Dopo 23 anni riapre la palazzina cinese

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Dopo 23 anni riapre la palazzina cinese
NATALE DA RE
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DOPO 23 ANNI RIAPRE LA PALAZZINA CINESE:
ecco in anteprima le immagini della casina di caccia
voluta da Ferdinando I di Borbone e dalla moglie Maria Carolina
di Laura Anello
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Foto © Tullio Puglia
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Il prospetto principale della Palzzina Cinese,
visto dal giardino. A fianco, il particolare
di una delle scale esterne. Nella pagina precedente,
la sala da letto del re, con le otto colonne in marmo
Il restauro ha riportato alla luce pitture,
stucchi, porte, tessuti, lampadari,
che raccontano di una stagione
– quella a cavallo tra Settecento e Ottocento
– in cui Palermo si trovò nuovamente
a ospitare la Corte reale e a sognare,
invano, di riprendersi il suo ruolo di capitale
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vederla così, luccicante di campanelli e
di ori, sembra un castello disneyano di
tre secoli fa, un giocattolo in scala gigante fatto apposta per divertire i bambini.
Con i suoi finti ideogrammi dipinti sulle
pareti - inventati di sana pianta proprio
come si fa per prendere in giro figli e nipotini - con i suoi Mandarini e le risaie
partoriti dalla fantasia di italianissimi decoratori, con le sue scale e i suoi torrioni
che sembrano di zucchero e marzapane. Sembra incredibile che
la Palazzina Cinese, invece, sia stata concepita per abitarci davvero, e da un re e una regina che da ridere avevano ben poco,
scappati com’erano dalle minacce della Rivoluzione francese e
da un tempo che annunciava rivolgimenti epocali (poi rientrati,
perché anche allora tutto cambiava perché non cambiasse nulla).
Adesso il giocattolone riapre le porte, dopo ventitrè anni di chiusura e di interventi tampone, al termine di un restauro che ha fi-
A
In uno dei terreni trasformati in riserva di caccia,
la Favorita, Ferdinando trovò una palazzina, che fece
rifinire dal più famoso architetto del tempo, Giuseppe
Venanzio Marvuglia, dagli adornisti Benedetto Cotardi
e Rosario Silvestri e dai figuristi Vincenzo Riolo, Giuseppe
Velasco, Giuseppe Patania e Raimondo Gioia
nalmente riportato alla luce i suoi decori, cioè la sua anima: pitture, stucchi, porte, tessuti, lampadari, sono tornati a stupire e a
divertire. E a raccontare di una stagione – quella a cavallo tra
Settecento e Ottocento – in cui Palermo si trovò nuovamente a
ospitare la Corte reale e a sognare, invano, di riprendersi il suo
ruolo di capitale, dopo i lontani fasti dello Stupor Mundi, quel Federico II che aveva fatto del suo Palazzo Reale il centro del pianeta. I lavori di recupero si sono appena conclusi, dopo tre anni
dall’avvio, e la Palazzina Cinese si prepara a riaprire le sue por-
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Da sinistra, il giardino
alle spalle della
Palazzina e un
particolare dei
campanelli posti
sulla cancellata
esterna, a evocare
suoni orientali.
In alto, un particolare
del colonnato esterno
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Colpiscono l'occhio l’oro zecchino dei soffitti,
le code dei pavoni, le stelle, le lune, le faccine
dei cinesi, che erano diventate nere
per il deterioramento della biacca
a base di piombo utilizzata tre secoli fa
La stanza del re è decorata con un baldacchino
e otto colonne di marmo bianco, ma anche
un camino ritrovato per caso. Le stanze di Ferdinando
si estendono su tutto il pianterreno, dove le sete
preziose sulle pareti sono state restaurate filo per filo
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Alcuni particolari degli affreschi e delle decorazioni
in oro zecchino dei soffitti e delle pareti della casina.
In alto, la stanza da letto del Re
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te dal 20 dicembre, traguardo di una corsa contro il tempo che
ha visto collocare nei giorni scorsi le ultime passamanerie, le sete, i trentaquattro lampadari di legno e di alabastro restaurati, alcuni mobili originali. Una maratona per rispettare il “gong” del 31
dicembre, termine ultimo imposto dalla Regione per spendere i
quasi 3 milioni di euro arrivati con i fondi europei del Por. Scommessa vinta, a eccezione del 200 mila euro disponibili per la sistemazione esterna: a meno di una improbabile proroga, dovranno tornare al mittente, e lo spiazzo attorno alla Palazzina dovrà aspettare un’altra occasione per mostrarsi al meglio.
In ogni caso, sembra quasi un miracolo che la Palazzina, di proprietà del Comune e restaurata a cura della Soprintendenza, possa tornare a far parte del circuito monumentale della città, una no-
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La gigantesca Sala delle Udienze
accoglie il visitatore con i suoi torrioni
sormontati da dragoni che decorano
i soffitti. A destra si apre la stanza
da pranzo, con la “tavola matematica”
di Marvuglia: una tavola rotonda
con botole al posto di ogni commensale
che rendeva più agevole il servizio
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vità assoluta per un paio di generazioni che l’hanno potuta osservare soltanto da fuori, incongruo menhir rosso e verde precipitato alle pendici del parco della Favorita. A eccezione dell’apertura
straordinaria del ’99 nell’ambito delle Giornate del Fai, salutata da
legioni di visitatori in coda, la residenza di caccia di Ferdinando I
di Borbone e della moglie Maria Carolina è chiusa dal 1985, epilogo di un percorso di degrado che nel 1973 – a causa di un’infiltrazione d’acqua – portò al crollo di un ballatoio.
I sovrani se ne erano andati molto prima, definitivamente nel
1816, quando la stella di Napoleone era ormai oscurata, i fremiti rivoluzionari di Napoli annegati nel sangue e le monarchie europee di nuovo in sella dopo il Congresso di Vienna. Ma quando
erano arrivati, il 26 dicembre del 1798, l’avevano scampata per il
rotto della cuffia, e soltanto grazie all’intervento degli inglesi,
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acerrimi nemici dei francesi perché concorrenti
sul Mediterraneo. La più antica democrazia del
mondo, l’Inghilterra dell’understatement e dei
diritti civili, si era trovata alleata di ferro dell’ampollosa e conservatrice monarchia borbonica.
Ed era stato l’ammiraglio Horatio Nelson in persona a portare al
sicuro il re e la sua corte con il tesoro della Corona e il denaro
dei depositi, dopo tre giorni di navigazione così tempestosi da
fare impallidire anche lui, l’eroe della flotta di Sua Maestà britannica. Mentre il mondo era in rivolta, mentre Napoleone attraversava vittorioso mezza Europa, la Sicilia – l’eterna Sicilia sonnacchiosa e refrattaria ai cambiamenti – accoglieva i sovrani con
tappeti rossi. Chiedendosi sorniona, come sempre aveva fatto
nella sua storia, quali vantaggi sarebbero potuti arrivare dai nuovi illustri ospiti.
Ferdinando si stabilì prima allo Steri e poi a Palazzo Reale. Ma,
A sinistra, la Sala delle Udienze. Accanto, un particolare della tavola
matematica e delle botole che facevano comparire dal basso le pietanze
sco, Giuseppe Patania e Raimondo Gioia. Il risultato è un incredibile ma gradevole miscuglio di
orientale e pompeiano, trompe
l’œil e gusto delle rovine, greche di
ascendenza rinascimentale e suggestioni di arte islamica.
Decori che sono stati una vera sfida per il pool di restauratori che
ha appena concluso i lavori: tornato a splendere l’oro zecchino
dei soffitti, utilizzato per gli sfondi, le code dei pavoni, le stelle, le
lune. Nuovamente candide le faccine dei cinesi, che erano diventate nere per il deterioramento della biacca a base di piombo
utilizzata tre secoli fa e “riconvertita” con il processo inverso, recuperati i pavimenti a encausto, integrati gli stucchi mancanti, restaurate le sete, ritrovati i colori originari trasformati dal tempo, ripulite e nuovamente sonore le campanelle appese al cancello
esterno, evocazione d’Oriente. Un vero restauro-laboratorio, che
ha riguardato i più diversi materiali: marmi, stucchi, legni dipinti,
tessuti, dipinti murali, lampadari, ciascuno con particolari tipologie di degrado, tutti aggrediti dal nemico numero uno, l’umidità.
Adesso la Palazzina è nuovamente l’incanto di rossi, di azzurri,
di verdi, di pesca: un inno al colore.
E allora visitiamola, in anteprima, guidati da Giuseppe Comparetto, l’ingegnere della Soprintendenza che si è occupato degli
impianti elettrici e antincendio cercando di adeguare l’edificio alle moderne norme, una difficile quadratura del cerchio. Si parte
dalla gigantesca Sala delle Udienze che accoglie il visitatore, il
luogo in cui Ferdinando riceveva nobili e dignitari. Sala smagliante di azzurro e di rosso, dove torrioni orientali sormontati da dra-
come ogni buon re che si rispetti, aveva bisogno di una riserva
di caccia. Così acquistò da famiglie nobili come gli Ajroldi, i Salerno, i Pietratagliata, i Niscemi, i Vannucci, i Malvagna, i Lombardo, ettari ed ettari di terreni della Piana dei Colli. Con gli espropri
di feudi e tenute, arrivò a mettere insieme quattrocento ettari di
terreno fin alle pendici di Monte Pellegrino: nacque così il Parco
Reale della Favorita. E proprio su un terreno dei Lombardo trovò
una stravagante palazzina di stile cinese di cui si innamorò, destinandola a residenza di caccia. Cominciò qui la storia della Casina, con l’affidamento dei lavori a Giuseppe Venanzio Marvuglia, il più famoso architetto palermitano del tempo, che sarà stato certamente lusingato ma anche atterrito dall’incarico del re.
Lui, il paladino del neoclassicismo, innamorato dei volumi e dello stile dell’antica Roma, si trovò a realizzare un giocattolo tutto
ispirato al gusto settecentesco per le cineserie, l’esotico, il decoro. Un giocattolo di tre piani e un seminterrato, con due portici
semicircolari sulle due facciate principali, due torrette con scale
elicoidali sui fianchi e una terrazza in cima. Il resto lo fecero gli
artisti chiamati a decorare gli interni: gli adornisti Benedetto Cotardi, Rosario Silvestri, i figuristi Vincenzo Riolo e Giuseppe VelaIl salottino alla turca,
negli appartamenti della regina
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Al secondo piano le stanze di Maria Carolina, con un salottino
alla turca dipinto di azzurro e di pesca e illuminato da mezzelune d’oro,
e una stanza da letto decorata con medaglioni di famiglia alle pareti
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UN ANNO
RICCO DI REGALI
Non solo la Palazzina cinese. Nel 2009
la Sovrintendenza ai beni culturali di
Palermo riaprirà numerosi monumenti
fra il capoluogo e la provincia: dal villino Florio al museo di Monte Jato, dalla Montagna dei Cavalli di Prizzi
all'abitato di Himera, dall'Albergo delle Povere a Santa
Caterina di Alessandria. Ma non solo: nei prossimi mesi
torneranno ad accogliere i turisti San Giovanni degli
Eremiti, la necropoli punica, il Castello a mare, il piano
terra di Palazzo Ajutamicristo, l'ampliamento della Magione, il teatro Santa Cecilia, Maria Santissima delle
Grazie a Carini, Maria Assunta alla Guadagna, Casa
Professa, l'Oratorio dei Bianchi e l'Oratorio dei Santi Elena e Costantino. “A questi monumenti – specifica la
sovrintendente Adele Mormino – va aggiunto l'Arsenale
borbonico, che abbiamo già riaperto”.
Un dettaglio delle colonnine
della sala da pranzo
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ve il fortunoso ritrovamento di un camino poi occultato
ha consentito di collocare i fili elettrici e un estintore senza alcun intervento sui muri. Le stanze di Ferdinando si
estendono su tutto il pianterreno, dove le sete preziose
sulle pareti sono state restaurate filo per filo, appoggiate su tela di lino, ricollocate e protette da una sorta di
garza trasparente. Splendide, nonostante qualche lacuna che si è scelto di non colmare.
Difficile immaginare i sentimenti del re esule, che si
muoveva tra lussi e divertissement mentre fuori, oltre lo
Stretto, nella sua Napoli, si compiva la Storia. Già alla fine del 1799, infatti, i rivoluzionari napoletani erano stati
massacrati, con le teste che rotolavano dai palchi, in
barba agli accordi di “onorevole capitolazione” che
l’ammiraglio Nelson non rispettò, a dispetto della sua fama di eroe. Tanto che il sovrano poté tornare a Napoli,
anche se per poco, nuovamente costretto a riparare a
Palermo nel 1806. Anni cruciali, di cui la regina Maria
Carolina, più ancora che il marito, fu tragica protagonista. È proprio al secondo piano della Palazzina - la parNella stanza della sovrana, collegata a una sorta
te della residenza destinata alla sovrana -, nel salottino
di spogliatoio e al celebre boudoir delle pietre dure, alla turca dipinto di azzurro e di pesca e illuminato da
mezzelune d’oro, nella stanza da letto decorata con meil gusto per la cineseria cede il passo a un decoro
daglioni di famiglia alle pareti, che la immaginiamo logoneoclassico in un tripudio di rosa e verde acqua
rarsi tra dolori pubblici e privati, immalinconirsi pensando ai nove figli dei sedici morti bambini, programmare la
goni decorano i soffitti, dove i finti giganteschi ideogrammi dora- vendetta sui rivoltosi.
ti – solenni come una lapide – stanno lì a significare niente. A de- Eppure un tempo era stata progressista, Maria Carolina. Figlia
stra si apre la stanza da pranzo, con la celebre “tavola matema- dell’imperatrice d’Austria Maria Teresa d’Asburgo e del Sacro
tica” inventata da Marvuglia: una tavola rotonda con botole al Romano Imperatore Francesco I di Lorena, aveva sposato Ferdiposto di ogni commensale. Grazie a un ingegnoso meccanismo nando a sedici anni (per un destino curioso e tragico, nel matriche si trova nel seminterrato, con un sistema di argani, i piatti si monio aveva sostituito la sorella Maria Giuseppina, morta di vamaterializzavano davanti al re e ai suoi ospiti, senza che fosse iolo, la quale era già rimpiazzo della prima sorella designata alle
necessario l’intervento diretto della servitù. Che sgobbava al pia- nozze, Giovanna Gabriella, vittima della stessa malattia) e aveva
no di sotto, non vista, facendo di corsa il corridoio che collega la indirizzato la politica del Regno verso il rinnovamento, promuoPalazzina all’attuale Museo Pitré (ancora in restauro), allora de- vendo lo Statuto della Real Colonia di San Leucio, una raccolta
pendance dove si trovavano le cucine e le scuderie. Dall’altra di leggi “femministe” grazie alla quale donne e uomini avevano
parte, sulla sinistra della Sala delle Udienze, c’è la stanza da let- vissuto da uguali con stessi compensi e stessi diritti. Ma da alloto del re, con baldacchino e otto colonne di marmo bianco, do- ra ne era passata di acqua sotto i ponti. Con la Rivoluzione fran-
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UN TESORO ARCHITETTONICO RISORTO DOPO 23 ANNI DI OBLIO
Il restauro arrivato al traguardo è l’ultimo, definitivo passo, di una lunga teoria di lavori che
hanno riguardato la Palazzina Cinese. Il cantiere appena chiuso – travagliato anch’esso,
passato da un cambio della guardia dello
staff della Soprintendenza, diretta da Adele
Mormino, e da un passaggio di consegne tra
imprese - è cominciato a marzo del 2005. Al
timone Matteo Scognamiglio per la parte architettonica, Giovanna Cassata per gli apparati decorativi, Giuseppe Comparetto per l’impiantistica. Con loro un nutrito gruppo di collaboratori: Silvana Cafarelli per il recupero delle decorazioni, Giuseppe Mercurio per il restauro dei metalli, Martino Ragusa e Mario
Lombardo per la parte contabile e amministrativa, Dario di Vincenzo e Filippo Crisanti
per i rilievi fotografici. Al lavoro il Consorzio stabile Aedars Scarl, capogruppo di un’associazione temporanea di imprese, tutta romana,
con la ditta Ingallina Giuseppe. Oltre due mi-
lioni e 800 mila euro l’importo a base d’asta,
ridotto poi a poco più di due milioni e 100
con il ribasso offerto dal consorzio.
Lunga la cronologia dei restauri della Palazzina: i primi documentabili nel 1901, i secondi
nel 1935 per un importo di centottantamila lire. Nel 1945 si punta a riparare i danni della
guerra: sarcitura delle lesioni, riparazione dei
tralicci lignei del terrazzo, dismissione dei vecchi intonaci e rifacimento dei nuovi. Nel 1950
tocca agli apparati decorativi interni ed esterni. Ma appena sei anni dopo, nel 1956, è la
volta di una nuova perizia, dell’importo di
venticinque milioni di lire, per lavori di decorazione dei prospetti esterni, restauro dei tessuti,
degli arredi, e della Sala dei Venti. Nel 1973 il
crollo di un ballatoio riaccende i riflettori sul
degrado della Palazzina: tra il 1974 e il 1975
si cerca di tamponare il problema umidità,
con la revisione del sistema di smaltimento
delle acque piovane e la realizzazione di una
canaletta di raccolta lungo il perimetro esterno. Il decennio successivo, siamo al 1982, la
relazione dell’Ufficio tecnico erariale evidenzia
lesioni di notevole entità nei muri perimetrali.
Comincia il periodo più buio per l’edificio,
che è costretto a chiudere nel 1985. Bisognerà aspettare gli anni Novanta per avere il primo progetto di restauro organico da parte
della Soprintendenza, cui seguono una serie
di interventi. Tra il 1995 e il 1999 circa 800 milioni servono a fare la manutenzione delle terrazze, a consolidare le murature esterne e rivedere il sistema di raccolta delle acque piovane. A seguire, tra il 1999 e il 2000, vengono
restaurati gli apparati decorativi di due prospetti, il sud-est e il sud-ovest. Bisognerà
aspettare il 2002 perché analogo intervento
riguardi gli altri due prospetti, lavori conclusi
un anno dopo. Adesso, finalmente, il restauro
complessivo e, pare, la parola fine.
L. An.
Tra il piano del re e quello della regina, due ali
meno sfarzose della Casina sono dedicate l’una
alle Dame e l’altra ai Cavalieri. Al terzo piano, culmine
dell'edificio, la Stanza dei Venti, un ambiente
ottagonale coperto a pagoda e adibito a osservatorio
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cese, la sorella Maria Antonietta decapitata, l’utopia della monarchia illuminata travolta dagli eventi, la regina diventò la più feroce avversaria delle idee rivoluzionarie. Rientrata a Napoli nel
1799, aveva fatto giustiziare tutti i sostenitori della Repubblica,
tra i quali amici come Francesco Caracciolo e Eleonora Pimentel Fonseca.
Di nuovo a Palermo nel 1806, quando Napoleone aveva messo
sul trono il fratello Giuseppe Bonaparte, trascorse nel suo appartamento al secondo piano della Palazzina cinese anni che videro l’Europa sospesa tra conservatorismo monarchico e fremiti rivoluzionari. Maria Carolina si affacciava sugli ampi terrazzi con
le maioliche verdi decorate di nero, si aggirava nella stanza da
letto dove il gusto per la cineseria cede il passo a un decoro
neoclassico in un tripudio di rosa e verde acqua, osservava i ri-
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La Specola o Sala dei Venti, posta al culmine della Palazzina
Nel seminterrato il più curioso decoro: Raimondo Gioia dipinse
macchie d'umidità. Accanto, la Sala da ballo, decorata
da Velasco in stile Luigi XVI, e la stanza dove troneggia
una grande vasca in marmo per le abluzioni del monarca
Da sinistra, in senso orario: la Sala da Ballo, la vasca
da bagno del re e un dettaglio del porticato esterno
tratti di famiglia dipinti sulle pareti, come fotografie, e presentati sto nella Palazzina non ci sono bagni né fognature, assenza che
in modo sibillino: L’amor mio, Mia speranza, Il mio sostegno, Mia sembra incredibile a noi moderni, ma che non stupisce in quei
cara figlia, Immagini di mia tenerezza e poi – con una presenta- tempi di pitali e di scarsa confidenza con il sapone.
zione curiosamente al maschile – il suo autoritratto, intitolato Me Occhi cinesi e dragoni videro Maria Carolina fino al 1813, quanstesso. Collegati alla stanza da letto, due piccoli vani: una sorta do i britannici la costrinsero di fatto a tornare a Vienna: lei, la mendi spogliatoio e il celebre boudoir delle pietre dure, con le pareti te politica della coppia reale, cercava di svincolare la monarchia
interamente intarsiate. Uno dei pochi casi in cui, alla Palazzina ci- borbone dall’influenza inglese che diventava sempre più preponese, i materiali sono quel che sembrano. Altrove è il decoro a tente: l’anno prima, nel 1812, i monarchi avevano perfino dovuto
imitare il marmo, le boiserie di legno, la pietra.
accettare una Costituzione di tipo britannico (che presto, comunTra il piano del re e quello della regina, due ali della Casina sono que, sarebbe finita nel nulla). Morì nel 1814, senza neanche rivededicate l’una alle Dame e l’altra ai Cavalieri: meno monumenta- dere il marito. La solitudine di lui durò soltanto tre mesi: sposata
li, meno sfarzose, con soffitti più bassi e stanze più piccole ma la duchessa Lucia Migliaccio, vedova del principe siciliano Beneancora una volta curatissime nei decori, con i rosoni sul pavimen- detto Grifeo di Partanna, con l’unificazione dei Regni di Napoli e
to, le porte decorate, i gialli, i blu, gli azzurri a rincorrersi sul soffit- di Sicilia il sovrano acquisì il titolo di Ferdinando I delle Due Sicito impreziosito da disegni neoclassici. In uno sgabuzzino, colle- lie e tornò a regnare sul trono partenopeo fino al 1825, l’anno delgato con una campanella, una stanzetta per la servitù.
la sua scomparsa. L’orologio della Storia era tornato indietro. La
Culmine dell’edificio, al terzo piano, collegata soltanto per mezzo Casina, dopo anni di abbandono, passò alla Corona sabauda nel
di una ripida scala esterna, la Specola o Stanza dei Venti, un am- 1861 con l’Unità d’Italia e poi, dopo l’avvento della Repubblica,
biente ottagonale coperto a pagoda e adibito a osservatorio. Per nel 1946, allo Stato. Successivamente, diventò proprietà del Cocompletare la visita e raggiungere il seminterrato, bisogna torna- mune e iniziò la sua teoria di restauri travagliati. Adesso è pronta
re alla stanza da pranzo, percorrere in discesa la scala a chioc- a raccontare la sua storia. ciola in marmo – tornato adesso candido – e
arrivare nella stanza dove si trova il congegno
a saliscendi per le pietanze. Da lì si raggiunge
una sala con il più curioso decoro, attribuito a
MA NEL FUTURO GESTIONE PRIVATA
Raimondo Gioia, tributo al gusto del tempo
Solo venti visitatori per volta, per non “stressare” la Palazzina. Dopo l'inaugurazione
per la rovina: apparentemente volta e pareti
fissata per il 20 dicembre, da domenica 21 sarà possibile visitare il monumento,
sono macchiate d’umidità, ma a ben guardache sarà aperto dalle 9,30 alle 15,30, ma sarà necessario prenotare: per farlo bisore è un effetto voluto, come dipinto è il finto bugnerà chiamare il 346.6314359 (attivo dalle 14,30 alle 16) o il 393.69422222 (dalle
co che lascia osservare il cielo attraversato da
16,30 alle 18) oppure inviare un'e-mail a [email protected] o a mouno stormo di uccelli. Accanto, la Sala da [email protected]. “Per entrare però – avvisano dalla Sovrintendenza – sarà
lo, decorata da Velasco in stile Luigi XVI, e la
necessario indossare scarpe con suole in gomma, che non danneggiano il pavimento”. “Inoltre – spiega la responsabile del servizio per i Beni storico-artistici ed etstanza dove troneggia una grande vasca in
noantropologici della Sovrintendenza di Palermo, Giovanna Cassata – sarà possibile
marmo per le abluzioni del monarca. Per il reI LOVE sicilia
Visite solo su prenotazione
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effettuare visite guidate per i non udenti e i non vedenti, grazie alla collaborazione
con l'associazione 'Apriti cuore'”. Al momento, però, la Palazzina non è ancora attrezzata per accogliere i disabili. Le visite, che dureranno mediamente un'ora e
mezza, proseguiranno fino alla fine di gennaio: “Poi – annuncia Giovanna Cassata
– cercheremo un privato al quale affidare la gestione”.