-3,20) 267 3 OR=2,05 (0,8-2,9) Popolazione danese 21 RR=2,05 (12,1-15,4) 3147 3,2 OR=4,56 (1,71-12,9) Palsson et al, 1999 (38) Demenza Sintomatologia depressiva Kessing et al, 1999 (39) Demenza Dimissione con disturbo affettivo AD Sintomatologia depressiva Geerlings et al, 2000 (40) 14 Articolo 2 n.9/00 22-05-2001 15:18 Pagina 15 D E M E N T I A U P D AT E – N U M E R O 9 , G E N N A I O 2 0 0 1 Tabella 3 – Risultati di studi prospettici che verificano l’ipotesi della depressione come fattore di rischio di declino cognitivo [modificata e integrata da: Jorm, 2000 (33)] Studio Diagnosi outcome Dufoil et al, 1996 (41) Henderson et al, 1997 Bassuk et al, 1998 Yaffe et al, 1999 (36) (22) (42) Geerlings et al, 2000 (43) Assessment della depressione N. Follow-up (anni) Risultati (IC 95%) Declino di 5+ Sintomatologia MMSE* depressiva 1540 3 OR=0,8 (0,3-2,1) Deficit in 4 test Sintomatologia depressiva 604 3,6 NA Deficit nel SPMSQ** Sintomatologia depressiva 2140 12 OR=1,26† (0,59-2,71) OR=1,65‡ (0,62-4,38) Deficit in 3 test Sintomatologia depressiva 5781 4 + sintomi + declino Declino di 3+ MMSE Sintomatologia depressiva 2399 3,4 + sintomi + declino * Mini-Mental State Examination ** Short Portable Mental Status Questionnaire † Declino da un punteggio depressivo elevato a uno medio o basso ‡ Declino da uno punteggio depressivo medio a uno basso luppare demenza, AD o declino cognitivo, anche se il tipo di relazione non sembra così forte. A tutt’oggi non esistono studi in cui venga dimostrata un’eventuale associazione tra depressione e VaD. La ragionevole evidenza di un’associazione tra depressione e demenza o declino cognitivo pone il problema di una spiegazione e diverse possibili ipotesi sono state avanzate in proposito. Una di queste ipotesi, considerata anche nell’analisi originale dell’EURODEM, è che i farmaci antidepressivi possano essere responsabili di questa associazione a causa dell’azione anticolinergica esercitata da molti di essi e visto il riconosciuto deficit colinergico nella AD. Due degli undici studi caso-controllo dell’EURODEM avevano dati sul trattamento con antidepressivi, ma non è stata riscontrata nessuna associazione con la AD (OR=1,20; IC 95%=0,52-2,78). Altri studi casocontrollo sulla AD non hanno dimostrato alcuna associazione significativa tra pregresso trattamento farmacologico antidepressivo e demenza (34). Anche uno studio prospettico non ha trovato alcuna relazione tra uso di antidepressivi e successivo declino cognitivo (45). L’eccezione a questo trend generalizzato è costituita da uno studio eseguito su pazienti dementi, identificati attraverso un registro di casi psichiatrici, che assumevano una serie di farmaci psichiatrici; si tratta tuttavia di un’eccezione probabilmente determinata da un bias dovuto alla selezione dei casi (29). Un’altra possibilità che è stata presa in considerazione è che l’uso di farmaci ansiolitici possa incrementare il rischio di sviluppare una demenza. La depressione e l’ansia spesso coesistono mostrando una forte comorbidità e i pazienti depressi vengono comunemente trattati anche con farmaci ansiolitici, suggerendo quindi che il vero fattore di rischio possa essere l’ansia piuttosto che la depressione (46). Allo stato attuale tuttavia i dati sono contrastanti; infatti, mentre uno studio prospettico ha dimostrato che le benzodiazepine sono associate a un più basso rischio di AD (47), un altro studio longitudinale ha dimostrato come l’uso continuativo di tali farmaci possa essere predittivo di declino cognitivo (41). Non esistono quindi prove certe che indichino che trattamenti con farmaci antidepressivi o ansiolitici possano contribuire all’esordio di sindromi dementigene o di declino cognitivo. Partendo dall’ipotesi che depressione e demenza condividano gli stessi fattori di rischio, queste entità cliniche potrebbero esordire in uno stesso individuo con tempi e modalità differenti. Tuttavia, il confronto dei fattori di rischio di AD e VaD da una parte (48,49) e di depressione dall’altra (50) non rivela particolari sovrapposizioni. Il solo fattore comune è che una malattia vascolare preesistente aumenta il rischio di sviluppare una VaD (49) e che la depressione è più frequente in 15 Articolo 2 n.9/00 22-05-2001 15:18 Pagina 16 RICERCA CLINICA E AGGIORNAMENTO DIAGNOSTICO soggetti con malattie somatiche croniche, inclusa la malattia vascolare (49,51). Inoltre è stato proposto che AD e depressione possano condividere una stessa vulnerabilità genetica. Una survey condotta in una grande comunità ha dimostrato come i pazienti trattati per una depressione di tipo unipolare abbiano maggiori probabilità di avere uno o più pazienti dementi tra i loro parenti di primo grado (52). Di contro, non esiste alcuna associazione tra depressione e aumentato rischio di avere una familiarità per demenza, suggerendo che la depressione unipolare potrebbe essere associata con una particolare forma familiare di demenza, anche se ulteriori studi non hanno confermato una comune suscettibilità genetica. Infatti, una storia di depressione è risultata essere un fattore di rischio simile come peso sia nei casi sporadici sia in quelli familiari di AD (23), mentre una storia familiare di depressione non costituisce un fattore di rischio per AD (53). Le mutazioni autosomiche dominanti della AD sono nella quasi totalità dei casi casuali e troppo rare per poter spiegare una qualsiasi associazione di depressione e demenza. Il solo fattore di rischio genetico è l’allele ε4 dell’apolipoproteina E che non sembra essere anche un fattore di rischio di depressione (16,54,55). Non esiste inoltre alcuna evidenza che l’allele ε4 possa interagire con una storia di depressione aumentando così il rischio di sviluppare la AD (32). In conclusione, l’ipotesi di una condivisione da parte di depressione e demenza degli stessi fattori di rischio appare allo stato attuale delle conoscenze non efficacemente supportata. sto tipo di associazione, attribuendo i primi risultati a un non adeguato appaiamento dei pazienti AD depressi e non depressi in base alla gravità del quadro demenziale (59). Se la perdita di neuroni noradrenergici spiega la depressione intesa come AD preclinica, allora dovrebbe essere una delle principali caratteristiche neuropatologiche almeno nei pazienti con AD lieve o moderata. Invece, la perdita di tali neuroni viene riscontrata più spesso nei casi a esordio precoce con una maggiore gravità di malattia (58), così che viene spiegata adeguatamente la depressione come prodromo di demenza nei casi a esordio tardivo. La depressione potrebbe anche essere un prodromo di VaD, infatti immagini RMN di pazienti con depressione severa hanno mostrato una maggiore frequenza di leucoaraiosi (“white matter lesions”, WML) (60). La causa delle WML non è del tutto chiarita ma appare essere in stretta relazione con la malattia cerebrovascolare (“cerebrovascular disease”, CVD) (61). I pazienti depressi con WML sono maggiormente a rischio di declino cognitivo (62). Uno studio prospettico ha dimostrato come tali pazienti abbiamo maggiori probabilità di progredire sino alla VaD vera e propria (63). In questi studi sono stati valutati solo pazienti gravemente depressi; non si conosce allo stato attuale il ruolo delle WML in studi community-based e si ignora fino a che punto le WML siano associate con la depressione, il declino cognitivo o la futura sindrome dementigena, suggerendo che la depressione possa essere un prodromo di demenza grazie a una CVD sottocorticale. Un’altra possibilità di comorbidità tra depressione e demenza è costituita da una depressione di tipo reattivo al declino cognitivo. Nelle prime fasi della demenza l’insight della malattia è infatti ancora conservato e il paziente ha la consapevolezza delle proprie facoltà cognitive declinanti. Una depressione reattiva potrebbe dunque instaurarsi ma precedere di fatto la diagnosi stessa di demenza. Questa ipotesi spiegherebbe i risultati di uno degli studi longitudinali sul declino cognitivo, nel quale la sintomatologia depressiva si è dimostrata predittiva di declino cognitivo solo nei soggetti che avevano già iniziali sintomi di deficit cognitivo (22). L’ipotesi richiederebbe che i pazienti in uno stadio preclinico di demenza debbano possedere una consapevolezza del loro declino cognitivo, e in effetti alcuni studi mostrano come le lamentele soggettive circa il proprio sta- DEPRESSIONE: PREDEMENZA O REAZIONE AL DECLINO COGNITIVO? La possibilità che la depressione possa essere un prodromo della demenza è confortata da una serie di studi clinici nei quali pazienti inizialmente diagnosticati come depressi si sono evoluti in un’aperta sindrome dementigena (56). Un possibile meccanismo biologico attraverso il quale la AD potrebbe portare alla depressione è la perdita di neuroni noradrenergici. Diversi studi neuropatologici infatti hanno riportato in pazienti che soffrivano di AD e depressione una maggiore perdita di neuroni noradrenergici del locus coeruleus rispetto ai pazienti AD non depressi (57,58). Tuttavia uno studio recente non è riuscito a replicare que- 16 Articolo 2 n.9/00 22-05-2001 15:18 Pagina 17 D E M E N T I A U P D AT E – N U M E R O 9 , G E N N A I O 2 0 0 1 tus cognitivo possano essere predittive di demenza o declino cognitivo (64,65), sebbene questo effetto non sia sempre presente e sia comunque non particolarmente importante (66). Anche la depressione è un correlato spesso associato alla lamentela soggettiva sul proprio status cognitivo (64-66), ma questo può riflettere sia una valutazione negativa delle proprie performance cognitive sia una reazione al declino stesso. Questa ipotesi potrebbe essere confermata dal mancato ruolo predittivo della depressione nei confronti della demenza e del declino cognitivo se il modello statistico viene corretto per la presenza di lamentele soggettive circa le proprie performance cognitive. Uno studio prospettico ha dimostrato infatti che l’effetto predittivo della sintomatologia depressiva viene meno se si corregge per la presenza delle lamentele soggettive circa lo status cognitivo, anche nel caso in cui sfortunatamente i soggetti con depressione diagnosticata con criteri clinici siano stati esclusi dall’analisi (65). Anche se l’ipotesi discussa sopra deve trovare ancora piena conferma, si può concludere affermando che, molti anni prima che la sindrome dementigena sia clinicamente presente, la depressione potrebbe insorgere come un’iniziale reazione alla percezione del proprio declino cognitivo. una linea continua: a una estremità vi sono i pazienti con sindrome di Down, cioè con una ridotta riserva cognitiva e un’iperproduzione di Aβ (età di esordio dei sintomi cognitivi verso i 40 anni), e all’altra vi è l’invecchiamento fisiologico, con una produzione di Aβ lenta e graduale, per cui la sintomatologia della demenza può non insorgere durante l’arco della vita. Tra i due estremi si possono collocare, da un lato, le forme di AD familiare a trasmissione autosomica dominante, con iperproduzione di Aβ ed esordio della sintomatologia intorno ai 60 anni, e, dall’altro, soggetti a rischio di AD per la presenza dell’allele ε4 dell’apolipoproteina E o di altri fattori genetici, con normale produzione di Aβ e un esordio della malattia verso i 70 anni. Esiste un considerevole numero di evidenze scientifiche che supportano questa ipotesi e in cui fattori psicosociali, come una bassa scolarità o un basso quoziente intellettivo precedente la demenza, possono costituire elementi di rischio (67). L’ipotesi della soglia sintomatologica clinica può anche essere estesa a condizioni psichiatriche di comorbidità quali la depressione (68). La depressione comporta infatti dei deficit cognitivi che possono cumularsi con quelli presenti nelle fasi iniziali della demenza, anticipando la soglia in cui la demenza diventa clinicamente rilevante. La depressione in comorbidità con la demenza può inoltre aggravare alcuni dei disturbi comportamentali più precoci del quadro demenziale; per esempio, entrambe le patologie possono essere connotate da mancanza di motivazione (69,70). Anche disturbi depressivi in fase di remissione possono essere un possibile fattore di rischio perché sono sempre associati a una residua performance cognitiva alterata (71). Quando la demenza in fase iniziale e la depressione si combinano e si embricano in questa maniera, la diagnosi clinica risultante può essere sia di sospetta demenza sia di sospetta depressione, così che la depressione può essere interpretabile come fattore di rischio di demenza o, al contrario, la demenza come fattore di rischio di depressione. Nell’ipotesi della soglia sintomatologica della demenza, la depressione dovrebbe essere messa in relazione con una diagnosi precoce di demenza e potrebbe emergere come fattore di rischio in studi che si basano su serie cliniche. L’effetto della depressione può anche essere più rilevante in casi demenza “late-onset” con un esordio più graduale (52). Inoltre, i casi di depressione-demenza LA DEPRESSIONE PUÒ ACCELERARE LA SOGLIA SINTOMATOLOGICA DELLA DEMENZA Il processo dementigeno rappresenta un continuum per cui l’età di insorgenza della sintomatologia (età-soglia), rappresentata dalla demenza clinicamente manifesta, viene raggiunta quando la patologia influisce significativamente sulle attività del vivere quotidiano del paziente. I soggetti che possiedono una “riserva cognitiva” più esigua raggiungono questa soglia più precocemente. Secondo l’ipotesi della riserva cognitiva, l’età-soglia è variabile in relazione alle diverse patologie degenerative. Evidenze cliniche sulla riserva cognitiva sono venute da studi sul delirium, sulla VaD e sulla AD. Il modello della riserva cognitiva si basa fondamentalmente su due punti: 1) livello di cognitività e 2) velocità di produzione di β-amiloide (Aβ). I soggetti con una riserva cognitiva maggiore hanno un esordio della sintomatologia più tardivo. Il rischio di AD può essere configurato come 17 Articolo 2 n.9/00 22-05-2001 15:18 Pagina 18 RICERCA CLINICA E AGGIORNAMENTO DIAGNOSTICO coesistente potrebbero avere dei correlati neuropatologici meno gravi di quanto la loro clinica lascerebbe sospettare. Ma gli studi clinici purtroppo non hanno sin qui molto supportato questa ipotesi poiché, per esempio, nell’analisi dell’EURODEM la depressione risultava essere un fattore di rischio nei casi di AD “late-onset” e non “early-onset” (27). Uno studio neuropatologico ha osservato inoltre come i pazienti AD depressi abbiano un deficit cognitivo e una perdita di neuroni colinergici meno rilevante (72), non confermando l’ipotesi che la depressione possa anticipare il riconoscimento clinico della demenza. to che la sintomatologia affettiva può essere trattata migliorando le performance nelle attività del vivere quotidiano, performance compromesse dalla depressione più che dal declino cognitivo. In particolare, dovremmo guardare alla combinazione di depressione e “mild cognitive impairment” come a una condizione di predemenza, nella quale l’evoluzione verso AD, per quanto non inevitabile, è estremamente probabile e una terapia antidepressiva adeguata può rallentare la progressione del quadro dementigeno e ritardare la compromissione dell’autosufficienza (81). Le stesse relazioni esistenti tra depressione e declino cognitivo si realizzano inoltre nella depressione post-stroke (82). In questo tipo di pazienti, però, il deterioramento cognitivo si verifica solo nei soggetti con depressione maggiore e soprattutto in quelli che hanno subito uno stroke dell’emisfero sinistro (83). Dopo queste iniziali osservazioni è stato dimostrato che i pazienti con depressione maggiore già un mese dopo lo stroke subivano un deterioramento cognitivo significativamente maggiore rispetto ai pazienti poststroke non depressi; inoltre, nei pazienti con lesione emisferica sinistra esisteva una precisa correlazione tra punteggio di una scala sintomatologica per la depressione ed entità del deterioramento cognitivo, mentre la stessa associazione risultava non significativa per i pazienti con pregressa lesione vascolare dell’emisfero destro (84). Sulla scorta di quanto sperimentato con la pseudodemenza depressiva, nella quale il deficit cognitivo migliorava sensibilmente dopo trattamento della depressione, anche nei pazienti poststroke sono stati implementati trial clinici che però non hanno ottenuto risultati positivi (85,86). Recentemente, invece, uno studio in doppio cieco ha mostrato che pazienti con depressione poststroke sottoposti a trattamento antidepressivo ottenevano un recupero del deficit cognitivo alla remissione della sintomatologia depressiva rispetto ai pazienti che non ottenevano un miglioramento nella depressione e che seguivano per lo più un trattamento con placebo (87), aprendo nuove possibili strategie terapeutiche nei deficit cognitivi successivi a stroke. PSEUDODEMENZA DEPRESSIVA O PREDEMENZA? Nell’entità clinica nota come “pseudodemenza depressiva” (73,74), forse la più conosciuta delle demenze reversibili, la depressione mima il declino cognitivo e un eventuale trattamento antidepressivo dovrebbe far regredire i sintomi cognitivi; ciò è tuttavia messo seriamente in discussione da quanto detto finora e da alcune recenti acquisizioni (75). Infatti, i pazienti con depressione e demenza non migliorano il proprio status cognitivo anche dopo trattamento farmacologico antidepressivo (76), anche se la depressione può essere trattata con successo (77,78). Del resto, la distinzione clinica tra AD preclinica e depressione con deficit cognitivo è particolarmente difficile dato che i sintomi della AD preclinica (deficit cognitivo e depressione del tono dell’umore) sono sovrapponibili a quelli della depressione vera e propria. In uno studio prospettico recentissimo è stata indagata la possibilità di differenziare soggetti con AD preclinica e depressione da soggetti con declino cognitivo correlato alla depressione (pseudodemenza depressiva). Il 60% dei soggetti che avevano una AD preclinica (Global Deterioration Scale 2 o 3, “very mild” e “mild cognitive impairment”) risultava depresso, soprattutto lievemente depresso, e nella rivalutazione a 2 e 5 anni era possibile predire l’insorgenza della AD sulla base dell’età (>65 anni) e della severità dei deficit di memoria in compiti di richiamo differito (79). L’osservazione che pazienti depressi con lievi deficit cognitivi possano evolvere in AD è stata fatta originariamente da Kral nel 1983 (80) e successivamente supportata dalle recenti evidenze che suggeriscono un attento screening per depressione di tutti i pazienti dementi dal momen- L’IPOTESI DELLA CASCATA DI GLUCOCORTICOIDI La possibilità che la depressione possa costituire un vero e proprio fattore causale di demen- 18 Articolo 2 n.9/00 22-05-2001 15:18 Pagina 19 D E M E N T I A U P D AT E – N U M E R O 9 , G E N N A I O 2 0 0 1 BIBLIOGRAFIA za è stata infine suggerita dalla cosiddetta ipotesi della “cascata di glucocorticoidi” (88). Si è pensato che alcuni fattori scatenanti di tipo stressogeno possano provocare l’aumentata secrezione di ormone adrenocorticotropo da parte dell’ipofisi che a sua volta stimola i surreni a produrre maggiori quantità di glucocorticoidi. Nell’ippocampo ci sono recettori per i glucocorticoidi che possono svolgere un ruolo importante nell’inibire ulteriore secrezione glucocorticoide. Infatti, mentre nel breve termine la secrezione di glucocorticoidi è utile per l’adattamento allo stress, una troppo prolungata secrezione può avere effetti dannosi. L’atrofia ippocampale dovuta all’invecchiamento causa un graduale deficit del feedback inibitorio dei glucocorticoidi. Inoltre, l’ipersecrezione di glucocorticoidi danneggia a sua volta l’ippocampo portando a un meccanismo a cascata di ulteriore deficit del feedback inibitorio dei glucocorticoidi e a un ulteriore danno ippocampale. La depressione spesso comporta una disregolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e l’ippocampo nella AD è atrofico e quindi l’ipotesi della cascata di glucocorticoidi è in grado di fornire un potenziale meccanismo attraverso il quale la depressione può contribuire allo sviluppo della demenza. In favore di questa ipotesi esistono ricerche eseguite su animali da esperimento (88), sebbene ci siamo delle ipotesi contrastanti sulla forza di tali evidenze sperimentali (89). Esistono poi delle evidenze iniziali in studi condotti sull’uomo (90) e studi RMN sul volume ippocampale che supporterebbero indirettamente tale ipotesi, dimostrando come, in corso di depressione e dopo esposizione a violenti traumi psicologici, la volumetria ippocampale tenda a ridursi significativamente. Alcuni studi hanno inoltre dimostrato un’associazione tra depressione cronica o ricorrente e l’atrofia dell’ippocampo (91,92), anche se non è possibile stabilire se l’atrofia sia in realtà causa o effetto della depressione. L’ipotesi della cascata di glucocorticoidi potrebbe spiegare tale atrofia come l’effetto di una prolungata secrezione glucorticoidea, ma non esistono studi che dimostrino un’associazione tra disregolazione dell’asse ipotalamoipofisi-surrene e atrofia ippocampale nei pazienti depressi (93,94). Infine, in uno studio prospettico con un follow-up di 2 anni, in cui sono stati seguiti pazienti depressi con e senza atrofia ippocampale, l’atrofia non si è dimostrata predittiva di demenza o declino cognitivo, anche se il campione dello studio era esiguo (95). 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 19 Tannock C, Katona C. Minor depression in the aged: concepts, prevalence, and optimal management. Drugs Aging Epidemiol 1995; 6:278-292. Gallo JJ, Lebowitz BD. The epidemiology of common late-life mental disorders in the community: themes for the new century. Psychiatr Serv 1999; 50:1158-1166. Blazer D, Williams CD. Epidemiology of dysphoria and depression in an elderly population. 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