Intervista a D. Pennac sul futuro dei giovani

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Intervista a D. Pennac sul futuro dei giovani
Pennac: "Ragazzi, non ascoltate chi vi dice
che non valete niente"
PALERMO .
Una scuola che insegni agli allievi a essere «sovrani di se stessi». L'ultimo appuntamento di Repubblica
delle Idee a Palermo — il dialogo tra lo scrittore francese Daniel Pennac e il direttore Ezio Mauro —
incomincia dalle parole di Don Milani, il maestro di Barbiana. "Sovrani di se stessi", una citazione di
Lettera a una professoressa , si intitolava l'evento clou, introdotto da Fabio Gambaro, della due giorni di
incontri, confronti e dibattiti durante i quali si è tracciato il profilo della scuola del futuro. Pennac e
Mauro hanno parlato a una platea affollatissima: tutti i 1300 posti a sedere del Teatro Massimo di
Palermo erano occupati, decine di persone hanno assistito in piedi. Lo scrittore francese e il direttore
hanno immaginato una scuola che non è più un problema e diventa un'opportunità. Una scuola che
salva tutti, anche i somari, proprio com'era il Pennac studente. Dal palco del Massimo l'amatissimo
papà della famiglia Malaussène ha rivolto agli insegnanti l'invito a liberare i ragazzi «dall'incubo di
ritenersi senza futuro ».
Mauro: Siamo qui per parlare di libertà attraverso la cultura. Allora è giusto partire da Don Milani che
diceva che solo la lingua ci fa uguali.
Penn ac: La lingua ci unisce a condizione che non venga confiscata da parte di nessuno. La maggior
parte dei problemi incontrati dagli allievi delle classi svantaggiate sono legati alla lingua, alla non
comprensione di quello che viene detto loro, del modo in cui il professore parla loro. Solo se i professori
riescono a farsi capire, a utilizzare una lingua che non terrorizzi, solo allora si creano le condizioni di
uguaglianza di cui parlava Don Milani. Per creare questo sentimento di fiducia il primo lavoro di un
docente deve essere quello di lottare con accanimento contro la paura del bambino di non capire la
domanda che gli è stata posta e di conseguenza di fare la figura dell'imbecille.
Mauro: Antonio Gramsci diceva che cultura «è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la
vita» e che chiunque può essere filosofo, basta vivere da uomini tenendo gli occhi aperti e curiosi su
tutto, non addormentarsi e non impigrirsi mai. È per questo che andiamo a scuola e per tutta la vita non
smettiamo di studiare?
Pennac: «La lingua è fascista», disse Roland Barthes al Collège de France destando scandalo, perché
il potere totalitario confisca il linguaggio. Quando il potere viene incarnato da certi individui diventa il
primo nemico della scuola. E oggi bisogna lottare contro la nuova confisca del linguaggio, quella che
l'Italia ha subito per vent'anni e la Francia per cinque (applausi, ndr ). Quella di chi dice tutto e niente
usando il tono di chi dice una verità. Per esempio che la giustizia non esiste e che è una vittima delle
istituzioni perché subisce cinque processi.
Mauro: Secondo il premio Nobel per la pace Malala Yousafzai, la giovane attivista pachistana che si è
battuta per il diritto delle ragazze all'istruzione, «un bambino, un insegnante, un libro, una penna,
possono cambiare il mondo ». E per questo che l'istruzione fa paura ai potenti, l'istruzione è
sovversiva?
Penn ac: Direi di sì. L'istruzione è un modo di destare la coscienza degli uomini. Ma c'è molto lavoro
ancora da fare.
Mauro: In una società che ha perso la nozione del bene comune, gli insegnanti possono farcela a
riaccendere il fuoco della coscienza pubblica?
Penn ac: Se chiediamo loro questa cosa li terrorizziamo. Ma ogni giorno in una classe c'è un docente
che ha vinto la paura dei suoi alunni. E ogni giorno nelle aule ci sono bambini ai quali si illuminano gli
occhi perché hanno finalmente capito qualcosa che era per loro del tutto incomprensibile.
Mauro: Nel libro Diario di scuola tu stesso ti metti dal lato dei somari, dalla parte di chi rischia di perdere
la battaglia della scuola. La democrazia non contempla le esclusioni, che pure cominciano sui banchi.
La cultura può salvare un ragazzo?
Penn ac: Quando i professori mi dicevano che ero un cretino io ci credevo, credevo di non avere futuro.
Vivevo nel presente dell'indicativo come tanti bambini che pensano che non ce la faranno mai. Il ruolo
dell'insegnante è quello di spiegare una seconda volta, di ripescare i somari. Insegnare loro che il vero
coraggio è sapere tante cose. Perché sapere tante cose significa vivere.
Mauro: Parli spesso della figura del "bambino-cliente": non c'è il rischio che l'illusione di un mondo
facile, che una delega totale alla rete possa mettere fuori gioco la scuola?
Penn ac: I bambini guardano in tv la pubblicità che stimola il desiderio consumistico. Così molti
ritengono che la loro identità sia costituita dal sentire il desiderio e dal soddisfarlo. In classe il
professore deve dimostrare loro che la vita della mente passa attraverso l'accettazione del suo
insegnamento, che si rivolge ai loro bisogni e non ai loro desideri.
Mauro: Tu dici che il verbo leggere non tollera l'imperativo e che la lettura non è un obbligo morale. La
cultura è più importante di tutto, ma la libertà è più importante della cultura?
Pennac: Sì perché ci sono persone che non ce l'hanno.
20 ottobre 2014