Donne che parlano alle donne: quando la presenza femminile al

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Donne che parlano alle donne: quando la presenza femminile al
Donne che parlano alle donne: quando la presenza femminile al
vertice è una vera opportunità
A cura di: Mario Daniele Amore1 e Alessandro Minichilli2
Sintesi dell’articolo accettato per la pubblicazione su Management Science, dal titolo
“Gender interactions within the family firm”.
La recente approvazione di alcune leggi sulla presenza delle donne nel consiglio di
amministrazione delle società quotate (L. 120/2011), e successivamente sul riequilibrio di
genere (c.d. “quote rosa”, L. 215/2012) nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei
consigli regionali, ha alimentato un intenso dibattito sulle determinanti e sulle
conseguenze della presenza femminile al vertice di organizzazioni ed imprese. Il motivo di
questo interesse è quello di comprendere se tali indicazioni di policy abbiano un
fondamento in termini di efficacia delle donne al vertice e, in caso affermativo, in quali
forme ed in quali contesti.
In proposito, va osservato come la letteratura in materia sia ancora piuttosto
frammentata. Alcuni studi di matrice sociologica, ad esempio, sottolineano l’importanza
dei fattori di contesto per spiegare la competitività femminile. Tali studi mostrano come le
donne abbiano atteggiamenti più competitivi in società matriarcali rispetto a quelle
patriarcali, così come queste conseguano risultati scolastici migliori quando educate in
scuole femminili. Seguendo la stessa logica, altri studi mostrano come le donne all’interno
di team di lavoro abbiano risultati peggiori ove percepiscano di svolgere un compito di
tipo “maschile”, e migliori quando invece percepiscano il task come “femminile”. In
ambito aziendale, poi, un gruppo di ricerche mostra l’effetto della presenza di donne
alternativamente in posizioni manageriali e di governo dell’impresa, con risultati tuttavia
ambigui, e soprattutto senza considerare i potenziali effetti sinergici derivanti dalla
“interazione” tra donne.
Basandosi su queste premesse, il nostro lavoro – realizzato in collaborazione con Orsola
Garofalo dell’Universitat Autonoma di Barcellona – intende fornire un contributo nel
capire se e quanto l’interazione tra donne nel Cda e donne al vertice (come CEO
dell’azienda) produca effetti migliori e più stabili sulla performance aziendale rispetto alla
sola presenza di donne nel Cda o, alternativamente, di una donna amministratore
delegato. Nel fare questo, ci siamo basati su un contesto – quello delle imprese a
controllo familiare – nel quale è convinzione diffusa che la presenza di donne possa
trovare maggiore rappresentanza, e soprattutto infrangere il “soffitto di vetro” che ha
tradizionalmente caratterizzato le carriere femminili.
Sito web: http://www.aidaf.unibocconi.it
Email: [email protected]
Partendo dai dati dell’Osservatorio AUB (AIdAF-Unicredit-Bocconi e Camera di
Commercio di Milano) sulle circa 2.500 imprese a controllo familiare (di cui circa 2.400 non
quotate) di dimensioni medie e grandi del nostro paese, tracciate dal 2000 al 2010, lo
studio dimostra come le imprese considerate traggano un beneficio consistente in termini
di redditività operativa (Roa) dalla presenza congiunta di donne al vertice (CEO), nonché
all’interno del consiglio di amministrazione. In proposito, va precisato come l’effetto
isolato di donne capo azienda e di donne nel Cda risulti spesso negativo, rafforzando
l’ipotesi di lavoro che sia proprio la presenza di un “modello femminile” a produrre effetti
benefici, e non la semplice rappresentanza di donne negli organi di governo.
Muovendo da tale evidenza, lo studio concentra poi l’attenzione su alcuni fattori di
contesto che possano aumentare o diminuire i risultati positivi fatti registrare dal c.d.
“modello femminile”. In particolare, i risultati della ricerca mostrano come l’effetto positivo
dell’interazione tra donne si riduca considerevolmente in aree geografiche
contraddistinte da una visione più conservatrice della donna nella società, così come
inferiori sono le performance delle donne al vertice e nel governo di aziende di dimensioni
maggiori. Questi risultati indicano come le donne riescano ad esprimersi meglio laddove
abbiano più “confidenza” nelle loro capacità, ossia in aziende meno strutturate – nelle
quali ritengono probabilmente di poter “lasciare il segno” – e laddove non percepiscano
un pregiudizio forte verso il genere femminile.
Rispetto alla loro estrazione familiare o meno, poi, il lavoro fornisce alcune indicazioni sul
fatto che la performance superiore dei modelli femminili sia vera soprattutto ove le
imprese familiari abbiano la capacità ed il coraggio di attrarre e selezionare donne al di
fuori della famiglia di controllo. La selezione di manager e consiglieri esterni nelle imprese
familiari, infatti, rappresenta già di per sé indicazione di attenzione al merito; ciò è tanto
più vero nel caso delle donne le quali – soffrendo spesso dei pregiudizi di cui si è detto –
sono spesso sottoposte ad un vaglio persino più rigido dei colleghi uomini.
Nel loro insieme, le evidenze dello studio forniscono importanti indicazioni manageriali ad
imprenditori familiari, suggerendo come il tema della rappresentanza femminile debba
essere affrontato nella sostanza, e non nella forma. Le donne sembrano infatti garantire
risultati positivi ove selezionate per merito, e non per legge – o peggio per “aggirare” la
legge, con nomine fittizie all’interno della famiglia. Come mostra uno dei primi studi
norvegesi dopo l’applicazione delle quote rosa nel loro paese, infatti, l’adeguamento alla
normativa ha comportato – almeno nel breve termine – una diminuzione delle
performance azionare delle imprese selezionate, possibilmente per via della sostanziale
“inesperienza” delle nuove donne inserite nel Cda. Sebbene queste indicazioni valgano in
primo luogo per le società quotate, il presente lavoro sottolinea come considerazioni simili
valgano a maggior ragione per le imprese “private”, non soggette a vincoli di legge:
soprattutto per queste imprese, l’individuazione di donne capaci e selezionate per merito
deve rappresentare un’opportunità per gli imprenditori, su cui riflettere con attenzione e
senza pregiudizi di sorta.
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1. Mario Daniele Amore, Assistant Professor presso il Dipartimento di Management e Tecnologia dell'Università
Bocconi, email [email protected]
2. Alessandro Minichilli, Assistant Professor presso l'Istituto di Strategia del Dipartimento di Management e
Tecnologia dell'Università Bocconi e collaboratore della Cattedra AIdAF-Alberto Falck di Strategia delle
Aziende Familiari, email [email protected]
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