la globalizzazione della flora

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la globalizzazione della flora
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L’ECO DI BERGAMO
DOMENICA 31 LUGLIO 2011
Cultura
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a
Globalizzazione
anche nel mondo
della botanica
L’incredibile vita segreta di piante e fiori esotici
Cresciuti per caso lungo la ferrovia, sui muri, nei cortili
ROBERTO FESTORAZZI
a Per fare un fiore… ci
vuole un treno. Parafrasando
Sergio Endrigo, i biologi ormai
da decenni studiano la colonizzazione dell’ambiente da parte
di una ricchissima varietà di
piante che si insediano preferibilmente lungo la rete ferroviaria.
Nella Svizzera italiana, pioniere di queste osservazioni fu
un botanico dilettante, Ernesto
Schick, scomparso nel 1991, che
oltre trent’anni fa pubblicò un
volume, ora amorevolmente ristampato per le Edizioni Florette di Chiasso (a cura di Simonetta Candolfi e Nicoletta De Carli), con un titolo destinato ad
avere fortuna: Flora ferroviaria.
Ovvero: la rivincita della natura
sull’uomo. Osservazioni botaniche sull’area della stazione internazionale di Chiasso 1969–1978
(pp. 188, euro 29).
nale di Chiasso, snodo nevralgico che costituisce la porta di accesso al Nordeuropa.
Scrisse Schick, ancora turbato per quella gigantesca ferita:
«Vidi trasformare quella vasta
zona in una grigia landa lunare,
priva d’ogni forma di vita vegetale o animale, saccheggiata dalle ruspe, dalle scavatrici, dagli
apripista e dalle trivelle, prosciugata dalle pompe, cementata
dalle betoniere».
Come il personaggio di Jean
Giono, l’uomo che piantava gli
alberi, l’ecologo Schick si mise ad
auscultare madre terra stuprata
dall’uomo. E che cosa scoprì?
Attraverso i binari
dei treni si spargono
per tutta Europa
semi di varietà rare
Sui cantieri dell’autostrada
La figura di Schick è interessante perché la sua passione per il
mondo vegetale era nata dall’esperienza professionale: quale
assistente sui cantieri dell’autostrada che da Chiasso porta ad
Airolo e quindi al tunnel del Gottardo, aveva vissuto il trauma dei
caterpillar che, con i loro denti
d’acciaio, sbranano campi, boschi, scavano trincee, costruiscono terrapieni. Aveva poi vissuto
con intensità lo sterminio delle
biodiversità, quando venne realizzato, negli anni ’60, l’ampliamento della stazione internazio-
Il botanico Schick
ha descritto questa
rivincita della
natura sul cemento
Con gioia, a distanza di pochissimi anni dall’avvenuta devastazione, e nonostante l’impiego
massiccio di diserbanti, cominciò a cogliere i segni del risveglio
della natura, con il ripopolamento del nastro di terra solcato dai
binari da parte delle piante pioniere: quelle specie che segnalano all’uomo l’inaridimento del
terreno, come le comuni margherite, e che risorsero in segno
di ostinazione biologica, di caparbietà vegetale.
Ai margini della linea ferroviaria crescono rigogliose e indisturbate piante di provenienza esotica MARIA ZANCHI
Segno di ostinazione biologica
Divenuto nel frattempo fitospedizioniere, cioè addetto al trasporto delle piante vive, Schick
fu sempre più attento alla vita
segreta delle piante con le radici strappate, viaggiatrici precarie che soffrono la sete. L’uomo
che parlava ai fiori cominciò così a realizzare una mappatura
botanica del sito ferroviario di
Chiasso, censendo quasi un centinaio di specie diverse, compresi gli ortaggi (pomodori, cavolfiori, cipolle, fagioli, verze, piselli) che crescevano tra le traversine dei binari, per la caduta accidentale di semi durante i controlli doganali effettuati in stazione.
Senza saperlo, Schick contribuì a fondare una nuova letteratura, quella nata dall’osservazione scientifica della rete ferroviaria, che oggi gli esperti considerano il corridoio ecologico sfruttato da certe piante per colonizzare l’Europa. ■
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Il botanico Schoenenberger spiega le loro origini
A
Dalla Calepina irregolare
all’«erba della Pampa»
A
Nicola Schoenenberger, scienziato
del laboratorio di botanica evolutiva dell’università di Neuchâtel, è un
vero esperto delle «viaggiatrici
clandestine», verdi creature alimentate dalla linfa che arrivano
senza preannunciarsi, non pagano
il biglietto e sono prive del permesso di soggiorno quando piantano le
loro radici. «Sulla rete ferroviaria
del Ticino – dice – abbiamo censito
ben 763 specie vegetali diverse, il
che rappresenta un quarto della
flora svizzera. E circa il 20% di queste specie è iscritto nella lista rossa
delle varietà minacciate d’estinzione. Studiando nel dettaglio la flora
ferroviaria della Svizzera italiana
abbiamo scoperto che numerose
specie sono legate in modo esclusivo alla rete. I loro semi vengono dispersi dai treni, non riescono però
a uscire dall’ambiente dei binari
per colonizzare altri siti».
Aggiunge il botanico: «Ci sono poi
alcune specie indigene rare che utilizzano i comparti ferroviari come
ambiente di rifugio, data la precarietà degli ambienti naturali d’origine». È il caso di varietà di piante
in fuga dai loro habitat primari, come le zone aride e sassose, che si
ringalluzziscono tra binari e traversine. Schoenenberger segnala la riscoperta di piante considerate
estinte nella Svizzera italiana. È il
caso della Linaria repens (la linajola striata), o della Calepina irregu-
laris detta comunemente miagro. I
rilevamenti dei botanici hanno stabilito la presenza, proprio lungo le
linee ferroviarie, di specie nuove,
mai segnalate prima in Ticino, come l’Eragrostis neomexicana, nota
come «erba della pampa», o di altre
varietà di piante esotiche come il
callio sottile (Galium parisiense),
già diffuso nell’Europa mediterranea ma non ancora in Germania e
nella restante parte della regione
centrosettentrionale e orientale
del Continente.
Aggiunge il botanico svizzero, a riconoscimento delle felici intuizioni
di Schick: «La stazione di Chiasso è
sicuramente la più interessante del
Ticino dal punto di vista delle biodiversità floristiche, poiché è la più
estesa e rappresenta la porta d’entrata delle specie nuove che provengono dalla vicina Penisola. Infatti vi abbiamo censito oltre 300
specie vegetali». Ro. Fe.
a
Pioniere di un mondo
in cui la vita si rimescola
La Centaurea calcitrapa, detta comunemente calcatreppola
Nel disegno botanico e in foto, la Linaria repens, detta «linaiola striata»
L’Eragostis neomexicana, detta «erba della pampa»: è emigrata in Svizzera
La Veronica cymbalaria, pianta di origine mediterranea
L’Ambrosia artemisiaefolia: può provocare allergie letali in soggetti deboli
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L’ECO DI BERGAMO
DOMENICA 31 LUGLIO 2011
A sinistra, l’Hermodactylus tuberosus, detto Bellavedova: vive a
San Vigilio, anche se le vigne sono
scomparse. Scendendo, al centro
delle pagine, piante cresciute
spontaneamente in antichi muri o
sul ciglio delle strade. In basso, la
Calepina irregularis, detta miagro
a
E alla stazione di Bergamo
una pianta venuta dall’Himalaya
CAMILLA BIANCHI
a Quattro anni di lavoro
per censire la flora di Bergamo.
Tanto c’è voluto a tre ricercatori
del Fab (Gruppo flora alpina bergamasca) per passare al setaccio
tutta la città (il progetto dovrebbe concludersi entro l’anno) armati di gps, pazienza e tanta
buona volontà. I Fab Three –
Germano Federici, ex insegnante di scienze del Lussana, Luca
Mangili, perito agrario e Giovanni Perico, professore di musica
alle medie – hanno diviso il territorio cittadino in un centinaio
di quadrati del lato di 600 metri
ciascuno e sono andati alla scoperta della vegetazione di casa
nostra. Muovendosi a piedi hanno registrato la posizione di tutte le piante incontrate nei giardini pubblici e privati, lungo le
strade, nelle aiuole, nei campi incolti e persino lungo i binari della ferrovia; longitudine e latitudine delle singole piante (dai fiori più piccoli agli alberi ad alto fusto) sono state inserite in un database, con l’obiettivo di realizzare cartografie dettagliate che
documentino la distribuzione
delle specie vegetali della città.
Così si è scoperto che il numero delle specie della flora è cospicuo (1.100), più di quanto si immaginasse, e che la varietà degli
ambienti è di tutto rispetto; che
Bergamo ha una quota di verde
privato notevole. Censire giardini e parchi di proprietà privata è
stata un’impresa, perché in pochi hanno aperto le porte ai tre
botanici, a discapito della com-
L’Impatiens balfourii, di origine himalayana, sta invadendo l’Europa
pletezza del censimento.
Tra le zone che hanno riservato più sorprese, c’è l’area della
stazione dei treni, che ha rivelato la presenza lungo i binari e le
scarpatine ferroviarie di 344
piante «ferrofite» (e il bilancio
non è ancora completo), 119 delle quali «esotiche», vale a dire
non originarie di Bergamo, ben
il 35% contro il 23% delle esotiche presenti in tutta la provincia.
Tra le piante esotiche ferroviarie censite, il 21% è costituito da
«neofite» (arrivate dopo la scoperta dell’America) contro il 17%
a livello provinciale. Su 71 neofite, 25 arrivano dal Nord America, 4 dal Sud America, 12 dall’Asia e una addirittura è di origine
himalayana
(Impatiens
L’esperto
GABRIELE RINALDI
A
Fiori che dal Sudafrica
hanno fatto l’autostop
«I
l progetto portato
avanti dai ricercatori del Fab (Gruppo flora alpina bergamasca, ndr) consentirà di
scattare una sorta di fotografia
dello stato della biodiversità vegetale in città», spiega Gabriele
Rinaldi, direttore dell’Orto Botanico di Bergamo, che prenderà parte al lavoro nella fase di
elaborazione finale dei dati.
Cosa si intende per «biodiversità
vegetale»?
«La flora vascolare spontanea
(non consideriamo quindi muschi, licheni e alghe) presente in
città negli ambiti naturali e agricoli, ma anche in aree inaspettate come i selciati, i marciapiedi, le fessure dei muri. Sia piante autoctone che quelle arrivate
da altre aree (le esotiche avventizie, ma anche quelle naturalizzate o che si naturalizzeranno
con il tempo)».
Questo lavoro di monitoraggio è
stato fatto nella speranza che venga poi utilizzato dagli amministratori locali.
«Avere le idee chiare sulla distribuzione della flora spontanea in città è importante per la
pianificazione degli interventi,
non solo urbanistici. Esistono
piante allergeniche che non devono essere utilizzate nei giardini scolastici, in quelli condominiali e nei parchi pubblici.
Quando poi le specie sono rare,
o addirittura in via di estinzione in un dato territorio, sono rivelatrici di habitat delicati che
rappresentano veri e propri
balfourii). Un esempio di globalizzazione della flora.
Lungo i binari i semi portati
dal vento e dai treni stessi trovano un ambiente ideale, soprattutto se si tratta di piante che
prediligono terreni aridi; qui, dove la mano dell’uomo interviene
raramente, le specie indigene
non attecchiscono, lasciando
spazio a quelle «straniere». Ecco
spiegato come può accadere di
trovare una pianta originaria
dell’Himalaya sulle massicciate
della stazione di Bergamo.
Quella stilata dai ricercatori
del Fab è una mappa più utile di
quel che possa sembrare. Per la
salute pubblica, innanzitutto. Alcune delle specie censite sono allergeniche e per questo inserite
gioielli ambientali all’interno di
una città. E questo è importante quando si pianifica il modo in
cui utilizzare il territorio».
Che quadro delinea questa ricerca?
«Si può dire che il paesaggio è in
continuo mutamento. Rispetto
ai dati del 1800 di cui siamo in
possesso – e all’Orto Botanico
abbiamo una cospicua raccolta
di informazioni di questo genere – le cose stanno cambiando
piuttosto velocemente. Ci sono
anche aspetti paradossalmente
conservativi. In certe aree del
Parco dei Colli esistono specie
che sopravvivono miracolosamente. È il caso della Bellavedova (il suo nome scientifico è
Hermodactylus tuberosus): era
segnalata da Lorenzo Rota nel
1853 a San Vigilio ed è ancora lì,
nonostante il fatto che i vigneti
siano scomparsi. Un tema sul
quale lavoreremo molto, come
Orto botanico, è convincere enti pubblici e privati a dare spazio e attenzione alle comunità
vegetali che sono cresciute
spontanee attorno a noi. Là dove si creano nuovi parchi, come
il grande parco della Trucca, è
importante inserire comunità
nella «lista nera» della Regione.
È il caso della «Ambrosia a foglie
d’Artemisia» che può provocare
allergie così forti da rivelarsi letali per soggetti deboli.
«A progetto ultimato sapremo quali sono le zone più ricche
di biodiversità e quelle più povere», spiega Federici. «Un lavoro
che tornerà utile agli amministratori per decidere come pianificare la città, quanto spazio lasciare al verde spontaneo e
quanto costruire».
Prima che i volontari del Fab
scendessero in campo a Bergamo, solo a Trieste, Udine e Pordenone era stato fatto un lavoro
di mappatura botanica. A dare
l’esempio il Nord Europa: «Lì sono molto più avanti di noi nel
pianificare gli interventi urbanistici», dice Federici. «Molti Paesi si sono già dotati di un Atlante
corologico (un censimento di
tutta la flora vascolare del territorio, ndr). In città come Monaco sono stati realizzati corridoi
per il verde spontaneo che integrano la vegetazione da arredo
urbano». Paese che vai, sensibilità botanica che trovi.
Il Fab ha da poco completato
un imponente atlante sulla flora
bergamasca e bresciana (oltre
500 mila i dati raccolti) costato
vent’anni di impegno sul campo,
ma è ancora in cerca dei fondi
necessari per pubblicarlo. La
speranza è che anche il censimento della flora della città di
Bergamo non rimanga in un cassetto. ■
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vegetali di questo tipo, creare
dei "corridoi biologici" con tante specie locali».
Parliamo del fenomeno della «flora ferroviaria». Binari e massicciate si sono rivelati ambienti ricchi di
sorprese.
«Gli ambiti ferroviari sono spazi aperti di grandi dimensioni
dove la manutenzione è saltuaria, terreni nudi ideali per specie aridofile, capaci di sopportare lunghi periodi di siccità. I
tracciati ferroviari conservano
condizioni ecologiche particolari, che favoriscono interessanti scoperte».
Come arrivano i semi in quei luoghi?
«In città, in generale, le specie
vegetali hanno molti modi per
diffondersi. Il più comune è il
vento; poi ci sono gli animali, i
vestiti degli uomini, le suole delle scarpe, addirittura gli interstizi dei veicoli. Ci sono specie che
tipicamente si diffondono lungo le strade. È il caso della pianta sudafricana Erigeron inaequidens, ormai comunissima lungo
i nostri assi viari». ■
Ca. Bi.