Parrocchia di San Giuseppe

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Parrocchia di San Giuseppe
Parrocchia di San Giuseppe - Melito P.S.
“TU AL CENTRO DEL MIO CUORE”
Preghiera a Cristo Risorto
O Gesù, che con la Tua risurrezione hai trionfato sul peccato e sulla morte,
e Ti sei rivestito di gloria e di luce immortale,
concedi anche a noi di risorgere con Te,
per poter incominciare insieme con Te una vita nuova, luminosa, santa.
Opera in noi, o Signore, il divino cambiamento
che Tu operi nelle anime che Ti amano:
fa’ che il nostro spirito, trasformato mirabilmente dall’unione con Te,
risplenda di luce, canti di gioia, si slanci verso il bene.
Tu, che con la Tua vittoria hai dischiuso agli uomini orizzonti infiniti
di amore e di grazia, suscita in noi l’ansia di diffondere
con la parola e con l’esempio il Tuo messaggio di salvezza;
donaci lo zelo e l’ardore di lavorare per l’avvento del Tuo regno.
Fa’ che siamo saziati della Tua bellezza e della Tua luce
e bramiamo di congiungerci a Te per sempre.
Amen.
Opere di misericordia corporale
“Alloggiare i pellegrini”
L’espressione “alloggiare i pellegrini” - o “accogliere i forestieri”, come nell’elenco della bolla di Papa Francesco per il giubileo straordinario - rinvia alla
pratica di dare ricovero a chi sta compiendo un pellegrinaggio. Non a caso le
opere di misericordia come: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli
assetati, alloggiare i pellegrini, furono molto spesso raffigurate nelle chiese
disposte lungo gli itinerari dei grandi pellegrinaggi per stimolare l’attiva carità
nei confronti dei pellegrini.
La storia dei pellegrinaggi è anche la storia degli “ospizi” costruiti per dare riparo e ristoro ai pellegrini. La Guida del pellegrino di Santiago (composta verso il 1140) parla di alcuni dei luoghi di accoglienza come di “luoghi santi, casa
di Dio, ristoro dei santi, riposo dei pellegrini, consolazione degli indigenti, salute degli infermi, soccorso dei morti come dei vivi”. In questi luoghi venivano
accolti i pellegrini, curati i malati, ricevevano sepoltura coloro che erano morti
per stenti o erano stati uccisi dai briganti.
La tradizione cristiana, fin dai testi del Nuovo testamento, ha sempre identificato come bisognosi di ospitalità (per la notte, per il cibo, per lavarsi) i molti
pellegrini, viandanti per la stessa fede.
Prosegue così la tradizione biblica che riconosceva come gesto di carità e di
giustizia voluto da Dio l’accoglienza, la cura e il rispetto sacro per il forestiero.
Il forestiero che è in cammino o viene a vivere in mezzo al popolo di Israele è
un ricordo vivente della condizione di viandanti che accomuna tutti gli uomini; anzi un segno del passaggio di Dio stesso.
Tuttavia, dietro all’espressione che parla di “alloggiare i pellegrini” vi è la parola evangelica sull’accoglienza del forestiero (xénos, Mt 25,35.43) e dunque
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la pratica dell’ospitalità.
Una pratica che oggi è drammaticamente interpellata dal massiccio fenomeno
migratorio, che pone a contatto uomini e donne provenienti da paesi poveri o
resi invivibili da guerre e violenze con gli abitanti della parte ricca del globo. E
oggi vi è bisogno del diffondersi e del radicarsi di una cultura dell’ospitalità in
particolare nei confronti degli stranieri che premono alle porte dei nostri paesi. Ne va dell’umanità stessa dell’uomo. I pellegrini del nostro tempo si chiamano emigranti e immigrati. Il loro abbandono della patria, nella stragrande
maggioranza, è composto dalla necessità.
È necessità dolorosa perché comporta: abbandono della propria terra, della
famiglia, della rete di amicizie; disagio da inserimento abitativo, lavorativo,
scolastico per i bambini, sanitario, relazionale anche per la non conoscenza
della lingua; chiusura talvolta in un ghetto, che è guardato con diffidenza dalla
popolazione locale e, in alcuni casi, è oggetto di punte razzistiche.
Compimento di questo dovere sacro di ospitalità è la parola di Gesù che parla
dell’accoglienza dello straniero come opera che sarà oggetto del Giudizio finale; anzi, Gesù stesso si identifica con lo straniero da accogliere. (cf. Mt 25:
«Ero straniero e mi avete accolto»).
La Bibbia attesta la santità dell’ospite, il suo carattere rivelativo, perché in esso è Dio stesso che visita l’uomo (cf. l'episodio dei tre uomini accolti da Abramo a Mamre in Genesi 18,1-15, ripreso dalla Lettera agli Ebrei 13,2: «Non dimenticate l’ospitalità, alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli»).
Accogliere il viandante significa predisporre uno spazio, creare uno spazio per
lui, come fa la donna di Sunem che predispone una stanza per l’ospite, cioè
Eliseo: «Prepariamo per lui una piccola camera al piano di sopra, in muratura,
mettiamoci un letto, un tavolo, una sedia e una lampada, sì che, venendo da
noi, ci si possa ritirare»: (2Re 4,10). Significa quantomeno aprire la propria casa all’altro (come Marta che accoglie Gesù «nella propria casa»: Lc 10,38), ma
più in profondità significa fare di se stessi la casa, la dimora in cui l’altro viene
accolto: accogliere è dare tempo e ascolto all'altro, e ascoltando scaviamo in
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noi uno spazio interiore per lui (come Maria che, «sedutasi ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola»: Lc 10,39).
L’ospitalità, declinata come ascolto dell’altro, della sua storia, incide sul nostro essere profondo, fa di noi persone capaci di accoglienza, e fa sì che
l’ospitalità stessa sia un evento che plasma la nostra interiorità. L’ambivalenza
del termine “ospite” (in senso attivo: che dà ospitalità, e in senso passivo: che
riceve ospitalità) è significativa dello scambio di doni e di ruoli che avviene
all’interno di tale relazione, sicché ci si può legittimamente porre la domanda:
chi è colui che deve essere accolto? Il campo è molto ampio: è chiunque
cammina accanto a me pur non essendo già parte dei
“miei”. È l’ “altro”, cioè colui che non posso identificare con me, ed è diverso
da me.
La stessa vita di Gesù di Nazaret, come attestata nei Vangeli, è caratterizzata
da uno stile di incontro con l’altro che può essere definito “santità ospitale”.
La santità, l’alterità di Gesù, è vissuta da lui non come separatezza, ma come
ospitalità, capacità di incontro e accoglienza che diviene narrazione
dell’accoglienza e della comunione radicale di Dio con gli uomini. E ogni incontro mostra un uomo capace di adattarsi alle capacità relazionali e di ascolto dell’altro, di accoglierlo così come è senza pregiudizi, anzi mettendo sempre in atto una prassi di uscita dai pregiudizi e dagli stereotipi.
Il Miracolo Eucaristico di Bordeaux.
Nel 1820, Don Pietro Noailles fondò a Bordeaux la Congregazione delle “Dames de Lorette” che diverranno più tardi le religiose della Sacra Famiglia e
Madre Trinità, sorella del Fondatore, ne divenne la superiora.
Ora, meno di due anni dopo, mentre la piccola comunità era piombata in un
profondo disorientamento, un evento provvidenziale venne a confermarne la
esistenza fino a quel momento minacciata e a influenzarne la vita e la spiritualità. Il 3 febbraio 1822, nella cappella del convento, il Cristo si manifestò
nell’ostensorio dove era esposto il SS. Sacramento.
La domenica di settuagesima, Don Noailles, vicario a S. Eulalia, non potte recarsi presso le “Dames de Lorette” per assicurare loro la benedizione del SS.
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Sacramento. Così chiese a un prete della stessa parrocchia, che lo aiutava
spesso, Don Delort, di sostituirlo.
Alle 16,30 il celebrante espose dunque l’Ostia Santa. Ma dopo averla incensata, non vide più le Sante Specie: «AI posto delle forme sotto cui nostro Signore
si nasconde», testimonierà, «io vidi Lui stesso in mezzo al cerchio che lo inquadrava, come un ritratto dipinto in busto, con questa differenza che la persona sembrava viva. La Sua immagine era molto candida e rappresentava un
giovane di 30 anni circa, straordinariamente bello; era ricoperto da una sciarpa di colore rosso scuro. Di tanto in tanto s'inchinava ora a destra, ora davanti».
Il prete temette pertanto d’essere vittima d’una illusione. All’inserviente, Jean
Degreteau, che teneva il turibolo, fece dunque cenno d’avvicinarsi e gli domandò se per caso non vedesse qualcosa di straordinario.
Il ragazzo gli rispose che ha già visto il prodigio e lo vedeva ancora. Il giovane
attesterà poi: «Quando il prete ebbe posto il SS. Sacramento sull’altare, io vidi
che l’ostensorio era tutto lucente là dove si mette l’ostia; l’ostia non c’era più,
ma al suo posto vidi un busto e una testa che sporgeva dal vetro. Ero molto
sorpreso e quando Don Delort mi domandò se vedevo qualcosa, gli dissi di sì.
Mi resi conto che era un miracolo e tremavo tutto».
Il prete invitò allora l’inserviente a farlo sapere alla superiora. Non osando egli
stesso avvertirla, Jean Degreteau chiamò la suora sacrista. Ma questa, fu così
colpita e sconvolta dallo spettacolo che stava contemplando che dimenticò di
chiamare Madre Trinità: anche lei ebbe quindi la possibilità di ammirare il
prodigio.
Deporrà più tardi: «Mi accorsi che nostro Signore Gesù Cristo stesso si era sostituito alle Specie; non vedevo che la Sua testa e il Suo busto; era inquadrato.
nel cerchio dell’'ostensorio, ma si inchinava di tanto in tanto dal lato dove mi
trovavo e il suo volto allora sembrava uscire dal cerchio che lo circondava. Ho
visto, inoltre delle luci che brillavano da ogni lato e, non facevo in tempo a vederle che subito cadevano a grappoli e si dissipavano»". '
Anche la religiosa temette di essere vittima della sua immaginazione e «pertanto», aggiunse, «vedevo sempre nostro Signore sotto la stessa forma. Ero
così presa dalla sua presenza che non m’accorsi né dell’effetto che produceva
sul prete e sugli altri, né del movimento che c'era per farmi sapere ciò che sta
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va accadendo».
Altre persone presenti alla benedizione del SS. Sacramento, religiose, ragazze
o estranei all’opera delle Dames de Lorette, furono anch’esse testimoni del
miracolo.
Una delle suore, madre Maria di Gesù Peychaud non guardò e non vide. Presa
da una specie di estasi, non si accorse più di niente di ciò che stava avvenendo
nella cappella, Al contrario, ella sentì Gesù che parlava e che ripeteva in qualche maniera le parole di Dio quando apparve a Mosè sul monte Oreb: «Io sono, dice, Colui che sono e non c'è che Io che sono. Gli onori e la stima degli
uomini non sono che fumo e io sono colui che sono. La loro amicizia non è che
polvere e io sono colui che sono. Le ricchezze e i piaceri non sono che fango e
io sono colui che sono e non c'è che io che sono».
Madre Trinità, si era ritirata nella sua camera senza dire niente a nessuno; ma
aggiunse, «essendo scesa un poco dopo, molte persone m’avevano circondata
per raccontarmi ciò che avevano visto, mi accorsi allora che non mi ero sbagliata».
Rientrando a casa, l’inserviente raccontò tutto alla mamma e a M. Renaud la
sera stessa. Gli estranei presenti nella cappella di Lorette raccontarono anche
loro ciò che avevano visto. Così il prodigio è subito divulgato.
L’Arcivescovo, il santo Mons. D’Avjau, che ne era stato informato comandò di
procedere subito ad una inchiesta. Questa sarà fatta con scrupolo dal vicario
generale Barrès e, il 15 gennaio 1823, l’Arcivescovo di Bordeaux riconobbe
l’autenticità del miracolo.
Al fine di perpetuarne la memoria, accordò alle Dames de Lorette il permesso
di celebrare I’anniversario di questo favore celeste con l’esposizione del SS.
Sacramento e la benedizione solenne la domenica di settuagesima.
L' ostensorio del prodigio è sempre conservato come cosa preziosa dalle Religiose della Sacra Famiglia.
A partire da quel momento, la giovane Congregazione prese uno slancio considerevole. Dopo I’apparizione, Madre Trinità benediceva il Signore «per la
grazia che aveva accordata alla nostra povera casa».
Secondo lei, l’orientamento spirituale e apostolico della sua famiglia religiosa
era stato concesso direttamente dal cielo.
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«Attesto tutte queste cose», diceva, «affinché le nostre suore conservino il ricordo d’un così grande favore, facciano a gara nella grande devozione verso il
nostro Salvatore ed abbiano un grande coraggio nel lavoro della, loro opera,
ben persuase che nostro Signore è sempre con noi sotto re Specie eucaristiche
anche se non possiamo sempre vederlo con gli occhi del corpo».
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù
amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse
più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là,
ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel
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sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario - che era stato sul suo capo - non
posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro
discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non
avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti. (Gv 20,1-9)
L’annuncio pasquale risuona in questi giorni nella Chiesa: Cristo è risorto, egli
vive al di là della morte, è il Signore dei vivi e dei morti. Nella “notte più chiara
del giorno” la parola onnipotente di Dio che ha creato i cieli e la terra e ha
formato l’uomo a sua immagine e somiglianza, chiama a una vita immortale
l’uomo nuovo, Gesù di Nazaret, figlio di Dio e figlio di Maria.
Pasqua è dunque annuncio del fatto della risurrezione, della vittoria sulla
morte, della vita che non sarà distrutta. Fu questa la realtà testimoniata dagli
apostoli; ma l’annuncio che Cristo è vivo deve risuonare continuamente. La
Chiesa, nata dalla Pasqua di Cristo, custodisce questo annuncio e lo trasmette
in vari modi ad ogni generazione; nei sacramenti lo rende attuale e contemporaneo ad ogni comunità riunita nel nome del Signore; con la propria vita di
comunione e di servizio si sforza di testimoniarlo davanti al mondo.
O Dio, che nel tuo Figlio Gesù hai vinto la morte
e ci hai resi capaci di vita nuova,
a noi che celebriamo la Pasqua della sua risurrezione
concedi di essere rinnovati dal suo Spirito
per rinascere all'amore, alla libertà
e al servizio coraggioso
che hanno segnato la sua vita
e che possono ancora offrire la speranza
di un futuro nuovo per l'uomo.
Per il nostro Signore Risorto...
Noi ti lodiamo e ti ringraziamo, Padre,
perché in Gesù Cristo, tuo figlio e nostro fratello,
hai rivelato l'inesauribile forza del tuo amore.
Dai morti lo hai risuscitato
e in Lui la resurrezione e la vita
sono diventate il destino di tutti gli uomini.
Buona Pasqua di Risurrezione a tutti.
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