Il Lento Errare tra Due Oceani

Transcript

Il Lento Errare tra Due Oceani
La storia del nostro primo Vagabonding in Centro America raccontata giorno dopo
giorno: sensazioni, idee, emozioni, aneddoti ed avventure vissute con Otras
Miradas
mar
11
dic
2012
Cancún - Inizio di un'Avventura
Eccoci qui! Finalmente ad iniziare il viaggio che per tanto tempo abbiamo sognato e
a cui abbiamo dedicato molti sacrifici. Dovendo usare un aggettivo per descrivere
questo inizio potrei usare usare la parola "imprevedibile". Nessuno infatti poteva
immaginare tutto quello che ci è successo in questi giorni; sappiamo che fa parte
del gioco, e noi ci siamo messi a giocare molto bene!
Iniziamo per esempio dal nostro percorso che ci ha condotto a Francoforte, città
dalla quale era prevista la nostra partenza il giorno 9/12. Arrivati a Bruxelles
venerdi nel tardo pomeriggio senza grossi problemi, passiamo a salutare la nostra
carissima amica Alessandra, ovviamente cena a base di frittes e birra. Poi ci
troviamo anche con Enrico con una breve e intensa chiacchierata prima di salutarci
e metterci a letto in uno dei tanti divani che ci accoglieranno nei prossimi
mesi!All'indomani la partenza da Midi è prevista alle 10:30, ma come ben sappiamo
dai trasporti belgi ci si può aspettare di tutto, e cosi è. Treno cancellato, sicchè
aspettiamo 4 ore in stazione per il successivo, il quale non parte più da Midi, ma da
Gare du Nord, notizia che ci viene data 10' prima della partenza con conseguente
corsa in metropolitana per arrivare dall'altra parte della città e prendere il
maledetto treno che ci porta a Colonia. Arrivati nella città tedesca un fiume di gente
invade la ferrovia, compriamo un biglietto verso Koblenz, in cui poi cambiamo treno
per arrivare a Mainz da cui con la S-Bahn raggiungiamo direttamente l'aeroporto di
Francoforte verso le 9:30. Qui troviamo un posto dove dormire e ci corichiamo per
la notte.
All'indomani si fa la fila per il check-in, poi il controllo passaporti e si arriva al gate,
nel frattempo inizia a nevicare forte, i voli subiscono i primi ritardi, tuttavia
veniamo imbarcati e fatti salire nell'aereo. Il capitano ci informa che siamo in attesa
dei mezzi per sghiacciare le ali, la parte più delicata durante il decollo. La neve
aumenta di intensità e nonostante l'enorme sforzo degli operatori l'aeroporto è
troppo grande per soddisfare tutti sicchè siamo costretti a rimanere a terra,
trasportati in un hotel, ci viene offerta la cena e andiamo a dormire. Alle 4 suona la
sveglia, scendiamo, facciamo colazione e poi di nuovo all'aeroporto per il secondo
tentativo. Di nuovo siamo costretti ad attendere due ore in più del previsto per
problemi ai servizi igenici dell'aereo, poi però finalmente alle 9:00 saliamo in cielo
verso ovest.
Dopo 12 ore di vole l'atterraggio nella città messicana; ad attenderci un clima caldo
e afoso, 30ºC e 90% di umidità. La cantilena della parlata dei messicani ci mette
però subito di buonumore e a nostro agio, e ancora più contenti siamo dopo che ci
viene accordato un permesso turistico di 180 giorni. Niente male davvero!I nostri
contatti in città sono Marcos ed Elizabeth, una coppia spagnola che ospitammo al
principio di settembre mentre erano in viaggio in Europa, e che adesso hanno voglia
di contracambiare il favore. Sebbene non possediamo nè telefono nè indirizzo,
troviamo un internet point e ci mettiamo in contatto con Marcos che ci dice di
raggiungerlo a Playa del Carmen dove lavora. Altro autobus e via verso la famosa
cittadina lungo la Riviera Maya.
Marcos viene a prenderci alla stazione e ci porta a cenare con i suoi colleghi, con i
quali subito ci sentiamo in grande sintonia. Di fatto nonostante le ore di sonno
ritardate accogliamo con gioia l'invito e tra una birra e l'altra, un po' di guacamole e
seviche e qualche tacos qua e là, ci facciamo anche due tuffi in piscina. Poi tutti a
casa a dormire. Marcos ed Elizabeth sono cosi gentili da offrirci la loro camera e
dormire loro nel divano letto in un'altra stanza.Magia del Couchsurfing e della bontà
dell'essere umano.
Martedi mattina sveglia presto. Non dobbiamo andare a lavorare, però fuori per
nostra grande fortuna sta diluviando. Fulmini e saette ci svegliano di buonora, e
dato che i nostri amici non devono andare a lavorare questa mattina ci sediamo a
tavola a fare colazione con comodo e a chiacchierare, anche per iniziare a pensare
cosa fare nei prossimi giorni.
Marcos ed Elizabeth sono contenti per il nostro viaggio che andremo a fare e ci
riempiono di informazioni e consigli sui posti da visitare qui nella penisola dello
Yucatan. Poi pranziamo e insieme andiamo verso il centro di Cancún. Loro due
prendono il bus per andare al lavoro e noi due invece quello che ci porta verso la
Zona Hotelera. Non abbiamo intenzione di fare i turisti, ma solo di vedere come la
mano dell'uomo è riuscita in poco tempo a rovinare l'incontaminato paesaggio della
punta dello Yucatán.
Cancún è una città strana; relativamente recente iniziò ad espandersi circa 30 anni
fà, quando i primi impresari americani iniziarono a costruire hotel fuori città, in un
lembo di terra stretto e lungo nel quale trasportarono la bianca sabbia dei Caraibi
dalla vicina Isla Mujeres e iniziarono con la loro opera di edificazione. Poi
ovviamente tutti gli altri come pecore hanno seguito il buon esempio fino ad
arrivare alla situazione attuale. Hotel all inclusive nei quali i turisti si rinchiudono
per una quindicina di giorni mangiando e bevendo e magari senza nemmeno
approfittare del bellissimo mare perchè preferiscono fare il bagno nell'acqua
profumata di cloro della piscina a loro più amica.
Anche in una giornata così brutta e nuvolosa come quella di oggi il mare è davvero
bellissimo. Dico il mare, perchè tutto il resto è da dimenticare. A volte mi domando
cosa spinga queste persone a fare centinaia di migliaia di km e ore di volo per
potersene stare in piscina...mah??!!
La pioggia ricomincia a cadere incessante e noi prendiamo l'autobus che ci riporta
verso il centro, facciamo la spesa (i nostri amici non sono a casa stasera, però ci
hanno lasciato le chiavi e cosi mangiamo in casa tranquilli). Lungo il tragitto verso
casa scene bellissime. L'autista guida con le porte aperte dato che l'afa impedisce a
tutti di respirare, piove a dirotto e le strade sono mezze inondate; non ci sono
fermate fisse, basta alzare la mano lungo la strada e l'autobus si ferma, monti, lasci
una manciata di monetine per il biglietto e poi ti ritrovi a viaggiare in compagnia di
musicisti, di pagliacci e venditori ambulanti che salgono e scendono dal mezzo
come se fossero su di un palcoscenico. Siamo gli unici bianchi, la gente è gentile,
chiedi e ti informano, non chiedi e ti domandano dove stai andando e se hai
bisogno di una mano.
Non ci sentiamo a casa, siamo pur sempre dei viaggiatori per cui la nostra casa è
dappertutto e da nessuna parte, ci sentiamo però bene e a nostro agio, e questo è
forsa l'unica cosa che conta per l'avventura che abbiamo appena iniziato ad
intraprendere!!!
jue
13
dic
2012
Pioggia a Isla Mujeres
Rapidamente il catamarano scivola nell'acqua azzurra e trasparente dei 5km che
separano Isla Mujeres dalla costa dello stato di Quintana Roo. Il viaggio è animato
dalla musica caraibica che sempre ci accompagnia in questi primi giorni di viaggio,
la cosa incredibile è che qui entri in qualsiasi posto è c'è un po' di musica; a volte
reggaeton, altre volte salsa, merengue o bachata altre volte una classica rancherita
messicana. Entri in un negozio di vestiti e c'è musica, ti fermi a mangiare due tacos
al volo per strada è c'è musica, sali nell'autobus e l'autista è li che ti aspetta con il
suo cd favorito, abbassa il volume, paghi, gli chiedi informazioni su dove devi
scendere, e lui ti dice: "tranquillo ti dico io quando scendere", vai a sederti dietro,
lui pigia sull'acelleratore e alza il volume.
Arrivati a Isla Mujeres si respira subito un'aria diversa. Qui sembra di essere su
un'isola caraibica; anche se non ci sono mai stato cosi mi immagino Cuba o la
Repubblica Domenicana. Non ci sono auto, se non pochi taxi, la gente si muove in
motorino o con le golf-car che ovviamente noleggiano in ogni angolo. Attracchiamo
nella parte nord (Punta Norte) e subito siamo invasi da abili procacciatori d'affari
che in ogni dove ti offrono il loro tour attorno all'isola. Noi però siamo abili a
divincolarci e ci dirigiamo verso la spiaggia.
La sabbia fina e bianca scricchiola sotto i nostri piedi, che quasi hanno timore a
calpestare una superficie così incredibilmente pulita. Il riflesso del sole fa in modo
che i granelli di sabbia diventino ancora più scintillanti, sembra di camminare sulla
neve; l'acqua è trasparente, si vedono i pesci nuotare sotto a pochi metri di
distanza dalla riva, e la superficie del mare increspata dalle onde ha un colore che
mai ho visto nei nostri mari europei.
Attorno all'isola è come se esistesse un'enorme piscina; solo che l'acqua non puzza
di cloro e non è obbligatorio indossare la cuffia per fare il bagno.
La bellezza naturale del luogo tuttavia è un po' rovinata dall'invasione dei turisti
americani ed europei che, orgogliosi di mostrare tutto il loro benessere economico
se ne stanno sdraiati sotto ombrelloni dalle foglie di palme a tracanare fiumi di birra
o bicchieri di mojito. Per loro la festa si concentra nei 50m che separano il resort
presso il quale sono alloggiati e la spiaggia davanti a loro. Fortunatamente la
pioggia arriva puntuale a rovinare i loro nobili piani.
Noialtri invece indossiamo le mantelle antipioggia, copriamo bene gli zaini e ci
incamminiamo per esplorare l'interno dell'isola.
Le gocce cadono pesanti sopra le nostre teste, poco a poco le strade iniziano ad
inondarsi e gli scarsi sistemi di scolo fanno si che in ogni angolo si formino
pozzanghere sopra le quali sfrecciano allegri i ragazzi con i loro scooter, attenti a
non bagnare noi poveri sfortunati che camminiamo al lato della strada. Il paesaggio
cambia rapidamente; hotel e resort lasciano il posto alle modeste case degli abitanti
dell'isola, le spiagge scompaiono per lasciare spazio ad una verde e lussureggiante
laguna abitata da uccelli di ogni tipo. Decidiamo di ripararci dalla pioggia facendo
una pausa per rifocillarci. Finiamo in quello che sembra un garage, al cui interno
una coppia di ragazzi della nostra età preparano tacos con pollo, guacamole,
chicharrones e salsa piccante. Entriamo facendoci largo a fatica tra i tavolini e le
sedie completamente vuote. Ordiniamo una prima porzione, poi una seconda, poi
altri chicharrones. Deliziosi. Parliamo con i ragazzi. Non sono dell'isola. Vengono da
Veracruz, una città grande situata nella costa centrale del Messico. Chiediamo come
sia vivere qui. Sono un po' timidi e ci rispondono con un semplice: "La vita è molto
tranquilla quì". Forse sono più sorpresi loro di trovarci qui che noi di stare in questo
posto. Chiediamo il conto. Il ragazzo tira fuori un quaderno spiegazzato, estrae la
penna e scrive quattro numeri, fa la somma e ci dice "48 pesos", ovvero 3€!!!
Paghiamo. Ci sorride e ce ne andiamo.
Finalmente smette di piovere ed esce il sole. A quest'ora i bambini escono da
scuola, scendono in strada ed iniziano a giocare. Non ci sono mamme coi SUV ad
aspettarli nel parcheggio fuori dalla scuola; alcune sono in bici che li aspettano,
altre vanno a prenderli a piedi e li accompagnano a casa o a giocare nel parco
adiacente. Il centro del paese è addobbato con alberi di natale e festoni natalizi, ma
oggi è un giorno importante. Oggi 12 Dicembre è il giorno della santa patrona del
Messico: la Virgen de Guadalupe.
Dopo poche ore suonano le campane, i genitori accompagnano i bambini vestiti con
le colorate stoffe tipiche degli antichi maya alla cerimonia che sta per iniziare nella
cappella locale. Le donne più vecchie invece si raccolgono in casa, con la famiglia,
attorno alla tavola imbandita o davanti ad una piccola statua della vergine che qui è
presente in ogni casa. Le case sono aperte, dalle porte o dalle finestre intravediamo
amache appese all'interno dei soggiorni. La gente sdraiata mentre guarda una
telenovela sorseggiando succo d'arancia, di mango, di papaya.
La vita scorre tranquilla in questa sottile striscia di sabbia che galleggia nelle calde
acque del Mar dei Caraibi. Alcuni ci guardano divertiti, altri ci salutano. Incroci la
gente camminando e ti rivolgono un sorriso, un "hola" o semplicemente si fanno da
parte per farti passare. Noi proseguiamo il nostro giro, lentamente il sole scende e
scompare dietro i mostruosi hotel di Cancún. Facciamo ritorno all'area d'imbarco.
Saliamo a bordo e ritorniamo verso la terra ferma. Facciamo ritorno al Vecchio
Mondo!
dom
16
dic
2012
Tulum - Città Murata
Oggi è domenica, e a noi non sembra proprio. E' un giorno festivo, ma per noi è
solo un giorno in più nel nostro lungo viaggio.Dopo la giornata di ieri passata tra il
letto, il dottore e la farmacia, possiamo finalmente uscire dal nostro comodo ostello
multiculturale e andare alla scoperta delle rovine di Tulum. Per la prima volta
entreremo in un sito archeologico Maya e siamo un po' emozionati.
Come di consueto l'autobus scricchiola sotto il rumore delle sospensioni arrugginite
e le numerose buche della strada che dal pueblo porta alle rovine. Dai finestrini si
intravedono scorci di mare tra le fronde degli alberi; la strada sembra un'oscura
galleria dalle pareti fatte di fronde di palme, felci e altri alberi strani. Di quando in
quando un cane attraversa la strada in cerca di un compagno. L'autobus si ferma,
fa manovra e si prepara a tornare indietro. E' il capolinea ma non vediamo niente
davanti a noi; increduli assieme agli altri turisti scendiamo e ci incamminiamo verso
il nulla. Poi all'improvviso uno spiazzo dove si vendono i biglietti d'ingresso.
Paghiamo ed entriamo, ancora nulla, solo una muraglia alla nostra destra, e poi una
breccia, una piccola entrata fatta a misura Maya.
Io devo abbassarmi per non venir decapitato, Tania entra normalmente senza
difficoltà. Adesso sì che ci siamo. Davanti a noi un'enorme zona verde, costruzioni
di pietra bianca spuntano quì e lì, enormi iguane marroni gironzolano tra le pietre
calcaree in cerca di un posto al sole dove scaldarsi, mentre noi affaticati dal sole
cerchiamo riparo sotto le palme. L'antica città di Tulum è circondata da una
muraglia che recinta un perimetro di circa 800m di lunghezza per 400m di
larghezza su tre lati; il quarto è quello adiacente al mare.
Dopo pochi passi rimaniamo colpiti non tanto dalla maestosità degli edifici o dalla
loro bellezza architettonica; sappiamo infatti che nei prossimi giorni visiteremo
luoghi ben più impressionanti e particolari.
Tuttavia Tulum ha un suo fascino che la rende unica. La sua ubicazione.Il contrasto
tra l'azzurro del Mar dei Caraibi e le le pietre bianche dei resti delle costruzioni,
assieme all'aria rilassata che si respira nei prati così come nella spiaggia adiacente
il sito, rende l'intero scenario come qualcosa di unico al mondo.
Scendiamo la scalinata di legno che conduce ad una piccola spiaggia sotto al
Castillo. La gente fa il bagno allegramente, intere famiglie, quasi tutti messicani.
Oggi è domenica, e per i messicani gli ingressi a musei e siti archeologici sono
gratuiti. Quale miglior forma per far conoscere ai propri figli la storia e la cultura
della propria terra!
Immaginatevi per un momento di poter salire sulla cupola del Brunelleschi o di
entrare al Colosseo con la vostra famiglia al completo e gratuitamente. Magari
portandovi da mangiare e facendo un picnic lì. Forse l'Italia è un paese troppo
avanzato perchè ciò possa venire applicato; o forse il Messico è un paese troppo
arretrato perchè già ciò accada!
Proseguiamo la nostra mattinata, usciamo dalle rovine e camminiamo verso sud.
Tutta l'area lungo la costa è punteggiata da piccoli ristoranti, campeggi e piccoli
resort ecoturistici. Quì non è come a Cancún. L'aria è molto più distesa e rilassata.
Così decidiamo di entrare in spiaggia e di farci un bagno per raffreddarci un po'.
La sabbia è fresca nonostante la temperatura, l'acqua anche, è pulita, azzurra, no
meglio, turchese! Risaliamo e non c'è bisogno dell'ombrellone; semplicemente ci
stendiamo sotto una palma, ci asciughiamo, beviamo un po' di succo di cocco.
Tutto scorre lento e semplice. Forse questa piccola zona di Messico potrebbe
insegnare qualcosa ai nostri chilometri di bellissima costa rubati agli italiani.
Dovendo scegliere tra Sottomarina o Iesolo scelgo Tulum!
jue
20
dic
2012
Cobá - Prima Volta sulla Cima
La prima volta è sempre particolare! Non si scorda mai e per questo ha sempre un
sapore peculiare. Tutti si ricorderanno il loro primo giorno di scuola, la prima volta
in bicicletta o ancora il primo bacio adolescenziale.
Il significato che per me avrá Cobá per sempre sará quello della prima ascesa ad
una piramide Maya. Ancor piú se suddetta salita è stata fatta in un luogo cosi
particolare come quello appunto di Cobá. Il nuovo paesino è situato attorno ad una
laguna disseminata di cartelli che mettono in guardia dalla presenza di coccodrilli,
che sfortunatamente non abbiamo potuto vedere.Le rovine dell'antica cittá invece
sono nascoste tra la fitta foresta e se non fosse per i cartelli d'ingresso nemmeno ci
si accorgerebbe della loro presenza.
All'ingresso una mappa poco chiara ci mostra la distribuzione delle rovine, e per la
prima volta entriamo in contatto con l'urbanistica Maya. Le diverse aeree sono
connesse da strade bianche (sacbeob in lingua Maya) e qui a Cobá le distanze sono
particolarmente grandi; di fatto un noleggio bici permette di spostarci piú
velocemente tra un gruppo di rovine e le altre.
Tuttavia dato che per noi il tempo non è un problema e abbiamo per oggi un nuovo
compagno di viaggio, ce la prendiamo con comodo e ci incamminiamo a piedi. Nel
tragitto in bus tra Tulum e Cobá abbiamo conosciuto Gianni, ragazzo di Verona
anche lui in viaggio per tre mesi nell'America Centrale. Con i suoi fratelli gestisce un
rifugio nelle prealpi veronesi e dato che il lavoro è stagionale ogni anno ha la
possibilità di viaggiare. E' stato in Nepal, in Kenya e Tanzania sul Kilimangiaro, nella
Patagonia cilena e argentina e nei Canyon americani. Un buon compagno di viaggio
quindi.
Il sole picchia forte, ma fortunatamente la foresta è dalla nostra parte e le fronde
degli alberi fungono da protezione contro i potenti raggi solari. E' incredibile vedere
come dopo secoli di storia le strutture Maya siano ancora cosi ben conservate. La
vegetazione ha in qualche modo svolto un ruolo di protezione dato che ha impedito
con il tempo che gli agenti atmosferici potessero erodere le antiche pietra della
civiltá precolombiana. Un fatto da non sottovalutare dato che tutte le costruzioni
Maya furono eseguite con pietra calcarea che è quella che si trova nella penisola
dello Yucatán; e come si sa il calcare può facilmente essere modellato ed eroso
dall'acqua e dal vento.
Accompagnati come di consueto dalla folla dei turisti, che qui fortunatamente sono
più contenuti che in altre zone archeologiche più famose, passiamo tra una piazza e
l'altra, una piccola area dove si svolgeva il "juego de la pelota" e una piccola
piramide priva di tempio alla sommità. Chiacchieriamo e ci scambiamo opionioni sui
viaggi e sul viaggiare e alla fine arriviamo alla base di Nohoch Mul.
La piramide più alta dello Yucatán è costruita sulla base di una collina naturale e
misura 42m di altezza. I gradini di pietra sono più o meno regolari e salgono con
un'alzata davvero impressionante, tant'è che la pendenza è sicuramente maggiore
al 100%. Gianni con il suo passo da montanaro rapidamente raggiunge la vetta
mentre io e Tania procediamo più lentamente; ci godiamo la nostra prima salita e al
raggiungere la cima ci voltiamo.La foresta tutta intorno a noi; qui e là spuntano le
cime di altre piramidi più piccole e in lontananza si intravede la laguna dalla quale
abbiamo avuto accesso alla città.
La cosa divertente è che non penso a quello che sto vedendo, penso a quello che
potrò vedere quando saliremo sulle cime di Calakmul o di Tikal o dei templi di
Palenque. Penso a quello che ci attende e mi sento emozionato. Abbiamo appena
iniziato, il viaggio è lungo e pieno di avventure e di scoperte. Di scalate e di
discese.
Scendiamo dalla piramide, usciamo dalle rovine e in taxi raggiungiamo Valladolid.
sáb
22
dic
2012
Il nuovo Baktun
Il nuovo Baktun è iniziato e tra le strade di Mérida la vita scorre tranquilla come il
giorno precedente. Oggi doveva essere un giorno di celebrazione per i Maya;
tuttavia gli indigeni dello Yucatán sembrano proprio ignari di quello che è successo.
La città dove ci troviamo in questi giorni è la capitale dello stato in cui c'è la più alta
presenza indigena di tutto il Messico, ad esclusione forse del Chiapas. Ci
aspettavamo di trovare numerosi eventi e feste per celebrare l'avvento della nuova
era secondo il complicato calendario Maya, ma le cose non sono andate cosi.
Per chi come noi raggiunge Mérida arrivando da Est la tappa obbligatoria si chiama
Chichén Itzá. Chichén è uno dei siti Maya più ben conservati e più famosi del
Messico ed è compresa tra le Sette Meraviglie del mondo moderno. Chichén non è
un'antica città Maya. E' un antico luogo di culto dove in passato si attuavano le
cerimonie sacre per celebrare gli eventi importanti relazionati al calendario Maya.
Nessuna delle rovine che oggi sono visibili nello Yucatán rappresenta una cittá
Maya. La popolazione viveva, come vive tuttora, al di fuori di queste zone sacre; in
case di pietra calcarea dalla copertura di legno e rami di palma.
Tuttavia come tutti i moderni luoghi di culto; da Piazza San Pietro passando per La
Mecca e Lourdes, anche Chichén Itzá si è trasformata in un grande mercato,
intrappolata anch'essa tra la fitta ragnatela dell'asfissiante globalizzazione.
Quando si entra a Chichén Itzá si rimane impressionati dall'imponenza delle sue
solide costruzioni: dalla corte del "juego de la pelota", all'enorme colonnato del
tempio delle mille colonne, dall'osservatorio del "Caracol" alla piramide di Kukulcan.
Il sole picchia forte e la radura attorno alla famosa piramide è calpestata già da
centinaia di turisti sin dall'alba. Ben presto però la costernazione prende il posto
dello stupore per tanta meraviglia architettonica. Numerose corde e cartelli
impediscono l'accesso a tutte le aree del sito; sembra di stare in un museo in cui gli
edifici Maya stanno dietro ad una teca e non possono essere toccati, calpestati,
vissuti.
Dopo alcune ore apre il grande mercato di Chichén. A fiumi giovani e vecchi
indigeni arrivano alle rovine ed iniziano a preparare i loro banchetti e a sistemare la
loro merce tutta uguale ed inutile che sono obbligati a vendere. La gente è più
interessata da questa o quella offerta che non dall'architettura che li circonda e in
breve le strade che collegano le varie parti del sito si trasformano in mercato
all'aria aperta. Sembra di stare in Prato della Valle, o al FishMarkt ad Amburgo; solo
che qui stiamo a migliaia di chilometri dall'Europa.
Il giorno successivo visitiamo un altro sito archeologico. Si tratta di Mayapan che
dopo la caduta di Chichén Itzá, fù l'ultima capitale prima dell'arrivo degli Spagnoli.
Questa volta il sito è molto meno imponente, più contenuto nelle dimensioni e sono
evidenti i segnali di una civiltà ormai sulla strada della decadenza. Se la civiltà Maya
esistesse ancora, oggi sarebbe un giorno speciale. Un giorno da celebrare con
fastose cerimonie religiose. Mayapan sarebbe stracolma di indigeni. Oggi a
Mayapan non c'è nessuno; o meglio non c'è nessun discendente di quella civiltà.
Circa un centinaio di persone sono raccolte nella piazza principale sotto la copia
dell'omonima piramide di Kukulkan. Si intravedono facce orientali, occhi a
mandorla, si ascolta un forte accento americano e forse anche qualche messicano è
presente tra loro. Svolgono un rituale con dell'incenso e suonando dei tamburi,
pronunciando strane parole probabilmente nell'antica lingua Maya che ancora gli
indigeni quì usano per comunicare. Pensano di entrare in contatto con la natura, di
purificare i loro corpi. Eccoli lì i discendenti dell'antica civiltà. Gente che si è
incontrata probabilmente sul web, affascinati dalle antiche leggende. Per loro oggi è
un giorno speciale; per i Maya che stavano nell'autobus con noi oggi è un giorno
come un altro!
Ci eravamo proposti di capire, durante questa prima parte del nostro viaggio, come
si fossero conservate le antiche tradizioni e la civiltà del popolo precolombiano.
Ebbene, adesso possiamo dire con sicurezza che ormai della civiltà Maya non
rimangono che le pesanti pietre dei maestuosi templi; il popolo Maya ancora in vita
si è lasciato assorbire dalla comunità globale.
lun
24
dic
2012
Nella Valle del Puuc
Dal finestrino dell'autobus scorrono rapide le immagini di un nuovo paesaggio.
Stiamo uscendo da Mérida e ci dirigiamo verso sud; in lontananza il profilo di alcune
colline, stiamo entrando nella regione Puuc che in lingua Maya significa appunto
collina. L'autobus inizia a salire e scendere alcuni lievi pendii e dal piccolo oblò di
vetro si scorgono campi di cereali, alberi da frutto strani, forse di avocado e poi
ancora foresta. La zona sembra più fertile e finalmente si vedono le coltivazioni di
quello che per i Maya è il cibo base: il mais appunto.
Arrivati ad Uxmal ci addentriamo per un breve tratto nella foresta, paghiamo il
biglietto, lasciamo gli zaini nel deposito e ci prepariamo ad entrare nel sito.
Come a Chichén Itzá subito ci si para davanti la piramide più famosa; la piramide
dell'Adivino. Sin dal primo impatto si ha l'impressione di essere davanti ad un altro
tipo di architettura; la forma ovale, i gradini lavorati con maggiore cura e un lato,
quello ovest della piramide completamento adornato con fregi e bassorilievi tipici
dello stile Puuc. La sensazione non è quella di solidità e graniticità che si aveva a
Chichén; bensi sembra di stare di fronte a qualcosa solidamente leggero!
Uxmal però ci affascina con altre strutture che poco a poco ci fanno innamorare del
sito. Il Patio de las Monjas, la Gran Piramide, la Casa de las Tortugas, il Palazzo
Reale, tutti con le loro decorazioni, le pietre color calce accese dal sole del
mezzogiorno, ma soprattutto è la visione d'assieme che rende splendido questo
luogo. A differenza di Chichén il sito è molto più compatto ed è inoltre costruito su
vari livelli, cosicchè la possibilità di salire sopra a questa o quella piramide fornisce
l'occasione di vedere gli edifici sotto altri punti di vista: Otras Miradas appunto!
Per adesso Uxmal è la nostra città sacra preferita!
La Ruta Puuc prosegue verso sud con la strada che striscia giù tra le colline,
conducendo ad un'ampia pianura. Davanti a noi grandi distese di mais coltivate da
una grande comunità di Menoniti. Quando arriviamo al paese di Hopelchén per
cambiare il bus direzione a Campeche, il centro è pieno di contadini. E' gente alta,
vestiti tutti allo stesso modo: uomini e bambini con camicia a quadri e salopette,
donne con un lungo vestito nero e la gonna.
Vengono dal Nord del Messico, la maggior parte dallo stato di Chihuahua. E'
divertente trovarsi in un paese tra le colline dello Yucatan meridionale in mezzo a
Menoniti e Maya. Chi l'avrebbe mai detto!
mar
25
dic
2012
Buon Natale!
Un ventilatore gira monotono sopra le nostre teste, l'aria calda entra dalla finestra e
la leggera brezza marina muove la tenda gialla dai fiori bianchi. Ci svegliamo come
le mattina precedenti un po' appiccicosi per il sudore della notte e qualche puntara
di zanzara quà e là.
Oggi è una mattina diversa. E' la mattina di Natale!! Ci scambiamo gli auguri e ci
alziamo felici.
Tutto ci sembra strano e allo stesso tempo normale; le auto fuori passano come di
consueto, nell'ostello la gente si fa la fila per la doccia, alcuni se ne vanno, altri
arrivano. Per chi viaggia Natale è un giorno come un altro, anzi un giorno orribile
perchè tutte i negozi che ti servono sono chiusi e li vorresti aperti, perchè hai
bisogno della lavanderia, del supermercato per mangiare economico, della stazione
degli autobus per saper domani a che ora partire verso la prossima destinazione.
Con calma facciamo doccia e colazione e scendiamo in strada. Il sole illumina la
nostre teste e picchia forte; siamo in maniche e pantaloni corti. Penso alla famiglia
a casa che adesso starà andando a cenare come di consueto da mia nonna. Lì si
che farà fresco.
Campeche oggi è deserta, ai lati delle strade sono poche le auto parcheggiate e
finalmente ci possiamo gustare una passeggiata romantica e tranquilla tra le viuzze
della cittadina. Le case basse e multicolore sprigionano allegria; una muraglia,
anticamente costruita per difendere la città dagli assalti dei pirati, circonda l'intero
centro storico. Ci mettiamo in marcia verso una direzione casuale in cerca di un
posto dove fare il fatidico pranzo di Natale.
Il bello di essere in viaggio stà nell'apprezzare soprattutto le piccole cose, le
minuzie, i dettagli. Un vecchio Volkswagen giallo parcheggiato ai bordi della strada,
dei bambini che corrono felici nella piazza principale della città, il pranzo di Natale
in una piccola osteria locale dove quando entri la signora ti stringe la mano, si
presenta e ti fa gli auguri di Natale come se fosse tua zia.
Ti fa accomodare e dopo poco torna con due belle bistecche di manzo contornate da
insalata, pomodori, patate fritte, fagioli, avocado e banana fritta. La bistecca va giù
rapida tra un bicchiere di sangria e l'altro e alla fine quando ti portano il conto e
vedi che in due paghi meno di 10€ sei ancora più felice e ringrazi come se fossi
stato a cena dal governatore!
Le cose sono semplici quando si viaggia. Non ci sono regali da fare, biglietti di
auguri più o meno ipocriti da scrivere e centinaia di baci da regalare a parenti che
vedi dopo un anno. Pensi a quello che hai visto i giorni prima, a quello che vedrai i
giorni successivi, ad un amico che domani incontrerai dopo oltre tre anni; pensi che
hai la compagnia della persona che più conta per te e sei felice.
Torni all'ostello, ti sdrai nel letto sfondato dove migliaia di altri viaggiatori come te
hanno dormito prima, l'aria fresca ti asciuga il sudore del viso e ti addormenti
contento
Le gioie quotidiane sono semplici e potenti!
dom
30
dic
2012
Tra le Rovine nella Foresta Pluviale
Le gocce d'acqua cadono pesanti scandendo il tempo come di un orologio
irregolare. Alle prime luci dell'alba la foresta si risveglia e l'umidità accumulata
durante la notte inizia a salire alta sopra la marea verde.
Gli alberi scricchiolano mossi da improvvise correnti d'aria e le foglie cadono
leggere e rumorose sopra il terreno reso soffice dall'umidità. La temperatura nella
tenda è insopportabile, apro la cerniera e vengo investito da una zuffata di aria
fresca e dal profumo della legna umida.
Attorno a noi le galline sono alla disperata ricerca di vermi per la loro colazione
mattutina; in lontananza il canto del gallo ad annunciare la sveglia. Poi iniziano le
scimmie urlatrici; le loro urla soffocate sono forti ed acute. Cosi ci si sveglia nella
foresta pluviale.
Ci troviamo in un campeggio senza elettricità ed acqua corrente, la doccia alla
mattina si fa con l'acqua piovana raccolta la sera prima dopo il classico temporale, il
sapone prodotto naturalmente e una piccola tazza per raccogliere l'acqua e
buttarsela addosso. Poi la colazione a base di fagioli ed uova appena raccolte, e
caffè del Chiapas.
Siamo all'interno della riserva di Calakmul, nel sud dello stato di Campeche a circa
60km dal paese più vicino. Nel campeggio le cose vanno a ritmo del sole, che qui
spunta attorno alle 5:30.
Saliamo tutti e 6 nel furgone che ci porterà in visita alle rovine di Calakmul; la
strada asfaltata sale e scende tra le colline, ondulando dolcemente. Ai lati della
strada gli alberi sfrecciano rapidi, la vegetazione è cosi fitta che si stenta a vedere
la luce del sole penetrare tra le fronde. E' incredibile come tanti alberi possano
sopravvivere cosi stipati tra loro; da noi quando si parla di boschi o foreste siamo
abituati comunque a zone in cui gli alberi si distanziano 4-5m tra loro. Quì nella
selva a stento si riesce a passare tra un tronco e l'altro. Dopo circa 60km arriviamo
alle rovine.
Calakmul fu durante il periodo Classico una città di grande importanza; rivale di
Tikal, situata nell'odierno Guatemala, è famosa per le centinaia di stele che vennero
scolpite per commemorare gli episodi più importanti della città. Il sito è tra i più
grandi di quelli visti finora; ci aspettano circa 6km di sentieri!
Ci mettiamo in marcia e ci troviamo subito avvolti in uno scenario superlativo: la
densitè vegetativa è enorme, laddove le rovine sono state ripulite la natura invade
le bianche rocce con una velocità incredibile. Di quando in quando fagiani dai colori
sgargianti attraversano rapidi il sentiero, scorgiamo pecari dal collare bianco e
tacchini ocellati, mentre uccelli variopinti si nascondono tra le fronde. Vediamo
verdi pappagalli e piccoli tucani neri dal becco giallo, verde o arancione. Ogni tanto
cade qualche ramo o frutto dall'alto, solleviamo la testa e delle scimmie ragno
stanno giocando a 50m d'altezza. Sono cosi agili che si aggrappano con la lunga
coda pelosa tra i rami, balzando da un albero all'altro.
Passo dopo passo giungiamo alla zona della Gran Plaza dove le cime delle tre
piramidi più imponenti di tutto il Messico svettano sopra la foresta. La fatica della
salita è ricompensata dall'ampia vista a 360 della natura circostante, e anche se il
cielo è fastidiosamente oscurato dalle nuvole, l'aria che si respira in cima è
straordinaria. In lontananza le grida delle scimmie urlatrici; alcune aquile sorvolano
leggere la vegetazione. Sembrano galleggiare al di sopra della marea verde, fiere
ed eleganti.
Nella sua secolare immobilità Calakmul rimane l'indiscussa regina della foresta;
nascosta e dimenticata dagli uomini, ma vivida testimonianza di un antico ed epico
passato!
mar
01
ene
2013
La Nostra Prima Volta a Dedo!
Il nostro primo giorno dell'anno inizia come un giorno qualsiasi. Siamo ospiti in casa
di Graciela, dalle quale abbiamo saputo scroccare la notte di capodanno ma
sfortunatamente non l'intero cenone! Facciamo colazione vecchia maniera con
biscotti e latte e poi ci dirigiamo alla stazione per prendere il consueto autobus.Oggi
si va a Bacalar, Pueblo Magico che dista una trentina di km da Chetumal. Siamo
ritornati nelCaribe Mexicano e come i primi giorni di viaggio l'umidità e il calore
sono elevati.
Arriviamo col bus di seconda al paesino; è una cittadina tranquilla e rilassata
adagiata sul fianco di una bellissima laguna. Bacalar è chiamata anche la laguna dei
sette colori per le notevoli tonalità di azzurro che le sabbie bianche dei suoi fondali
conferiscono alle acque calme e trasparenti. Dall'alto del forte da cui la città si
difendeva dagli attacchi pirata le tonalità non sembrano così varie; il tempo non è
dalla nostra e grosse nuvole cariche di pioggia minacciano di rovinarci la giornata.
Scendiamo verso riva ed entriamo in un balneario. E' un piacere fare il bagno
nell'acqua dolce, è cosi limpida e la sabbia bianca le dona un colore turchese che
sembra di stare in una piscina. Decidiamo di noleggiare un kayak doppio,
indossiamo i giubbottini e via di buona lena. Raggiungiamo l'altra sponda della
laguna, nella quale il basso fondale sabbioso ci impedisce l'approdo, anzi finiamo
quasi con metà gamba nelle sabbie mobili, cosi ci rilassiamo e ci lasciamo cullare
dalle onde. Da questo lato la vista è ben diversa, adesso si che la laguna fa onore al
suo nome.
Tornati al molo riposiamo le stanche membra un po' fuori allenamento ed andiamo
a pranzare. Oggi, come gli altri giorni ci aspettano tacos con salse varie e carne di
pollo! L'altra attrattiva del paese è il Cenote Azul, che però dista circa 7km dal
centro cittadino. Decidiamo di incamminarci verso la metà ma ben presto la pancia
piena ci fa desistere e cosi abbiamo la brillante idea del giorno. Chiedere un
passaggio a qualcuno!
Il posto è tranquillo e la gente rilassata, passano vari pick-up lungo la stradina;
alziamo il dito una due tre volte e finalmente si ferma un pick-up rosso con a bordo
un giovane sulla trentina. Gli chiediamo se ci può accompagnare al Cenote e lui
accetta, saliamo a bordo e dopo tre secondi scopriamo dalla parlata che è un
fiorentino!
Il giovane è in Messico da 5 anni e gestisce qui a Bacalar un piccolo ristorante con
la moglie che è americana. Chiacchieriamo un po' e in un baleno raggiungiamo il
Cenote, lo ringraziamo e ci riposiamo sulle sponde dell'enorme pozzo pieno d'acqua.
E' un cenote diverso da quelli visti finora che assomigliavano a delle caverne piene
d'acqua, di fatto è uno dei più profondi della penisola: 92m dicono i cartelli!
Ci perdiamo cosi a fissare il blu profondo delle sue acque scure.
Nel tardo pomeriggio troviamo poi un altro passaggio nella rotta verso casa, il
camion su cui saliamo non è diretto a Chetumal, ma l'autista ben contento di
chiacchierare con noi ci accompagna fino al bivo per Escarcega, e poi da li
prendiamo un bus che ci porta in città. Facciamo la spesa e cuciniamo per la nostra
Graciela un delizioso risotto alla cubana.
La giornata finisce cosi tra una chiacchierata tranquilla! E' stata una giornata
divertente, quella del nostro primo viaje a dedo!
Domani si parte per il Guatemala, ci aspettano 8 ore di viaggio!
vie
04
ene
2013
Alla Tranquilla Scoperta di Flores
A volte quando si arriva in una nuova città si ha la foga di voler visitare al più
presto le maggiori attrazioni, forse spinti dalla voglia di vedere i posti che fino a
quel momento abbiamo sempre sognato, di andare alla scoperta di nuove
sensazioni, nuove avventure, nuove miradas.
Tuttavia, in molti casi, è decisamente meglio fermarsi e prendersi una pausa, non
porsi dei limiti temporali o spaziali, bensì viaggiare liberi e lasciarsi trasportare dalle
circostanze. Certo lo sappiamo, non è da tutti, però uno degli innumerevoli vantaggi
del vagabondingsta proprio in queste occasioni.
Flores è il nostro primo contatto con il Guatemala. Il nuovo paese ci piace, la gente
è gentile e sorridente come in Messico, forse un po' meno loquace, però sempre
disposta ad aiutare. Le strade sono in ordine, pulite e non c'è troppo traffico, se non
per i centinaia dituk tuk che girano rapidi tra le strette stradine della città. Flores è
situata all'interno del lago di Petén Itzá e fu l'ultimo rifugio dei Maya Itzá sfuggiti
dalla rovina di Chichén; gli spagnoli la conquistarono solo alla fine del XVII secolo, e
ovviamente pensarono bene di cancellare le tracce della civiltà che li aveva
preceduti costruendo in cima alla piramide un bella chiesetta bianca e iniziando ad
urbanizzare a partire dalla stessa il resto della cittadina.
Il lago ha un qualcosa di particolare, quasi una misticità che si scopre solo
passeggiandovi tra le rive erbose. Le nuvole ancora cariche di pioggia della notte
precedente fanno si che le calme e piatte acque del lago appaiano con un tono
alquanto triste, ma appena il vento riesce a spostare i grossi nuvoloni grigi si scopre
come un nuovo mondo.
La luce del sole riflessa sulla superficie del lago gli dona un'improvvisa tonalità
turchese che ci ricorda un po' la laguna Bacalar vista un paio di giorni fà; il sole
asciuga le foglie e tra la foresta inizia ad alzarsi l'umidità accumulata nella notte.
Passeggiamo tranquilli tra i sentieri all'ombra di cedri, ceibas, sapodillas e molte
altre piante; giungiamo ad una spiaggia in tutta tranquillità, attraversiamo il lago e
siamo di nuovo immersi tra le vie di Flores. Saliamo verso la chiesetta e cerchiamo
riparo dal sole cocente. Pranziamo e continuiamo il nostro lento e tranquillo andare
per le viuzze del centro.
Oggi è tempo di rallentare, domani arriverà il tempo di accelerare!
dom
06
ene
2013
Molto più di Semplici Rovine
Da quando siamo giunti nel Petén ha piovuto tutti i giorni, la gente ci assicura che
non siamo nella stagione delle piogge, ma qui la pioggia cade ininterrottamente
tutto l'anno; per questo la vegetazione è cosi rigogliosa e la giungla cresce senza
sosta. Il risveglio nella nostra cabaña è come sempre scandito dalla pioggia che
cade senza tregua sul tetto dalle foglie di palma; facciamo colazione e sistemiamo
gli zaini con la faccia ancora piena di sonno e l'umore basso. Oggi andiamo a
visitare Tikal, uno dei siti Maya più grandi ed importanti di tutta la zona e il fatto
che piova a dirotto di certo non ci allegra la giornata.
Ora, a volte capita che durante il giorno una persona possa cambiare umore
rapidamente, e di fatto alla partenza verso il parco le cose di certo non migliorano.
La strada è mezza allagata e il tunnel naturale di vegetazione che si piega attorno a
noi
rende
ancora
più
cupo
il
nostro
cammino.
Poi una breccia di speranza, appena passata una collina scendiamo verso una valle
dove sembra la pioggia diminuisca, attraversiamo lenti un piccolo paesino ed
entriamo nel Parco Naturale. Arrivati al parcheggio la pioggia è quasi terminata del
tutto e cosi abbiamo l'ardore di lasciare in macchina le nostre mantelle e gettarci a
capofitto nella foresta.
Tikal non è semplicemente un sito archeologico come gli altri che abbiamo visitato
finora, è prima di tutto un'area protetta ricca di fauna e flora locale, una zona con
vari sentieri che si estendono in lungo e in largo per una decina circa di kilometri; è
un museo di storia a cielo aperto, uno zoo, area di trekking, è un condensato di
emozioni,
sudore,
fatica
e
rigogliosa
vegetazione!
Siamo circondati da Ceibas altissime, Ramones blancos, cedri e rugose Sapodillas
dal tronco inciso (l'albero della gomma); il sentiero serpeggia all'interno della
foresta e qualche spiraglio di sole penetra tra i rami riscaldando il nostro animo.
Incontriamo picchi dalla testa rossa, piccoli colibrì variopinti, tacchini ocellati simili a
pavoni, fagiani ed aironi che volano sopra la volta della foresta, e poi ancora tucani,
scoiattoli, scimmie ragno ed urlatrici e buffi coati che si avvicinano senza timore
all'uomo.
Insomma sembra di stare allo zoo; poi all'improvviso il primo tempio, lì immobile da
secoli, schiacciato dalle radici degli alberi e dal muschio del sottobosco, si erge alto
e maestoso, con la sommità di calce bianca. Continuiamo il cammino e ci
imbattiamo in altre rovine, in cortili ampi e squadrati, circondati da palazzi immensi
seminascosti sotto il terriccio e le foglie. Il ritmo a cui cresce la giungla è ben più
alto di quello a cui avvengono i restauri e le pulizie, cosi capita che a volte reperti
riportati alla luce di recente, vengano poi di nuovo sepolti dalla vegetazione.
Sembra di stare nel film "Jurassic Park", o nel "Signore degli Anelli" o in qualsiasi
altro film di avventura; le radici delle piante sono cosi grosse e ramificate, ci sono
palme e liane pendenti da qualsiasi lato e l'umidità è cosi alta che si può quasi
respirarla. All'improvviso una radura, scorgiamo il retro di un tempio ben più
grande del precedente, è imponente. Negli altri casi le piramidi erano costruite con
una base molto ampia e una pendenza, che sebbene elevata, non reggeva il
confronto con i templi di Tikal. Quì le strutture sono più simili a palazzi che a
piramidi.
Entriamo nella Gran Plaza, le nuvole per un momento si diradano e possiamo
ammirare la possente Tikal in tutto il suo splendore. La piazza centrale è un
sapiente miscuglio di equilibrio e maestuosità; le due piramidi gemelle a delimitarne
i lati Est ed Ovest, il palazzo reale sul lato Sud, costruito in posizione leggermente
elevata, e poi la grande Acropoli sul lato nord che si adagia su una collinetta. Le
scalinate, le facciate, i vuoti e i pieni, tutto è cosi proporzionato ed in armonia con il
paesaggio naturale che lo circonda. E' incredibile pensare a come una civiltà abbia
potuto fiorire e costruire una città di una tale importanza letteralmente nel cuore
della giungla in condizioni di certo non favorevoli come quelle a cui erano abituati
Romani e Greci!
La nostra marcia procede verso Sud, attraversiamo l'acropolis e raggiungiamo il
tempio V, non si può scalarlo, cosi ci accontentiamo di ammirarlo dal basso, poi
nella piazza dei sette templi, il Mundo Perdido ed infine il tempio IV. Da vicino
sembra una collina, i lavori di restauro sono ancora in corso e la salita alla cima ci è
permessa attraverso una serie di scale di legno. Con i suoi 64m di altezza è la
struttura Maya più alta della regione, e quando si raggiunge la vetta sembra di
galleggiare sopra la foresta. E`come una piattaforma dalla quale ci si può tuffare
nel mare verde della giungla. Seduti sui gradini scorgiamo all'orizzonte le cime di
altre quattro piramidi, sembrano delle piccole torri bianche in mezzo al mare.
Dall'alto si ha la sensazione di dominare e controllare la volta della foresta pluviale.
Siamo emozionati e felici; oggi il cielo ci ha regalato un momento di tregua!
Scendiamo e ci incamminiamo nuovamente verso la Gran Plaza che adesso è vuota,
è quasi l'imbrunire e i nostri passi riecheggiano mentre ci spostiamo rapidi verso
l'uscita.
Inizia a cadere qualche goccia di pioggia, saliamo in macchina e il cielo si scatena.
mar
08
ene
2013
Nuovamente in Messico
L'Usumacinta è il fiume più grande del Messico, nasce sugli altipiani del Guatemala
e poi scende verso Nord, serpeggiando tra le montagne e raggiungendo il Golfo del
Messico vicino ad un altro fiume, il Grijalva. Per buona parte del suo percorso,
segna il confine tra il Guatemala e lo stato messicano del Chiapas.
E' quì che noi lo attraversiamo, arrivati a La Tecnica, un paesino disperso tra le
colline guatemalteche, prendiamo una lancha e in meno di quattro minuti siamo di
nuovo in Messico!
Dormiamo in tenda presso un bellissimo campeggio posto sulle rive del fiume e
gestito da una comunità di Maya Chol, e il giorno dopo andiamo a visitare
Yaxchilán. La città dalle pietre verdi è nascosta nella giungla in un'ansa del fiume;
dopo quaranta minuti di barca raggiungiamo il molo e ci incamminiamo verso le
rovine. Yaxchilán non è grandissima, però la sua bellezza è dovuta in gran parte
alla sua posizione, ai suoi colori, all'umidità della foresta. Il verde del muschio che
ne ricopre le rovine brilla illuminato dai raggi che a stento penetrano tra le
gigantesche ceibas e gli alberi della gomma; il rumore dei nostri passi è avvertito
dalle scimmie urlatrici che come di consueto manifestano la loro presenza con le
loro urla.
Al ritorno affrontiamo la corrente avversa dell'Usumacinta, le acque marroni
trasportano detriti di alberi e qualche bottiglia di plastica e sulle rive del fiume
scorgiamo anche un coccodrillo che si riposa scaldandosi al sole.
Da Frontera Corozal con un furgoncino ci dirigiamo verso Palenque; è un viaggio di
tre ore all'interno della Selva Lacandona. Un paesaggio naturale bellissimo, da un
lato il fiume, dall'altro le montagne chiapateche, verdi, dalla vegetazione
lussureggiante. E' strano vedere delle montagne piene di palme, piante di mango e
banane e un groviglio infinito di liane, abituati come siamo alla graniticità delle
nostre Dolomiti. Di quando in quando un posto di blocco dei militari, un controllo
rapido dei documenti e degli zaini, e poi si riparte. Chiedo all'autista se ci sono
comunità zapatiste nella zona e lui mi risponde di sì. Ecco il motivo di tanti controlli!
L'indomani la visita ad uno degli ultimi grandi siti Maya; Palenque si trova adagiato
sul fianco di una collina ed è circondato da una vasta foresta pluviale. Inizialmente
rimaniamo poco impressionati, soprattutto perchè dopo aver visto Tikal, Calakmul e
Yaxchilán ci sembra che il sito sia piccolo. E' come vedere gli Uffizi dopo essere già
stati al British Museum, al Louvre e all'Hermitage; insomma tutto è relativo.
Ciononostante Palenque ha la sua peculiarità legata al fatto che gran parte del sito
si trova lungo le ripide di un torrente e che la vista all'imbrunire dall'alto del Templo
de la Cruz è semplicemente magnifica.Il palazzo centrale piano piano si copre delle
ombre delle colline circostanti, la torre è l'unica e rimanere illuminata dalla calda
luce del sole.
dom
13
ene
2013
Una Tranquilla Domenica al Parco
A volte capita di aspettarsi molto dalla visita di una città o di un luogo che magari la
publicità o le guide hanno esaltato al massimo, mentre al contrario in altre
occasioni si può rimanere contenti di una giornata passata in un posto inaspettato.
E' cosi che ci è successo questa domenica nella città di Villahermosa.
Villahermosa è la capitale dello stato di Tabasco, uno stato dove l'acqua invade la
terra e numerosi sono i fiumi, le lagune e gli acquitrini. Nel 2007 e nel 2009 circa
l'80% dello stato venne allagato a seguito di precipitazioni straordinarie, e
oggigiorno il paese si trova a lottare ancora contro questo problema.
Ciò che pregiudica da una lato il paese, rappresenta una grande risorsa dall'altro, il
sottosuolo tabasqueño di fatto è ricco di giacimenti petroliferi e di gas naturale;
risorse indispensabili per il boom economico dell'ultimo ventennio.
Sebbene Villahermosa non sia la città hermosa che promette di essere, il centro
cittadino non è poi cosi male; esistono ampi spazi di incontro comune, zone
pedonali e le strade sono mediamente pulite rispetto agli standard messicani fin qui
sperimentati.
Ma la parte più bella della città è la laguna de las ilusiones; un'area verde che si
estende nella parte nordoccidentale del centro abitato. Un parco naturale misto ad
uno zoo e ad un'area archeologica; qui infatti vengono conservati i resti più
importanti della zona archeologica conosciuta come La Venta, considerata la madre
di tutte le civiltà mesoamericane, la civiltà olmeca appunto. Cosi si finisce per
camminare all'interno dei sentieri del parco, imbattendosi in teste giganti di basalto,
in animali allo stato brado e in altri rinchiusi nelle loro aree protette.
Usciti dal parco passeggiamo tranquillamente attorno alla laguna, i bambini corrono
felici lungo il malecón che circonda il lago, ci sono un sacco di coppie giovani,
spesso con bambini al seguito, ma anche gente anziana con i nipotini. Sono scene
che mi ricordano molto la Germania, quando nei week-end le famiglie escono di
casa e vanno nei parchi a fare barbecue o a giocare.
Tutto è cosi rilassato e semplice, la gente non si preoccupa di come va vestita o se
il loro passeggino è l'ultimo grido del mercato, la gente ti sorride, ti dice buon
appetito mentre mangi un gelato per strada. Sembrano rilassati, magari non sono
le persone più felici del mondo, però questa è la loro forma di essere, di vivere la
vita!
mié
16
ene
2013
Dove Tutto Incominciò
Spesso capita che la storia venga distorta a seconda delle persone che la
raccontano, o dei periodi storici in cui viene revisionata e modificata al fine di
cambiare l'opinione pubblica nei confronti di questo o quell'altro tema. Da normali
ignoranti veniamo messi a conoscenza in maniera frettolosa e poco approfondita di
come la conquista del Messico e successivamente delle altre regioni
centroamericane, sia avvenuta per mano di sanguinari e spietati spagnoli, i quali,
giunti con il loro potente esercito nelle terre del nuovo mondo, non fecero altro che
seminare panico e morte tra gli indigeni locali. Le cose tuttavia, andarono ben
diversamente.
Circa 50km a nord di Veracruz si trovano due siti archeologici apparentemente
insignificanti dal punto di vista architettonico, sebbene importantissimi dal punto di
vista storico. Quiahuiztlán e Zempoala erano all'epoca dello sbarco degli spagnoli
due importanti città della civiltà Totonaca; questo popolo che abitava tutta la costa
orientale dell'attuale Messico erano sottomessi dagli Aztechi a pagare tributi e a
contribuire con i loro soldati nelle guerre che prevedevano l'espansione dell'impero
Mexica o ancora in casi estremi a contribuire con i loro uomini ai sanguinari riti
aztechi che prevedevano il sacrificio umano.
Quando Cortés sbarca su queste coste ha con se circa cinquecento soldati ed è al
comando di una decina di navi; al suo arrivo, il venerdì santo dell'anno 1519
battezza il luogo come Villa Rica de la Vera Cruz, e vi fa costruire la prima chiesa
cattolica del nuovo mondo.Successivamente viene a contatto con il popolo
Totonaca, l'accoglienza è calorosa e ci sono vari scambi di doni dall'una e dall'altra
parte. Gli spagnoli vengono a contatto con un popolo pacifico, che descrivono come
persone sempre sorridenti e gentili, sebbene schiacciati dal potere e dal peso fiscale
dei vicini Aztechi. Cortés capisce la situazione e stringe un patto con i capi locali
affinchè si uniscano a loro per poter sconfiggere i Mexicas.
I nuovi arrivati vengono invitati varie volte ad andarsene dal territorio azteco,
tuttavia grazie all'appoggio dei Totonachi e quello di altre popolazioni locali,
formano un grande esercito di circa 3000 indigeni e con questo attaccano la
capitale Tenochtitlan (attuale Città del Messico) conquistandola in breve tempo.
Senza l'appoggio del popolo Totonaca non sarebbe mai riusciti a penetrare nella
capitale dell'impero Azteca.
Certo non possiamo assolvere Cortés e i suoi uomini da una responsabilità che ebbe
conseguenze storiche enormi, tuttavia analizzando i fatti storici sotto un altro punto
di
vista
vediamo
come
senza
l'appoggio
delle
popolazioni
locali,
la Conquista sarebbe stata molto più complicata!
dom
20
ene
2013
Tra Caffè e Banane
La nostra seconda parte del viaggio, ovvero la parte centrale del Messico, inizia con
un bellissimo weekend presso la capitale dello stato di Veracruz.
Xalapa è situata su un altipiano alla base del vulcano Cofre de Perote, ormai estinto
da anni; è una città diversa da tutte le altre, finalmente si sale e si scende, le
montagne nascoste dalle nuvole ci circondandano e l'aria è piacevolmente
fresca...anzi abbastanza fredda. Per la prima volta dopo la nostra partenza dalla
Germania, abbiamo bisogno di giacche e maglioni, che ormai avevamo dimenticato
sepolti nel fondo dei nostri zaini.
Siamo gentilmente ospitati da Olaf, studente di gastronomia che con la sua famiglia
è nato e cresciuto a Xalapa. Al nostro arrivo ci porta subito fuori; il venerdi sera c'è
parecchio movimento in giro, la città è piena di studenti e i locali sono affollati ed
economici. Entriamo in una "pizzeria" dove un gruppo capitanato da due giovani
ragazze suona musica propria; sono amici di Olaf, il batterista è una bomba, mi
esalta, ed inoltre hanno un sassofonista che da sempre un tocco in più alle loro
canzoni. Non male davvero le ragazze!
La zona attorno alla città è punteggiata da piccoli paesini che si dedicano alla
coltivazione del caffè, così, in compagnia di Olaf e della sua ragazza Dafne ci
buttiamo alla scoperta della zona. Arriviamo a Xico, il "pueblo magico" famoso per il
caffè. Ma quello che più sorprende è che le piante di caffè, che vediamo per la
prima volta nella nostra vita, sono coltivate assieme alle banane. Di fatto sembra
che ci siano delle piantagioni di banane, e che una strana pianta infestante cresca
sotto la protezione delle larghe foglie dei banani. Quando il frutto del caffè è maturo
diventa rosso, allora è tempo di raccoglierlo; successivamente viene spolpato,
tostato e poi macinato. La polpa è divisa in due da una sottile membrana e al suo
interno sono contenuti i chicchi che siamo abituati a vedere; li assaggio e hanno un
gusto stranissimo, tipo patata dolce, niente a che vedere col caffè!
La giornata in compagnia dei ragazzi è molto piacevole; camminiamo in un sentiero
circondato da piccoli ruscelli, cascate e le piantagioni di caffè, poi finiamo a
passeggiare nel centro del paese. Le case sono basse, le insegne di legno, le strade
non asfaltate, i ristoranti pieni di gente, ci infiliamo in uno di questi e trangugiamo
un buonissimo pollo condito con salsa di caffè. Olaf è stato in Spagna a lavorare sei
mesi come cuoco in un hotel, così finiamo per confrontare i nostri paesi con il
Messico, il nostro continente con quello americano e ovviamente come capita
sempre in queste occasioni ognuno è orgoglioso di parlare delle proprie tradizioni e
della propria cultura, lasciando in disparte gli aspetti economici e politici di cui
nessuno va fiero!
La nostra discussione finisce in un caffè del paese adiacente, Coatepec. Al piano
inferiore la tostatrice del caffè esala odori forti ed inebrianti; mi ricorda quando
vicino a casa tostano il caffè e tutto il paese si riempie di quell'odore da bruciato.
Chi non c'è abituato lo detesta, ma io lo adoro!
La sera ci mangiamo un bel piatto di pasta tonno, olive nere e capperi, e
incredibilmemte olio di oliva! Delizioso! Poi ci sdraiamo sul divano a guardarci un
film messicano, si intitola "L'inferno" e racconta la storia di un paese del Messico
settentrionale in cui due bande rivali di narcotrafficanti si fanno la guerra per il
controllo del territorio.
In fondo Italia e Messico non sono poi così diversi.
mié
23
ene
2013
Rumbo al DF!
Scesi dalle montagne riprendiamo il nostro cammino verso il nord dello stato di
Veracruz. Costeggiamo il golfo attraversando piccole cittadine e passiamo vicino
all'unica centrale nucleare del Messico per arrivare alla città di Poza Rica. Una città
abbastanza brutta costruita durante gli anni '50 quando si scoprirono i giacimenti di
petrolio i quali sono letteralmente nella città; dovunque ci si gira si vedono fumi
neri salire verso il cielo grigio e quà e là la luce delle fiamme del gas che viene
bruciato. Nell'aria è forte l'odore acre e pungente del petrolio.
Il giorno seguente, accompagnati da David, il couchsurfer che ci ospita, e da una
sua amica ci dirigiamo verso El Tajin, la città più grande per importanza della civiltà
Totonaca. L'area archeologica è davvero strana, innanzitutto giusto nell'ingresso
assistiamo al rituale dei voladores; quattro uomini che appesi a testa in giù girano
attorno ad un palo alto 30m sulla cui sommita un quinto uomo seduto suona il
flauto per richiamare la pioggia. Entriamo nel sito e subito ci accorgiamo che l'area
è davvero piccola, anzi è incredibile la densità di strutture che si trovano stipate
nella zona. Non avevamo visto nulla del genere fino a questo momento.
Dopodichè la nostra bella giornata continua in compagnia dei ragazzi che ci
accompagnano in un piccolo villaggio abbarbicato sulle pendice della Sierra Madre
Orientale, ci caliamo in una barranca alla ricerca di alcune cascatelle e poi
ritorniamo verso casa. Il giorno seguente ci aspetta una lunga giornata di viaggio.
Partiti da Poza Rica la strada inizia a salire rapida, l'autobus ondeggia tra una curva
e l'altra, l'aria è fredda ed umida, in breve ci troviamo in mezzo le nuvole.
L'altitudine aumenta rapida: 500-1000-1500-2000m, le orecchie si tappano, la
vegetazione è rigogliosa e di quando in quando le nuvole si spostano mostrando
squarci delle montagne che ci circondano. Ci inerpichiamo lentamente, ci sono
camion di tutti i tipi, la strada è scivola ed alcuni rimangono impantanati e costretti
ad arrendersi. Dopo circa due ore di colonna arriviamo al passo, a 2500m e di lì
inizia la discesa. In breve il paesaggio cambia, le nuvole si diradano lasciando
spazio a flebili raggi di sole, piccole foreste di pino prendono il posto delle palme e
dei banani anche se per poco.
Quando entriamo nell'altipiano centrale la terra è arida, gialla o rossa, argillosa, le
piante scompaiono e al loro posto ci troviamo di fronte a cactus e piante di agave.
Siamo arrivati! Sul fondo della valle si vede la città, Città del Messico, con i suoi 20
milioni di abitanti, il suo smog, i suoi palazzi, musei, cattedrali e mille altre cose da
scoprire.
Aquí estamos DF!
sáb
26
ene
2013
Adobe!
La cosa bella di poter viaggiare senza un piano prestabilito e senza fretta, è che a
volte ti da l'opportunità di partecipare ad attività che il normale turista non avrebbe
mai potuto fare. In questi giorni nella capitale siamo gentilmente ospitati da Ulises
e dalla sua famiglia. Al di là del fatto che visitare la città con lui è un piacere perchè
è una miniera di informazioni storiche e aneddoti, la cosa interessante è che lui con
suo padre e un paio di operai stanno costruendo una casa a circa 60km a sud della
città in un piccolo paesino chiamato Tlayacapan.
Il progetto è di Ulises, che è ingegnere civile, non ha fatto nessun esame di stato o
cose varie, semplicemente ha fatto il disegno, i calcoli strutturali della travi e delle
fondazioni e poi ha presentato il progetto in comune. Lì lo hanno revisionato e,
dopo aver pagato la concessione edilizia hanno iniziato i lavori.
Quì in Messico non c'è bisogno di mettere barriere di protezione, cartelli, reti, gru,
scavatori e avvisare mezzo mondo che si sta costruendo una casa; basta solo
avvisare i vicini. Molto semplice no!
La casa è molto bella, si sviluppa su due piani con un ampio soggiorno e cucina al
piano inferiore e le stanze al piano superiore; un'elegante scala di legno unisce le
due unità. La struttura portante è in cemento armato con fondazioni a trave
rovescia che corrono attorno al perimetro della casa, il solagio del primo piano in
legno di pino, cosi come le travi della scala, e la copertura, anchessa con travi di
legno ed assi sormontata da una leggera copertura in calcestruzzo. Ulises mi dice
che prevede di installare sicuramente dei pannelli solari per scaldare l'acqua, che
qui sono economici, e forse un domani anche dei pannelli fotovoltaici; giustamente
la casa è rivolta a Sud e quì c'è sole tutto l'anno, avrebbe anche senso!
Arrivati alla casa facciamo un breve giro turistico dell'edificio e poi ci mettiamo
all'opera. Oggi prepariamo i mattoni di adobe che sono serviti per i muri di
tamponamento della struttura e serviranno per la recenzione del terreno. Io e
Ulises ci mettiamo a crivellare la terra mentre Tania con il machete taglia la paglia
di avena. Per l'adobe è necessaria una terra che sia principalmente argillosa, ma
che contenga anche un po' di sabbia; questa viene mescolata all'acqua, si impasta
con i piedi e poi vi si aggiunge la paglia. Infine, sempre a mano, viene compressa
in degli stampi di metallo che poi vengono tolti. Il tutto 100% reciclabile e senza
l'ausilio di leganti chimici o cemento. L'adobe è un buon isolante termico, è naturale
ed è autoprodotto. Con 15 mattoni si copre circa 1mq di superficie. Ulises e suo
papà hanno fatto per la casa circa un migliaio di questi mattoni, e adesso ne
servono altrettanti per la recinzione.
Nel frattempo arriva alla casa la sorella Violeta, in compagnia di un nostro caro
amico Israim e del suo ragazzo. Con il padre si mettono a dipingere le pareti, e
anche in questo caso rimango sorpreso. Per la pittura si usa acqua, calce idraulica e
liquido di nopal. Il nopal è un cactus che abbonda in questa regione, ha una foglia
grande e molto spessa al cui interno è contenuto un liquido spesso che funge da
addensante tra la calce e l'acqua. Le foglie vengono tagliate e messe ammollo
nell'acqua e piano piano rilasciano il loro liquido che poi viene filtrato e raccolto.
Verso le due ci prendiamo una pausa, usciamo tutti sporchi dal terreno, chi con
pezzi di fango tra i piedi chi con i capelli bianchi dal colore. Scendiamo in paese e
zigzagando tra il labirinto del mercato cittadino entriamo in una piccola casa di una
signora. Per 25 Pesos (meno di 2 Euro) pranziamo e poi ritorniamo al lavoro.
Anche oggi felici e soddisfatti per quello che abbiamo appreso, sebbene stanchi
morti per il duro, ma gratificante lavoro manuale!
dom
27
ene
2013
Scorci della Capitale
La trajinera scivola lenta e silenziosa sull'acqua piatta dei canali di Xochimilco, una
delegazione a sud del centro di Città del Messico, l'unica ancora oggi a conservare
la struttura a chinampas. Le chinampas erano piccole isole costruite sul lago di
Texcoco che ingegnosamente gli Aztechi avevano creato per rubare poco a poco la
terra al lago. Città del Messico era infatti un'isola costruita in mezzo ad un lago
situato in una valle, che poco a poco è andata espandendosi fintanto che il lago è
scomparso lasciando il posto all'acciaio e al cemento.
Xochimilco preserva ancora la sua struttura originale, e la domenica
molti chilangosvengono a passare con la loro famiglia una piacevole giornata a
bordo di queste strane imbarcazioni. Come a Venezia, le barchette sono di legno,
solo che hanno lo scafo piatto e sono larghe per far entrare il più alto numero di
persone. Certo l'impressione non è quella di navigare tra antichi palazzi e ponti del
'400, però il paesaggio naturale è piacevole e l'atmosfera rilassata e divertente. Si
incontrano trajineras con Mariachi e soprattutto gli immancabili venditori ambulanti,
che a bordo delle loro piccole imbarcazioni vendono tutto i tipi di prodotti!
Oggi siamo in compagnia dei nostri amici di Cuernavaca: Israim e Violeta (la sorella
di Ulises) e di altri loro amici. Ci chiedono un sacco di cose sul nostro viaggio;
quello che abbiamo visto, le nostre avventure, le persone incontrate e rimangono
sorpresi dal fatto che non ci sia successo niente di spiacevole. Come sempre si
diffida del proprio paese di orgine, ma in verità le cose finora sono andate sempre
liscie; speriamo continuino cosi anche in futuro!
Terminato il nostro giro in barca ci spostiamo verso il centro della città, arriviamo
nelloZocalo, la piazza principale e quella dei grandi eventi e delle manifestazioni. A
Nord la Cattedrale Metropolitana con le sue imponenti torri campanarie, ad Est il
Palazzo Nazionale con i bellissimi murales di Diego Rivera che raccontano la storia
del Messico preispanico e rivoluzionario, a Sud la sede del municipio della città e ad
Ovest uno dei più antichi e lussuosi hotel.
Al centro della piazza sventola un'enorme bandiera messicana, contradistinta dallo
scudo della città, l'aquila appoggiata su un cactus in mezzo ad un lago che cattura
un serpente. Alle 6 di ogni giorno la bandiera viene calata e custodita dai militari
all'interno del Palazzo Nazionle, per poi essere issata il giorno seguente.
Terminiamo la nostra domenica in piazza Garibaldi, la zona famosa per
i mariachis e per le feste. Oggi la zona è tranquilla, ma normalmente è piena di
messicani che regalano alle loro amate serenate cantate da questi strani personaggi
dai cappelli e dai ponchos colorati. Entriamo in una pulqueria e proviamo la
bevanda tradizionale azteca che per secoli ha rischiato di estinguersi e negli ultimi
anni è ritornata in auge. Il pulque si ottiene dalla fermentazione delle foglie della
pianta del Maguey, una specie di pianta grassa gigante che sugli altipiani cresce in
abbondanza. Il liquido spesso che si ottiene viene poi mescolato con il succo di una
qualsiasi dei tipi di frutta tropicale del centro america.
Tra brindisi e risate salutiamo i nostri amici che all'indomani tornano nella città in
cui studiano, ma che presto reincontreremo nel nostro viaggio di ritorno lungo la
costa pacifica.
mar
29
ene
2013
Dove Nacquero gli Dei
Sfortunatamente Città del Messico non possiede nessun resto del grande impero
azteca; delle piccole rovine sono state scoperte nei pressi della Cattedrale
Metropolitana nella piazza di Tlatelolco. Quando Cortes e i suoi uomini conquistano
Tenochtitlán, la capitale azteca, la prima cosa che fanno è distruggere tutti i templi
e i palazzi, per poter poi reciclare le pietre per le loro chiese e i loro luoghi di
potere. Tuttavia antiche vestigia di una città antica si conservano ancora a circa
40km a Nordest della capitale.
Si tratta della città di Teothiuacan che molti credono, compresi noialtri, essere
un’antica città azteca. Teothiuacan, ovvero “luogo dove nacquero gli dei”, era il
nome che gli aztechi diedero a questa città che per loro era sacra, ma che non
avevano costruito. Di fatto la regione venne popolata circa 1000 anni prima
dell’arrivo delle popolazioni mexica e si presume che al suo interno, nel momento di
massimo apogeo, vivessero circa 100.000 persone.
Come sempre accade inspiegabilmente nella storia delle civiltà mesoamericane, le
città furono abbandonate dopo aver raggiunto la loro massima espansione, e cosi
accadde per Teothiuacan. Oggi è possibile camminare attraverso la
lunghissima Calzada de los muertos che unisce la prima parte della città alla zona
più grande dove sono state costruite le due piramidi più grandi: quella del Sole e
quella della Luna.
La piramide del Sol è la terza piramide più grande del mondo dopo quella di Cholula
(Puebla) e quella di Cheope in Egitto. Da vicino sembra un’enorme montagna si
pietre ben sistemate, scalarla è un’emozione unica! Dalla cima si ammira tutto il
paesaggio circostante che in questo periodo è arido e tinteggiato di giallo; qua e là
si intravedono cactus enormi che tentano di farsi largo tra la sterpaglia.
Una leggenda azteca narra che gli dei si incontrarono a Teothiuacan per decidere
chi nominare dio del Sole; tra di loro ce n’era uno più ricco e valoroso ed un’altro
più brutto e povero. Gli dei decisero di accendere un fuoco, chi per primo si fosse
buttato tra le fiamme sarebbe diventato il dio del Sole. La divinità più bella ebbe
timore e non si butto, il dio più brutto invece in un atto di coraggio si lanciò tra le
fiamme ardenti; allora l’altro per gelosia vi si buttò successivamente. Il giorno dopo
gli dei videro salire il Sole splendente e non lo potevano fissare per l’intensità dei
suoi raggi, poi uscì la Luna che al principio era anche lei molto luminosa; allora una
divinità prese un coniglio e per punire il meno valoroso tra i due dei lo lanciò verso
la Luna diminuendo la sua intensità.
Questa sera allora quando uscite da casa, guardate verso la luna e provate e
vedere se riuscite a scovare il coniglio!
vie
01
feb
2013
Lungo l'Altopiano Centrale
La seconda parte del nostro viaggio prosegue con la scoperta della zona centrale
del Messico, dopo la capitale ci fermiamo per un paio di giorni a Querétaro situata a
circa 200km a Nord. La nostra richiesta di Couchsurfing viene accettata da
Jonathan ed Eunice, una giovane coppia che condivide con noi lo spirito
avventuriero; dopo il loro matrimonio infatti hanno deciso di vendere tutto quello
che avevano per poter fare una lunga luna di miele in Europa, e con i loro risparmi
sono riusciti a girare il vecchio continente in lungo e in largo per sei mesi.
Arriviamo nel tardo pomeriggio e subito alla sera hanno una sorpresa per noi. Cosi
come avevamo fatto a Mérida, anche qui partecipiamo ad un giro in bici notturno
per promuovere l’uso della bicicletta in città. I ragazzi ci prestano le loro mountain
bike e loro noleggiano un divertente tandem, che sfortunatamente a metà del
percorso soffre di una rottura costringendoli a seguirci nel furgoncino di appoggio
fino alla fine.
Dopo 20km siamo stanchi morti e andiamo a dormire...finalmente in un divano!
L’indomani visitiamo la città; il centro storico non è grande e si può comodamente
girare a piedi. Gli antichi palazzi, i monasteri e le chiese coloniali sono ben
conservati e i loro sgargianti colori allegrano la nostra passeggiata. Il cielo è di un
azzurro intenso, forse paragonabile a quello andaluso, e il sole picchia forte. Sù a
2000m i raggi solari sono più intensi e soprattutto d’inverno più pericolosi, cosi
cerchiamo riparo sotto gli alberi dei numerosi parchi della città.
E’ un luogo tranquillo, pulito ed ordinato, per un momento sembra di stare in una
cittadina europea, ma senza il traffico e la frenesia che c’è da noi.
Quando i ragazzi terminano la loro giornata ci vengono a prendere e andiamo
insieme a mangiare pozole. Parliamo di noi e di loro, del nostro viaggio e del loro, di
quello che pensavano le famiglie, gli amici, delle avventure che hanno vissuto, le
impressioni che hanno avuto dell’Europa.
Il nostro 50º giorno in Messico lo festeggiamo finalmente con la prima camminata
in montagna. Bernal è un piccolo paesino famoso per la sua Peña, ovvero un
monolite di roccia alto poco più di 500m che si innalza dietro al paese. E’ il terzo
monolite più alto al mondo dopo il Pan di Zucchero di Rio de Janeiro e il Peñon di
Gibilterra.
La camminata non è lunga, circa un’ora per arrivare fino a metà dell’enorme
masso; per proseguire oltre ci si deve arrampicare in parete. Siamo circondati da
un paesaggio arido e brullo, piante di cactus e di agave crescono sul dorso della
montagna ed ovviamente per noi è una cosa strana abituati come siamo ai pini
delle dolomiti!
Lungo la salita il sole, alle nostre spalle, picchia duro e arrivati alla fine del sentiero
abbiamo collo e braccia ustionate. Una pausa seduti su questo ammasso di lava
solidificata e poi via giù verso il villaggio a mangiare gorditas imbottite di fagioli,
foglie di cactus e carne di maiale.
mar
05
feb
2013
Comida Corrida!
Quando si arriva in un nuovo paese la prima cosa che ci spaventa è la lingua; nel
nostro caso siamo stati decisamente fortunati dato che Tania lo spagnolo lo mastica
abbastanza bene.
La seconda cosa che spaventa il viaggiatore più del turista è il cibo. Il turista può
infatti permettersi di mangiare fuori tutte le sere senza preoccuparsi troppo del
budget; di conseguenza può scegliere tra un’ampia gamma di ristoranti di diverse
origini.
Quasi sempre il turista si butta sul sicuro: l’italiano va in pizzeria e si mangia la
pizza anche se sembra gomma da masticare (e il giorno dopo ci ritorna), lo
spagnolo va in cerca di paella e tortilla di patate, il tedesco di wurstel, il povero
inglese di fish and chips e lo sfigato americano di McDonald’s o di KFC!
La cucina messicana tuttavia riserva numerose sorprese, e soprattutto risulta
essere molto economica; motivo per cui noi viaggiatori scegliamo sempre
il fabricado en Mexico!
La cosa più divertente è recarsi nei mercati locali, soprattutto per i colori, i profumi,
le urla della gente e i sapori ovviamente. Appena si entra nel mercato si rimane
affascinati dal roboante coro dei venditori, in gran maggioranza donne, che
elencano ad una velocità impressionante la loro merce. Vince il più forte, e i clienti
si accomodano sugli stretti sgabelli sgomitando per avere un posto a tavola. Qui si
mangia bene e per niente: con poco più di 3€ si porta a casa una zuppa di pollo con
verdure, una ciotola di riso e il piatto forte del giorno, più ovviamente tortillas
illimitate, salse piccanti di tutti i tipi e da bere gratuito! Incredibile davvero.
Poi succede che più il rapporto qualità/prezzo è alto e più ti viene voglia di
mangiare; motivo per cui si tende spesso a bissare. L’unica cosa che manca è il
dolce o il caffè, ma per quello basta spostarsi al bancone successivo e subito ti
servono una fetta di torta o un frappè di frutta fresca; prezzo standard 10 pesos
(60 centesimi)!
Insomma quella del mercato è un’avventura giornaliera che vale la pena di essere
vissuta, un’investimento che merita di essere effettuato. Ovviamente non adatto ai
deboli di stomaco!
sáb
09
feb
2013
Arrancando Verso Nord
La lenta ma costante marcia per raggiungere il Nord del paese ci porta ad
attraversare grandi e polverose città industriali, intervallate da piccole e colorate
cittadine coloniali. Uno alla volta attraversiamo gli stati di Guanajuato,
Aguascalientes e Zacatecas passando un paio di giorni nelle rispettive città.
A San Miguel de Allende veniamo ospitati da una strana ma simpatica coppia
messicana-olandese; i due ragazzi conosciutosi in Europa grazie al couchsurfing,
hanno deciso di trasferirsi in Messico e di aprire una casa del tè. Il loro progetto è
semplice ma efficace e vedere l’allegria e la gioia con cui lo stanno portando avanti
ci ha fatto pensare positivamente per il nostro futuro.
Guanajuato rimane in assoluto la città più bella che abbiamo visto fin quì. E’
costruita in una stretta valle circondata da montagne, e la cosa caratteristica oltre
alla miriade di casa colorate, sono i suoi tunnel. Arrivati alla stazione la città
sembra non esistere, poi si sale nel bus urbano, si entra in un labirinto di gallerie e
all’improvviso, benvenuti nel paese delle meraviglie!
La vista della città dall’alto del mirador al tramonto è semplicemente emozionante.
Lasciata Guanajuato passiamo per León, città industriale che conta circa 1.5 milioni
di abitanti ed è famosa per la produzione di scarpe e abigliamento in pelle. Alla
stazione cambiamo per Aguascalientes, uno degli stati più piccoli del Messico, e poi
dritti verso la città dell’argento, Zacatecas. Qui siamo ospiti di Abraham e Fatima,
due giovani studenti alla loro prima esperienza come couchsurfer; con loro
prepariamo tortillas di mais fatte a mano e ci divertiamo un sacco con i loro amici.
Un giorno ci portano alla mensa universitaria e per 10 pesos facciamo colazione,
pranziamo e ripetiamo!
A circa 40km a sud della città si trovano le rovine della Quemada. Il sito non regge
il confronto con le più grandi e spettacolari città dello Yucatán; tuttavia è dotato di
qualcosa di mistico e particolare. L’area archeologica si trova adagiata sul fianco di
una collina e gli edifici si arrampicano sul crinale sud attraverso una miriade di
cactus. Lo scenario non differisce molto da quello di molti film western che da
piccoli eravamo abituati a vedere in TV.
All’indomani si parte per il viaggio più lungo. Sono circa 900km da Zacatecas a
Chihuahua, la capitale del più grande stato messicano. Viaggiamo di notte per
risparmiare il pernottamento e alle 4 di mattina arriviamo alla stazione; poche ore e
poi via verso Ovest. Da Chihuahua a Creel sono altre 4 ore di viaggio per un totale
di 1100km in un giorno. Addio caldo e addio deserto, quì ci troviamo alle falde
del Barranca del Cobre, uno dei canyon più profondi del continente americano.
mar
12
feb
2013
Dentro/Fuori
Lontano centinaia di kilometri dalla zona urbanizzata dell’Altopiano Centrale, dal
deserto Chihuahuense e dalla costa Atlantica e Pacifica c’è un luogo magico
nascosto nella Sierra Tarahumara; il Pueblo Magico di Batopilas!
Arrivare a Batopilas significa addentrarsi in uno dei canyon più profondi d’America.
Da Creel la strada serpeggia tra le valli della sierra punteggiate da rocce dalle
forme più strane, attraversa i numerosi torrenti che in millenni di lavoro scavarono
profonde fessure nel terreno fino a condurti al limite del precipizio da dove si
intravede il paesino adagiato sul fondo del canyon. Da lì in poi è tutta strada
sterrata!
L’autobus sobbalza, arranca, scivola, slalomeggia tra massi giganti, fa manovra nei
tornanti troppo stretti per essere fatti con un’unica svolta, e scede piano piano. Da
destra a sinistra si ammira il drammatico paesaggio che lentamente cambia; la
temperatura poco a poco va aumentando, i pini cedono il posto ai cactus che timidi
si fanno largo sulle pendici aride della valle.
La discesa è rapida e in meno di un’ora passiamo dai 2300m della sommità ai 550m
del fondo del canyon dove il torrente ci indica la via verso l’ex paese minero che gli
spagnoli costruirono all’inizio del XVII secolo. Ritroviamo le palme, le ceibas, le
piante di mango e di papaya; sembra di essere tornati nello Yucatán, con la
differenza che siamo circondati da montagne bellissime.
Un lato del canyon nella penombra, l’altro illuminato dalla tenue luce giallo ocra del
tramonto.
All’indomani si riparte con il buio. Alle 4 di mattina il bus esce dal paesino, le flebili
luci illuminano il cammino pieno di trappole, di buche, di ponti di legno che
attraversano il fiume; ogni tanto qualcuno scende nel mezzo del nulla, inghiottito
dall’oscurità. Inizia la salita e con essa appaiono le prime luci dell’alba, le teste della
gente addormentata sobbalzano, sbattono contro i sedili e i finestrini; poi ecco la
cima, il sole infuocato appare tra le vette delle montagne. E’ un’emozione unica! Per
un momento ricordo l’alba dalla cima di Nemrut!
Alle 9 siamo di ritorno a Creel, infreddoliti e affamati, tempo di fare colazione e
andare a riposarsi. Domani ci aspettano altre avventure in questa magica zona del
Messico, senza dubbio una delle aree più belle del paese!
mié
13
feb
2013
Nella Valle dei Rarámuri
In questi due mesi e poco più di viaggio attorno al Messico abbiamo avuto
l’opportunità di incontrare e osservare le usanze di vari gruppo indigeni: i Maya
della penisola dello Yucatán, i Totonanacas, gli Otomí e i Chichimecas dell’altopiano
centrale. In tutti i casi questi gruppi si trovano a convivere con la realtà del mondo
moderno, e in molte situazioni, seppur conservando le loro usanze e credenze,
hanno perso l’antico modo di vivere.
I Rarámuri che popolano la Sierra Tarahumara sono tra i gruppi etnici, finora
incontrati, che più conservano il loro stile di vita.
Alla valle dove vivono i Rarámuri si accede mediante un sentiero nel bosco dalla
cittadina di Creel; iniziamo la nostra camminata e dopo un paio di kilometri
entriamo nell’ejido (terra comune) di San Ignacio. La zona è abitata da circa 4000
indigeni che vivono in piccole case costruite in adobe o legno all’interno di grotte,
piccoli canyon o tra i campi coltivati.
La valle è fertile ed è coltivata a mais o granoturco, quì e lì pascolano mucche,
cavalli o capre e sporadicamente si vedono anche maiali pelosi fare il bagno nel
fango. Le aree coltivate non sono grandi, le dimensioni sufficienti a mantenere una
famiglia di 5/6 componenti; lo stesso vale per le piccole fattorie.
Il paesaggio della vallata è bellissimo: enormi rocce laviche lavorate dal vento e
dalla pioggia dalle strane forme antropomorfiche (lucertole, rane, funghi ...), boschi
di pini che lasciano il posto alle gialle distese dei campi di mais appena raccolto;
sembra di passeggiare nelle valli della Cappadocia, con la differenza che qui le
rocce sono più solide e che i “camini delle fate” sono sostituiti dai camini di pietra
fumanti delle case di legno degli indigeni.
Veniamo superati da uomini a cavallo, da donne con i sandali di cuoio che
trasportano sulla schiena i loro neonati, bambini che vanno a scuola, vecchi che si
recano alla clinica del paesino.
Dopo altri 7km raggiungiamo la valle de los monjes dove enormi massi verticali
richiamano alla mente le figure di monaci, o probabilmente, come meglio ricorda il
nome Rarámuri (Bisabírachi) quello di enormi falli eretti. Si avvicinano due giovani
ragazze tentando di venderci alcuni braccialetti, rifiutiamo cortesemente e
decidiamo di condividere con loro un paio di biscotti. Non parlano spagnolo e
accettano senza remore l’offerta; quì la falsa cortesia lascia il posto ad un sorriso e
ad una mano allungata in segno di affermazione!
La nostra camminata prosegue verso il lago Arareko, ci perdiamo tra la foresta,
tentiamo di ritrovare la via con la bussola, ma poi arriva provvisorio l’aiuto di un
uomo che incontriamo tra i boschi; spinge una carriola piena di legna che è andato
a tagliare nel bosco, gli chiediamo per il lago e sfoggiandoci un brutto sorriso senza
denti ci indica gentilmente il cammino.
Arrivati al lago pranziamo, ci rifocilliamo e dopo un paio di foto riprendiamo il
cammino verso Creel; il tramonto non tarderà ad arrivare e bisogna affrettarsi per
non farsi cogliere dal buio.
jue
14
feb
2013
Il Chepe
Sulla banchina della piccola stazione poco a poca vanno ad accalcarsi le persone in
attesa del treno; sembra l’evento del giorno. Venditori ambulanti, suonatori di
chitarra che animano l’attesa al ritmo di rancheras e corridos, bambini che chiedono
qualche pesos a cambio di un sorriso o di un paio di braccialetti; qualcuno passa
cavalcando tra le rotaie, mentre auto e perosne attraversano incauti le rotaie. I
passaggi a livello quì non servono!
Poi ecco il fischio del treno, esce dalla galleria e si dirige verso la stazione; la gente
si affanna a raccogliere borse, valigie e bagagli, i vagoni sferragliano a pochi
centimetri dal nostro naso e con fischi e cigolii finalmente il Chepe arriva alla
stazione.
Un paio di carrozze di prima classe e 6-7 di seconda, la gente si affretta a salire e
dopo pochi minuti si parte in direzione della costa pacifica.
Il Chepe, il treno che collega Chihuahua al Pacifico, è l’unico treno che trasporta
passeggeri in Messico. Le linee ferroviarie costruite e potenziate all’inizio del XX
secolo sotto il Porfiriato, sono poi state abbandonate dopo la Rivoluzione ed oggi
sono utilizzate esclusivamente per il trasporto delle merci. Tutto il resto,
sfortunatamente si muove su gomma!
La ferrovia che attraversa la Sierra Tarahumara oltre ad essere un’opera
ingegneristica di indubbio valore, è anche uno dei viaggio più spettacolari dell’intero
continente americano.
Dopo la stazione di Creel il treno inizia ad arrampicarsi tra le montagne
attraversando una galleria dopo l’altra e lasciando intravedere scorci di paesaggio di
infinita bellezza; da un lato all’altro delle rotaie si alternano i paesaggio boscosi, i
prati deserti punteggiati dai cactus, i canyon e le cime delle montagne.
Ad un certo punto il treno guadagna quota facendo letteralmente un giro su se
stesso nel punto chiamato El Lazo; da lì in poi continua la sua corsa sul bordo del
canyon. La fermata a Divisadero ci permette di raggiungere il punto più alto del
tragitto dal quale possiamo ammirare la Barranca del Cobre unirsi con quella di
Urique e di Tarárecua. Dal mirador la vista è sensazionale, sebbene alle spalle i
venditori ti assalgano per offrirti le loro deliziose gorditas.
Risaliti a bordo inizia la folle discesa verso Los Mochis. Nelle giunzioni tra le
carrozze è possibile uscire all’aria aperta e lasciare che il vento ti scompigli i capelli;
la gente si sporge per fare foto e video, e raggiunta la coda del convoglio ci sembra
di essere in un film western.
Passiamo piccoli paesini dispersi tra le montagne dove la gente ci saluta e ci sorride
con le loro bocche sgranate, poi entriamo in una valle profonda ed iniziamo a
seguire il corso di un torrente. Ponti, gallerie e curve si alternano rapidamente
mentre piano piano il sole si nasconde tra le cime lasciando un lato della valle
illuminato, e l’altro in una misteriosa penombra.
Raggiungiamo la pianura e la locomotiva rallenta, il torrente si allarga lasciando
spazio ad un grande lago; i pini si mescolano a grandi cactus dalle numerose
diramazioni e le luci del tramonto accendono il cielo con le ombre delle montagne
sullo sfondo.
Sembra di stare sulla scenografia di un’attrazione turistica, vorresti fermare il treno
e scendere per scattare foto ad ogni curva ma non è possibile, le immagini scorrono
lentamente così come le emozioni. Uno dei viaggi più belli di sempre sta per
giungere al termine.
Adesso quando ci chideranno la cosa più bella del Messico sapremo con certezza
come rispondere!
sáb
16
feb
2013
Pacifico!
La lunga costa pacifica del Messico è una sinuosa linea che dal Golfo di California
scende piano piano verso l’istmo di Tehuantepec, si stringe, piega verso il
Guatemala e poi prosegue senza sosta verso Sud.
Sonora, Sinaloa, Nayarit, Jalisco, Colima, Michoacan, Guerrero, Oaxaca, Chiapas e
la lista continua; è un percorso lungo e tortuoso in cui spiagge di sabbia dorata si
alternano a baie acquitrinose e a costiere rocciose a strapiombo sul mare.
Come unica costante l’oceano, e il continuo rumore roboante delle sue onde che si
infrangono sulla costa.
Lasciatoci alle spalle le bellissime montagne della Sierra Tarhaumara e passata la
notte nella triste cittadina di El Fuerte; saltiamo nell’autobus diretti verso l’oceano.
La cosa divertente, almeno per noi che viaggiamo senza fretta, è che a volte nei
bus di seconda classe ti può capitare di tutto, dai venditori ambulanti che salgono a
bordo per vendere patatine e pop corn, ai suonatori di chitarra o di fisermonica,
compresa anche la rottura del motore.
A pochi kilometri da Los Mochis il quattro cilindri esala l’ultimo respiro e decide di
lasciarci giù prima della stazione; per fortuna in Messico sono attrezzati e cosi
l’autista scende e non trova altro rimedio che fermare gli altri autobus diretti verso
la città, pagarci il biglietto e farci salire!
A Los Mochis l’oceano non si vede ancora. Rimaniamo prigionieri nella stazione in
attesa del seguente autobus, il tempo di mangiare al volo alcuni tacos e poi via su
di un’altra carcassa sbuffante.
Sulla sinistra il profilo di piccole montagne dalla forma vulcanica mi ricordano i Colli
Euganei, mentre scrutiamo l’orizzonte in cerca delle prime onde. All’improvviso,
finalmente dopo più di un mese senza mare, vediamo le onde arrotolarsi su se
stesse e schiantarsi sulla spiaggia lanciando nell’aria mille spruzzi di bianca
schiuma.
Mazatlán è una delle città del Nord più grandi situate sulla costa pacifica, e come
ogni città di mare messicana che si rispetti è presa d’assalto da vecchi americani e
canadesi che vengono a cercare calore e buon cibo. E’ incredibile la quantità di case
che sono in vendita per mezzo di agenzie straniere e risulta quasi normale dopo
poco abituarsi a leggere cartelli in inglese e incrociare per strada più gente che
parla inglese che spagnolo.
La città è spaccata in due: a Nord la “Zona Hotelera” con gli americani a caccia di
sole, birre e hamburger, a Sud la città vecchia, con le sue eleganti e strette
stradine, il mercato vecchio, la cattedrale e il porto. Da buoni viaggiatori evitiamo la
zona turistica e terminiamo la tranquilla giornata sulla scogliera in attesa del
tramonto.
Il vento soffia forte verso Sud, sorseggiamo le ultime gocce del nostro cocco e
pacificamente ammiriamo il sole spegnersi dietro uno scoglio nel mare.
lun
18
feb
2013
En el Muelle
Molti di noi conoscono San Blas per la famosissima canzone di Maná che per
un’estate invase le radio di mezza Europa e d’Italia; quella che il gruppo messicano
racconta, è la storia di una ragazza che disperata per la partenza del suo amato,
decide di aspettarlo nel molo appunto del paesino. Per mesi attende il suo ritorno
fino a che l’attesa e la disperazione la fanno impazzire.
Una storia triste e piena di empatia, tutto il contrario di come appare il piccolo
paesino della riviera di Nayarit.
San Blas è effettivamente una pueblo di pescatori, molto piccolo e semplice nel
quale decidiamo di rilassarci per un paio di giorni. Spiaggia, mare, sole e una
piccola palapa a 20m dalla riva.
Nel piccolo ristorante in cui decidiamo di fermarci ci sono a disposizione un paio di
capanne di legno, col tetto ricoperto dai rami di palma e il pavimento di stuoie di
vimini. Abbiamo a disposizione una piccola cucina, di fatto tutta nostra perchè
siamo gli unici ospiti del posto; così possiamo farci da mangiare, stenderci e
schiacciare un pisolino sulle numerose e colorate amache dondolanti tra una palma
e l’altra, oppure semplicemente leggere un buon libro.
Nascosta dietro le montagne, la breve costa dello stato di Nayarit, è davvero un
piccolo gioiello di naturalezza. Spiagge dorate punteggiate da palme di cocco si
alternano a zone acquitrinose popolate da miriadi di uccelli, e poi il costante rumore
del mare con le onde che si infrangono a ritmo costante sulla spiaggia.
La zona è ottima per praticare surf, anche se in bassa stagione i biondi surfisti dal
corpo scolpito scarseggiano; probabilmente arriveranno durante l’alta stagione
estiva.
Senza dubbio la parte migliore della giornata è il tramonto; passeggiare lungo la
riva con l’acqua che ti bagna i piedi è davvero rilassante. Ogni tanto qualche
granchio spunta fuori dalla sabbia per poi andarsi a nascondere velocemente
spaventato dai pellicani e dalle rondini di mare in cerca di cibo prima di andare a
dormire.
Mi vengono in mente le lunghe corse in compagnia di Claudio e Alessio sulle
bellissime spiagge della Turchia o anche lo strenuante scatto verso la collina di
sabbia della spiaggia di Bolonia nel sud della Spagna.
Ricordi di viaggi indimenticabili, sperando che qualcuno dei miei amici si esalti e ci
raggiunga quest’estate sulle spiagge del Nicaragua o del Costa Rica!
vie
22
feb
2013
Balene all'Orizzonte
Se ti dicessero che esiste la possibilità di vedere un mammifero di 5000kg saltare
fuori dall’acqua da un catamarano a meno di 4-5m di distanza, ci crederesti?
E se la tua mente sognatrice ti spingesse a credere a questo tipo di racconti, non
andresti a verificare di persona?
Da anni sognavo di poter vedere le balene nuotare e sbuffare vapore dalla cima
della loro schiena. Invano tentai di convincere qualcuno a venire con me in Islanda
per poter vedere questi enormi mammiferi nuotare tra le gelide acque dell’isola, ma
nessuno era ancora pronto a salpare.
Poi la possibilità di osservarle nuotare nell’Atlantico durante il viaggio alle Azzorre, e
nuovamente la sorte avversa: non era stagione!
Questa volta però il sogno si avvera. La Bahía de Banderas di Puerto Vallarta è il
luogo perfetto per vedere le megattere che nei mesi invernali migrano dai freddi
mari canadesi alle acque più calde della parte sud del Golfo di California.
Eccoci quindi salire su di un catamarano in compagnia di una trentina di persone e
prendere il largo verso la zona centrale della baia. Ben presto siamo in compagnia
di altre barche che come noi sono venute a osservare l’affascinante spettacolo
naturale di questi cetacei.
Mentre combattiamo contro le onde del mare aperto e ascoltiamo il nostro capitano
fornirci un po’ di informazioni, riusciamo a scovare all’orizzonte le prime pinne
dorsali.
Prima una, poi una coppia, le barche si avvicinano e le balene si spaventano e si
immergono lasciando intravvedere la loro enorme coda piatta.
Ben presto il mare si calma e ci allontaniamo dalle altre imbarcazioni ed è allora che
inizia il vero divertimento. Inavvertitamente un’enorme coppia appare a poppa
lanciando nell’aria grossi spruzzi di vapore acqueo da quello che apprendiamo
essere il loro naso.
Poi sulla sinistra una femmina in compagnia del piccolo ci accompagna per un breve
tratto del viaggio mostrando innumerevoli volte il dorso e la coda per poi
immergersi in cerca di cibo.
Il capitano avverte che ci stiamo dirigendo verso una zona dove la madre sta
insegnando al piccolo a saltare fuori dall’acqua; per un momento la barca accelera e
il riflesso del mare ci acceca e poi all’improvviso vediamo una balena salire in
verticale verso il cielo per poi ricadere pesantemente sul dorso. Semplicemente
emozionante!
Per una ventina di minuti rimaniamo in compagnia della coppia di megattere che
sembrano divertite dalla nostra presenza e da quella di una piccola barca da pesca.
La madre appare e scompare timidamente, mentre il piccolo si dimostra più audace
mostrandosi altre due volte con delle piroette maestuose.
Rimasti a bocca aperta per la bellezza dello spettacolo naturale, la megattera più
grande ci concede un ultimo show eseguendo quasi al rallentatore un’immersione
da manuale con la quale ci saluta con la sua enorme pinna caudale.
E’ il momento di far ritorno al molo anche se le sorprese non sono finite quì. Sulla
via verso il porto incontriamo una bellissima tartaruga verde che nuota a pelo
d’acqua emergendo a tratti con la testa e boccheggiando con l’affilatissimo becco.
E’ la chiusura di una giornata incredibile ed emozionante e di certo una delle più
indimenticabili del nostro viaggio.
Un giorno un mio amico viaggiatore mi disse che una delle cose più belle che aveva
visto nella sua vita fu lo spettacolo naturale delle Galapagos; senza dubbio
concordo pienamente con lui e speriamo un giorno di raggiungere le lontane isole di
Darwin!
lun
04
mar
2013
Un Nevado senza Neve
Uno dei vulcani estinti più alti del Messico si trova ai confini tra lo stato di Jalisco e
quello di Colima e da quest’ultimo prende il nome; Nevado de Colima appunto!
Dopo aver chiesto alcune informazioni ai nostri amici di Autlán presso i quali siamo
ospiti a cambio di lavoro nel loro ristorante, ci animiamo a provare l’ascesa al
vulcano. Prendiamo un autobus che in due ore e mezzo ci porta alle falde della
montagna nel paesino di El Fresnito.
Qui siamo a 1800m e ci aspetta una lunga camminata di 16km con un dislivello di
1500m. Un’impresa impossibile, visto il fatto che quando iniziamo il cammino è già
mezzogiorno e il sole picchia forte sopre le nostre teste.
Imperterriti ci incamminiamo per la lunga mulattiera con la speranza di incontrare
qualche auto dei guarda parco che ci possa portare fino alla zona di campeggio.
Al principio la pendenza non sembra essere molto pronunciata ma dopo circa un’ora
la fatica si fa già sentire; fortunatamente in lontananza sentiamo un’auto salire e
dopo pochi minuti ci raggiunge. La fermiamo e molto semplicemente chiediamo alle
due guardie se ci possono dare un passaggio fin sù. Con un cenno del capo
accettano e cosi saliamo sul cassone del pick-up e in meno di un’ora arriviamo a La
Joya a 3300m dove è possibile accampare.
Mangiate un paio di cose e lasciati giù gli zaini nella piccola casetta che sarà la
nostra dimora per la notte, ci mettiamo in cammino verso la cima. Non abbiamo
certo intenzione di raggiungere la vetta situata a 4300m, però almeno di
avvicinarci. L’aria in quota è rarefatta e si sente la fatica dell’ascesa, il sangue pulsa
forte nella testa e il cuore batte più rapido del normale. Quando si superano i
3500m è meglio salire molto lentamente e senza fare sforzi eccessivi; cosi di
quando in quando ci concediamo delle piccole pause anche perchè siamo un po’
fuori allenamento.
La vista del Nevado è già spettacolare dalla zona del campeggio, ma più ci si
avvicina più ci può ammirare il cono del vulcano estinto. Ben presto la strada piega
verso Ovest, passando al versante occidentale della montagna, la salita si fa ancora
più ripida, i nostri passi sempre più pesanti e l’andatura più lenta.
In lontananza vediamo il cartello dei 4000! Lo raggiungiamo e per oggi diciamo
basta.
Da questo lato il vulcano non è così imponente come all’inizio, però la zona ci regala
una spettacolare vista sul Vulcan de Fuego che ci sta di fronte. Questo sì è un
vulcano attivo e sebbene al nostro arrivo non notiamo niente di strano, dopo alcuni
minuti dal cratere inizia a salire una piccola colonna di fumo che poco a poco va
espandendosi.
E’ la prima volta che vediamo un vulcano in azione e sebbene l’eruzione non sia
impressionante l’emozione è comunque molto forte, ancor di più se si sta
osservando il tutto a 4000m di altezza che rappresentano per noi il nostro record!
Scesi al campeggio ci prepariamo a passare la notte; ceniamo con un po’ di zuppa e
frutta e poi ci chiudiamo nella tenda “piantata” in qualche modo all’interno delle
piccole casette di legno.
Ci prepariamo al freddo ma la notte è orribile, piedi e mani ghiacciati, mal di testa e
insomnia dovuti al mal di montagna e un silenzio agghiacciante non ci fanno
chiudere occhio; alla mattina la bottiglia di acqua fuori dalla tenda è ghiacciata.
Alle otto iniziamo la discesa e in poco più di quattro ore siamo a valle con le gambe
doloranti ma appagati dallo spettacolo e dall’emozione della montagna.
Di una cosa siamo certi: non esistono città o aree archeologiche che reggano il
confronto con l’immensità e la bellezza delle meraviglie naturali!
dom
10
mar
2013
3 Mesi e non Sentirli
Ebbene sì! Eccoci arrivati al nostro terzo mese di viaggio, novanta giorni e ancora
camminiamo sul suolo messicano.
Il fatto è che il Messico è un paese grandissimo, e nonostante i nostri 7000Km
percorsi a bordo di autobus di qualsiasi tipo, abbiamo a mala pena visto metà di
questo enorme paese. Beh che dico, metà no! Abbiamo visto molto finora, molto di
più di quello che i normali viaggiatori o vacanzieri hanno l’opportunità di vedere e
scoprire.
All’inizio del viaggio il presupposto era procedere con calma. Primo perchè muoversi
lentamente ti permette di assaporare meglio l’istantaneità dei luoghi, dico
istantaneità perchè alla fine muovendosi da un posto all’altro non ci è permesso di
vivere veramente una città o un paesaggio naturale, anche se sicuramente ci
possiamo immergere in maniera più profonda del semplice turista “punta-e-scatta”.
Il vantaggio del nostro incedere sono anche le spese. I costi del viaggiatore sono
inversamente proporzionali alla velocità con cui decide di muoversi: più veloci ci si
muove e più le spese aumentano. I nostri viaggi con gli autobus di seconda classe
sono sì eterni, però molte volte ci permettono di vivere situazioni davvero divertenti
e indimenticabili!
A volte però capita di rimanere fermi in una città troppo a lungo e di annoiarsi un
po’ per la mancanza di cose da fare; non sempre infatti la vita del viaggiatore può
essere affascinante e ricca di avventure, a volte ci si deve anche immergere nella
quotidianità della vita della gente che come sappiamo può essere monotona e
piatta.
Per un momento abbiamo valutato l’idea di comprare un auto; siamo anche stati al
mercato delle auto usate, abbiamo parlato e contrattato con i venditori ed eravamo
quasi vicino all’acquisto di un bellissimo VW Maggiolino bianco che quì in Messico
sono comunissimi (l’ultima versione è addirittura del 2008).
Un mezzo proprio ci permetterebbe di essere più indipendenti, di scappare dalla
noia nel momento in cui la sentissimo avvicinarsi, di fuggire e saltare di città in
città, di paese in paese.
Ma non è questo quello che vogliamo. Vogliamo avere la possibilità di apprezzare
con tranquillità il nostro viaggio, di poterci immergere il più possibile nella cultura e
nello stile di vita dei paesi che attraverseremo, di essere per qualche
giorno cittadini e non turisti, di uscire con i ragazzi che ci ospitano nelle loro case
attraverso il Couchsurfing, di vivere un po’ al loro ritmo e perchè no di annoiarci un
po’ con loro!
Siamo stati in compagnia di insegnanti, di studenti, di ingegneri, di preti e di
giovani che mandavano avanti un’attività propria, ed ognuno di loro, finora ci ha
lasciato un’immagine del Messico. Diverse opinioni, diversi punti di vista,
ossia Otras Miradas!
Per questo abbiamo deciso, dopo tre mesi di non cambiare, di proseguire a questo
ritmo e di concederci di quando in quando un’avventura su qualche montagna, su di
un vulcano, su un treno o visitando una riserva naturale.
Dopotutto se non viaggiassimo in autobus non avremo la possibilità di rilassarci, di
leggere, di sdraiarci tra i sedili e vedere un film, di viaggiare in compagnia di una
bambino seduto tra le nostre gambe, di rimanere in piedi due ore con il collo
inclinato perchè il soffitto è troppo basso e non ci stiamo o semplicemente di
passare sei ore di viaggio in compagnia di honduregni e cantare con loro al ritmo di
Reggae!
lun
11
mar
2013
Nella Terra di Mordor
Ad ogni passo una nuvola di polvere si alza verso il cielo, guardiamo indietro e
vediamo le orme lasciate dai nostri scarponi impresse nella sabbia vulcanica. Il
cavallo sbuffa per liberarsi della cenere che si deposita nelle narici, mentre il nostro
inaspettato compagno di viaggio si diverte a far volare via gli uccelli nel bosco.
Oggi siamo diretti al Paricutín, uno dei vulcani più giovani della Terra e la nostra
marcia è piacevolmente allegrata dalla compagnia della nostra guida, Cornelio e dal
suo cane unitosi a noi nella speranza di ricevere un po’ di cibo.
Il Paricutín spunta improvvisamente dal sottosuolo nella primavera del 1943 nel bel
mezzo di un campo di mais di un contadino Purépecha della zona; per nove anni
erutta lava e cenere nel cielo del Michoacán, finendo per distruggere
completamente due villaggi e modificando la natura geologica e biologica della
regione.
Nella prima parte del nostro cammino attraversiamo una giovane foresta di pini;
dopo l’eruzione del vulcano la vegetazione è stata completamente sostituita e lo si
nota nelle piccole dimensioni dei tronchi. Su alcuni fianchi delle colline si coltivano
le piante di avocado, la principale risorsa agricola della zona e indispensabile per la
ricetta del guacamole messicano. Ovviamente non mancano le piante di maguey,
resistenti e in grado di resistere anche in condizioni di aridità estrema, ed utilizzate
nella produzione delpulque.
Saliamo e scendiamo i pendii di un paio di colline, quando improvvisamente il bosco
si arresta bruscamente. Cornelio lega il cavallo ad un albero e ci mostra la via
attraverso il campo di lava. Quì ha inizio la terra di Mordor!
La perfetta sagoma a tronco di cono del vulcano si staglia dritta davanti a noi,
sembra lontanissima così com’è situata in un paesaggio che non lascia punti di
riferimento.
Balziamo tra una roccia e l’altra con la nostra guida al comando della spedizione e il
cane a chiudere il gruppo. Le rocce nere assorbono le radiazioni luminose
emanando calore e rallentando il nostro passo, sono affilate, alcune porose altre più
compatte, scricchiolano in modo sinistro sotto i nostri passi e bisogna prestare
attenzione perchè molte si muovono e rischiano di mandarci con il culo per terra.
In meno di due ore raggiungiamo la base del cono vulcanico e quì inizia la parte più
dura. La salita verso il cratere è rallentata dal fatto che ad ogni metro guadagnato
se ne perde mezzo scivolando lungo il ghiaione, in più l’aria calda e la polvere
seccano la gola rendendo difficile l’avanzata. Sulla nostra sinistra si apre alla vista il
cratere minore; il vapore acqueo sale tuttora da alcune fessure tra le rocce e
mescolato allo zolfo ne colora alcune di bianco.
A poco più della metà della salita Tania decide di risparmiare le forze per il ritorno e
ritorna con la nostra guida verso la cima del secondo cratere; io proseguo per altri
venti minuti fino alla cima. Dalla cima assaporo la vista dell’area circostante, delle
colate di lava solidificate, del cratere imploso su se stesso nell’ultima eruzione del
Paricutín, per la prima volta sono sulla cima di un vulcano, a 2800m!
La discesa dalla cima è rapida dato che si tratta di scivolare tra la sabbia vulcanica;
incontro il resto della compagnia, facciamo un giro attorno al cratere minore e ci
prepariamo per il ritorno. Ci aspettano altre due ore attraverso le poco appetibili
rocce scure e affilate del canale di lava, poi finalmente l’ombra dei pini, gli ultimi
kilometri fino al villaggio di Anghauán e per terminare un bel litro di acqua di
melone e due panini a base di avocado e petto di pollo. Così termina un’altra
avventura del nostro lungo viaggio!
jue
14
mar
2013
Michoacán
Quando ci avevano detto che Michoacán era uno degli stati più belli delle paese ci
credevamo, però stavamo aspettando di poterlo visitare per poter confermare il
passaparola della gente. Ora che l’abbiamo visitato possiamo dire che sì, Michoacán
incanta!
Incanta perchè a differenza degli altri stati dell’altopiano centrale è pieno di foreste
di conifere, incanta perchè i paesi e le città sono piccole ed accoglienti, incanta per i
suoi laghi, l’artigianato e le tradizioni locali e vorrei dire per le spiagge, che
sfortunatamente non abbiamo visto.
Incanta per l’avocado, i gelati e molte altre bontà culinarie, incanta perchè ospita
ogni anno millioni di farfalle nella sua riserva.
In Michoacán ci si sente come in un altro paese, tutto è più tranquillo, più verde,
d’estate come d’inverno, tutto è più piccolo e a portata di mano.
Basta visitare Morelia, la capitale, casa natale dell’eroe dell’indipendenza messicana
José Maria Morelos. La città incastonata in una valle tra le montagne, ha un fascino
coloniale tutto suo. La vita gira attorno alla meravigliosa piazza centrale con la sua
imponente cattedrale di marmo rosa, i suoi palazzi governativi, i suoi caffè e le aree
verdi.
Morelia è una capitale, ma quando vi si giunge sembra di essere in un piccolo paese
di campagna per l’incredibile assenza del traffico caotico che caratterizza le città
messicane. Tutto ha un suo equilibrio e una sua armonia e certe volte sembra di
passeggiare in una città europea.
Sicuramente si gioca con Guanajuato il primato tra le città coloniali del paese e direi
se lo merita tutto!
Ma la perla del Michoacán è sicuramente la “Reserva de la Mariposa Monarca”. Un
parco naturale protetto in cui ogni anno millioni di farfalle vengono a passare
l’inverno dopo una migrazione di 4500km dai grandi laghi dell’America
Settentrionale.
Tra gli abeti bianchi e rossi della foresta a 3000m d’altitudine, le farfalle trascorrono
i 3/4 mesi invernali per poi fare ritorno a Nord quando inizia la primavera. La cosa
strana è che le farfalle che giungeranno alla riserva l’anno seguente, saranno le
nipoti di quelle che la abbandonano quest’anno, e ancora oggi gli scienziati non
riescono a spiegare questo magico fenomeno della natura.
Al nostro arrivo non siamo fortunati come con le balene; piove e fa freddo, e più
della metà della colonia è già partita la settimana prima. Tuttavia ci addentriamo
nella foresta e dopo un’ora di cammino le avvistiamo tutte ammassate tra gli alberi
nel tentativo di proteggersi e darsi calore a vicenda.
Sembra che i pini abbiano le foglie al posto degli aghi. Per il freddo stanno chiuse e
non volano, nonostante tutto lo spettacolo è a suo modo fantastico.
Magari un giorno ritorneremo in questo meraviglioso stato e sicuramente faremo
ritorno alla riserva per poter vedere le farfalle volare in tutto il loro splendore...e
poi mancano le spiagge ovviamente!
dom
17
mar
2013
Weekend con Amici
Quando si visita un paese straniero la fortuna di avere degli amici è un fattore da
non sottovalutare.
Lasciato Michoacán entriamo nello stato di Morelos ed arriviamo a Cuernavaca; quì
ad attenderci alla stazione c’è il nostro amico Israim. Isra l’abbiamo conosciuto in
Italia, quando nel Luglio scorso venne per un convegno universitario. Si mise in
contatto con noi attraverso couchsurfing e lo ospitammo per tre giorni a Padova.
Subito stringemmo una buona amicizia, condividendo insieme a lui la passione per
il viaggio, la scoperta e l’avventura; ci lasciammo con la promessa di rivederci in
Messico, e adesso eccoci quì!
Il giorno seguente si uniscono a noi anche Violeta e Ulises, altri due amici conosciuti
tramite Israim e che ci avevano ospitato a Città del Messico. Tutti assieme ci
dirigiamo a visitare le grotte di Cacahuamilpa e poi il bellissimo pueblo magico di
Taxco.
Siamo in grande compagnia, gli raccontiamo delle nostre avventure nel loro paese,
di quello che più ci è piaciuto, parliamo di cibo, di tradizioni e di culture indigene.
Anche loro sono grandi viaggiatori: Ulises si è fatto tutta la Baja California in
autostop oltre ad aver visitato moltissime altre regioni del Messico, la sorella è
invece amante delle avventure estreme e ci parla benissimo dello stato che a lei più
piace: Chiapas, nostra prossima meta!
Con loro chiacchieriamo anche della loro vita da studenti. Tutti sono laureati e
stanno facendo o hanno fatto un master o un dottorato presso la loro università. Si
trovano bene e sono soddisfatti, la borsa di studio che ricevono gli permette di
vivere da soli con un proprio appartamento e non devono fare i salti mortali come
dovremmo fare noi al loro posto nei nostri paesi se fossimo iscritti ad un dottorato.
Essere studenti in Messico è quasi un privilegio: si entra gratis nei musei, nelle aree
archeologiche, si pagano gli autobus a metà prezzo e il cinema, il teatro, i concerti,
ecc... basta pensare che la tassa annuale di iscrizione alla UNAM di Città del
Messico costa qualcosa come 50 centesimi! Ridicolo se confrontata con le nostre
tasse universitarie.
E poi ci sono corsi gratuiti di tutti i tipi, dalle lingue alle arti, accesso illimitato ad
un’enorme biblioteca e spazi verdi dove giocare a tennis, calcio, pallavolo, ping
pong, ecc...
Insomma rimaniamo a bocca aperta per tutte le possibilità di cui dispongono e
anche per la faticosa salita al mirador da cui si ammira tutto il paese di Taxco nella
sua intatta bellezza.
Sulla via del ritorno ci aspetta un’altra sorpresa; da lontano si vedono le cime
innevate di due tra i vulcani più alti del paese, illuminate dalla colorata luce del
tramonto.
Tra un paio di giorni abbiamo deciso. Cercheremo di avvicinarci il più possibile!
mié
20
mar
2013
Tra i Due Vulcani
Seduti tra la steppa vulcanica che divide i due giganti del Messico, ammiriamo il
paesaggio circostante. Davanti a noi si erge maestuoso il cono del Popocatépetl
tutto coperto di neve e incapucciato da un gruppo di nuvole. Con i suoi 5465m è la
seconda cima più alta del Messico, superato solamente da un altro vulcano: il Pico
de Orizaba.
Il Popo è uno dei vulcani del Centro America più attivi; la sua ultima eruzione risale
al 1994 e da allora viene continuamente monitorata la sua attività e ne è interdetto
l’accesso.
Da secoli la Montagna Fumante fa da guardiana alla Donna Bianca sdraiata davanti
a lei; l’Itzaccíhuatl rappresenta invece la terza cima del paese con i suoi 5220m. Il
complesso roccioso è composto da tre vette e da due minori che si estendono verso
il Popo, ed ognuna di essa rappresenta una parte del corpo di una donna: la testa, il
seno, le ginocchia e i piedi.
Da lontano, quando le cime sono innevate, la signora sembra indossare un vestito
bianco. Per gli Aztechi era appunto la signora vestita di bianco: Iztac = bianca,
cíhuatl = signora in lingua náhuatl.
Seduti sul prato del passo di Cortés possiamo godere della vista dei due vulcani. Le
nuvole li coprono entrambi, ma pazienti aspettiamo finchè la cima del Popo si
scopre lasciando intravedere il bordo del suo enorme cratere rivolto verso Est. Dal
suo interno a tratti escono sbottanti grosse nubi di vapore acqueo che rapidamente
si addensano formando altre nuvole che ne ricoprono la sommità.
Dall’altro lato la signora in bianco è meno visibile da questa prospettiva, anche se
con un po’ di immaginazione si arriva a ricostruirne il profilo. Si vedono i piedi lungo
i quali si fà largo uno dei sentieri che portano alla cima.
Narra la leggenda che il guerriero Tlaxcalteca Popocatépetl prima di andare in
guerra contro gli Aztechi chiese la mano della figlia del cacique Iztaccíhuatl della
quale era innamorato. Il capo della tribù gliela concesse onorato della richiesta del
guerriero. Durante l’assenza di Popocatépetl la ragazza viene avvertita della morte
dell’amato in battaglia e per il dolore si suicida.
Ritornato vittorioso in città Popo trova l’amata morta e decide di costruirle una
tomba sopra la montagna; la carica con se e la porta tra le cime dove si pone a
vegliarne il corpo durante la notte con una torcia accesa nella mano. Durante la
notte una tormenta di neve li sorprende ricoprendoli di bianco, sebbene la torcia di
Popocatépetl continui fumando e vigilando la sua amata per l’eternità.
L’aria è fredda e il sole quando si fà vedere picchia forte. Ancora una volta la Natura
ci regala un paesaggio memorabile.
Senza dubbio uno dei simboli del Messico!
lun
25
mar
2013
Nuovamente a Sud
Questa volta cambiamo modo di viaggiare. Tramite Couchsurfing contattiamo nel
gruppo di Car-Sharing del Messico un ragazzo francese che dispone di mezzo
proprio per poter trasferirci a Oaxaca.
Ci incontriamo con lui nella piazza di Puebla e assieme ad un’altra ragazza inglese
proveniente dal DF saliamo a bordo del nuovo mezzo!
Thibault è in viaggio da sei mesi, i primi due li ha spesi viaggiando per il Canada,
dal Quebéc a Vancouver in autostop. Lì attraverso un amico ha potuto acquistare
un furgone Dodge Ram giallo già completamente attrezzato; dispone infatti di letto
matrimoniale, cucina, stoviglie e tutto il necessario per spostarsi e dormire a bordo.
Dal Nord-Ovest del Canada è sceso attraversando gli stati della costa pacifica
americana: Washington, Oregon, California e per finire Arizona. Poi è entrato in
Messico e tutt’ora pensa di starci un altro po’ e poi tornare a casa.
Susie è invece inglese, di Brighton, anche lei ha girato prima gli Stati Uniti, poi il
Messico ed è stata anche in Guatemala come noi nella zona Nord. Entrambi hanno
deciso di partire per le loro rispettive avventure senza avere molti soldi; Susie ha
lavorato in qualche ostello lungo il cammino prendendo un po’ di soldi, e si sono
incontrati facendo WWOOFingin una finca in cui volevamo andare anche noi.
Il viaggio a bordo del furgone è divertente e piacevole, diverso dai soliti
spostamenti in autobus. Parliamo un po’ in spagnolo e un po’ in inglese,
attraversiamo una zona desertica piena di cactus enormi e penso che questa sarà
una delle ultime volte in cui viaggeremo in compagna di un paesaggio del genere.
Ormai ci dirigiamo verso Sud, verso le foreste del Chiapas e gli altipiani del
Guatemala.
Le montagne a Est formano una barriera naturale che blocca le nuvole che
rimangono sopra la cime come lenzuola di cotone bianco; ecco spiegato il motivo di
tanta siccità!
Saliamo e scendiamo tra le montagne della Sierra del Sur e alla fine giungiamo a
Oaxaca, capitale dell’omonimo stato.
Moltissima gente ci ha parlato bene della città e dei suoi dintorni, del suo cibo, dei
mercati, ecc... ma la verità è che Oaxaca non è né più né meno che un’altra città
coloniale messicana.
Certo all’occhio del turista che arriva da fuori è si imbatte nella realtà locale per la
prima volta, l’impatto dev’essere molto forte, ma per noi ormai assuefatti della
cultura messicana la sopresa non è così esaltante. Con questo non voglio sminuire il
fascino della città, è piena di libreria e di gallerie d’arte, il tempio di Santo Domingo
è forse una delle chiese più belle del Messico ela vita di strada è molto animata.
Di fatto ci accorgiamo di essere tornati al Sud quando vediamo per le strade e nelle
piazze centinaia di indigeni locali con i loro vestiti colorati. Per questo Oaxaca è
anche una città di contraddizioni, dovrebbe essere economica ma non lo è, anzi
alcune cose al mercato sono più care che nel resto del Messico, inoltre lo Zocalo è
sede ogni giorno di menifestazione indigene contro il governatore dello stato.
Attorno alla città sono sparse le rovine della civiltà Zapoteca, Monte Albán e Mitla
sono le principali. Il primo beneficia di una strategica e bellissima posizione su di
una montagna che domina la città e dalla quale si gode una vista a tuttondo sulle
valle circostanti; come sito archeologico non è molto grande e non impressiona per
le sue costruzioni, tuttavia è pieno di gente e di guide che non fanno altro che
elogiare la grandezza e intelligenza di una civiltà che non conosceva l’uso della
ruota e che era riuscita a dividere le stagioni e i giorni quando in Europa già ci si
avvistavano i satelliti di Giove e si era creato l’orologio.
Mitla invece è un po’ diverse dalle altre rovine preispaniche, era un sito cerimoniale
e residenziale del quale rimangono tre piazze circondate da palazzi non immensi,
ma comunque finemente decorati. Per certi versi le zone residenziali ricordano
le domuslatine, con un grande patio quadrato al centro, circondato ai quattro lati da
stanze e corridoii. All’interno di uno dei patii gli spagnoli costruiranno la chiesa di
San Pablo che, sebbene contrasti con la civiltà preispanica, crea comunque un
effetto unico all’occhio del visitatore.
Molti criticano l’opera dei conquistadores, ma almeno si tratta di un edificio con un
suo valore architettonico e artistico; e a mio avviso leggermente migliore delle case
costruite dai messicani attorno alle rovine.
Credo sia meglio vedere tre cupole rosse che un paio di Rotoplast neri sulla
sommità di un solaio di cemento armato con le armature a vista!
jue
28
mar
2013
Raccomandazioni per Viaggiare durante la
Pasqua
Una delle cose che più spaventa il viaggiatore è l’arrivo delle festività. Di più di
essere derubato o di perdersi in una città che non conosce; le festività, soprattutto
quelle natalizie e pasquali sono terribili.
Ciò che accade è che in questi momenti i viaggiatori si vedono costretti a mescolarsi
ai vacanzieri, i quali sono in numero assai maggiore, determinati e agguerriti ad
arrivare fino alla meta. In quei giorni è meglio starsene tranquilli, nascosti da
qualche parte e leggere un buon libro o girovagare per la città semideserta.
E invece no! Noi giovani pivelli abbiamo la brillante idea di muoverci proprio il
giovedi santo, e di dirigerci verso la spiaggia dove ovviamente vanno tutti, Puerto
Escondido.
Il problema di viaggiare in queste date è che non si trovano posti liberi negli
autobus o nelle combi, e anche se si trovano si è costretti a fare 7/8 ore di viaggio
impacchettati come sardine in una scatola di metallo con le ruote. La gente che va
in vacanza si deve sempre portare tutta la casa a presso: stoviglie, giocattoli,
tende, ombrelloni, vestiti, ecc...
Poi c’è il fatto che ovviamente le strade sono intasate dal traffico, non solo le strade
ma anche i marciapiedi. In Messico i marciapiedi di fatto non esistono, perchè sono
occupati dai venditori ambulanti con i loro tendoni e le loro bancarelle; sicché si è
costretti a camminare con 15kg in spalla facendo gli equilibristi tra i marciapiedi, i
pali della luce, i cavi elettrici penzolanti e le bancarelle.
Quando si arriva infine a destinazione e si tira un sospiro di sollievo, l’avventura
non è ancora terminata!
Gli ostelli sono pieni, le posadas traboccano di studenti in cerca dell’alloggio più
economico, gli hotel sono presi d’assalto dalle famiglie più benestanti, in fuga dal
caos delle grandi città e in cerca di relax nella bolgia di un piccolo paesino sulla
costa.
Per fortuna siamo armati di una piccola tenda da campeggio, pensando così di
essere sistemati; ci sarà pure un qualche posto sulla spiaggia dove poter
accampare!
Il luogo lo troviamo, arriviamo alle 10 di sera, entriamo e ci troviamo nel bel mezzo
di una festa di studenti diociottenni della capitale. Ci dicono di piantare la tenda nel
mezzo perchè non c’è più posto, così la notte non chiudiamo occhio e malediciamo
le benedette feste pasquali.
Non tutti i mali vengono
gli studenti se ne vanno,
di conoscere i proprietari
Messico ormai da quindici
per nuocere, il giorno seguente quando clamorosamente
rimaniamo in pochi nel campeggio e abbiamo l’occasione
dell’ostello. Sono due coppie italo-francesi, trasferitesi in
anni e molto felici della loro scelta.
Essendo in quattro possono turnarsi a due a due nella gestione del negozio, così di
quando in quando possono prendersi delle vacanze e non dipendere troppo dalla
loro attività. Come dicono loro non si sentono schiavi del lavoro.
Chiacchieriamo soprattutto con Simona, di Como, che ci informa delle
problematiche e dei vantaggi di questo tipo di attività e poi ci lascia gli indirizzi di
altri ostelli di italiani sparsi per il Centroamerica; nel lago Atitlán in Guatemala e
nell’isola di Ometepe in Nicaragua.
Chissà, forse anche noi un giorno apriremo un ostello tutto nostro, anzi se magari
qualcuno ha voglia di associarsi, sarete i benvenuti!!!
mar
02
abr
2013
Toniná
La bellezza delle rovine Maya è probabilmente il fatto che non esistono in tutto il
Centroamerica due siti cerimoniali uguali. Toniná è uno di quelli che si differenzia
maggiormente e non si dimentica facilmente.
Il sito si trova 14 Km a Est di Ocosingo, una zona in cui la presenza zapatista è
stata ed è tuttora abbastanza forte; lo si nota dalle scritte, dai murales e dai cartelli
che ricordano come molti terreni siano di proprietà dei fieri indigeni locali e non
siano in vendita, e lo si nota anche e soprattutto grazie alla presenza di un’enorme
base militare costruita proprio lungo la strada che da centro del paese porta a
Toniná.
Uno si chiede perchè dovrebbero esserci tanti militari in una zona così tranquilla tra
le montagne del Chiapas; gli ultimi vent’anni di lotte indigene sono la risposta a
questa domanda!
Nella sua estensione il sito non è grandissimo, tuttavia impressiona per la sua
imponenza. Sul lato di una collina alta circa una settantina di metri, si ergono
all’incirca 13-14 templi distribuiti su 7 livelli, gli ultimi due dei quali sostengono
quattro templi ciascuno.
Il nome Toniná deriva dalla parola del maya Tzeltal che tradotta letteralmente
significa: “luogo in cui si costruiscono strutture di pietra in onore al tempo”.
La parte bassa della città non è stata portata alla luce, principalmente per il fatto
che i terreni zapatisti che accerchiano il sito non hanno concesso all’ente federale
l’accesso alla zona per permettere ulteriori scavi; di conseguenza tutto si concentra
attorno alla collina.
Sette livelli sopra i quali si costruirono templi, altari, residenze dei sacerdoti,
tombe, ecc... quì l’Acropoli si trasforma in Città vera e propria!
Iniziamo la nostra salita sul versante destro del monticolo, una zona caratterizzata
dalla presenza di edifici residenziali contraddisinti da piccole stanze unite tra loro da
labirintici corridoii; poi si iniziano ad incontrare le prime stele, erette per scandire i
periodi più importanti della città.
I templi costruiti con la tipica falsa volta a modiglioni ci ricordano le costruzioni di
Palenque, così come le coperture decorate dai fregi a reticolo ci fanno tornare alla
mente le costruizioni di Yaxchilán.
E’ un piacere, dopo molto tempo, visitare un’altra zona archeologica, toccare le
pietre millenarie che i Maya ci hanno lasciato in eredità, entrare nei misteriosi e buii
corridoi dei templi e immaginarli decorati con lo stucco bianco e rosso, e poi salire i
gradini sconnnessi fino ad arrivare alla cima.
Dalla sommità dell’ultimo tempio la brezza ti accarezza il viso, ti scompiglia i capelli
e il sole ti scalda la pelle; da quì si gode della vista di tutta la valle circostante, ai
lati piccole colline sembrano celare altri misteri della Storia, e alle spalle le
montagne della Sierra sembrano vigilare perennemente sopra Toniná.
Per un momento ci viene voglia di tornare a Tulum, a Chichén, Uxmal, Edzná,
Palenque, Yaxchilán e Tikal, tutte queste meraviglie di pietra calcarea immerse
nella giugla o lungo la costa caraibica o nascoste tra l’ansa di un fiume o sulle
pendici delle colline.
Anche se a volte siamo stati un po’ critici nei confronti della civiltà Maya, tutti questi
luoghi, nel momento del loro massimo apogeo, non hanno avuto niente da invidiare
alle più grandi costruzioni egizie, greche o romane.
Dopotutto il “mondo Maya” ti emoziona!
jue
04
abr
2013
Sull'Altopiano Chiapaneco
Per chi visita la zona meridionale del Messico, la città di San Cristóbal de Las Casas
è uno spot indicato da tutte le guide come “not-to-be-missed”. Un po’ come visitare
la Francia e non passare per Parigi, o l’Italia e non passeggiare per Firenze!
Certo il paragone con le grandi città europee è un po’ azzardato, nel senso che San
Cristóbal non ha niente da offrire al viaggiatore o al turista di passaggio, se non le
tipiche chiese coloniali e la strade acciottolate che abbiamo trovato in decine di altre
città messicane.
Ma allora, perchè San Cristóbal continua ad essere presa d’assalto da migliaia di
turisti al giorno? La risposta è semplice, San Cristóbal ha qualcosa che le altre città
non hanno!
Non sono solo i numerosi indigeni presenti in città a darle un tocco in più, anche
Oaxaca, Mérida, Valladolid sono prese di mira dalle popolazioni di origine
preispanica; quello che rende speciale San Cristóbal è tutto l’ambiente. Sono le sue
chiese colorate, le stradine piene di ristoranti e bar alla moda, i mercati pieni di
fango e pullulanti di gente indaffarata a vendere frutta, verdura e carne, i
colorati huipiles delle donne indigene, i loro sguardi sorridenti e fieri, i bambini che
giocano agli angoli delle strade, i musicisti di strada e poi ovviamente il paesaggio
circostante, le montagne di pini avvolte perennemente nella foschia e coperte da
grosse nuvole bianche.
Camminando tra le strade si sente l’intenso odore di caffè chiapaneco uscire dai bar
e mescolarsi a quello dolce dei tamales e delle pannocchie cotte alla brace che i
venditori ambulanti ti offrono per strada; gli odori si mescolano ai colori dei vestiti
indigeni che vendono i negozi. Ce ne sono a centinaia, ma mai troppo insistenti e
mai ci si stanca di entrare a curiosare tra le decine di stoffe colorate, dalle gonne ai
huipiles, dalle camicie ai pantaloni.
San Cristóbal è stata anche teatro della rivolta zapatista iniziata nel Gennaio ’94,
con la presa del palazzo governativo e ancora oggi è sede di manifestazioni
sporadiche, l’ultima della quale ha avuto luogo il 21 Dicembre scorso con l’avvento
del 13º Baktun. Quel giorno la città è stata testimone di una delle marce più
numerose della storia del Chiapas con ben 50000 indigeni marciare incappucciati
sulle strade della città. Segno che lo zapatismo è ancora forte e ha intenzione di
proseguire per molto tempo.
Durante il nostro soggiorno in città cogliamo l’occasione per assistere alla
proiezione di un documentario riguardante la rivolta zapatista; la storia degli
avvenimenti ci rinfresca un po’ la memoria, solo che adesso le cose appaiono
differenti.
Mentre si è a casa e si leggono informazioni o si ascoltano notizie in televisione
tutto sembra così eccitante e in molti casi stimolante; tuttavia le cose viste dal vero
si osservano con altri occhi (otras miradas)!
In parte la lotta zapatista è indirizzata, come dice il Subcomandante Marcos “[...]
per l’umanità e contro il neoliberismo”. Leggendo le varie “dichiarazioni della Selva
Lacandona” si apprezza come lo zapatismo si schieri contro il consumismo e lo stile
di vita occidentale che per moltissime ragioni è arrivato al capolinea, creando crisi
economiche e situazioni politico-sociali instabili nella maggiorparte dei paesi
sviluppati.
In molti casi viene chiamato in causa lo stile di vita indigeno, molto più sobrio e
legato alla natura, come esempio di possibile via d’uscita dalla società dei consumi
imposta nel mondo occidentale. Tuttavia, viaggiando in questa zona del Chiapas, in
molti casi ci si imbatte in indigeni che preferiscono i grandi centri commerciali più
economici ai mercati locali in cui i loro compagni vendono i propri prodotti, oppure
in mamme che preferiscono nutrire i loro figli a base di Coca Cola in luogo del latte,
che purtroppo in Messico vale tre volte il prezzo della bevanda americana.
L’economia ha un peso troppo grande nella società, a maggior ragione in questa
zona dove i salari sono molto bassi e la gente cerca di spendere il meno possibile
per poter sopravvivvere. Il neoliberismo probabilmente è una bestia troppo grande
per essere sconfitta, in fondo un po’ come lo zapatismo, non esiste perchè siamo
tutti e nessuno allo stesso momento.
C’è da sperare quindi che lo zapatismo perduri e si diffonda come il suo compagno
occidentale, e magari in un futuro non molto lontano possa essere generatore di un
nuovo stile di vita.
lun
08
abr
2013
Elogio a Chiapas
Girando il Messico in lungo e in largo ci è capitato di incontrare moltissime persone
che, dopo le normali raccomandazioni sul cibo locale da provare, ci suggerivano
assolutamente di visitare il Chiapas.
Alla fine come chiusura del nostro viaggio nel paese abbiamo messo piede nello
stato più meridionale del Messico, quello che confina con il Guatemala. E il Chiapas
non ha tradito le nostre aspettative.
Davvero è uno degli stati messicani più belli, probabilmente perchè è più vario e
completo.
La zona meridionale e orientale dello stato è caratterizzata dalla presenza della
Selva Lacandona all’interno della quale si nascondono aree archeologiche particolari
come quella di Yaxchilán, nascosta lungo l’ansa del fiume Usumacinta, o quella di
Bonampak, senza dimenticare Palenque che rimane senza dubbio una delle più
belle del Messico.
A mano a mano che ci si sposta verso Ovest e si sale verso “Los Altos de Chiapas”
ci si imbatte in una miriade di fiumi e ruscelli che formano meravigliosi salti d’acqua
e cascate. E’ il caso per esempio della strada che da Palenque porta a San
Cristóbal, lungo la quale si incontrano le bellissime cascate di Agua Azul e di Misol
Há.
Sebbene quest’ultime siano le più famose e visitate tra i turisti, a nostro parere
bisogna spingersi più a Sud per entrare in contatto con una natura ancora più bella
ed incontaminata.
La città di Comitán è ad esempio un punto strategico per chi desidera stare lontano
dalle aree più affollate ed immergersi nella natura lussureggiante. Da quì è possibile
accedere alle bellissime cascate di El Chiflón, un’area verde in cui fare il bagno tra
pozze d’acqua color turchese, camminare nella foresta alla scoperta di molteplici
salti d’acqua fino a giungere alla cascata più alta, el velo de novia (il velo della
sposa) che con i suoi 65m di altezza spruzza acqua fresca sui visi sudati di chi ha
avuto l’ardore di scoprirla.
Senza dubbio la zona più bella è quella lungo la Carretera Fronteriza, la strada che
corre parallela al confine col Guatemala. Da Comitán si sale leggermente verso una
zona boscosa disseminata da pini e piccoli laghi smeraldo-turchese, i Lagos de
Montebello.
Dopodichè si inizia a slalomeggiare tra i tornanti e le curve che scendono rapide
verso la selva, i pini scompaiono e lasciano il posto ad un groviglio di piante che in
molti tratti bloccano il passaggio della luce. Lungo questo percorso tortuoso si fa
largo il fiume Santo Domingo, il quale tra le sue numerose anse nasconde piccoli
angoli di paradiso, come quello di Las Nubes, un centro ecoturistico nel quale è
possibile bagnarsi assieme agli indigeni locali in limpide piscine naturali ed
ammirare l’impeto del fiume scavarsi il cammino tra rocce calcaree, grotte e salti
d’acqua di incantevole bellezza.
La zona dell’altopiano è invece caratterizzata da una forte presenza indigena.
Attorno alla città di San Cristóbal si disperdono centinaia di villaggi di etnia Tzotzil e
Tzeltal nei quali i fieri abitanti sono sempre indaffarati nei lavori quotidiani come la
raccolta della legna, il pascolo o il lavoro nella milpa. Gli indigeni di quest’area
sembrano molto più attivi e più fieri di quelli ad esempio che si incontrano nello
Yucatán.
Non a caso questa è la zona in cui nacque lo zapatismo e in cui tuttora lo si incontra
molto attivo, con le comunità autonome organizzate nelle cosiddette Juntas de
Buen Gobierno, ovvero piccoli governi locali all’interno dei quali è la comunità intera
a prendere tutte le decisioni in quelli che vengono chiamati Caracol.
Una regione che per molti aspetti assomiglia al Trentino Alto-Adige o ai Paesi Baschi
spagnoli: in cui sono radicate forti tradizioni locali, fieri abitanti orgogliosi delle loro
origini e la presenza di innumerevoli risorse naturali, come acqua, legname, mais,
caffè, energia elettrica e turismo; ma che nonostante tutto, secondo le statistiche
messicane, rimane lo stato più povero del paese.
Una regione sicuramente da non perdere per chi ha l’occasione di visitare il
Messico!
mié
10
abr
2013
Chicken Bus!
Arriviamo a Ciudad Cuauthémoc con la consueta combi, scendiamo a ci carichiamo
gli zaini in spalla diretti all’ufficio messicano di immigrazione per farci timbrare i
passaporti e pagare la tassa di uscita. La ragazza dell’ufficio è gentile, ci pone il
timbro, 10 Abril 2013, esattamente 4 mesi dopo il nostro ingresso, 10 Diciembre
2012, e ci augura buon proseguimento.
Sfortunatamente il confine guatemalteco dista da quello messicano 4km, per cui
dobbiamo attraversare la terra di nessuno a bordo di un taxi pigiati come sardine
assieme ad altri messicani diretti in Guatemala.
La “no mans land” è caratterizzata dalla presenza di due immense discariche;
tonnellate di spazzatura che vengono riversate sul fianco di una montagna da
camion e scavatrici, nel tentativo di nascondere sotto la roccia tutti gli scarti
dell’essere umano; mentre centinaia di avvoltoi sorvolano l’area in cerca di cibo.
Quando arriviamo a La Mesilla veniamo subito presi d’assalto dai cambiavalute
locali; è sconsigliatissimo cambiare denaro per strada, però loro fanno i prezzi
migliori, per cui ci liberiamo dei pochi pesos messicani in nostro possesso e ci
mettiamo in tasca i primi quetzales.
Poi via di nuovo all’ufficio, dove ci timbrano il passaporto e ci danno il benvenuto in
Centro America. Ci confermano che potremo viaggiare per 90 giorni all’interno
dell’area caratterizzata dal CA-4, ovvero Guatemala, Honduras, El Salvador e
Nicaragua. Non credo ci basteranno 3 mesi, per cui dovremo chiedere un
prolugamento in una qualche ambasciata!
Infine eccoci in Guatemala, si nota subito una certa differenza, la confusione per
strada è aumentata rispetto al Messico, i venditori ambulanti di fatto occupano
entrambe le corsie costringendo le auto a slalom improbabili tra la gente e le
bancarelle; le moto, i tuk tuk e le bici contribuiscono ad aumentare l’effetto caos
che si crea tra le polverose strade del paese.
Saliamo all’incirca 2km attraverso il marasma con gli zaini grandi caricati dietro e
quelli piccoli davanti, la gente ci guarda stranamente concedendoci un sorriso;
chiediamo della stazione degli autobus e ci rispondono con un “todo recto”. Un
notevole cambiamento rispetto al “todo derecho en la esquina...” messicano!
Quì basta andare sempre dritti e si arriva da qualche parte.
Finalmente arriviamo alla stazione, ma non è come la immaginavamo; non c’è
nessuna biglietteria, il passaggio si paga a bordo, e non c’è nessun autobus che
assomigli ad un autobus. In Guatemala si viaggia a bordo dei famigerati chicken
bus.
I chicken bus sono vecchi autobus, quasi tutti della compagnia “Blue Bird”, usati
negli anni ’50-’60 per il trasporto scolastico negli Stati Uniti. Grazie a questo
magnanimo gesto di bontà gli americani si liberarono dei loro mezzi peggiori e il
Guatemala balzò in testa alla classifica di paese più inquinato del Centroamerica.
Il vantaggio del viaggio in chicken bus sono i prezzi ed il divertimento/rischio.
Paghiamo poco meno di 2€ per i 90km che ci aspettano, (da casa mia a Padova
pagavo di più per fare meno di 20km!) e saliamo a bordo delle montagne russe.
Pronti, partenza, via!!!
lun
15
abr
2013
Dove la Cultura Maya è Ancora Viva
Entrando in Guatemala da Ovest ci si inbatte in una serie di verdeggianti montagne
e profonde vallate che formano gli altopiani occidentali; in questa regione la cultura
indigena è viva, colorate e affascinante.
Confrontata con il Sud del Messico o la penisola dello Yucatán, in questa zona la
cultura maya è molto più radicata e le antiche tradizioni, usi e costumi sono ancora
fortemente e orgogliosamente difesi dalle popolazioni locali.
Basti pensare che esistono almeno 23 lingue maya riconosciute ufficialmente dalla
costituzione guatemalteca e che moltissime persone che si incontrano nei paesi non
parlano lo spagnolo, o comunque chi lo parla lo considera come una seconda lingua.
La fascia settentrionale che confina col Messico è caratterizzata dalla Cordillera de
los Cuchumatanes, dove a 3000 metri tra verdi e e rocciosi pascoli sorge la
cittadina di Todos Santos.
Quì sono gli uomini ad indossare gli abiti tradizionali più vistosi: pantaloni a righe
bianche e rosse, piccoli cappelli di paglia con nastri blu e giacche a strisce
multicolore con spessi colletti di lana. Le donne vanno e vengono dalla piazza
principale dove si svolge il mercato in cui vendono i loro prodotti ortofrutticoli.
Più a Sud, nel villaggio di San Martín Sacatepéquez i maya svolgono ancora i loro
riti cerimoniali presso le sponde della laguna Chicabal; un lago annidato nel cratere
di un vulcano spento largo all’incirca 500m e fondo 300m. Per raggiungerlo
partiamo dal villaggio e attraversiamo molteplici campi coltivati a patate, cipolle,
verze e mais; gli uomini indaffarati nei lavori quotidiani zappano, tagliano legna e la
trasportano dal bosco, mentre le donne si riuniscono in un piazzetta dove
sgranocchiano le pannocchie e in calderoni arrugginiti nixtamalizzano il mais,
facendolo bollire con la calce per poterlo poi schiacciare e ottenere la farina per
le tortillas.
Allontanandoci dal villaggio il sentiero si immerge nella foresta nebulare in cui la
nebbia prende il sopravvento; raggiunto il bordo del cratere scendiamo un centinaio
di gradini in legno fino a raggiungere le sponde della laguna. L’aura di mistero
dovuta alla fitta nebbia è maggiormente amplificata dalla presenza di un gruppo di
indigeni che non vediamo, ma ascoltiamo cantare e pregare in una lingua a noi
incomprensibile.
Ci troviamo, come dicono i cartelli nel “centro della visione cosmica dei maya Mam”.
Non molto lontano da quì, in una graziosa vallata circondata da pinete, sorge il
villaggio di Momostenango in cui gli abitanti producono coperte e poncho di lana. In
questa zona si utilizza ancora oggi il calendario maya e gli altari della città sono
teatro di cerimonie che hanno luogo in date importanti dal punto di vista
astronomico come il solstizio d’estate, l’equinozio di primavera e il cambio dell’anno
maya di 260 giorni.
Spingendosi ancora più a Sud si raggiunge Quetzaltenango, la seconda città del
Guatemala, adagiata sul fondo di una valle e sulla quale si proietta perennemente
l’ombra del vulcano Santa Maria. A pochi chilometri della città si trova il paesino di
San Andrés Xecul, famoso per la sua abbagliante chiesa coloniale la cui sgargiante
facciata gialla è decorata da grottesche figure dai colori vivaci, fiori, e viti
rampicanti, ed improbabili rappresentazioni di tigri e scimmie sgambettanti.
Gli indigeni hanno messo tutto il loro impegno nella decorazione della chiesa, e
anche se non hanno raggiunto i livelli di Michelangelo o Raffaello, hanno comunque
dato un tocco personale, sebbene kitsch alla loro opera.
Usciamo a piedi dal paese, ai lati della strada piccole e umili case di adobe
punteggiano i campi in cui il mais inizia a germogliare; la gente ci guarda stupita
per le nostre buffe magliette e pantaloni e ci salutano con un sorriso.
Dopotutto siamo nella terra dei Maya!
jue
18
abr
2013
Mercati
Senza dubbio alcuni tra i luoghi più intriganti del Centro America sono i mercati
delle città.
Sin dai tempi antichi il mercato rappresentava il luogo di ritrovo e di scambio delle
merci della maggiorparte delle popolazioni di tutto il mondo. Oggigiorno
probabilmente per noi europei , abituati agli enormi, puliti e luccicanti centri
commerciali, i mercati hanno perso un po’ il loro significato; tuttavia tra la gente
dei paesi latinoamericani, essi ricoprono ancora il loro ruolo secolare.
I mercati del Messico erano una delizia per il naso e i palati sopraffini. Era
divertente entrare per andare alla scoperta delle prelibatezze locali, di nuovi tipo di
frutta e dei nuovi piatti regionali. In alcuni di loro, come in quello di Guadalajara o
in quello di Mérida era anche facile perdersi; mentre in altri si contrattava il pranzo
per poco più di 2 Euro.
In Guatemala le cose sono leggermente differenti. Il cibo perde un po’ il ruolo di
attore principale, sebbene si riescano comunque a scovare angoli dove le semplici
ma prelibate pietanze quotidiane vengono servite per la modica cifra di 1,5€.
Nei mercati guatemaltechi, soprattutto in quelli degli altopiani, sono i prodotti
artigianali a svolgere il ruolo di protagonisti. Il mercato cittadino, che quasi sempre
si svolge in una valle, da l’opportunità alle popolazioni indigene che vivono
nelle aldeas tra le montagne di scendere e poter vendere i loro prodotti locali. Ecco
quindi che ci si inbatte in abiti tessuti a mano, stoviglie di ceramica o argilla,
strumenti musicali o oggetti per la casa intarsiati in legno, ma anche verdura, frutta
e animali.
Chichicastenango è sicuramente il pueblo guatemalteco nel quale si svolge il
mercato più rappresentantivo. Circondata da valli e montagne che si stagliano
contro il cielo, Chichi appare isolata dal resto del Guatemala. Quando le sue strette
viuzze acciotolate e i tetti dalle tegole rosse sono avvolte nella nebbia sembra
immersa in un alone di mistero.
In occasione del grandissimo mercato della domenica, Chichicastenango è invasa da
turisti e da venditori di prodotti artigianali che, sebbene le conferiscono
un’atmosfera commerciale, contribuiscono comunque a creare uno spettacolo unico
in tutto il paese.
Gli abitanti locali inoltre sono famosi per il loro attaccamento alle cerimonie e
tradizioni precristiane, di modo che la domenica capita di imbattersi
nelle confradias che sfilano in processione nella chiesa di Santo Tómas, o di fedeli
che bruciano resina copal (simile all’incenso) e pregano di fronte alle effige dei loro
defunti nei gradini della chiesa stessa.
Non lontano dal paese, salendo una piccola collinetta, si arriva ad un piccolo
santuario dedicato al dio maya della terra. Situato in mezzo ad un circolo di tozze
croci su di una radura, l’idolo dal volto di pietra deturpato e annerito dal fumo delle
offerte, viene oggigiorno regolarmente onorato con offerte di incenso, fiori, cibo e di
tanto in tanto un sacrificio animale!
Nonostante in molti casi sia un piacere passeggiare tra le bancarelle in cerca di
affari e resistendo alle insistenti offerte dei commercianti locali, in altre situazioni
risulta un po’ difficoltoso, sebbene divertente, trovarsi a slalomeggiare tra i tavolini
ed i trasportatori con due zaini caricati sulle spalle.
Dopo le maledizioni iniziali abbiamo preso con filosofia e divertimento l’occasione di
attraversare a piedi i mercati diretti alla stazione dei bus, come ad esempio ci è
capitato a Quetzaltenango!
sáb
20
abr
2013
Un Lago tra Vulcani
Seduti sulle sponde del lago Atitlán tentiamo di scorgere il profilo dei vulcani che si
stagliano davanti a noi; purtroppo la foschia che in questi giorni affligge il lago
perennemente, ci impedisce di goderci il paesaggio, che tuttavia tentiamo di
immaginare.
Poco lontano giungono le note di una lenta e romantica bachata, sembra che al
tramonto la vita notturna di Panajachel si animi improvvisamente.
Quello che molti altri viaggiatori hanno definito come lo spettacolo naturale più
maestuoso del Centroamerica è a nostro avviso un po’ sopravvalutato. Con questo
non vogliamo certo sminuire la bellezza del lago, ma sicuramente esistono posti
molto più impressionanti.
Il fatto è che la bellezza di un luogo è molto soggettiva e cambia da viaggiatore a
viaggiatore, credo che innanzitutto dipenda dalla provenienza dell’osservatore.
Gente abituata a vivere in un territorio piatto, privo di fiumi e laghi, rimane
sicuramente affascinata ed impressionata di fronte ad un paesaggio come quello del
lago Atitlán.
Circondato a 360° da montagne e vulcani che si tuffano a capofitto sulle acque
verdi e azzurre del lago, il panorama è di rara bellezza da qualsiasi zona lo si
ammiri. Dalle pendici boscose e scivolose del volcán San Pedro alle strette e
polverose strade di Santiago Atitlán, dalle sabbiose e calme sponde di Panajachel
ai miradores drammatici che cadono a strapiombo sul lago appena dopo Sololá.
Il lago venne creato in seguito allo sprofondamento del terreno di superficie dovuto
ai movimenti di magma degli strati sottostanti la crosta terrestre che accaddero
all’incirca un centinaio di migliaia di anni fa. L’enorme cavità rimasta vuota si riempì
d’acqua creando un bacino di forma approssimativamente ovale che misura 18km
lungo il lato maggiore e 8km lungo quello minore Nord-Sud, con una profondità
media di 300m e vigilato costantemente lungo il lato meridionale dai tre vulcani:
San Pedro, Tolimán e Atitlán tutti sopra i 3000m.
La cosa strana è che nel lago si immettono 3 torrenti provenienti dalle montagne
che circondano il bacino, che di fatto non ha nessuna uscita. Di conseguenza
l’altezza media delle acque cambia perennemente di anno in anno, e l’unico modo
che l’acqua ha di uscire è quello di evaporare.
In pratica Atitlán è come un’enorme pentola, nella quale l’acqua riscaldata
dall’energia solare evapora formando costantemente nuvole e una fitta foschia che
impedisce molto spesso di vedere le sponde da un lato all’altro.
Tuttavia le nuvole che si formano dalla condensa del vapore provocano
precipitazioni regolari che ogni 3/4 giorni permettono di ammirare lo scenario nella
sua completa bellezza. Fortunatamente in uno di questi giorni decidiamo di
attraversare le acque per visitare il paesino di San Pedro e salire un po’ le pendici
del vulcano; l’atmosfera è affascinante e la vista a tuttotondo del paesaggio
dalla lancha con cui attraversiamo il lago è a dir poco fantastica.
Un’altrà peculiarità di Atitlán è che i vilaggi che si adagiano sulle sue rive sono tutti
ancora ricchi di autenticità e di cultura locale; da San Marcos a Santa Cruz, da San
Pedro a Santiago, ciascuno con il suo vestito maschile e femminile tipico, ciascuno
con i suoi prodotti artigianali, le sue tradizioni e le sue feste.
Nonostante il turismo sia esploso nell’ultimo decennio, le popolazioni del lago hanno
saputo mantenere intatto il loro stile di vita e per il momento non sono ancora
giunti investimenti millionari con il progetto di costruire resort e hotel lungo le
pendici vulcaniche del bacino.
Atitlán rimane sicuramente uno dei luoghi più incantevoli visti finora in Guatemala,
unico per la sua struttura ed il suo paesaggio e, sebbene molti laghi alpini delle
nostre zone possano essere simili e forse anche più impressionanti come
potrebbero esserlo il lago di Garda, di Como o il lago Maggiore, gli odori ed i colori
dei villaggi maya rimarrano per sempre tra i ricordi di questo nostro bellissimo e
lungo viaggio attraverso il Centroamerica!
mié
24
abr
2013
Nell'Antica Capitale
Appena si mette piede ad Antigua si capisce subito che non si ha a che fare con una
città guatemalteca. Le strade larghe e acciotolate, le case basse le travi di legno dei
tetti a vista e le coperture in tegole di terracotta rosse o marroni, le piazze spaziose
e ordinate, pulite, con giardini o piccoli spazi verdi a spezzare di quando in quando
la monotonia del quadricolato di strade che contraddistingue la pianta della città.
Antigua non è una città guatemalteca, anzi come dice il nome stesso, è un’antica
città spagnola costruita nel XVI secolo, poi distrutta e costruita di nuovo come
capitale dello stato e per un breve periodo capitale dell’intera federazione di stati
dell’America Centrale.
Tutto quello che le altre città o paesi guatemaltechi hanno di brutto, Antigua non ce
l’ha, o per lo meno non nel centro storico, perchè poi quando si attraversa la
periferia ecco ricomparire le coperture in lamiera, le armature dei pilastri in
cemento armato lasciate a vista, l’assenza di finestre, la spazzatura ad ogni angolo,
nei piccoli torrenti o bruciata tra i boschi.
Forse Antigua non è così perchè è una città presa d’assalto dai turisti, molti dei
quali europei; ciononostante rimane affascinante e avvolta da una cornice naturale
unica.
La città si trova in una valle circondata da montagne lussureggianti coperte dalle
coltivazioni di caffè; a Sud-Ovest si ergono due tra i vulcani più alti del paese:
l’ormai spento Acatenango e il tutt’ora attivo volcan Fuego. Ma è soprattutto il terzo
vulcano quello che simboleggia l’eterno e fatidico legame tra la città e la natura,
il volcan Agua.
Ciudad Vieja era un tempo costruita sulle pendici di questo enorme ed estinto
vulcano, quando nel 1541 a seguito di un terremoto l’acqua contenuta nel cratere
del vulcano tracimò formando una colata di fango e detriti che di fatto distrusse
l’intera città.
I pochi sopravvisuti non si diedero pervinti e ricostruirono il centro abitato una
decina di kilometri più a Nord. L’alto rischio sismico della zona non impedì alla
capitale di proliferare e di diventare tra il XVII e il XVIII secolo il cuore del potere
economico spagnolo in Centro America. Vi si costruirono palazzi, chiese, ospedali,
scuole, monasteri e persino l’università più antica del paese. Tra le sue strade
spagnoli, mestizos ed indigeni passeggiavano e condividevano un’esistenza
tranquilla ed agiata, a volte disturbata dalla terra che tremava.
Fù proprio a causa di un terremoto che la città venne nuovamente distrutta nel
1773. Chiese, palazzi e case vennero ridotte a macerie che ancora oggi sono
visibili; la capitale venne traslata nell’odierna Città del Guatemala e Antigua fù
saccheggiata e lasciata cadere in rovina.
Oggi passeggiando lungo i marciapiedi e le piazze della vecchia capitale si respira
un’aria di freschezza e malinconia allo stesso tempo. Le case basse e color pastello
si alternano alle grigie ed austere chiese barocche in rovina, gli indigeni vagano tra
le strade a caccia di turisti mentre quest’ultimi si rifugiano nei loro fast-food
preferiti in cerca di cibo americano da mettere sotto i denti.
Dove un tempo i cavalli trascinavano le nobili carrozze degli spagnoli oggi ruggenti
e fumanti tuk-tuk sfrecciano agli angoli delle strade, seguiti dai minibus pieni di
stranieri che dall’antica capitale si dirigono verso le altre aree del paese.
Ad una ventina di kilometri a Sud-Est si erge un altro vulcano attivo. Si tratta del
Pacaya che regolarmente ogni 4-5 anni erutta lanciando nell’aria tonnellate di
ceneri e polveri che poi si depositano attorno ai boschi vicini. Quando ci rechiamo a
visitarlo la zona è sorvegliata e non ci è permesso salire sulla cima per permetterci
di ammirare da vicino il cratere fumante.
Dal basso di fatto si vedono i fumi mescolati al vapore acqueo salire dal cuore del
vulcano che di quando in quando fa sentire la sua presenza con inquietanti brontolii
che si alzano nell’aria come il suono della pancia vuota di un gigante.
La camminata verso le sue pendici è piacevole e non troppo faticose, e sebbene non
si tratti dello straordinario percorso tra i campi di lava del Paricutín rimane
comunque emozionante gironzolare tra i neri e polverosi declivi della montagna
fumante, fermandoci ad osservare le nuvole formarsi e modificarsi attorno al
perfetto cono del vulcano.
Da quì vediamo la cima dell’Agua spuntare tra le nuvole.
Nonostante i trascorrere dei secoli e i numerosi cambiamenti morfoologici il vulcano
Agua rimane immobile a vigilare la città che un tempo distrusse.
Un legame secolare ed indelebile che rimarrà per sempre negli occhi di qualunque
viaggiatore che passerà per di quì almeno una volta nella vita!
dom
28
abr
2013
Incanto Naturale
Rivolte le spalle agli altopiani e alla cintura vulcanica del Guatemala ci dirigiamo
verso il centro del paese; facciamo una breve sosta nella capitale giusto il tempo di
cambiare autobús e poi via verso la Verapaz.
La parte centrale del Guatemala si divide in due regioni: Baja e Alta Verapaz; in
questa regione gli spagnoli evitarono l’uso delle armi per sottomettere gli indigeni e
lasciarono il compito ai frati francescani guidati da Bartolomé de Las Casas, che
convertirono al cattolicesimo gli abitanti locali attraverso un vero e proprio processo
di pace. La Verapaz appunto!
Tra il territorio montano della regione si nasconde anche l’habitat del famoso
quetzal, l’uccello simbolo del paese e che rappresenta anche la moneta
guatemalteca. I quetzal vivono nelle foreste nebulari di alta quota nelle quali hanno
maggiore facilità di nascondersi per proteggersi dai predatori. Nascondersi è
appunto quello che fanno tutto il giorno e per questa ragione sono molto difficili da
avvistare.
Arriviamo nel biotopo del quetzal nel tardo pomeriggio, ceniamo e ci corichiamo
presto per poter svegliarci di prima mattina e vedere il leggendario uccello.
All’indomani veniamo svegliati da striduli e gorgoglii alquanto strani, esultanti di
gioia ci vestiamo e ci precipitiamo fuori; tuttavia dopo due ore di ricerche invane
gettiamo la spugna e ci dirigiamo a fare colazione.
I sentieri del biotopo sono molto belli e spendiamo l’intera mattinata a passeggiare
nella foresta nebulare senza avvistare nessun quetzal, ciononostante godendoci il
paesaggio incredibilmente rigoglioso e pieno di vita immerso in una costante
nebbiolina che a volte si converte in pioggia.
Dopo mezzogiorno viaggiamo verso Lanquín, il microbus all’interno del quale siamo
impachettati sfreccia e sobbalza tra le curve della strada sterrata che da Cobán
porta al piccolo villaggio tra le montagne.
Il paesaggio è a dir poco meraviglioso per i suoi colori e la sua estensione;
verdeggianti e rigogliose colline si estendono a perdita d’occhio di fronte a noi e ad
ogni curva o dopo ogni salita sembrano non terminare mai. Attraversiamo torrenti e
fiumi impetuosi contornati da piantagioni di caffè e cardamomo, alberi di cacao,
mango, palme da cocco e banani, si rimane affascinati di fronte alla vitalità della
natura.
Il paesino di Lanquín è incredibilmente preso d’assalto dai turisti stranieri che
passano per di quì per raggiungere il Petén o la costa Atlantico verso cui siamo
anche noi diretti. Si tratta di una zona carsica dove ovviamente abbondano grotte e
torrenti sotterranei.
A pochi chilometri dal paese si trovano le grotte omonime, non sono grandi però
affascinanti per risultare ancora intatte; ad oggi rimangono ancora inesplorate e
poco conosciute, la illuminazione è scarsa e si ha la sensazione di essere degli
speleologi dilettanti mentre ci si arrampica e scivola tra le umide rocce calcaree.
Attraversiamo all’incirca cinque “stanze” di notevoli dimensioni, dopodichè la
presenza di pipistrelli e l’assenza di visibilità ci induce a fare marcia indietro.
Dalle grotte nasce il torrente Lanquín che con le sue verdi e gelide acquee ci invita
ad un placido riposo lungo le sue sponde, divertendoci a guardare i bambini giocare
a palla tra risa e grida di gioia.
Un’altra bellezza naturale si nasconde tra le montagne a pochi chilometri da
Lanquín. Si tratta di Semuc Champey che in lingua q’euchí significa “dove il fiume si
nasconde sotto la terra”.
Consiste in un ponte naturale di pietra calcarea lungo circa 300m sopra il quale si
sono formate delle bellissime pozze d’acqua di dimensioni e profondità variabili. Il
fiume Cahabón che scorreva originalmente nel canyon tra le lussureggianti
montagne, si è visto sbarrare la strada da un’enorme frana, dovendo così trovare
un altro percorso. Con il passare dei secoli ha scavato un tunnel sotto la roccia,
mentre la parte di montagna che ne aveva bloccato il corso è stata lentamente
erosa dalle acque raccolte dal bacino montano circostante.
La maniera in cui si è formato questo paesaggio e i suoi incredibili colori ne fanno
un luogo unico al mondo. Ci facciamo il bagno tra le calme e tiepide acque delle
pozze che assumono tonalità variabili dal verde all’azzurro a seconda della
profondità e della luce del sole. La cosa più straordinaria è pensare che mentre in
superficie tutto sembra tranquillo, sotto le piscine naturali c’è un torrente che
scorre rapido e furioso tra le rocce e che poi ricompare poco più avanti.
Uno dei luoghi più incredibile e affascinanti di tutto il Guatemala!
dom
05
may
2013
Da Dove Venite?
Prima dell’inizio della nostra avventura eravamo stati avvertiti del fatto che in alcuni
paesi latinoamericani essere spagnoli avrebbe potuto causare una certa forma di
discriminazione contro i vecchi conquistadores.
Onde evitare problematiche e sguardi strani ci eravamo messi d’accordo di dire che
entrambi eravamo italiani e che Tania parlava molto bene lo spagnolo perchè la sua
famiglia veniva dalla penisola iberica però si era trasferita in Italia alcuni anni fà e
lei ovviamente aveva imparato le due lingue.
Dopo i nostri primi giorni in Yucatán quando la gente ci chiedeva la nostra
provenienza negli autobus o nei posti dove ci fermavamo a mangiare osservammo
che pochi sapevano dove fosse esattamente l’Italia. Alcuni si limitavano a
contraccambiare un sorriso e si intravedeva sopra le loro teste un fumetto con un
grande punto di domanda; altri invece citavano a caso città importanti come
Firenze, Venezia o Roma o in altri casi la Ferrari o la pizza che effettivamente sono
le uniche due cose conosciute dalla maggioranza della gente da queste parti. (oggi
per esempio guardavano la Formula 1, tifavano Alonso perchè è spagnolo e la
Ferrari perchè è l’auto che guida Alonso, non perchè sia italiana!)
Di conseguenza abbiamo dovuto cambiare strategia e, per semplificare le cose
abbia deciso di rispondere semplicemente che entrambi venivamo dalla Spagna.
La cosa più divertente sono sicuramente le reazioni di alcune persone che ignorano
del tutto dove si trovi il nostro continente o che pensano che lo spagnolo sia parlato
magicamente solo in America Centrale sorprendendosi di come anche in Spagna si
parli la stessa lingua.
Riportiamo per esempio un breve scambio di opinioni tra noi e un giovane ragazzo
messicano di origine Maya che incontrammo nei pressi delle lagune di Montebello
nella zona meridionale del Chiapas.
Seduti sulle sponde del lago ammirandone le acque azzurre e cristalline si avvicina
un ragazzo per offrirci un giro a cavallo, noi cortesemente rifiutiamo ed inizia così
un breve dialogo.
Ragazzo: “Da dove venite?”
Noi: “Dalla Spagna”
Ragazzo: “Ahhhhh Spagna...c’è molta gente che ci visita da laggiù, è molto bello
no?”
Noi: “Si si, è un po’ come il Messico, belle spiagge, montagne e tante città ricche di
storia, solo che non abbiamo i vulcani ed è molto più piccola” il tutto con un bel
sorriso stampato sulla faccia.
Ragazzo: “Ma è lontano? Quante ore di volo sono?”
Noi: “Ah più o meno 12-13, in effetti è abbastanza lontano ma con i trasporti di
oggi si arriva rapidamente anche qui in Messico”
Ragazzo: “Eh sì infatti, ma in macchina saranno tipo 10-12 giorni, no?”
Noi: “Mmh in macchina non ci si può arrivare da quì!” con sguardo sbalordito.
Ragazzo: “Ah no! Però perchè no?”
Noi: “Beh c’è il mare in mezzo!” ancora più sbalorditi.
Ragazzo: “Ah allora è come un’isola!”
Noi: “Beh no, è che si trova in un altro continente. Tipo quì c’è in continente
americano, poi l’oceano e poi l’altro continente che si chiama Europa!” tentando di
disegnare sulla sabbia una piccola mappa.
Al ragazzo si illumina la faccia per la scoperta di un nuovo territorio, ci fa un
sorriso, ci saluta e ci augura buon proseguimento.
In altre occasioni invece ci è capitato di discutere sul fatto che anche in Spagna si
coltivino meloni ed angurie e la risposta è stata che alcuni parenti dei nostri
interlocutori vivessero in Florida ed anche loro erano d’accordo sul fatto che lì ci
fossero buoni meloni ed angurie.
In Guatemala invece la gente crede che la pelle di alcuni loro compatrioti sia più
chiara perchè alcuni secoli fà gli spagnoli in visita nel paese, trovandolo affascinante
e dal clima gradevole decisero di rimanerci mescolandosi tranquillamente con gli
indigeni locali e creando così il mix tra la razza bianca e quella indigena. Tuttavia la
reazione più comune riguarda il fatto che molta gente rimanga impressionata dalla
fluidità che ha Tania nel parlare lo spangolo e molto spesso le chiedono se anche in
Spagna, così come in Guatemala o Honduras, lo spagnolo si utilizzi come prima
lingua!
Nonostate all’inizio ci preoccupassimo del fatto che molte persone quì avrebbero
potuto provare risentimento nei confronti del popolo che più di cinquecento anni fà
li aveva conquistati, dopo i nostri cinque mesi di viaggio possiamo confermare che
generalmente il centroamericano medio non conosce molto bene la storia ed ignora
completamente il fatto che secoli addietro i feroci conquistadores abbiamo
saccheggiato le sue terre e sottomesso i suoi antenati, anzi in molti casi veniamo
accolti in maniera più calorosa per il semplice fatto che parliamo la loro lingua e non
l’inglese come gli americani, di conseguenza i rapporti si fanno più semplici e
riceviamo in cambio montagne di sorrisi!
mié
08
may
2013
Attenti al Fuoco
In tutte le occasioni in cui si ha a che fare con il fuoco si ha sempre un po’ di
timore, probabilmente è qualcosa che ci portiamo dentro dall’alba dei tempi quando
per la prima volta l’uomo rimase impressionato dalle prime fiamme che seppe
produrre con ogni probabilità quasi per caso. Sarà una sorta di timore reverenziale
verso il colore rosso e giallo delle lingue di fuoco, che quasi sempre si associano al
pericolo, o la forza ed il calore che in molte situazioni ci sembrano incontrollabili.
Ad ogni modo, qualsiasi sia la situazione, c’è sempre da prestare attenzione quando
si gioca con il fuoco. Nel nostro caso ci sono state due situazioni in cui, seppure per
un breve momento, ci siamo davvero spaventati vedendo il fuoco così vicino ed
incontrollabile.
Il primo episodio ci successe mentre stavamo a casa di Leonardo, il ragazzo che
gestiva un ristorante ad Autlán, nello stato di Jalisco, México. Lo stato in cui ci
trovavamo è famosissimo perchè è l’unico posto in Messico e nel mondo dove si
produce il tequila. Metà del territorio è coperto da coltivazioni di Agave Azul, che è
appunto la pianta dalla quale si ottiene la famosa bevanda messicana; tuttavia nella
zona in cui stavamo noi la coltivazione preferita e più redditizia era quella della
canna da zucchero.
Leonardo possedeva all’incirca 40 ettari tutti coltivati a canna da zucchero, ossia
tantissimi campi se vogliamo vederla con l’unità di misura veneta!
Durante l’ultimo giorno in cui lavoravamo presso il ristorante accade che il
proprietario decida di chiudere anticipatamente e andarsene verso la costa dove il
lunedi avevano luogo i corsi universitari che seguiva. Fortunatamente ci lascia le
chiavi di casa e del ristorante per poter cenare lì e dormire ed il giorno dopo
lasciare tutto in mano agli operai e noi andarcene felici a scalare il Nevado de
Colima.
Sapevamo perfettamente come aprire e chiudere il locale e dove si trovavano tutte
le stoviglie ecc... per farci da mangiare; sfortunatamente la serata inizia male con
la chiave della serratura che si rompe dentro e noi che dobbiamo escogitare un
piano B per poter entrare dalla finestra sul retro e poter così cenare. Mentre Tania
prepara la cena riesco dopo alcuni tentativi a togliere la parte di chiave rotta
all’interno della serratura. Fiuuuu per lo meno non ci sarà il bisogno di cambiarla!
Tranquilli ci sediamo quindi per mangiarci la nostra bella e gustosa tagliatella, però
proprio mentre stiamo mangiando sentiamo un suono strano simile ad un forte
crepitio provenire da fuori. Apriamo la finestra sul retro della cucina e ci troviamo di
fronte l’inferno!
Dalla coltivazione fiamme alte 5-6m squarciano il cielo illuminandoci la faccia.
Avanzano rapidamente e sebbene il ristorante non sia in pericolo, la casa lo è
eccome trovandosi proprio circondata da canna da zucchero. Ci spaventiamo e per
un istante non sappiamo come reagire.
Immaginate di dover fare una telefonata ad un tipo che avete conosciuto due
settimane prima e chi vi ha lasciato la casa nelle vostre mani per una notte, e di
dovergli dire: “beh ehm...è che la coltivazione di canna da zucchero è andata in
fiamme e così anche la tua casa...”. Come glielo spieghereste altrimenti?
Dopo l’istante di black-out io corro verso la casa per prendere le nostre cose e
Tania verso la strada in cerca di aiuto da parte di qualche automobilista; dopo
alcuni minuti e con le fiamme che avanzano minacciosamente verso la casa me ne
ritorno con i quattro zaini tra le spalle, braccia e mani. Ho cercato di salvare il
possibile, le nostre cose ovviamente: soldi, computer, passaporti, scarpe, roba da
vestire ecc...
Tania mi dice che ad un centinaio di metri dal ristorante c’è un auto della polizia
ferma lungo la strada, lascio giù la roba e mi fiondo verso l’auto in cerca di aiuto.
Arrivo con il fiato corto per la corsa e la paura e dico al poliziotto:
“...ehhmmm la canna da zucchero...sta bruciando tutta ed il fuoco procede verso la
casa...”
“Tranquillo” mi dice lui “hanno chiamato oggi pomeriggio per avvisare che la
incendiavano questa notte. E’ una procedura normale da queste parti!”
Dopodichè rimango sbalordito e con una faccia da stupido per un secondo o due.
“Ok” dico, “grazie per l’avviso. Mi scusi per il disturbo”
E me ne torno indietro contento e rilassato verso il ristorante a calmare Tania e a
dirle quello che mi aveva spiegato il poliziotto. Fiuu pericolo scampato. Non ci sarà
da fare la fatidica telefonata per avvisare della casa e dei campi andati in fumo.
Evvai!
All’indomani saliamo nel bus diretti verso le montagne; lungo il tragitto osserviamo
gli uomini tagliare gli alti steli della canna da zucchero. Sono neri, come se li
avessero incendiati il giorno prima, e sono privi delle lunghe e laceranti foglie che di
fatto impediscono a chi li raccoglie di tagliarli e lavorare facilmente.
Adesso sì abbiamo capito come funziona, e da ora in avanti ogni volta che vedremo
le coltivazione e la raccolta della canna da zucchero ci verrà in mente quella fatidica
notte, in cui ci siamo trovati di fronte ad alcuni minuti di panico e paura allo stato
puro!
dom
12
may
2013
Attenti al Fuoco 2
Il nostro secondo incontro con uno dei quattro elementi accade esattamente
durante il nostro primo giorno in Guatemala. In quell’occasione è stato davvero un
incontro ravvicinato, e devo dire ancora più spaventoso del precedente.
Appena usciti dal Messico prendiamo subito confidenza con il primo “chicken bus”.
Da La Mesilla ne prendiamo uno che per poco meno di due euro ci porta alla prima
cittadina di una certa dimensione del Guatemala: Huehuetenango.
Al di là del nome davvero esotico Huehue, como la chiamano i suoi abitanti, non ha
molto da offrire ai viaggiatori; di conseguenza non possiede le tipiche infrastrutture
turistiche, sebbene la pensione presso la quale ci fermiamo tre giorni sia decorosa e
decente. Abbiamo una stanza tutta per noi (in Guatemala si paga lo stesso per una
singola che per un doppia, sicchè essere in due è un vantaggio non indifferente).
Come sempre usciamo per il pranzo verso il mercato della città e facciamo scorta
per prepararci la cena autonomamente grazie al nostro fornello da campeggio.
Prima della partenza abbiamo valutato varie opzioni per quanto riguarda la
possibilità di essere automuniti per cucinare; sebbene in molti casi sia facile trovare
cibo a prezzi economici (a volte super-economici) in altre situazioni come ad
esempio in montagna o nei campeggi in cui si era lontani dai centri abitati, il
fornello da campo è risultato utilissimo, se non indispensabile per non spendere una
fortuna nel ristorante chic del lodge o rimanere a digiuno.
Di conseguenza con il tempo abbiamo preso confidenza e piano piano ci siamo
affezzionati al nostro attrezzo da cucina.
Il nostro fornelletto Coleman dispone di un serbatoio per la benzina della capienza
di 0.75l il quale, attraverso l’uso di una piccola pompetta manuale, viene messo in
pressione affinchè quando si apra il rubinetto possano uscire i vapori della benzina
sotto pressione. Sono questi ultimi a causare la combustione attraverso la miscela
che creano con l’aria.
Una volta che il processo è innescato, bisogna aspettare qualche minuto affinchè il
vapore della benzina raggiunga la giusta temperatura e vaporizzazione perchè il
processo di combustione sia efficace e generi una fiamma blu scura di forte
intensità e non la tipica fiamma gialla che indica un eccesso di ossigeno ed un basso
potere calorifico.
Sicuri ormai di aver capito come funziona l’intero processo, ci sistemiamo sulla
tavola fuori dalla camera in un piccolo patio e ci prepariamo per accendere il fuoco.
Manualmente metto in pressione il serbatoio ed apro il rubinetto, dopodichè
accendo e si sprigiona un’alta fiamma di color giallo. Come di consueto aspettiamo
che la fiamma diminuisca di dimensioni e cambi colore, tuttavia dopo un minuto le
cose non cambiano. A questo punto spengo e procedo ripetendo l’intera operazione,
ottenendo lo stesso risultato.
C’è qualcosa che non va sicchè chiudono di nuovo il rubinetto per controllare e la
fiamma permane bruciando. Instintivamente e stupidamente penso che ci sia
bisogno di togliere la pressione dal serbatoio per cessare la combustione, di
conseguenza faccio quello che più mi sembra giusto e spontaneamente affero il
tappo e lo svito.
Subito iniziano ad uscire rapidamente i vapori della benzina dal tappo, come
normalmente ho sempre fatto per togliere pressione al serbatoio a fuoco spento,
tuttavia la situazione è diversa in questa occasione. I vapori incontrano la fiamma
ancora accesa e la alimentano creando una specie di minincendio proprio davanti ai
nostri occhi.
La benzina inizia a fuoriuscire dal serbatoi spargendosi sulla tavola prendendo
fuoco, non sapendo cosa fare afferro il fornello per metterlo a terra onde evitare di
scatenare un incendio.
Entrambi gridiamo: “Al fuoco, al fuoco. Un estintore per favore!” e rapidamente
Tania si fionda verso la reception per chiedere aiuto. Il fornello continua a bruciare
esternamente e le fiamme si fanno sempre più alte, penso rapido ed entro nella
stanza, afferro un asciugamano e lo utilizzo per soffocare le fiamme sul tavolo
evitando che prenda fuoco. La cosa funziona alla grande sicchè faccio lo stesso con
il fornelleto e riesco a spegnere l’incendio.
Dopo pochi secondi arriva Tania con un estintore. Pfiuuu è tutto finito e anche
questa volta ce la siamo scampata bella!
Il nostro compagno di viaggio mostra un po’ i segni della battaglia, ha qualche
bruciatura quà e là, però non ha sofferto danni gravi. Dopo esserci calmati e
scusati con il proprietario numerose volte per l’accaduto, tentiamo di vedere se
l’arnese funziona ancora.
Cautamente ripeto la procedura di accensione (con Tania al lato pronta a spegnere
l’eventuale incendio!), fiamma gialla, attesa, pompo un poco per aumentare la
pressione, adesso si che le cose funzionano. Piano piano la fiamma diventa blu ed è
pronta per cucinare la cena.
Sopravvissuti ancora una volta!
jue
16
may
2013
Respirando Sott'Acqua
Quando per la prima volta metti la testa sott’acqua col respiratore tra i denti ed
esali il primo respiro, la sensazione è strana. Un misto di paura ed eccitazione per
quello che stai facendo ti assale.
Boia! Sto respirando sott’acqua, come un pesce in pratica, e guarda quante cose si
vedono sul fondo...questo è più o meno quello che si prova inizialmente.
Poi l’istruttore ti richiama in superficie e metti di nuovo la testa fuori continuando a
respirare con il regolatore. L’aria che ti arriva alla gola è fresca, ha un sapore
strano, come quando da piccolo prendevi i palloncini gonfiati ad elio e ne aspiravi
un po’ per poter parlare dieci secondi con la vocina da marziano che tanto faceva
divertire i tuoi amici (conosco chi lo fà tutt’ora, nonostante sia presidente di una
società calcistica! ndr).
Siamo solo inginocchiati a meno di dieci metri dal bagnasciuga con l’acqua che ci
arriva al petto e già, dopo il primo respiro sott’acqua, ci sembra di essere dei veri
sub.
Un paio di esercizi per pulire la maschera e poi Freddy, il nostro simpatico e
indimenticabile istruttore ci dice che dobbiamo spostarci in una zona più profonda:
due metri!
Cazzo! Due metri non sono niente, però questa volta sì che hai la testa
completamente sott’acqua. E se succede qualcosa? E se respiro acqua dal naso? E
se mi viene un attacco di panico ed ho difficoltà a respirare?
Mentre ci spostiamo nuotando in superficie verso la zona più profonda, tutte queste
domande attraversano rapide la mente; poi arriviamo, sgonfiamo il giubbotto e via
sotto fino ad inginocchiarsi sul fondo.
La tecnica principale per chi fa immersioni subacquee è il galleggiamento; un sub
esperto padroneggia alla grande questa tecnica ed è come se fosse sospeso
nell’acqua, proprio come una bolla. Non sale e non scende e si sente come un
astronauta senza forza di gravità!
Ovviamente per un principiante, controllare i movimenti del corpo è inizialmente
molto difficile. Si inspira e si sale troppo, si espira e si scende come un sasso
battendo le ginocchia sul fondo. Ci si sente incomodi, non ci si controlla, ci si sente
goffi e la respirazione diventa più affannosa. All’improvviso si ha come voglia di
tornare in superficie, togliersi tutta l’attrezzatura e muoversi come sempre siamo
stati abituati. Stare in piedi e poter caminnare.
Dopo un po’ però ci si calma, si prende confidenza con le pinne, la bombola, la
maschera, con il tuo nuovo corpo e l’ambiente molto più denso che ti circonda e che
rallenta i tuoi movimenti. Sott’acqua tutto dev’essere fatto con più calma e
tranquillità, guardi il tuo istruttore come si muove, ti rilassi e ti concentri sul suono
del respiratore. Dai un’occhiata in giro e noti come la vita sotto la superficie sia
completamente diversa. Serenità e felicità sostituiscono la fretta e la tensione
iniziali.
Benvenuto nel nuovo mondo!
Dopo una ventina di minuti in cui ognuno svolge separatamente i propri esercizi,
siamo finalmente liberi di iniziare la nostra prima, seppur breve esplorazione. Ci
troviamo a non più di trenta metri dalla spiaggia e Freddy ci accompagna sotto il
molo, luogo in cui si nascondono una marea di pesci.
Sembrano tutti uguali inizialmente, ma dopo un po’ si iniziano a notare piccole
differenze, ad osservare i molteplici colori brillanti dei pesci tropicali, le loro pinne
gialle, azzurre, rosse e nere, il loro movimento delicato, i loro occhi e come ti
osservano.
Non ci temono, anzi alcuni sono anche incuriositi dalla nostra presenza. Riusciamo a
scorgere una piccola murena a puntini bianchi che si nasconde tra le rocce, poi un
piccolo astice che ha convertito un blocco di cemento nella sua umile dimora.
Freddy afferra una specie di ragno di mare e lo lascia cadere tra le nostre mani; è
bellissimo sentire come si aggrappa e pizzica un po’ la pelle nel tentativo di
camminare e ritornare nel suo habitat.
Lo lasciamo sul fondo, dove tra le alghe i granchi si nascondono scavando piccole
buche nella sabbia.
Il nostro “tour” termina rapidamente; altri quindici minuti di esercizi con il
respiratore e poi ahimè si ritorna in superficie.
Wow! Quando si ritorna sotto? Domani?
Non vediamo l’ora!!!
sáb
18
may
2013
Il Meraviglioso Mondo Sottomarino
“Vedrete più pesci e crostacei in dieci minuti di immersione che tutti gli animali che
avete visto nella vostra vita.”
Frase sacrosanta con la quale inizia il corso PADI Open Water.
Una volta che si mette la testa sott’acqua non si può smettere di essere affascinati
dalla bellezza, ricchezza e diversità della vita marina. E’ un susseguirsi di riflessi
colorati che i pesci tropicali lanciano verso gli occhi degli osservatori; c’è chi se ne
sta tranquillamente nascosto tra le rocce ed i coralli, chi se ne va a passeggio solo o
in compagnia, altri che giocano a rincorrersi o chi come qualche murena difenda la
propria casa dagli intrepidi curiosi.
Sul fondo del mare regna pace e serenità, non ci sono i rumori assordanti delle auto
e dei camion, le grida della gente o i versi striduli degli uccelli bensí puro e semplice
silenzio, scandito solo dal rumore del respiratore.
Durante il corso ci aspettano sei immersioni in mare aperto durante le quali, dopo i
primi minuti di esercizi, possiamo dedicarci alla piacevole scoperta dei fondali di
Utila.
Osserviamo i pesci farfalla con le loro caratteristiche pinne gialle e la grande
macchia nera sul dorso, gli eleganti pesci angelo neri o azzurri che con le loro pinne
allungate e l’elegante incedere lento sono davvero uno spettacolo. Ci sono poi
un’infinità di pesci pappagallo di vario tipo, quasi tutti impegnati a cibarsi delle
alghe che crescono tra i coralli, i buffi pesci balestra che avanzano muovendo
all’unisono pinna dorsale e ventrale e poi i pesci trombetta con il loro corpo
affusolato e la loro bocca allungata che ti osservano con i loro grandi occhi.
Durante le prime immersioni riusciamo ad osservare qualche razza appoggiata sul
fondo e qualche rombo nascondersi tra la sabbia; successivamente le cose si fanno
più interessanti.
L’ultimo giorno del corso ci portano in una zona dove dicono sia facile incontrare
aquile di mare e tartarughe. Ci buttiamo dentro. Aria, check. Giubbotto, check.
Pesi, check. Regolatore alla bocca e via sotto!
Il fondo si trova a 12m, un labirinto di coralli, anemoni e spugne colorate;
seguiamo Freddy stando in coppia e dopo un paio di minuti osserviamo una grande
razza chiodata mezza nascosta sul fondale. Freddy tenta di animarla a muoversi,
ma la pigra continua a rastrare il fondo in cerca di cibo.
Proseguiamo alla ricerca di qualcosa di più grosso, continuamente circondati dai
pesci più piccoli e più comuni, e poi eccola lì, una bellissima aquila di mare volare
nell’acqua!
Esattamente, sta praticamente volando, muove le sue “ali” ed è come se danzasse
nell’acqua. Il dorso nero punteggiato di bianco ed il ventre chiaro. Un’aquila nel
mare che prosegue il suo cammino ignara della nostra presenza.
Il tempo stringe e risaliamo in superficie, stiamo galleggiando quando dalla barca ci
invitano a salire in fretta. “Che succede?” ci chiediamo. In lontananza si vede un
gruppo di 8-10 delfini saltare tra le onde. Ritorniamo a bordo e ci lanciamo
all’inseguimento dei mammiferi, in breve li raggiungiamo.
E’ un emozione grandissima vederli saltare lì a due metri dalla barca, ma ancora di
più sentirsi dire: “Maschera e pinne. Tutti dentro l’acqua!”.
“Come!!! Dentro l’acqua con i delfini????” poi tutti si buttano e così facciamo anche
noi.
Un gruppetto di quattro continuano la loro marcia e proviamo ad inseguirli a nuoto,
ma è davvero impossibile, sono troppo veloci. Così decido di tornare verso Tania e
gli altri ragazzi dove gli altri delfini si sono fermati a giocare con loro; li vedo saltare
in lontananza, metto la testa sotto e mi dirigo verso di loro.
All’improvviso noto una figura scura avvicinarsi, viene verso di me e poi distinguo la
testa di un delfino; mi guarda con i suoi occhi curiosi e si avvicina rapido. Mi
immergo un po’ e tento di nuotare verso di lui, è solo a qualche metro da me, mi
passa sotto e con un rapido colpo di coda si allontana. Eleganza e potenza allo stato
puro. Che emozione, che adrenalina!
Ritorniamo sulla barca e ci dirigiamo verso il secondo sito di immersione, si vede il
fondo che a sta a 15m, saltiamo dentro e di nuovo giù. Quì seguiamo Freddy lungo
un’inquietante parete di coralli, alla nostra destra e sotto di noi il misterioso blu
profondo, a sinistra murene e cernie si nascondono tra le grotte e le rocce
dell’enorme parete verticale che scende a picco per decine di metri verso l’ignoto.
Dopo una quindicina di minuti risaliamo su una parte meno profonda, continuando
la nostra esplorazione rastrando il fondo; rimaniamo un po’ più indietro degli altri e
all’improvviso sulla nostra destra noto una figura rotonda e scura immobile tra i
coralli.
Una delle sensazioni più belle che si provano sul fondo marino è che da lontano le
cose appaiono sempre sfuocate e poco visibili, poi a mano a mano che ti avvicini a
loro si trasformano sorprendentemente in qualcosa di meraviglioso, o anche di
deludente.
Mi avvicino lentamente alla forma amorfa che piano piano prende vita e si
trasforma in una bellissima tartaruga embricata, faccio cenno a Tania anche se lei
l’ha già vista. Sta mangiando delle alghe con il suo affilato e curvo becco, il
carapace bruno-giallastro e il ventre marrone chiaro; rimane quasi immobile mentre
mangia e la nostra presenza non sembra affatto turbarla.
Rimaniamo attoniti ed increduli per alcuni minuti, dimenticandoci degli altri, poi
nuotiamo rapidi verso di loro e gli facciamo capire con degli strani gesti di aver
avvistato qualcosa, torniamo indietro e la ritroviamo ancora lì tranquilla, con il suo
pranzo.
A qualche metro di distanza la osserviamo disposti a semicerchio attorno a lei
finchè, forse disturbata dalla nostra presenza, decide di allontanarsi muovendo le
quattro pinne simili a potenti remi che le garantiscono una rapida propulsione. La
vediamo scomparire in lontananza e ridiventare quell’immagine indistinta e sfuocata
di qualche minuto prima.
Che giornata incredibile, quante emozioni e soprattutto il premio finale: il brevetto
per le immersioni in mare aperto, PADI Open Water!!!
Sfortunatamente non siamo riusciti a scattare nessuna foto del fondo marino dato
che ancora non possediamo nessuna macchina fotografica subacquea, anche se
credo che presto o tardi ce ne procureremo una!
Condividiamo quindi uno dei tanti video che si trovano sul web, ma che più di tutti
rappresenta le cose viste nei fondali di Utila.
"Dalla nascita l'uomo porta sulle sue spalle il peso della gravità, è inchiodato alla
terra. Ma l'uomo deve solo lasciarsi sprofondare sotto la superficie ed è libero"
Jacques Cousteau
lun
10
jun
2013
Già 6 Mesi
“Da quanto tempo siete in viaggio?” Ci domandano Valerie e Jens, due ragazzi
tedeschi alloggiati presso il nostro ostello.
“Beh, oggi facciamo sei mesi!” Rispondiamo io e Tania guardandoci negli occhi e
sorridendo
“Wow che bello” dicono loro “Avrete visto un sacco di cose meravigliose e
conosciuto molta gente.”
“E quando pensate di tornare?” ci chiede Jens.
“Bella domanda! A cui per il momento non sappiamo dare una risposta.”
Sono ormai passati sei mesi da quando abbiamo lasciato la neve di Francoforte ed il
vecchio continente per atterrare nelle calde ed accoglienti terre del nuovo mondo.
Quattro mesi interminabili e ricchi di emozioni alla scoperta del paese più bello visto
finora: il Messico. Poi un mese tra gli altopiani e la vivida cultura Maya del
Guatemala ed infine quest’ultimo mese passato tra le immersioni ad Utila ed il
volontariato a Copán.
Quando siamo partiti non avevamo grosse aspettative e nessuno ci correva dietro,
ci siamo presi il nostro tempo ed abbiamo semplicemente seguito il nostro ritmo
naturale. Ci siamo lasciati guidare dai suggerimenti della gente, di altri viaggiatori e
dai numerosicouchsurfer che ci hanno ospitato, senza preoccuparci che ad una
certa data dovevamo prendere un volo per tornare a casa o un bus che ci aspettava
per andare verso nuove destinazioni.
Ogni giorno in più che passiamo alla reception dell’ostello incontriamo nuovi
viaggiatori che non fanno altro che alimentare e fomentare la nostra sete di
scoperta.
Un paio di settimane fà parlando con una coppia di spagnoli in viaggio ormai da più
di un anno, abbiamo scoperto l’esistenza di una coppia di isole al largo del
Nicaragua; così abbiamo deciso di dirigerci alle isole del Maíz per affrontare il
secondo corso di immersioni.
Altri viaggiatori ci hanno suggerito di fare una pausa nella tranquilla e idillica
cittadina tra le montagne di Boquete, a Panamá, e così è finita anche lei nella
nostra lunga lista dellaMoleskine che sempre portiamo con noi per questo genere di
cose.
Questa mattina inoltre, parlando con i due ragazzi tedeschi a cui abbiamo preparato
la colazione, ci è stato raccomandato di non saltare l’Ecuador, in particolare il
paradiso naturale delle Galapagos.
Sembra in pratica che tutte queste coincidenze ci forzino a proseguire il nostro
“rotolare verso Sud”. A maggior ragione siamo spinti a farlo se, dopo un paio di
chiacchierate via Skype con i nostri amici collegatesi dall’Italia e dal Belgio, non
facciamo altro che ricevere commenti sconfortanti sulla situazione europea e dei
nostri paesi, ed un convincente: “Fate bene! Rimanete lì e continuate la vostra
avventura!”.
Così abbiamo deciso che il nostro viaggio non terminerà con l’ultimo paese
centroamericano, bensí Panamá rappresenterà di partenza per il secondo dei lunghi
viaggi di Otras Miradas.
Ancora non abbiamo fissato la data, dato che non ci piace limitarci con le
tempistiche, tuttavia possiamo con certezza affermare che il destino successivo
sarà il Sudamerica. Forse voleremo a Guayaquil, forse visiteremo le isole di Darwin
a caccia di foche, delfini, leoni marini e tartarughe giganti, forse ci fermeremo un
paio di mesi presso un altro ostello a Cuenca o magari ci dirigeremo dritti in Cile,
dove i nostri amici Nico, Javier, Dominique e Gonzalo ci attendono e non fanno altro
che insistere per vederci il più presto possibile.
Di certo sappiamo che la lunga e variegata terra cilena sarà solo un punto di
partenza per la prossima avventura.
Otras Miradas continuerà sulla strada, negli autobus, tra le foreste e lungo le
spiagge a trasmettere opinioni, riflessioni, visioni ed idee a tutti quelli che avranno
voglia di continuare a viaggiare assieme a noi.
Come diceva R.L. Stevenson: “Non viaggio per andare da qualche parte. Viaggio
per il gusto di viaggiare e basta!”
lun
17
jun
2013
Addio Copán
Ci ritroviamo allora a dover fare i bagagli, come i giorni anteriori alla nostra
partenza dall’Europa. Sembra strano, dopo tanto tempo dover rimettere le cose
dentro lo zaino, seguendo l’ordine che solo Tania conosce a memoria, perchè è lei
quella che si occupa di minimizzare lo spazio all’interno dei nostri due compagni di
viaggio.
Dopo un mese passato a Copán Ruinas, a camminare tra le sue strade acciotolate e
pendenti che puntualmente alle 16:00-17:00 di ogni giorno si trasformavano in
torrenti in piena. La stagione delle piogge è iniziata proprio il giorno del nostro
arrivo a Copán, ed ora che ce ne andiamo abbiamo più timore di trovarci a
viaggiare ogni giorno con il diluvio universale che cadrà sopre le nostre teste e
inzupperà i nostri vestiti.
Quanto bello era rimanere al coperto sotto la terrazza dell’ostello e guardare la
gente rifugiarsi nelle case, negli alberghi o nei ristoranti per sfuggire all’ondata di
pioggia che ogni giorno colpiva la zona.
Il nostro periodo di volontariato alla reception dell’Hostal Berakah è stato un altro
pezzo del puzzle del nostro viaggio che si è incastrato perfettamente con tutto il
resto. Avevamo voglia di fermarci per un periodo e ritrovare la tanto odiata routine
quotidiana che, ad essere sinceri un po’ ci mancava.
Così avevamo contattato un ostello ad Estelí in Nicaragua e un paio di alberghi in
Costa Rica con la speranza che ci offrissero vitto e alloggio a cambio del nostro
umile aiuto.
Le risposte hanno tardato ad arrivare e così abbiamo optato per la scelta più facile:
tornare a Copán Ruinas, dove eravamo stati un paio di giorni al nostro arrivo in
Honduras, e dare il cambio ad una coppia messicana di volontari presso l’ostello in
cui avevamo soggiornato e che ci era sembrato un posto tranquillo.
Fortunatamente la scelta si è rivelata corretta, dato che dopo pochi giorni dall’inizio
del nostro volontariato, ci sono giunte le risposte negative degli altri ostelli che
avevamo contattato.
Tuttavia l’esperienza si è rivelata più movimentata ed avventurosa di quanto
avessimo pensato e pianificato. Abbiamo dovuto far fronte ad una piccola alluvione
in casa alle 4 di mattina, c’è stata la necessità continua ogni due giorni di riempire
una vasca con l’acqua per poter poi avere la riserva necessaria per farci la doccia,
usare il bagno e lavare i piatti; c’è stata anche l’occasione di condividere la casa con
un cleptomane che continuamente si approfittava degli ospiti per poter sfilare dalle
loro tasche piccole somme di denaro o oggetti di valore.
Poi le notti passate ad ascoltare i discorsi degli ospiti mezzi ubriachi che si
fermavano a parlare giusto davanti alla porta di casa con la gente del posto, un
francese pazzo col cuore spezzato da una donna e che non sapeva se preferire le
baguettes ed il camembert alla danza ed alla musica brasiliana.
Sicuramente l’amicizia più importante e bella è stata quella stretta con Suomy; la
ragazza delle pulizie di origine Maya con la quale abbiamo avuto l’occasione di
condividere dei bellissimi pranzi, interessanti chiacchierate e indimenticabili
momenti di semplice ma sana amicizia.
Stando con lei ci siamo resi conto delle condizioni di estrema povertà in cui vive la
gente del Centro America, ci siamo resi conto di come quì, in assenza di contratti di
lavoro, la gente venga sfruttata e sottopagata, di come per loro il sogno di poter
raggiungere i nostri paesi rimanga una cosa impossibile, mentre per noi europei sia
così facile viaggiare per il mondo; di come nonostante tutto sappiano sempre
regalarti un sorriso, una tortilla fatta a mano o qualche frutto strano portato dal
loro giardino e a volte ci regalino anche qualche lacrima di felicità e tristezza per
dovergli dire addio.
Insomma un mese pieno di incontri inaspettati, di scontri ed amicizie con gli ospiti
dell’ostello, di racconti, suggerimenti, avventure e risate, ma soprattutto la
possibilità di trovarsi ad affrontare in prima persona tutte le problematiche ed i
vantaggi riguardanti la gestione di un ostello.
Ogni volta che incontriamo qualcuno lungo il cammino ci dice che il suo sogno è
quello di aprire un ostello da qualche parte nel mondo. Utopia o realtà forse anche
noi un giorno emuleremo il protagonista di “un posto nel mondo”!
mié
19
jun
2013
Derubati
Prima o poi ci doveva capitare. Ogni giorno continuavamo a meravigliarci di quanto
fortunati eravamo stati durante i nostri sei mesi e poco più di viaggio; di come
ancora non eravamo stati assaltati, derubati o minacciati, di come ancora non
avevamo perso niente di importante dai nostri zaini, ad eccetto di qualche
mutanda, un maglione e due magliette.
Tuttavia il fatidico giorno è arrivato, e per nostra tristezza, delusione e sfortuna è
venuta a mancare proprio la nostra cara e utile compagna di viaggio: la nostra
macchina fotografica.
Grazie a lei avevamo potuto regalarvi le “messe a fuoco” con le quali volevamo
mostrarvi come durante il viaggio, i nostri occhi osservavano le molteplicità di
paesaggi, colori, persone e sfumature.
Purtroppo temiamo che questo non sarà più possibile, almeno finchè non troveremo
i fondi (chissà attraverso la vendita delle nostre foto) necessari per poterci
permettere l’acquisto di una degna sostituta della nostra Nikkon D3100.
E’ stata una strana sensazione quella provata nel momento in cui abbiamo
realizzato che la nostra compagna di viaggio ci era stata portata via. Ancora di più
perchè avevamo proprio lo zaino sopra le nostre teste, e di fatto ci è stata portata
via proprio davanti ai nostri occhi.
Certo l’autobus era pieno, era mattina e un po’ eravamo addormentati, però quante
volte abbiamo appoggiato i nostri zainetti nelle rastrelliere apposite e ci eravamo
fidati dell’onestà della gente. Forse troppo, e forse probabilmente fino ad allora
c’era andato tutto fin troppo bene. Però che rabbia, giusto durante i nostri primi
giorni in Nicaragua, proprio mentre osservavamo come il nuovo paese fosse molto
più pulito ed ordinato dei precedenti, proprio mentre stavamo parlando bene delle
persone che incontravamo, di quanto gentili fossero, ecc...
Quando meno te lo aspetti, quando ti fidi e abbassi un poco la guardia perchè credi
che la gente che ti circonda sia onesta...Zac! Ti rubano le cose da sotto il naso. Che
amarezza, che delusione, che rabbia e che impotenza per aver potuto evitarlo.
Comunque le cose vanno avanti e non si tratta certo di una tragedia, abbiamo la
sorella minore che fortunatamente ci hanno lasciato nello zaino, e ancora tutti i
nostri documenti che ci permettono di proseguire con il viaggio. In questi momenti
è meglio pensare a chi è stato più sfortunato di noi, chi è stato derubato di soldi e
passaporto ed ha dovuto fare ritorno forzatamente a casa; perchè sì, anche se hai
le copie del passaporto messe da parte, l’ambasciata non può fare nulla, solo un
permesso temporaneo che ti permette unicamente di rientrare nel paese di
residenza e allora sì che le cose sarebbero andate molto peggio.
sáb
22
jun
2013
Seduti sull'Orlo del Cratere
Adagiata al centro della lunga catena de los Maribios, la città di León sorge
orgogliosa e fiera come uno centri culturali e politici del Nicaragua.
Molti la paragonano ad Antigua, certo un confronto azzardato con la ben più bella
ed elegante ex capitale del Guatemala; anche se tutto sommato entrambe
condividano una lunga storia travagliata, una posizione invidiabile tra i vulcani e il
forte contrasto tra un quartiere e l’altro immediatamente accanto.
A León si incontra gente che gira per le strade con i carretti di legno trainati dai
cavalli mentre trasportano gli ortaggi al mercato, rombanti autubus fumanti e
colorati e giovani che si muovono in skateboard o a bordo di lussuose auto da
corsa.
Le case sono basse e colorate, col solaio in legno, i tetti in lamiera zincata ricoperti
di tegole e cosa assai comune un grande patio in cui gli inquilini si riuniscono
chiacchierando e oscillando seduti su graziose sedie a dondolo artigianali.
Tuttavia la città è circondata da un’atmosfera decadente che traspare attraverso le
facciate scrostate delle sue innumerevoli chiese, gli odori pungenti del mercato, le
pozze di acqua e fango che rimangono ai lati delle strade al termine del quotidiano
acquazzone e i numerosi murales che ricordano il passato, presente e futuro
sandinista della roccaforte politica del Nord-Ovest.
Sicuramente ciò che richiama i turisti di tutto il mondo a León è il suo paesaggio
naturale.
Il simbolo del Nicaragua, la catena de los Maribios è una cordigliera vulcanica di
60Km che dal Golfo de Fonseca scende fino al lago de Managua. Cosigüina, San
Cristóbal, Telica-Rota, Pilas-El Hoyo e Momotombo sono i cinque vulcani
rappresentati sullo scudo del paese.
In compagnia di un numeroso gruppo di altri intrepidi viaggiatori ci dirigiamo a San
Jacinto, dove una piccola area di pozze di fango bollente testimonia l’attività ancora
forte della zona vulcanica; ad un paio di chilometri una centrale geotermica di
proprietà rigorosamente straniera provvede a fornire di elettricità la città.
Dopo un’abbondante camminata di un’ora attraverso pascoli e campi di fagioli dove
avvistiamo un paio di guardabarrancos, gli uccelli simbolo del Nicaragua,arriviamo
alla base del Telica. All’ombra di un’enorme mango facciamo sosta per rifocillarci,
dopodichè iniziamo l’ascesa.
Il sentiero è tranquillo e non molto ripido e solo l’umidità ed il calore ci rallentano
l’avanzata. Finalmente dopo un’ora e mezzo circa arriviamo sul bordo di uno dei
crateri collassati del vulcano; da lì possiamo ammirare in tutta la sua imponenza
l’altro dei crateri ancora fumante ed in piena attività.
Una grande e bianca nuvola di vapore acqueo misto a gas solforosi fuoriesce dalla
bocca del Telica; quì non ci sono limiti, la zona è monitorata dai vulcanologi, ma ci
si può avvicinare quanto si vuole.
Dalla forcella scendiamo allora verso valle dove ci aspetta la zona per accamparci.
Siamo circondati da un paesaggio surreale: da un lato una zona verde e rigogliosa
con palme e piante di ananas selvatiche, dall’altro una distesa di massi e rocce
vulcaniche sopra la quale la vegetazione fatica a farsi strada; sullo sfondo il cono
negro e minaccioso del vulcano.
Piantiamo le tende e verso l’imbrunire risaliamo lungo le pendici fino alla sommità;
le nuvole purtroppo coprono il sole che tramonta in lontananza sopra l’ombra del
San Cristóbal, tuttavia le luci del tramonto che filtrano tra le nubi rendono
comunque magica l’atmosfera.
Letteralmente ci sediamo sul bordo del cratere, aspettando il buio per poter vedere
la lava. Si fà notte, il fumo bianco continua a fuoriuscire impedendoci di vedere il
fondo, poi si alza un po’ di vento, l’aria si muove, il vapore si dirada e si
intravedono i canali di lava rossa a poco più di un chilometro sul fondo del Telica.
E’ una sensazione unica ed indescrivibile, pensare di stare lì in piedi ai limiti di un
cratere attivo. Ci pensi un attimo e un brivido di adrenalina ti scuote il corpo dalla
testa ai piedi.
Ecco perchè adoriamo viaggiare!!!
mar
25
jun
2013
Un'Isola da Sogno
Seduto sulla sabbia bianca non posso fare a meno di fissare quel gruppo di palme
sulla destra, mi ricordano troppo il puzzle che abbiamo a casa appeso in cucina. Per
anni avevo visto quella foto di una spiaggia paradisiaca: la sabbia bianca e fina, il
mare calmo e azzurro turchese ed un gruppo di palme protese verso l’acqua quasi a
volersi tuffare.
Mi sono sempre chiesto dov’era stata scattata quella foto, e se davvero poteva
esistere nel mondo un luogo così bello. Beh che dire? Alla fine lo abbiamo trovato!
Ci sono voluti due giorni per arrivare a Little Corn, ma ne è davvero valsa la pena.
Anche se il viaggio è stato tremendo: due ore di bus fino a Managua, poi una folle
corsa in taxi tra il traffico cittadino, un altro microbus dalla capitale verso Juigalpa e
di lì altre quattro ore sulle strade sterrate e fangose della Regione Autonoma
Atlantica Sud (RAAS) fino al porto di El Rama.
Scesi dall’autobus saltiamo dentro ad una panga che ci trasporta fino al mare nella
caotica e puzzolente cittadina di Bluefields, nel cuore della zona caraibica del
Nicaragua.
Poi il giorno seguente saliamo sul peschereccio Isleño D per uno dei viaggi più
terribili della nostra vita. Cinque ore in mare aperto con le onde a fare oscillare la
barca, la gente che vomita a destra e sinistra e noi che tentiamo di evitarlo seduti
per terra con gli occhi chiusi e con le onde a bagnarci scarpe, pantaloni e maglietta.
Pensavo di non soffrire il mal di mare, ma devo dire che questo viaggio mi ha fatto
ricredere; forse anche peggio dell’attraversata Pico-Flores di due anni fà alle
Azzorre.
Arriviamo fradici alla più grande delle isole del Mais, un’ora di attesa e poi
l’ennesimapanga per arrivare a Little Corn.
Little Corn è bellissima, probabilmente il sogno di ogni viaggiatore, e anche perchè
no di molti scrittori, pirati, sognatori e vacanzieri. E’ una isola piccola che si gira a
piedi in poco più di un’ora, abitata da mezzo migliaio di creoli che parlano garìfuna,
inglese o spagnolo a seconda del giorno e dalla voglia che hanno di farsi capire.
Non ci sono auto, la gente si sposta a piedi o in bici, o come fanno i bambini a
bordo di colorati carretti di legno spinti dai pescatori.
Il sole sorge da una parte e tramonta dall’altro lato dell’isola, le spiagge di sabbia
bianco-dorata circondano i litorali dell’isola, all’interno la vegetazione è rigogliosa
ed esplosiva: manghi, avocado, palme d’olio e da cocco, alberi del pane, banani,
ananas e papayos. Tutta la frutta esotica che possiate immaginare si può trovare a
Little Corn.
A concludere l’idillico paesaggio non può mancare una rigogliosa e ben conservata
barriera corallina, lungo la quale si infrangono le onde dell’oceano e i colorati pesci
tropicali trovano riparo.
Seduti all’ombra di un gruppo di palme assaporiamo un piccolo ma gustoso cocco
trovato lungo la spiaggia in attesa di iniziare il secondo corso di immersioni.
Eccitati per delle nuove avventure subacquee...Let’s go diving!!!
lun
01
jul
2013
Avventure Sottomarine
L’acqua torbida e marrone del Rio Escondido scivola via lungo la chiglia del
nostro Isleñoche lentamente ci sta portando indietro verso El Rama. Per alcuni
istanti sembra di stare su Apocalypse Now in compagnia del folle colonello Kurtz o
con Fitzcarraldo lungo il suo epico viaggio verso il cuore dell’Amazonas.
Siamo salpati da Big Corn alle 9 di sera, condividendo due amache e la coperta
della barca con una coppia anglospagnola, un paio di famiglie caraibiche e una
decina di marinai del vascello. Uno dei viaggi più epici e spettacolari di sempre, un
po’ tristi per aver lasciato l’isola, ma felici per aver guadagnato nuovi amici,
l’Advanced ed entusiasti per quello che ci aspetta nelle prossime settimane.
Anche questa volta le immersioni sono state spettacolari ed eccitanti; dopotutto
vedere i delfini due volte in due giorni non è una cosa comune!
La prima volta mentre eravamo sott’acqua, è stato incredibile vederli muoversi così
veloci, ombre scure che si avvicinavano a noi e che ci nuotavano attorno. Qualcuno
di loro incuriosito dalla nostra presenza si è avvicinato, ha fatto qualche giravolta e
poi se n’è andato. E’ molto bello vedere come muovono la testa e poi il loro sguardo
è così espressivo che sembrano parlarti con gli occhi così come fanno i bambini.
Una sensazione unica.
Il mondo sottomarino delle Corn Islands non è così ricco di specie come quello di
Utila, tuttavia la barriera corallina è molto ben preservata e ricca di coralli verdi e
rossi, di anemoni, di spugne e una moltitudine di ricci di mare che si annidano tra le
rocce o sotto la sabbia.
Quì si incontrano meno pesci, però di ben più grandi dimensioni; i pesci angelo
sono grandissimi e ti squadrano con i loro occhi attenti, i pesci balestra variopinti e
tra di loro riusciamo a scorgere anche un raro Queen Triggerfish. Durante
l’immersione di orientamento subacqueo con la bussola facciamo conoscenza con
un buffo ed enorme pesce istrice dotato di un solo occhio. Galleggia tranquillo
accanto ad una roccia e fortunatamente non sembra turbato dalla nostra presenza;
c’è da stare attenti a questo tipo di pesci che come il pesce palla possono gonfiarsi
assorbendo acqua diventando tre/quattro volte più grandi delle dimensioni normali
e soprattutto utilizzando i loro aculei velenosi per difendersi
L’immersione notturna rimane indimenticabile non solo per l’opportunità di vedere
astici, aragoste e polipi attivi quando cala il sole, ma soprattutto per lo spettacolo di
luci che ci regalano gli organismi marini quando si spengono le nostre torce. Tutti
assieme ci adagiamo sul fondo, spegnamo le luci e dopo pochi minuti ci troviamo
circondati da migliaia di lucette fosforescenti prodotte per effetto della
bioluminescenza degli organismi marini.
Uno spettacolo unico, soprattutto quando iniziamo, sempre a luci spente, a nuotare
tentando di distinguere i nostri profili attraverso le piccole luci biancastre.
Nonostante le nostre avventure subacquee siano per il momento terminate, ci
rimane ancora molto da vedere di questo meraviglioso e rigoglioso Nicaragua. Le
città di Granada e Masaya, la laguna de Apoyo, un paio di vulcani attivi, l’enorme
lago Cocibolca con la bellissima isola di Ometepe nel mezzo per poi finire con San
Carlos e il rio San Juán.
E poi tra poche settimane ci uniremo ai nostri amici per un memorabile viaggio
nella terra della Pura Vida!
Costa Rica, here we come!!!
vie
05
jul
2013
Una M in Mezzo al Lago
Da lontano non si può non riconoscere la peculiare forma dell’isola con le cime dei
due vulcani che si innalzano nel bel mezzo del lago Cocibolca.
Il Concepción e il Madera formano una M con i loro due picchi; quella M appunto
che si osserva stilizzata nella scritta pubblicitaria di Ometepe e che si incontra in
tutto il paese.
Arrivando con la barca da Rivas si raggiunge la piccola cittadina di Moyogalpa, ad
attenderci l’inesorabile temporale che ci ricorda che ci troviamo in piena stagione
delle piogge. Dietro alla chiesa del paese si staglia l’ombra del Concepción, il
vulcano più alto dell’isola e tra i due l’unico ad essere ancora attivo.
Normalmente lo si osseva coperto da una spessa cappa di nubi, tuttavia il sereno
dopo la tempesta ci da tempo per una decina di minuti di osservarne le pendici nere
e scoscese, interrotte qua e la da lunghi canaloni di lava più o meno recente.
L’unico autobus che gira nell’isola parte da Moyogalpa, aggira il vulcano lungo il lato
meridionale, fa tappa ad Altagracia per poi ripartire verso Sud attraversando l’istmo
di terra, sabbia e mangrovie che unisce i due vulcani.
La parte più stretta dell’isola è un’oasi di tranquillità. Davanti al nostro ostello si
estende una lunga spiaggia vulcanica che dopo qualche kilometro si tuffa nella
giungla umida e selvaggia della foresta tropicale che sorge alle pendici dei due
vulcani.
La base strategica ci permette di fare piccole uscite in giornata senza cercare cose
straordinarie, semplicemente per passeggiare, assorbire la cultura dell’isola e
godere del bel paesaggio.
Uno degli aspetti positivi di Ometepe è che è ancora poco sviluppata per il turismo.
O meglio, di turisti se ne vedono in giro ed i servizi non mancano, nonostante tutto
l’isola non è stata privata della sua autenticità ed il turista/viaggiatore non ha quella
sensazione di essere continuamente derubato o raggirato come accade spesso in
altri posti.
La parte meridionale è sicuramente la più bella; le pendici del volcán Madera
nascondono cascate e torrenti che scendono impetuosi verso le rive del lago,
mentre piccoli isolotti abitati da scimmie ragno ed urlatrici punteggiano la riva.
Mérida è la città più grande della zona, quì ci si arriva solo mediante una stradina
sterrata percorsa una volta al giorno da un povero autobus che zigzagando tra le
voragini e dimenticandosi della sospensioni, unisce il paese al resto dell’isola.
La gente è semplice, vive di pesca, alleva maiali (Ometepe ha la densità di maiali
per numero di abitanti più alta del Centro America) e i bambini si esaltano vedendo
nascere i pulcini.
L’ultimo giorno siamo costretti a partire alle 8 con il solo autobus che ci consente di
raggiungere Altagracia. Arriviamo alle 9:30 ed il ferry che ci porterà a San Carlos
non parte prima delle 9 di sera. Che fare?
Ci sediamo nella piazza centrale ad aspettare ed osservare la gente: chi vende
gelati e granatine, chi frutta o verdura e chi semplicemente come noi se ne sta
seduto tutto il giorno senza fare niente, finchè arriva la pioggia e allora tutti sotto il
chiosco del parco in cerca di riparo.
Alla fine salutiamo Ometepe in compagnia della pioggia torrenziale che ci aveva
accolto una settimana prima e che durante tutto il nostro soggiorno non ci ha mai
abbandonato.
Il sole è già scesa da un bel po’ e ci attendono ben nove ore di viaggio per
attraversare il lago. Lasciamo l’isola contenti e con i ricordi indelebili dei bellissimi
tramonti oltri il Concepción che in questi giorni ci ha regalato.
vie
12
jul
2013
Navigando Navigando
Certo non avrà i canalí, i ponti o i bellissimi palazzi di Venezia, tuttavia San Carlos
rappresenta per noi l’alternativa nicaragüense alla meravigliosa città italiana. Sarà
perchè per muoverci facciamo uso solamente delle nostre gambe e delle barche.
La cittadina è situata sulla sponda sud-orientale del lago di Nicaragua, nel punto in
cui vari fiumi confluiscono nel bacino e dal esce l’unico emissario del lago Cocibolca:
il Rio San Juan.
San Carlos è un agglomerato di case in legno, baracche dai tetti in lamiera e strade
polverose rese pantanose dalle piogge. Al contrario che in altri posti quì la gente
non si affanna per affittarti una stanza, anzi siamo noi che dobbiamo girare
tra posadas ehospedajes finchè qualche buon’anima decide di darci una piccola
stanza per la notte.
Quando mettiamo piede a terra arriviamo dope nove ore di viaggio nel ferry che ci
ha permesso di attraverare il lago durante la notte. Fortunatamente abbiamo
potuto dormire comodamente sdraiati sulle panche e all’alba ci siamo svegliati in
compagnia delle verdeggianti isole di Solentiname. Da lontano sembravano
piattaforme di alberi galleggianti; il riparo ideale per aironi, garze e centinaia di altri
uccelli di fiume.
Dopo aver trovato la stanza ritorniamo al molo per una rapida colazione a base di
caffè nicaraguense e piccole empanadas di ananas, dopodichè alle otto saliamo su
una nuovalancha diretti al Castillo.
Il viaggio lungo il fiume San Juan è meraviglioso, scorci di foresta tropicale,
verdeggianti pascoli e palafitte lungo le rive. Di uccelli se ne scorgono a centinaia:
egrette, aironi grigi, azzurri, verdi e tigrati, spatole, ibis, cormorani, qualche
cicogna e jaribù e poi martin pescatore e moltissime tartarughe di fiume.
Finalmente dopo tre ore di viaggio scorgiamo le rovine del Castillo.
Strategicamente costruito su di una collinetta situata nei pressi di una stretta ansa
in cui il fiume rallenta e dove le acque basse presentano numerose insedie, El
Castillo domina il paesaggio circostante.
Verso l’inizio del XVII secolo gil spagnoli che avevano scoperto l’ingresso fluviale al
lago del Nicaragua, avevano deciso di costruire un forte per difendere la via
d’accesso dai pirati inglesi, francesi ed olandesi che durante i decenni precedenti si
erano concessi il lusso di entrare nel lago e di saccheggiare la città di Granada.
I vascelli che entravano dall’Atlantico erano obbligati in questo punto a rallentare e
a procedere con cautela per evitare di rimanere incagliati, motivo per cui erano
facile bersaglio per i cannoni degli spagnoli che puntavano verso Est. Nonostante
tutto in varie occasioni la fortezza venne presa d’assalto e distrutta.
Ritornati a San Carlos non ci resta che passare la notte chiusi nella nostra stanza di
cinque metri quadri guardando un film e aspettando l’alba per imbarcarci verso il
Costa Rica.
Dopo aver affrontato i cavilli burocratici e la ressa per salire nella nostra barca,
finalmente iniziamo il viaggio lungo il Rio Frio. Navighiamo controcorrente circondati
da una fitta vegetazione, giganteschi alberi di ceiba fungono da riparo per le
scimmie urlatrici che ci salutano prima che abbandoniamo il Nicaragua, mentre
lungo le sponde cormorani ed aironi si dedicano alla pesca.
Presto saremo in terra Tica aspettando i nostri amici per due settimane e poi
viaggiando in loro compagnia tra i parchi naturali e le meravigliose spiagge del
paese centroamericano che molte persone identificano come il “più felice al
mondo”!
sáb
13
jul
2013
A Casa di Amici
Entriamo in Costa Rica attraverso il villaggio de Los Chiles, zona di frontiera molto
meno trafficata rispetto a Peñas Blancas lungo la costa Pacifica e molto più
scenografica.
Facciamo appena in tempo a mangiare un pollo fritto al volo e a prendere l’ultimo
autobus in partenza per San José, nel quale rimanevano solamente due posti liberi.
Almeno questa volta abbiamo avuto culo!
A Herédia, una delle quattro città del Valle Central ci aspettano Adam ed Ana,
conosciuti in Nicaragua sulla via del ritorno da Corn Island.
Notiamo subito una certa differenza con gli altri paesi centroamericani. I trasporti
sembrano più comodi, organizzati ed efficenti e la gente molto amichevole e precisa
nelle informazioni.
Per la prima volta esistono delle fermate pianificate, e non come eravamo abituati
che in ogni dove l’autobus fermava per far salire o scendere la gente. Gli autobus
statunitensi di seconda mano se ne vedono girare pochi in giro, le strade asfaltate
ai fianchi sono dotate di piccole canalette per il deflusso dell’acqua piovana. In
questo modo si evita che, dopo le piogge quotidiane le carreggiate si trasformino in
torrenti come accadeva in Honduras o Nicaragua.
Attraversiamo una zona pianeggiante in cui si estendono a perdita d’occhio le
piantagioni di ananas della Del Monte. Il Costa Rica è uno dei più grandi produttori
del continente di questo delizioso frutto.
Dopo un paio d’ore ci arrampichiamo sulle montagne, passiamo Ciudad Quesada e
Zarcero, per poi scendere nei pressi dell’aeroporto. Tra due settimane verremo quì
a prendere i nostri futuri compagni di viaggio.
I nostri amici vivono in un quartiere periferico di Herédia e ci hanno dato
appuntamento nel Walmart. Wow quanto tempo senza vedere McDonald’s, Burger
King, Pizza Hut, Walmart, ecc... appena raggiunto il Valle Central si nota subito un
certo distacco dal resto del paese e del continente. La gente è molto più alla moda
e con la pelle molto più chiara. Ci sono ragazzi che girano in skateboard, altri con
grossi auricolari alle orecchie. Insomma ci si sente un po’ come in Europa.
Adam ed Ana vivono in un piccolo appartamento ricavato nella parte superiore di
una casa tica; sono arrivati a febbraio con la idea di fermarsi un anno nel paese e
lavorare come insegnanti di inglese e spagnolo.
Adam è di Leeds, laureato in lettere e filosofia e con un master bilingue conseguito
a Valencia un paio di anni fà; Ana è invece spagnola, di Valencia appunto, laureata
in filologia inglese ha vissuto per alcuni anni in Inghilterra, poi a Bruxelles, a Parigi,
ha lavorato come hostess per poi far ritorno nella madrepatria.
Sono insieme da quasi quindici anni e senza sosta vivono la loro vita viaggiando per
il mondo.
Dicono che tra viaggiatori ci si intende a prima vista, ancor più se si è una coppia.
Sembra che tra noi e loro ci sia stata subito una forte intesa, un legame invisibile
che dal principio ci ha permesso di stringere una bella ed indimenticabile amicizia;
un filo che ha fatto si che loro non si preoccupassero per quel poco che potevano
darci e noi ci adattassimo a dormire sui materassini da campeggio per una
settimana vivendo in loro compagnia senza frigorifero e con solo una risottiera
elettrica per farsi da mangiare.
Quando si è in viaggio si impara ad apprezzare le cose semplici, ci si sente felici
osservando i tramonti o i bambini che giocano nei parchi, o semplicemente perchè
qualcuno ti ospita in casa senza conoscerti e senza giudicarti. Forse in viaggio le
amicizie sono più autentiche o semplicemente, come dicono loro: “tra viaggiatori
esiste un codice segreto, un codice muto!”
mar
23
jul
2013
Nel Valle Central
Una settimana prima che arrivino i nostri amici dall’Italia ci dedichiamo alla visita di
San José, l’unica capitale dei paesi centroamericani sufficientemente sicura e
discretamente valida da meritare un’occhiata.
Dopo molti mesi ricominciamo a far uso del Couchsurfing che in Messico ci aveva
permesso di viaggiare per mesi interi senza mai aver bisogno di ostelli e con la
possibilità di incontrare decine di persone e viaggiatori e di entrare un po’ più nel
vivo della cultura del paese.
A san José ci ospitano Cristian, Andrés e Alonso, tre ragazzi ticos che condividono
un appartamento nella periferia Nord della capitale. Andrés e Cristian hanno appena
iniziato a lavorare e anche loro stanno mettendo da parte nel loro primo anno di
lavoro un po’ di soldi per poter viaggiare e conoscere l’Europa.
Sono curiosi come lo eravamo noi, inoltre per alcuni anni hanno studiato italiano
all’università e così ci concedono il lusso di lasciare da parte lo spagnolo per
qualche ora e lanciarci in avventurose e lunghe discussioni in italiano.
E’ divertente passare il tempo con loro, di sera ci facciamo delle belle cene a base di
pasta e sughi vari e lunghe chiacchierate sul loro e sui nostri paesi. Proprio quello
che ci mancava da tempo.
All’interno del Centro America il Costa Rica rappresenta un caso particolare. Da
sempre è stato un paese pacifico, ha eliminato l’esercito all’inizio del ‘900 e si è
principalmente dedicato alle esportazioni per far crescere il PIL del paese. Prima con
il boom del caffè, poi le banane e gli ananas, la carne bovina e suina, infine con la
produzione di apparecchiature e sistemi elettronici (Intel avviò all’inizio degli anni
’90 la produzione dei primi processori Pentium proprio nel paese centroamericano).
Tuttavia negli ultimi anni la maggiore risorsa economica del paese è il turismo, e
con i capitali stranieri e le orde di turisti americani ed europei a coprire in pratica
tutte le stagioni dell’anno, sono cambiati anche gli usi ed i costumi.
Nella capitale o nelle altre tre città del Valle Central (Herédia, Alajuela e Cartago)
non è difficile imbattersi in ragazzini che escono da scuola con lo skateboard sotto
braccio, o altri ballare al ritmo della breakdance americana nel centro delle piazze
dei paesi, mentre sullo sfondo i vecchi pellegrini si recano fedeli alle messe del
weekend.
Dopo alcuni giorni all’interno della giungla cittadina districandoci tra McDonald’s,
KFC e altre meno note catene di fast food, decidiamo di prenderci una pausa e di
andare alla scoperta della vera giungla costaricense.
Armati di zaino, tenda da campeggio, sacchi a pelo, fornello a gas e scorte di cibo
per tre giorni, ritorniamo sulla strada con la bussola puntata verso Nord-Ovest,
direzione Santa Rosa.
Il parco nazionale Santa Rosa è una delle zone più grandi del Pacifico dedicate alla
protezione del bosco secco tropicale e l’unico parco in Costa Rica di questo tipo.
Scesi dall’autobus all’incrocio che porta verso l’entrata del parco ci incamminiamo
lungo gli 8 Km che attraversano la foresta e ci conducono nella zona in cui
accampiamo. E’ mezzogiorno ed il sole non perdona, fortunatamente la fitta
boscaglia ci protegge dai raggi solari e dopo meno di due ore arriviamo a
destinazione.
Ci troviamo di fronte una bella spianta con bagni, docce, lavabi e persino un’area
coperta con tavole da picnic; rimaniamo meravigliati ed estasiati. C’è persino
l’acqua potabile!!!
Prima di andare a dormire ci fanno visita un gruppo di agouti grandi roditori simili a
scoiattoli che si cibano dei frutti del Guanacaste, l’albero nazionle del paese che da
il nome anche alla regione in cui ci troviamo.
La notte passa tranquilla e anche se al mattino ci svegliamo con la pioggia la nostra
colazione è allietata dalla visita di un gruppo di scimmie ragno che saltano da un
albero all’altro in cerca della frutta giusta. Ben presto il temporale lascia spazio a
qualche spiraglio di sole, così ci dedichiamo alla classica camminata giornaliera
verso la spiaggia. Lungo il cammino incontriamo tartarughe di fiume, falchi,
parrocchetti e con nostra grande sorpresa al nostro ritorno anche una famiglia di
cervi. Gli animali simbolo del bosco secco tropicale!
L’indomani giunge così l’ora del nostro ritorno alla civiltà, salutiamo il campeggio
facendo colazione in compagnia di un paio di iguane dei soliti agouti che tutte le
mattine ci hanno fatto visita.
Riprendiamo la marcia verso la strada principale, tra qualche giorno arrivano i
ragazzi e allora si che ci lanceremo alla vera scoperta delle meraviglie naturali del
Costa Rica.
dom
28
jul
2013
Dai Vulcani ai Caraibi
Dopo quasi otto mesi di viaggio e di lontananza dai nostri amici, ritorniamo
finalmente a incontrarci pronti per partire in quello che sarà un indimenticabile
viaggio alla scoperta del paese centroamericano.
E’ sabato, ed i nostri amici sono partiti ormai da sei ore per un lunghissimo viaggio
che li porterà a far scalo a New York, per poi raggiungere San José. La giornata
inizia tranquilla, facciamo colazione in compagnia dei nostri amici Cristian ed
Andrés, dopodichè impacchettiamo gli zaini, li ringraziamo per l’ospitalità ed il
divertimento datoci durante la settimana e ci avviamo verso il cuore della capitale.
I ragazzi arrivano questa sera e abbiamo un paio di cose da sistemare con l’auto a
noleggio e l’ostello presso cui passeremo la notte.
Siamo eccitati e contenti per l’arrivo dei nostri quattro amici, mentre Tania prepara
la cena, riguardo i dettagli del viaggio che sebbene abbia una linea guida dovrà
soffrire una decina di modifiche come sempre accade durante i viaggi on the road.
L’aeroporto di San José è molto piccolo e una folla numerosa di taxisti, tour
operator e turisti vari si accalca all’uscita aspettando che arrivi la gente. Aspettiamo
impazzienti e poi finalmente li vediamo uscire dal tunnel, come dei calciatori che
escono dagli spogliatoi, stremati ma con il sorriso e gli zaini in spalla come alla fine
di un match vittorioso. Sono loro: il Capitano ed il fratello viaggiatore, il Moro e
Zonca.
Ci abbracciamo ed iniziamo a ridere come se fossero passati pochi giorni dalla
nostra partenza.
All’indomani inizia la nostra avventura a bordo del Montero che caricato
all’impossibile si arrampica sulle pendici del Volcán Póas. Il parco nazionale creato
attorno al vulcano è abbastanza piccolo ed uno dei più visitati; ci troviamo sulla
cima circondati da turisti ansiosi di puntare le loro punta e scatta verso il cratere
attivo del vulcano.
Siamo fortunati, la giornata è bella e non ci sono nuvole a coprirci la vista, ma
soprattutto siamo in compagnia dei nostri amici. Abbiamo un sacco di cose da
raccontare e il tempo vola in loro compagnia. Ci dirigiamo al secondo cratere
attraversando un piacevole sentiero ricco di felci e bromeliacee, dopodichè
ritorniamo verso l’auto.
Ci aspetta la missione Póas-Caraibi.
Lungo la strada ci fermiamo a pranzare il primo dei tanti casados che ci
accompagneranno in questi giorni. Attraversiamo la catena vulcanica centrale,
passando tra la immensa foresta pluviale del parco Braulio Carrillo dove ci siamo
sorpresi da un forte acquazzone, dopodiché iniziamo a scendere verso le afose
pianure della costa atlantica.
In pochi kilometri il paesaggio cambia radicalmente lasciando spazio ad infinite
distese di banane ed ananas, un po’ alla volta entriamo nell’impero di Dole, Chiquita
e Del Monte. Ce ne accorgiamo quando arriviamo a Puerto Limón, il porto
sull’Atlantico più grande del paese. Sullo sfondo decine di navi cariche con
container-frigo pronte a salpare verso l’Europa o gli Stati Uniti con il loro carico di
frutta tropicale.
Ancora una cinquantina di kilometri ci separano dalla nostra meta finale:
Manzanillo.
Sfortunatamente nei giorni seguenti la fortuna non è dalla nostra. Piove
continuamente, il cielo è grigio ed il mare mosso non ci permette di ammirare la
piccola barriera corallina situata a pochi metri dalla spiaggia. Nonostante tutto non
ci diamo pervinti e ci gettiamo in acqua anche sotto il diluvio.
Appena smette ci concediamo una lunga passeggiata lungo i litorali selvaggi di
questo bellissimo tratto di costa, mentre al ritorno ci dissetiamo aprendo qualche
cocco a colpi di machete. L’idea era quella di rimanere qualche giorno in più per
poter godere delle onde e dei fondali marini di questo tratto di costa sudorientale,
ma visto il clima decidiamo di spostarci più verso Nord.
In fondo la bellezza di questo tipo di viaggio sta anche nell’essere flessibili e
sicuramente il fatto di avere un mezzo proprio lascia una libertà senza paragoni.
Eccoci dunque diretti verso il Parque Nacional del Tortuguero, definito da molti
come l’Amazonia del Centroamerica. Ci sia arriva solo in barca e solo con essa si ha
la possibilità di muoversi poi tra gli intricati labirinti di mangrovie. Tortuguero è un
piccolo villaggio con un centinaio di abitanti situato nella costa nordorientale del
Costa Rica, la ragione per cui è stato creato quì il parco nazionale è principalmente
legata alla protezione dei luoghi di nidificazione delle tartarughe marine, che quì
trovano una delle aree protette più vaste del Centro e Sudamerica per quanto
riguarda la costa atlantica.
Passiamo la notte in un paio delle molteplici cabañas che la gente del villaggio
mette a disposizione dei turisti e al mattino ci attende ancora la pioggia al nostro
risveglio. Sembra proprio che non voglia lasciarci in pace in questi giorni. Dopo un
paio di tentativi riusciamo finalmente ad uscire a bordo di una canoa alla scoperta
dei bellissimi canali del parco.
Dall’acqua gli alberi sono immensi e la vegetazione è così fitta che ci sembra
navigare chiusi tra due muri verdi. Sopra la volta della foresta una moltitudine di
uccelli si sposta in cerca dei flebili raggi di sole che escono allo scoperto tra le coltri
di nubi grigie. Osserviamo parrocchetti, aironi e garze di ogni tipo, le anhinga e i
cormorani si appoggiano alle cime degli alberi ed aprono le loro ali per asciugarle
mentre qualche farfalla morpho vola al nostro fianco mostrandoci il gioco di colori
azzurro-giallo delle sue ali.
Tucani solfarati e di Swainson sorvolano le nostre teste sempre viaggiando in
coppia mentre tra le acque basse dei canali riusciamo a scorgere un paio di caimani
mimetizzati ed immobili tra la umida vegetazione.
Ma è durante la notte che ci aspetta il nostro incontro più sorprendente;
accompagnati dalle guida che pattugliano la spiaggia di notte, veniamo condotti a
tu per tu con una gigantesca tartaruga verde nell’atto di deporre le uova. Mi
immaginavo qualcosa di grande, un po’ come quelle che avevamo visto facendo le
immersioni ad Utila o Little Corn, ma davvero questo rettile non ha niente a che
vedere con le precedenti.
Il carapace sarà lungo almeno 1,20-1,30m e le dimensioni della testa e delle pinne
sono impressionanti. Le tartarughe verdi sono le seconde più grandi al mondo tra
quelle marine, superate solo dalle tartarughe liute che superano i 2m di lunghezza e
la mezza tonnellata di peso.
Quando questi enormi rettili scavano il loro nido creano un’autentica voragine sulla
sabbia, depongono una centinaio o poco più di uova durante una mezzora,
dopodiché iniziamo a coprire il nido e poi a cammuffarlo muovendo le pinne
posteriori ed anteriore in modo alternato in quella che sembra una danza. Infine
ritornano goffe e lente verso il mare, e finalmente una volta dentro l’acqua possono
dar libero sfogo alle loro incredibili capacità natatorie.
Osservare gli animali muoversi liberi all’interno del loro ambiente naturale da una
sensazione di adrenalina e serenità indescrivibili, come se per un momento ci
potessimo trasformare in qualcuno di loro.
vie
02
ago
2013
Ritorno sulla Cordillera
Lasciatoci alle spalle le pianure e le foreste umide ed afose dei Caraibi, ci
arrampichiamo nuovamente sulla catena vulcanica centrale del paese.
Il Costa Rica presenta tre catene vulcaniche che lo attraversano lungo la direzione
Nord-Ovest, Sud-Est. Nell’ordine troviamo la Cordillera de Guanacaste, Cordillera
Central elaCordillera de Talamanca. Il vulcano Arenal è situato proprio nel punto di
unione tra la catena del Guanacaste e quella Centrale.
Durante l’ultimo decennio è stato uno dei vulcani più attivi del Centroamerica;
risvegliatosi nel 1968 a seguito di una grande esplosione, seguì la sua attività
vulcanica fino alla fine degli anni ’90. Molte persone approfittarono per costruire
attorno al vulcano le numerose piscine termali che oggi sono un punto di
riferimento per il turismo di lusso della zona.
Oggi il vulcano ha cessato la sua attività e sebbene continui a rappresentare un
punto di riferimento per tutti i backpackers dell’america centrale, chi viene quì in
cerca di lava ed esplosioni notturne spettacolari, beh rimane abbastanza deluso.
La zona è comunque composta da bellissimi tratti di foresta nebulare e dalla
presenza di altri vulcani e da una paio di parchi nazionali.
Quando arriviamo a La Fortuna ad attenderci c’è ovviamente la pioggia e le nuvole
basse che si concentrano attorno all’Arenal ci impediscono di ammirarne il cono
perfetto. Ci ricorda un poco il volcán Concepción sull’isola di Ometepe in Nicaragua,
con la differenza che quì fa un po’ più freddo e che ad attenderci appena appoggiati
gli zaini nell’ostello, c’è un bellissimo esemplare di bradipo tridattile che scende da
un albero.
I bradipi sono animali bizzarri, si dice siano parenti alla lontana dei formichieri, solo
che per qualche strano motivi preferiscono vivere la loro vita negli alberi e dormire
qualcosa come 20 ore al giorno. In realtà la ragione di tanto sonno è legata al loro
metabolismo; principalmente i bradipi si nutrono di foglie e frutta, in particolare
vanno ghiotti della frutta del guarumo un albero nativo del centroamerica dalle
foglie simili al nostro ippocastano.
I frutti di questo albero sono difficili da digerire, ragione per cui questi animali
passano la maggior parte del loro tempo appesi ai rami durante il processo di
digestione. Sebbene sembrano animali estremamente goffi e lenti se confrontati
con le scimmie ragno o i cebi capuccini, in realtà si muovono con agilità. Sembra un
po’ come osservare una moviola calcistica, con i movimenti di gambe e bracce
precisi e misurati, sebbene lentissimi.
Altra cosa curiosa dei bradipi è che scendono dall’albero dove vivono una volta sola
al mese, e lo fanno per una ragione ben precisa: defecare! Sono animali
incredibilmente buffi e simpatici a cui ti affezzioni a prima vista, un po’ come i koala
o gli opossum credo...anche se non ho visto nessuno dei due finora.
Lasciato in pace il nostro amico peloso continuiamo la rotta verso il vulcano Tenorio
situato ad una cinquantina di kilometri verso Nord-Ovest. Il Tenorio è famoso per la
sua foresta nebulare che nasconde tra la nebbia e la pioggia un paio di bellissimi
torrenti dalle acque color turchesi.
La camminata non è lunga ma resa difficile dalla pioggia e dal terreno fangoso;
inizialmente ci offrono degli stivali di gomma, ma fieri delle nostre scarpe da
montagna rifiutiamo ed intraprendiamo il percorso nella foresta. Ben presto ci
troviamo a fare i salti mortali tra le radici degli alberi ed i sassi scivolosi nel
tentativo di non affondare nel fango fino alle caviglie.
Aggrappandoci ai rami e guadando i torrenti sopra i tronchi arriviamo infine ad una
radura in cui i due torrenti principali il rio Tinto ed il rio Sucio si incontrano per dar
luogo a quello che diviene il rio Celeste. Lo strano mix delle acque colorate dai
minerali vulcanici dei due corsi d’acqua creano un fiume color turchese che scivola
lento tra la vegetazione accesa della foresta.
Tornati indietro di qualche kilometro scendiamo lungo una quebrada richiamati dal
rumore assordante di una cascata; si tratta nuovamente del rio Celeste che da una
decina di metri si tuffa in una pozza di colore bianco-azzurro per poi proseguire il
suo viaggio verso valle tra massi e tronchi.
Raggiunta l’auto non resta che toglierci le scarpe e lavarci per bene le gambe.
Probabilmente non la migliore camminata di sempre, sicuramente una delle più
divertenti.
lun
05
ago
2013
Finalmente Sole in Guanacaste
La penisola di Nicoya è una delle zone più secche del Costa Rica e ci consente per
una settimana di sfuggire alle piogge torrenziali che investono il paese durante
questo periodo.
La prima tappa è Montezuma, un piccolo villaggio situato sulla punta sudoccidentale
della penisola; si tratta di una zona molto tranquilla, famosa per il surf ed i tramonti
che accendono il cielo. In giro si trovano molti italiani in vacanza e molti altri
europei.
Ad una decina di kilometri da Montezuma si trova la Reserva Absoluta Cabo
Blanco il primo parco nazionale istituito in Costa Rica; si tratta di una zona
veramente selvaggia e che pochi viaggiatori raggiungono.
Lasciamo l’auto nel piccolo parcheggio infangato all’ingresso del parco ed entriamo
nel sentiero che in poco più di quattro kilometri ci conduce verso la spiaggia dalla
quale è possibile ammirare lo scoglio che da il nome alla riserva: Cabo Blanco
appunto!
Il percorso è molto simile a quello affrontato nel parco del vulcano Tenorio, un sali
e scendi scivoloso con alcuni torrenti da guadare. Quello che impressiona di più
tuttavia è la vegetazione, meno rigogliosa di quella della foresta nebulare, sebbene
ben più impressionante. Siamo circondati da una foresta pluviale tropicale con
alberi che superano sicuramente i 50-60m di altezza.
Procediamo lentamente fermandoci a fare qualche foto di quando in quando e
dedicandoci all’osservazione degli animali. Un gruppo di scimmie urlatrici fa sentire
la loro presenza quando ci avviciniamo, mentre quando quasi ormai siamo giunti
alla spiaggia il nostro cammino si incontra con quello di un formichiere. Ci fermiamo
e lui non sembra accorgersi della nostra presenza, prosegue lungo il suo tragitto,
attraversa il sentiero e poi si tuffa alla disperata ricerca di formiche e termiti tra i
numerosi tronchi degli alberi caduti nella foresta.
Una volta raggiunta la spiaggia ci concediamo un bagno rinfrescante e mangiamo
un paio di banane circondati da iguane e paguri che si nascondono tra la sabbia
trasportando la loro conchiglia di protezione.
Sulla via del ritorno invece incrociamo un lungo serpente che spaventato dal nostro
arrivo si allontana, mentre una grossa famiglia di pizotes ci fa compagna per un po’
seguendoci lungo il sentiero.
Il nostro soggiorno a Montezuma prosegue il giorno seguente con i nostri amici che
si dedicano ad una mattinata di surf in cui tentano ripetutamente di mettersi in
piedi sulle tavole, e c’è anche chi per alcuni secondi ci riesce. Dopodiché ci
dirigiamo verso Mal País, un altro piccolo villaggio che condivide con Santa Teresa
una delle più belle spiagge del paese.
Da quì il tramonto è incredibile, dai colori accesi ed indimenticabile.
Dall’estremo Sud raggiungiamo seguendo un percorso antiorario Tamarindo, altra
cittadina turistica e famosa per la presenza di numerose scuole di surf e di ostelli.
Molti ce l’hanno descritta come una piccola San Diego del Costa Rica, motivo per cui
le nostre aspettative non sono delle migliori. Tuttavia devo dire con sincerità che,
sebbene aspettandomi il peggio, non trovo cosi male questo paesino sulla costa,
ossia né meglio né peggio che tanti altri luoghi del Messico o del Nicaragua.
Ad una sessantina di kilometri al Sud di Tamarindo si trova una delle spiagge più
interessanti del paese per quanto riguarda la nidificazione delle tartarughe olivacee,
che in Costa Rica prendono il nome di loras per la forma del loro becco simile a
quello di un pappagallo.
Nel Refugio de Vida Silvestre Ostional, situato una sessantina di kilometri al Sud di
Tamarindo, si verifica ogni mese un fenomeno naturale incredibile: la arribada.
Centinaio di migliaia di tartarughe olivacee arrivano in massa nella nera spiaggia
vulcanica per depositare le loro uova. Noi siamo un po’ sfortunati perchè proprio 3
giorni prima del nostro arrivo c’è stata la arribada di Agosto, tuttavia abbiamo
comunque la opportunità di osservare circa una decina di tarturughe mentre escono
dall’acqua e risalgono la spiaggia in cerca di un posto dove nidificare.
Durante la salita lasciano sulla sabbia lunghe strisce nere che sono facili da
individuare anche di notte senza l’ausilio della luce. Ne incontriamo una in buono
stato eci accingiamo a seguirla senza disturbarla. La nostra compagna risale per
una trentina di metri la spiaggia ed inizia a scavare il nido con le pinne posteriori.
Dopodichè una volta scavato il buco del diametro di una 20 di centimetri e fondo
40-45cm inizia a deporre le uova. Sono bianche e dalla forma tondeggiande, della
dimensione di una pallina da ping-pong. In poco tempo depone poco più di un
centinaio di uova ed inizia a coprire il nido sempre utilizzando le pinne posteriori ed
avvalendosi del peso del corpo per compattare la sabbia e cammuffare il nido.
Dopo circa una mezzora il processo è terminato, la tartaruga si gira e spingendosi
con le quattro pinne si dirige goffamente verso il mare, guidata dalla spuma bianca
delle onde. Finalmente raggiunge l’acqua, dove decisamente si sente più sicura e a
suo agio.
La notte è terminata ed è ora di prendere il largo verso il mare aperto dove ci sarà
modo di riposare ed alimentarsi per un altro mese prima di far ritorno alla stessa
spiaggia e deporre altre uova.
Uno spettacolo notturno indimenticabile!