La Famiglia Caracciolo

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La Famiglia Caracciolo
1
Lode a Pannarano
Al mio paesello
perché:
è il più bello.
Guardando i monti
questa sua magia
accende poesia ed armonia.
Al mio paesello
semplicemente
perché è il più bello.
2
Il soave giardino di Pan-Darano
Nobile
s’elevò
nel borgo il cuore
dell’uom:
che vide i monti
lo splendore
lo estasiò
questo giardino
fu lodato
dall’estro
d’umiltà
fu decantato.
E’ l’uomo
che la spada
diede onore
lo consacrò
nel tempio
delle glorie.
3
4
Grazie all’archivio storico di Napoli
Cosa ho fatto
una banalità
si potrebbe affermare:
raccogliere
dall’archivio storico di Napoli
gli scritti
narranti
la Famiglia Caracciolo.
Sei mesi di tenacia
sei mesi di passione
tutti i giorni a mie spese
nel lontano 2000
Fra le virtù Bizantine
Svevo
normanno –longobarde
angioino – spagnole.
Ci volle pazienza
tanta passione
per rendere infine gloria
ha chi visse d’autorità
nei borghi nobili di beltà.
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Ma non si può
blaterare
al vento
pensieri errati
specialmente
di chi visse l’umanità
lasciando visive segni
secoli fa.
Un grazie speciale va:
al Nobile Duca
Giovanni Pignatelli della Leonessa
che con paziente virtù
volle correggere
gli errori commessi
in frettoloso agire
sulle origini del suo casato
regnante
dal 1260
in San Martino Valle Caudina
e molte baronie
d’incantati borghi.
Grazie con stima
Giuseppe Pagnozzi
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Pensier di Psiche
Mi Promisi un giorno
di ritornare agli albori
di ciò
che fu
il mio paesello.
Per non dimenticare
che infondo
la storia
è bella da raccontare
perché:
ogni uno di noi
ha una propria radice
è da essa
nasce la qualità
che differenzia
l’umanità.
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Le Vanità nobiliari
Mirando
questi borghi
oh sognatore
udrai
dell’eco d’uomini
sangue e terrore.
Perché il medioevo:
questo donava
ha chi con la spada
il potere cercava.
Ma fra ville
castelli di nobiltà
celarono glorie
capricci e vanità.
Scritti nel marmo
dei loro blasoni:
eco e simboli
d’antichi valori.
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La Storia
La Storia
fu scritta
in ogni borgo
in ogni via
da chi fu nobile d’ipocrisia.
Con spada
corazza
blasone e mantello:
si arricchì
sul volgo regno
luce del sole
tenebre d’ardore.
E’ negli archivi
la storia celata
fu nei lustri conservata.
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Aprendo un libro
rivive dal passato
hai posteri
il pensiero lodato:
di chi seguì la maestà
dettò leggi scritte
all’umanità.
Sei mesi a Napoli
mi son fermato ha guardare
ed ora questi pensieri
li voglio narrare
perché fan parte
del DNA
d’ogni borgo di libertà.
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Ogni cittadino
dovrebbero ricercare
l’origine, l’emblema
del luogo natale.
Per curiosità
radici sacre d’umiltà.
Ma gli amministratori Comunali
sempre più avari
rendon vano
l’esser sole
celando lo specchio
d’antiche glorie.
Guerrier di Lode
Furon Guerrieri.
Astuti condottieri.
Nell’era
in cui la guerra
rendeva fieri.
Divennero nobili
dall’uomo elogiati
perché:
Feudatari furon creati.
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La brezza sublime del Partenio
Cantan le muse
l’armonia e l’amore
allo scroscio dell’acqua
culla
il vento d’ardore.
Ammirando fra i monti
l’oro
che pura beltà:
decanta di psiche
il fiore d’umanità
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La mano di Giuda
Le qualità
di una persona:
si dimostrano nell’agire.
Se d’autonoma
psiche il bagliore:
sa risplendere
eco del sole.
Ma se falso
l’altrui l’inganna:
non resta altro
che rispolverare
le ceneri infrante
raccattare
per poter fiero
d’orgoglio trionfare.
Giuseppe Pagnozzi
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La Famiglia Caracciolo
Bizantino
fu il cuore.
Di Bisanzio l’amore
che diede hai Caracciolo:
l’umane lor glorie.
E’ tale fu l’origine, di questi guerrieri:
Caraczuli, Caracolo, Caraccolo
che già, alla corte degli Imperatori romani
dell’Impero romano d’Oriente, vantava virtù
un casato detto: << Caraccolo di Bisanzio >>.
Ma:
nel III° secolo dopo Cristo, il potere dei Caraccolo
accrebbe di tale vigore: che Edussia Caraccolo
fu moglie dell’ imperatore Arcadio.
Come anche:
Ambusto Caraccolo, duca di Antiochia
fu acclamato imperatore, dell’ Impero
Romano d’Oriente, in luogo del deposto
Michele Stratiotico.
Ma rinunciatone ha favore:
di Isacco Comneno.
Tali le glorie che vide la dinastia, che:
nell’alternarsi delle generazioni, vollero
lasciar Bisanzio, per seguir Costantino I°
che fu grande a Roma.
Padrone di un regno:
che vide in Napoli, l’ascesa Bizantina
in contrapposizione ai Longobardi.
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E’ fu tale la bellezza del golfo e l’aria
sublime e pura: che ha seguito di Sergio II °
stabilirono la loro residenza, di fieri cavalieri
cresciuti di fama e ricchezze
al monte de li Caraczuli , che il tal Teodoro
ebbe, quale capostipite:
dei Caracciolo napoletani presso il Vesuvio.
Così si dissero Caracciolo da lor tradizione
quale più antica e prospera Nobiltà napoletana.
In Grecia:
sul monte Athos, vi fu un monastero
Caraccolo, fondato da un Caracciolo
e rivendicatolo per discendenza nel XIV° secolo
da Logorio Caracciolo, governatore dell’ Acaia
in nome di re Roberto d’ Angiò.
Una leggenda napoletana, sulle origini del casato
narra che:
<< nel IV° secolo, l’imperatore Costantino
cercò d’acquistare alcune case, nel quartiere
Nilo a Napoli, con l’intento di costruirvi
una grande chiesa.
Ma tali abitazioni, non potettero essere
acquistate dall’ Imperatore, il quale, dovette
erigere una chiesa molto piccola.
E’ quindi, molto adirato, perché il proprietario
non volle cedergliele, fece apporre
a caratteri cubitali la scritta:
“ Non si può più per lo malvaso Carfù. “>>
Questo: fu il nome, del testardo personaggio
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che fece adirare l’Imperatore.
E’ dalla cui tradizione volle:
<< siano nati i Caracciolo >>.
Fonti certe su questo famiglia, vi furono già
nel IX° secolo, quando Pietro Caracciolo
abate di San Giorgio, nell’ anno 844
fondò un ospedale, vicino alla chiesa
di Santa Maria a Selice, mentre
nello stesso anno, molti Caracciolo
venivano qualificati quali:
“ Nobiliores Homines “.
Il capostipite della dinastia, fu Pietro Caracciolo
che nel IX° sec., stabilì la sua dimora a Napoli
ed il quale possedeva dei terreni
presso il Vesuvio e nel luogo detto:
“ Monticelli de li Caraczuli “, ereditati
dall’ avo Teodoro.
Il suddetto Pietro, ebbe fra i suoi discendenti:
Landolfo, che sposatosi nel 1110 con
Anna Gaetanini, ebbe due figli, i quali furono
Riccardo detto il “ Rosso “, capostipite
dei Caracciolo Rossi.
Filippo il “ Pisquizio “, capostipite dei
Caracciolo Pisquizi.
Due fra i più potenti rami, cui si divisero
i Caracciolo, ascritti ed amministratori
del seggio di Capuana.
Nel 1270, i Caracciolo si identificarono
come un casato detto le Tre di Napoli:
<< Capace, Caracciolo, Carafa. >>
Rispecchiando in esse, le più antiche
nobiltà napoletane, per l’ enorme
potere delle stesse.
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Nel XII° secolo, si differenziarono
per le doti diplomatiche, ed i poteri
accumulati, quattro rami cadetti principali
ovvero:
 I Caracciolo Rossi;
 I Caracciolo Cannella;
 I Caracciolo di Capua;
 I Caracciolo Carafa.
Originariamente i Carafa, costituirono
un ramo dei Caracciolo, ma mutarono
il cognome quando circa nel 1290
Gregorio Caracciolo, fu incaricato
da Carlo I° d’ Angiò, fratello di Luigi IX°
il Santo, re di Francia, il quale:
per volere papale divenne re di Napoli
di riscuotere la gabella sul vino, meglio
identificata come:
“ Campione della Carafa. “
La fortuna dei Carafa, arrivò nel XIV° secolo
quando Bartolomeo III°, fu incaricato
da re Roberto D’Angiò, d’importanti cariche
accumulando molteplici ricchezze.
Da Bartolomeo III° Carafa, detto “ della Spina “
discesero i Conti di Policastro ed i principi
di Roccella.
L’ origine dell’ appellativo “ della Spina “
va ricercato in un aneddoto, in cui Bartolomeo
e suo fratello, cavalieri della famiglia Carafa
parteciparono ad una giostra, organizzata
nel campo del castello in San Giovanni a Carbonara
da re Carlo II° d’ Angiò detto “ Lo Zoppo “.
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I Due: ostentarono sullo scudi d’ arma, tre fasce
d’ argento in campo rosso, suscitando le meraviglie
del sovrano, che due privati cavalieri esibissero
l’armi regie d’ Ungheria, per cui i due, presi
da un arbusto lì vicino, una lunga spina
coprendo lo scudo, così da ottenere l’appellativo:
“ di cavalieri della Spina “.
Da Antonio, detto “ Malizia “, per le sue doti
in campo diplomatico, discese il ramo Stadera:
dato che sullo scudo d’ arma aggiunse
una bilancia stadera, quale simbolo di giustizia “.
Casato di illustre virtù, a cui appartenne:
Diomede Carafa, nato nel 1406 e morto 1487
in Napoli“, capostipite dei Conti di Maddaloni
che fu titolare d’innumerevoli cariche di rilievo
affidategli da Alfonso I° di Aragona e Ferdinando I°.
Divenuto in seguito responsabile dell’ educazione
del figlio di re Alfonso principe ereditario
duca di Calabria.
Oliviero Carafa, 1430-1511, arcivescovo
di Napoli e Cardinale, fu l’artefice della
costruzione della Cappella Carafa
nel palazzo della Speranza nel Duomo di Napoli
e del Palazzo che in seguito divenne una reggia.
Altro membro celebre:
fu Giovan Pietro Carafa, nato a Sant’ Angelo
a Scala ( Av) nel 1476.
Figlio del duca di Montoro inferiore, ebbe
incarichi importanti nella curia romana
con titolarità vescovili a Brindisi nel 1518
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ed a Napoli.
Fu nunzio apostolico in Spagna ed in Inghilterra
risiedendo a Venezia nel periodo di diffusione
e propagazione del protestantesimo
o luteranesimo.
Fautore della riforma cattolica, fu membro
dell’oratorio del Divino Amore e fondò
insieme a Gaetano da Tiene:
l’ordine dei Teatini, nel cui ordine si formarono
grandi Maestri dei Templari, al cui ordine aderì,
per il principio di liberare Gerusalemme
dagli Ottomani.
Con la morte, di Papa Marcello II°, 1555, raggiunse
la soglia pontificia con il nome di Paolo IV°, ormai
in tarda età mantenendola fino al 1559, anno
della sua morte.
Divenuta Papa:
Giovan Pietro, fu aspro persecutore
del protestantesimo, dando ampio potere
al tribunale del Santo Uffizio ed alla Inquisizione.
Perseguitò e torturò gli adepti della nuova riforma
ricorrendo all’ ordini, di bruciarli al rogo con
pesanti accuse d’ eresia.
Fautore: di un accesa censura editoriale
con l’ introduzione dell’ Indice dal latino INDEX
editto emanato con bolla papale del 1557
divulgato poi con ordinanza supremo
del Santo Uffizio, con cui si sanciva la censura
di ogni testo, cui la Chiesa reputava non consone
alla morale ed al costume, non rispecchiando
il pensiero delle sacre scritture, massima
legge dei popoli a cui gli umani dovevano
cieca obbedienza, ordinando la scomunica
per coloro, che si sottraeva a tale editto.
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Editto mantenuto fino al 1700.
Ridusse ed emarginò ogni corrente
Umanistica ed irenica cristiana.
Poco favorevole al Concilio di Trento
incentrò tutto il suo potere alla lotta
delll’eresie del protestantesimo, rifacendosi
ad un modello teocratico:
della supremazia del Papa sui Principi
accumulando molteplici ricchezze personali.
Il suo pontificato, si rivestì più d’insuccessi
che di successi.
Entrò in conflitto, con il re Carlo V°, da cui
ne scaturì una guerra feroce contro il figlio
Filippo II° nel Napoletano, dal quale il Papa
ne uscì letteralmente sconfitto.
Alla sua morte il Vaticano si trovò, in una
difficile condizione Politico - economica - sociale.
Per sbeffeggiarlo, i romani composero un sonetto
Che qui riporto a ricordo della sua tirannia:
Carafa in odio al diavolo ed al ciel
è qui sepolto
col putrido cadavere
lo spirito erebo ha accolto.
Odiò la pace in terra, la pece ci contese.
ruinò la Chiesa ed il popolo
Uomini e cielo offese.
Infido amico, supplice
ver l’oste a lui nefasto.
Di più vuoi tu saperne?
fu Papa e tanto basta.
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Carlo Carafa, nato nel 1476 , nipote
di Paolo IV.
Per volontà dello zio divenne cardinale
ma subordinò gli interessi della chiesa
a quelli del casato, portando la famiglia
in rovina, per questo fu fatto giustiziare
dallo stesso zio Giovan Pietro nel 1559.
Altra figura storica dei Carafa, fu il marchese
Antonio, nato a Napoli nel 1538, fu cardinale
e curatore dell’ edizione critica della bibbia
dei settanta.
Partecipò insieme ad altri, alla correzione
della vulgata, morendo a Roma nel 1591.
Gran condottiero di questo casato, fu
il marchese Girolamo, nato a Montenero
nel 1564, fu investito del titolo:
di principe del S.R.I nel 1620 morì dopo
numerose battaglie a Genova nel 1633.
Altro nome illustre, fu il duca di Andria
Vincenzo, nato nel 1585, divenne il settimo
generale della compagnia di Gesù.
Rimasti sempre numerosi, nell’ avvicendarsi
delle generazioni, a tal punto che:
Ferdinando I° di Borbone , 1751-1825
il “ Lazzarone “ re di Napoli soleva affermare:
<< Per le strade di Napoli, ovunque
ti giri e volgi lo sguardo:
trovi un Caracciolo
e na pecora che pasce>>!. “
Il fatto d’esser, così numerosi, consentì
hai Caracciolo d’acquisire enormi poteri
dividendosi in vari rami, ognuno
con propri feudi.
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Ed essendo la dinastia molto vasta
ed influente nelle corti regali
per potersi identificare adottarono
i soprannomi più strani e fantasiosi:
 Arbusti- Barba- Bulloni- Cannella
 Carafa – Rossi - Cassano
 Farina- Folli-Lavoratori- Naselli
 Pisquizi - Pessimi
 Forti -Spesati- Viola- ecc.
Ai tempi della dominazione Svevia
occuparono posti di primo piano sia
in campo politico che militare.
Giovanni Caracciolo, già vice re in Sicilia
fu nel 1228 l’ anima della difesa d’Ischia
assediata dai genovesi ribelli all’ imperatore.
Quando, si vide perduto, anziché arrendersi
preferì finir bruciato vivo, in una delle torri
del castello che difendeva.
Landolfo: conte di Montemarano e signore
di molte terre, era imparentato con la casata
di Svevia, ed Alberto Caracciolo consanguigno
di re Manfredi, fu gran maestro dei templari.
Sempre fedele al casato di Svevia
34 feudatari della famiglia Caracciolo
combatterono a fianco di Manfredi
contro il Papa, il quale nel 1260
vista l’ espansione del casato Svevia
sulle terre del meridione e vedendo in esso
una minaccia per i limitrofi territori della chiesa
Papa Clemente IV°, chiamò in aiuto i francesi
guidati da Carlo I° d’ Angiò, Conte di Provenza
fratello di Luigi IX il Santo, re di Francia.
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Egli:
dopo sanguinose battagli, Manfredi
fu ucciso a Benevento e gli Angioini
divennero signori di Napoli e Sicilia.
Nel 1267, dietro richiesta dei baroni
ostili al casato angioino, scese in Italia
Corradino di Svevia, ultimo discendente
della dinastia Hohenstaufen, già re
di Germania, per riconquistare, i territori
del regno meridionale assoggettati
agli angioini, vendicando la morte
di Manfredi, ucciso dalla congiura.
Non trovando difficoltà, raggiunse Roma
spingendosi più a sud, verso Tagliacozza
dove si disputò una feroce battaglia, in cui
Corradino subì la sconfitta, da parte
dell’esercito franco – papalino.
Rifugiatosi presso Giovanni Frangipane
signore di Asturi , credendolo suo amico
per riorganizzare le truppe, fu tradito
durante il banchetto, incappucciato
e consegnato nelle mani di Carlo d’ Angiò
il quale lo fece processare e decapitare
insieme al duca d’Austria Federico.
Le spoglie dei due, riposano, nella chiesa
di Santa Maria del Carmine Maggiore
voluta, fatta erigere, da Carlo I° d’ Angiò
nel 1270, con il contributo di Elisabetta
di Baviera e Margherita di Borgogna
contessa di Tonnerre.
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Re Carlo fece collocare in uno dei capitelli
della chiesa la seguente frase:
“ Asturis Ungue Leo Pullum Sapiens
Aquilinum Hic Deplumavit Acephalumque
Dedit. AD MCCDXX.
Il Leone d’ Austria, dopo aver rapito
con gli artigli un pulcino d’ Aquila, l’ ha
spiumato e decapitato.
AD 1270 “.
Con la venuta quindi, di nuovi sovrani
la famiglia Caracciolo, dovette assoggettarsi
alla nuova signoria, raggiungendo
grandi onori e potenza, misti a drammi festosi
ed inverosimili tragedie, precipitando
risollevandosi con maggior vigore
riportando gratificanti glorie e regalando
figure di grande rilievo.
Enrico Caracciolo Rossi, nato nel 1300
fu gran camerlengo del regno, ed amante
della regina, tra i cavalieri più prodi
alla corte di Giovanna I, raggiunse il culmine
della potenza, ma perse la testa, fattagli
mozzare da Luigi di Taranto, secondo marito
della regina, nel 1350, su suggerimento
dell’ invidioso gran siniscalco Acciaiuli.
Luigi: sposò Giovanna I d’ Angiò, dopo aver
partecipato all’assassinio d’Andrea
di Ungheria, primo marito della regina
assassinato per volontà di Niccolò Acciaiuoli
per combinare il matrimonio con Luigi di Taranto.
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Dopo l’affronto subito al fratello d’armi
Andrea, Luigi d’Ungheria, scese in Napoli
nel 1348, per conquistare il regno in onore
del nobile uomo defunto.
Qui:
Enrico Caracciolo, combatté valorosamente
Luigi d’Ungheria, con l’esercito angioino
al fine di consentire alla regina di rifugiarsi
nel suo castello in Provenza, mentre Napoli
veniva assoggettata agli invasori fino al 1352.
Ma la regina, riordinato l’esercito, ripartì guidato
dal Caracciolo alla conquista di Napoli.
Dopo una sanguinosa battaglia, in cui partecipò
lo stesso Enrico.
In Provenza, grande importanza, rivestì Marino
Caracciolo Pisquizi, cugino di Enrico, grande
maestro di corte, il quale, entrò in conflitto
con il cugino, siniscalco della regina.
Egli combatté valorosamente con la retroguardia
angioina, consentendo alla regina, di rifugiarsi
nella sua fortezza in Basilicata.
Creato Cavaliere, il Marino fu capostipite
della dinastia dei principi di Avellino, dei Marchesi
di Brianza e Sicilia, dei Baroni di Pannarano
dato che il figlio Cornelio Caracciolo, sposando
Antionia Sarnottano, fra i loro figli ebbero
Ettore Caracciolo, vice castellano ed in fine
Castellano di castel dell’Ovo, il quale sposando
Isabella Lopez, fra i suoi figli ebbe
Giovanni Antonio, Barone di Pannarano
per aver acquistato il feudo, dalla corona
Aragonese nel dicembre 1509.
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Rimasta vedeva, nel 1362, Giovanna, sposò
nel 1363 Giacomo III d’ Aragona Maiorca
ed in seguito Ottone di Brunswick.
Ma non avendo eredi dai 4 mariti, delegò
tutto il suo regno a Carlo di Durazzo.
Ma schieratasi successivamente, con
l’ anti Papa Clemente VII° nel 1378
venne scomunicata, ed imposta dal papato
la salita al trono di Napoli e Sicilia di Luigi II°
d’ Angiò, fratello di Carlo V°.
Ma imminenti si scatenarono le milizie
di Carlo III° di Durazzo, entrato in Napoli
nel 1381.
La regina, catturata nel suo castello
di Muro Lucano, fu fatta strangolare
da Carlo.
I beni della regina in Sicilia, furono alienati
a Federico III d’ Aragona, vista la riconoscenza
della regina ha suo vassallo.
Importante figura dei Caracciolo, fu Giovanni
detto “ Ser Gianni “ , 1374, del ramo
dei Caracciolo Pisquizi del Sole e figlio
di Marino, primo fra dieci figli, costruì
la sua ascesa sociale, grazie alle sue doti
di cavaliere medievale cresciuto alla corte
angioina.
Servì in armi Ladislao, quando succeduto
al padre Carlo III° , nel 1386, dovette scacciare
il cugino Luigi II° d’ Angiò, nel 1411, il quale
pretendeva il trono, grazie, anche all’ appoggio
dell’ antipapa Giovanni XXIII, oltre alle sommosse
delle classi baronali, placate proprio grazie
all’ intervento influente del Caracciolo.
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Nei pressi di Roccasecca, in piena
battaglia fra Ladislao e Luigi, Ser Gianni
intravedendo il suo re in netto svantaggio
rispetto alle milizie francesi, indossò
le sopravvesti reali, per incoraggiare
i combattenti angioini, a scacciare i francesi
rientrando nell’ accampamento, solamente
a notte inoltrata, con le vesti logorate
sanguinanti, per le numerose ferite
avute dal nemico, ma fiero, che il suo sovrano
ebbe salvato, l’ impero, dalle mire
espansionistiche dei francese
guidati da Luigi d’ Angiò.
Divenuto in seguito, il favorito e l’amante
della regina Giovanna II°, ascesa al trono
alla morte del fratello Ladislao, la quale regina
non avendo eredi, dal matrimonio contratto
con Guglielmo d’ Asburgo, sposò
in seconde nozze Giacomo di Borbone
con il disappunto della nobiltà locale
i quali, videro in Giacomo, una vicinanza
francese nel regno.
Ma non avendo eredi, relego tutti i suoi
poteri al Caracciolo che divenne vero
padrone del regno.
Fu rivestito del titolo di gran Siniscalco
nel 1417, lasciandosi convincere dai baroni
vista l’assenza di eredi al trono, a legittimare
l’eredità, al nipote della regina, ovvero:
Luigi III d’ Angiò.
Ma dopo l’ adozione della regina
Luigi, manifestò l’intento, di favorire
gli interessi della Francia sui territori
del napoletano, a discapito
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della nobiltà locale, per cui i baroni
invocarono l’ intervento mediatico
del Caracciolo, affinché la regina
ripudiasse l’ adozione.
Fu così:
che nel 1420, Ser Gianni mosse guerra
a Luigi III° d’ Angiò, invocando l’ aiuto
d’ Alfonso V° d’ Aragona detto
“ il Magnanimo “
in seguito adottato dalla regina.
Relegò sia la regina, che il re aragonese
governando in modo brusco e tiranno
finché non fu arrestato, da una congiura
voluta da Luigi III°, in seguito
riadattato dalla regina nel 1423, dopo aver
ripudiato Alfonso e designato erede
del regno.
Ma vedendo nel Caracciolo, un avversario
pericoloso, per gli ottimi legami con la regina
la notte del 19 agosto 1431, Luigi fece
uccidere Ser Gianni, in accordo con
Marino Boffa, il quale era entrato
nelle grazie della regina, creato
cancelliere e consigliere reale
chiese in moglie, l’unica figlia
di Giannotto Stendardo cresciuta
alla corte di Ladislao di Durazzo
e con la morte di lui, la regina
Giovanna II° gli ereditò una ricca dote.
Ma subentrato, nelle grazie, della
capricciosa e vogliosa regina
Ser Gianni, Marino Boffa fu spogliato
di molti feudi, concessi al Caracciolo
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quindi, si vendicò, essendo fra quelli
che giustiziarono Ser Gianni Caracciolo
fu Marino.
La regina, fece processare il morto
assumendosi piena responsabilità
dell’ accaduto, mentre venivano
assolti gli esecutori.
Le spoglie di Ser Gianni, vennero
relegate nella cappella
Caracciolo del Sole
in San Giovanni a Carbonara
voluta e fatta erigere dallo stesso
in cui, vi è il sepolcro con la statua
di Ser Gianni, fatto costruire, dal figlio
Traiano nel 1441.
Luigi, divenne, alla morte di Giovanna II°
avvenuta nel 1435, erede dei suoi beni.
Dopo di lui, i beni passarono al fratello
Renato d’ Angiò.
Ma Alfonso, nel 1442 invase Napoli, sotto
il regno di Renato, entrando d’astuzia
nelle inviolabili mura napoletane
tramite l’aiuto di alcune suore, dal pozzo
di un ignaro sarto locale, massacrando
la retroguardia nemiche e ponendo fine
al dominio angioino nel napoletano.
Divenuto re, Alfonso, riunì giuridicamente
i regni di Napoli e Sicilia con decreto:
“ Rex Etrisque Siciliae “.
Decaduto la dinastia Angioino, le classi
nobiliari, dovettero assoggettarsi ai regnanti
di turno, rispettandoli e onorandoli
con dignità e coraggio:
servili d’arma e con astuzia diplomatica.
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Nel 1528, una pronipote di Ser Gianni
Isabella Caracciolo, sorella del principe di Melfi
mostrò il suo animo coraggioso, combattendo
impavida contro i francesi, mentre la cugina
Sidania, che difendeva eroicamente
il suo castello, assediato da Simone de Romano
capitano dei francesi.
All’intimidazione d’arrendersi, affinché
fosse salva la vita del figlio primogenito
fatto prigioniero, rispose arditamente
dagli spalti della torre:
“ Se mi uccidete il primo, ne avrò
altri quattro, pronti a combattere
per il loro Re “.
Tristano di Galeazzo, marchese di Vico
grande umanista, attratto dalla riforma
calvinista, rinunciò a tutte le sue ricchezze
si trasferitosi a Ginevra, dove fondò insieme
con Italo Calvino: una chiesa
riformata italiana.
Marino Caracciolo, fu procuratore apostolica
per cardinali ed i governatori di Milano
ma rifiutò sdegnosamente, da
Francesco I° Sforza
l’ offerta di 300.000 scudi, per farselo
amico.
Egli fu talmente ricco, che la stessa
casata reale, era debitrice nei suoi
confronti, chiedendo in prestito
grosse somme di denaro.
Antonio Caracciolo, vescovo di Trojes
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fu umanista e poeta, ma rinunciò
al vescovato, per abbracciare la causa
del protestantesimo, sospinto dall’eco
della nuova riforma.
Ma poi, stancatosi anche da questa ultima
riprese il titolo di principe di Melfi.
Nella famiglia, non mancarono esponenti
ambiziosi casanova, con veri turbini
passionali, come il duca Girifalco
che, invaghitosi di una donna, che non
poteva sposare, perché già impegnato.
Fece rinchiudere la moglie nei sotterranei
del suo castello, la diede per morta
fece celebrare solenni funerali, al fine
di sposare la bella di cui si era
innamorato.
Ma scoperto il misfatto, il duca
fu arrestato e la duchessa
ormai sconvolta, si rinchiuse
in un monastero, mentre il marito
terminò i suoi giorni
nella fortezza di Pozzuoli.
Altre figure influenti furono:
i Marchesi di Vico e Torrecuso
i Duchi di Martina, i Principi
di Santobuono, i Marchesi
di sant’Eremo e Cervinara, i Duchi
di Montenero, i Principi di Atena
i Marchesi di Brianza e di Sicilia
i Duchi di Airola, i Principi di Forino
i Principi di San Vito, i Principi di Avellino:
eredi di Ser Gianni 1472.
Furono Principi del S.R.I, avendo persino
diritto di coniare moneta.
31
Gran cancellieri del Regno di Napoli
generali della cavalleria, cavalieri
del Toson d’ oro di padre in figlio.
I Caracciolo hanno dato alla Chiesa un Santo
ovvero Ascanio, poi divenuto:
Francesco d’Agnone, nato a Napoli
nel 1563.
Del ramo dei Pisquizie, duca di Cilenzia.
Insieme al fratello Antonio, ricevettero
l’ordinazione sacerdotali nel 1587
Occupandosi principalmente
dei condannati a morte, assistendoli
sia moralmente che spiritualmente.
Fondò: insieme al cugino Fabrizio
ed ai fratelli Giovanni ed Agostino Adorna
l’ ordine dei “ Chierici regolari Minori “.
Nel 1588 aderì al ordine dei Tain
divenendone generale nel 1591.
Si dedicò vivamente, alla divulgazione
dell’ eucaristia, come vero simbolo
d’adorazione cristiana
della congregazione.
Morì nel 1608.
Quindi: nel corso della storia è affiorato
che questo casato dalle belligeranti
nobili origini, ha saputo nel corso dei secoli
con brillante astuzia e ferreo coraggio
ottenere ed entrare nelle grazie
dei loro sovrani, acquistando
notevoli prestigi ed accumulando
molteplici ricchezze personali
ma cosa ancor più importante, fu l’ascesa
in campo politico sociale e militare
32
senza tralasciare, le cariche ecclesiastiche
raggiunte, affrontando l’imprese più azzardate
pur di servire ed omaggiare i loro sovrani.
Grazie alla loro astuzia ed i loro brillanti servigi
hanno toccato i gradini più altri
del potere monarchico, donando alla storia:
 Vice re di regni e province;
Ambasciatori, Siniscalchi;
 Maestri di corte;
 Ammiragli, Generali ;
 Comandanti di Eserciti;
 Un Papa, 10 Cardinali, 69 Arcivescovi
 Vescovi;
 Generali di ordini religiosi;
 Giurì consulti ed uomini politici;
 Letterati e filosofi;
 Un Santo: Francesco d’ Agnone.
Hanno posseduto elencando
sinteticamente:
32 principati, 56 ducati, 42 marchesati
34 contee ed il possesso di circa
1000 feudi.
Quindi:
bene oh male, si è cercato di riportare
alla luce l’origine storiche dei Caracciolo
da sempre presente nel napoletano.
Tale lavoro, è stato per me necessario
per poter capire l’ avvicendarsi
di questo casato nobiliare
di origine antichissime
ma maggiormente, poter sfatare
i vocii d’inganni, sull’origine del mio paesello:
Pannarano, il quale non ebbe
ne radici Sannite, ne greco-romane
33
non essendovi stati mai ritrovamenti
ne di templi, ne di abitazioni risalenti a civiltà di
visiva arte architettonica, negli scavi
di costruzioni urbane che possano
far risalire l’origine di Pannarano
a tali epoche, ne vasellame
reliquie sacre.
Anche se Pentema bianca
ebbe ritrovamenti di tombe Sannite
ma ciò è da ricondursi:
Oh alla sacralità del sito, per la composizione
di monte Milone;
oh ad una grave epidemia, che portò
l’isolamento in quel luogo inabitato.
Ho cercato, in questa opera, di tracciare
una breve origine della famiglia Caracciolo
per poter ricondurre l’ origine
dei Caracciolo Rossi, feudatari di Pannarano
dal 1509 al 1849.
Entrando in ordine genealogico:
il capostipite dei Caracciolo Rossi
fu Riccardo Caracciolo Pisquizi
detto il “ Rosso “, morto nel 1140
conte di Montemarano
per aver sposato Marotta, figlia di Landolfo
conte di Montemarano ( AV ).
Da questi:
si ramificò il ramo dei Caracciolo Rossi
i quali ebbero titolarità nobiliari
al seggio di Reggio Calabria, Basilicata
Sicilia ed territori della Puglia.
34
All’ origini
d’azioni guerriere
dopo il declineo di Roma
superba madre italica:
la nostra penisola fu attraversata
conquistata:
dai Longobardi, venuti dalle terre
germaniche.
I Bizantini provenienti, dallo smembrato
Impero Romano d’Oriente, ovvero da Istanbul.
Ma:
ha seguito di scontri interni, fra Riccardo II°
signore di Normandia e la Famiglia Dengrot
tali diverbi: sfociarono nell’uccisione
da parte di Osmondo Dengrot
di un nobile uomo, collaboratore di Riccardo.
Le conseguenze furono immediate, tali
che il casato fu:
processato, condannato e bandito dal regno.
Per sfuggire a ciò i Dengrot, guidati da
Rainulfo ed Osmondo, insieme agli altri
3 fratelli:
Gilberto, Asclettino I°, Rodolfo, a seguito
di 250 esuli cavalieri, si spinsero verso
la Puglia, per potersi recarea monte
Sant’Angelo sul Gargano, per pregare
l’Arcangelo guerriero Michele .
35
Da qui Osmondo ed i fratelli, prestarono
opera di mercenari, scortando i fedeli
al monte sacro , per poi, essere al servizio:
di Errico II°, Pandolfo IV° di Capua
Sergio IV° di Napoli, Guaimario IV°
di Salerno, nelle lotte di conflitto
fra Bizantini e Longobardi, nei territori
del meridione d’Italia, finche Rainulfo
uccidendo il fratello Osmundo, divenne
signore della contea d’ Aversa
titolo conferitogli da Sergio IV, per i servigi
offerti in battaglia nonché
capo indiscusso della famiglia Dengrot.
36
Da qui: inizia l’ascesa normanna
nell’Italia meridionale
sconvolta dalle guerre lunghe
sanguinarie, fra la chiesa, dominante
nel ducato di Benevento, i Longobardi
ed i Bizantini.
Rainulfo: fu prima al servizio Bizantino
per poi essere assoldato da Sergio IV,
signore di Napoli.
37
Le virtù Normanne
Normanno
fu il ferro
che sancì il valore.
Forti nel maneggiar
d’armi il terrore.
D’astuzia
il consacrò
Signor di lode:
Rainulfo
d’Aversa fu signore
d’alloro tinse il suo capo
di vanità il suo fato.
Ricchezze ebbe l’uomo
l’avido umano
Che fu:
38
della superbia
il luccicare dell’oro
terra di paradiso
giardino di virtù
di venere beltà
di malizia l’anima
d’estro umano il fiore.
Psiche:
ingannò spema nel terrore.
Prosperò d’avida
mano insanguinata
portò glorie
alle feconde via
d’ogni borgo
d’ipocrisia.
39
L’anima Normanna
Il vento Normanno
sospinse l’avaro
Ruinolfo Dengrot
d’abile mano
da monte san Michele
lungo il Gargano
aprì la via
di mercenaria dinastia
quando:
Il fratello Osmundo ammazzò
sul suo cadavere brindò.
Dai Dengrot:
altri Normanni scesero a conquistare
il meridione d’Italia saccheggiare.
Fu così che Tancredi, della contea
normanna d’Hoteville, scese con
i suoi 12 figli, stabilendosi
nelle terre di Puglia
divenendone baroni.
Da Tancredi, fu Roberto il Guiscardo
Con Ruggiero I°, che sotto
la protezione del vassallaggio alla chiesa
partirono alla conquista
della Calabria e della Sicilia.
40
Gli Altavilla:
erano pienamente entrati, nella politica
espansionistica, che muterà
l’assetto geografico del meridione d’Italia
e dell’intera Europa fino alle fredde
steppe Russe.
41
Creati Duchi, dopo una dura guerra
contro i Saraceni in Sicilia
ed una accesa disputa contro Dragon
erede di Rainulfo, il quale pretese,
l’incoronazione reale, vantando
diritti di discendenza.
Ma Ruggiero, contravvenendo
anche alle volontà dei fratelli, fece
incoronare il Figlio Ruggiero II:
Re di Sicilia ed i Territori delle Puglie
iniziando, quella politica, di divulgazione
culturale e cosmologica che rese
affascinante, la convivenza multirazziale
dei dotti re di Sicilia:
terra di splendore, cultura ed amore
culminata, poi con lo Stupor Mundi
Federico II°.
42
Ho voluto tracciare
un po’ decantare
l’essenza d’intelletto
d’astuzia il fiore
di chi:
lodando
di psiche la vanità
rese splendor
la fede e l’umiltà.
Ma io:
di Pandaran
voglio lodare
chi fece
verso i monti la magia
di collocar
nel borgo l’armonia
guardando il Parten
volle brillare
l’eco
la mia cultura tramandare.
43
Ecco così
semplicemente:
furon gli Aquino
nobil gente
che scesi
in Longobarda dignità
affascinati
da questa beltà
alzaron
con mano
insanguinata
il loro blasone
trionfanti di virtù e glorie
furon guerrieri
di medievale dignità
crearon borghi e vita
secoli fa.
44
Blasone della famiglia d’Aquino
45
Così
Pandarano
vide il sole
dai Normanni
come un fiore
sbocciò
fra la maestà:
borgo d’amore.
Sacro
lum d’umiltà
lodando il coraggio
tradendo la maestà
di Longobarda veste
Normanne le glorie
tinse gli Aquino d’alloro.
Ammaliati
dalla sua armonia
il tondo monte
fece la magia
di collocare l’albore
delle radici
di Pannarano:
di Pan il mito
dei boschi il richiamo.
46
Cosi: Fra San Martino V.C.
e Roccabascerano, sorse il borgo
di Pannarano nel 1230, ad opera
della Famiglia d’Aquino:
condottieri Longobardi, poi mutato blasone
cavalleria di Tancredi d’Altavilla, poi
di Roberto il Guiscardo
ed in fine di Ruggiero.
Così nacque il borgo di Pannarano
un castrum fortificato composto
da dalle parole
PAN: dio del bosco;
DARANO: la vicino;
ovvero:
Pandarano – il bosco la vicino
in dote a Tommaso Gerardo d’Aquino
9° conte d’Aversa, Arienzo
San Felice a Cancello, nonché
primo barone di Pannarano.
Egli sposò Marguerite de Souabe
figlia illegittima di Federico II° di Svevia
Hohenstauffen.
dal loro matrimonio nascerà
Isabella d’Aquino.
Ma il fato, l’umano inganna, è spesso
l’avarizia acceca la ragione
specialmente in colui che predicò
la luce di Cristo divulgò.
47
Già sua Santità Gregorio IX°
ordinò a Federico II° di Svevia
re di Sicilia, la partenza per una crociata
per liberare Gerusalemme dagli Ottomani
infedeli Musulmani.
Ma Federico:
da sempre affascinato dalla cultura Araba
intrattenne accordi diplomatici
con il Sultano, così che, senza ferir alcuno
ebbe la cessazione dei conflitti
fra Cristiani e Mussulmani
con un patto di non belligeranza
per 15 anni, nonché il matrimonio
con la figlia del re di Gerusalemme
e la relativa incoronazione
a Re di Gerusalemme.
Tali accordi fecero infuriare
il successore di Gregorio IX°
il quale scatenò presso Parma, un conflitto
con lo Svevo, culminato nella sconfitta
dell’esercito papalino.
Ma a seguito di una battuta di caccia
organizzata dallo Svevo
con l’allontanamento dalla città provvisoria
scatenò la rivalsa pontificia
la quale guerriglia violò le mura fragili
in legno della città, sconfiggendo
il re Svevo Federico, che sconvolto
si ritirò in Puglia, dove morì
a castel del Monte.
48
Alla sua morte:
il potere regale passò
al figlio Manfredi, ma il Papa chiese
l’immediata consegna dei regni, essendo
da sempre stata la Sicilia
vassallaggio Papa.
Ma il rifiuto, scatenò l’immediata rivalsa
del Papa, che da Avignone sancì
la Crociata contro Manfredi
chiedendo l’intervento
di Carlo I° d’Angiò, fratello
di Luigi IX°, re di Francia
Conte di Provenza.
Le milizie Franco-papaline, scontratesi
a Benevento, sul ponte leproso
catturarono Manfredi, uccidendolo
mentre Corradino di Svevia, re di Germania
ed ultimo discendente degli Hoestaufen
scese in Italia, per riconquistare il regno.
Ma nel 1270, presso Tagliacozza
ebbe uno scontro, con l’esercito
Franco - papalino, il quale ebbe la meglio
sullo Svevo.
Rifugiatosi presso Giovanni Frangipane
signore di Astura, suo caro amico
durante la pausa pranzo, fu incappucciato
da quest’ultimo e consegnato
nelle mani di Carlo d’Angiò, il quale
portato a Napoli, lo giustiziò nel 1270
sulla piazza del Carmine Maggiore.
49
Tramontata l’epoca d’oro
Svevo – Normanna
il regno meridionale, fu assoggettato
ai Francesi, il quale Carlo I° d’Angiò
fu incoronato Re nel duomo di Napoli
a tal proposito, egli, riorganizzò il regno
trasferendo la capitale dalla Sicilia a Napoli
spodestando i baroni locali e donando i feudi
a suoi vassalli fidati.
Ecco che, una nuova dinastia entrò
a far parte della Baronia di Pandarano.
Gli Aquino, mantennero i loro feudi
grazie a matrimoni di convenienza
con i casati francesi più influenti,
riuscirono così ha rafforzare
il loro potere dinastico.
Cosa che fece anche Tommaso Gerardo
il quale cedette in sposa la figlia
Isabella d’Aquino a Guglielmo II° de Baynes
detto l’Etendart, Siniscalco, Ammiraglio
condottiero di Carlo I° d’Angiò, già vice re
in Sicilia:
uomo d’astuzia fine e crudeltà atroce
tale che nei pressi di Catania
un borgo fortificato
che non volle arrendersi
fu bruciato con tutti gli abitanti
che conteneva.
50
Egli: già in prime nozze, fu maritato
Con Pèronelle de Mesnil-Renard
per poi sposar la bella signora d’Aquino.
Blasone araldico di Guglielmo Etendart
51
Questi, per maritata nomina, ottenne
fra i suoi ranghi
la baronia di Pannarano.
Ma il fato mutò
ancor destino
il vento soffiò
nel bel giardino
portando un nuovo seme
che fortificò il blasone
verso il ducato
un nuovo sole
accese
il lume dell’amore.
Fu così che nel 1340, la Figlia
di Guglielmo Stendardo
Isabella, detta Sabelluccia, sposa
in seconde nozze
Guglielmo II° Lagonière, poi Lagonessa
quindi della Leonessa.
Capitano di cavalleria del re Angioino
il quale padre Giovanni I° con gli zii
Filippo e Guglielmo, erano scesi
dalla Provenza al seguito di Carlo d’Angiò
ed il cui padre Giovanni Lagonière
il 13 gennaio 1342, comprò
52
dalla regina Sancia d’Aragona
per 800 once d’oro, il ducato
di San Martino in V.C
da aggiungersi alle contea
di Limatola, Airola e Ceppaloni.
Blasone araldico di Guglielmo della Leonessa
53
Così:
cambiò padrone Pandarano
di Pan il mito
dei boschi il richiamo
lo tenne Guglielmo
lodò la maestà
Sabelluccia bella
l’autorità
del castrum il castello
abbellì lo splendore
lode alla fama
del nuovo Signore.
Alla morte di Guglielmo, il feudo passò
al figlio Marino, mentre il corpo
di Guglielmo fu tumulato nel monastero
di Montevergine, e la duchessa Isabella
convogliò a nuove nozze
con Roberto d’Aulnay o Alneto.
Dal matrimonio con
Guglielmo della Leonessa
nacque Giovanella della Leonessa
mentre da quello di Roberto d’Alneto
nacque Margherita D’Alneto nel 1305
la quale sposò nel 1324 Bernardo IV°
de Baux d’Andria signore di Berre
conte d’Andria e Montescaglioso
morto a Napoli nel 1351.
54
Guglielmo della leonessa
affresco del castello di San Martino V.C
donatami dal nobile uomo
Duca Giovanni Pignatelli della Leonessa
55
Il sarcoghafo di Guglielmo è ancora visibile
deposto nella cappella di destra
dell’ Abbazia del monastero di Montevergine
di fatti: atti e pergamene conservate
nella biblioteca di Loreto a Mercogliano
e precisamente la numero
4474-4962-5074-5223, menzionano la presenza
della famiglia Della Leonessa e del Palazzo
ducale del Castrum Panderano.
Lo tenne Marino, il villaggio vicino, quale
duca di San Martino, finché
il 20 dicembre 1446, il figlio Giovanni della Leonessa
cedette il Feudo di Pannarano ad Gorello Origlia
l’atto fu stipulato nel castello di Montesarchio.
Gorello Origlia fu:
condotti di un casato di mille virtù, vantando
discendenze romane, che già nell’ ottocento
Bizantino, prosperarono gli Origlia
sotto il tiranno monte napoletano ammaliati
dalla bellezza del golfo.
Ma fu con Carlo III di Durazzo, sceso in Napoli
dall’ Ungheria per rivendicare la morte
del compagno d’armi Luigi di Taranto
assassinato dalla regina Giovanna I°.
l’atto fu sancito per volere reale.
Gorello Origlia fu vice re di Napoli alla corte
di Carlo III, creato conte di Caiazzo, Acerra
Ottaviano, Casal di Principe
Camerota e molte altre baronie
56
d’incantati borghi fra i monti ed il mare
fin verso Pandaran l’uman valore
sancì l’alloro al capo: luce e glorie.
Fu il figlio Troilo Oreglia che governò
Pandarano quale barone:
La Tennero Troilo la Baronia
finchè il sonno
se li portò via
i Della Leonessa
d’autorità
rivollero la maestà
di quel giardino d’umanità.
Dopo la morte di Troilo Oreglia, il feudo
di Pandarano, fu rivendicato dai
della Leonessa, dato che essendo
filo Francesi, furono spogliati di molti feudi
ma conl’ascesa al trono di Ladislao
figlio di Carlo III° e poi con la Regina Giovanna II°
gli fu riconcesso il ducato di San Martino V.C
e successivamente, Gabriele della Leonessa
Duca e signore, rivendicò la baronia di Pandarano
finché la reale maestà Aragonese
spodestò l’uomo e la sua autorità
per donarla a Martino Marziale, regio consigliere
sommo e reale di Alfonso il Magnanimo
di virtù ineguale.
57
Blasone araldico di Gorello Oreglia
58
L’ atto fu stipulato il 19 aprile 1485
nel castello di Pannarano davanti
agli ere del duca Gabriele Della Leonessa.
Con la morte del Marziale, senza lasciare eredi
dopo tredici anni di possesso, il feudo
di Pandarano, tornò alla corona
come espressamente sancito
dal regio decreto reale, per cui
Ferdinando I d’ Aragona
lo donò, con atto sommo, datato 31-05-1509
a Giovanni Antonio Caracciolo Rossi, figlio
di Ettore Caracciolo, vice castellano
di castel dell’Ovo, il cui padre
don Ettore Caracciolo fu Cornelio
era nipote di Marino Caracciolo gran
camerlengo e maestro di corte
di Giovanna I° d’Angiò.
59
Affresco del castello
di San Martino V.C
donatami dal nobile uomo
Duca Giovanni Pignatelli della Leonessa
60
Giovanni Antonio, sposò in prime nozze
Maria della Leonessa, ed in seguito
rimasto vedovo, sposò in seconde nozze
Lucrezia Campitelli zia di Troiano Spinelli
signore di Summonte, il quale Troiano
donò alla sua morte, tale feudo alla
zia Lucrezia, divenendo Giovanni Antonio
governatore di Summonte per maritale nomina.
Dal matrimonio con la duchessa
Maria della Leonessa nasceranno :
1. Gian Antonio Caracciolo;
2. Gian Francesco Caracciolo;
3. Ettore Caracciolo.
Acquistò quindi il titolo di Barone, con nomina
reale chiamandolo suo alunno e suo Poggio
donandogli quindi:
“ Castrum Seu , Casale Pandarano
des provincia de vallis Caudine
ob mortem quondam Martini Martialis
qui sine legitimis filiis
ex suo corpore legitimi discendentibus
dicesit, decessit “.
Egli: nell’ estate del 1510 si recò in Pandarano
fece risistemare il castello, allargando le stanze
ed issando gli stemmi in pietra tuttora visibili.
Usò tale feudo, come residenza estiva
per le bellezze del luogo nel centro
dei Monti del magico Partenio.
61
Sovente: si recava a cavalcare
nelle faggete ed i castagneti del luogo
cacciando e degustando la selvaggina
di cui i boschi ne era popolata, nonché
gustare gli squisiti frutti del sottobosco
fra cui i lamponi, le fragoline, more, ecc.;
organizzando grandi banchetti per la famiglia
ed amici, dato che la nobiltà, soleva spesso
organizzare sontuose feste per mostrare
la potenza del suo rango.
Giovanni Antonio, mantenne come suddetto
il feudo come dimora estiva, intrattenendo
affari diplomatici in Napoli, vero centro
politico del regno, per mantenere
stretti legami collaborativi con la corona.
Importante notare che nell’ anno 1509
come sancito dalla camera delle Sommarie
del Principato Ultra o Ulteriore, dato che:
per meglio organizzare il regno, Carlo I° d’Angiò
nel 1280 divise i territori in Principati ed i feudi
in Università, quindi Pannarano faceva capo
al Principato Ultra di Avellino, distretto
di Montefusco.
I cittadini dell’ Università, dovevano pagare
a Giovanni Antonio le varie tasse dette gabella
una di queste era sul pascolo degli animali
in tutto il territorio della camera baronale
come anche quella sull’infornare il pane
sul macello del bestiame, sul passaggio
delle merci, il macinare il grano ecc.,
come sancito dal decreto reale
62
dalla camera delle sommarie ovvero:
“ I Diritti dell’ Università et Homini
della terra di Pandarano, contro
il magnifico Caracciolo, signore
di detta terra, sopra il pascere
loro animali, tanto nei boschi e selve
di detto Caracciolo, quando in altri
territori di detta Università di Pandarano
come sono selve e montagne “.
Conservò, questo diritto, fino alla sua morte
avvenuta il 22 maggio 1547.
Dopo di lui, i beni passarono al figlio
Gian Francesco Caracciolo
il quale, il 22 maggio 1547 divenne
I° barone di Pandarano
consorte di egli fu Faustina Lanario.
Dall’unione di Giovan Francesco
con Faustina Lanario nasceranno:
1°. Gianni Antonio Caracciolo;
2°. Ascanio I° Caracciolo;
3. Orazio Caracciolo.
Da questi il feudo passò al figlio
Ascanio I° Caracciolo Rossi
in data 11 novembre 1612 con il titolo
di II° barone di Pandarano e patrizio napoletano.
Ascanio sposò il 28 ottobre 1572
Prospera figlia di Fabio Ricca.
63
Dal loro matrimonio nasceranno:
1. Faustina Caracciolo , la quale sposò
Giulio Carafa ed insegui il cugino
Fulvio Lanario;
2. Ilaria Caracciolo;
3. Ventura Caracciolo;
4. Antonio Caracciolo;
5. Gian Francesco II° Caracciolo;
6. Paolo Caracciolo;
7. Andrea Ettore Caracciolo.
Da Ascanio, il feudo di Pannarano
passò al figlio Gian Francesco II°, nato
il 26 ottobre 1582, con il titolo di III° barone
di Pandarano e patrizio napoletano
il quale convogliò a nozze con
Andreana figlia del Marchese
Giulio Cesare Caracciolo.
Dalla loro unione nasceranno:
1.
Giuseppe Caracciolo Rossi,
il quale sposò il 25 maggio 1643
Eleonora Caracciolo, figlia di
Giulio Cesare Marchese di Barisciano
per poi rimasto vedovo il 23 settembre
1662 convogliare a seconde nozze
il 10 maggio 1663 con Donna
Francesca Colonna Romano, figlia
di Don Pompeo I° marchese d’ Altavilla
già vedova di Fabio Rossi.
2. Caterina Caracciolo;
3. Ascanio II° Caracciolo;
4. Vittoria Caracciolo;
64
5. Prospera Caracciolo.
Da Gian Francesco, il feudo passò
per successione al figlio
Ascanio II° Caracciolo Rossi
col titolo di IV° barone di Pannarano
e patrizio napoletano.
Egli, convogliò a nozze con Claudia Viquez
e dalla loro unione nasceranno:
1. Francesco Caracciolo;
2. Ippolita Caracciolo la quale sposerà
Aniello Longo marchese di San Giuliano;
3. Ettore Caracciolo;
4. Benedetto I° Caracciolo;
5. Diego Caracciolo;
6. Giovanni Caracciolo;
7. Marcello Caracciolo;
8. Vittoria Caracciolo la quale sposerà Nicola
della Porta
marchese di Episcopo;
9. Anna Caracciolo.
Alla morte del barone Ascanio II°
il 29 agosto 1680, il feudo passò al figlio
Benedetto Caracciolo Rossi, col titolo di
V° barone di Pandarano e patrizio napoletano.
Il 03 aprile 1689 Benedetto convoglia a nozze
con Giovanna Ottavio Capace Secondito
figlia di Ottavio nobili patrizi napoletani.
65
Dalla loro unione nasceranno:
1. Anna Maria Nicoletta la quale sposerà
Giuseppe Filomarino;
2. Ascanio III° Caracciolo
3. Marcello Caracciolo;
4. Ettore Caracciolo.
Nel Castello di Pandarano Benedetto ospitò
l’insigne Avvocato e letterato napoletano
Niccolo Ammenda, il quale, per ricambiare
la gentilezza ed omaggiare il luogo incantato
in cui aveva soggiornato, gli dedicò
un intero poema che decantò il viaggio
la bellezza del luogo, i sapori dei prodotti tipici
nonché la grazia e la freschezza delle donne
e la maestosa bravura, con cui riuscivano
a portare, in perfetto equilibrio sulla testa
senza mai mantenerli:
fascine di legna e cesti pieni di ogni pietanza.
Per brevità, segnaliamo solo la parte dedicata
alla famiglia:
66
Io dico in Pandarano
un galante Caracciolo
che il tiene in Signoria
sto in festa tal
che non provai le innate.
Giungemmo alla pur fine
a Pandarano
picciola terra sì
ma tanto vaga
che io non
ci invidio il Papa il Vaticano.
In mirandola
gli occhi ed il cor n’ appaga.
Posta su colli
dilettoso amena
per opra ti direi
di un arte maga.
Alla morte di Benedetto, avvenuta
in Napoli il 23-01-1718 successe il figlio
Ascanio III°, nato nel castello di Pannarano
il 28 ottobre 1691, al quale il feudo fu intestato
il 10 agosto 1723 come risulta, dal regio
Cedolario, con il titolo:
di VI° barone di Pandarano 1710-1741
e patriziato napoletano.
Il Barone Ascanio: ricevette, dall’ illuminato
e progressista Carlo III di Borbone, il titolo
Marchesale il 03-04-1741.
67
Nel giugno del 1741, il Marchese Ascanio
ebbe dei conflitti con il Principe
di Pietrastornina Aquino, in riguardo
alla sorgente montana acqua delle vene
dalla cui ne scaturì un diverbio, sulle errate
delimitazioni di confine, tale che vi fu riorganizzata
la mappatura montana, dall’agrimensore La Pietra
confini ancora oggi validi.
Il 15 Gennaio 1719, Ascanio, convoglia
a nozze con Donna Francesca Invitti
figlia di don Nicola, Principe di Conca.
Dalla loro unione nasceranno:
1°. Gennaro Caracciolo;
2°. Benedetto II° Caracciolo
Con la morte di Ascanio, 11/01/1776
come risulta dal regio Cedolario
del 22 febbraio 1776, il feudo
appartenne al figlio di Ascanio ovvero:
Don Benedetto II°, il quale
convogliò a nozze con Caterina Maffei.
Dall’unione di Don Benedetto II° e Donna
Caterina Maffei nasceranno:
1° Marianna Caracciolo;
2°. Vincenzo Caracciolo;
3°. Cesare Maria Caracciolo;
4°. Nicola Maria.
68
Alla morte di Don Benedetto II°, i beni
feudali di Pannarano, passarono
al figlio, Cesare Maria , per successione
di morte, nato il 05/07/1751, con il titolo
di II° marchese, VII° barone di Pandarano
non che patrizio napoletano.
Il 12-05-1768, Cesare Maria sposò
Donna Maria Caterina Sanfelice
IX° duchessa di Lauriano, baronessa
di Acropoli Santo Mango e Foresta di Chiarata
figlia ed erede del duca don Girolamo
e donna Giuseppa Pinelli dei duchi di Tocco
acquistando per maritate nomina
quella di duca di Lauriano.
Dalla loro unione nasceranno:
1°. Maria Rosaria Caracciolo, la quale
sposò Giuseppe Madaleta
Marchese di Martino;
2° Benedetto Maria;
3°. Giuseppe Caracciolo;
4°. Giovanni Francesco il quale
sposò Maria Vincenza Tranfo;
5°. Gennaro Maria Caracciolo;
6°. Marianna Caracciolo, la quale
sposò Giuseppe Ferrao, per poi
successivamente sposare
il cognato Nicola Ferrao;
7°. Maria Antonia;
8° Gaetano Caracciolo.
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Con la morte di Cesare Maria
avvenuta in Napoli il 17/01/1826
i beni feudali passarono al figlio
Don Benedetto Maria, nato il 17/01/1775
con titolo di X° duca di Lauriano, III° marchese
e VIII° barone di Pannarano, barone di Acropoli,
Santo Mango e Foreste di Chiarata
nonché patrizio napoletano, il quale
il 16 gennaio 1797 sposò:
Chiara Maria Ossorio Y Figuro Alvarez.
Dalla loro unione nasceranno:
1°. Maria Caracciolo di Pannarano, nata
il 02 luglio 1799, la quale sposò
Bonaventura Luigi Balsamo;
2°. Cesare Maria II° Caracciolo, sposò
Livia Caracciolo;
3°. Giovanni Battista, sposò
Margherita Rossi;
Alla morte di Benedetto, i beni
passarono al figlio
Giovanni Battista, nato a Napoli
l’11/03/1801.
Giovanni Battista Caracciolo,
ereditò il feudo con i titoli
di IV° Marchese, IX° barone di Pandarano
XI °duca di Lauriano, barone di Agropoli
Santo Mango, Foreste di Chiarata
nonché patrizio napoletano 1849.
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Il Fratello, Don Cesare Maria Caracciolo,
10-10-1829 sposa donna
Luisa Caracciolo dei principi di Melissano
nata il 14/06/1803.
Con l’ avvento nel napoletano
dell’ esercito Napoleonico e quindi
la salita al trono di Napoli dapprima
di Giuseppe Bonaparte e poi
di Gioacchino Murat, 1805, furono aboliti
tutti i privilegi feudali:
“ legge eversiva della feudalità “
sotto un governo a modello repubblicano.
Dall’unione di Don Giovanni Battista
con Donna Margherita Rossi nasceranno:
1°. Luisa Caracciolo Rossi;
2°. Chiara Caracciolo, la quale sposerà
Francesco Palomba e successivamente
Francesco Parafalo;
3°. Caterina Caracciolo la quale sposò
Vincenzo de Ciutis
le proprietà di Don Benedetto, passarono
al figlio Giovanni Battista, dopo la restaurazione
di Ferdinando IV di Borbone, il quale ne era
proprietario il 16 novembre 1846
come risulta dall’atto del notaio
Michele Imbriani.
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Il 04 agosto 1843, nacque a Napoli
l’erede di Giovanni Battista Caracciolo Rossi
e di Margherita Rossi
ovvero:
Luisa Caracciolo Rossi, con il titolo
di XII° duchessa di Lauriano, V° marchese
e X° baronessa di Pandarano baronessa
di Acropoli, San Mango e Foresta di Chiarata
la quale sposò il 26-06-1873 don
Giovanni Ma stelloni dei principi di Volturara
signore di Limatola, nato il 02-06-1839.
Quindi:
le proprietà feudali, passarono al figlio
Gennaro Mastelloni dei principi di Volturara
ed egli, le vendette per 3200 ducati
ad Eustachio Abate di professione notaio
la quale Figlia Rosina, sposò
Carlo Cocozza Campanile
mentre Giovanni Battista continuò
la sua vita nel napoletano, ove morì
il 21/02/1871 circondato
dalle tre figlie: Luisa, Chiara e Caterina.
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Difatti: in una delle arcate
del castello di Pannarano
dove un tempo ormai passato
mastro Annibale
esercitava il nobile mestiere di falegname
vi è inciso sul marmo la sigla: E.A. AD 1850
ovvero:
Eustachio Abate, anno domini 1850;
anno in cui, entrato in possesso del castello
ne risistemò le arcate e le stanze
per poi morir suicida, con un colpo di pistola
rammaricato che la figlia, sposasse
un uomo povero della vicina San Martino V.C.
Divenuto latifondista di Pannarano
Carlo Cocozza Campanile
fu il primo sindaco di Pannarano
per poi, i beni passare al figlio
Ermenelgildo Cocozza Campanile
come risulta delle molteplici
delimitazioni di confine che portano
la sigla E.C.C.
Ermenelgildo, vendette le proprietà paterne
investendo in Napoli , in attività commerciali
i famosi magazzini Cocozza Campanile
un tempo fiorenti nel capoluogo campano
smembrando a privati, ciò che fu
l’oro feudale in ciò che oggi è Pannarano.
Uno splendido giardino, logorato
dall’incuria umana, in anni
di mal governo cittadino.
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Il tramonto
della famiglia Caracciolo
Morta la dignità
di mascolina umanità
come un fiore
d’inverno muore
così anche la dinastia
sfiorì l’identità
sconvolto da un nuovo DnA
mutò il cognome
malizia ed amore
sotto il vessillo
di un nuovo castello
scomparve al vento
l’autorità
di chi lodò
la pia beltà
da Pandarano
Sene va.
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Riflessioni finali
Ricordati oh uomo
che il passato
non lo puoi inventare.
Ma esso è trascritto
nella pietra è celato
l’emblema di chi
con la spada è nato.
Ed in rango di nobiltà
suoi lustri
tramanda all’umanità:
quale signore del volgo
in eterno ricordo
sua maestà di vita
l’eco
eterno vive.
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Grandi:
rese la spada
ha chi
la seppe maneggiare
perché da essa
nacquero
le virtù di nobiltà:
di chi primeggiò
fra l’umanità.
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Cenni sull’autore
Io sono Giuseppe Pagnozzi, nato
a Pannarano il 10/01/1979.
Appassionato di storia e poesia
ho sempre con grande passione
cercato di dare una risposta
ai blateranti enigmi, sulle origini
del mio paese nativo.
Ho analizzando, per sei mesi, nel 2000,
dopo aver passato 8 mesi d’agonia
negli ospedali militari del Celio
Chieti e Caserta, nel 1999
per forti epistasi, ed aver troncato
la possibilità di una brillante
carriera militare.
Ho analizzato, gli scritti celat
i nell’archivio storico di Napoli:
dal Catalogo dei Baroni Normanno
al Domudusdu day di Guglielmo
il conquistatore, dal Cedolario Angioino
alla deposizione delle proprietà feudali
nella Regia Camera delle Sommarie
passando per gli archivi Araldico – nobiliari
alle pergamene celate, nel monastero
Benedettino di Loreto in Mercogliano.
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pregiate e fini opere d’arte visiva
narranti la vita umana, fermata nel tempo
dai monaci Benedettini di Montevergine
che sulla fredda altura del Partenio
rilegavano e dipingevano
da buon Emanuensi:
le pergamene di carta pecora;
al Catasto Onciario, voluto
dal lungimirante Carlo III° di Borbone
che rese Napoli
un salotto d’armonia culturale
degna della lontana Francia
Luigi XVI°.
Un viaggio di affascinante passione
che cela il DNA, in ogni pietra
di ogni Borgo scolpito dagli uomini
con mano insanguinata, virtù cavalleresca
ed un pizzico di furbizia, inganni
disinganni, per dare luce
agli emblemi oscuri dei viventi
di chi regnò nei castelli.
Valorizzare la terra nativa, è stato
sempre il mio obbiettivo
sopratutto quando:
nel 2001, con spirito di intraprendenza
grazie anche agli eredi del maestro
Vespasiano Balletta ed alla moglie
la maestra Angela Maria Pagnozzi
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i quali mi concessero in comodato d’uso
i locali di via Cave, stanziando in loco
80 alveari, intraprendendo
quell’attività meravigliosa di apicoltore,
che grazie ai terreni
ed i monti incontaminati
dona in Pannarano ottimi mieli di:
Acacia, Castagno, Sulla, millefiori
Melate.
Pregiata propoli, frutto del laborioso
lavoro delle api.
La vicinanza al territorio e la conoscenza
acquisita con lo studio delle erbe officinali
di cui il Partenio è ricco, mi portò a produrre
liquori sublimi, vino Aglianico
spumante dalle uve Coda di Volpe, olio.
Ma le cagionevoli condizioni di salute
per gravi problemi ematologici
mi condussero pellegrino
negli oscuri meandri
della sofferenza ospedaliera
fin dalla tenera età, aggravata
da un infortunio sul lavoro accorsomi
il 04/08/2003, per una lacerazione
alla caviglia sinistra ed errate cure mediche.
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12 anni di calvario, per lenta cicatrizzazione
dei tessuti cutanei.
Oggi mi dedica alla poesia.
Con questa opera si è cercato di dare
luce di verità ad una terra
che fu armonia, baciata dai monti
dalla sacra elegia..
Giuseppe Pagnozzi.
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Opera scritta con somma
laboriosa volontà
di riportare alla luce
l’origine storica di Pannarano.
Prima edizione 2014
stampata in proprio.
Tutti i diritti sono riservati.
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