"al di qua della guerra....ma con la morte nel cuore" racconto delle

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"al di qua della guerra....ma con la morte nel cuore" racconto delle
TEMA N°2 LA GUERRA CONTRO I CIVILI
ALBA AVDULLAHU
Liceo Classico “G. Govone” di Alba
Classe 5 ginnasio B
"AL DI QUA DELLA GUERRA....MA CON LA MORTE NEL CUORE"
RACCONTO DELLE SOFFERENZE INFERTE AI CIVILI IN KOSOVO
Mi chiamo Alba Avdullahu, ho sedici anni: dal cognome si può notare che non sono
italiana, ma Kosovara. Vorrei che quello che ho scritto sia un breve viaggio per tutti voi,
un viaggio nel quale conoscerete una piccola, ma così dolorosa parte della mia vita.
1998/1999
Guerra in Kosovo.
La guerra: per definizione è “un conflitto armato tra Stati per motivi politici, ideologici
o economici", per me invece è un qualcosa che va oltre; per me, la mia famiglia, per il
mio Popolo significa distruzione, dolore, fame, freddo, povertà, morte, ossa, fosse
comuni e ancora morte, tanta morte.
E’ difficile per me affrontare questo tema, riesce a raggiungere posti inesplorati del mio
cuore, mi divora lentamente, mi distrugge, ha un grosso potere su di me.
Solo chi ha vissuto realmente una guerra può comprenderla fino in fondo: per esempio
non sta a me mostrarvi quanto essa possa cambiare una persona, perché io ero appena
nata quando la Serbia ha attaccato il Kosovo, ero qui in Italia, al caldo e piena di amore,
mentre la “mia gente” moriva. Mentre una parte del mio cuore moriva, mio zio.
Per questo ho chiesto alla mia mamma di raccontare la storia dei suoi famigliari, che,
come tanti civili, sono stati oggetto di violenze nel suo paese; lei nel 1998 era già qui in
Italia, mentre in Kosovo, a Kralan, un paesino nella parte centro occidentale del paese,
tra Klina e Dakovika (Gjakova in kosovaro, VEDI CARTINA SOTTO) viveva tutta la sua
famiglia di origine: sua madre (mia nonna), sua sorella (mia zia), le sue due figlie, allora
molto piccole (le mie cugine) e suo fratello (mio zio). Suo padre (mio nonno) invece era
già morto nel 1993 in seguito alle percosse ricevute per motivi politici dopo essere stato
catturato dai Serbi.
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Ecco il racconto che, con un po' di fatica e tanta commozione, mi ha fatto la mia
mamma:
“E ra il 27 m arzo dell’anno 1999 il giorno in cui i m ilitari Serbi fecero irruzione a casa m ia.
A vevano dato l’ordine ai m iei fam iliari di uscire di casa im m ediatam ente e di andare in A lbania,
poiché essi ritenevano che quella fosse la nostra Patria. Io era già in Italia da tanto tem po, m a
vivevo lo stesso nel terrore per la m ia fam iglia e telefonavo ogni giorno per avere loro notizie.
Q uella m attina però nessuno m i rispose al telefono e già lì avevo capito che qualcosa di grave era
successo.
Provai allora a telefonare ai vicini di casa e finalm ente seppi che la m ia fam iglia era da loro poiché
i Serbi non li avevano ancora cacciati via. E ro preoccupata perché ero consapevole che prim a o poi
i soldati sarebbero arrivati e m agari sì, li avrebbero anche uccisi. A llora col cuore in gola richiam ai
ancora una volta, m a nessuno ripose. Sentii solo il m io cuore battere e le m ie gam be trem are. In
quel m om ento avrei voluto m orire, m a no, dovevo essere forte per m ia figlia e per la m ia fam iglia.
N on potevo abbandonarli.
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Per tre giorni non ho avuto loro notizie, nessuno può im m aginare quanto quei tre giorni siano stati
frustranti, m a non solo per m e, anche per i m iei parenti.
M ia m adre, ovviam ente solo dopo la guerra, m i ha poi raccontato che in quei tre giorni avevano
cam m inato 60 chilom etri sotto la pioggia battente e che una donna m entre cam m inava si sentì
m ale e m orì sotto i loro occhi; essi quindi si ferm arono per farle una sepoltura poiché la bestialità
della guerra non aveva preso ancora il sopravvento sui loro anim i. Ciò successe a notte fonda e
quando si svegliarono dal sonno breve e torm entato, il peggiore della loro vita, si ritrovarono
accerchiati da soldati serbi, alcuni dei quali si sospetta che fossero anche dei vicini di casa, m a non
identificati poiché indossavano un passam ontagna.
D opo tante urla e tanta paura, essi diedero l’ordine di liberare le donne e i bam bini piccoli, m entre
gli uom ini si dovettero tutti “am m ucchiare” in un angolo.
Sem pre m ia m am m a m i diceva che lei era con m ia sorella e le due nipotine di tre e diciotto m esi,
m io fratello le adorava e le aveva portate in braccio durante tutto il tragitto, fino a quando poi
non dovettero dividersi. M ia m am m a e m ia sorella si diressero verso l’A lbania attraverso le strade
nascoste delle m ontagne, percorsero oltre 80 chilom etri di viaggio a piedi.
V orrei raccontarvi qualcosa su di lui, su m io fratello.
Si chiam ava Pashtrik K rasniqi, avevo dieci anni quando nacque e ricordo com e se fosse oggi il
m om ento in cui m ia m am m a tornò dall’ospedale con il bim bo più bello che abbia m ai visto, pesava
5,5 chilogram m i. D al prim o giorno sentivo in m e il dovere di proteggerlo, lui il più piccolo della
casa, era tutto per noi. Il nostro rapporto era fondato sulla fiducia e sul rispetto, più che fratelli
eravam o am ici, ci dicevam o tutto, avevam o un filo che ci collegava. E ra un ragazzo solare, che
am ava uscire, fum are una sigaretta e bere una birra con i suoi am ici il sabato sera. Poiché i Serbi
avevano chiuso le scuole, egli si diplom ò in un liceo privato (gjim naz in K osovaro) con il m assim o
dei voti e con il sogno di diventare un avvocato. M a ciò non divenne m ai realtà.
L a situazione in K osovo peggiorava ogni giorno di più. I Serbi chiusero tutti gli ospedali m a la
scuole no, poiché le avevano già chiuse anni prim a. Cosi, di conseguenza com inciarono proteste e
ribellioni da parte dei K osovari. M io padre fu una delle persone più devote alla Patria che abbia
m ai conosciuto ed era un intellettuale. Prim a che m orisse nel 1993, egli organizzava
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m anifestazioni di protesta e scendeva in piazza per prim o con m io fratello, il quale aveva solo
tredici anni. Per questo era tem uto e controllato dai Serbi.
U n giorno, m entre una di queste era in atto, venne preso dai Serbi, poiché era una sorta di
partigiano. E ssi lo picchiarono così violentem ente che dopò due m esi m orì. N on è possibile
esprim ere con parole il dolore che provo ancora adesso nel ricordarlo, perché nessuno sa che dentro
di m e c’è davvero tanta sofferenza.
I Serbi orm ai tenevano d'occhio la nostra fam iglia e così, m io m arito, anche lui un giovane
kosovaro, decise di lasciare il K osovo. F uggì per venire in Italia prim a della guerra per poter
studiare, gli m ancavano solo più pochi esam i per la L aurea: così, poco dopo, anche io sono venuta
qui, un po’ per continuare l’università e un po’ per am ore.
V enni in Italia con il cuore in m ille pezzi perché avevo la sensazione di aver abbandonato m io
fratello. L ’ultim a volta che lo vidi era all’aeroporto di Prishtina, dato che m i aveva
accom pagnato, lo abbracciai con il tim ore, quasi la consapevolezza che non l’avrei m ai più rivisto.
E così fu.
Com e stavo raccontando prim a, dopo che gli uom ini furono raggruppati tutti insiem e, ricevettero
l’ordine di spogliarsi e di stare solo in m utande per due giorni e due notti. Pioveva e faceva freddo
anche se era A prile, solo il Signore sa quanto quelle povere persone hanno sofferto.
D opo altri due giorni seppero che solo i giovani erano obbligati a restare e per giovani intendo
persone dai 13 ai 40 anni, m entre tutti gli altri potevano considerarsi liberi. U ccisero in gruppi da
dieci i ragazzi provenienti dalle fam iglie più conosciute e ricche che in tutto nella m ia città erano
novantasei. M orirono tutti, tranne un ragazzo diciasettenne, fu m olto fortunato: i Serbi gli
spararono, m a non da ucciderlo, di conseguenza egli fece finta di essere m orto, dopo essere stato
ricoperto da altri cadaveri e aver aspettato tutto il giorno, scappò. N on è questione di egoism o...
m a spesso m i chiedo: perché m io fratello non riuscì a salvarsi com e questo giovane? Perché lui no?
L ’indom ani, i Serbi tornarono con i cam ion e, con l’aiuto degli zingari del posto caricarono tutti i
corpi. Tutto ciò accadde il 5 A prile. D a allora non abbiam o avuto più nessuna notizia di L ui, il
m io angelo custode. D opo la fine della guerra lo abbiam o cercato ovunque però inutilm ente, non
c’era nessuna sua traccia.
Io da qui cercavo di fare il possibile, ero pure riuscita a m etterm i in contatto con un Serbo del
K osovo tram ite la C roce R ossa il quale m i forniva inform azioni riguardanti m io fratello.
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Continuava a insinuare che il m io A ngelo fosse ancora vivo, m a essendo prigioniero di guerra,
aveva bisogno di soldi per liberarsi. Io allora, ancora inconsapevole della m orte di m io fratello,
com inciai di nuovo a sperare e a credere che D io avesse udito le m ie preghiere. G li m andai duem ila
M archi Tedeschi (equivalenti a due m ilioni di vecchie L ire). D opo essersi im boscato tutti i soldi,
non m i rispose m ai più. A vevo fatto ciò solo per disperazione, volevo ritrovarlo. Colui che m i
ingannò aveva vissuto nella m ia stessa Terra, m ia aveva solam ente presa in giro, aveva giocato
con m e.
G li anni passavano e anche la speranza piano piano com inciò ad abbandonarm i, le probabilità di
trovarlo erano davvero poche. Com inciai a desiderare di poter trovare alm eno le sue ossa, i suoi
resti, per fargli alm eno una sepoltura e per aver un posto in cui piangere per L ui, il m io A ngelo.
E ra venerdì 14 G ennaio del 2005 quando squillò im provvisam ente il telefono, corsi per rispondere
e dall’altra parte sentii la voce straziata di m ia m am m a, le sue parole risuonano ancora oggi nelle
m ie orecchie: “H ajde se e kem gjet Pashtrikun”, “V ieni che abbiam o trovato P ashtrik”.
I m edici legali lo avevano identificato e ce lo avevano fatto recapitare a casa in un sacchetto, 1
m etro e 95 in un sacchetto di plastica nero.
In quel m om ento il m io cervello e il m io cuore si bloccarono, non riuscivo ad articolare nem m eno
una parola. V edevo solo le lacrim e scendere dagli occhi di m io m arito. È m orto, davvero.
I bam bini erano ancora piccoli, li sentivo urlare e piangere, m a non riuscivo a concentrarm i. L a
m ia anim a era m orta. D opo pochi m inuti preparai la valigia per andare in K osovo per essere
presente al suo funerale. O ltre ai resti, era arriv ata una lettera in cui era scritto dove era stato
trovato, il luogo è B atajinica , in Serbia. Ciò significa che m io fratello era stato sepolto in una
delle tante fosse com uni presenti nello Stato che ci ha distrutto. M età delle persone uccise con lui
non sono state ancora identificate, poiché m età dei loro resti sono stati com pletam ente bruciati.
M i ritengo fortunata: alm eno noi abbiam o avuto la possibilità di riaverlo indietro, anche se non
più vivo.
Q uesta è solo una piccola parte di questa grande sofferenza che m i ha distrutta e m i auguro di non
dover m ai più sentire racconti com e il m io da nessun altro.
Infine vorrei dare un piccolo consiglio ai giovani: am ate il prossim o e soprattutto studiate, perché
è la ricchezza più grande che possiate m ai avere. V ivete in un paese pieno di possibilità per la
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vostra istruzione, non sprecatele. L o dice una che non ha potuto realizzare i propri sogni, poiché
era m aledettam ente vietato.”
Questa è la lettera di mia mamma, che ha scritto per far comprendere meglio a me,
ai miei compagni, alle mie insegnanti e a chi leggerà questa storia, che cosa la guerra
può comportare per i civili, per illustrare la situazione durante gli anni peggiori per il
Kosovo.
Una donna di etnia albanese
nutre il suo bambino mentre,
insieme ad altri 2.000 rifugiati,
fugge dal Kosovo
(30 marzo 1999).
FONTE: www.nato.int
Il contesto storico politico.
Parlando con i miei genitori e anche a scuola, durante le lezioni di geografia, ho cercato
di capire il contesto storico-politico e le ragioni di quello che è successo alla mia
famiglia: nel 1998 il Presidente della Serbia Slobodan Miloševic, uomo spietato senza
coscienza, ha dichiarato guerra al Kosovo. Ma forse coloro che si sono comportati,
possiamo dire ancora peggio di lui, sono gli Stati civili e democratici che hanno
completamente ignorato ciò che succedeva in ex-Jugoslavia negli anni ’90. La guerra in
Kosovo è l’ultima di una lunga serie: dalla Slovenia nel 1991, alla Croazia nel 1992 e così
anche per la Bosnia fino al 1995, per arrivare a quella in Kosovo, nel 1998/1999..tutte
ad opera della Serbia.
Perché la Serbia era così interessata al Kosovo?
È uno Stato davvero piccolo, per
scatenare una lotta così violenta. Molti pensano che tutto sia legato alla battaglia di
“Kosovo Polje” del 1389, avvenuta in “Fushë Kosovë”, una città vicino alla capitale,
Prishtina: i Serbi da quel momento pretendono vendetta per quella antica sconfitta
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subita ad opera dei Turchi. Però molti non sono a conoscenza che il Kosovo è ricco di
risorse minerarie, soprattutto in Trepqa, un piccolo luogo nella città di Mitrovica, forse
questo è uno dei motivi più validi per cui il Kosovo è così desiderati da loro.
Quest’ultima località, oltre che essere conosciuta per le sue ricchezze, lo è anche
poiché è ancora assediata dai Serbi, i quali non si arrendono, non riescono a immaginare
di poter perdere quel pezzo di terra che essi ritengono loro. Lo fanno anche per
orgoglio, soprattutto per orgoglio.
Ritornando al discorso di prima, forse l’unica organizzazione che ha agito per fermare la
guerra è stata la NATO, la quale, accortasi delle violenze subite dai miei concittadini, ha
preso la decisione di bombardare la Serbia. Almeno grazie a loro la guerra è terminata e
non si è protratta per anni come era accaduto in Bosnia, seppur in presenza dei Caschi
Blu dell'ONU durante l'assedio di Sarajevo e il massacro di Srebrenica. Recentemente, ho
letto un libro che tratta proprio di questo argomento: “Al di là del caos” di Elvira
Mujcic, giovane ragazza sopravvissuta allo sterminio di Srebrenica e dalla storia
familiare simile alla mia: ella mostra chiaramente quanto il mondo e prima ancora
l'Europa abbiano purtroppo voltato le spalle ai Balcani, forse per timore di un
coinvolgimento in un conflitto ancora più esteso, visti i legami tra la Serbia e una
potenza come la Russia.
E ben quattro anni dopo lo
sterminio di più di 8.300 civili a
Srebrenica,
la
internazionale
costernazione
di
fronte
alla
"vergogna d'Europa", gli scandali
che hanno colpito l'ONU e i
caschi Blu olandesi, ben quattro
anni dopo gli accordi di Dayton e
gli
appelli
delle
associazioni,
della politica e dei mass media al
"mai più Srebrenica", si sono
potute ripetere nuove stragi di
civili in Europa, a poche miglia
dall'Italia, e ancora una volta la polizia etnica e le fosse comuni....
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L'oggi... e il domani...
Ora noi cittadini del Kosovo non temiamo (quasi) più nulla, la situazione nel paese è
abbastanza tranquilla, a parte qualche tensione nelle zone ai confini con la Serbia:
siamo uno stato dal 2008, precisamente dalla domenica del 17 Febbraio del 2008.
Ricordo quella giornata di festa per la mia famiglia perfettamente, era tutto magnifico,
eravamo tutti così felici, con il cuore pieno di orgoglio per coloro che hanno sacrificato
la loro vita per la nostra indipendenza.
Mio zio non era un soldato, non faceva parte dell’UÇK (Ushtria Çlirimtare e Kosovës),
cioè l’Armata per la Liberazione del Kosovo i cui membri hanno lottato per la nostra
Patria, ma come scrive Primo Levi, le uniche persone che hanno vissuto fino alla fine
l'esperienza della guerra e della deportazione sono quelle che hanno perso la propria
vita per esse. Anche se mio zio, coma già detto, era "solo" un civile, rimarrà per me e
per chi gli ha voluto bene un eroe e porterò il suo ricordo per sempre nel mio cuore. Per
usare le parole di Primo Levi è lui che ha toccato il fondo, è uno degli scomparsi, dei
sommersi, dei testimoni integrali di quello che è successo dal 27 Marzo al 5 Aprile del
1999 in una cittadina del Kosovo. E allora tocca ai salvati, a chi è rimasto, a noi suoi
famigliari, il compito di raccontare, oltre alla propria esperienza, indirettamente anche
quella di chi non c'è più, perché il sacrificio dei sommersi non venga dimenticato.
DON’T FORGET. Non bisogna dimenticare ciò che è accaduto. A quanto pare questa
volta la Storia non è riuscita ad aiutare l’uomo a non commettere gli stessi errori del
Passato. È inevitabile pensare come nel corso del '900 solo in Europa si sia passati da
Auschwitz a Srebrenica a Kralan, la piccola cittadina in
cui è stato ucciso una parte del mio cuore...ma non
dobbiamo far prevalere il male e l'odio, piuttosto
trasformare il ricordo in un messaggio positivo.
Questo è il mio racconto, non dimenticatelo, spero che
ciò vi rimanga impresso nel cuore e davvero, sappiate
apprezzare la fortuna che avete, di essere insieme alla
vostra famiglia, vivere nella vostra patria, parlare la
vostra lingua e studiare la vostra storia. Davvero, non
sottovalutate la difficoltà di uno straniero, come me per esempio.
Solo così noi giovani possiamo avere la speranza di costruire già nel presente un'Europa
davvero più aperta, più giusta, più unita, nella pace e nel rispetto reciproco.
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NOTA METODOLOGICA
Il presente lavoro è stato svolto dalla sottoscritta, Alba Avdullahu,
studentessa della classe 5° ginnasio B del Liceo Cl assico Internazionale “G.
Govone” di Alba, a partire dalla testimonianza diretta di mia madre sulla
tragedia vissuta dalla sua famiglia in Kosovo tra il Marzo e l'Aprile del 1999.
Ho poi cercato di ricostruire il contesto storico della guerra dei Balcani e in
particolare del Kosovo, e di capire il perché di tanta violenza nei confronti di
civili innocenti, attraverso le letture, i film e il sito indicati di seguito. Infine ho
riflettuto, insieme con la mia mamma, sull'importanza della testimonianza e
della memoria di ciò che è stato, anche alla luce dei testi di Primo Levi.
BIBLIOGRAFIA
Primo Levi, Se questo è un uomo, Ed. Einaudi, 1947.
Primo Levi, I sommersi e i salvati, Ed. Einaudi, 1986.
Elvira Mujcic, Al di là del Caos. Cosa rimane dopo Srebrenica, Infinito
Edizioni, 2007.
L. Leone, Srebrenica. I giorni della vergogna, Infinito Edizioni, 2005.
Matteo Tacconi, Kosovo. La storia, la guerra, il futuro, Ed. Catelvecchi,
2008.
FILMOGRAFIA
Il segreto di Esma - Grbavica, di Jasmila Žbanić, Bosnia Erzegovina 2006.
Al di “qua” del caos, di P. Papirio Cerutti- G. Ferrara- A. Zamboni, Italia 2009.
Venuto al mondo, di Sergio Castellitto, Italia 2012.
SITOGRAFIA
http://www.osservatoriobalcani.org: sito dell’Osservatorio sui Balcani.
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