CHARITAS CHRISTI URGET NOS
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CHARITAS CHRISTI URGET NOS
1 LUIGI ANTONIO CANTAFORA Vescovo di Lamezia Terme CHARITAS CHRISTI URGET NOS I bisogni, le motivazioni, le espressioni dell’amore di Cristo nella nostra Chiesa. Lettera pastorale 2 In copertina: Madrid, Santa Maria la Real de la Almudena, particolare dell’abside. 3 Ai presbiteri e ai diaconi Ai religiosi e alle religiose Ai fedeli laici INTRODUZIONE «Fu rivolta a Giona figlio di Amittai questa parola del Signore» (Gn 1,1). Il libro di Giona inizia mettendo in evidenza la Parola di Dio. Tento perciò di cogliere alcune suggestioni alla luce di questo testo, breve ma significativo, col desiderio che la Parola possa aiutarci a leggere il presente della nostra Diocesi lametina. Giona è per vocazione profeta, chiamato cioè a custodire la Parola e ad esserne servo, fino a coinvolgere integralmente la sua persona, affinché Essa sia annunciata. Il testo biblico ce lo mostra inizialmente intento a fuggire a Tarsis, «lontano dal Signore» (Gn 1,3): egli agisce contrariamente al comando di Dio. Tarsis è l’estremo occidentale, rispetto a Ninive, estremo orientale. Attraverso la sua vicenda, Giona sarà aiutato dal Signore a prendere coscienza del male delle sue azioni. Anche noi, membri della Chiesa, siamo invitati a prendere sempre maggiore coscienza del nostro compito di portare Cristo al mondo, nonché dei nostri errori e peccati, per potere meglio servire il Signore. Questo mio scritto, di certo, non ha la pretesa di essere esaustivo; esso vuole tentare di discernere l’oggi della nostra Chiesa particolare, sullo sfondo di alcuni testi biblici e alla luce dell’insegnamento e della vita della Chiesa e di quanto ho potuto finora personalmente constatare. Faccio inoltre tesoro 4 degli incontri del clero che, nei mesi scorsi, si è riunito per foranie, per dare al vescovo possibili stimoli ed indicazioni pastorali. Dall’esperienza sul campo di parroci e presbiteri è venuto fuori un quadro concreto della nostra Chiesa. Quanto scrivo abbraccia una realtà quanto mai dinamica ed è quindi, incompleto e perfettibile. Il vissuto ecclesiale e sociale, qui solo parzialmente affrontato, non per questo è meno importante o poco rilevante nel mio animo. Prego il Signore che mi conceda di parlare in Suo nome, di offrire una parola ben misurata al popolo, nella verità, senza esagerazioni né ambiguità. Mi soffermerò su alcuni aspetti più urgenti della realtà ecclesiale dell’intera Diocesi lametina, centro e periferia, che sono ugualmente nel mio cuore e nella mia attenzione di pastore. Resta ben inteso che non desidero livellare né massificare: sono infatti cosciente che esistono anche tra parrocchie limitrofe differenze notevoli, che vanno colte e promosse nella comunione. A volte le tinte del mio dire potranno apparirvi forti, ma lo scopo non è quello di offuscare la speranza, bensì di incoraggiare quegli sforzi protesi nella giusta direzione e di correggere alcuni orientamenti, che possono rendere inefficace la nostra azione pastorale. Il fine è di operare meglio per il bene delle persone e la diffusione dell’Evangelo. Sono in mezzo a voi da alcuni mesi, nel corso dei quali ho avuto modo di visitare quasi tutte le parrocchie e di dedicare molto del mio tempo all’ascolto di sacerdoti, religiosi e religiose, laici singoli ed aggregati. Grazie ai numerosi incontri, alcuni dei quali intensi e profondi, sto così imparando conoscervi, apprezzarvi, amarvi. Non è mancata la fatica e posso aver tralasciato momentaneamente dell’altro, ma ho avvertito la necessità di aprire il mio cuore di pastore a questa realtà dio- 5 cesana prima di decidere, con l’aiuto dello Spirito Santo, il cammino da proporvi. Nel cuore custodisco tanti desideri e la speranza che in Cristo tutto si compia. Da più parti si coglie un anelito al cambiamento ed un desiderio di svolta, unitamente all’esigenza che il vescovo fornisca linee ed indicazioni su come operare. So bene che è ancora presto per poter fornire un quadro completo delle priorità, ritengo però urgente indicarne alcune cui ho già fatto riferimento nell’omelia del mio ingresso in Diocesi. Esse sono: cura della vita spirituale, parrocchia, famiglia e giovani. I PARTE DISCERNIMENTO SULL’OGGI DELLA NOSTRA DIOCESI 1. «ALZATI, VA’ A NINIVE» (GN 1,1). PER I LONTANI ED I PECCATORI. LA PASSIONE La Parola del Signore chiama Giona ad andare a predicare a Ninive, capitale dell’impero assiro, che per Israele era oppressore, nell’immaginario collettivo forse l’oppressore per eccellenza. Ninive non è semplicemente una città pagana, ma la città sfruttatrice di Israele. E l’intero libro ci mostra la chiamata 6 alla conversione sia di Ninive che di Israele. Nel cuore di Dio c’è posto per entrambe. Dio ama entrambe: questo, Giona, Israele e anche noi, forse, stentiamo a crederlo e ad accettarlo. Possiamo leggere il libro di Giona alla luce dell’episodio dell’incontro di Gesù con Zaccheo, esattore di imposte per conto dei dominatori, e delle parole di Cristo, «venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10). E’ auspicabile che, come Chiesa, ci mettiamo di fronte a questa icona di Cristo, che volontariamente si avvicina all’uomo peccatore. Tutta la Bibbia ci narra di Dio che cerca l’uomo ed opera perché nessuno si perda. Si ha l’impressione che, come Chiesa, rischiamo di compiacerci di quello che siamo, delle novantanove pecore nell’ovile (ma saranno proprio novantanove, dal momento che ormai siamo una minoranza?), dimenticandoci di quella smarrita (cf. Mt 18,12ss). Apprezzo con animo grato quanto di buono, con fatica e zelo, è stato finora costruito in Diocesi. C’è ad esempio una fascia di laicato ben formato, frutto del lavoro di chi ci ha preceduto e di sacerdoti pieni di zelo per le casa del Signore. Questo è ancora una risorsa, ma non possiamo vivere di rendita. Insomma, «ci viene chiesto di disporci all’evangelizzazione, di non restare inerti nel guscio di una comunità ripiegata su se stessa e di alzare lo sguardo verso il largo, sul mare vasto del mondo, di gettare le reti affinché ogni uomo incontri la persona di Gesù, che tutto rinnova»1. La gioia per il ritorno dei lontani riempie il cuore e dà slancio per accogliere il comando del Signore Risorto: «Andate 1 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Nota pastorale Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, Roma 30 maggio 2004, n° 1. 7 e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19). E’ triste non sentire l’ansia apostolica, essere già sazi perché un certo numero di gente viene in chiesa la domenica. Ma c’è da domandarsi: in che misura quelli che sono dentro sono formati e sono apostoli? Quanti sono quelli al di fuori? Ed ancora: qual è la qualità della nostra evangelizzazione? Per molti essere cristiani significa andare a Messa la domenica. Per altri non c’è neppure bisogno della Messa; addirittura basta “sentire Dio” e pregarlo la sera prima di dormire. 2. «SONO EBREO E VENERO IL SIGNORE DIO DEL CIELO, IL QUALE HA FATTO IL MARE E LA TERRA» (GN 1,9). IL DIVORZIO TRA FEDE E VITA. Il racconto di Giona, dopo la chiamata del Signore per andare a Ninive, narra che il profeta, disubbidendo, si adopera per imbarcarsi per Tarsis. Mentre è sulla nave, Dio scatena una tempesta molto violenta, tanto che la nave rischia di affondare. I marinai pregano e cercano di aver salva la vita, mentre in tutto questo trambusto Giona, sceso in fondo alla nave, dorme profondamente. Saranno il capitano della nave e gli altri marinai, pagani, ad aiutarlo a prendere coscienza e a confessare il suo fallimento ed il tradimento della sua vocazione profetica. Mi soffermo sulle parole di Giona: «Sono Ebreo e venero il Signore Dio del cielo, il quale ha fatto il mare e la terra» (Gn 1,9). Giona sta tentando di fuggire lontano dal Signore, eppure sulle sue labbra, si trova un’esatta professione di fede. 8 Nell’attuale contesto ecclesiale, la fede sembra essere talvolta rimasta a livello iniziale e fa fatica a fondersi con la vita, per orientare la mentalità della persona. C’è, infatti, come una frattura, ciò che si crede e ciò che si vive. Già il Concilio Vaticano II annotava che «il distacco, che si constata in molti, tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va annoverato tra i più gravi errori del nostro tempo»2. Il dichiararsi cristiani e cattolici non incide nelle scelte: Dio è secondario e, di fatto, la vita non esprime il credo. Così non è raro, purtroppo, sentire frasi del tipo: “Sono cattolico, però non sono praticante”; “sono credente e cattolico, ma non condivido ciò che dice il Papa dell’aborto e dei rapporti prematrimoniali: la Chiesa dovrebbe aggiornarsi, siamo nel 2000!”. Il Vangelo è qualcosa di non vivibile: “Dopotutto – si dice - non sono un santo”. L’amore per il nemico rimane lontano dall’ottica del cristiano, anche praticante. Cristo è più una vaga idea, che il Dio vivente, presente ed operante nella storia. Anche in coloro che sono più vicini alla vita delle nostre parrocchie e dei nostri gruppi, quale formazione si riscontra? L’impressione è che ci sia la tendenza ad informare sulle verità di fede e di morale; magari si fanno incontri biblici, culturali o di altro tipo, ma il Vangelo non attraversa la vita delle persone. Informazione non significa formazione. Altro è conoscere una nozione di catechismo, ad esempio che Dio è Uno e Trino e che il Signore Gesù Cristo si è incarnato, è morto ed è risuscitato, altro è poter professare la fede in Cristo che opera un cambiamento di direzione nella propria vita, che è il proprio tesoro (cf. Mt 13,44), il proprio bene (cf. Sal 16,2), la propria gioia. 2 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, Roma 7 dicembre 1965, n° 43. 9 San Paolo non si fermerebbe a trasmettere, come una mera informazione, il nucleo della fede, che cioè «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici» (1Cor 15,3-5). Il Cristo che annuncia è quello di cui ha fatto esperienza proprio lui che è «l’infimo degli apostoli», indegno di questo nome e persecutore «della Chiesa di Dio» (1Cor 15,9). Egli può affermare: «Per grazia di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me» (1Cor 15,10). Per san Paolo Cristo è il Vivente, Colui che lo ha fatto passare dalla condizione di persecutore alla condizione di apostolo, pronto a dare la vita per il bene della Chiesa. 3. «GIONA PERÒ SI MISE IN CAMMINO PER FUGGIRE A TARSIS, LONTANO DAL SIGNORE» (GN 1,3). IL CLIMA CULTURALE NEL QUALE SIAMO IMMERSI La nostra Diocesi non può dirsi un’isola felice, infatti il clima culturale della nostra epoca, con le sue luci e le sue ombre, si respira anche qui. Possono variare proporzioni ed accenti, ma non ci si può accomodare su ciò che c’è di buono, illudendosi che tutto vada bene. Vorrei esaminare, di seguito, alcuni aspetti della mentalità diffusa tra i nostri giovani e i nostri adulti. E’ un po’ l’aria che respiriamo, anche attraverso i mezzi di comunicazione di massa, di cui siamo impregnati, a volte forse inconsapevolmente. Ed è un’aria che non di rado ci spinge «lontano dal Signore» (Gn 1,3). 10 E’ diffusa anche da noi una perdita «del senso di Dio» e quindi anche «del senso del peccato»3. Mentire, scrivere lettere anonime, non svolgere onestamente il proprio lavoro, imbottirsi di pornografia, avere “liberamente” rapporti sessuali, convivere, frodare lo Stato... tutto è normale. Ci si dichiara cioè cattolici affermando la normalità del peccato, che non è più ritenuto tale, anzi una conquista dell’uomo libero ed emancipato dai tabù. Si può giungere così a convivere e a stupirsi se la Chiesa considera un impedimento al fare il padrino di battesimo la convivenza o il matrimonio solo civile! Si è più volte detto che viviamo in un mondo che cambia, veloce, dai ritmi vorticosi. La frenesia della vita fa precipitare nell’inganno che l’avere (ed il consumare, sprecando) conti più dell’essere e dell’instaurare rapporti autentici, eliminando dal nostro tempo la cura della vita spirituale e della preghiera. L’uomo vive in un mondo accelerato e, per certi aspetti, massificante, il quale mortifica l’interiorità. E’ normale, quindi, che non ci possa essere tempo per riflettere sul senso della vita, sul perché della morte e del dolore. La morte è come rimossa: fa spettacolo, ma è presentata sempre come uno scenario lontano, che riguarda gli altri e non la propria persona4. «Continua a pesare infatti sulla cultura diffusa quella che è stata chiamata la “fine della metafisica”, che spesso significa in concreto la non esistenza di alcuna realtà diversa da quella della “natura”, ossia dell’universo fisico, e quindi non lascia 3 GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica post-sinodale Reconciliatio et poenitentia, Roma 2 dicembre 1984, n° 18. Corsivo nostro. 4 «La morte stessa, cioè, che pure rimane il dato più certo del futuro di ciascuno – e che viene tante volte esibita e banalizzata negli spettacoli e nella comunicazione sociale – è stata però ampiamente emarginata dalla nostra esperienza concreta» (C. RUINI, Prolusione al Consiglio Permanente della CEI, 20 settembre 2004, n° 3: in Avvenire, 21 settembre 2004, p. 9, col. 1). 11 spazio né per Dio né per un’effettiva dimensione spirituale dell’uomo»5. Si ha così l’illusione di vivere in eterno su questa terra, incapaci però di operare scelte durature, che impegnino per tutta la vita, per sempre: c’è «una sorta di paura nell'affrontare il futuro. L'immagine del domani,pertanto, risulta spesso sbiadita e incerta. Del futuro si ha più paura che desiderio. Ne sono segni preoccupanti, tra gli altri, il vuoto interiore che attanaglia molte persone, e la perdita del significato della vita. Tra le espressioni ed i frutti di questa angoscia esistenziale vanno annoverati, in particolare, la drammatica diminuzione della natalità, il calo delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, la fatica, se non il rifiuto, di operare scelte definitive di vita anche nel matrimonio»6. Anche a Lamezia va diffondendosi «una cultura antisolidaristica, che si configura in molti casi come “cultura di morte”»7. La famiglia e la vita sono tra le realtà più attaccate. Alla ribalta delle cronache, tanti “maestri” fanno scuola, negando la dignità dell’embrione umano e del feto e proclamando la bontà morale di aborto, fecondazione artificiale, eutanasia, coppie di fatto... La perdita del senso di Dio si registra anche tra i giovani, per cui, tra gli studenti di scuola superiore diventa sempre meno raro incontrare chi afferma esplicitamente di essere ateo, riscontrandosi, talvolta, una certa indifferenza verso il tema di 5 Ivi. Corsivo nostro. GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Europa, Roma 28 giugno 2003, n°8. 7 GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Evangelium vitae, Roma 25 marzo 1995, n° 12. 6 12 Dio in genere. Questo ci spinge ad interrogarci sulla trasmissione della fede nella famiglia e nelle parrocchie. Constatare i mali del nostro tempo e della nostra Diocesi può essere un’operazione dolorosa, perché, come si suol dire, si mette il dito nella piaga. Con quanto detto finora non si intende condannare l’uomo peccatore: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui» (Gv 3,16-17). La denuncia senza compromessi del peccato non equivale al giudizio sull’uomo peccatore, del quale solo Dio è giudice misericordioso: a Lui affido anche la mia povera persona. Ma è mio dovere di pastore convincere del peccato: «convincere di peccato non equivale a condannare: il Figlio dell’uomo non è venuto nel mondo per condannarlo ma per salvarlo. Convincere del peccato vuol dire creare le condizioni per la salvezza. La prima condizione della salvezza è la conoscenza della propria peccaminosità, anche di quella ereditaria; è poi la confessione di essa davanti a Dio, il quale non attende altro che ricevere questa confessione per salvare l’uomo. Salvare, cioè abbracciare e sollevare con amore redentivo, con amore che è sempre più grande di ogni peccato. La parabola del figliol prodigo rimane a questo proposito un paradigma insuperabile»8. Nei paragrafi seguenti affronterò altri aspetti della nostra realtà ecclesiale: si va dalle forme religiose deviate alla realtà sociale fino ad alcuni nodi nella prassi pastorale. Il fine, ribadisco, non è quello di scoraggiare, né di mortificare tanti sforzi sinceri e fruttuosi, operati spesso nel nascondimento ed 8 GIOVANNI PAOLO II (con V. MESSORI), Varcare la soglia della speranza, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1994, 63. 13 in mezzo a molteplici difficoltà. A tantissimi presbiteri, religiosi, religiose, laici, zelanti operai della vigna del Signore, va tutta la mia stima e il mio apprezzamento. Sappiamo che il Signore Risorto è con noi tutti i giorni (cf. Mt 28,20) e che a Lui «è stato dato ogni potere in cielo e in terra» (Mt 28,18). Egli accompagna la crescita della sua Chiesa, dà tutti gli aiuti necessari per superare gli ostacoli che il mondo pone, ci dona lo Spirito Santo affinché possiamo essere suoi testimoni (cf. At 1,8) ed affinché, attraverso l’evangelizzazione e la missione della Chiesa, possano crescere in Diocesi credenti sempre più numerosi e qualitativamente formati, che con la loro vita siano sale, luce e lievito per l’intera società. 4. IDOLATRIE ANTICHE E NUOVE: MAGHI E SETTE, VISIONARI E FEBBRE ESORCISTICA «In Cristo abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi avete in Lui parte alla sua pienezza» (Col 2,910). Quando Cristo non attraversa la vita dell’uomo o la attraversa in modo marginale, allora è facile che si ricorra ad alcuni surrogati, dai quali ci si aspetta che il cuore dell’uomo possa essere colmato. Così, varie sono le forme di idolatria che, sempre, tentano la vita del credente. L’argine si pone proclamando incessantemente la Buona Notizia di Cristo, Salvatore dell’uomo, unica scogliera sulla quale si infrangono angosce, paure, dubbi ed incertezze dell’uomo di oggi. Vedo con preoccupazione la proliferazione di maghi e santoni sul territorio. Diverse sono anche le sette attive ed operanti e non è raro sentir parlare di pretese apparizioni. La dif- 14 fusa esigenza di spiritualità approda, così, ad esperienze pseudo-religiose, poco rispettose della verità di Dio e dell’uomo. Il sincretismo, poi, va prendendo piede: non si avverte la contraddizione esistente tra l’andare indifferentemente e dal mago e dal prete! Tanti uomini e donne vengono indotti in errore, poiché facilmente succede che l’inganno sia ben mascherato da una patina di pretesa cattolicità o anche scientificità. Capita che, alle presunte magie, predizioni o guarigioni, si associno immagini sacre e pratiche di preghiera cristiana, quali il Rosario o altre, o che il contesto abbia una parvenza di “luogo sacro”, di cappelle, per esempio, mai autorizzate dal vescovo. Invito i fedeli a consigliarsi prudentemente con i propri parroci, per non correre il rischio di andar dietro a millantatori9. 9 Anche nel caso di rivelazioni private, riconosciute come autentiche dalla Chiesa, quale ad esempio quella di Fatima, si tenga sempre presente quanto segue: «Lungo i secoli ci sono state delle rivelazioni “private”, alcune delle quali sono state riconosciute dall’autorità della Chiesa. Esse non appartengono tuttavia al deposito della fede. Il loro ruolo non è quello di “migliorare” o di “completare la Rivelazione definitiva di Cristo, ma di aiutare a viverla più pienamente in una determinata epoca storica. Guidato dal Magistero della Chiesa, il senso dei fedeli sa discernere ed accogliere ciò che in queste rivelazioni costituisce un appello autentico di Cristo o dei suoi santi alla Chiesa. La fede cristiana non può accettare rivelazioni che pretendano di superare o correggere la Rivelazione di cui Cristo è il compimento» (Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1992, n° 67). Occorre relativizzare l’importanza delle rivelazioni private rispetto alla Parola di Dio contenuta nella Scrittura e trasmessa dalla Chiesa. Il messaggio di una rivelazione privata «può essere un valido aiuto per comprendere e vivere meglio il Vangelo nell’ora attuale; perciò non lo si deve trascurare. E’ un aiuto, che è offerto, ma del quale non è obbligatorio fare uso» (CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Il messaggio di Fatima, Commento teologico del card. J. Ratzinger prefetto della Congregazione, Città del Vaticano 26 giugno 2000, n° 2). 15 Si avverte anche una febbre esorcistica: si vede il demonio dovunque, fuorché nel suo raggio di azione. E’ bene richiamare alcune idee guida: «Ordinariamente l’azione degli spiriti maligni nei confronti degli uomini consiste nella tentazione al peccato. Ciò che loro interessa è soprattutto il nostro traviamento spirituale. Oltre alla tentazione, ad essi vengono attribuiti fenomeni prodigiosi di carattere negativo [...]. Nell’interpretare questi fenomeni, occorre essere estremamente cauti. E’ diffusa una credulità morbosa nei prodigi demoniaci, nei malefici, nella mala sorte. Si vede il diavolo dappertutto, meno dove sicuramente sta, cioè nel peccato. Per la gran parte si tratta di immaginazioni e dicerie senza fondamento o di malattie psichiche [...]. Per un prudente discernimento, vanno consultati psicologi e psichiatri competenti e rispettosi della fede»10. Occorre infondere nelle persone la fiducia che Cristo è il più forte (cf. Mc 3,27), è vincitore del demonio, del peccato e della morte. Conquisteremo allora la certezza che di fronte alle tentazioni non siamo soli: «Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla» (1Cor 10,13). Per i casi straordinari in cui sembra opportuno ricorrere all’esorcismo, si rende necessario puntualizzare che nessuno (mago, santone o preteso visionario) è autorizzato a fare esorcismi, se non il vescovo o il sacerdote da lui delegato11. In ogni caso, si proceda con prudenza, anche per non aggravare eventuali disturbi psichici con la convinzione di essere posseduti dal demonio. 10 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, La verità vi farà liberi. Catechismo degli adulti, Libreria Editrice Vaticana 1995, n° 385. 11 Cf. Codice di Diritto Canonico¸Can 1172. 16 5. UNO SGUARDO SULLA REALTÀ SOCIALE Siamo un popolo laborioso, che conosce il sacrificio e sperimenta l’emigrazione al Nord o all’estero. Abbiamo diversi valori e potenzialità, ma numerosi sono i problemi che attanagliano le nostre contrade ed i nostri Comuni. Le piaghe sociali sono diverse, dalla disoccupazione alla criminalità, dai problemi connessi all’immigrazione a deficit sanitari; da situazioni di povertà materiale all’ emarginazione e ai disagi di diverso genere, a volte legati all’uso di droghe e all’abuso di alcol. L’elenco potrebbe continuare. Rischiamo poi forse di assuefarci, “facendo il callo” ai problemi. E’ vero anche che tanti sono coloro che spendono senza riserve se stessi, svolgendo con dedizione il proprio lavoro e gestendo gli uffici di cui sono investiti con responsabilità ed al servizio del bene comune. A tutti costoro, impiegati, dirigenti, amministratori, politici, va la mia gratitudine e l’incoraggiamento a perseverare sulla via dell’attenzione al bene comune, agli ultimi soprattutto. Ciò nonostante, dobbiamo, purtroppo, prendere atto, come già più volte hanno fatto i vescovi italiani, delle forti influenze da parte della criminalità o di poteri occulti e delle fasce di corruzione in alcuni settori pubblici. Si perverte il diritto in favore, quando ciò che spetta legittimamente diventa concessione di chi detiene il potere, che «volge a illecito profitto la funzione di autorità di cui è investito, impone tangenti a chi chiede anche ciò che gli è dovuto, realizza collusioni con 17 gruppi di potere occulti e asserve la pubblica amministrazione a interessi di parte»12. Il male non è frutto del fato: ci sono precise cause storiche e responsabilità personali. Rassegnazione e fatalità sono cattive maestre. «Manca quella mobilitazione delle coscienze che, insieme ad un’efficace azione istituzionale, può frenare e ridurre il fenomeno criminoso»13. Come Chiesa forse siamo stati poco incisivi in campo sociale e politico, nel senso che non siamo stati sempre capaci di creare personalità cristiane mature, adulte nella fede, capaci di rinnovare la polis dal di dentro. In quanto Chiesa, infatti, abbiamo il dovere di innalzare quasi un argine, la buona notizia di Gesù Cristo, incarnata in uomini e donne concreti. Nostro compito è formare sempre di più le coscienze, evangelizzando il cittadino per un rinnovamento che scaturisca dal di dentro. E’ dal cuore dell’uomo, cioè dal centro delle sue decisioni, che sgorga il male (cf. Mc 7,21ss). Il Santo Padre afferma che il male morale «è una ferita che proviene dall'esprimersi disordinato della libertà umana»14.Cristo è venuto per guarire il cuore dell’uomo dal peccato che, come una malattia, lo ripiega su se stesso, facendolo vivere egoisticamente, alla ricerca di potere e di facili guadagni. La società è rinnovata solamente da persone nuove! Da un’autentica opera di formazione nascono uomini e donne nuovi, capaci di portare nella città una logica nuova. 12 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA - COMMISSIONE ECCLESIALE GIUSTIZIA E PACE, Nota pastorale Educare alla legalità, Roma 4 ottobre 1991, n° 6. 13 Ivi. 14 GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Fides et ratio, Roma 14 settembre 1998, n° 80. 18 Così l’ascolto della Parola e la vita sacramentale fioriscono nella testimonianza. Attraverso l’Eucaristia, ad esempio, Dio dona alla città «uomini e donne eucaristici che, ammaestrati dall’Eucaristia, plasmati nella loro vita dall’Eucaristia, vivono la logica dell’Eucaristia. E questa logica è quella di dare la vita per gli altri, quella del servizio agli altri, della trasfigurazione di questa terra in un cielo nuovo e una terra nuova»15. Dai laici cristiani impegnati nel sociale ed in politica ci si aspetta la capacità di superare la logica dell’utile personale a favore del bene di tutti, degli ultimi soprattutto. Il nostro tempo è segnato da una libertà proclamata, poi calpestata ogni volta che non viene coniugata con la verità. Uomini e donne che lasciano albergare nel loro cuore l’Evangelo, sapranno difendere il bene comune, la dignità e centralità della persona umana, dal concepimento alla morte naturale, immettendo, in un tessuto culturale segnato da relativismo e da un malinteso senso di pluralismo e laicità, i valori evangelici e l’insegnamento morale e sociale della Chiesa, profondamente rispettoso della persona umana e della sua dignità16. I politici – e non solo loro – abbiano una frequentazione personale della Scrittura «che metta a contatto con la forza che la Parola ha di mettere in questione ogni cosa rigenerandola alla luce della croce e della resurrezione»17. Occorre allora creare spazi di laici, che per indole e vocazione, si nutrano e 15 E. BIANCHI, L’eucaristia e la città, Edizioni Qiqajon, Magnano (BI) 2002, 16. 16 Ricco è il magistero sociale della Chiesa. Si veda ad esempio CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Nota dottrinale L’impegno dei cattolici nella vita politica, Roma 24 novembre 2002. 17 C. M. MARTINI, in E. BIANCHI - C. M. MARTINI, Parola e politica. Interventi agli incontri “Città dell’uomo” Fondazione Lazzati, Edizioni Qiqajon, Magnano BI 1997, 74. 19 diffondano la dottrina sociale della Chiesa, strumento indispensabile per un vero impegno nella vita sociale e politica. Un certo “fondamentalismo laico” maschera la verità con la menzogna, inducendo il popolo, attraverso i mass-media, al disorientamento. Le nuove generazioni, con i mezzi di comunicazione di massa «godono di opportunità pressoché illimitate di informazione, di educazione, di arricchimento culturale e perfino di crescita spirituale, opportunità molto superiori a quelle che la maggior parte delle famiglie aveva in passato»18. Dall’altro lato, però «questi stessi mezzi di comunicazione hanno la capacità di arrecare grande danno alle famiglie, presentando loro una visione inadeguata o, perfino, distorta della vita, della famiglia, della religione e della moralità»19. 6. «QUEGLI UOMINI INFATTI ERANO VENUTI A SAPERE CHE EGLI FUGGIVA IL SIGNORE, PERCHÉ LO AVEVA LORO RACCONTATO» (GN 1,10). PASSI FALSI DELLA NOSTRA AZIONE PASTORALE. Giona non perde la sua dignità per il fatto che racconta la sua fuga. Egli prende di peso la sua vita e si racconta nella verità. Noi diremmo: riconosce il suo peccato, ma è fiducioso nella misericordia del Signore, tanto da affermare: «Prendetemi e gettatemi in mare» (Gn 1, 12). Durante il Giubileo del 2000, il Santo Padre ha voluto che la Chiesa implorasse perdono per i peccati passati e pre18 GIOVANNI PAOLO II, Messaggio I media in famiglia: un rischio e una ricchezza per la 38ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, Città del Vaticano 24 gennaio 2004, n°2. 19 Ivi. 20 senti dei suoi membri ed ha affermato: «Ma anche noi, figli della Chiesa, abbiamo peccato e alla Sposa di Cristo è stato impedito di risplendere in tutta la bellezza del suo volto. Il nostro peccato ha ostacolato l'azione dello Spirito nel cuore di tante persone. La nostra poca fede ha fatto cadere nell'indifferenza e allontanato molti da un autentico incontro con Cristo»20. Mi sono interrogato più che sulla cattiva testimonianza di vita, anche su certe presentazioni dell’Evangelo, mortificanti la verità su Dio e sull’uomo. Il problema della comunicazione è determinante: si usa un linguaggio libresco, lontano dalla vita concreta. Anche la liturgia è ridotta talvolta ad esecuzione materiale delle rubriche (quando queste vengono osservate!), ad un insieme di atti vuoti, meccanici, vissuti senza slancio, senza sforzo di attualizzazione e senza la creatività consentita. Questo succede quando il sacramento è slegato da un percorso di catechesi, quando la Parola non si invera nel Segno. Ci può essere fraintendimento sul senso della missione della Chiesa, quando le comunità (gruppi parrocchiali, associazioni, ecc.) diventano gruppi amicali, che semplicemente si fanno compagnia o che, magari, fanno alcune cose buone insieme (catechismo ai bambini, iniziative di animazione per la parrocchia, ecc.), ma senza un’autentica opera di formazione. Invece, «una parrocchia dal volto missionario deve assumere la scelta coraggiosa di servire la fede delle persone in tutti i momenti e i luoghi in cui si esprime»21. 20 GIOVANNI PAOLO II, Bolla di indizione del Grande Giubileo dell’anno 2000 Incarnationis mysterium, Roma 29 novembre 1998, n° 11. 21 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, n° 9. 21 Altre volte si mortifica la Buona Notizia, nei suoi aspetti liberanti l’uomo dalla schiavitù del peccato e si riduce il Vangelo ad un insieme di regole da osservare. La catechesi è moralistica, verte sul “che cosa dobbiamo fare”, senza la centralità dell’annuncio che Cristo è morto ed è risuscitato, che ama gratuitamente l’uomo mentre è peccatore (cf. Rm 5,6), che con la grazia di Cristo è possibile guarire dalla schiavitù del peccato e dall’egoismo che tiene l’uomo chiuso nella morte e che «l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è dato» (Rm 5,5). L’amore al nemico e la santità sono possibili, perché è Cristo che li rende accessibili all’uomo. «La predicazione della Chiesa, quindi, in tutte le sue forme, deve essere sempre più incentrata sulla persona di Gesù e deve sempre più orientare a Lui. Occorre vigilare perché Egli sia presentato nella sua integralità: non solo come modello etico, ma innanzitutto come il Figlio di Dio, l’unico e necessario Salvatore di tutti, che vive ed opera nella sua Chiesa»22. E’ interessante notare che sulla nave di Giona i marinai, nel furore della tempesta, si rivolgessero a divinità diverse: «impauriti invocavano ciascuno il proprio dio» (Gn 1,5). Essi erano pagani. Eppure, «quegli uomini ebbero un grande timore del Signore, offrirono sacrifici al Signore e fecero voti» (Gn 1,16). Sono i frutti inaspettati della presenza in mezzo a loro di un profeta, sia pure in fuga. Il testo biblico non dice che quei marinai divennero monoteisti, ma che riconobbero in qualche modo il Signore. Giona disubbidisce al Signore, i pagani si convertono! Più avanti, nel capitolo terzo, si racconta la conversione degli abitanti di Ninive. Questo ci spinge ad osare e ad operare a servizio del Vangelo, anche con le persone sulla 22 GIOVANNI PAOLO II, Ecclesia in Europa, n° 48. 22 cui conversione, umanamente parlando, non si scommetterebbe nulla! Ed il Vangelo «non è modellato sull’uomo» (Gal 1,11): vivere il Vangelo non si identifica con un po’ di buona educazione né con un’interpretazione minimalistica dei precetti di “non uccidere” e “non rubare” o con il fare un po’ di bene: anche un ateo non uccide e non ruba e fa un po’ di bene. Per un credente, l’osservanza dei comandanti è il livello minimo sotto il quale non scendere. Ma Cristo, nel Discorso della Montagna e con l’intera sua rivelazione, ha radicalizzato tutti i comandamenti, riconducendoli all’essenziale: la carità. La nuova giustizia non solo evita il male, ma fa il bene verso tutti, nemici compresi: «Il comandamento dell’amore di Dio e del prossimo non ha nella sua dinamica positiva nessun limite superiore»23. «Camminare sulla via della carità, per quanto riguarda l’obbedienza ai comandamenti e soprattutto per quanto riguarda l’inesauribile creatività nel bene, dipende dal nostro impegno e prima ancora dalla grazia di Dio che lo sostiene.[...]. Nell’uscire da sé e nel donarsi secondo la dinamica esigente della carità l’uomo trova la vera realizzazione di sé»24. Voglio poi invitarvi ad avere pazienza, perché i tempi di Dio non sono i nostri tempi. Conosco la fatica e le difficoltà, ma anche le gioie, dello stare in prima linea nella parrocchia e negli altri servizi pastorali. Mai possiamo lasciarci sopraffare dalla tentazione dello scoraggiamento, fiduciosi che è nostro compito fare tutta la nostra parte ed il nostro servizio, come se tutto dipendesse da noi, ma che la crescita della Chiesa è opera 23 GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Veritatis splendor, Roma 6 agosto 1993, n° 52. 24 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, La verità vi farà liberi. Catechismo degli adulti, n° 900. 23 di Dio: «Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere. Ora né chi pianta, né chi irriga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere. Non c’è differenza tra chi pianta e chi irriga, ma ciascuno riceverà la sua mercede secondo il proprio lavoro. Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete il campo di Dio, l’edificio di Dio» (1Cor 3,6-9). A volte si vorrebbe una conversione immediata, senza la fatica di accompagnare le persone, in un cammino lungo nel quale, più che proclami, occorre dare contenuti, mettendo in contatto le persone con l’acqua viva del Vangelo. E l’albero piantato lungo corsi d’acqua «darà frutto a suo tempo» (Sal 1,3). Non si tratta di abbassare il Vangelo o la «misura alta» della vita cristiana, ma di aver pazienza nell’accompagnare e nell’attendere che il Signore compia la sua opera. Resta inteso infatti che è ben diversa «la cosiddetta "legge della gradualità", o cammino graduale» dalla «"gradualità della legge"»25. 25 GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica Familiaris consortio, Roma, 22 novembre 1981, n° 34. Esemplificando si può dire: «A nessuno è lecito assumere la propria debolezza come criterio per stabilire che cosa è bene e che cosa è male. Anzi sappiamo che Cristo “ci ha donato la possibilità di realizzare l’intera verità del nostro essere”. Tuttavia di fatto c’è una progressività nel conoscere, nel desiderare e nel fare il bene [...] Non si tratta di abbassare la montagna, ma di camminare verso la vetta con il proprio passo. L’educatore deve proporre obiettivi proporzionati, senza debolezza e senza impazienza» (CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, La verità vi farà liberi. Catechismo degli adulti, n° 918.919). 24 II PARTE LINEE PER L’AZIONE PASTORALE 7. «CHI SA CHE DIO NON CAMBI?» (GN 3,9). E’ PRIORITARIA LA CURA DELLA VITA SPIRITUALE Il racconto di Giona narra la quiete della tempesta, dopo che egli viene gettato in mare. Qui viene inghiottito da un grosso pesce, poi vomitato e nuovamente chiamato da Dio ed inviato a Ninive. Alla predicazione di Giona i niniviti si convertono e perfino il re di Ninive fa proclamare un decreto per invitare uomini ed animali alla penitenza: «Uomini e animali, grandi e piccoli, non gustino nulla, non pascolino, non bevano acqua. Uomini e bestie si coprano di sacco e si invochi Dio con tutte le forze; ognuno si converta dalla sua condotta malvagia e dalla violenza che è nelle sue mani. Chi sa che Dio non cambi, si impietosisca, deponga il suo ardente sdegno sì che noi non moriamo?» (Gn 3,9). Il testo prosegue: «Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si impietosì riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece» (Gn 3,10). Il re s’interroga: «Chi sa che Dio non cambi?» (Gn 3,9). Tale linguaggio deve essere ben inteso. Forse si potrebbe dire: chissà che non debba cambiare il mio modo di immaginare Dio ed anche di annunciarlo, di farlo conoscere? E se Dio fosse diverso da come io sono convinto che sia? Per i credenti, occorre un continuo ascolto del Signore, della sua Parola trasmessa 25 dalla Chiesa, per lasciare che il Signore plasmi il cuore ed il modo di pensare e di agire. Così è necessario che nella nostra vita personale e nell’azione pastorale sia prioritaria la dimensione dell’ascolto della Parola e la cura dell’interiorità e della vita spirituale. Ecco due affermazioni di Giovanni Paolo II, all’inizio del nuovo millennio: «Nella preghiera si sviluppa quel dialogo con Cristo che ci rende suoi intimi: “Rimanete in me e io in voi” (Gv 15,4). Questa reciprocità è la sostanza stessa, l'anima della vita cristiana ed è condizione di ogni autentica vita pastorale»26; «Occorre allora che l'educazione alla preghiera diventi in qualche modo un punto qualificante di ogni programmazione pastorale»27. Pochi mesi or sono, ha affermato il Santo Padre: «Ascoltare la Parola di Dio è la cosa più importante nella nostra vita. Cristo è sempre in mezzo a noi e desidera parlare al nostro cuore. Lo possiamo ascoltare meditando con fede la Sacra Scrittura, raccogliendoci nella preghiera privata e comunitaria, soffermandoci in silenzio davanti al Tabernacolo, dal quale Egli ci parla del suo amore. Specialmente alla Domenica, i cristiani sono chiamati ad incontrare e ascoltare il Signore. Ciò avviene nel modo più pieno mediante la partecipazione alla Santa Messa, nella quale Cristo imbandisce per i fedeli la mensa della Parola e del Pane di vita. Ma altri momenti di preghiera e riflessione, di riposo e fraternità possono utilmente concorrere a santificare il giorno del Signore»28. 26 GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Novo millennio ineunte, Città del Vaticano 06 gennaio 2001, n° 32. 27 Ibidem, n° 34. 28 GIOVANNI PAOLO II, Angelus, Castel Gandolfo 18 luglio 2004, n° 1-2. 26 Non si tratta di promuovere un vuoto ritualismo o una pseudo - spiritualità evanescente, che spinga ad evadere dalla storia. E’ necessario, invece, favorire l’azione della grazia, perché il Signore, attraverso la sua Parola, tocchi il cuore delle persone. Continua il Santo Padre: «Quando, per l’azione dello Spirito Santo, Dio prende dimora nel cuore del credente, diviene più facile servire i fratelli. Così è avvenuto in modo singolare e perfetto in Maria Santissima»29. La vita interiore diventa così la spinta per osare. I momenti di ascolto non possono essere episodici nella vita di un credente e di una parrocchia: ci vuole continuità. Da questo dipende, in buona sostanza, la qualità della testimonianza: «Si prega come si vive, perché si vive come si prega»30. E’ importante ritagliarci ogni giorno un tempo di “deserto”, perché Dio possa parlare al nostro cuore: «Perciò, ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore» (Os 2,16). Letteralmente si può tradurre “parlare sul cuore” a significare l’intima relazione che si instaura tra il cristiano e il Signore. Il Santo Padre ha voluto che da questo mese di ottobre fino all’ottobre 2005 si celebri in tutta la Chiesa «uno speciale anno dell’Eucaristia»31. Oltre alle iniziative che, in sintonia con le indicazioni del Santo Padre, saranno per l’occasione promosse, io intendo incoraggiare in tutta la Diocesi il culto eucaristico. Apprezzo molto, ad esempio, veglie di preghiera e giornate di adorazione che tanti parroci promuovono, auspi29 Ibidem, n° 3. Catechismo della Chiesa Cattolica, n° 2725. 31 GIOVANNI PAOLO II, Omelia nella solennità del SS. Corpo e Sangue di Cristo, San Giovanni in Laterano - Roma 10 giugno 2004, n° 3. 30 27 cando che ci sia una continuità in questa direzione. Sogno anche, se il Signore permetterà, che si aprano varchi anche in tal senso, con il sorgere di luoghi in cui si possa quotidianamente adorare il Santissimo Sacramento. C’è uno stretto legame tra l’Eucaristia e la missione: «Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga» (1Cor 11,26). Commenta Giovanni Paolo II: «Entrare in comunione con Lui nel memoriale della Pasqua significa, nello stesso tempo, diventare missionari dell’evento che quel rito attualizza; in un certo senso, significa renderlo contemporaneo ad ogni epoca, fino a quando il Signore ritornerà»32. 8. UNA «“MISURA ALTA” DELLA VITA ORDINARIA». IL CLERO LAMETINO CRISTIANA Scrive Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte: «Porre la programmazione pastorale nel segno della santità è una scelta gravida di conseguenze. Significa esprimere la convinzione che, se il Battesimo è un vero ingresso nella santità di Dio attraverso l'inserimento in Cristo e l'inabitazione del suo Spirito, sarebbe un controsenso accontentarsi di una vita mediocre, vissuta all'insegna di un'etica minimalistica e di una religiosità superficiale. [...] Come il Concilio stesso ha spiegato, questo ideale di perfezione non va equivocato come se implicasse una sorta di vita straordinaria, praticabile solo da alcuni “geni” della santità. Le vie della santità sono molteplici e adatte alla vocazione di ciascuno. [...] È ora di riproporre a tutti con convinzione questa “misura alta” della vita cristiana 32 Ibidem, n° 1. 28 ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in questa direzione»33. Queste parole del Santo Padre valgono per tutti i credenti. Desidero perciò incoraggiare in modo particolare i presbiteri, miei stretti collaboratori, a perseverare e a tenere alto il livello della loro vita, affinché «apprezzino la sublime vocazione sacerdotale, la vivano con serenità, la diffondano intorno a sé con gioia e svolgano fedelmente i loro compiti e la difendano con decisione»34. E’ mio dovere di vescovo - e confido che il Signore mi darà il suo sostegno – instaurare con voi, confratelli presbiteri, un rapporto contrassegnato da autentica paternità. Io rendo grazie a Dio per il clero della Chiesa lametina: ho avuto con i preti, finora, incontri profondi e sinceri. Spero di poter proseguire in questa direzione, in modo sempre più proficuo, incontrando proprio tutti singolarmente ed intensamente, per stare accanto, confortare, guidare, esortare. Sento di esprimere pubblicamente tutta la mia stima per i sacerdoti, giovani e meno giovani, ed invitarli ad avere rapporti fraterni in seno al presbiterio e con i fedeli laici. Di alcuni presbiteri, anche giovani, mi preoccupa, non poco, l’isolamento, che provoca difficoltà e stanchezze. Su questo problema è necessario che ci interroghiamo, cercando vie nuove di fraternità, dettate dall’Evangelo e non soltanto da necessità pratiche. Mi sembra opportuno raccomandare ai presbiteri alcune cose più urgenti, per «ravvivare il dono di Dio» (2Tm 1,6), dono gratuito di cui nessuno è degno, al quale però siamo 33 GIOVANNI PAOLO II, Novo millennio ineunte, n° 31. CONGREGAZIONE PER I VESCOVI, Direttorio per il ministero pastorale dei vescovi Apostolorum succesores, 2004, n° 75. 34 29 chiamati a rispondere con slancio e generosità. La coscienza che l’essere preti è un dono, ricevuto senza merito, ci fa umili e non ci fa ritenere già convertiti, per il semplice fatto di essere stati ordinati. Un prete è sempre in cammino, mai sazio, neanche dei frutti più belli che ha potuto raccogliere, sempre con l’ansia missionaria che lo spinge dal di dentro, «caritas Christi urget nos» (2Cor 5,14). E’ la passione per i lontani che ricarica un presbitero, quando egli porta loro il Vangelo, conducendoli a vedere la storia, la vita, alla luce di Cristo ed a scegliere come Lui. Egli ha cura della sua vita spirituale: non tralascia il breviario neanche quando ha una giornata fitta di impegni; fa di tutto per celebrare quotidianamente l’Eucaristia, evitando di moltiplicare le messe senza necessità; sta a contatto con la Parola di Dio; si accosta personalmente al sacramento della Penitenza e frequenta con regolarità il suo padre spirituale; cura altre forme di orazione. «La cura della relazione personale con Gesù Cristo non è quindi uno dei numerosi addendi dei nostri doveri, ma è luogo genetico del nostro essere apostoli»35. Il presbitero non tralascerà di aggiornarsi né si accontenterà di quanto ha già studiato, al fine di potere accostarsi con sempre maggiore profondità al tesoro della Parola di Dio trasmesso dalla Chiesa, per meglio servire i fedeli. E’ vero che, a volte, finito il seminario, ci si trova soli in contesti e situazioni inaspettate. Speriamo, tra l’altro, di potenziare i momenti di formazione a livello diocesano e di far sì che i futuri neo-ordinati possano vivere per un certo tempo accanto ad un 35 R. CORTI, «Preti senza mediocrità. Appunti di spiritualità presbiterale», in La Rivista del Clero Italiano, 4 aprile 2004, 303. 30 confratello con più esperienza. Anche per quanto riguarda la formazione dei seminaristi è mio desiderio incrementarla e curarla in profondità. Il prete conduca una vita sobria, casta ed obbediente; svolga fedelmente i suoi doveri; se parroco, risieda in parrocchia. Anche nella gestione del suo tempo tenga presente la fatica di tantissimi nostri fratelli laici, mamme e papà di famiglia, che uniscono al lavoro e all’impegno familiare il servizio alla Chiesa. Nell’esistenza di un prete dovrebbe rifulgere la bellezza di chi ha donato la vita e si spende senza condizioni per il bene delle anime. Così va anche ripensato l’orario in cui le nostre chiese restano chiuse. Scrivo tutto questo per incoraggiarvi. E’ veramente triste sentire che ci si lamenti di un prete. La nostra missione è alta, portiamo questo tesoro del nostro essere preti «in vasi di creta» (2Cor 4,7), nella fragilità delle nostre povere persone. «Se noi manchiamo di fede, egli però rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso» (2Tm 2,13): possiamo aver commesso errori e peccati ma il Signore, che ci ha chiamato ad essere preti, è fedele, non ci mancherà di parola, porterà a compimento la sua opera. Sappiamo di poterci appoggiare sulla roccia della sua fedeltà incrollabile: l’intero spazio spirituale del nostro cuore «è per una gratitudine ammirata e commossa, per una fiducia e speranza incrollabili», sapendo di essere fondati non sulle nostre forze, «ma sull’incondizionata fedeltà di Dio che chiama»36. 36 GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis, Roma 25 marzo 1992, n° 36. 31 9. VALORIZZARE LA VITA RELIGIOSA La presenza nella nostra Diocesi di religiosi e religiose è una grande ricchezza, un dono di Dio per il bene dell’intera Chiesa. E’ mia intenzione valorizzare i diversi carismi già presenti e incrementarli ulteriormente: sono in contatto con i superiori di diverse comunità religiose, sia maschili che femminili, e spero che il Signore aprirà altre porte. Da settembre sono già presenti le Sorelle della Tenda del Magnificat, che hanno preso dimora in via XX settembre a Lamezia Terme Nicastro. Opereranno in Cattedrale, ma possono essere contattate anche da altri parroci. Loro specifico carisma è creare gruppi di famiglie che si riuniscono per ascoltare il Vangelo. Ringrazio Dio anche per la venuta delle Benedettine, ormai prossima, entro l’anno, presso il Santuario di Dipodi, che spero possa diventare sempre più un centro permanente per rigenerarsi nello spirito attraverso la preghiera liturgica e l’ascolto della Parola. E’ mio desiderio che tutta la Chiesa diocesana prenda sempre maggiore coscienza dell’immensa ricchezza di grazia costituita per tutti dai religiosi e dalle religiose; che si preghi per il sorgere di numerose vocazioni alla vita consacrata e che si abbia sempre profonda stima e rispetto per tutti i religiosi e le religiose che danno la loro vita in Diocesi. Dai religiosi e dalle religiose ci si aspetta che rifulga nel loro volto la gioia di una vita consacrata totalmente al Signore. L’Evangelo infatti valorizza l’uomo e ne esalta le sue più vere potenzialità. «La domanda di nuove forme di spiritualità, che oggi emerge dalla società, deve trovare una risposta nel ricono- 32 scimento del primato assoluto di Dio vissuto dai consacrati attraverso la totale donazione di sé, la conversione permanente di un’esistenza offerta come vero culto spirituale»37. Numerosi sono poi gli altri ambiti in cui i consacrati possono dare il loro peculiare apporto alla edificazione della nostra Diocesi. 10.IL PIANETA GIOVANI ED IL VOLONTARIATO «Non domandare: “Come mai i tempi antichi erano migliori del presente?”, poiché una tale domanda non è ispirata da saggezza» (Qo 7,10). Ci sono luoghi comuni quando si parla dei giovani: “Non sono più come quelli di una volta...”. E’ vero che la nostra gioventù soffre di diversi mali, alcuni dei quali forse più diffusi oggi che non ieri. Si pensi alla larga diffusione di droga leggera tra i nostri adolescenti e giovani, anche insospettabili. Ma non ha senso fare paragoni: bisogna guardare con lucidità il presente, con le sue luci e le sue ombre. I nostri giovani sono capaci di grande slancio e generosità, ma è anche vero, ad esempio, che tendono, dato il clima culturale in cui siamo immersi, a vivere rinviando le scelte che impegnano “per sempre” (matrimonio, sacerdozio, vita consacrata). Contro ogni apparenza contraria, forte è nel cuore dei giovani la sete di Cristo, che non viene saziata dagli idoli, dalle «cisterne sgretolate, che non tengono l’acqua» (Ger 2,13). «Giovani, non cedete a mendaci illusioni e mode effimere che lasciano non di rado un tragico vuoto spirituale! Rifiutate le seduzioni del denaro, del consumismo e della subdola violenza 37 GIOVANNI PAOLO II, Ecclesia in Europa, n° 38. 33 che esercitano talora i mass-media. L’adorazione del vero Dio costituisce un autentico atto di resistenza contro ogni forma di idolatria. Adorate Cristo: Egli è la Roccia su cui costruire il vostro futuro e un mondo più giusto e solidale»38. Carissimi giovani, credenti e non credenti, oso rivolgermi ancora a voi con le parole del Santo Padre, esortandovi a non spegnere la sete di Assoluto che alberga nel vostro cuore: «è Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. E' Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna»39. Approfitto per ricordarvi l’importante appuntamento della Giornata Mondiale della Gioventù, a Colonia, nel 2005. Essa va preparata, non solo negli aspetti organizzativi, ma va soprattutto motivata. Ribadisco a tutti gli operatori pastorali, anzitutto ai presbiteri, quanto ebbi a dire nell’omelia del mio ingresso in Diocesi: «C’è bisogno in questo campo di annunciatori franchi e 38 GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la XX Giornata Mondiale della Gioventù (Colonia, Agosto 2005), Castel Gandolfo, 6 Agosto 2004, n° 5. 39 GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla veglia di preghiera per la XV Giornata Mondiale della Gioventù, Tor Vergata 19 agosto 2000, n° 5. 34 disinteressati che, in modo creativo, sappiano annunciare Cristo ai giovani, nella consapevolezza che il tempo “perduto” con loro è un tempo guadagnato»40. Non intendo affatto demonizzare le attività aggregative e sociali e l’impegno del volontariato cattolico. Forse, in altre occasioni, sono stato frainteso: non sono affatto il vescovo “contro” l’impegno sociale. La mia preoccupazione è un’altra. Mi sembra che al volontariato a volte manchi l’anima cristiana. Così anche la pastorale giovanile, in alcune parrocchie, è ridotta ad un servizio di aggregazione amicale, ludica, sportiva. A volte pretendiamo dai giovani un impegno in parrocchia o nel volontariato, senza aiutarli ad incontrare Gesù Cristo, facendoli attingere al tesoro della Parola. La mia domanda è questa: se le stesse buone iniziative si possono realizzare senza bisogno di Gesù Cristo, allora noi come Chiesa non possiamo limitarci a questo (che è cosa buona e lodevole), perché la nostra specifica vocazione è quella di essere nel mondo «come un sacramento cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio»41. In altre parole, siamo chiamati ad essere un continuo rimando al Dio che in Cristo si è pienamente rivelato. Il volontariato, così motivato, può anzi costituire una risorsa anche per la pastorale giovanile e vocazionale, che «non si stancherà mai di educare i ragazzi, gli adolescenti e i giovani al gusto dell'impegno, al senso del servizio gratuito, al valore del sacrificio, alla donazione incondizionata di sé. Si fa allora particolarmente utile l'esperienza del volontariato, verso cui sta crescendo la sensibilità di tanti giovani: se sarà un volontariato evangelicamente motivato, capace di educare al discernimento 40 Omelia del 2 aprile 2004, n° 5. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione dogmatica Lumen gentium, Roma 21 novembre 1964, n° 1. 41 35 dei bisogni, vissuto con dedizione e fedeltà ogni giorno, aperto all'eventualità di un impegno definitivo nella vita consacrata, nutrito di preghiera, esso saprà più sicuramente sostenere una vita di impegno disinteressato e gratuito e renderà più sensibile chi ad esso si dedica alla voce di Dio che lo può chiamare al sacerdozio. Diversamente dal giovane ricco, il volontario potrebbe accettare l'invito, colmo d'amore, che Gesù gli rivolge; e lo potrebbe accettare perché gli unici suoi beni consistono già nel donarsi agli altri e nel “perdere” la sua vita»42. Avendo chiara la meta del favorire nei giovani l’incontro con Cristo, sempre la pastorale giovanile va reinventata, perché non esistono “ricette”. Un ruolo non secondario può venire dallo slancio dei nuovi movimenti. Fondamentale rimane per presbiteri ed operatori pastorali la passione per Cristo e quindi la spinta nel cuore a farlo conoscere, perdendo la vita per amore e scommettendo con amore sulle potenzialità dei giovani. Il Signore pensa in grande per i suoi figli. In collaborazione con il servizio diocesano per la pastorale giovanile, auspico il sorgere di due o tre centri di spiritualità e di formazione per animatori giovanili. Anche per i catechisti, attraverso l’ufficio catechistico diocesano, sto pensando ad una sorta di “scuola” di preghiera e di dottrina, da realizzarsi in due o tre luoghi differenti per favorire non solo la città di Lamezia, ma tutte le parrocchie della Diocesi, anche le più periferiche. 42 GIOVANNI PAOLO II, Pastores dabo vobis, n° 40. 36 11.PUNTARE SULLA FORMAZIONE DEI LAICI Devo con gratitudine ringraziare il Signore per l’opera di tanti fedeli laici, uomini e donne, nell’edificazione della Chiesa e della civiltà, attraverso una testimonianza di dedizione e servizio nella famiglia, nella vita ecclesiale, nel lavoro, nella vita sociale in genere e nell’attenzione agli ultimi ed ai poveri. L’esempio di tanti fratelli che operano spesso nel nascondimento è un segno per tutti. E’ mio dovere anche constatare i frutti del lavoro che è stato fatto per la formazione delle coscienze degli adulti. Ma non possiamo eludere la domanda di Gesù: «Il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18, 8). Con Giovanni Paolo II ci interroghiamo: «La troverà su queste terre della nostra Europa di antica tradizione cristiana?»43. La troverà qui a Lamezia? Non mancano, grazie a Dio, laici ferventi, con un’intensa interiorità ed una corrispondente vita cristiana. E’ nostro dovere, però, preoccuparci dei non battezzati che cominciano ad essere non più così rari e dei battezzati, che magari hanno ricevuto anche tutti i sacramenti dell’iniziazione cristiana, ma che, di fatto, vivono ai margini o del tutto assenti dalle nostre comunità e che conducono l’esistenza come se Cristo non esistesse. Ci sono inoltre i battezzati che «ripetono i gesti e i segni della fede, specialmente attraverso le pratiche di culto, ma ad essi non corrisponde una reale accoglienza del contenuto della fede e un’adesione alla persona di Gesù»44. 43 GIOVANNI PAOLO II, Ecclesia in Europa, n° 47. Ivi. «Persone non battezzate domandano di diventare cristiane; e pure a chi non chiede deve giungere l’annuncio del Vangelo di Gesù. [...]. Ma ci sono anche ragazzi, giovani, adulti nati in famiglie in cui si è consumato un 44 37 Occorre, allora, che nelle nostre parrocchie ci convertiamo da una pastorale quasi esclusivamente rivolta ai bambini ad una pastorale dei giovani e degli adulti. Intendo dire, non mi si fraintenda, che al lodevole impegno per la catechesi dei fanciulli, che bisogna continuare a proporre e curare nella qualità, si affianchino anche notevoli sforzi per la catechesi dei giovani e degli adulti. Né si può eludere nella catechesi la dottrina sociale della Chiesa. In questo senso, una grande risorsa per la nostra pastorale è rappresentata dai movimenti ecclesiali. 12.ASSOCIAZIONI, GRUPPI, MOVIMENTI, CAMMINI DI FEDE: RISORSA PER LA PASTORALE La risorsa pastorale costituita per la Chiesa da associazioni, gruppi, cammini di fede e movimenti ecclesiali45 deve essere maggiormente incoraggiata, non ostacolata. distacco netto da una fede ora per loro da riscoprire. Ci sono poi i battezzati il cui battesimo è restato senza risposta: possono anche aver ricevuto tutti i sacramenti dell’iniziazione cristiana, ma vivono di fatto lontani dalla chiesa, su una soglia ormai oltrepassata. Per loro la fede non va ripresa, ma rifondata; il dono sacramentale va riproposto nel suo significato e nelle sue conseguenze. Ancora di più sono i battezzati la cui fede è rimasta allo stadio della prima formazione cristiana; una fede mai rinnegata, mai del tutto dimenticata, ma in qualche modo sospesa, rinviata. Anche per costoro solo da un rinnovato annuncio può partire un cammino d’incontro con Cristo e d’inserimento nella vita ecclesiale» (CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, n° 2). 45 Di seguito non distinguerò, nell’uso dei termini, tra associazioni, movimenti, gruppi e cammini di fede. 38 E’ vero che realtà nuove e giovani possono facilmente scadere in atteggiamenti elitari, ritenendo se stesse migliori di altre, la “vera Chiesa”, in opposizione ai fedeli di serie B non aderenti al loro movimento. E’ vero che possono insinuarsi abusi, sia a livello dottrinale che disciplinare, nonché sorgere divisioni: «“Io sono di Paolo”, “Io invece sono di Apollo”...» (1Cor 1,12). Ma è altrettanto vero che non ci si può fermare a questo! I movimenti sono un a risorsa pastorale ed una ricchezza per l’intera Chiesa. «La loro nascita e diffusione ha recato nella vita della Chiesa una novità inattesa, e talora persino dirompente. Ciò non ha mancato di suscitare interrogativi, disagi e tensioni; talora ha comportato presunzioni ed intemperanze da un lato, e non pochi pregiudizi e riserve dall’altro. [...]. Nel nostro mondo, spesso dominato da una cultura secolarizzata che fomenta e reclamizza modelli di vita senza Dio, la fede di tanti viene messa a dura prova e non di rado soffocata e spenta. Si avverte, quindi, con urgenza la necessità di un annuncio forte e di una solida ed approfondita formazione cristiana. Quale bisogno vi è oggi di personalità cristiane mature, consapevoli della propria identità battesimale, della propria vocazione e missione nella Chiesa e nel mondo! Quale bisogno di comunità cristiane vive! Ed ecco, allora, i movimenti e le nuove comunità ecclesiali: essi sono la risposta, suscitata dallo Spirito Santo, a questa drammatica sfida di fine millennio»46. 46 GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai movimenti ecclesiali e alle nuove comunità, Roma 30 maggio 1998, nn. 6-7. Corsivo nostro. Cf. GIOVANNI PAOLO II, Ecclesia in Europa, n° 16. Numerosi sono poi gli interventi del magistero pontificio ed episcopale sui nuovi movimenti in genere ed in specie. 39 La varietà dei carismi suscitati dallo Spirito Santo fa sì che attraverso “tonalità diverse” il maggior numero di persone riconosca la voce di Cristo e faccia un cammino di fede. Facciamo nostra la parola di san Paolo: «mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno» (1Cor 9,22). E’ il bene delle anime a dover motivare le nostre scelte pastorali e non i nostri punti di vista e le nostre tendenze. La misura delle nostre scelte non sia il nostro sentire personale, ma il bene della Chiesa. Anche in questo occorre osare, buttandosi in realtà finora conosciute forse solo per sentito dire. L’approvazione dello statuto da parte dell’autorità ecclesiastica non implica automaticamente la genuinità di ogni atto compiuto dal singolo gruppo o da un suo esponente né l’opportunità della sua esistenza in ogni singola realtà parrocchiale, spettando sempre al parroco, con il consiglio del vescovo, il discernimento e la decisione, evitando anche di far “monopolizzare” la parrocchia da parte di un singolo movimento. Così non è neppure pensabile la presenza di un movimento in una parrocchia senza che il parroco eserciti la sua cura pastorale verso i suoi membri, che sono da considerarsi parrocchiani a tutti gli effetti, né migliori né peggiori. La presenza del parroco, ministro della parola e dei sacramenti e guida della comunità, eviterà anche abusi ed incomprensioni. Il parroco cioè, nel pieno rispetto dello statuto e quindi del carisma del singolo movimento, dovrà personalmente incoraggiarne e curarne lo sviluppo, prestando il suo servizio di servo della parola e dei sacramenti, vigilando attentamente, mediando con i responsabili. In tal senso, il suo discernimento sarà più puntuale, saggio, e farà umilmente un servizio a tutta la comunità cristiana. 40 Il fine cui puntare è la gloria di Dio ed il bene delle anime. Forse per qualche parroco, faccio un semplice esempio, non sarà consono al suo spirito guidare una preghiera secondo i canoni di una certa associazione, ma la sua presenza sarà preziosa, consigliata e rassicurante per la sana dottrina. Stanno in Diocesi aprendosi nuovi varchi per l’evangelizzazione, attraverso i primi passi in mezzo a noi dell’associazione culturale Viver In, della Comunità di Sant’Egidio e della Fondazione “Centimus Annus-Pro Pontifice”, che riunisce imprenditori e professionisti per un approfondimento maggiore del magistero sociale delle chiesa. Auspico anche la valorizzazione delle altre associazioni e movimenti, sia di antica tradizione che di più recente fondazione, già presenti ed operanti in Diocesi, ma che necessitano di maggiore slancio, impulso, attenzione e rivalutazione da parte delle comunità parrocchiali. Mi vengono in mente le parole del Papa a Loreto: «Coraggio, Azione Cattolica! Il Signore guidi il tuo cammino di rinnovamento»47. Davvero prego il Signore che continui ad accompagnare la formazione e la missione in Diocesi, attraverso i carismi che riterrà opportuni, e che il cuore degli operatori pastorali sia docile nell’accoglienza e sapiente nel discernimento. Dai movimenti ecclesiali ci si attende uno sforzo nel trovare vie di unità, di stima e comprensione reciproca, perché si realizzi la comunione, via indispensabile di evangelizzazione nelle nostre contrade. 47 GIOVANNI PAOLO II, Omelia nella Santa Messa con beatificazione di Pedro Tarresi y Claret – Alberto Marvelli – Pina Suriano, Loreto 5 settembre 2004, n° 8. 41 13.«È L'ORA DI UNA NUOVA “FANTASIA DELLA CA48 RITÀ”» Non mancano a Lamezia antiche e nuove forme di povertà. Si va da situazioni di bisogno economico a realtà di degrado, dalla solitudine a situazioni in cui al benessere economico si accompagnano droga e disperazione. Attraverso i poveri è Gesù stesso che ci interpella. E’ forte il monito di Cristo: «In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me» (Mt 25,45). Il Signore abbia misericordia per le nostre mancanze e ci renda capaci di una carità autentica. Oltre alle doverose forme di condivisione che come singoli credenti siamo chiamati ad operare, occorre che ci sia collaborazione e dialogo tra le diverse realtà, associative e parrocchiali, specificamente impegnate nel servizio agli ultimi. In tal senso un ruolo importante di raccordo, animazione e formazione può venire dalla Caritas Diocesana e dalle Caritas parrocchiali, che vanno incoraggiate e sempre meglio riorganizzate, a sostegno dell’intera realtà diocesana e parrocchiale. Come singoli credenti e come comunità ecclesiale accogliamo il monito del Santo Padre: Chiesa in Europa «libera da intralci e da dipendenze, sii povera e amica dei più poveri, accogliente verso ogni forma, antica e nuova, di povertà»49. La carità è dono di Dio e sgorga nei cuori rinnovati dal Suo Spirito. Per questo non si può disgiungere il servizio agli 48 49 GIOVANNI PAOLO II, Novo millennio ineunte, n° 50. GIOVANNI PAOLO II, Ecclesia in Europa, n° 104. 42 ultimi dall’ascolto della Parola e da un serio itinerario di formazione cristiana, perché il Signore deponga l’uomo vecchio che è in noi, con le sue opere morte, ed edifichi l’uomo nuovo, capace di opere di vita eterna. I poveri potranno così sentirsi «in ogni comunità cristiana, come “a casa loro”»50. 14. METTERE IN RETE IL BENE Molte realtà positive sono diffuse qua e là. Penso a singole iniziative perché le famiglie facciano un cammino di fede; a gruppi di volontariato e missionari; ad esperimenti volti a migliorare la catechesi dei fanciulli o la pastorale giovanile. Con l’aiuto del Signore, è mia intenzione far sì che gli uffici diocesani possano costituire sempre più un luogo, non di sostituzione ma di supporto alla parrocchia ed alle diverse realtà operanti nel territorio. Diverse potenzialità di bene, a volte isolate, possono e devono mettersi insieme, per meglio operare. Tante singole buone iniziative possono essere maggiormente conosciute e potenziate. Ad esempio, ho avuto modo di incontrare diversi gruppi di famiglie. E’ urgente metterli in rete tra loro, per smuovere stanchezze e dare slancio, facendone delle autentiche cellule vive che possano raccontare l’Evangelo alle famiglie lontane ed in difficoltà. Di grande utilità sono anche iniziative come consultori familiari cattolicamente ispirati e motivati. Sogno anche di riuscire a realizzare dei forum, cioè centri di riunione degli uomini di buona volontà, anche non cattolici, per riflettere insieme sulla nostra realtà sociale e poli50 GIOVANNI PAOLO II, Novo millennio ineunte, n° 50. 43 tica, ma trascendendo un discorso partitico. Potrebbe essere un servizio offerto al bene comune. Riguardo, infine, alla parrocchia, «più che di “parrocchia” dovremmo parlare di “parrocchie”: la parrocchia infatti non è mai una realtà a se, ed è impossibile pensarla se non nella comunione della Chiesa particolare»51. 15.LA VERGINE MARIA E LA NASCITA DI UNA CULTURA CRISTIANA Ho personalmente partecipato nel mese di agosto alle feste mariane nei Santuari di Dipodi e di Conflenti. Sono rimasto colpito dalla presenza spontanea, attenta, fedele, di tanti giovani, che si fanno pellegrini di Maria accostandosi ai sacramenti. In moltissime altre occasioni ho potuto constatare la devozione di larghi strati del nostro popolo alla Madonna, a sant’Antonio, a Padre Pio e ad altri santi. E’ vero che non mancano talvolta esagerazioni, che rasentano forme di superstizione, o che per alcuni la festa è l’unica occasione in cui si ritrovano in una chiesa. In ogni caso, però, la pietà popolare esiste e non è affatto da sradicare ma, piuttosto, da educare52. Essa rimane un momento aggregativo significativo, in cui il popolo scopre le sue radici. E’ certamente una risorsa pastorale che va evangelizzata, riscoperta nella varietà delle proposte, perché non diventi ripetitiva. Occorre passare da una certa esteriorità all’interiorità, promuovendo momenti forti di 51 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, n° 3, 52 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Ecclesia in Europa, n° 79. 44 catechesi a tutti i livelli, che conducano ad una conversione dei cuori. Questo modo di sentire la pietà popolare lascia tracce nella vita, perché chiamiamo in causa la persona nella sua totalità. La Vergine Maria diventa il modello di una Chiesa che genera i suoi figli alla fede. La nascita di una cultura cristiana è nel segno di una maternità, sul modello della Vergina Maria: una umanità che si lascia guidare dallo Spirito del Signore, perché sia tempio della vita. La Chiesa ha la missione importante di non dare solo nozioni sulla fede, ma di generare cristiani, iniziandoli alla vita secondo lo Spirito di Cristo. «Il vissuto non va solo interpretato, ma anche creato, a partire da una cultura cristianamente ispirata»53. Invochiamo questo dono perché possiamo, come Chiesa, vivere e trasmettere quanto contempliamo dell’opera di Dio nella storia: «Contemplata aliis tradere». CONCLUSIONE «Beato chi trova in te la sua forza e decide nel suo cuore il santo viaggio» (Sal 84,6). Si può intendere che è beato chi ha i sentieri di Dio nel suo cuore, chi cioè custodisce dentro di sé la volontà di Dio54. Nel pellegrinaggio della nostra vita, 53 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, n° 10. 54 In queste conclusioni riprendo alcuni passaggi del mio intervento sul tema «Spiritualità ed impegno ecclesiale», tenuto presso la Parrocchia B.V. Rosario in Lamezia Terme il 20 settembre 2004. 45 come singoli e come Chiesa, occorre conservare sempre un atteggiamento di ascolto del Signore, curando l’interiorità, la vita spirituale. Il salmista prosegue: «Passando per la valle del pianto la cambia in una sorgente, anche la prima pioggia l’ammanta di benedizioni. Cresce lungo il cammino il suo vigore, finché compare davanti a Dio in Sion» (Sal 84, 7-8). Chi custodisce nel cuore i sentieri del Signore trasforma il mondo che lo circonda. Tanti sono gli uomini nel pianto, nel lutto, perché la loro speranza è offuscata e non c’è nessuno che mostri loro Cristo, nostra speranza. Tanti giovani attendono Cristo, perché la loro vita fiorisca. Non è vero che chi si ubriaca di alcol, spinelli e sesso si diverte, è contento e sta bene. Non è vero che chi vive nella ricerca dei soldi e del potere, e magari ne ha tanto, sia per questo felice. Nel profondo del cuore c’è il desiderio di Assoluto, di felicità duratura, non effimera. Colui che sazia tutto questo è Cristo. Il Signore Gesù è capace di far fiorire anche il deserto. Dice il profeta: «Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa.... Dite agli smarriti di cuore: “Coraggio! Non temete; ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi”. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa. La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso si muterà in sorgenti d’acqua. I luoghi dove si sdraiavano gli sciacalli diventeranno canneti e giuncaie...» (Cf. Is 35,1-7). 46 I testi evangelici raccontano diversi incontri di Cristo con peccatori di ogni genere, il cui peccato è stato vinto dalla sua misericordia. Cristo non è indulgente verso il peccato, non lo giustifica né lo minimizza. Il suo amore e il suo perdono sono più forti del peccato e della morte: «non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,12). Verso chi gli apre il cuore, riconoscendo il suo peccato, perché nessun uomo è giusto davanti a Dio, Cristo mostra la sua benevolenza, che ridà dignità all’uomo che giace nelle tenebre del peccato e del non senso. E nessun uomo, nessuno, può pensare di essere tanto disgraziato e peccatore da essere escluso dal suo amore gratuito: «Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8). Neppure i marinai pagani sulla nave insieme a Giona e la terribile Ninive sono esclusi dall’amore di Dio. Come Chiesa, in quanto uomini che vivono ed operano nella Chiesa concreta che è in Lamezia Terme, abbiamo il dovere di portare agli altri il Cristo che ha dato la vita per noi. Di questo annuncio siamo tutti in attesa: chi lo ha già ricevuto, per rinsaldarsi nella fede, perché sempre siamo abitati dalla menzogna diabolica che dice “Dio non ti ama”; chi mai lo ha ascoltato, ma nel cui cuore c’è un desiderio fortissimo, magari camuffato, di conoscere colui che è il Salvatore: «In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4,12). Questa è la nostra missione: portare Cristo. Voi laici non siete cristiani di serie “B”: questo compito è anche vostro, da attuarsi in comunione con il vescovo ed i presbiteri, ciascuno secondo la sua vocazione. La vita del credente, radicata in Cristo, vissuta in comunione con la Chiesa, 47 fiorisce e feconda il mondo, a tutti i livelli, ecclesiale, sociale e politico. L’augurio è che si promuovano nuove vie per l’evangelizzazione, perché nasca una società civile intrisa di sapienza evangelica, che dia nuovo sapore e gusto all’habitat della nostra Diocesi. I santi Pietro e Paolo, nostri patroni, ci accompagnino con la loro intercessione. Maria, la discepola, che ha accolto la Parola, dia a tutti la gioia di proclamare che Cristo Gesù è il Signore. Amen. Lamezia Terme, 15 ottobre 2004 Memoria di Santa Teresa d’Avila + Luigi Antonio Cantafora Vescovo di Lamezia Terme 48 INDICE INTRODUZIONE___________________________________________ 3 I PARTE: DISCERNIMENTO SULL’OGGI DELLA NOSTRA DIOCESI __________________________________________________ 5 1. «ALZATI, VA’ A NINIVE» (GN 1,1). LA PASSIONE PER I LONTANI ED I PECCATORI. ________________________________ 5 2.«SONO EBREO E VENERO IL SIGNORE DIO DEL CIELO, IL QUALE HA FATTO IL MARE E LA TERRA» (GN 1,9). IL DIVORZIO TRA FEDE E VITA._________________________________________ 7 3. «GIONA PERÒ SI MISE IN CAMMINO PER FUGGIRE A TARSIS, LONTANO DAL SIGNORE» (GN 1,3). IL CLIMA CULTURALE NEL QUALE SIAMO IMMERSI __________________________________ 9 4. IDOLATRIE ANTICHE E NUOVE: MAGHI E SETTE, VISIONARI E FEBBRE ESORCISTICA ______________________ 13 5. UNO SGUARDO SULLA REALTÀ SOCIALE _______________ 16 6. «QUEGLI UOMINI INFATTI ERANO VENUTI A SAPERE CHE EGLI FUGGIVA IL SIGNORE, PERCHÉ LO AVEVA LORO RACCONTATO» (GN 1,10). PASSI FALSI DELLA NOSTRA AZIONE PASTORALE. _____________________________________________ 19 II PARTE: LINEE PER L’AZIONE PASTORALE ______________ 24 7. «CHI SA CHE DIO NON CAMBI?» (GN 3,9). E’ PRIORITARIA LA CURA DELLA VITA SPIRITUALE __________________________ 24 8 UNA «“MISURA ALTA” DELLA VITA CRISTIANA ORDINARIA». IL CLERO LAMETINO ______________________ 27 9. VALORIZZARE LA VITA RELIGIOSA ____________________ 31 10. IL PIANETA GIOVANI ED IL VOLONTARIATO __________ 32 11. PUNTARE SULLA FORMAZIONE DEI LAICI _____________ 36 12. ASSOCIAZIONI, GRUPPI, MOVIMENTI, CAMMINI DI FEDE: RISORSA PER LA PASTORALE ____________________________ 37 13. «È L'ORA DI UNA NUOVA “FANTASIA DELLA CARITÀ”» _ 41 14. METTERE IN RETE IL BENE ___________________________ 42 15. LA VERGINE MARIA E LA NASCITA DI UNA CULTURA CRISTIANA ______________________________________________ 43 CONCLUSIONE __________________________________________ 44