Carnosina - Cosa Fa - ITA

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Carnosina - Cosa Fa - ITA
COSA FA?
Azione antiossidante
Il termine antiossidante si riferisce alla capacità di numerose vitamine, minerali ed altri prodotti
fitochimici di fungere da protezione nei confronti degli effetti dannosi di quelle molecole altamente
reattive conosciute col nome di radicali liberi. I radicali liberi hanno la capacità di reagire con molte
strutture del corpo danneggiandole.
Particolarmente suscettibili a subire danni ossidativi sono le membrane cellulari e la più profonda
fonte del nostro patrimonio genetico, il DNA.
Le reazioni dei radicali liberi ed i danni dovuti all’ossidazione sono stati inoltre correlati a molte
patologie senili quali, ad esempio, le malattie neurodegenerative, i disturbi cardiaci, il diabete od il
cancro.
I più noti agenti antiossidanti biologici esercitanti azione preventiva nei confronti dell’ossidazione
dei lipidi, delle proteine e di altre macromolecole essenziali presentano solo alcune caratteristiche
nei loro meccanismi d’azione, fornendo un solo tipo di protezione fra quelle di seguito riportati:
blocco della formazione di radicali liberi;
rimozione degli agenti ossidanti;
reazione con le specie reattive, evitandone l’evoluzione naturale;
trasformazione di un ROS (specie reattiva dell’ossigeno) in un anti-ROS (non più
pericoloso);
• stabilizzazione delle membrane;
• azione indiretta nei confronti della rimozione di sostanze che possano catalizzare i danni da
radicali liberi (es. ioni metallici);
• fissazione del ferro.
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In prima analisi, la L-carnosina, avendo dimostrato la sua interazione con molti tipi di radicali
liberi, inclusi il radicale ossigeno, il perossido di idrogeno nonché i radicali perossidici ed
idrossidici, può essere definita un antiossidante ad “ampio-spettro d’azione”. Secondariamente, in
quanto antiossidante estremamente solubile in acqua, la L-carnosina è in grado di inibire
l’ossidazione delle membrane cellulari dovuta all’azione del ferro, dello zinco, del rame, del
perossido di idrogeno, del radicale ossigeno e dei radicali liberi perossidici e idrossidici.
Dal punto di vista chimico, la molecola della L-carnosina deve la sua attività antiossidante alla
presenza del legame peptidico che esercita un’azione stabilizzante nei confronti del radicale
imidazolico. L’effetto antiossidante della L-carnosina si è infatti dimostrata molto maggiore rispetto
all’attività singola o combinata degli amminoacidi che la costituiscono – il che indicherebbe che il
legame peptidico tra alanina e istidina è coinvolto in modo speciale nell’attività antiossidante
completa della L-carnosina. E’ stato inoltre notato che anche la trasformazione metabolica in
imidazolo, istidina ed anserina, a cui va naturalmente incontro la carnosina, possa giocare un
importante ruolo nella regolazione dello status antiossidante nativo del nostro organismo.
Il graduale accumulo dei microscopici danni causati dall’attività dei radicali liberi alle membrane
cellulari, al DNA, alla struttura dei tessuti ed al sistema enzimatico, conduce ad un progressivo
indebolimento globale dell’organismo ed ad una conseguente maggiore predisposizione alle
malattie.
L’azione protettiva esercitata dalle molecole antiossidanti quali la L-carnosina può dunque risultare
di particolare utilità in tutte quelle situazioni fisiologiche nelle quali l’organismo è sottoposto ad un
elevato stress ossidativo.
Nel caso particolare di atleti o di sportivi, il danno recato dall’ossidazione può essere
particolarmente significativo in seguito all’incremento della produzione di radicali liberi che si
verifica durante l’intensa attività fisica. Sebbene in tali condizioni il fisico aumenti la produzione di
enzimi antiossidanti endogeni (glutatione, anti-perossidasi, catalasi, superossi-dismutasi), un
apporto esterno di antiossidanti attraverso l’alimentazione può comunque prevenire l’eccessiva
ossidazione a carico dei muscoli e degli altri tessuti. Teoricamente, il venir meno dei danni
ossidativi in fase di allenamento, può tradursi in un parallelo incremento delle capacità di ripresa ed
in un conseguente aumento della prestazione atletica.
Azione anti-glicosilazione
La L-carnosina inibisce la formazione delle sostanze indicate con il nome di AGEs, advanced
glycosylation end products (prodotti finali di avanzata glicosilazione).
La glicosilazione non enzimatica, (chiamata “reazione di Maillard” nella chimica alimentare), è la
reazione di gruppi amminici con aldeidi, zuccheri o gruppi chetonici con la produzione di entità
chimiche reattive. Tutto ciò determina la creazione di legami crociati con eventuale formazione di
prodotti finali di glicosilazione avanzata.
Benché il processo di glicosilazione “in vivo” sia lento, esso assume un peso rilevante durante
l’invecchiamento ed in presenza di quelle condizioni patologiche nelle quali i livelli ematici di
zucchero sono elevati (es. diabete). In questi casi, possono originarsi anomalie a carico dei vari
tessuti, in particolare modo di quello connettivo (in seguito al coinvolgimento dei legami crociati di
collagene).
L’analisi della glicosilazione dei siti principali delle proteine ha mostrato come i gruppi amminici
epsilon della lisina siano il bersaglio primario, specialmente in prossimità dei residui di istidina. La
prevalenza di questa sequenza ricorda molto da vicino quella della carnosina. In vitro, la carnosina
può reagire prontamente con gli zuccheri, come glucosio, lattosio e didrossiacetone (DHA) dando
luogo alla produzione di soluzioni scure, caratteristiche della glicosilazione, come descritto da
Maillard. Tra questi zuccheri, il DHA è risultato il più reattivo. La carnosina reagisce con il DHA
più velocemente di quanto accada per la lisina. Questo sta ad indicare che i dipeptidi possono
competere, nella glicosilazione, con altre fonti di ammino gruppi.
E’ stato inoltre osservato che minori cambiamenti strutturali della carnosina (come ad esempio
l’aggiunta di un gruppo metilene) sono in grado di ridurre la sua reattività in tale ambito. La Lcarnosina è in grado di inibire fortemente la glicazione del dipeptide Ac-Lys-His-NH2 ad opera del
DHA. Dal momento che quest’ultima sequenza assomiglia al sito preferito della glicazione nelle
proteine, ciò indicherebbe che la L-carnosina può essere in grado di bloccare la glicazione delle
proteine. Ulteriori analisi hanno mostrato che la L-carnosina può contrastare la formazione del
legame crociato della siero albumina bovina risultante dalla glicazione della proteina ad opera del
DHA.
Tutti i risultati in vitro sono stati osservati con livelli relativamente alti di carnosina (60 – 250 m,m),
dello stesso ordine delle concentrazioni di zuccheri (0.2 – 2 M) o ammino- gruppi proteici presenti
nella miscela di relazioni. Ciò sarebbe conforme al meccanismo d’azione supposto per la Lcarnosina secondo il quale tale sostanza si comporterebbe come un accettore competitivo nella
reazione di glicazione. In tal modo, la concentrazione di carnosina richiesta per inibire il danno
proteico in vivo dipenderebbe dal livello di zuccheri reattivi presenti. Alcuni aminoacidi glicati,
come ad esempio la lisina e l’arginina, hanno rivelato potere mutageno mediante test di Ames. Altri
amminoacidi glicati, come la prolina e la cisteina, non hanno invece mostrato la stessa proprietà.
La formazione di prodotti AGE è particolarmente significativa in quei casi nei quali i livelli di
glucosio nel sangue sono periodicamente elevati (ad esempio nella patologia del diabete). E’ noto
infatti come i livelli di AGE siano fortemente coinvolti nello sviluppo di cambiamenti degenerativi,
comprese la formazione di cataratta e dell’arteriosclerosi. Per disporre di dati certi a tal proposito è
necessario comunque approfondire le ricerche ed estendere i periodi di trattamento.
Alcune ricerche paragonano l’azione di inibizione esercitata dalla L-carnosina nei confronti della
glicosilazione a quella dell’aminoguanidina, l’unico inibitore di glicazione ben documentato.
Tuttavia, la L-carnosina sembrerebbe intervenire ad un gradino precedente nel processo di
glicazione rispetto alla aminoguandina, deviando dunque più precocemente tale reazione verso la
formazione di prodotti non dannosi e rapidamente eliminabili. Inoltre, a differenza della
aminoguanidina, la carnosina è un prodotto naturale ed ha una tossicità estremamente bassa.
Nonostante la L-carnosina si sia dimostrata pienamente efficace già con una somministrazione di
tipo orale, sono comunque necessarie nuove e più estese prove sugli animali al fine di poter
dimostrare l’efficacia della L-carnosina soprattutto nei casi di evoluzione degenerative associate al
diabete.
Contro l’invecchiamento e le patologie tipiche dell’età senile
Ormai noto come la modifica spontanea della proteina ad opera degli aldosi sia una delle principali
cause della degenerazione legata all’età della proteina e del legame crociato, e che essa rivesta un
ruolo importante in alcune patologie dell’età senile, quali ad esempio:
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problemi infiammatori a livello articolare
arteriosclerosi
diabete
morbo di Alzheimer
La carnosina, prevenendo l’accumulo di forme di proteine ossidate, alterate od aventi legami
crociati (evidenti segnali molecolari dell’avanzamento dell’età) può contribuire efficacemente a
ritardare i processi di invecchiamento e diminuire l’ossidazione del DNA.
Interessanti studi hanno recentemente confermato gli effetti benefici della L-carnosina sulla
crescita, sulla morfologia e sulla longevità di colture di fibroblasti umani. In tali sperimentazioni, è
stato evidenziato come un trattamento con 50 mM di carnosina possa permettere il mantenimento di
un fenotipo giovanile in questo tipo di cellule. La rimozione della L-carnosina dal brodo colturale,
ha provocato l’immediata ripresa del processo di invecchiamento. Gli stessi risultati non sono stati
osservati con l’utilizzo dell’isomero D-carnosina.
A. Hipkiss e i suoi collaboratori (Istituto di gerontologia di Londra) hanno evidenziato che la
relazione tra carnosina, aldeidi tossiche, vecchiaia e patologie ad essa correlate può essere un
interessante soggetto di studio, assieme alla potenziale azione terapeutica della L-carnosina e delle
strutture ad essa affini nei confronti di patologie risultanti da modificazioni macromolecolari
mediate da aldeidi.
La L-carnosina, dunque, oltre alle attività antiossidanti e contrastanti la formazione di radicali liberi,
reagisce anche con aldeidi nocive, esercitando una funzione protettiva sulle macromolecole
suscettibili. Da alcune sperimentazioni condotte in vitro è emerso infatti come la carnosina inibisca
la glicosilazione non-enzimatica ed i legami incrociati di proteine indotti da aldeidi reattive.
Anche in questa ricerca è stata quindi confermata la capacità inibitoria della carnosina nei confronti
della formazione dei prodotti finali della glicosilazione avanzata (AGEs) rivolta alle proteine ed
indotta da MDA (malondialdeide, un prodotto della perossidazione dei lipidi) e della formazione di
legami crociati nella proteina del DNA ad opera di acetaldeide e formaldeide.
La somministrazione di 20 mM di L-carnosina ha protetto le colture di fibroblasti e linfociti umani
(CHO) e quelle di cellule endoteliali del cervello di ratti dagli effetti tossici di formaldeide,
acetaldeide ed MDA oltre che da AGEs formatisi all’interno di una mistura di lisina e
desossiribosio. La L-carnosina ha inoltre efficacemente protetto le coltivazioni di cellule endoteliali
dei ratti dalla tossicità del peptide amiloide.
Per questi motivi, la L-carnosina (che non è tossica) potrebbe in futuro essere sperimentata come
coadiuvante per i trattamenti di quelle patologie che coinvolgono aldeidi nocive, quali, ad esempio,
il diabete (e le sue complicazioni secondarie), i fenomeni infiammatori, i danni epatici da alcool e
probabilmente il morbo di Alzheimer.
La potenziale capacità anti-glicante della carnosina suggerisce che questo dipeptide può essere
preso in considerazione nel trattamento dei diabetici, laddove la glicazione rappresenti il primo
passo verso effetti patologici secondari rilevanti. L’omocarnosina mostra una reattività più bassa
della carnosina ed indica che alcuni cambiamenti strutturali minori influenzano i relativi livelli di
glicazione.
Ciò permetterebbe la progettazione di sostanze analoghe alla carnosina che abbiano differenti gradi
di reattività durante le diverse fasi del processo di glicazione e, insieme alla carnosina, possano
essere usati come strumenti per ulteriore indagini. La glicazione in vitro di altre molecole quali i
tripeptidi è stata infatti descritta, ma la loro suscettibilità verso le peptidasi in vivo ne restringe il
potenziale utilizzo. La L-carnosina invece, in virtù della sua natura di β-peptide, non è facilmente
attaccabile da peptidasi non specifiche.
E’ stato dimostrato inoltre che la carnosina protegge le proteine dalle modificazioni mediate da
metilglioxal, vale a dire da un metabolita endogeno presente in concentrazioni elevate nei diabetici
ed implicato nella formazione dei prodotti finali della glicosilazione avanzata e nelle complicazioni
diabetiche.
L’azione di contrasto esercitata dalla L-carnosina nei confronti dell’arteriosclerosi è stata
evidenziata in alcuni studi condotti su animali. E’ noto inoltre come il potere antiossidante associato
alla carnosina possa contribuire alla prevenzione della perossidazione lipidica, fenomeno che gioca
un ruolo rilevante nell’insorgenza della patologia dell’arteriosclerosi.
Dal momento poi che la L-carnosina viene prontamente assorbita e raggiunge il plasma intatta, la
sua attività antiossidante può ben esplicarsi anche sul fronte dell’ossidazione delle lipoproteine a
bassa densità (LDL) e quindi contribuire anche sotto questo aspetto alla prevenzione
dell’arteriosclerosi. L’introduzione con la dieta di molecole antiossidanti quali la L-carnosina, può
dunque influenzare favorevolmente la capacità antiossidante del siero e proteggere contro la
perossidazione dei lipidi e tutte le problematiche ad essa correlate.
Le proprietà antiglicanti ed antiossidanti della carnosina contribuiscono anche all’esplicazione della
sua azione di contrasto esercitata nei confronti del morbo di Alzheimer. In tale frangente, il
meccanismo protettivo della carnosina si esplica a livello delle cellule neuronali ed epiteliali contro
l’attività del peptide B-amiloide. Questa sostanza è implicata nelle disfunzioni vascolari del cervello
ed è considerata una neurotossina primaria nel morbo di Alzheimer. Essa inibisce infatti la
moltiplicazione delle cellule endoteliali ed è direttamente tossica per l’endotelio vascolare
periferico e cerebrale.
Nel cervello ciò può dare origine ad un indebolimento della barriera emato-encefalica. E’ stato
supposto che una prolungata diminuzione di questo tipo possa acutizzare (o anche generare) il
morbo di Alzheimer attraverso disturbi cronici nella omeostasi extracellulare fluida del cervello –
che è una delle principali funzioni della barriera emato encefalica – nonchè attraverso un aumento
della presenza della proteina precursore dell’amiloide.
Azione neuroprotettrice
La specifica concentrazione del peptide endogeno L-carnosina a livello cerebrale, oltre che
muscolare, ha aperto la strada alla formulazione di diverse ipotesi sulla sua funzione biologica in
tale comparto.
A tal proposito, è stato osservato che la carnosina risulta spesso associata a quei neuroni che, pur
essendo totalmente dipendenti dal glucosio, sono più longevi. Tutto ciò potrebbe essere una
conseguenza della già nota azione anti-invecchiamento ed anti-glicosilazione della carnosina.
Qualora accadesse, infatti, che la carnosina in vivo subisse una glicosilazione, il prodotto risultante,
proprio perché di carattere non-mutageno, non solo non andrebbe ad ostacolare le funzioni
omeostatiche volte alla preservazione dell’integrità delle proteine, ma diminuirebbe altresì la
produzione di agenti mutageni endogeni. L’azione antiossidante, studiata con modelli in vitro ed in
vivo si è rivelata protettiva nei confronti del danneggiamento provocato ai neuroni dai radicali
liberi, soprattutto di tipo idrossilico. Il meccanismo coinvolto comprenderebbe l’attivazione della
Na, K-ATP-asi e la riduzione dell’attività della tirosina-idrolasi (enzima normalmente attivato dalla
presenza di radicali liberi).
Non è da dimenticare inoltre che la L-carnosina è un dipeptide solubile in acqua in grado però di
catturare i prodotti della lipoperossidazione. Durante il processo di ischemia cerebrale, ad esempio,
la carnosina agisce da neuroprotettore contribuendo al miglioramento dell’afflusso del sangue al
cervello, alla normalizzazione dell’elettroencefalogramma, alla diminuzione dell’accumulo di
lattato ed alla protezione nei confronti delle ROS (specie ossigeno reattive). La L-carnosina può
essere dunque considerata uno specifico regolatore delle principali vie metaboliche con le quali i
neuroni sostengono l’omeostasi cerebrale in condizioni favorevoli.
La L-carnosina possiede inoltre una funzione antiossidante che comprende anche la chelazione dei
metalli. In un recente studio, la carnosina è stata proposta come neuromodulatore. I ricercatori si
sono serviti della correlazione tra corrente di cella e tensione applicata per esaminare gli effetti
diretti e le azioni neuromodulatrici della carnosina sui neuroni del bulbo olfattivo dei ratti in colture
primarie. Rame e zinco hanno inibito N-metilaspartato e le correnti mediate da recettori GABA ed
hanno inibito la trasmissione sinattica. La carnosina ha svolto un ruolo preventivo verso l’azione del
rame ed ha ridotto gli effetti dello zinco. Tali risultati dimostrano che la carnosina può influenzare
in modo indiretto l’eccitabilità neuronale modulando gli effetti dello zinco e del rame.
La L-carnosina, essendo poi in grado di neutralizzare i protoni in eccesso, può ulteriormente
contribuire alla difesa delle cellule nervose nei confronti dei deleteri effetti scaturibili anche da
questo tipo di influenza ambientale.
Contro gli effetti muscolari dell’alcolismo
L’uso prolungato e cronico dell’alcool è associato ad una riduzione della sintesi proteica nella
muscolatura scheletrica.
Le fibre di tipo II della muscolatura scheletrica (ovvero quelle con un metabolismo glicolitico
anaerobico) subiscono una riduzione. La forma cronica di miopatia scheletrica dovuta ad alcolismo
è caratterizzato da una atrofia selettiva delle fibre di tipo II e colpisce fino ai 2/3 di coloro che
abusano nel consumo di alcolici. La sottospecie di fibre di tipo IIb (che hanno pochi mitocondri o
non ne hanno affatto) risultano particolarmente danneggiate. La sottospecie di fibre di tipo IIa, e
specialmente le fibre di tipo I a lenta contrazione (aerobico-ossidative), sono relativamente più
resistenti.
Negli alcolisti miopatici, la L-carnosina del plasma risulta ridotta così come quella presente a livello
muscolare. I pazienti alcolisti rivelano anche un aumento degli indici di perossidazione lipidica.
Inoltre, l’indubbia presenza di un elevato numero di radicali liberi (ovvero elettroni non accoppiati
o specie ossigeno-reattive) gioca un ruolo importante nella patogenesi di malattie muscolari indotte
dall’alcool.
I meccanismi che riguardano il coinvolgimento del danno da ROS (specie reattive dell’ossigeno)
nella eziologia dei disordini dovuti all’abuso di alcool nei tessuti non muscolari sono stati
frequentemente studiati. I ROS possono allo stesso modo essere coinvolti nella patogenesi della
miopatia e della cardiomiopatia da alcolismo.
In due interessanti studi è stato osservato come, in presenza di L-carnosina, gli eritrociti di alcolisti
in crisi d’astinenza abbiano significativamente incrementato la loro capacità di resistere alla emolisi
acida. In tali soggetti, la carnosina ha infatti prodotto effetti benefici sullo stato patologico degli
eritrociti, normalizzando la morfologia cellulare. In sintesi, la L-carnosina ha rivelato di possedere,
nei soggetti alcolisti, una sensibile capacità stabilizzante e rigenerativa nei confronti degli eritrociti.
Per la pelle
La L-carnosina, grazie alle sue naturali proprietà antiossidanti può efficacemente contrastare il
naturale processo di invecchiamento del nostro organismo. La pelle, che è notoriamente uno dei
primi apparati nei quali è visibile l’azione di degenerazione radicalica, risente dunque positivamente
dell’azione della L-carnosina. E’ stato anche dimostrato come la L-carnosina assunta con la dieta od
applicata per via topica possa preservare le difese immunitarie cutanee in presenza di esposizione a
raggi ultravioletti (UVB) o di agenti chimici quali l’acido urocanico.
E’ inoltre noto che la formazione di legami crociati tra fibre di collagene adiacenti è uno dei
processi che provocano la caratteristica comparsa di rughe e la conseguente perdita di elasticità.
Tale fenomeno avviene naturalmente con l’avanzare dell’età e può essere accelerato
dall’esposizione ai raggi solari. Date le proprietà antiossidanti ed anti-glicosilanti della L-carnosina,
è presumibile che essa possa contribuire positivamente alla prevenzione della formazione di legami
incrociati nel collagene e nelle altre proteine cutanee.
La carnosina può inoltre aiutare la rimarginazione delle lacerazioni, come mostrato da numerosi
studi condotti in vivo ed in vitro.
Azione immunostimolante
L’azione immunomodulatrice attribuita alla carnosina necessita ancora di alcuni chiarimenti
riguardo al preciso meccanismo d’azione. Dalle ricerche fino ad ora condotte, sembra che sia
coinvolta l’attivazione delle cellule T e B oltre ad una stimolazione stereo specifica dei macrofagi
peritoneali.
In un recente studio, la carnosina e l’anserina hanno dimostrato di riuscire a modulare la funzione
cellulare dei neutrofili e la funzione delle cellule U937, specialmente nei riguardi dell’atto
respiratorio, della produzione di interleukin-1-beta e dell’apoptosi. Entrambi i peptidi, infatti, hanno
provocato un aumentato della capacità respiratoria e della produzione di interleukin-1-beta dei
neutrofili umani, ma non delle cellule U937. I risultati ottenuti suggeriscono che la carnosina e
l’anserina sono in grado di modulare la risposta immunitaria perlomeno a livello dei neutrofili
umani.
Azione sulla muscolatura
Grazie alle sue numerose proprietà, la L-carnosina può rappresentare l’aiuto ergogenico di nuova
generazione. Similmente a quanto è stato osservato per il tessuto cerebrale, infatti, la naturale
concentrazione della L-carnosina nel muscolo può trovare molteplici spiegazioni funzionali, molte
delle quali sono davvero sorprendenti e possono a buon ragione indirizzare l’utilizzo di questa
sostanza in ambito sportivo.
A livello muscolare, le ormai note proprietà della L-carnosina possono apportare benefici su diversi
fronti. In particolare, l’assunzione di tale molecola ha la potenzialità teorica di:
• aumentare la forza grazie alla sua capacità di stimolare la contrazione muscolare attivando
gli enzimi responsabili della produzione di tali contrazioni (ATPasi miofibrillari);
• aumentare la sensibilità delle proteine contrattili presenti nei tessuti muscolari agli ioni Ca2+
;
• aumentare la resistenza allo sforzo muscolare, combattendo gli effetti dell’acido lattico
(azione tamponante) e dei radicali liberi;
• proteggere il corpo dal danno dei radicali liberi scaturiti da un intenso esercizio fisico
(azione antiossidante);
• probabilmente diminuire i tempi di recupero dagli infortuni.
La L-carnosina è un dipeptide endogeno che contribuisce al sistema di difesa antiossidante della
muscolatura scheletrica. E’ in grado di inibire l’ossidazione dei lipidi già in concentrazioni simili a
quelle presenti nella muscolatura scheletrica (5-25 mM). Abbiamo inoltre visto che il meccanismo
antiossidante della carnosina è multifunzionale poiché può sia operare una chelazione sui metalli
che eliminare i radicali liberi.
Il ruolo primario della carnosina a livello muscolare è quello di eliminare gli ioni di idrogeno
prodotti durante i periodi di rapida glicolisi. Questi normalmente conducono ad un accumulo di
acido lattico che si verifica soprattutto in concomitanza di sforzi fisici brevi ed intensi, quali rapide
accelerazioni od esercizi vicini ai massimali. In sostanza, la L-carnosina agisce come un’agente
eliminante intramuscolare, ritardando l’accumulazione di acido lattico.
E’ stato calcolato che dall’insieme dei dipeptidi muscolari (principalmente L-carnosina) può
dipendere circa il 10%-40% della globale capacità tamponante del tessuto muscolare. Durante gli
allenamenti più intensi, la L-carnosina può dunque giocare un ruolo di fondamentale importanza
nella prevenzione della riduzione del pH provocata da accumulo di acido lattico e, quindi,
contribuire al globale miglioramento del rendimento fisico.
Benché questa teoria non sia stata supportata da sufficienti studi clinici, da ricerche condotte su
cavalli da corsa è comunque emerso che le concentrazioni di L-carnosina muscolare sono maggiori
nei muscoli con un’alta percentuale di fibre glicolitiche a veloce contrazione e più basse nei muscoli
con un numero prevalente di fibre ossidative a basso potere di contrazione. Oltre ai potenziali effetti
sul metabolismo anaerobico (acido lattico), la L-carnosina può incrementare il metabolismo
ossidativo (aerobico) attraverso l’aumento dell’efficienza dei mitocondri nella produzione di
energia cellulare.
Tra gli sportivi, i livelli di L-carnosina muscolare sono notoriamente più alti tra coloro che
praticano sport con richieste anaerobiche più alte (canoisti e velocisti). Negli atleti che praticano
attività a sforzo prolungato (maratoneti) si riscontrano minori concentrazioni muscolari di Lcarnosina, le quali sono comunque superiori a quella presente nei soggetti non allenati.
L’assunzione di L-carnosina è associata ad un aumento della prestazione fisica, specialmente se di
tipo anaerobico. Essa rappresenta anche un efficace ritardante della sensazione di dolore muscolare
che accompagna gli allenamenti più intensi, migliorando la velocità di recupero ed i tempi di
guarigione.
Il contenuto di L-carnosina nella muscolatura può essere influenzato dall’apporto introdotto con la
dieta sia in termini del dipeptide in se che degli aminoacidi che lo compongono (istidina in
particolare).
L’utilizzo della L-carnosina come integratore alimentare, oltre a mediare il danneggiamento
provocato dai radicali liberi, può anche contribuire favorevolmente all’eliminazione dell’acido
lattico nel tessuto muscolare e nel sangue ritardando la comparsa del dolore localizzato.