O tu che come un colpo di coltello mi penetrasti nel cuore gemente

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O tu che come un colpo di coltello mi penetrasti nel cuore gemente
O tu che come un colpo di coltello
mi penetrasti nel cuore gemente;
tu che venisti, pari a un drappello di demoni,
ad assiderti, demente e adorna,
sopra il mio spirito prono,
facendone il tuo soglio e il tuo guanciale,
essere infame a cui legato sono
com’è legato ai ferri il criminale,
lo strenuo giocatore alla roulette,
l’ubriaco alla bottiglia di Borgogna,
all’abbraccio del verme la carogna,
che oggi e sempre tu sia maledetta!
Una giovane fanciulla riposava tranquilla nel suo letto, nel pieno della notte. La pelle chiara, i
boccoli biondi sparsi sul cuscino e le labbra rosee, dormiva compostamente sotto le coperte. Il suo
dolce volto assumeva un espressione assai gioiosa mentre riposava, immersa in chissà quali sogni
idilliaci.
La stanza era grande e non certo modesta, con l'ampio letto a baldacchino, la cassapanca finemente
rifinita e il tavolino per la toiletta; si affacciava su una terrazza di piccole dimensioni, dove lei era
solita passare i pomeriggi leggendo alla luce del sole estivo.
Si udì un rumore, uno leggero scricchiolio, quasi impercettibile, tanto flebile che lei non si svegliò.
La portafinestra si aprì lentamente, cigolando appena sui cardini. Un'ombra scivolò lentamente
all'interno, con il passo felpato di un gatto e la fluidità dell'acqua.
Era un uomo, giovane e bello, con lunghi capelli castani raccolti in una coda, la pelle pallidissima e
gli occhi verdi e penetranti. Indossava un elegante completo nero, da gentiluomo, e un cappello a
forma di tuba gli calzava sulla testa.
Si avvicinò silenzioso come un'ombra all'ignara giovinetta, che continuava a dormire
tranquillamente. Si chinò su di lei e le posò una mano sul collo. Era una mano pallida, affusolata,
dalle unghie lunghe come artigli. Premette le sue dita gelide sul collo di lei, finché non riuscì ad
avvertire il suo battito cardiaco. Chiuse gli occhi e si concentrò su quella sensazione per qualche
istante.
Quando riaprì gli occhi, il suo sguardo era diverso: famelico e bramoso, si spostò prontamente sul
volto della sua vittima. Spostò la camicia da notte dal collo della fanciulla e si chinò su di lei, finché
i suoi canini aguzzi non toccarono la carne molle e la perforarono.
Avvertendo il dolore, la ragazza mugolò e pochi attimi dopo era sveglia, ma non fece in tempo a
capire cosa stesse succedendo. L'intruso estrasse i denti dalla sua pelle morbida, accostò le labbra ai
fori che aveva praticato e cominciò a succhiare il sangue. Il liquido vermiglio scivolò nella sua gola
con facilità, imbrattando in parte le coperte e la camicia da notte della giovane.
Lei tentò di urlare, di chiamare aiuto, in quegli ultimi momenti di vita che le restavano, ma dalla sua
bocca non uscì una sola sillaba.
Il vampiro – ormai si era rivelato per ciò che era – non prestò la minima attenzione alle reazioni
della sua vittima, preso com'era dal suo fiero pasto. Continuò a ingoiare con avidità il caldo liquido
rosso, sentendo aumentare le sue forze ad ogni sorso. Il suo unico piacere, la sua ultima gioia,
questo era il sangue, per lui.
Ma non era sempre stato così. Una volta, molti anni prima, anche lui aveva avuto un cuore che
batte, anche lui era stato umano e mortale.
Era nato da una famiglia di piccola nobiltà in Inghilterra, aveva studiato a Londra e gli agi non gli
erano mancati. Come tutti gli uomini, aveva amato, aveva odiato, aveva riso e aveva pianto e aveva
avuto paura.
Poi, un giorno, l'aveva incontrata. Per caso – o così gli era sembrato – in una sala da té di Londra, la
sera molto tardi, poco dopo il tramonto, la donna più bella che avesse mai visto aveva fatto ingresso
nel locale, accompagnata da due uomini.
Era giovane e splendida, con capelli neri come la notte che incorniciavano un volto pallido come il
latte; i suoi occhi erano blu scuro, profondi come il mare e la sua bocca era rossa come il sangue,
con due labbra piene, piegate in un sorriso ammaliante. Indossava un elegante abito blu, come i suoi
occhi, e aveva i capelli acconciati con un ricco fermaglio d'oro, adornato da un singolo, enorme,
zaffiro.
Quando era entrata, tutti si erano voltati a guardarla, incuriositi, ed erano rimasti incantati dal suo
aspetto, come ipnotizzati. A quell'ora la sala da té era quasi piena e lei si era guardata in giro in
cerca di un posto dove accomodarsi con i suoi accompagnatori.
Lui, appena l'aveva capito, subito si era alzato in piedi per invitarla al suo tavolo. Quella sera,
infatti, i suoi compagni abituali erano tutti fuori Londra per una cena galante e lui sedeva solo.
<<Venite pure al mio tavolo, signora>> le aveva detto <<C'è abbastanza spazio per voi e per i vostri
accompagnatori>>.
Lei gli aveva sorriso e si era mossa con estrema eleganza verso il suo tavolo, poi aveva parlato con
voce chiara e ammaliante, dall'impercettibile accento straniero.
<<Vi ringrazio, signore. Vedo che ci sono ancora dei gentiluomini nel vasto mondo>> gli aveva
risposto, non appena si era avvicinata tanto da stargli difronte <<Potrei conoscere il nome del nostro
benefattore?>>
Lui era rimasto per qualche istante come pietrificato. Ora che era più vicina, poteva quasi avvertire
una sorta di alone di magnificenza che la circondava. Non era solo bella... c'era qualcosa di più, ma
in quel momento non riuscì a capire di cosa si trattasse.
<<Ma certo>> rispose poi, accorgendosi che la straniera si era già seduta al tavolo <<Il mio nome è
Joshua Hestings, per servirvi>>.
<<Piacere di conoscervi, signore. Il mio nome è Katarina Kretzulesco e sono da poco giunta in città.
Questi che vedete accanto a me...>> indicò con un ampio gesto della mano i suoi accompagnatori
<<...sono Gheorghe e Basil, miei carissimi amici, con cui viaggio spesso>>.
<<Il piacere è tutto mio>> rispose Joshua sorridendo e prendendo posto al suo tavolo, davanti alla
nuova arrivata. I due uomini, coloro che erano stati presentati come Damian e Gheorghe, si
sistemarono accanto alla signora e si limitarono a salutarlo con un cenno, senza dire una parola.
Joshua lanciò loro un'occhiata obliqua e Katarina la colse immediatamente.
<<Perdonate i miei amici, signore>> gli disse <<Purtroppo non hanno ancora imparato la vostra
lingua e sono di carattere assai schivo e riservato>>.
Damian e Gheorghe erano due uomini giovani – Joshua pensò che dovessero essere all'incirca suoi
coetanei – di bell'aspetto, riccamente vestiti e dalle movenze eleganti. Damian aveva i capelli neri
come il carbone e profondi occhi dello stesso colore. Gheorghe, invece, aveva lunghi capelli biondi
e gli occhi verde chiaro; tra i due, sembrava quello più socievole, anche se non disse nulla per tutta
la serata, ad eccezione di un paio di battute in una strana lingua che scambiò con il compagno.
Joshua ipotizzò che i due fossero una sorta di guardie del corpo, ingaggiate dalla signora per
viaggiare più sicura. Di certo, all'epoca non poteva minimamente immaginare quale strano rapporto
ci fosse tra loro e Katarina.
Trascorse la sera piacevolmente, in compagnia di Katarina. Stregato dai suoi occhi e ammaliato
dalla sua voce musicale, passò molte sere seguenti in sua compagnia.
Passarono le settimane, i mesi, e Joshua cominciò a trascurare gli amici e la famiglia. Non faceva
altro che pensare a lei, ogni istante del giorno che passava era un passo che compiva verso il loro
incontro. E quando si salutavano, a notte fonda, Joshua andava a dormire con la consapevolezza che
il giorno seguente sarebbe passato inutilmente, finché non fosse arrivata la sera.
Nonostante ormai si frequentassero da tempo, Katarina non gli aveva mai rivelato dove abitasse, né
aveva voluto trascorre una qualsiasi giornata con lui. Inoltre, i suoi accompagnatori, Gheorghe e
Damian, continuavano a seguirla ovunque andasse e a scrutarlo con ostilità sempre crescente, tanto
che Joshua cominciò a sospettare una qualche forma di gelosia nei confronti della donna.
Fatta esclusione per le sere passate alla sala da té, Katarina non si faceva vedere quasi mai in giro.
Gli era capitato un paio di volte di incontrarla a un pranzo o a un ricevimento, a casa di quello o
quell'altro nobile, ma non era apparsa a suo agio in quel genere di occasioni.
Questa era una delle sue stranezze: sembrava non amare molto la luce del Sole; preferiva uscire di
casa dopo il tramonto, quando le strade erano illuminate solo dai flebili lampioni. In effetti, nel suo
comportamento e anche nel suo aspetto c'erano una miriade di caratteristiche singolari, ma Joshua
era così preso dalla sua nuova conoscenza che non si fece troppe domande; si limitò ad attribuirne
la causa alle sue origini straniere.
Katarina proveniva dall'Est Europa o, perlomeno, questo era quello che gli aveva detto. Quando lui
le chiese come riuscisse a padroneggiare l'inglese così bene, lei gli rispose che aveva viaggiato per
l'Inghilterra a lungo, prima di giungere a Londra.
<<Amo molto viaggiare>> gli aveva detto sorridendo amabilmente <<Vedere luoghi nuovi,
conoscere persone nuove... sono esperienze inebrianti>>.
Joshua si era detto d'accordo, anche se, a dire la verità, non aveva viaggiato molto nella sua vita.
Era stato un paio di volte in Germania e in Francia; aveva visitato anche alcune città italiane, ma
non era mai uscito dell'Europa.
Katarina non gli aveva mai rivelato dove alloggiasse. Se lui glielo chiedeva, lei sviava il discorso in
qualche modo e l'argomento cadeva nel dimenticatoio per il resto della serata. Joshua aveva provato
a svolgere delle ricerche in proposito, ma non aveva scoperto nulla. Una sera, quando pensò che il
loro rapporto potesse essere considerato perlomeno una profonda amicizia, si decise a insistere
sull'argomento.
<<È un grande piacere per me passare quasi ogni sera in tua compagnia, Katarina>> cominciò
<<Sei giunta qui solo da poco più di un mese, eppure mi sembra di conoscervi da una vita. Solo
quando mi ricordo di non conoscere nemmeno il tuo indirizzo, realizzo che ci conosciamo da
pochissimo tempo>>.
Lei sorrise, mentre Damian e Gheorghe, che quasi mai abbandonavano il loro silenzio, gli
lanciarono occhiate minacciose. <<Hai pienamente ragione, Joshua>> gli disse <<Credo sia l'ora di
rimediare a questa grave mancanza. Perché non accettate di essere mio ospite per la cena, domani
sera? Non vi aspettate grandi cose, non darò un ricevimento. Sarà solo una cena tra amici>>.
<<Come potrei rifiutare?>> rispose prontamente lui, che di certo non si aspettava una proposta
simile. Era stato molto curioso di vedere la sua abitazione e di capire perché fosse sfuggita alle sue
indagini. Inoltre, l'idea di cenare insieme a lei lo riempiva di gioia e di aspettative.
La sera seguente, come pianificato, una carrozza venne a prenderlo per condurlo da Katarina. La
sua ospite gli aveva mandato la sua carrozza personale, una squisita vettura decorata in rosso e oro.
La strada da percorre era piuttosto breve e in quindici minuti raggiunsero la villa.
Era una casa di medie dimensioni, con un ampio giardino all'inglese, il tetto rosso e le mura
bianche, che sembravano verniciate di fresco. Non appena arrivato, il cocchiere lo aiutò a scendere
dalla carrozza e lo accompagnò fino all'ingresso, dove lo aspettava il maggiordomo della villa.
<<Benvenuto, signore>> lo salutò con un lieve inchino <<Seguitemi, prego, da questa parte>>.
Il maggiordomo lo aveva accompagnato all'interno. La villa era molto più ampia di quanto non
apparisse dall'esterno e molto più ricca. Il corridoio era largo, con arazzi e quadri lungo le pareti e
mosaici sul pavimento. Venne condotto fino all'ampia sala da pranzo, dove era apparecchiato un
lungo tavolo in legno nero, pregiatissimo, ricoperto da una candida tovaglia bianca, finemente
decorata in fili d'argento.
Al tavolo erano seduti Damian e Gheorghe, insieme ad altri due uomini che non aveva mai visto,
ma di Katarina non c'era traccia. I presenti lo squadrarono da capo a piedi.
<<Benvenuto, signore>> lo salutò uno dei due sconosciuti, alzandosi in piedi <<La signora si scusa
per il ritardo, sarà qui tra poco. Intanto, vi prego, accomodatavi, vi spetta il posto d'onore>>.
Joshua notò infatti che due posti erano ancora liberi, quello a capotavola e quello alla sua sinistra. Si
sedette in quest'ultimo, in quanto ospite d'onore e si presentò ai due gentiluomini sconosciuti.
<<Il mio nome è Basil>> si presentò sorridendo quello che lo aveva accolto. Era giovane alto, con
lunghi capelli neri e occhi azzurri, la pelle pallidissima e il sorriso accattivante.
<<Il mio nome è Tegatus, piacere di conoscervi>> si accodò l'altro, un giovane, anch'esso
pallidissimo, dai capelli rossi e gli occhi verdi e profondi.
<<Arbert, per favore, servi un po' di questo vino al nostro ospite>> ordinò Basil ad uno dei
camerieri <<Dovete assaggiare questo vino, signore. L'ho scelto personalmente per questo
evento>> disse poi rivolto a lui <<Purtroppo la nostra signora non ha molti amici e così ci capita
raramente di avere ospiti>>.
Il resto della compagnia era chiuso nel silenzio e non accennò ad aprire bocca neanche una volta,
mentre Joshua conversava amabilmente con Basil. Stava ancora discutendo con quest'ultimo a
proposito del vino, quando s'interruppe improvvisamente.
Dal corridoio emerse la padrona di casa, in uno splendido abito nero, decorato con rose ricamate in
un rosso scarlatto e con gli steli dorati. Era un abito senza maniche, tenuto su dal corpetto stretto
intorno al petto di lei. I lunghi capelli neri le ricadevano ordinatamente sulle spalle nude e la sua
pelle così pallida sembrava risplendere a confronto con il nero dell'abito e dei capelli. I suoi occhi
erano due pozzi profondi. Gli sorrise e Joshua si sentì mancare il terreno sotto i piedi.
<<Perdonatemi se vi ho fatti aspettare, amici>> disse entrando nella stanza con estrema eleganza.
<<Le belle donne si fanno sempre attendere>> esclamò Basil alzandosi in piedi. Le si avvicinò, le
prese delicatamente una mano tra le sue e se la portò alle labbra. <<E quando una donna bella come
te appare davanti ai nostri occhi, tutto il tempo trascorso ad aspettarti sembra non sia mai
trascorso>>.
Joshua rimase seduto al suo posto, osservando la scena con non poco fastidio. Non sopportava che
qualcun altro si stesse fregiando delle sue attenzioni, che addirittura osasse toccarla, e ancora meno
sopportava le parole smielate che le aveva rivolto. Katarina gli rispose qualcosa, ma Joshua non la
udì, tutto preso dalla sua gelosia.
Si riprese solo quando lei lo chiamò. Era già seduta al suo posto a capotavola e udirla così vicina lo
fece sobbalzare. <<Caro Joshua>> cominciò <<Sono così felice di averti come nostro ospite questa
sera. Spero che la mia povera abitazione sia di tuo gusto>>.
<<Anch'io sono molto lieto di essere tuo ospite e trovo questa casa a dir poco splendida>> rispose
lui sorridendole ammaliato.
<<Spero che i miei cari amici non ti abbiano annoiato, mentre aspettavi>> gli disse, mentre i due
camerieri cominciavano a servire loro la cena <<Purtroppo non sono abituati a interagire con
persone che non conoscono>>.
<<Non dire così, mia cara, o il signor Joshua penserà che siamo degli eremiti!>> esclamò Basil
scherzosamente. Katarina sorrise divertita a quelle parole.
La cena trascorse piacevolmente. Il cibo era squisito e la compagnia era delle migliori. Nonostante
Gheorghe e Damian fossero taciturni come sempre, sia Basil che Tegatus si rivelarono essere dei
piacevoli compagni di conversazione. E poi c'era lei. Katarina era sempre più splendida ogni
momento che passava. Con i suoi sorrisi, le sue battute e i suoi gesti, sempre misurati, faceva
apparire il mondo che la circondava piccolo e insignificante.
Quando la cena fu terminata, tutti i commensali si trattennero a conversare per altre due ore, ad
eccezione di Gheorghe e Damian che si ritirarono subito dopo la cena.
Erano ormai le due di notte, quando Joshua decise che era tempo per lui di rientrare a casa. In realtà,
se avesse potuto, si sarebbe trattenuto anche per il resto della notte, ma non voleva creare disturbo
alla sua ospite.
<<È tempo che vada. Si è fatto tardi>> disse ad un certo punto <<Spero di poter presto ricambiare il
tuo invito, Katarina>>.
Joshua fece per alzarsi, ma lei gli posò una mano sul braccio e lo fermò. <<Ti prego, resta un altro
po'. Solo qualche minuto, ho una cosa importante di cui parlarti>>.
Detto questo lanciò un'occhiata eloquente agli altri occupanti della stanza che si alzarono e si
congedarono sbrigativamente. Quando ebbero richiuso la porta alle loro spalle, Katarina posò
nuovamente il suo sguardo su di lui.
Joshua rimase pietrificato da quello sguardo. Era curioso di sapere di cosa gli volesse parlare, ma
allo stesso tempo, non riusciva a proferire parola, incantato dai suoi profondi occhi blu. Passarono
alcuni istanti che gli parvero interminabili, poi lei cominciò a parlare.
<<Mi piace pensare che tra noi sia nata una forte amicizia in questi ultimi tempi, caro Joshua, e
spero che il pensiero sia reciproco>> lui annuì con convinzione, anche se ancora incapace di parlare
<<Ne sono lieta>> sospirò affranta, poi riprese <<Detesto l'idea di chiedervelo, non voglio che
pensiate a me come ad una sfruttatrice, tuttavia io ho bisogno d'aiuto>>.
Quelle parole lo risvegliarono dallo stato di torpore in cui era precipitato <<Ti assicuro che non mi
permetterei mai di pensare una cosa del genere. Se c'è qualcosa che posso fare per te, sentiti libera
di parlarne tranquillamente>>.
<<È una questione molto delicata e, soprattutto, riservata>> rispose lei titubante. Joshua si fece
prendere dal momento, più che entusiasta di poterle essere utile in qualche modo. Le prese la mano
e cominciò a parlare appassionatamente.
<<Ti giuro che qualunque segreto tu voglia confidarmi, lo porterò con me nella tomba. Non temere,
confidati con me e ti giuro che farò tutto ciò che in mio potere, e anche di più, per aiutarti!>>
esclamò <<C'è forse qualcuno che osa minacciarti? Nel caso mi occuperei di costui personalmente.
Hai forse problemi finanziari? Sarò lieto di prestarti qualunque cifra...>>
Joshua avrebbe continuato con le sue ipotesi all'infinito, ma lei tornò a guardarlo negli occhi,
sorridendo, e le parole smisero di uscire dalle sue labbra, come intrappolate da una rete invisibile. Il
suo sorriso, notò Joshua in quel momento, era un po' diverso dal solito: esprimeva una strana
compiacenza, con un leggero alone di crudeltà.
<<Oh, Joshua, sei senza dubbio il miglior amico che io potrei mai desiderare, ma non si tratta di
questo>> senza spostare i suoi occhi da quelli di lui, si alzò in piedi e gli si avvicinò. <<Hai detto
che sei disposto a fare qualunque cosa per aiutarmi, è così?>> Joshua annuì, incapace di parlare o di
fare qualunque altra cosa. <<Sei così dolce...>> sussurrò la donna, mentre gli accarezzava una
guancia con le sue mani pallide e affusolate.
Le sue dita scivolarono sul suo collo e si chiusero delicatamente intorno ad esso. Joshua era
immobilizzato dal suo sguardo, un po' intimorito da quello strano sorriso che era comparso sulle sue
labbra. Incapace di pensare o muoversi, non capiva cosa stesse succedendo e non riusciva a fare
niente. Poi la mano della donna tornò sul suo mento e lo spinse verso l'alto, lasciando il suo collo
scoperto.
Allora i suoi occhi blu si spostarono su di esso, mentre la sua espressione cambiava; Joshua riuscì
ad intravedere una strana luce in quegli occhi, una luce ancestrale e che lo fece rabbrividire, ma era
ancora incapace di muoversi. Katarina si passò la lingua sulle labbra rosse e aprì lentamente la
bocca, mostrando due canini lunghi e affilati, simili a quelli di una belva feroce, che Joshua non
aveva mai notato prima.
Si chinò lentamente su di lui, con la bocca semi aperta e i canini scoperti. Joshua rabbrividì ancora,
ma non riusciva a muoversi e perciò rimase immobile al suo posto, senza capire cosa stesse per
accadere.
Poco dopo sentì il contatto delle sue labbra morbide sul collo, poi la sua lingua umida lo toccò
proprio sopra la giugulare e, infine, sentì un dolore lancinante proprio in quel punto, così forte da
togliergli il fiato. Per un istante lei si staccò dal suo collo e allora sentì qualcosa di caldo
gocciolargli sul petto. Gli ci volle qualche istante per capire che si trattava del suo sangue. Tentò di
liberarsi, gemendo per il dolore, ma lei lo stringeva a sé con una presa ferrea.
Poi avvenne qualcosa che non si sarebbe mai immaginato potesse accadergli. Katarina appoggiò la
labbra alla ferita e cominciò a succhiargli via il sangue. Sconvolto dalla paura e dal dolore, Joshua
tentò di liberarsi, ma ancora fallì. Le sue forze gli venivano meno ogni momento di più ma, allo
stesso tempo, anche il dolore era meno forte. Mentre avveniva quello strano rito, le parole di lei gli
rimbalzarono ripetutamente nella testa: Hai detto che sei disposto a fare qualunque cosa per
aiutarmi, è così?
Era questo l'aiuto che voleva? Il suo sangue? Joshua era sconvolto, ma più pensava alle sue parole,
più il dolore si affievoliva. Lei gli aveva chiesto aiuto, aveva bisogno di lui. Era questa la cosa
importante. Infondo, non c'era niente di male a donarle un po' del suo sangue, giusto? Magari, la
povera Katarina era oppressa da una mostruosa malattia che la obbligava a nutrirsi del sangue degli
altri per sopravvivere.
...qualunque cosa...
In quei folli momenti, questi suoi ragionamenti assurdi gli sembrarono plausibili e rimase
docilmente tra la braccia della donna che lo stava dissanguando.
...qualunque cosa...
Il dolore che provava cessò del tutto e Joshua cominciò a sentire un senso di appagamento mai
provato prima. Provava... piacere. Voleva che Katarina continuasse a nutrirsi di lui, tutto il resto non
contava. In quei momenti il pensiero di star andando incontro alla morte non lo sfiorò nemmeno per
un istante.
Alla fine la donna – se così la si poteva ancora chiamare – si staccò da lui. Leccò lentamente il
sangue che gli era colato sul collo e sul petto e lo lasciò andare. Joshua si accasciò contro lo
schienale, quasi privo di sensi.
<<Portatelo in una delle stanze di sopra. Dategli da mangiare qualcosa, ma tenetelo lì fino a domani
sera>> le sentì dire.
<<Sì, mia signora.>> rispose un uomo. Chi stava parlando era lì vicino a lui, ma le voci gli
giungevano lontane e affievolite, come se giungessero da un'altra stanza. Poco dopo, qualcuno lo
sollevò e Joshua perse i sensi.
Quando si risvegliò, era ormai mattino inoltrato e lui giaceva in un comodo letto a baldacchino
privo dei tendaggi. Si sentiva debole e frastornato, tanto che gli eventi della sera prima non gli
apparivano altro che sogni dovuti al delirio della malattia. Solo quando si rese conto di non trovarsi
nella sua stanza da letto, cercò di ricordare con più attenzione cosa fosse successo e come ci fosse
arrivato. E allora ricordo tutto. Si alzò di scatto, terrorizzato da ciò che era successo. Corse verso la
porta, ma la trovò chiusa a chiave. Si affacciò alla finestra, ma era troppo alta per poter uscire da lì.
Mentre si agitava nella stanza come un animale in gabbia, intravide la sua immagine riflessa in un
grosso specchio appeso ad una parete. Vi si avvicinò per osservarsi meglio.
Aveva un aspetto terribile: era pallido come un cadavere, aveva gli occhi opachi di un folle cerchiati
di nero e i capelli spettinati. Inoltre, sul collo aveva una piccola ma vistosa ferita e sangue coagulato
gli macchiava la camicia bianca. Joshua si tastò i due piccoli forellini rossi che aveva sulla
giugulare con cautela. La ferita era perfettamente rimarginata e non doleva, anche se il solo
osservarla gli dava i brividi. Si scostò dallo specchio e tornò alla porta, provando nuovamente ad
aprirla. Poiché non ci riuscì, cominciò a battervi contro con i pugni e ad urlare perché lo liberassero.
Nessuna risposta.
Alla fine, stanco per lo sforzo e per la copiosa perdita di sangue subita, tornò a sedersi sul letto
barcollando. Pochi minuti dopo la chiave girò un paio di volte nella serratura e la porta si aprì di
scatto, richiudendosi immediatamente dietro a colui che era appena entrato. Davanti a lui stava
Damian, altero e silenzioso come sempre. Lo fissava con i suoi soliti occhi severi.
<<Fate silenzio, o sarò costretto a legarvi e imbavagliarvi. Non vorrete svegliare la signora, spero>>
gli disse con un tono pieno di minaccia <<A lei non piace essere svegliata nel pieno del giorno>>.
Joshua aveva un migliaio di domande che gli volteggiavano nella testa, ma riuscì solo a balbettare:
<<Perché sono qui?>>
<<La signora ha ordinato di custodirvi qui fino a sera>> fu la sua laconica risposta.
<<Ma perché?>> insisté Joshua.
<<Me lo chiedo anch'io. Vorrei proprio sapere perché ha voluto anche voi, quando già ci siamo
Gheorghe e io che ci occupiamo di lei, ma non è permesso chiedere. Lei è la nostra padrona e fa ciò
che vuole. Fareste bene ad abituarvi>>.
Non riuscì a capire cosa intendesse dire Damian, ma non osò chiedere. Tutto ciò che voleva era
andarsene, fuggire, ma costui non sembrava intenzionato a liberarlo. Joshua, allora, raccolse le sue
ultime forze e scattò in piedi. Si lanciò contro di lui con tutta la sua forza, poiché gli bloccava
l'uscita, ma fu respinto così velocemente che si ritrovò sdraiato a terra senza nemmeno capire come
fosse successo.
<<La signora mi ha ordinato di occuparmi di voi>> gli disse Damian, mentre lo bloccava a terra
con il peso del suo corpo <<Vuole che vi dia da mangiare e anche dei libri per passare il tempo. Mi
ha detto anche di rispondere alle vostre domande, se me ne aveste poste. Ma ciò non significa che
sarò troppo tenero con voi, se tenterete di fuggire. Mi è stato ordinato di tenervi qui fino a sera ed è
quello che farò, che vi piaccia a no>> L'uomo – se questo era – aveva parlato con un tale astio e una
tale decisione che lo fecero desistere. Inoltre, se Joshua fosse stato in forze, avrebbe potuto
affrontarlo tranquillamente, ma in quel momento era così debole che avrebbe potuto svenire da un
momento all'altro.
Decise di arrendersi, di mangiare, di riposarsi. Avrebbe aspettato di riprendere le forze e poi sarebbe
fuggito il più lontano possibile da quella casa, da quell'incubo reale. Joshua annuì docilmente e si
lasciò trascinare sul letto.
Poi Damian uscì dalla stanza, richiudendolo dentro a chiave. Quando tornò, circa mezz'ora dopo,
portava con sé del cibo. Joshua, nonostante la situazione paradossale, divorò tutto con voracità,
mentre il suo aguzzino lo osservava con attenzione. Dopo che si sentì nuovamente a stomaco pieno,
si decise a fare qualche domanda.
<<Che cosa è successo ieri notte?>> chiese infine, fissando Damian negli occhi con decisione. Lui
sorrise divertito.
<<Sono certo che lo ricordate benissimo, ma non siete certo che sia accaduto realmente. Pensate
che sia stato un incubo, per questo me lo chiedete, non è vero?>> sorrise ancora, crudelmente e
sarcasticamente <<Lasciate che dissipi i vostri dubbi. Ieri sera, dopo la cena, la signora nostra
padrona si è nutrita del vostro sangue, perché questo è l'unico mezzo di sostentamento che le
permette di vivere su questa terra.>>
Joshua si paralizzò, udendo quelle parole. Cercò di non apparire impressionato, ma dovette
riuscirgli proprio male, visto che il sorriso divertito non scomparve dalle labbra del suo
interlocutore.
<<Che... che cosa siete? Tu, lei, tutti quanti! Cosa diavolo siete?!>> esclamò poi sconvolto.
<<Ahimé>> rispose lui sospirando <<Io sono solo un banale uomo, come voi, almeno per il
momento>> pronunciando queste ultime parole, un sorriso tornò ad increspargli le labbra <<La
signora, invece, è una creatura della notte. Vive su questa terra da centinaia di anni, eppure ne
dimostra appena venti. È bella e potente, per vivere si nutre del sangue degli uomini e, alcune delle
sue vittime, le più fortunate, hanno la possibilità di diventare come lei. Così è successo a Basil e
Tegatus e così, forse, un giorno, accadrà anche a me e a Gheorghe. Siamo tutti suoi servi e viviamo
per eseguire i suoi ordini, qualunque cosa ci chieda>>.
Joshua era allibito. Aveva sentito alcune storie. Erano racconti di paura che si narravano
scherzosamente alle feste dell'alta società o ai bambini per farli stare buoni. Storie di vampiri. Storie
dell'Est Europa a cui nessuno dava più credito che ai miti dell'antica Grecia. Raccontavano di
demoni sanguinari che uscivano solo di notte per nutrirsi delle fanciulle più belle e che le
trasformavano in creature orribili come loro.
Non sapeva se lo terrorizzava di più l'idea di morire dissanguato o di diventare anch'egli un
vampiro, girovagando ogni notte in cerca di vittime. Sentì nuovamente il forte impulso di scappare
da quella casa, ma poi ricordò che, se avesse fallito, sarebbe stato legato, e allora non avrebbe
davvero avuto più possibilità di fuggire.
Se davvero Katarina e i suoi amici erano vampiri, questo significava che in quel momento stavano
dormendo e non sarebbero usciti dai loro letti – o dalle loro bare? – fino al tramonto. Aveva ancora
un po' di tempo.
<<Cosa ne sarà di me?>> provò a chiedere, deglutendo nervosamente
<<Chissà?>> fece Damian, alzando le spalle <<Sarà la signora a decidere>>.
Ciò significava che la vampira avrebbe potuto ucciderlo quella sera stessa, per un qualche capriccio.
Joshua rabbrividì, ma non si mosse.
Vedendo che non aveva altre domande, Damian uscì e tornò poco dopo con alcuni libri, infine portò
via le stoviglie sporche dove gli era stato servito il pranzo e lo chiuse nuovamente all'interno.
Qualche ora più tardi Damian tornò. Joshua osservò attraverso le finestre che il tramonto si stava
avvicinando e si decise a fare la sua mossa. Non appena sentì i passi dell'uomo che si avvicinavano
nel corridoio, si mise in agguato dietro alla porta. Appena Damian la aprì, gli si scagliò contro con
tutta la sua forza ritrovata. Riuscì a spingerlo a terra e si ritrovò nel corridoio. Già assaporava l'aria
libera, quando un paio di braccia lo afferrarono e lo spinsero contro il muro con forza. Subito dopo
fu nuovamente trascinato all'interno e scagliato sul letto in malo modo.
Quando si fu ripreso, tutto dolorante, si accorse che adesso sia Damian che Gheorghe si trovavano
nella stanza e lo osservavano con sguardi torvi. Dietro di loro c'erano un paio di inservienti. Uno di
loro portava la cena, mentre l'altra aveva tra le braccia alcuni vestiti ripiegati, che poggiò sul letto.
Intanto, dalla porta lasciata aperta, passarono due altri camerieri che portavano secchi di acqua
calda e li rovesciavano nella vasca del bagno a lui riservato.
<<Fate il bagno, cenate e cambiatevi>> gli ordinò Damian <<Fra poco la signora verrà da voi e sarà
meglio che abbiate fatto tutto ciò che vi è stato ordinato>>.
Joshua obbedì. Non appena furono tutti usciti, si spogliò e si immerse nella vasca. Mentre giaceva
quasi inerme nell'acqua bollente, cominciò a riflettere su come risolvere la sua situazione. Aveva
sperato di poter facilmente sopraffare Damian e fuggire prima del tramonto, ma poiché non c'era
riuscito, gli restava un'unica possibilità: affrontare Katarina. Anche se era una specie di mostro, era
pur sempre una donna e in forza non poteva competere con lui. Ovviamente ricordava ciò che era
successo la sera prima e come era stato sopraffatto, ma era convinto che ciò era successo solo
perché lui si era lasciato ingannare dalle sue parole e dai suoi occhi dolci. Questa volta sapeva cosa
aspettarsi e l'avrebbe affrontata con decisione.
Come annunciato, poco più di un'ora dopo, quando il sole fu sparito dietro l'orizzonte e la stanza fu
illuminata solo da qualche candela, Katarina fece il suo ingresso nella stanza.
Era bella come sempre: la sua pelle chiara splendeva alla luce fioca delle candele, la bocca rossa era
incurvata in un sorriso ammaliante e i suoi profondi occhi blu lo scrutavano con apparente dolcezza.
Indossava uno splendido abito blu trapunto d'argento e al collo portava un ciondolo d'oro bianco in
cui era incastonato un enorme zaffiro trasparente. Qualcuno richiuse la porta alle sue spalle, mentre
lei si avvicinava silenziosamente al letto, dove Joshua sedeva in silenzio.
<<Mio caro Joshua>> esordì con voce musicale <<Spero che tu abbia riposato bene nella mia umile
casa>>.
Per un attimo si chiese se non lo stesse prendendo in giro. Lui era un prigioniero e, anche se quella
era stata la peggior giornata della sua vita, poteva forse lamentarsi e, soprattutto, a cosa gli sarebbe
servito?
<<Gheorghe e Damian mi hanno detto che hai tentato di scappare e che avrebbero voluto legarti.
Buffo no? E pensare che anche loro si sono comportati esattamente allo stesso modo, quando si
trovarono al tuo posto!>> Katarina sorrise divertita, prima di sedersi su una poltroncina, proprio
davanti a lui.
Joshua era deciso a non guardarla più del necessario e mantenne il suo sguardo sul pavimento. Era
certo che, se avesse incontrato il suo sguardo, sarebbe stato nuovamente in mano sua e non voleva
che accadesse. Ricordava bene come, la sera precedente, mentre lei si nutriva del suo sangue, lui
avesse cercato di giustificarla in qualche modo e questa era senza dubbio una prova del suo potere.
Solo a ripensare ai folli pensieri di quei momenti si sentiva pervaso dall'imbarazzo, chiedendosi
come potesse esser stato così stupido.
<<Perché così silenzioso? E come mai fissi il pavimento? Guardami Joshua>>. La sua voce era
sempre amabile e cordiale, ma conteneva al suo interno una nota autoritaria che lui non poté
ignorare. Tentò di resistere, ma alla fine alzò lo sguardo su di lei.
<<Ora va meglio>> sorrise Katarina <<Detesto parlare con qualcuno che nemmeno mi guarda>>.
Joshua la fissò a lungo e capì di essere perduto. Non c'era modo di sfuggire al suo controllo, adesso
lo capiva chiaramente. Poteva solo eseguire i suoi ordini e pregare di essere risparmiato.
<<N-non... u-uccidermi...>> riuscì a balbettare
Katarina sembrò sorpresa da quelle parole. <<Ucciderti? Oh no! Non potrei mai>> gli disse con
voce innocente <<Tu mi piaci, Joshua, e non potrei mai farti del male. Sei ancora il mio più caro
amico>>.
Joshua non riuscì a staccare gli occhi dai suoi denti scoperti. Adesso i suoi canini sembravano
normalissimi. Incredibilmente, le sue parole lo rassicurarono. Sentì di non dover avere paura.
<<Anzi>> continuò Katarina <<Se mi prometterai di non tentare più la fuga, ti permetterò di andare
in giro per la villa quanto vorrai. Me lo prometti?>>
Joshua annuì con convinzione. <<Te lo giuro sulla mia vita>>.
Quelle parole uscirono dalla sua bocca, eppure non gli sembravano sue. Allo stesso tempo, però,
sentiva di non stare mentendo e che mai sarebbe venuto meno a quel giuramento, a costo della vita.
<<Bene>>. Katarina sorrise compiaciuta e gli posò una mano sulla guancia, come aveva fatto la
sera prima. Joshua rabbrividì, un po' per la paura e un po' per... l'eccitazione. Non gli sembrava
vero, eppure, anche dopo tutto ciò che era successo, continuava a desiderarla. Lei sembrò leggergli
tutto negli occhi, come se avesse davanti a sé un libro aperto.
<<Non avere paura, mio caro. Non berrò il tuo sangue, questa sera. Sei ancora troppo debole e di
certo non vorrei ucciderti>>. Poi il suo sorriso si tinse di malizia e aggiunse: <<O forse tremi per
qualche altra ragione? Cerca di avere pazienza. Come ti ho già detto, sei ancora troppo debole. Ci
sarà tempo. Se tutto come va come previsto, avremo molte notti da qui a venire per stare insieme,
mio caro>>.
Detto questo, avvicinò il suo volto a quello di lui e lo baciò profondamente. Joshua non poté ritirarsi
e vide quel bacio come una ricompensa per la sua condotta positiva, piuttosto che come il sortilegio
di un demone che lo stava stregando.
Senza aggiungere altro, Katarina si alzò e se ne andò, senza però chiudere la porta a chiave.
Joshua rimase imbambolato per un tempo che gli apparve interminabile poi, finalmente, si alzò a si
avvicinò alla porta. Non sarebbe fuggito, questo lo sapeva. La spaventosa realtà era che non voleva
fuggire. Quello che voleva era ispezionare la casa e cercarla. Voleva stare con lei, passare ogni
minuto della sua vita con lei. E questo spaventava terribilmente quella piccola parte di sé che ancora
ragionava.
Prese un candelabro che era poggiato sulla cassapanca della stanza e aprì la porta con circospezione.
Temeva che Damian e Gheorghe lo avrebbero trascinato di forza nella sua stanza o, peggio, che gli
altri due amici di Katarina lo avrebbero aggredito, ma non accadde niente di tutto questo.
Attraversò il lungo corridoio a passi lenti e misurati, cercando di non fare rumore, quando sentì una
voce provenire da una delle stanze.
La porta era socchiusa e l'interno era vagamente illuminato. Joshua spense le candele e si avvicinò
lentamente per capire cosa stesse accadendo.
Si trovò a sbirciare in una camera da letto molto simile a quella dove era stato lui l'intero giorno.
Anche qui vi era un ampio letto a baldacchino privo di tende e sopra vi era sdraiata di Katarina. Era
completamente nuda, come il giorno in cui era venuta alla luce, e fissava il tetto di legno del
baldacchino con aria pensierosa. Intanto, Damian era inginocchiato a fianco del letto. Poiché si
trovava dall'altra parte di esso, rispetto alla porta, nella penombra, Joshua poteva a malapena
intravederne la testa e le spalle e fu sicuro che si trattasse di lui solo quando lo sentì parlare.
Stava implorando Katarina di fare qualcosa – questo deduceva dal suo tono di voce – ma Joshua
non riuscì a capire di cosa stesse parlando perché parlava in una strana lingua a lui sconosciuta.
<<Vorresti che lo uccidessi?>> gli chiese poi Katarina in perfetto inglese, voltandosi verso di lui
<<E perché mai? Gli porti rancore per averti scaraventato a terra?>>
Damian abbassò lo sguardo imbarazzato. <<Non è degno di voi>>.
Katarina scoppiò a ridere divertita, udendo quelle parole e gli fece cenno di alzarsi. <<Mio caro
Damian... tu sei geloso!>> esclamò. Damian non osò replicare. Si alzò, come lei gli aveva ordinato
e si inginocchiò sul letto di fronte alla sua padrona. Anche lui era nudo e i capelli lunghi gli
ricadevano scompostamente sulle spalle. <<Non devi temere. Non sarai messo da parte>>.
Gli sussurrò, mentre gli si avvicinava con movimenti sensuali. Poggiò entrambe la mani sulle sue
spalle e premette le sue labbra contro il collo dell'uomo, che chiuse gli occhi. Joshua capì
immediatamente cosa stesse per succedere e non si sorprese quando vide la vampira sfoderare le sue
zanne e conficcargliele nel collo. Subito dopo le estrasse, appoggiò le labbra alla ferita e cominciò a
succhiargli il sangue. Mentre questo avveniva, Damian, gli occhi ermeticamente chiusi, gemeva, ma
non di dolore.
Joshua arretrò inorridito e si chiese se anche lui sarebbe divenuto così un giorno. Uno schiavo della
vampira, pronto a fare qualunque cosa lei gli ordinasse, che arrivava a provare piacere mentre gli
veniva succhiata via la vita.
Allo stesso tempo, però, provava qualcos'altro, un sentimento diverso. Sentì ribollire il suo sangue
al pensiero di ciò che era accaduto tra loro e di ciò che stava accadendo davanti ai suoi occhi.
Distolse lo sguardo infastidito da quei sentimenti incomprensibili. Joshua non capiva da cosa
nascesse, ma provava rancore nei confronti di Damian, un rancore talmente profondo che non
poteva essere solo dovuto al suo ruolo di aguzzino. C'era dell'altro. Era come se lui lo invidiasse.
Questo pensiero suonava talmente ridicolo che quasi gli venne da ridere. In quel momento credette
di aver perso il lume della ragione.
Quando il suo sguardo incredulo tornò nella stanza, vide Katarina che si staccava dalla sua vittima,
che le cadde tra le braccia stremata. Lei lo abbracciò con fare protettivo e lo fissò per qualche
istante, immobile tra le sue braccia bianche. Poi alzò lo sguardo. Lentamente, si voltò verso la porta
e lo fissò dritto negli occhi, sorridendo.
Allora Joshua capì che lei si accorta fin da subito che lui li stava osservando. Aveva fatto finta di
nulla, forse per osservare le sue reazioni, o magari per fare in modo che lui vedesse. Si chiese se
addirittura non lo avesse lasciato libero per la villa a quello scopo.
Rimase per qualche istante immobile, pietrificato da quello sguardo, poi fuggì verso la sua stanza.
Si chiuse dentro, si spogliò e si infilò sotto le coperte, coprendosi anche la testa, come un bambino
spaventato, nell'illusione che queste potessero proteggerlo dai mostri.
Quello era stato solo l'inizio. Il giorno seguente gli avevano fatto inviare delle lettere a parenti e
conoscenti in cui affermava di essere costretto fuori Londra per affari e che non sapeva quando
sarebbe tornato. Le lettere, ne era certo, sarebbero state tutte diligentemente consegnate, per sviare
ogni sospetto dalla cena che aveva avuto luogo due sere prima.
In seguito, era stato ospite di quella casa per tre mesi, fino a quando la signora non aveva deciso che
era tempo di trasferirsi e tutti l'avevano seguita, lui compreso. Ormai schiavo, non aveva più tentato
la fuga, ne aveva mosso una qualsiasi obiezione ad ogni ordine gli fosse stato rivolto.
Dalla notte successiva a quegli eventi, infatti, non aveva avuto più alcun motivo di essere invidioso
di Damian o Gheorghe. Era divenuto uno delle vittime della vampira e anche uno dei suoi amanti.
Aveva avuto ciò che aveva tanto desiderato, ma era anche divenuto una delle sue riserve di sangue
fresco. La cosa non gli importava: per qualche inspiegabile motivo, darle il suo sangue era divenuta
per lui un'attività piacevole, quasi indispensabile. E più ciò accadeva, più desiderava essere lui la
vittima designata della nottata. Inoltre, detestava divenire il pasto degli altri due vampiri della villa,
che comunque avevano bisogno della loro razione di sangue per sopravvivere. Infatti, ogni notte,
Katarina sceglieva uno tra i tre umani; gli altri due dovevano sfamare Basil e Tegatus, attività che
Joshua trovava tutto fuorché piacevole. I due vampiri maschi erano avidi e aggressivi, si
controllavano a stento: ogni volta che toccava a lui, era costretto a letto per tutto il giorno seguente
e la sera nessuno poteva nutrirsi di lui senza mettere a repentaglio la sua vita. Ma questi erano gli
ordini della signora e nessuno osava trasgredirli.
Il gruppo soggiornava in una nuova casa per qualche mese e poi si trasferiva in un'altra città.
Quando ebbero visitato tutte le maggiori città inglesi, si trasferirono in Scozia, in Francia e poi in
Italia. Passarono così alcuni anni e ci furono alcuni cambiamenti significativi.
Poco prima di lasciare la Gran Bretagna, Katarina decise che Tegatus era pronto a vivere da solo e
lo lasciò in una villa ad Edimburgo. Decise anche che Gheorghe era pronto a diventare un vampiro,
con grande soddisfazione di quest'ultimo. All'epoca Joshua non aveva idea di come funzionasse il
processo e, poiché per un mese intero Katarina si nutrì esclusivamente del suo sangue, pensò che
questo consumo prolungato fosse sufficiente per la trasformazione.
Una volta che Gheorghe fu diventato un vampiro, Damian divenne ancora più brusco e irritabile del
solito, probabilmente invidioso del vecchio compagno. Non ne parlava mai, ma Joshua intuì che lui
non si capacitasse del fatto che Katarina avesse preferito Gheorghe a lui. La padrona, intanto, si
sforzava di trovare qualcuno che sostituisse quest'ultimo, ma con scarsi risultati.
Una sera invitò a casa un giovane francese dall'aria bohèmien, proprio come aveva fatto con lui
circa un anno prima, ma il ragazzo non si trattenne a lungo. Joshua non ne seppe mai il motivo
preciso, ma la sera successiva al suo arrivo, lei gli squarciò la gola e lo dissanguò completamente,
così che lui e Damian dovettero occuparsi di far sparire il corpo.
Quando provò a chiedere spiegazioni al suo compagno, lui gli rispose che probabilmente il francese
non era stato di suo gusto. Ovviamente, sarebbe stato più semplice avere una risposta dalla diretta
interessata, ma nessuno avrebbe mai osato chiederle spiegazioni.
In seguito a quell'episodio, lasciarono immediatamente la Francia e giunsero in Germania, dove si
fermarono per breve tempo. Qui Katarina lasciò Basil, visibilmente turbato dall'idea di separarsi
dalla sua padrona, ma che obbedì comunque senza fare storie.
Erano passati ormai oltre due anni, quando anche per Joshua venne il tempo dei cambiamenti. Il
gruppo si trovava in Italia ormai da tempo e a loro si era da poco unito un giovane italiano di nome
Lorenzo. Una sera, Katarina lo fece condurre nella sua stanza, come aveva fatto tante altre volte.
Quella notte, però, la padrona aveva una sorpresa in serbo per lui.
<<Ben svegliata, mia signora>> la salutò lui, come faceva sempre.
Lei sorrise. <<Sei sempre così affettuoso, caro Joshua>> disse con il suo solito tono musicale e
ammaliante <<Vieni, siediti qui accanto a me, ho una notizia importante da darti>>.
In quel momento Katarina era seduta sul bordo del letto e gli fece cenno di accomodarsi. Joshua,
per quanto quel comportamento gli apparisse strano, obbedì senza fare obiezioni di sorta.
<<Ho deciso che per te è ora>> affermò lei laconicamente, quando Joshua si fu seduto. Non ci fu
bisogno di altre spiegazioni. Lui capì subito che si riferiva alla trasformazione. Giunto a tale
consapevolezza, provò uno strano misto di emozioni. Da un lato era affranto all'idea di non poterle
più dare il suo sangue, dall'altra era soddisfatto all'idea di essere trasformato prima di Damian, che
pure era con la signora da molto più tempo di lui. Però, provava anche paura, per la nuova esistenza
che gli si prospettava e curiosità. Si chiese che sapore avesse il sangue per un vampiro.
Inoltre, Joshua era molto curioso di sapere in cosa consistesse il rituale per la trasformazione, anche
se non osò chiedere.
Il resto della serata si svolse come sempre, tanto che Joshua si chiese se non si fosse sognato quello
strano inizio, finché Katarina, dopo essersi nutrita del suo sangue, fece qualcosa di strano.
Joshua era spossato e stava per accasciarsi sul letto, ma lei lo sostenne con forza. <<Non ancora,
mio caro>> gli sussurrò. Poi avvicinò l'unghia dell'indice destro al suo polso sinistro e con un
movimento netto si recise le pelle in corrispondenza della vena e il suo sangue, denso e chiaro,
cominciò a scorrerle lentamente lungo il braccio.
<<Bevi>> gli ordinò, mentre accostava il suo polso ferito alla bocca di Joshua. Il liquido rosso che
ne usciva aveva un sapore orribile e più di una volta rischiò di vomitarlo, ma la sua padrona gli
aveva dato un ordine e lui doveva eseguirlo ad ogni costo. Così bevve e si sentì meglio; la
spossatezza scomparve e ritrovò tutta la sua forza.
Questo processo andò avanti per più di un mese. Ogni sera, Katarina, dopo aver bevuto il suo
sangue, gli dava un po' del suo. Così, giorno dopo giorno, Joshua sentì la sua forza aumentare,
osservò la sua vista notturna acuirsi e il suo desiderio di sangue crescere. Inoltre, cominciava a
detestare la vista del sole e la sua pelle, divenuta molto pallida, si scottava facilmente.
Infine, una sera, non appena lui entrò nella sua stanza, notò che Katarina lo fissava con
soddisfazione.
<<Bene>> disse <<Anche per te è giunto il momento di morire>>.
Detto questo, si scagliò contro di lui e gli squarciò la gola, cominciando a succhiargli via il sangue
fino all'ultima goccia. In quel momento, mentre la ferita gli pulsava e i polmoni gli esplodevano per
la mancanza d'aria, credette di essere stato ingannato e, forse, sarebbe stato meglio così. Sarebbe
stato meglio per lui se Katarina lo avesse ucciso quella notte. Invece, Joshua sopravvisse.
Il suo corpo era stato contaminato e rafforzato dal sangue della vampira e adesso, dopo aver
sconfitto la morte, anche lui era come lei. Una creatura della notte, morto ma non morto, costretto a
nutrirsi di sangue per poter sopravvivere. Era costretto a quell'esistenza ingrata e non poteva
sfuggirle.
Anche da vampiro, restava schiavo della sua padrona. Faceva qualunque cosa gli venisse ordinato e
sei gli ordinava di vivere, per quanto lui odiasse quell'esistenza, che a malapena poteva essere
definita vita, lui viveva.