cinture di sicurezza fin dai primi del `900

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cinture di sicurezza fin dai primi del `900
TECNICA
CINTURE DI SICUREZZA
FIN DAI PRIMI DEL ‘900
Nel 1902 l’americano Baker tenta un record di velocità, si ribalta,
e si salva grazie alle sue “bretelle” - Nel 1903 un francese le brevetta
Obbligatorie nei paesi europei a partire dalla metà degli anni Settanta
L’esperienza sportiva
di Gian dell’Erba
L
e cinture di sicurezza sono un’invenzione
più che secolare. A brevettarle nel 1903 fu
il francese Gustave Desiré Liebau, che le chiamò “bretelle di sicurezza”. La velocità delle vetture che circolavano all’epoca era però molto contenuta e le possibilità
di soffocamento (o soltanto sensazioni) che sarebbero
potute derivare dall’uso delle “bretelle” ne decretarono
la mancata diffusione.
Bisogna però tornare indietro di un anno per scoprirne
l’effettiva utilità: durante un tentativo di record di velocità su una vettura elettrica, lo statunitense William
Baker incappa in un incidente capottando e si salva
perché legato al veicolo da una rudimentale cintura di
sicurezza. Si ritiene che questa possa essere la prima notizia relativa all’uso in positivo del basilare “necessorio”
(accessorio necessario). Ma bisognerà attendere il 1957
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quando, in seguito alle esperienze acquisite nelle corse,
durante le quali le cinture sostenevano il corpo del pilota anche in fase di traslazione causata dalla forza centrifuga in curva, vengono montate su qualche auto: più
per ricavarne utili informazioni che per reale convinzione sulla loro utilità. I risultati sono comunque positivi e,
nel 1960, vengono lanciate sul mercato le prime cinture
di sicurezza “di serie”. Si sosteneva infatti che le cinture,
se montate in modo corretto, in caso di brusca frenata
o incidente, avrebbero ridotto drasticamente il pericolo
di urto del torace contro il volante.
Nel 1973 la Francia dichiara le cinture obbligatorie per
legge. Tutte le nazioni occidentali (chi prima chi dopo),
Italia compresa, si adegueranno alla legislazione transalpina. Negli USA il primo Stato a dichiararle obbligatorie, nel 1975, è il Massachusetts.
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Nella pagina a sinistra, una delle prime cinture di sicurezza realizzata dalla Broderna Ottoson di Klippan (Svezia) nel 1953, ripresa dal libro
“Autoliv” di Karl Erik Nilsson.
In questa pagina, la cintura di sicurezza statica a quattro punti d’attacco già vicina a quella di tipo “aeronautico”. Quest’ultima, però, disponeva
di una bbia di sgancio con tecnologia più avanzata.
IN ITALIA: KLIPPAN E SABELT
In Italia la cintura di sicurezza ha una storia lunga
quasi 40 anni. Protagoniste due fabbriche torinesi
che molto hanno fatto per costruirla, afnarla, farla
accettare dalla legislazione e dagli automobilisti per
salvare vite umane di adulti e bambini e, nelle corse,
di piloti di rally e di Formula 1. Sono la Klippan e la
Sabelt. La prima molto nota ai suoi tempi anche per
aver sponsorizzato una tra le più forti squadre maschili di volley nostrane, il CUS Torino (che militava
in serie A), e per aver avuto in passato come testimonial famosi piloti di F1.
“Klippan - rammenta Gianni Carabelli, che è stato
presidente e amministratore delegato di Klippan Italia - è una città svedese, nei pressi di Göteborg.
Nel 1942 i fratelli Eric e John Ottoson subentrano
come soci in una preesistente società e costruiscono
cabine di trattori. Ne diventano gli effettivi proprie-
tari nel 1947, cambiando il nome in Klippan.
Si deve però attendere no al 1953 per vedere la prima cintura di sicurezza che assicura il corpo al sedile.
Qualche anno dopo, nel 1959, gli Ottoson cessano le
altre produzioni per dedicarsi solo alle cinture.
Probabilmente la svedese Volvo è stata la prima Casa
a montarle”.
“La Klippan Italia è nata nel 1969. La squadra di
volley da noi sponsorizzata è stata il primo team
occidentale a interrompere il predominio dei paesi
dell’Est, vincendo la Coppa Campioni 1980.
Nostri testimonial sono stati anche i ferraristi Clay Regazzoni, Niki Lauda e Carlos Reutemann.
Poi le cose non sono andate come speravamo e, nel
1985, la Klippan è stata venduta alla svedese Autolive”. Per la storia della cintura prendiamo perciò in esame la Sabelt (prima Sabelt Britax poi TRW Sabelt, oggi
soltanto Sabelt) - fondata nel 1972 dai fratelli Piero
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e Giorgio Marsiaj - perché è tutt’oggi in attività ai
vertici del settore in Italia ed Europa. Vincenzo
Buffa ne è la “memoria storica”. È lui che racconta:
“In Italia le cinture non erano obbligatorie e poca
gente sapeva cosa fossero. Io già le indossavo e c’era
chi sorrideva.
Però Fiat e Alfa Romeo, sui modelli che esportavano
(agli inizi in Inghilterra, in Olanda e negli USA, poi in
tutta l’Europa), erano obbligate a montare le cinture.
Così le due Case ci hanno chiesto se avremmo potuto
In alto, le cinture statiche a due punti che fermavano soltanto il bacino
di guidatore e passeggero.
In basso, la cintura da competizione che disponeva di un ssaggio
macchinoso dei cosciali: gli anelli di tessuto dei bracci inferiori
attraversavano due bbie e si ssavano agli scrocchi superiori.
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soddisfare la loro necessità”. La Sabelt ottiene quindi
la licenza di fabbricazione dalla Britax inglese, uno
fra i più evoluti costruttori, fra i primi a brevettare
l’arrotolatore a bloccaggio inerziale: una sfera trova
posto dentro a una sorta di coppa che contiene il
nastro arrotolato e pronto a svolgersi.
In caso di decelerazione improvvisa (ma anche soltanto tirando forte il nastro con una mano o eseguendo un brusco movimento del busto in avanti o di
lato) la sfera, muovendosi, incastra e blocca l’arrotolatore, impedendo che la cintura continui a scorrere
sotto la spinta del peso del corpo.
All’avanguardia nel campo, all’epoca, ci sono inglesi
e svedesi. Si iniziano a produrre cinture di sicurezza
per il mercato italiano.
DAGLI AEROPLANI ALLE CORSE
Dopo Fiat e Alfa Romeo per le vetture di serie, è la
Squadra Corse Lancia (siamo nel 1973) ad aver bisogno delle cinture. Quelle, però, derivate dal tipo
aeronautico a 4 punti d’attacco (le cosiddette cinture
“a bretella”), usate dai piloti degli aeroplani: 2 bretelle trattengono spalle e torace, altre 2, addominali
(ancorate a sinistra e a destra) il bacino.
“Dapprima - spiega Buffa - abbiamo prodotto questa
4 punti “sportiva” con una bbia di aggancio standard, che era la stessa delle cinture normali, statiche
(anche se la Britax aveva già inventato l’arrotolatore)
a 3 punti. Allora, per i sedili anteriori, si usavano così
e, costituite da bandoliera e dal nastro addominale, si
regolavano alla corporatura manuale.
Sui sedili posteriori erano invece ssate cinture addominali, a soli 2 punti di ancoraggio”.
Si vuole però qualcosa di più e la bbia standard,
con una sola “lingua” di aggancio, non consente di
aggiungere ai 4 punti già esistenti gli altri 2 punti inferiori - i cosciali - che evitano il “submarining”, cioè
lo scivolamento verso il basso del bacino che sfugge
alla cintura addominale. Disponendo già di bbie aeronautiche con 4 lingue di aggancio il passo è breve.
Ma prima, nel 1974, nasce la “5 punti”.
Sabelt incomincia così a produrre una bbia - è stata
la prima a farlo - con 5 lingue di aggancio: i cosciali vengono attaccati entrambi direttamente ad una
quinta lingua, consentendo così al pilota di slacciare e
allacciare rapidamente la cintura, cosa indispensabile
nei rally e nelle gare di durata.
Poi, per creare la cintura a 6 punti di attacco alla scocca (la bbia comunque accoglie sempre 5 innesti),
vengono dapprima cuciti ai doppi nastri dei cosciali
i “loop”, anelli di tessuto ad alta resistenza: prima
passano attraverso due asole metalliche, sistemate sui
nastri addominali e vanno ad ancorarsi alle linguette
di aggancio superiori delle bretelle: sistema un po’
macchinoso ma subito usato in pista, sulle monopo-
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sto, dove non era importante indossare rapidamente
la cintura quanto, piuttosto, sganciarla.
La bbia di tipo aeronautico si apre spingendo una
leva verso destra o sinistra, facendone ruotare il perno
che ritrae gli scrocchi di aggancio e libera le lingue.
“Ma - dice Buffa - era nostra convinzione che, per lo
sgancio, fosse più semplice e immediata una bbia
con un bottone sul quale premere un dito per azionare il rilascio. E così è stato”.
Al ne di ridurre il carico in fase d’apertura, si è quindi studiata la soluzione “push button” con pulsante
decentrato, sì da poter avere un braccio di leva che
riducesse la forza di sgancio, aumentandone l’immediatezza. Nasce così una bbia a pulsante laterale,
anziché centrale.
In alto, la cintura da corsa ultima generazione: i due bracci inferiori
sono solidali con una bbia metallica orizzontale che, al centro,
porta un unico scrocco che si inserisce nella bbia.
In basso, un manichino assicurato ad un sedile montato su una slitta
batte con il torace sul volante durante la prova di impatto.
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Una visita alla Sabelt: il primo da sinistra, in piedi, l’ingegner
Vincenzo Buffa, mentre illustra ai giornalisti una fase della produzione
delle cinture, il terzo da destra, con il blazer blu è il celebre pilota inglese
di Formula 1 Jackie Stewart.
LA FISA CHIEDE L’UNIFORMITÀ
Nel 1976 la FISA (Fédération Internationale Sport Automobile, oggi FIA) decide però di standardizzare il sistema: si corre ovunque, i commissari appartengono a
Paesi diversi, non sempre sono correttamente informati;
occorre equipaggiare le vetture con una bbia universale
per facilitare a tutti un’eventuale opera di soccorso. Serve perciò un sistema unico. E visto che è maggiormente
diffuso lo sgancio con sistema a rotazione provocata da
levetta, ci si uniforma, partendo con la bbia a 5 vie
di innesto-sgancio: la 5a via (appositamente studiata per
auto da corsa) è metallica, si innesta nella parte inferiore
della bbia, ed è orizzontalmente lunga tanto da poter
ospitare, agli estremi opposti, le famose due asole. E’
destinata ad inserirsi più direttamente e semplicemente
nella bbia rispetto ai precedenti “loop”. Questa quinta
leva tiene conto della posizione di seduta del pilota e
viene costruita seguendo i consigli dei piloti stessi. La
bbia, così standardizzata (sulla falsariga di quel che faceva l’Aeronautica), è la prima a venire adottata nelle
corse: è la “Rotary buckle”, con sgancio a rotazione.
“Allora il nostro testimonial era Jackie Stewart - continua Buffa - grande pilota inglese di Formula 1. Parallelamente fabbricavamo le cinture di primo equipaggiamento e, nel 1977, abbiamo raggiunto il milione di
cinture statiche prodotte”.
Nel contempo viene condotto un lungo lavoro di comunicazione attraverso i media e di lobby presso il Ministero dei Trasporti. Finalmente, nel 1981 “…per noi
una pietra miliare”, sottolinea Buffa, in Italia nasce una
legge che obbliga i costruttori a montare le cinture. Nel
1982 la Sabelt produce in quel solo anno un altro milione di cinture, questa volta con arrotolatore a bloccaggio
di emergenza: lascia liberi, una volta seduti nell’abitacolo, di muoversi con il corpo ed entra in azione bloc78
cando il nastro al primo accenno di decelerazione o
spostamento deciso del corpo. Il primo milione è per
l’esportazione, solo per i nuovi modelli e non per il parco veicoli già circolante, perché in Italia continua a non
essere obbligatorio indossare la cintura. “In parallelo riprende l’ingegner Buffa - è stato anche il primo anno
nel quale “abbiamo vinto” il Campionato del Mondo di
Formula 1 con le nostre cinture, installate sulla Williams
di Keke Rosberg”.
Nel 1985 la Sabelt sigla l’accordo con la TRW. Accordo
che consente alla Sabelt di accedere a tutta l’avanzatissima tecnologia TRW permettendo all’azienda torinese
di compiere un grande balzo qualitativo in avanti. “Infatti - puntualizza Vincenzo Buffa - l’esperienza di cui
oggi disponiamo, sia nel mondo delle corse, sia in quello
dedicato alla sicurezza dei bambini, proviene da questo
matrimonio”.
Nel 1989, ecco che esce inne la legge che obbliga a indossare le cinture. “Retrotting” in tre mesi (aggiornare
le cinture per il rispetto delle norme, ndr) e tutti di corsa
per arrivare a produrne 6 milioni. Nel 1998 risorgono le
attenzioni sul settore corse, aggiungendo alla produzione abbigliamento e sedili.
Poi nel 2000 - è storia di ieri l’altro - una Formula 1 sempre più esasperata spinge alla ricerca spasmodica della
leggerezza: bisogna riprogettare la cintura di sicurezza
che, dal peso di 1,5 chilogrammi scende a 750 grammi,
rifacendo completamente la bbia, usando il titanio, più
leggero dell’acciaio, senza intaccarne le qualità: si “rosicchia” sul peso del materiale pur conservandone le
performances. Le prove di resistenza che si facevano
prima sulla “slitta” venivano effettuate a velocità di 50
km orari. Oggi arrivano ai 65 all’ora, con possibilità di
adottare curve di decelerazione più severe.
“La nostra bbia iniziale da gara - precisa Buffa - pesava
250 grammi, ora soli 175. Abbiamo però sempre evitato
di costruirla usando particolari in plastica. Molti piloti,
infatti, non la vogliono e, in effetti, dà l’idea - anche se
forse è solo un’idea - di essere meno robusta. Il nostro
concetto, da sempre, è stato ed è quello di ascoltare attentamente i desideri dei piloti: a volte utili, a volte pignolerie, a volte irrealizzabili ma che, sovente, si sono
rivelati preziosi consigli. Anche la Porsche, tra l’altro, ha
adottato le nostre bbie”.
RALLY E PISTA: ANCHE TODT E BERRO
Nei rally la Sabelt (allora Sabelt Britax), esordisce negli
anni Settanta con le cinture di sicurezza a 4 punti montate sulle Lancia Fulvia Coupé, pilotate da grandi specialisti come Munari, Ballestrieri, Lampinen, Kallstrom,
Pregliasco e sulle Fiat Abarth 124 Spider di Pinto,
Lindberg, Waldegaard, Aaltonen, Warmbold (che come
navigatore aveva nientemeno che Jean Todt, l’attuale ad
della Ferrari),Verini e Alcide Paganelli. Nel 1974 appaiono il nlandese Alen e la mitica Stratos. La Lancia, vin-
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cendo a Sanremo, al Rideau Lakes e in Corsica supera la
Fiat che si era aggiudicata in Portogallo la gara d’apertura. La Stratos vince ancora il titolo iridato nel 1975 e
‘76 con il soprannome di “ammazzarally”; poi, già nel
1976, debutta la Fiat 131 Abarth e la musica cambia.
Le cinture torinesi vengono poi montate anche sull’Alfetta GTV con la quale corre Pregliasco e sulle Ferrari
di Tognana, Andruet, “Lucky” (in coppia con Claudio
Berro, oggi responsabile del Programma Competizioni
Abarth dopo essere stato a lungo in Ferrari e Maserati)
e Ormezzano, sulle Lancia Rally 037.
E ancora sulle Beta Montecarlo da pista, sulle Delta S4
e, a partire dalla 4WD, su tutte le evoluzioni della Lancia
Delta Integrale, che - dal 1986 al 1992 - vince 6 titoli
iridati Piloti e Marche consecutivi. Naturalmente, nel
frattempo, erano state montate anche su Ford, Opel,
Audi Italia. Le cinture non sono mancate nemmeno
sulle vetture dei trofei monomarca. Ecco ora la differenza o evoluzione del tessuto tra le cinture per il primo
equipaggiamento e quelle da competizione: “Agli inizi
- specica l’ingegner Buffa - la differenza era sensibile.
I nastri erano in lato di poliammide (nylon), poi si è
passati al lato di poliestere: un cambiamento che risale
già a 25-30 anni fa.
La differenza si rileva su tessiture e niture: per via
dell’arrotolatore, infatti, le cinture di tutti i giorni necessitano di un nastro con spessore minore, nonché di una
particolare tessitura e nitura superciale, dovendosi
svolgere e riavvolgere uno svariato numero di volte.
Il nastro delle cinture normali è largo 2”, mentre quello
da gara è per lo più largo 3”. Le cinture da gara sono
sprovviste di arrotolatore e perciò meno soggette ad
usura”. “Subito - conclude l’ingegner Buffa - non si badava molto né a peso né a spessore. Poi, dal 2000, le cose
cambiano. A seconda del tipo di gara, mutano anche le
esigenze di facilità di ‘infossamento’ della cintura”.
COSA DICE LA LEGGE
Come è noto, i veicoli della categoria M1, ai sensi dell’articolo 72, comma 2 del Codice della Strada, entrato in vigore in Italia il 15 giugno 1976 (Circolare D.G. n. 76/77
del 9 dicembre 1977), debbono essere equipaggiati con
dispositivi di ritenuta se “predisposti sin dall’origine con
gli specici punti di attacco, aventi le caratteristiche indicate, per ciascuna categoria di veicoli, con decreto del
Ministro dei trasporti”.
Da questo estratto del Codice della Strada, si evince
che le cinture di sicurezza sono obbligatorie per tutte
le vetture immatricolate dopo il 15 giugno 1976, poiché
predisposte n dall’origine di specici punti di attacco,
anteriori e posteriori.
Le vetture costruite ed omologate prima di tale data
sono esentate dall’obbligo dell’installazione, anche se
predisposte con gli appositi attacchi. Ricordiamo che,
anche se la vettura d’epoca posseduta è esente dall’obbligo di installazione di questi dispositivi, è sempre buona norma montarli, dove possibile, per la sicurezza del
conducente e dei passeggeri.
Il quaderno sul quale i navigatori continuano
a segnare le “note” dei rally (road book)
con la fotograa di un giovanissimo Jean Todt,
l’attuale amministratore delegato di Ferrari.
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