Intreccio romanzesco e intreccio pittorico in Henry Firelding and

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Intreccio romanzesco e intreccio pittorico in Henry Firelding and
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Intreccio romanzesco e intreccio pittorico in Henry Firelding and William Hogarth
by Rosamaria Loretelli
From:
IL CONFRONTO LETTERARIO, QUADERNI DEL DIPARTIMENTO DI LINGUE E LETTERATURE STRANIERE
MODERNE DELL'UNIVERSITA DI PAVIA
Anno II, . n. 3 / Maggio 1985
Schena Editore
Anche chi voglia ricercar differenze tra Hogarth e Fielding finisce per incontrare solo affinità: sempre nuove analogie si
impongono. Inevitabili dovrebbero essere le dissomiglianze, dato il loro operare in campi artistici diversi, eppure il pittore e il
romanziere non solo condividono l'idea di ridicolo, rifiutano entrambi la caricatura che ostacola il verosimile, criticano nello
stesso modo la società, forniscono le loro opere di carattere morale e utilizzano il contrasto, ma hanno anche, e praticano, una
stessa idea di come si debba narrare una storia e strutturare un intreccio.
Fielding conosceva e ammirava le opere di Hogarth, che spesso menziona nei suoi articoli su The Covent-Garden Journal, nel
Tom Jones e nel Joseph Andrews ricordandone la capacità di cogliere i tratti salienti della natura umana, la vivacità del tocco,
l'abilità nel tracciare il guizzo di un movimento, il balenar di un'emozione. E Hogarth guardava con occhio attento alla
letteratura e in The Analysis of Beauty rammenta Shakespeare, Dryden, Addison, Milton, Swift, Butler, cita poesia, brani in
prosa e testi teatrali. Ma nel suo caso non sono solo i riferimenti espliciti che contano, non si esaurisce lí il suo rapporto con
l'ambito letterario. Se confrontiamo infatti The Analysis e la pr atica pittorica di Hogarth con la teoria e la pratica romanzesca
di Fielding, ritroviamo analogie anche sul piano della forma del narrare: altre, nuove analogie.
Entrambi gli artisti erano certo consapevoli del carattere di novità della loro produzione teorica e artistica 1. Nelle memorie
Hogarth indica l'originalità della sua produzione giovanile nel tipo di soggetti-scelti, nel 'contenuto' dei suoi quadri: "modern
moral subjects", "intermediate species of subjects, which may be placed between the sublime and the grotesque" 2. Lo stesso
aveva fatto Fielding che, nel capitolo intitolato "Matter Prefatory in Praise of Biography" del Joseph Andrews, in polemica con
chi scrive 'romances' "forming originals from the confused heap of matter of their own brains", si dice di coloro cui basta
copiar la natura, si chiama 'biographer' e afferma di voler "hold the glass to thousands in their closets, that they may
contemplate their deformity, and endeavour to reduce it [ ... ]". L'attenzione di entrambi va in quel momento a certe
tematiche: il mondo moderno borghese, i sentimenti, azioni, eventi che tutti possono sperimentare e vivere, e che essi trattano
attraverso un'arte fruibile in privato, intima e informale, che dà indicazioni di comportamento e insegna una morale che è per
tutti.
L'originalità dei due tuttavia non risiede solo nei contenuti, ma nel metodo e nella forma: si può anzi rintracciare nella loro
produzione un tragitto che da un interesse iniziale per fatti etici o comunque di contenuto giunge poi a privilegiare gli aspetti
formali e della fruizione. Il cambiamento in Fielding è rilevabile mettendo a confronto il Joseph Andrews con il Tom Jones e
in Hogarth lo si vede attuato nell'Analysis, il trattato teorico che mai fa riferimento ai contenuti, i quali erano invece al centro
dei suoi interessi giovanili. Questo non vuol dire che i due abbandonino i soggetti morali, ma solo che quelli, da un dato
momento in poi, non costituivano per loro piú un ambito di ricerca: non era li che si svolgeva la loro sperimentazione.3
Se Fielding e Hogarth utilizzano quanto viene dalla tradizione: l'epica e le sue teorie il primo, le teorie e i motivi del
Manierismo, del Barocco e del Rococò il secondo, essi vi imprimono un inconfondibile marchio di originalità e li rielaborano
in funzione di generi nuovi. Proprio perché lavorano con generi nuovi, infatti, si sentono liberi di operare come meglio
credono: Hogarth afferma che sono di gran lunga piú vicini a « gaining a perfect knowledge of the elegant and beautiful in
artificial, as well as natural forms » coloro che esaminano « in a systematical but at the same time familiar way », di quanto non
lo siano "those who bave been preposess'd by dogmatic rules" 4. E Fielding dichiara che, lavorando con un genere nuovo, egli è
"at liberty to make what laws I please". Le loro teorie derivano principalmente dalla prassi, sono frutto di un'elaborazione che
mai la dimentica, che mai dimentica il fare concreto romanzi e quadri. Non a caso lo scrittore inserisce nei romanzi le sue
opinioni sul narrare e non le colloca in un trattato a parte. Non a caso il procedere delle argomentazioni di Hogarth è
punteggiato da esempi, raccontati o illustrati graficamente, che avvalorano le affermazioni teoriche e dimostrano la sua esigenza
di una continua verifica nel concreto.
Concreto della percezione prima di tutto: il Joseph Andrews e il Tom Jones abbondano in espressioni di fede nell'osservazione
immediata della natura umana, e il sistema mnemonico hogarthiano estrae il suo materiale direttamente dalle cose.
Concreto del produrre: le teorie di entrambi avanzano soluzioni per i problemi che volta a volta si pongono nel fare romanzi e
quadri.
Concreto della fruizione: altri "are continually discoursing of effects instead of developing causes", dice Hogarth nell'Analysis,
dove definisce la bellezza in termini empirici e spiega il je ne sais quoi della grazia - sino ad allora indefinito e considerato
indefinibile - con un franco appello ai sensi, che lo mostra attento alla fisiologia e alla psicologia della percezione.
Anche Fíelding, che si pone di fronte al lettore non come "a gentleman who gives a private and elemosinary treat", ma
piuttosto "as one who keeps a public ordinary, at which all persons are welcome for their money"5, è attento alla psicologia
della fruizione, e si studia di provocare e mantenere l'interesse del lettore avvincendolo al testo con l'indurne l'attesa,
ritardando poi il soddisfacimento e dunque potenziandolo.
Si è detto dell'attenzione di Hogarth per la letteratura: è però un'attenzione diversa da quella del Barocco, che pur instaura
legami tra arti visive e retorica alla ricerca dei meccanismi di convincimento. Se il legame retorica-Barocco si attua di solito sul
piano della elocutio, si sviluppa negli elementi dello stile, mentre la dispositio è semmai intesa come proporzioni, Hogarth
privilegia invece la dispositio che interpreta però come struttura, tecnica compositiva, organizzazione del racconto. Uguale
interesse mostra Fielding per la disposizione delle parti nel romanzo.
Fielding espose la sua teoria del romanzo nella prefazione al Joseph Andrews, nei capitoli iniziali dei diversi libri che
compongono il Tom Jones, nella prefazione al David Simple (il romanzo della sorella Sarah) e infine in osservazioni sparse nei
romanzi - anche nel Jonathan Wild - che legano volta a volta la teoria alla pratica e dimostrano la non casualità del suo
operare. Sono opinioni espresse nell'arco di circa dieci anni e che, pur non contraddicendosi tra loro, rivelano tuttavia un
progressivo spostamento dell'interesse.
La prefazione e i capitoli iniziali dei quattro libri del Joseph Andrews mostrano l'autore ancora attento a questioni di decorum.
Gli elementi dell'epica, vi si dice, sono: i personaggi, la dizione, la fabula e l'azione; la difficoltà consiste nel conciliare le azioni
con il tipo di personaggio e di dizione. Alla domanda usuale se i personaggi nobili debbano o meno compiere azioni grandi e
solo quelle (e viceversa per i non nobili) Fielding rispondeva con la teoria non proprio originale dell'affettazione e con la
proposta di un 'comic epic poem in prose'.
Con quest'attenzione al decorum, e in particolare alla possibilità di produrre una narrativa comica non canonizzata dai classici,
si giustifica il suo interesse per Cervantes che con il Don Chisciotte aveva fatto proprio un'epica comica in prosa. E a
Cervantes il Joseph Andrews rivolge un tributo fin nel sottotitolo: "written in imitation of the manner of Cervantes author of
Don Quixote", di quel Don Chisciotte che piú avanti definisce « the history of the world in general ». Ma fra il Joseph
Andrews e il Tom Jones l'interesse di Fielding cambia oggetto: è di quegli anni l'influenza su di lui di André Le Bossu, il
teorico francese dell'epica che aveva dedicato un'ampia parte del suo Traité du Poéme épique a problemi di strutturazione del
testo narrativo.
Nel trattato, che ebbe ristampe e traduzioni anche in Inghilterra, Le Bossu dice di voler tralasciare questioni riguardanti "les
Pensées et l'expression", "le Poème et la versification" perché sufficientemente studiati da altri, per concentrarsi su "la Fable,
Comme étant la partie la plus essentielle de l'Epopée. Je traiterai de méme de sa Forme et de sa Matière". In quest'ottica egli
rivede la problematica tradizionale dell'epica e, partendo da una citazione quasi letterale delle note di Aristotele sull'unità di
azione, propone poi meccanismi per legare una fabula multipla6. Se è vero che forse non aveva tutti i torti Terrasson quando
criticava gli scarsi risultati ottenuti su questo piano da Le Bossu, bisogna comunque dargli atto che egli aveva a cuore la
questione di come unificare e rendere compatte storie diverse, come accorpare insomma la varietà nel racconto. Questo il nodo
che la narrativa dell'epoca doveva ancora sciogliere: come legare piú azioni in una struttura compatta.
L'autore francese viene menzionato da Fielding una prima volta nel Tom Jones (p. 507) e affiancato ad Aristotele, Orazio,
Longino, André Dacier; tre anni dopo, in The Covent-Garden Journal, di nuovo è ricordato assieme ad Aristotele, Orazio e
Longino (senza piú Dacier) come uno dei teorici sotto le cui regole "the state of criticism so long flourished". Nel Tom Jones,
lo si è detto, Fielding si mostra piú attento alla strutturazione del romanzo: è allora diminuito il suo interesse per Cervantes.
Qualche anno dopo la stesura del Tom Jones infatti, recensendo - di nuovo su The Covent-Garden Journal (1752) - The
Female Quixote di Charlotte Lennox, egli sosterrà che il romanzo di quest'ultima è superiore per un aspetto a quello di
Cervantes:
[...] she has presented a more regular Story with a complete Plan, while Don Quixote is composed of loosely-connected
adventures which night come in any order at all.
Come fare ad accorpare la fabula egli non lo dice, mostra però un interesse, indica un problema e scrive un romanzo, il Tom
Jones appunto, dove il problema è in gran parte risolto. Così, in quell'opera avverte il lettore affinché non creda all'apparente
sconnessione degli eventi perché l'insieme è legato in un tutto da numerose connessioni interne'. 7 Nessuna nuova elaborazione
teorica in proposito dunque, non regole che prescrivano i modi per dar compattezza a un testo narrativo, ma le soluzioni sono
già tutte (a volte forse in una forma appena un po' ingenua) nella sua prassi narrativa, nella costruzione degli intrecci dal Tom
Jones in poi, tutti dotati di unità compatta. Non l'ordine e l'unità dell'estetica classicista, non l'equilibrio delle parti: il
principio fondamentale qui non è l'equilibrio ma l'associazione, quanto induce il lettore a percepire e ricordare come un tutto
la parte già letta del testo, quel legame, o meglio quei legami che congiungono ogni parte a tutte le altre in maniera salda e
compatta. Salda, compatta e dinamica, nel senso che le diverse parti si legano in modo direzionato e tendono alla sintesi in un
punto: la punta del cono per anticipare una metafora di Hogarth e, in Fielding, il finale del romanzo che è il luogo dove ne
confluiscono gli esiti. In tal modo si accorpa saldamente non solo la varietà ma, per usare una felice espressione di Giulio Carlo
Argan, la variabilità, la varietà nel tempo.
Dal Joseph Andrews al Tom Jones la struttura del romanzo si complica e diviene al tempo stesso piú compatta. Se il primo è
ancora in parte un romanzo lineare e l'unità è data soprattutto dalla continua presenza in scena dei due personaggi principali, il
Tom Jones è già un'opera fornita di coesione narrativa' 8, in cui non c'è evento che cancelli il precedente senza contenerlo e
assommarlo in sé. Ogni parte della fabula deriva infatti non solo da quanto immediatamente precede, ma da tutto quanto
precede: tra le varie parti si instaura una molteplicità di legami e di rimandi che, come una rete, le imbriglia tutte. Occorre
precisare, magari brevemente, in che cosa consista questa rete, come siano le sue maglie e che cosa le regga.
La coesione narrativa deriva dalla presenza in un testo di meccanismi che influiscono su due aspetti della percezione del
destinatario: la sua memoria e le sue capacità di previsione, sul ricordare e sul prevedere/ attendere. Ogni racconto, si sa, elide
necessariamente una parte di informazioni; se queste non sono rilevanti, non hanno significatività rispetto al tema del
romanzo, la loro eliminazione rende solo piú agile il racconto. In caso contrario, la lacuna aperta in un punto dovrà essere
prima o poi colmata. Ma per colmare un'ellissi aperta in precedenza, occorre un elemento o meccanismo testuale che provochi
la riattivazione, nella memoria del destinatario, di tutta quella parte del testo in cui vi era stata reticenza, in cui si era taciuta
l'informazione necessaria. Questo, porterà ad un riorientamento, o comunque ad un completamento di quanto era stato
inizialmente comunicato: le due parti del testo, anche distanti tra loro, verranno così ad integrarsi e saranno successivamente
ricordate come un tutt'unico.
Un esempio dal Tom Jones, preso a caso fra i tanti; possibili:
[...] on his great fondness for his wife; saying, she believed he was almost the only person of high rank, who was entirely
constant to the marriage bed. ' Indeed ', added she, ' my dear Sophy, that is a very rare virtue amongst men of condition.
Never expect it when you marry; for, believe me, if you do, you will certainly be deceived '. A gentle sigh stole from Sophia at
these words, [...] (p. 542).
Mrs Fitzpatrick sta parlando a Sophia del gran pregio del galante signore che le accompagna nel viaggio. Ripetute allusioni
avevano fatto precedentemente intuire i rapporti che intercorrono tra i due, e quindi le affermazioni sul pregio sono in
partenza screditate e servono a qualificare come mentitrice chi le pronuncia; acquistano cioè una connotazione che deriva da
altre parti del testo. L'informazione nuova per il lettore è che il gentiluomo è sposato; questo riorienta l'interpretazione della
pagina precedente in. cui si parla del suo ruolo fondamentale nella fuga di Mrs Fitzpatrick dal marito, pagina che, a sua volta,
aveva permesso di riorientare tutta la lunga narrazione fatta da Mrs Fitzpatrick a Sophia sulla cattiveria del marito, a suo dire
unica ragione per lasciarlo, e su come vi fosse riuscita da sola. La narrazione, che aveva eliso l'esistenza stessa del gentiluomo,
viene dunque, a distanza di pagine, ad essere legata in tal modo ai brani di riorientamento e a quanto sta tra l'una e gli altri, e
che è a sua volta - con altri fili - connesso con il primo e con i secondi. Segue infatti immediatamente l'osservazione
sull'abitudine al tradimento degli uomini dell'alta società, che rimanda da una parte a Mr Fitzpatrick (anch'egli fedifrago) a
Mrs Fitzpatrick e al gentiluomo, dall'altra a Tom, al suo passato e al suo futuro. A Tom pensa Sophia emettendo il `gentle sigh
'. Il lettore si trova cosí di fronte a personaggi che sono, in ogni singolo momento, carichi di storia, carichi del passato (del
romanzo) il quale invade il presente attraverso indizi che ne mostrano l'influenza su eventi e comportamenti, mentre il
presente stesso a sua volta contribuisce a rileggere il passato'9.
Un testo narrativo tuttavia acquista compattezza e coesione non solo grazie a quei suoi meccanismi che influiscono sulla
memoria del destinatario, ma anche per quanto in esso opera sulle sue capacità di previsione, suscitando attese. L'attesa si
configura essenzialmente come esperienza di angoscia e viene indotta da un testo contenente le spie di un'ellissi significativa,'
spie dico e non annunci espliciti, che il destinatario percepisce ma su cui la sua attenzione non indugia. Queste hanno origine
nella giustapposizione, a livello di fabula o di discorso, di insiemi di connotazioni e denotazioni non omogenei, o meglio,
nell'inserimento nell'insieme principale, di base, di elementi di un insieme secondo, ad esso non omogeneo.10
All'inizio del Tom Jones, Miss Bridget appare una persona non proprio dolcissima, ma fra le varie manifestazioni del suo
carattere c'è una contraddizione: qualche volta ella pare provar piacere a stare con Tom, il piccolo trovatello, e lo guarda con
aria non del tutto disgustata. Tali incongruenze del carattere fan sorgere un sospetto, pongono il lettore in uno stato di attesa e
questa sarà soddisfatta solo alla fine del romanzo, con la scoperta che Bridget è in realtà la madre di Tom. Si vengono in tal
modo a connettere la parte del romanzo in cui l'attesa è iniziata con quella in cui essa viene soddisfatta: altro legame che
contribuisce a saldare il testo in un tutto.
Un'opera che si strutturi su connessioni di questo tipo, che sia retta da tali maglie, possiede quella caratteristica che abbiamo
chiamato coesione narrativa e che sarà una costante di tutto il romanzo dell'Ottocento fino ad essere sentita come ' naturale ',
divenendo forse la trascrizione formale, la metafora inconsapevole, la forma simbolica di una mentalità che sente il reale come
sviluppo, il tempo come direzionato, irreversibile e cumulativo.
Così il Tom Jones accorpa la varietà: il romanzo è complesso eppur compatto, inserisce qualche digressione al fine di variare i
motivi e moltiplicare i punti di vista, a volte gioca con le digressioni e, consapevole del loro potere disgregante, le promette,
minaccia di inserirle e poi le sottrae, accocca diversi fili narrativi, segue diverse storie ma per ricombinarle, senza lasciar che
alcuna si distacchi definitivamente dal tronco principale. Ha insomma la ricchezza e la varietà del romanzo barocco, ma ha
anche una compattezza che questi non aveva. La storia della famiglia Allworthy, le avventure di Tom, la storia di Partridge, le
discussioni del teologo e del filosofo sulle diverse indoli di Tom e di Blifil, quindi Sophia e quanto avviene nella sua famiglia,
Moll Seagrim, quel che accade a Sophia alla ricerca di Tom e contemporaneamente a Tom che se ne allontana; e ancora i
rapporti tra Mrs Western e Sophia, Sophia e Lady Fitzpatrick, Lady Fitzpatrick, il marito: tutto si interseca e viene unificato.
Le storie secondarie non sono inserti narrativi enucleabili dal testo, ma risultano tutte necessarie al procedere della vicenda
principale che non è piú l'unico caso trattato, ma semplicemente quello cui si dedica maggiore attenzione e in cui gli altri
confluiscono. La varietà, così, è inserita senza un ordine gerarchizzato, alla pari nelle sue varie parti: tutto procede, si sviluppa e
cumula tendendo a una conclusione che contiene l'insieme di quanto il narrare ha costruito: nulla dunque si è perduto, nulla è
risultato inutile nell'impalcatura romanzesca.
Se dobbiamo credere a quanto Hogarth racconta nelle memorie, anch'egli, come Fielding, venne spostando il fuoco dei suoi
interessi dal contenuto alla struttura. Del suo lavoro subito dopo il 1730, quando cominciò a dipingere "modern moral
subjects", egli parla ricordandosi interessato solo a scene "where the human species are actors" e a soggetti "that will both
entertain and improve the mind"; a tale fine «ocular demonstration will carry more convinction to the mind of a sensible man,
than all he would find in a thousand volumes". Centrale all'attenzione di Hogarth era anche allora il fruitore, ma questi era un
fruitore di 'contenuti', che poteva essere commosso e convinto dalle passioni e dai sentimenti espressi sui volti rappresentati o
comunicati dalle azioni e dagli atteggiamenti dei personaggi. Non era un fruitore di 'forme': Hogarth non era ancora attento
all'aspetto significante della forma.
I meccanismi della percezione del fruitore sono dunque ancora tutti fuori dell'attenzione di Hogarth, come estranei al suo
interesse sono quegli elementi strutturali - forme su di un certo piano, ma contenuti a un livello di astrazione maggiore - che
forniscono al testo la sua impalcatura. Per cui Hogarth parla allora di dipingere commedie, che intende come trattazioni di
soggetti morali con personaggi della classe media e dice: "I have endeavoured to treat my subjects as a dramatic writer: my
picture is my stage, and men and women my players, who by means of certain actions and gestures, are to exhibit a dumb
show". Tematiche morali, legate al decorum da una parte, e rappresentazione drammatica, con le emozioni scritte sui volti,
dall'altra.
Ma se Hogarth all'inizio non si occupava ancora della percezione del fruitore, era però già attento a quella dell'autore,
all'interagire tra meccanismi della percezione e produzione artistica. Egli contesta allora la pratica dell'epoca di copiare oggetti
all'uso delle accademie, non usando altri argomenti se non quello che l'artista in tal caso non percepisce l'oggetto della copia
come un tutto11. L'alternativa alla copia è la 'grammatica pittorica' che consiste in "fix forms and characters in my mind, and,
instead of copying the lines, try to read the language, and if possible find the grammar of the art, by bringing into one focus
the various observations I had made, [...]". Dovunque si trovi, in ogni momento della vita quotidiana, egli lavora, è attento a
quanto vede e fissa nella mente forme e tratti che lo colpiscono, al fine di capirne il linguaggio, penetrarne il significato e
trovare le invarianti, le lettere dell'alfabeto che egli possa poi ricomporre a suo modo quando voglia. Si comprende dunque
l'oggetto e se ne astraggono gli elementi essenziali in funzione di un sistema di memoria visiva che ne permette la successiva
ricomposizione. Cosí l'artista, variamente seguendo un suo filo, ricombina le immagini archiviate 12.
Se i contenuti che Hogarth propone per questa memoria visiva sono in realtà ancora spesso delle immagini, dei particolari, gli
elementi di un lessico appunto e non una sintassi, non una struttura, essi vengono però estratti dal loro contesto. Un primo
passo verso quell'astrazione che sarà il fondamento metodologico dell'Analysis, un'astrazione che sa convivere con un forte
senso del concreto. Da ciò deriva l'attenzione alla dispositio di cui si diceva piú sopra: la copia trova un ordine bell'e fatto, che
deve solo appunto copiare, mentre il recuperare immagini sparse, archiviate nella memoria come lettere dell'alfabeto, obbliga a
dar loro un'organizzazione, a disporle appunto di nuovo in un testo.
E l'organizzazione testuale è il vero tema dell'Analysis of Beauty, perché i meccanismi che Hogarth dice adatti a far percepire
una cosa come bella, o come dotata di grazia, hanno a che vedere con una sintassi: essi non sono perciò significanti a un primo
livello, a un livello di superficie, ma lo sono in profondità in quanto forma mentis e modo della percezione.
L'Analysis, Hogarth la chiama "A system of Variety in forms and actions" e la varietà, per il pittore elemento fondamentale
della bellezza, è fin dall'inizio al centro del suo studio. Subito, nella prefazione, dice: "[ ... ] it shall be my business to shew it
was a key to the thorough knowledge of variety both in form and movement".
Poco prima aveva nominato l'unità: varietà e unità, due nodi dell'estetica figurativa contemporanea, due nodi della teoria della
narrazione. Anche per Hogarth il problema è dunque come conciliare unità e varietà, e la sua risposta è nella scelta della linea
serpentinata manierista e barocca come linea della bellezza:
[...] the serpentine line, by its waving and winding at the same time different ways, leads the eye in a pleasing manner along
the continuity of its variety [...] and which by its twisting so many different ways, may be said (tho' but a single line) to inclose
varied contents (p. 55).
La linea serpentinata si contrappone alla retta, alla linea della logica, che separa il vero dal falso. "The emblem of moral
rectitude says Cicero - the best line say cabbage planters", interviene in proposito Laurence Sterne parteggiando ovviamente
per la serpentina con la quale descrive (e organizza?) l'intreccio del suo romanzo.
La serpentina è la linea dell'intreccio, per Hogarth come per Sterne: essa non delimita ma associa, non contorna gli oggetti ma
li collega; esprime vitalità perché traduce il movimento; con il suo ondeggiare e attardarsi può tessere rapporti imprevisti e
senza gerarchie. E’ quanto un cavallo in corsa lascia impresso nell'occhio con l'innalzarsi spingendosi contemporaneamente
avanti, spiega Hogarth. Essa unifica così tempo e spazio e, proprio in quanto elemento di associazione è, come ha
magistralmente segnalato Argan 13, la linea del ` wit ' e non del ` judgement ', qualità intellettuale che invece distingue e
separa. In quanto linea del ' wit ' è anche la linea della sorpresa, dell'intrico, della difficoltà che suscita piacere intellettuale, la
linea di un intreccio fatto di attese, ritardi, frustrazioni dell'attesa e poi di nuovo di sorprese. Dà piacevole fatica alla mente e
provoca una crescita della tensione psichica che si scarica quando l'attesa ha termine e l'intreccio è "most distinctly unravelled"
14
. Linea di strutturazione di un quadro e di un romanzo, essa induce il fruitore ad andare avanti, a ricercare, a non fermarsi
finché non ne ha visto il termine15.
Quanto all'interesse di Hogarth per l'organizzazione testuale, esso è palese fin nell'introduzione dell'Analysis:
[...] let every object under our consideration, be imagined to have its inward contents scoop'd out so nicely as to have
nothing of fit left but a thin shell, [ ... ] and let us likewise suppose this thin shell to be made up of very fine threads, closely
connected together, [...] we shall facilitate and strenghten our conception of any particular part of the surface of an object we
are viewing, by acquiring thereby a more perfect knowledge of the whole, to which fit belongs: because the imagination will
naturally enter into the vacant space wíthin its shell, and there at once, as from a center, view the whole from within, and
mark the opposite corresponding parts so strongly, as to retain the idea of the whole, and make us masters of the meaning of
every view of the object [.... ] (p. 27).
Il modo migliore per un artista di guardare agli oggetti è, secondo Hogarth, di vuotarli con l'immaginazione conservandone
solo delle linee, non quanto le linee contengono e delimitano e non un'unica linea, non un contorno ma un gomitolo di linee
e di contorni. L'interesse del pittore per la struttura deriva dal suo guardare all'oggetto come a un tutto, in cui il particolare ha
rilevanza in quanto esercita una funzione rispetto all'insieme. Cosí la linea serpentinata, o linea della bellezza, è superata e
perfezionata dalla «precise serpentine line», o linea della grazia, che è « represented by a fine wire, properly twisted round the
elegant and varied figure of a Cone » (p. 56). L'immagine del cono e della serpentina che gli si avvolge attorno è metafora
illuminante per comprendere l'idea hogarthiana di struttura e per individuarne i legami con quella di Fielding. La linea della
grazia non solo lega la varietà in un'unità, ma trasforma l'unità in coesione, è unita in movimento, un movimento direzionato
e irreversibile. Qui Hogarth fa quel passo che mostra quanto reale interesse egli avesse per le arti del narrare, che si strutturano
temporalmente e che nel tempo si sviluppano.
La linea serpentinata precisa è dunque quella che assicura variabilità e compattezza, coesione: si tratta infatti non di una varietà
statica e sincronica, ma direzionata e diacronica, che deriva dal trasformarsi degli oggetti e degli individui nel tempo. La varietà
è contenuta nei medesimi oggetti e individui, nelle loro potenzialità di trasformazione nel tempo. E anche l'unità non è
sincronica, non un ordine di tasselli, non equilibrio statico, ma sviluppo e associazione, ordine fluido nel movimento e nella
diacronia. La figura geometrica del cono infatti potrebbe essere definita come la traduzione in immagine dell'idea di coesione
narrativa, di un'idea di compattezza che non è legame estrinseco tra parti vicine, ma sviluppo, connessione dove la parte che
segue contiene sempre anche la precedente, o meglio le precedenti trasformate per il passar del tempo e per il sedimentarsi
dell'esperienza. Il cono decresce gradatamente e questo gli dà bellezza 16: ha una base larga che permette e raccoglie la varietà e
si sviluppa poi - mutando continuamente proporzioni alle sue diverse sezioni - per terminare in un punto verso cui tende la
varietà della sua composizione e che rappresenta la sintesi di tale varietà. La punta del cono, lo si è detto, è in Fielding
rappresentata dal finale che unifica e nel quale confluiscono gli esiti di tutto il romanzo; nei Progresses di Hogarth è l'ultimo
quadro, che sintetizza la morale, e una vita.
La gradazione decrescente dà bellezza perché è fonte di varietà, ma non di una varietà frammentaria: ogni sezione del cono,
ogni voluta della serpentina non è forma totalmente diversa, il cono alle sue varie sezioni possiede dei tratti invarianti, è
mutamento ma non disgregazione. È lo stesso variare che proporrà, in modo avvertito o meno, tutto il romanzo dopo Fielding:
le trasformazioni piccole e progressive del carattere, dei luoghi nel tempo, collocano le diverse azioni in un rapporto
ininterrotto di causa-effetto e direzionano la mente. Movimento direzionato, presenza del tempo. Cosí anche la recessione
tonale, la progressione da o verso l'occhio o l'orecchio, inserisce il fattore tempo; il movimento è in una sola direzione:
«gradating one way only», il tempo è irreversibile17.
Il cono è dunque visualizzazione, metafora di un problema, di quel problema che, per quanto possibile a questa forma artistica,
le serie di Hogarth del 1730-40 avevano cominciato a risolvere. Ecco il perché della scelta dei Progresses, il perché di una serie
di quadri invece del quadro unico. E qui la coesione narrativa si realizza non solo all'interno di ogni singola composizione:
ogni quadro contiene elementi tematico-formali che lo rendono compatto, ma questi elementi in parte travalicano anche il suo
bordo e vanno a connetterlo ai successivi e ai precedenti. Questo problema, che era piú della letteratura che delle arti figurative
e la cui soluzione la letteratura sentirà poi come naturale e irreversibile, Hogarth aveva fatto suo, indottovi dalla cultura
dell'epoca e dal suo stesso interesse personale.
Le serie, si diceva, che narrano la storia della prostituta, del libertino, del matrimonio alla moda, dei due apprendisti, sono
dotate di compattezza narrativa: i quadri (e ancor piú le corrispondenti stampe) di cui ogni serie si compone, hanno legami
interni che li fanno appunto leggere come un tutto. Si tratta, anche in questo caso come nei romanzi di Fielding, di
meccanismi che operano sulla memoria e sulle capacità di previsione/attesa del fruitore. Non per nulla Hogarth, il solo degli
artisti contemporanei a farlo, è attento alla grande tradizione della filosofia empirista inglese.
Prendiamo come esempio l'operare di questi meccanismi nella serie di stampe (come si sa i quadri corrispondenti sono andati
distrutti) di A Harlot's Progress (1732). Nella prima scena si può già notare una forte compattezza interna: attorno al suo
centro tematico e strutturale - l'arrivo in città della ragazza ancora ingenua - si accorpano i motivi anche apparentemente piú
centrifughi. Sulla ragazza principalmente cade la luce, una luce che scorre con andamento serpentinato su personaggi e oggetti
e li lega, ne associa gli elementi significativi per il progredire dell'azione, lasciando in ombra quelli di caratterizzazione
dell'ambiente, quanto è descrizione che colloca e riempie, dà spessore di significato, ma non serve a portare avanti la storia. La
luce, oltre al gesto, associa la ragazza alla vecchia dai finti nei che le parla, al volto dell'uomo che la guarda con desiderio:
anticipazioni di quella che sarà la sua carriera in città. La luce che lega queste tre figure centrali cade anche sugli oggetti che la
ragazza ha portato con sé, fra i quali c'è un baule con le sue iniziali. Nella terza stampa da un cassetto sporgerà un conto con
l'iscrizione M. Hackabout; il nome completo Moll Hackabout lo conosceremo solo alla fine, sarà scritto sulla bara nell'ultima
scena.
Dalla parte opposta la luce cade sul prelato che, pur volgendo le spalle alla ragazza, guardando altrove e facendo tutt'altro,
viene cosí ricondotto nell'intreccio. La relazione tra personaggi è stretta: dove non sia il gesto a legarli, dove le figure non si
innestino l'una nell'altra, è la luce che ne esalta le connessioni evidenziandone i tratti salienti: non per una caratterizzazione
individuale, autonoma e isolata, ma per quanto serve al progredire della storia, allo strutturarsi dell'intreccio. Per cui il legame
finisce per non essere solo interno alla stampa, non solo compattezza della composizione dentro la cornice, ma qualcosa che
rimanda da composizione a composizione accorpandole tra loro, rendendole appunto strutturalmente una serie. Già nel primo
quadro troviamo, da una parte la ricchezza delle anticipazioni e gli indizi che suscitano attesa, e dall'altra i particolari, per ora
neutri, che torneranno però carichi di significato nelle scene successive. La paglia in un angolo ad esempio, elemento
apparentemente solo descrittivo, tornerà, nera, nella sezione quinta, quella della morte di Moll. Una tale ricomparsa riattiverà
nel fruitore la memoria di quanto osservato in precedenza, fornendo retrospettivamente significatività al particolare. Cosí, la
cassapanca nera con le iniziali sarà anche nell'ultima scena: la parabola cittadina della prostituta si chiude con il ricordo del suo
inizio.
Ogni quadro, rispetto alla serie, è in tal modo composto da variabili e da costanti; su queste ultime cade una luce che volta a
volta le mostra diverse, piccole variazioni appena percettibili, gradazione crescente o decrescente, riproposizione dell'uguale con
minimi cambiamenti che danno il senso del trascorrer del tempo. Cosí per tutte le scene: nessun personaggio è concepibile
senza l'interferenza con l'altro cui lo lega, all'interno della composizione singola, una linea di contorno legatissima, dal ritmo
variabile che pare fuoruscire dal bordo e far sí che nessuna composizione sia totalmente autonoma, indipendente dalle altre18.
E’ vero che, se è lo strutturarsi della composizione a dar compattezza interna a ogni singolo quadro, sono soprattutto i suoi
contenuti tematici a realizzare l'accorpamento tra composizioni, ma questi contenuti danno il senso della coesione non per
quello che dicono, ma per come lo dicono, influendo sulla percezione dell'osservatore.
Nella stampa seconda, che rappresenta la ragazza in compagnia dell'uomo che la mantiene, una scimmietta sul pavimento ha
in testa una cuffia di merletto, particolare su cui nella quarta stampa sarà attiratta l'attenzione: allora in testa a Moll, susciterà
la cupidigia di una donna alle sue spalle. Nella seconda, nella terza e nella quarta scena c'è sempre un animale in terra: prima
una scimmia, poi un gatto, infine un cane. Nella terza, Moll è caduta dallo splendore di mantenuta di un ricco ebreo a
prostituta: la teiera d'argento della seconda scena è ora sostituita da una povera brocca e da misere tazze; l'elegante tavolo si è
trasformato in un panchetto. Una donna, che per il suo naso schiacciato mostra di pagare pegno per aver esercitato la
professione di Moll, le sta versando il tè: questa donna comparirà in tutti i quadri successivi e accompagnerà la protagonista
nella degradazione. Nella quarta scena saranno insieme in prigione, ed ella si aggiusterà le calze e indosserà le scarpe di Moll.
Nella quinta sosterrà Moll morente e nella sesta farà gli onori di casa durante il funerale.
Nella quinta scena, di nuovo un letto sullo sfondo: le trasformazioni del letto raccontano la storia della degradazione della
prostituta: qui è misero, a indicare il livello di povertà raggiunto. Tornano alcuni particolari della terza scena: le scarpe oramai
consunte, il cappello scuro e la scopetta, che nella terza erano appesi alla parete, sono ora in terra vicino alla cassapanca in cui
fruga una donna. Vicino al fuoco un bambino, il figlio di Moll, che nella stampa successiva giocherà ai piedi della bara della
madre. Uno stesso piatto in terra e gli stessi guanti nelle due scene. Nell'ultima scena il letto, oggetto oramai inutile, sarà
sostituito da un paravento; dopo il clima della morte, qui il rilassamento comico/amaro: conoscenti tutti impegnati in faccende
terrene rendono l'ultima visita alla morta.
Elementi formali dunque ed elementi contenutistici collaborano a creare una rete di legami che non sono solo da un quadro al
successivo, ma da ogni quadro a tutti gli altri: come in Fielding, anche qui l'intreccio non è strutturato a catena, ma è un
tessuto che unifica il tutto. Il riapparire di oggetti e di personaggi inoltre non si presenta come ritorno del medesimo, ma come
sviluppo di quanto era già in precedenza: oggetti e personaggi mutati dal tempo e dall'esperienza, particolari spostati, luce che
gioca variabilmente ma sempre un gioco che accorpa, che priva di autonomia le singole figure, le tiene in un insieme e le
incastra, e poi tesse i legami tra le stampe, dall'una all'altra e con il suo scorrere indica all'attenzione particolari che riattivano la
memoria dell'osservatore e gli fanno percepire la serie come un tutto compatto. Questi quadri, come i romanzi di Fielding,
sono insomma dotati di coesione narrativa: una volta ancora e per una ragione in piú possiamo dire che i quadri di Hogarth 'si
leggono'.
Il problema di come conciliare attenzione al particolare, ai molti particolari (varietà), e visione globale (unità) è dunque risolto
da Hogarth e da Fielding con la coesione narrativa, con l'unità direzionata: i particolari passano attraverso il fuoco
dell'attenzione del fruitore che osserva un quadro dopo l'altro o legge una pagina dopo l'altra e si accumulano nella sua
memoria. A un certo punto, un elemento la riattiva e gli fa percepire quanto ha sotto gli occhi come connesso con il particolare
richiamato alla memoria: ne farà cosí individuare le trasformazioni che il tempo vi ha inciso. Allo stesso fine, in modo analogo
e solo in direzione inversa, operano i meccanismi di previsione/attesa.
Si potrebbe obiettare che sono stati finora illustrati aspetti dell'estetica e della pratica rococò senza farne parola, senza usare il
termine. Se l'obiezione può essere valida per le arti figurative, dove la tendenza a legare e ad associare, contrapposta al dividere
e all'isolare, ha vicende alterne e quindi è riportabile a canoni estetici particolari, non lo è per quel che riguarda la narrativa. E
qui si sta parlando di due artisti che, pur operando in campi diversi, hanno entrambi - Fielding sempre, Hogarth
limitatamente alle serie e in diversi altri quadri - l'intento di narrare storie, hanno cioè a che vedere con contenuti
imprescindibilmente legati allo scorrer del tempo. Nella narrativa, la tendenza ad associare, a render coesa una storia, è
acquisizione in gran parte inconsapevole e di tempi lunghi: per questo si è preferito parlare di struttura mentale, modo della
percezione che il testo artistico rivela in quanto modello del mondo di cui riproduce alcuni tratti essenzial.19 Quali siano i tratti
riprodotti dipende almeno parzialmente dal tipo di testo: si può credibilmente sostenere (ed è certo ipotesi molto vecchia) che
nel romanzo ve ne siano alcuni determinati dalla percezione che del tempo ha l'epoca che lo ha prodotto. Il romanzo (come
l'epica e come la novella) è infatti tempo (dell'azione narrata) che diventa spazio (del testo) per farsi di nuovo tempo (della
lettura): si trova quindi a dover organizzare spazialmente il tempo (le diverse azioni, anche quelle di cui si suppone la
contemporaneità, vanno disposte in serie) e il modo in cui lo fa varia da epoca a epoca.
Si può perciò ipotizzare l'esistenza di un rapporto tra coesione narrativa - che nel Settecento trova per la prima volta forma
compiuta - e la nuova concezione settecentesca del tempo. La percezione unitaria del tempo si basa sull'intuizione dell'unità
temporale dell'azione: un soggetto(i) impegnato(i) in un'azione diretta a un fine. E il narrare da sempre aveva avuto per
oggetto un'azione che veniva privilegiata (si pensi ai poemi omerici) e attorno alla quale si raccoglieva la varietà di un operare
contingente. Ma quando la narrazione diventa polifonica, nel senso che accoglie culture e linguaggi diversi 20; dialettica, poiché
fa convivere alla pari posizioni anche contrastanti; priva di gerarchie in quanto eventi differenti, cioè non tutti riportabili al
medesimo fine, assumono il diritto di essere riferiti, l'accorpamento finisce per basarsi su quanto permette una percezione
unitaria e legata di sequenze più lunghe e piú complesse che non la singola azione. Operando sulla memoria e sulle
previsioni/attese del fruitore si legano per la prima volta come in una rete azioni con oggetti e fini diversi: questa è la varietà
che la coesione narrativa fonde, e Fielding è tra i primi a farlo nel romanzo; a questo Hogarth guardava quando dipingeva le
serie e quando scriveva l’Analysis con sensibilità attenta alle forme letterarie.
NOTE
1
« [...] this kind of writing, which I do not remember to bave seen hitherto attempted in our language [...] » dice Fielding
nella prefazione al Joseph Andrews, e nel Tom Jones: « for as I am, in reality, the founder of a new province of writing [...]
(libro II, cap. 1). E Hogarth nella prefazione dell'Analysis: « Something therefore introductory ought to be said at the
presenting a work with a face so entirely new ».
2
« I therefore turned my thoughts to a still novel mode, viz. painting and engraving modern moral subjects, a field not
broken up in any country or in any age. The reasons which induced me to adopt this mode of designing were that I thougth
both writers and painters had, in the historical style, totally overlooked that intermediate species of subjects, which may be
placed between the sublime and the grotesque, [...] »: Anecdotes of Williatn Hogarth; Written by Himself, London, Nichols
and Son, 1833, p. 5.
3
G. C. ARGAN, "Le idee artistiche di William Hogarth", English Miscellany, III, 1950. Anche in G. C. ARGAN, Dal
Bramante al Canova, Roma, Bulzoni, 1970.
4
W. HOGARTH, The Analysis of Beauty (1753), ed. R. Burke, Oxford, Clarendon Press, 1955, p. 23. Tutte le citazioni
saranno da questa edizione.
5
Il famoso passo è in The History of Tom Jones, Harmondsworth, Penguin Books, 1966, p. 51. Tutte le citazioni saranno da
questa edizione.
6
A Paris chez Michel le Petit rue S. Jacques a la Toison d'or 1674, p. 208.
7
First, then, we warn thee not too hastily to condemn any of the incidents in this our history, as impertinent and foreign to
our main design, because thou dost not immediately conceive in what manner such incidents may conduce to that design [...]
for a little reptile of a critic to presume to find fault with any of its parts, without knowing the manner in which the whole is
connected and before he comes to the final catastrophe, is a most presumptuous absurdity. » (p. 467).
8
Uso qui un termine mediato dalla linguistica testuale, che lo impiega per brevi sequenze di frasi ma, come si vedrà più oltre,
a me serve per indicare un legame tra macroproposizioni.
9
Questa analisi del brano di Fielding è già nel mio Da picaro a picaro. Le trasformazioni di un genere letterario dalla Spagna
all'Inghilterra, Roma, Bulzoni, 1984.
10
Si veda il mio "The Italian di Ann Racliffe: aspetti di retorica dell'attesa", Atti del V Convegno dell'Associazione Italiana di
Anglistica, Bologna, Clueb, 1983.
11 [...] for as the eye is often taken from the original, to draw a bit at time, is it possible he may know no more of what he has
been copying, when his work is finished, than he did before it was begun [...] the mind scarcely ever embraces the whole.
(Anecdotes, p. 4).
12
[...] retain in his memory, perfect ideal of the subject he meant to draw, would have as clear a knowledge of the figure, as a
man who can write freely hath of the twenty-four letters of the alphabet, and their infinite combinations (each of these being
composed of lines), and would consequently be an accurate designer. I therefore endeavoured to habituate myself to the
exercise of a sort of technical memory; and by repeating in my own mind, the parts of which the objects were composed, I
could by degrees combine and put them down with my pencil. » (Anecdotes, pp. 5-6).
13
G. C. ARGAN, Op. Cit.
14
Nel capitolo "Of Intricacy" Hogarth dice: « The creative mind is ever bent to be employed. Pursuing is the business of our
lives; and even abstracted from any other view, gives pleasure. Every arising difficulty, that for a while attends and interrupts
the pursuit, gives a sort of spring to the mind, enhances the pleasure, and makes what would else be toil and labour become
sport and recreation [...] It is a pleasing labour of the mind to solve the most difficult problems; allegories and riddles, [ ... ]
and with what delight does fit follow the well-connected thread of a play, or novel, which ever increases as the plot thickens,
and ends most pleas'd, when that is most distinctly unravell'd » (pp. 41-42).
15
Si veda il citatissimo: « Intricacy of form, 'therefore, I shall define to be that peculiarity in the lines which compose it, that
leads the eye in a wanton kind of chace and from the pleasure that gives the mind, intitles, fit to the game of beautiful». (p.
42).
16
[...] see how gradually the changes in its shape are produced; how imperceptibly the different curvatures run into each other,
and how easily the eye glides along the varied wavings of its sweep. » (p. 76).
17
[...] so strict an analogy between shade and sound, that they may well serve to illustrate each other's qualities: for the sounds
gradually decreasing and increasing give the idea of progression from, or to the ear, just so do retiring shades shew progression,
by figuring it to the eye. » (p. 110).
18
Nei quadri delle altre serie anche il colore coopera all'accorpamento tra quadri.
19
Si intende questo nel senso sintetizzato da Ju. M. LOTMAN, in La struttura del testo poetico (Milano, Mursia, 1976) e Ju.
M. LOTMAN e B.A. Uspenskij, in Tipologia della cultura (Milano, Bompiani, 1975).
20
M. BACHTIN, Estetica e romanzo, Torino, Einaudi, 1979.