Il Lento Errare tra Due Oceani
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Il Lento Errare tra Due Oceani
La storia del nostro primo Vagabonding in Centro America raccontata giorno dopo giorno: sensazioni, idee, emozioni, aneddoti ed avventure vissute con Otras Miradas mar 11 dic 2012 Cancún - Inizio di un'Avventura Eccoci qui! Finalmente ad iniziare il viaggio che per tanto tempo abbiamo sognato e a cui abbiamo dedicato molti sacrifici. Dovendo usare un aggettivo per descrivere questo inizio potrei usare usare la parola "imprevedibile". Nessuno infatti poteva immaginare tutto quello che ci è successo in questi giorni; sappiamo che fa parte del gioco, e noi ci siamo messi a giocare molto bene! Iniziamo per esempio dal nostro percorso che ci ha condotto a Francoforte, città dalla quale era prevista la nostra partenza il giorno 9/12. Arrivati a Bruxelles venerdi nel tardo pomeriggio senza grossi problemi, passiamo a salutare la nostra carissima amica Alessandra, ovviamente cena a base di frittes e birra. Poi ci troviamo anche con Enrico con una breve e intensa chiacchierata prima di salutarci e metterci a letto in uno dei tanti divani che ci accoglieranno nei prossimi mesi!All'indomani la partenza da Midi è prevista alle 10:30, ma come ben sappiamo dai trasporti belgi ci si può aspettare di tutto, e cosi è. Treno cancellato, sicchè aspettiamo 4 ore in stazione per il successivo, il quale non parte più da Midi, ma da Gare du Nord, notizia che ci viene data 10' prima della partenza con conseguente corsa in metropolitana per arrivare dall'altra parte della città e prendere il maledetto treno che ci porta a Colonia. Arrivati nella città tedesca un fiume di gente invade la ferrovia, compriamo un biglietto verso Koblenz, in cui poi cambiamo treno per arrivare a Mainz da cui con la S-Bahn raggiungiamo direttamente l'aeroporto di Francoforte verso le 9:30. Qui troviamo un posto dove dormire e ci corichiamo per la notte. All'indomani si fa la fila per il check-in, poi il controllo passaporti e si arriva al gate, nel frattempo inizia a nevicare forte, i voli subiscono i primi ritardi, tuttavia veniamo imbarcati e fatti salire nell'aereo. Il capitano ci informa che siamo in attesa dei mezzi per sghiacciare le ali, la parte più delicata durante il decollo. La neve aumenta di intensità e nonostante l'enorme sforzo degli operatori l'aeroporto è troppo grande per soddisfare tutti sicchè siamo costretti a rimanere a terra, trasportati in un hotel, ci viene offerta la cena e andiamo a dormire. Alle 4 suona la sveglia, scendiamo, facciamo colazione e poi di nuovo all'aeroporto per il secondo tentativo. Di nuovo siamo costretti ad attendere due ore in più del previsto per problemi ai servizi igenici dell'aereo, poi però finalmente alle 9:00 saliamo in cielo verso ovest. Dopo 12 ore di vole l'atterraggio nella città messicana; ad attenderci un clima caldo e afoso, 30ºC e 90% di umidità. La cantilena della parlata dei messicani ci mette però subito di buonumore e a nostro agio, e ancora più contenti siamo dopo che ci viene accordato un permesso turistico di 180 giorni. Niente male davvero!I nostri contatti in città sono Marcos ed Elizabeth, una coppia spagnola che ospitammo al principio di settembre mentre erano in viaggio in Europa, e che adesso hanno voglia di contracambiare il favore. Sebbene non possediamo nè telefono nè indirizzo, troviamo un internet point e ci mettiamo in contatto con Marcos che ci dice di raggiungerlo a Playa del Carmen dove lavora. Altro autobus e via verso la famosa cittadina lungo la Riviera Maya. Marcos viene a prenderci alla stazione e ci porta a cenare con i suoi colleghi, con i quali subito ci sentiamo in grande sintonia. Di fatto nonostante le ore di sonno ritardate accogliamo con gioia l'invito e tra una birra e l'altra, un po' di guacamole e seviche e qualche tacos qua e là, ci facciamo anche due tuffi in piscina. Poi tutti a casa a dormire. Marcos ed Elizabeth sono cosi gentili da offrirci la loro camera e dormire loro nel divano letto in un'altra stanza.Magia del Couchsurfing e della bontà dell'essere umano. Martedi mattina sveglia presto. Non dobbiamo andare a lavorare, però fuori per nostra grande fortuna sta diluviando. Fulmini e saette ci svegliano di buonora, e dato che i nostri amici non devono andare a lavorare questa mattina ci sediamo a tavola a fare colazione con comodo e a chiacchierare, anche per iniziare a pensare cosa fare nei prossimi giorni. Marcos ed Elizabeth sono contenti per il nostro viaggio che andremo a fare e ci riempiono di informazioni e consigli sui posti da visitare qui nella penisola dello Yucatan. Poi pranziamo e insieme andiamo verso il centro di Cancún. Loro due prendono il bus per andare al lavoro e noi due invece quello che ci porta verso la Zona Hotelera. Non abbiamo intenzione di fare i turisti, ma solo di vedere come la mano dell'uomo è riuscita in poco tempo a rovinare l'incontaminato paesaggio della punta dello Yucatán. Cancún è una città strana; relativamente recente iniziò ad espandersi circa 30 anni fà, quando i primi impresari americani iniziarono a costruire hotel fuori città, in un lembo di terra stretto e lungo nel quale trasportarono la bianca sabbia dei Caraibi dalla vicina Isla Mujeres e iniziarono con la loro opera di edificazione. Poi ovviamente tutti gli altri come pecore hanno seguito il buon esempio fino ad arrivare alla situazione attuale. Hotel all inclusive nei quali i turisti si rinchiudono per una quindicina di giorni mangiando e bevendo e magari senza nemmeno approfittare del bellissimo mare perchè preferiscono fare il bagno nell'acqua profumata di cloro della piscina a loro più amica. Anche in una giornata così brutta e nuvolosa come quella di oggi il mare è davvero bellissimo. Dico il mare, perchè tutto il resto è da dimenticare. A volte mi domando cosa spinga queste persone a fare centinaia di migliaia di km e ore di volo per potersene stare in piscina...mah??!! La pioggia ricomincia a cadere incessante e noi prendiamo l'autobus che ci riporta verso il centro, facciamo la spesa (i nostri amici non sono a casa stasera, però ci hanno lasciato le chiavi e cosi mangiamo in casa tranquilli). Lungo il tragitto verso casa scene bellissime. L'autista guida con le porte aperte dato che l'afa impedisce a tutti di respirare, piove a dirotto e le strade sono mezze inondate; non ci sono fermate fisse, basta alzare la mano lungo la strada e l'autobus si ferma, monti, lasci una manciata di monetine per il biglietto e poi ti ritrovi a viaggiare in compagnia di musicisti, di pagliacci e venditori ambulanti che salgono e scendono dal mezzo come se fossero su di un palcoscenico. Siamo gli unici bianchi, la gente è gentile, chiedi e ti informano, non chiedi e ti domandano dove stai andando e se hai bisogno di una mano. Non ci sentiamo a casa, siamo pur sempre dei viaggiatori per cui la nostra casa è dappertutto e da nessuna parte, ci sentiamo però bene e a nostro agio, e questo è forsa l'unica cosa che conta per l'avventura che abbiamo appena iniziato ad intraprendere!!! jue 13 dic 2012 Pioggia a Isla Mujeres Rapidamente il catamarano scivola nell'acqua azzurra e trasparente dei 5km che separano Isla Mujeres dalla costa dello stato di Quintana Roo. Il viaggio è animato dalla musica caraibica che sempre ci accompagnia in questi primi giorni di viaggio, la cosa incredibile è che qui entri in qualsiasi posto è c'è un po' di musica; a volte reggaeton, altre volte salsa, merengue o bachata altre volte una classica rancherita messicana. Entri in un negozio di vestiti e c'è musica, ti fermi a mangiare due tacos al volo per strada è c'è musica, sali nell'autobus e l'autista è li che ti aspetta con il suo cd favorito, abbassa il volume, paghi, gli chiedi informazioni su dove devi scendere, e lui ti dice: "tranquillo ti dico io quando scendere", vai a sederti dietro, lui pigia sull'acelleratore e alza il volume. Arrivati a Isla Mujeres si respira subito un'aria diversa. Qui sembra di essere su un'isola caraibica; anche se non ci sono mai stato cosi mi immagino Cuba o la Repubblica Domenicana. Non ci sono auto, se non pochi taxi, la gente si muove in motorino o con le golf-car che ovviamente noleggiano in ogni angolo. Attracchiamo nella parte nord (Punta Norte) e subito siamo invasi da abili procacciatori d'affari che in ogni dove ti offrono il loro tour attorno all'isola. Noi però siamo abili a divincolarci e ci dirigiamo verso la spiaggia. La sabbia fina e bianca scricchiola sotto i nostri piedi, che quasi hanno timore a calpestare una superficie così incredibilmente pulita. Il riflesso del sole fa in modo che i granelli di sabbia diventino ancora più scintillanti, sembra di camminare sulla neve; l'acqua è trasparente, si vedono i pesci nuotare sotto a pochi metri di distanza dalla riva, e la superficie del mare increspata dalle onde ha un colore che mai ho visto nei nostri mari europei. Attorno all'isola è come se esistesse un'enorme piscina; solo che l'acqua non puzza di cloro e non è obbligatorio indossare la cuffia per fare il bagno. La bellezza naturale del luogo tuttavia è un po' rovinata dall'invasione dei turisti americani ed europei che, orgogliosi di mostrare tutto il loro benessere economico se ne stanno sdraiati sotto ombrelloni dalle foglie di palme a tracanare fiumi di birra o bicchieri di mojito. Per loro la festa si concentra nei 50m che separano il resort presso il quale sono alloggiati e la spiaggia davanti a loro. Fortunatamente la pioggia arriva puntuale a rovinare i loro nobili piani. Noialtri invece indossiamo le mantelle antipioggia, copriamo bene gli zaini e ci incamminiamo per esplorare l'interno dell'isola. Le gocce cadono pesanti sopra le nostre teste, poco a poco le strade iniziano ad inondarsi e gli scarsi sistemi di scolo fanno si che in ogni angolo si formino pozzanghere sopra le quali sfrecciano allegri i ragazzi con i loro scooter, attenti a non bagnare noi poveri sfortunati che camminiamo al lato della strada. Il paesaggio cambia rapidamente; hotel e resort lasciano il posto alle modeste case degli abitanti dell'isola, le spiagge scompaiono per lasciare spazio ad una verde e lussureggiante laguna abitata da uccelli di ogni tipo. Decidiamo di ripararci dalla pioggia facendo una pausa per rifocillarci. Finiamo in quello che sembra un garage, al cui interno una coppia di ragazzi della nostra età preparano tacos con pollo, guacamole, chicharrones e salsa piccante. Entriamo facendoci largo a fatica tra i tavolini e le sedie completamente vuote. Ordiniamo una prima porzione, poi una seconda, poi altri chicharrones. Deliziosi. Parliamo con i ragazzi. Non sono dell'isola. Vengono da Veracruz, una città grande situata nella costa centrale del Messico. Chiediamo come sia vivere qui. Sono un po' timidi e ci rispondono con un semplice: "La vita è molto tranquilla quì". Forse sono più sorpresi loro di trovarci qui che noi di stare in questo posto. Chiediamo il conto. Il ragazzo tira fuori un quaderno spiegazzato, estrae la penna e scrive quattro numeri, fa la somma e ci dice "48 pesos", ovvero 3€!!! Paghiamo. Ci sorride e ce ne andiamo. Finalmente smette di piovere ed esce il sole. A quest'ora i bambini escono da scuola, scendono in strada ed iniziano a giocare. Non ci sono mamme coi SUV ad aspettarli nel parcheggio fuori dalla scuola; alcune sono in bici che li aspettano, altre vanno a prenderli a piedi e li accompagnano a casa o a giocare nel parco adiacente. Il centro del paese è addobbato con alberi di natale e festoni natalizi, ma oggi è un giorno importante. Oggi 12 Dicembre è il giorno della santa patrona del Messico: la Virgen de Guadalupe. Dopo poche ore suonano le campane, i genitori accompagnano i bambini vestiti con le colorate stoffe tipiche degli antichi maya alla cerimonia che sta per iniziare nella cappella locale. Le donne più vecchie invece si raccolgono in casa, con la famiglia, attorno alla tavola imbandita o davanti ad una piccola statua della vergine che qui è presente in ogni casa. Le case sono aperte, dalle porte o dalle finestre intravediamo amache appese all'interno dei soggiorni. La gente sdraiata mentre guarda una telenovela sorseggiando succo d'arancia, di mango, di papaya. La vita scorre tranquilla in questa sottile striscia di sabbia che galleggia nelle calde acque del Mar dei Caraibi. Alcuni ci guardano divertiti, altri ci salutano. Incroci la gente camminando e ti rivolgono un sorriso, un "hola" o semplicemente si fanno da parte per farti passare. Noi proseguiamo il nostro giro, lentamente il sole scende e scompare dietro i mostruosi hotel di Cancún. Facciamo ritorno all'area d'imbarco. Saliamo a bordo e ritorniamo verso la terra ferma. Facciamo ritorno al Vecchio Mondo! dom 16 dic 2012 Tulum - Città Murata Oggi è domenica, e a noi non sembra proprio. E' un giorno festivo, ma per noi è solo un giorno in più nel nostro lungo viaggio.Dopo la giornata di ieri passata tra il letto, il dottore e la farmacia, possiamo finalmente uscire dal nostro comodo ostello multiculturale e andare alla scoperta delle rovine di Tulum. Per la prima volta entreremo in un sito archeologico Maya e siamo un po' emozionati. Come di consueto l'autobus scricchiola sotto il rumore delle sospensioni arrugginite e le numerose buche della strada che dal pueblo porta alle rovine. Dai finestrini si intravedono scorci di mare tra le fronde degli alberi; la strada sembra un'oscura galleria dalle pareti fatte di fronde di palme, felci e altri alberi strani. Di quando in quando un cane attraversa la strada in cerca di un compagno. L'autobus si ferma, fa manovra e si prepara a tornare indietro. E' il capolinea ma non vediamo niente davanti a noi; increduli assieme agli altri turisti scendiamo e ci incamminiamo verso il nulla. Poi all'improvviso uno spiazzo dove si vendono i biglietti d'ingresso. Paghiamo ed entriamo, ancora nulla, solo una muraglia alla nostra destra, e poi una breccia, una piccola entrata fatta a misura Maya. Io devo abbassarmi per non venir decapitato, Tania entra normalmente senza difficoltà. Adesso sì che ci siamo. Davanti a noi un'enorme zona verde, costruzioni di pietra bianca spuntano quì e lì, enormi iguane marroni gironzolano tra le pietre calcaree in cerca di un posto al sole dove scaldarsi, mentre noi affaticati dal sole cerchiamo riparo sotto le palme. L'antica città di Tulum è circondata da una muraglia che recinta un perimetro di circa 800m di lunghezza per 400m di larghezza su tre lati; il quarto è quello adiacente al mare. Dopo pochi passi rimaniamo colpiti non tanto dalla maestosità degli edifici o dalla loro bellezza architettonica; sappiamo infatti che nei prossimi giorni visiteremo luoghi ben più impressionanti e particolari. Tuttavia Tulum ha un suo fascino che la rende unica. La sua ubicazione.Il contrasto tra l'azzurro del Mar dei Caraibi e le le pietre bianche dei resti delle costruzioni, assieme all'aria rilassata che si respira nei prati così come nella spiaggia adiacente il sito, rende l'intero scenario come qualcosa di unico al mondo. Scendiamo la scalinata di legno che conduce ad una piccola spiaggia sotto al Castillo. La gente fa il bagno allegramente, intere famiglie, quasi tutti messicani. Oggi è domenica, e per i messicani gli ingressi a musei e siti archeologici sono gratuiti. Quale miglior forma per far conoscere ai propri figli la storia e la cultura della propria terra! Immaginatevi per un momento di poter salire sulla cupola del Brunelleschi o di entrare al Colosseo con la vostra famiglia al completo e gratuitamente. Magari portandovi da mangiare e facendo un picnic lì. Forse l'Italia è un paese troppo avanzato perchè ciò possa venire applicato; o forse il Messico è un paese troppo arretrato perchè già ciò accada! Proseguiamo la nostra mattinata, usciamo dalle rovine e camminiamo verso sud. Tutta l'area lungo la costa è punteggiata da piccoli ristoranti, campeggi e piccoli resort ecoturistici. Quì non è come a Cancún. L'aria è molto più distesa e rilassata. Così decidiamo di entrare in spiaggia e di farci un bagno per raffreddarci un po'. La sabbia è fresca nonostante la temperatura, l'acqua anche, è pulita, azzurra, no meglio, turchese! Risaliamo e non c'è bisogno dell'ombrellone; semplicemente ci stendiamo sotto una palma, ci asciughiamo, beviamo un po' di succo di cocco. Tutto scorre lento e semplice. Forse questa piccola zona di Messico potrebbe insegnare qualcosa ai nostri chilometri di bellissima costa rubati agli italiani. Dovendo scegliere tra Sottomarina o Iesolo scelgo Tulum! jue 20 dic 2012 Cobá - Prima Volta sulla Cima La prima volta è sempre particolare! Non si scorda mai e per questo ha sempre un sapore peculiare. Tutti si ricorderanno il loro primo giorno di scuola, la prima volta in bicicletta o ancora il primo bacio adolescenziale. Il significato che per me avrá Cobá per sempre sará quello della prima ascesa ad una piramide Maya. Ancor piú se suddetta salita è stata fatta in un luogo cosi particolare come quello appunto di Cobá. Il nuovo paesino è situato attorno ad una laguna disseminata di cartelli che mettono in guardia dalla presenza di coccodrilli, che sfortunatamente non abbiamo potuto vedere.Le rovine dell'antica cittá invece sono nascoste tra la fitta foresta e se non fosse per i cartelli d'ingresso nemmeno ci si accorgerebbe della loro presenza. All'ingresso una mappa poco chiara ci mostra la distribuzione delle rovine, e per la prima volta entriamo in contatto con l'urbanistica Maya. Le diverse aeree sono connesse da strade bianche (sacbeob in lingua Maya) e qui a Cobá le distanze sono particolarmente grandi; di fatto un noleggio bici permette di spostarci piú velocemente tra un gruppo di rovine e le altre. Tuttavia dato che per noi il tempo non è un problema e abbiamo per oggi un nuovo compagno di viaggio, ce la prendiamo con comodo e ci incamminiamo a piedi. Nel tragitto in bus tra Tulum e Cobá abbiamo conosciuto Gianni, ragazzo di Verona anche lui in viaggio per tre mesi nell'America Centrale. Con i suoi fratelli gestisce un rifugio nelle prealpi veronesi e dato che il lavoro è stagionale ogni anno ha la possibilità di viaggiare. E' stato in Nepal, in Kenya e Tanzania sul Kilimangiaro, nella Patagonia cilena e argentina e nei Canyon americani. Un buon compagno di viaggio quindi. Il sole picchia forte, ma fortunatamente la foresta è dalla nostra parte e le fronde degli alberi fungono da protezione contro i potenti raggi solari. E' incredibile vedere come dopo secoli di storia le strutture Maya siano ancora cosi ben conservate. La vegetazione ha in qualche modo svolto un ruolo di protezione dato che ha impedito con il tempo che gli agenti atmosferici potessero erodere le antiche pietra della civiltá precolombiana. Un fatto da non sottovalutare dato che tutte le costruzioni Maya furono eseguite con pietra calcarea che è quella che si trova nella penisola dello Yucatán; e come si sa il calcare può facilmente essere modellato ed eroso dall'acqua e dal vento. Accompagnati come di consueto dalla folla dei turisti, che qui fortunatamente sono più contenuti che in altre zone archeologiche più famose, passiamo tra una piazza e l'altra, una piccola area dove si svolgeva il "juego de la pelota" e una piccola piramide priva di tempio alla sommità. Chiacchieriamo e ci scambiamo opionioni sui viaggi e sul viaggiare e alla fine arriviamo alla base di Nohoch Mul. La piramide più alta dello Yucatán è costruita sulla base di una collina naturale e misura 42m di altezza. I gradini di pietra sono più o meno regolari e salgono con un'alzata davvero impressionante, tant'è che la pendenza è sicuramente maggiore al 100%. Gianni con il suo passo da montanaro rapidamente raggiunge la vetta mentre io e Tania procediamo più lentamente; ci godiamo la nostra prima salita e al raggiungere la cima ci voltiamo.La foresta tutta intorno a noi; qui e là spuntano le cime di altre piramidi più piccole e in lontananza si intravede la laguna dalla quale abbiamo avuto accesso alla città. La cosa divertente è che non penso a quello che sto vedendo, penso a quello che potrò vedere quando saliremo sulle cime di Calakmul o di Tikal o dei templi di Palenque. Penso a quello che ci attende e mi sento emozionato. Abbiamo appena iniziato, il viaggio è lungo e pieno di avventure e di scoperte. Di scalate e di discese. Scendiamo dalla piramide, usciamo dalle rovine e in taxi raggiungiamo Valladolid. sáb 22 dic 2012 Il nuovo Baktun Il nuovo Baktun è iniziato e tra le strade di Mérida la vita scorre tranquilla come il giorno precedente. Oggi doveva essere un giorno di celebrazione per i Maya; tuttavia gli indigeni dello Yucatán sembrano proprio ignari di quello che è successo. La città dove ci troviamo in questi giorni è la capitale dello stato in cui c'è la più alta presenza indigena di tutto il Messico, ad esclusione forse del Chiapas. Ci aspettavamo di trovare numerosi eventi e feste per celebrare l'avvento della nuova era secondo il complicato calendario Maya, ma le cose non sono andate cosi. Per chi come noi raggiunge Mérida arrivando da Est la tappa obbligatoria si chiama Chichén Itzá. Chichén è uno dei siti Maya più ben conservati e più famosi del Messico ed è compresa tra le Sette Meraviglie del mondo moderno. Chichén non è un'antica città Maya. E' un antico luogo di culto dove in passato si attuavano le cerimonie sacre per celebrare gli eventi importanti relazionati al calendario Maya. Nessuna delle rovine che oggi sono visibili nello Yucatán rappresenta una cittá Maya. La popolazione viveva, come vive tuttora, al di fuori di queste zone sacre; in case di pietra calcarea dalla copertura di legno e rami di palma. Tuttavia come tutti i moderni luoghi di culto; da Piazza San Pietro passando per La Mecca e Lourdes, anche Chichén Itzá si è trasformata in un grande mercato, intrappolata anch'essa tra la fitta ragnatela dell'asfissiante globalizzazione. Quando si entra a Chichén Itzá si rimane impressionati dall'imponenza delle sue solide costruzioni: dalla corte del "juego de la pelota", all'enorme colonnato del tempio delle mille colonne, dall'osservatorio del "Caracol" alla piramide di Kukulcan. Il sole picchia forte e la radura attorno alla famosa piramide è calpestata già da centinaia di turisti sin dall'alba. Ben presto però la costernazione prende il posto dello stupore per tanta meraviglia architettonica. Numerose corde e cartelli impediscono l'accesso a tutte le aree del sito; sembra di stare in un museo in cui gli edifici Maya stanno dietro ad una teca e non possono essere toccati, calpestati, vissuti. Dopo alcune ore apre il grande mercato di Chichén. A fiumi giovani e vecchi indigeni arrivano alle rovine ed iniziano a preparare i loro banchetti e a sistemare la loro merce tutta uguale ed inutile che sono obbligati a vendere. La gente è più interessata da questa o quella offerta che non dall'architettura che li circonda e in breve le strade che collegano le varie parti del sito si trasformano in mercato all'aria aperta. Sembra di stare in Prato della Valle, o al FishMarkt ad Amburgo; solo che qui stiamo a migliaia di chilometri dall'Europa. Il giorno successivo visitiamo un altro sito archeologico. Si tratta di Mayapan che dopo la caduta di Chichén Itzá, fù l'ultima capitale prima dell'arrivo degli Spagnoli. Questa volta il sito è molto meno imponente, più contenuto nelle dimensioni e sono evidenti i segnali di una civiltà ormai sulla strada della decadenza. Se la civiltà Maya esistesse ancora, oggi sarebbe un giorno speciale. Un giorno da celebrare con fastose cerimonie religiose. Mayapan sarebbe stracolma di indigeni. Oggi a Mayapan non c'è nessuno; o meglio non c'è nessun discendente di quella civiltà. Circa un centinaio di persone sono raccolte nella piazza principale sotto la copia dell'omonima piramide di Kukulkan. Si intravedono facce orientali, occhi a mandorla, si ascolta un forte accento americano e forse anche qualche messicano è presente tra loro. Svolgono un rituale con dell'incenso e suonando dei tamburi, pronunciando strane parole probabilmente nell'antica lingua Maya che ancora gli indigeni quì usano per comunicare. Pensano di entrare in contatto con la natura, di purificare i loro corpi. Eccoli lì i discendenti dell'antica civiltà. Gente che si è incontrata probabilmente sul web, affascinati dalle antiche leggende. Per loro oggi è un giorno speciale; per i Maya che stavano nell'autobus con noi oggi è un giorno come un altro! Ci eravamo proposti di capire, durante questa prima parte del nostro viaggio, come si fossero conservate le antiche tradizioni e la civiltà del popolo precolombiano. Ebbene, adesso possiamo dire con sicurezza che ormai della civiltà Maya non rimangono che le pesanti pietre dei maestuosi templi; il popolo Maya ancora in vita si è lasciato assorbire dalla comunità globale. lun 24 dic 2012 Nella Valle del Puuc Dal finestrino dell'autobus scorrono rapide le immagini di un nuovo paesaggio. Stiamo uscendo da Mérida e ci dirigiamo verso sud; in lontananza il profilo di alcune colline, stiamo entrando nella regione Puuc che in lingua Maya significa appunto collina. L'autobus inizia a salire e scendere alcuni lievi pendii e dal piccolo oblò di vetro si scorgono campi di cereali, alberi da frutto strani, forse di avocado e poi ancora foresta. La zona sembra più fertile e finalmente si vedono le coltivazioni di quello che per i Maya è il cibo base: il mais appunto. Arrivati ad Uxmal ci addentriamo per un breve tratto nella foresta, paghiamo il biglietto, lasciamo gli zaini nel deposito e ci prepariamo ad entrare nel sito. Come a Chichén Itzá subito ci si para davanti la piramide più famosa; la piramide dell'Adivino. Sin dal primo impatto si ha l'impressione di essere davanti ad un altro tipo di architettura; la forma ovale, i gradini lavorati con maggiore cura e un lato, quello ovest della piramide completamento adornato con fregi e bassorilievi tipici dello stile Puuc. La sensazione non è quella di solidità e graniticità che si aveva a Chichén; bensi sembra di stare di fronte a qualcosa solidamente leggero! Uxmal però ci affascina con altre strutture che poco a poco ci fanno innamorare del sito. Il Patio de las Monjas, la Gran Piramide, la Casa de las Tortugas, il Palazzo Reale, tutti con le loro decorazioni, le pietre color calce accese dal sole del mezzogiorno, ma soprattutto è la visione d'assieme che rende splendido questo luogo. A differenza di Chichén il sito è molto più compatto ed è inoltre costruito su vari livelli, cosicchè la possibilità di salire sopra a questa o quella piramide fornisce l'occasione di vedere gli edifici sotto altri punti di vista: Otras Miradas appunto! Per adesso Uxmal è la nostra città sacra preferita! La Ruta Puuc prosegue verso sud con la strada che striscia giù tra le colline, conducendo ad un'ampia pianura. Davanti a noi grandi distese di mais coltivate da una grande comunità di Menoniti. Quando arriviamo al paese di Hopelchén per cambiare il bus direzione a Campeche, il centro è pieno di contadini. E' gente alta, vestiti tutti allo stesso modo: uomini e bambini con camicia a quadri e salopette, donne con un lungo vestito nero e la gonna. Vengono dal Nord del Messico, la maggior parte dallo stato di Chihuahua. E' divertente trovarsi in un paese tra le colline dello Yucatan meridionale in mezzo a Menoniti e Maya. Chi l'avrebbe mai detto! mar 25 dic 2012 Buon Natale! Un ventilatore gira monotono sopra le nostre teste, l'aria calda entra dalla finestra e la leggera brezza marina muove la tenda gialla dai fiori bianchi. Ci svegliamo come le mattina precedenti un po' appiccicosi per il sudore della notte e qualche puntara di zanzara quà e là. Oggi è una mattina diversa. E' la mattina di Natale!! Ci scambiamo gli auguri e ci alziamo felici. Tutto ci sembra strano e allo stesso tempo normale; le auto fuori passano come di consueto, nell'ostello la gente si fa la fila per la doccia, alcuni se ne vanno, altri arrivano. Per chi viaggia Natale è un giorno come un altro, anzi un giorno orribile perchè tutte i negozi che ti servono sono chiusi e li vorresti aperti, perchè hai bisogno della lavanderia, del supermercato per mangiare economico, della stazione degli autobus per saper domani a che ora partire verso la prossima destinazione. Con calma facciamo doccia e colazione e scendiamo in strada. Il sole illumina la nostre teste e picchia forte; siamo in maniche e pantaloni corti. Penso alla famiglia a casa che adesso starà andando a cenare come di consueto da mia nonna. Lì si che farà fresco. Campeche oggi è deserta, ai lati delle strade sono poche le auto parcheggiate e finalmente ci possiamo gustare una passeggiata romantica e tranquilla tra le viuzze della cittadina. Le case basse e multicolore sprigionano allegria; una muraglia, anticamente costruita per difendere la città dagli assalti dei pirati, circonda l'intero centro storico. Ci mettiamo in marcia verso una direzione casuale in cerca di un posto dove fare il fatidico pranzo di Natale. Il bello di essere in viaggio stà nell'apprezzare soprattutto le piccole cose, le minuzie, i dettagli. Un vecchio Volkswagen giallo parcheggiato ai bordi della strada, dei bambini che corrono felici nella piazza principale della città, il pranzo di Natale in una piccola osteria locale dove quando entri la signora ti stringe la mano, si presenta e ti fa gli auguri di Natale come se fosse tua zia. Ti fa accomodare e dopo poco torna con due belle bistecche di manzo contornate da insalata, pomodori, patate fritte, fagioli, avocado e banana fritta. La bistecca va giù rapida tra un bicchiere di sangria e l'altro e alla fine quando ti portano il conto e vedi che in due paghi meno di 10€ sei ancora più felice e ringrazi come se fossi stato a cena dal governatore! Le cose sono semplici quando si viaggia. Non ci sono regali da fare, biglietti di auguri più o meno ipocriti da scrivere e centinaia di baci da regalare a parenti che vedi dopo un anno. Pensi a quello che hai visto i giorni prima, a quello che vedrai i giorni successivi, ad un amico che domani incontrerai dopo oltre tre anni; pensi che hai la compagnia della persona che più conta per te e sei felice. Torni all'ostello, ti sdrai nel letto sfondato dove migliaia di altri viaggiatori come te hanno dormito prima, l'aria fresca ti asciuga il sudore del viso e ti addormenti contento Le gioie quotidiane sono semplici e potenti! dom 30 dic 2012 Tra le Rovine nella Foresta Pluviale Le gocce d'acqua cadono pesanti scandendo il tempo come di un orologio irregolare. Alle prime luci dell'alba la foresta si risveglia e l'umidità accumulata durante la notte inizia a salire alta sopra la marea verde. Gli alberi scricchiolano mossi da improvvise correnti d'aria e le foglie cadono leggere e rumorose sopra il terreno reso soffice dall'umidità. La temperatura nella tenda è insopportabile, apro la cerniera e vengo investito da una zuffata di aria fresca e dal profumo della legna umida. Attorno a noi le galline sono alla disperata ricerca di vermi per la loro colazione mattutina; in lontananza il canto del gallo ad annunciare la sveglia. Poi iniziano le scimmie urlatrici; le loro urla soffocate sono forti ed acute. Cosi ci si sveglia nella foresta pluviale. Ci troviamo in un campeggio senza elettricità ed acqua corrente, la doccia alla mattina si fa con l'acqua piovana raccolta la sera prima dopo il classico temporale, il sapone prodotto naturalmente e una piccola tazza per raccogliere l'acqua e buttarsela addosso. Poi la colazione a base di fagioli ed uova appena raccolte, e caffè del Chiapas. Siamo all'interno della riserva di Calakmul, nel sud dello stato di Campeche a circa 60km dal paese più vicino. Nel campeggio le cose vanno a ritmo del sole, che qui spunta attorno alle 5:30. Saliamo tutti e 6 nel furgone che ci porterà in visita alle rovine di Calakmul; la strada asfaltata sale e scende tra le colline, ondulando dolcemente. Ai lati della strada gli alberi sfrecciano rapidi, la vegetazione è cosi fitta che si stenta a vedere la luce del sole penetrare tra le fronde. E' incredibile come tanti alberi possano sopravvivere cosi stipati tra loro; da noi quando si parla di boschi o foreste siamo abituati comunque a zone in cui gli alberi si distanziano 4-5m tra loro. Quì nella selva a stento si riesce a passare tra un tronco e l'altro. Dopo circa 60km arriviamo alle rovine. Calakmul fu durante il periodo Classico una città di grande importanza; rivale di Tikal, situata nell'odierno Guatemala, è famosa per le centinaia di stele che vennero scolpite per commemorare gli episodi più importanti della città. Il sito è tra i più grandi di quelli visti finora; ci aspettano circa 6km di sentieri! Ci mettiamo in marcia e ci troviamo subito avvolti in uno scenario superlativo: la densitè vegetativa è enorme, laddove le rovine sono state ripulite la natura invade le bianche rocce con una velocità incredibile. Di quando in quando fagiani dai colori sgargianti attraversano rapidi il sentiero, scorgiamo pecari dal collare bianco e tacchini ocellati, mentre uccelli variopinti si nascondono tra le fronde. Vediamo verdi pappagalli e piccoli tucani neri dal becco giallo, verde o arancione. Ogni tanto cade qualche ramo o frutto dall'alto, solleviamo la testa e delle scimmie ragno stanno giocando a 50m d'altezza. Sono cosi agili che si aggrappano con la lunga coda pelosa tra i rami, balzando da un albero all'altro. Passo dopo passo giungiamo alla zona della Gran Plaza dove le cime delle tre piramidi più imponenti di tutto il Messico svettano sopra la foresta. La fatica della salita è ricompensata dall'ampia vista a 360 della natura circostante, e anche se il cielo è fastidiosamente oscurato dalle nuvole, l'aria che si respira in cima è straordinaria. In lontananza le grida delle scimmie urlatrici; alcune aquile sorvolano leggere la vegetazione. Sembrano galleggiare al di sopra della marea verde, fiere ed eleganti. Nella sua secolare immobilità Calakmul rimane l'indiscussa regina della foresta; nascosta e dimenticata dagli uomini, ma vivida testimonianza di un antico ed epico passato! mar 01 ene 2013 La Nostra Prima Volta a Dedo! Il nostro primo giorno dell'anno inizia come un giorno qualsiasi. Siamo ospiti in casa di Graciela, dalle quale abbiamo saputo scroccare la notte di capodanno ma sfortunatamente non l'intero cenone! Facciamo colazione vecchia maniera con biscotti e latte e poi ci dirigiamo alla stazione per prendere il consueto autobus.Oggi si va a Bacalar, Pueblo Magico che dista una trentina di km da Chetumal. Siamo ritornati nelCaribe Mexicano e come i primi giorni di viaggio l'umidità e il calore sono elevati. Arriviamo col bus di seconda al paesino; è una cittadina tranquilla e rilassata adagiata sul fianco di una bellissima laguna. Bacalar è chiamata anche la laguna dei sette colori per le notevoli tonalità di azzurro che le sabbie bianche dei suoi fondali conferiscono alle acque calme e trasparenti. Dall'alto del forte da cui la città si difendeva dagli attacchi pirata le tonalità non sembrano così varie; il tempo non è dalla nostra e grosse nuvole cariche di pioggia minacciano di rovinarci la giornata. Scendiamo verso riva ed entriamo in un balneario. E' un piacere fare il bagno nell'acqua dolce, è cosi limpida e la sabbia bianca le dona un colore turchese che sembra di stare in una piscina. Decidiamo di noleggiare un kayak doppio, indossiamo i giubbottini e via di buona lena. Raggiungiamo l'altra sponda della laguna, nella quale il basso fondale sabbioso ci impedisce l'approdo, anzi finiamo quasi con metà gamba nelle sabbie mobili, cosi ci rilassiamo e ci lasciamo cullare dalle onde. Da questo lato la vista è ben diversa, adesso si che la laguna fa onore al suo nome. Tornati al molo riposiamo le stanche membra un po' fuori allenamento ed andiamo a pranzare. Oggi, come gli altri giorni ci aspettano tacos con salse varie e carne di pollo! L'altra attrattiva del paese è il Cenote Azul, che però dista circa 7km dal centro cittadino. Decidiamo di incamminarci verso la metà ma ben presto la pancia piena ci fa desistere e cosi abbiamo la brillante idea del giorno. Chiedere un passaggio a qualcuno! Il posto è tranquillo e la gente rilassata, passano vari pick-up lungo la stradina; alziamo il dito una due tre volte e finalmente si ferma un pick-up rosso con a bordo un giovane sulla trentina. Gli chiediamo se ci può accompagnare al Cenote e lui accetta, saliamo a bordo e dopo tre secondi scopriamo dalla parlata che è un fiorentino! Il giovane è in Messico da 5 anni e gestisce qui a Bacalar un piccolo ristorante con la moglie che è americana. Chiacchieriamo un po' e in un baleno raggiungiamo il Cenote, lo ringraziamo e ci riposiamo sulle sponde dell'enorme pozzo pieno d'acqua. E' un cenote diverso da quelli visti finora che assomigliavano a delle caverne piene d'acqua, di fatto è uno dei più profondi della penisola: 92m dicono i cartelli! Ci perdiamo cosi a fissare il blu profondo delle sue acque scure. Nel tardo pomeriggio troviamo poi un altro passaggio nella rotta verso casa, il camion su cui saliamo non è diretto a Chetumal, ma l'autista ben contento di chiacchierare con noi ci accompagna fino al bivo per Escarcega, e poi da li prendiamo un bus che ci porta in città. Facciamo la spesa e cuciniamo per la nostra Graciela un delizioso risotto alla cubana. La giornata finisce cosi tra una chiacchierata tranquilla! E' stata una giornata divertente, quella del nostro primo viaje a dedo! Domani si parte per il Guatemala, ci aspettano 8 ore di viaggio! vie 04 ene 2013 Alla Tranquilla Scoperta di Flores A volte quando si arriva in una nuova città si ha la foga di voler visitare al più presto le maggiori attrazioni, forse spinti dalla voglia di vedere i posti che fino a quel momento abbiamo sempre sognato, di andare alla scoperta di nuove sensazioni, nuove avventure, nuove miradas. Tuttavia, in molti casi, è decisamente meglio fermarsi e prendersi una pausa, non porsi dei limiti temporali o spaziali, bensì viaggiare liberi e lasciarsi trasportare dalle circostanze. Certo lo sappiamo, non è da tutti, però uno degli innumerevoli vantaggi del vagabondingsta proprio in queste occasioni. Flores è il nostro primo contatto con il Guatemala. Il nuovo paese ci piace, la gente è gentile e sorridente come in Messico, forse un po' meno loquace, però sempre disposta ad aiutare. Le strade sono in ordine, pulite e non c'è troppo traffico, se non per i centinaia dituk tuk che girano rapidi tra le strette stradine della città. Flores è situata all'interno del lago di Petén Itzá e fu l'ultimo rifugio dei Maya Itzá sfuggiti dalla rovina di Chichén; gli spagnoli la conquistarono solo alla fine del XVII secolo, e ovviamente pensarono bene di cancellare le tracce della civiltà che li aveva preceduti costruendo in cima alla piramide un bella chiesetta bianca e iniziando ad urbanizzare a partire dalla stessa il resto della cittadina. Il lago ha un qualcosa di particolare, quasi una misticità che si scopre solo passeggiandovi tra le rive erbose. Le nuvole ancora cariche di pioggia della notte precedente fanno si che le calme e piatte acque del lago appaiano con un tono alquanto triste, ma appena il vento riesce a spostare i grossi nuvoloni grigi si scopre come un nuovo mondo. La luce del sole riflessa sulla superficie del lago gli dona un'improvvisa tonalità turchese che ci ricorda un po' la laguna Bacalar vista un paio di giorni fà; il sole asciuga le foglie e tra la foresta inizia ad alzarsi l'umidità accumulata nella notte. Passeggiamo tranquilli tra i sentieri all'ombra di cedri, ceibas, sapodillas e molte altre piante; giungiamo ad una spiaggia in tutta tranquillità, attraversiamo il lago e siamo di nuovo immersi tra le vie di Flores. Saliamo verso la chiesetta e cerchiamo riparo dal sole cocente. Pranziamo e continuiamo il nostro lento e tranquillo andare per le viuzze del centro. Oggi è tempo di rallentare, domani arriverà il tempo di accelerare! dom 06 ene 2013 Molto più di Semplici Rovine Da quando siamo giunti nel Petén ha piovuto tutti i giorni, la gente ci assicura che non siamo nella stagione delle piogge, ma qui la pioggia cade ininterrottamente tutto l'anno; per questo la vegetazione è cosi rigogliosa e la giungla cresce senza sosta. Il risveglio nella nostra cabaña è come sempre scandito dalla pioggia che cade senza tregua sul tetto dalle foglie di palma; facciamo colazione e sistemiamo gli zaini con la faccia ancora piena di sonno e l'umore basso. Oggi andiamo a visitare Tikal, uno dei siti Maya più grandi ed importanti di tutta la zona e il fatto che piova a dirotto di certo non ci allegra la giornata. Ora, a volte capita che durante il giorno una persona possa cambiare umore rapidamente, e di fatto alla partenza verso il parco le cose di certo non migliorano. La strada è mezza allagata e il tunnel naturale di vegetazione che si piega attorno a noi rende ancora più cupo il nostro cammino. Poi una breccia di speranza, appena passata una collina scendiamo verso una valle dove sembra la pioggia diminuisca, attraversiamo lenti un piccolo paesino ed entriamo nel Parco Naturale. Arrivati al parcheggio la pioggia è quasi terminata del tutto e cosi abbiamo l'ardore di lasciare in macchina le nostre mantelle e gettarci a capofitto nella foresta. Tikal non è semplicemente un sito archeologico come gli altri che abbiamo visitato finora, è prima di tutto un'area protetta ricca di fauna e flora locale, una zona con vari sentieri che si estendono in lungo e in largo per una decina circa di kilometri; è un museo di storia a cielo aperto, uno zoo, area di trekking, è un condensato di emozioni, sudore, fatica e rigogliosa vegetazione! Siamo circondati da Ceibas altissime, Ramones blancos, cedri e rugose Sapodillas dal tronco inciso (l'albero della gomma); il sentiero serpeggia all'interno della foresta e qualche spiraglio di sole penetra tra i rami riscaldando il nostro animo. Incontriamo picchi dalla testa rossa, piccoli colibrì variopinti, tacchini ocellati simili a pavoni, fagiani ed aironi che volano sopra la volta della foresta, e poi ancora tucani, scoiattoli, scimmie ragno ed urlatrici e buffi coati che si avvicinano senza timore all'uomo. Insomma sembra di stare allo zoo; poi all'improvviso il primo tempio, lì immobile da secoli, schiacciato dalle radici degli alberi e dal muschio del sottobosco, si erge alto e maestoso, con la sommità di calce bianca. Continuiamo il cammino e ci imbattiamo in altre rovine, in cortili ampi e squadrati, circondati da palazzi immensi seminascosti sotto il terriccio e le foglie. Il ritmo a cui cresce la giungla è ben più alto di quello a cui avvengono i restauri e le pulizie, cosi capita che a volte reperti riportati alla luce di recente, vengano poi di nuovo sepolti dalla vegetazione. Sembra di stare nel film "Jurassic Park", o nel "Signore degli Anelli" o in qualsiasi altro film di avventura; le radici delle piante sono cosi grosse e ramificate, ci sono palme e liane pendenti da qualsiasi lato e l'umidità è cosi alta che si può quasi respirarla. All'improvviso una radura, scorgiamo il retro di un tempio ben più grande del precedente, è imponente. Negli altri casi le piramidi erano costruite con una base molto ampia e una pendenza, che sebbene elevata, non reggeva il confronto con i templi di Tikal. Quì le strutture sono più simili a palazzi che a piramidi. Entriamo nella Gran Plaza, le nuvole per un momento si diradano e possiamo ammirare la possente Tikal in tutto il suo splendore. La piazza centrale è un sapiente miscuglio di equilibrio e maestuosità; le due piramidi gemelle a delimitarne i lati Est ed Ovest, il palazzo reale sul lato Sud, costruito in posizione leggermente elevata, e poi la grande Acropoli sul lato nord che si adagia su una collinetta. Le scalinate, le facciate, i vuoti e i pieni, tutto è cosi proporzionato ed in armonia con il paesaggio naturale che lo circonda. E' incredibile pensare a come una civiltà abbia potuto fiorire e costruire una città di una tale importanza letteralmente nel cuore della giungla in condizioni di certo non favorevoli come quelle a cui erano abituati Romani e Greci! La nostra marcia procede verso Sud, attraversiamo l'acropolis e raggiungiamo il tempio V, non si può scalarlo, cosi ci accontentiamo di ammirarlo dal basso, poi nella piazza dei sette templi, il Mundo Perdido ed infine il tempio IV. Da vicino sembra una collina, i lavori di restauro sono ancora in corso e la salita alla cima ci è permessa attraverso una serie di scale di legno. Con i suoi 64m di altezza è la struttura Maya più alta della regione, e quando si raggiunge la vetta sembra di galleggiare sopra la foresta. E`come una piattaforma dalla quale ci si può tuffare nel mare verde della giungla. Seduti sui gradini scorgiamo all'orizzonte le cime di altre quattro piramidi, sembrano delle piccole torri bianche in mezzo al mare. Dall'alto si ha la sensazione di dominare e controllare la volta della foresta pluviale. Siamo emozionati e felici; oggi il cielo ci ha regalato un momento di tregua! Scendiamo e ci incamminiamo nuovamente verso la Gran Plaza che adesso è vuota, è quasi l'imbrunire e i nostri passi riecheggiano mentre ci spostiamo rapidi verso l'uscita. Inizia a cadere qualche goccia di pioggia, saliamo in macchina e il cielo si scatena. mar 08 ene 2013 Nuovamente in Messico L'Usumacinta è il fiume più grande del Messico, nasce sugli altipiani del Guatemala e poi scende verso Nord, serpeggiando tra le montagne e raggiungendo il Golfo del Messico vicino ad un altro fiume, il Grijalva. Per buona parte del suo percorso, segna il confine tra il Guatemala e lo stato messicano del Chiapas. E' quì che noi lo attraversiamo, arrivati a La Tecnica, un paesino disperso tra le colline guatemalteche, prendiamo una lancha e in meno di quattro minuti siamo di nuovo in Messico! Dormiamo in tenda presso un bellissimo campeggio posto sulle rive del fiume e gestito da una comunità di Maya Chol, e il giorno dopo andiamo a visitare Yaxchilán. La città dalle pietre verdi è nascosta nella giungla in un'ansa del fiume; dopo quaranta minuti di barca raggiungiamo il molo e ci incamminiamo verso le rovine. Yaxchilán non è grandissima, però la sua bellezza è dovuta in gran parte alla sua posizione, ai suoi colori, all'umidità della foresta. Il verde del muschio che ne ricopre le rovine brilla illuminato dai raggi che a stento penetrano tra le gigantesche ceibas e gli alberi della gomma; il rumore dei nostri passi è avvertito dalle scimmie urlatrici che come di consueto manifestano la loro presenza con le loro urla. Al ritorno affrontiamo la corrente avversa dell'Usumacinta, le acque marroni trasportano detriti di alberi e qualche bottiglia di plastica e sulle rive del fiume scorgiamo anche un coccodrillo che si riposa scaldandosi al sole. Da Frontera Corozal con un furgoncino ci dirigiamo verso Palenque; è un viaggio di tre ore all'interno della Selva Lacandona. Un paesaggio naturale bellissimo, da un lato il fiume, dall'altro le montagne chiapateche, verdi, dalla vegetazione lussureggiante. E' strano vedere delle montagne piene di palme, piante di mango e banane e un groviglio infinito di liane, abituati come siamo alla graniticità delle nostre Dolomiti. Di quando in quando un posto di blocco dei militari, un controllo rapido dei documenti e degli zaini, e poi si riparte. Chiedo all'autista se ci sono comunità zapatiste nella zona e lui mi risponde di sì. Ecco il motivo di tanti controlli! L'indomani la visita ad uno degli ultimi grandi siti Maya; Palenque si trova adagiato sul fianco di una collina ed è circondato da una vasta foresta pluviale. Inizialmente rimaniamo poco impressionati, soprattutto perchè dopo aver visto Tikal, Calakmul e Yaxchilán ci sembra che il sito sia piccolo. E' come vedere gli Uffizi dopo essere già stati al British Museum, al Louvre e all'Hermitage; insomma tutto è relativo. Ciononostante Palenque ha la sua peculiarità legata al fatto che gran parte del sito si trova lungo le ripide di un torrente e che la vista all'imbrunire dall'alto del Templo de la Cruz è semplicemente magnifica.Il palazzo centrale piano piano si copre delle ombre delle colline circostanti, la torre è l'unica e rimanere illuminata dalla calda luce del sole. dom 13 ene 2013 Una Tranquilla Domenica al Parco A volte capita di aspettarsi molto dalla visita di una città o di un luogo che magari la publicità o le guide hanno esaltato al massimo, mentre al contrario in altre occasioni si può rimanere contenti di una giornata passata in un posto inaspettato. E' cosi che ci è successo questa domenica nella città di Villahermosa. Villahermosa è la capitale dello stato di Tabasco, uno stato dove l'acqua invade la terra e numerosi sono i fiumi, le lagune e gli acquitrini. Nel 2007 e nel 2009 circa l'80% dello stato venne allagato a seguito di precipitazioni straordinarie, e oggigiorno il paese si trova a lottare ancora contro questo problema. Ciò che pregiudica da una lato il paese, rappresenta una grande risorsa dall'altro, il sottosuolo tabasqueño di fatto è ricco di giacimenti petroliferi e di gas naturale; risorse indispensabili per il boom economico dell'ultimo ventennio. Sebbene Villahermosa non sia la città hermosa che promette di essere, il centro cittadino non è poi cosi male; esistono ampi spazi di incontro comune, zone pedonali e le strade sono mediamente pulite rispetto agli standard messicani fin qui sperimentati. Ma la parte più bella della città è la laguna de las ilusiones; un'area verde che si estende nella parte nordoccidentale del centro abitato. Un parco naturale misto ad uno zoo e ad un'area archeologica; qui infatti vengono conservati i resti più importanti della zona archeologica conosciuta come La Venta, considerata la madre di tutte le civiltà mesoamericane, la civiltà olmeca appunto. Cosi si finisce per camminare all'interno dei sentieri del parco, imbattendosi in teste giganti di basalto, in animali allo stato brado e in altri rinchiusi nelle loro aree protette. Usciti dal parco passeggiamo tranquillamente attorno alla laguna, i bambini corrono felici lungo il malecón che circonda il lago, ci sono un sacco di coppie giovani, spesso con bambini al seguito, ma anche gente anziana con i nipotini. Sono scene che mi ricordano molto la Germania, quando nei week-end le famiglie escono di casa e vanno nei parchi a fare barbecue o a giocare. Tutto è cosi rilassato e semplice, la gente non si preoccupa di come va vestita o se il loro passeggino è l'ultimo grido del mercato, la gente ti sorride, ti dice buon appetito mentre mangi un gelato per strada. Sembrano rilassati, magari non sono le persone più felici del mondo, però questa è la loro forma di essere, di vivere la vita! mié 16 ene 2013 Dove Tutto Incominciò Spesso capita che la storia venga distorta a seconda delle persone che la raccontano, o dei periodi storici in cui viene revisionata e modificata al fine di cambiare l'opinione pubblica nei confronti di questo o quell'altro tema. Da normali ignoranti veniamo messi a conoscenza in maniera frettolosa e poco approfondita di come la conquista del Messico e successivamente delle altre regioni centroamericane, sia avvenuta per mano di sanguinari e spietati spagnoli, i quali, giunti con il loro potente esercito nelle terre del nuovo mondo, non fecero altro che seminare panico e morte tra gli indigeni locali. Le cose tuttavia, andarono ben diversamente. Circa 50km a nord di Veracruz si trovano due siti archeologici apparentemente insignificanti dal punto di vista architettonico, sebbene importantissimi dal punto di vista storico. Quiahuiztlán e Zempoala erano all'epoca dello sbarco degli spagnoli due importanti città della civiltà Totonaca; questo popolo che abitava tutta la costa orientale dell'attuale Messico erano sottomessi dagli Aztechi a pagare tributi e a contribuire con i loro soldati nelle guerre che prevedevano l'espansione dell'impero Mexica o ancora in casi estremi a contribuire con i loro uomini ai sanguinari riti aztechi che prevedevano il sacrificio umano. Quando Cortés sbarca su queste coste ha con se circa cinquecento soldati ed è al comando di una decina di navi; al suo arrivo, il venerdì santo dell'anno 1519 battezza il luogo come Villa Rica de la Vera Cruz, e vi fa costruire la prima chiesa cattolica del nuovo mondo.Successivamente viene a contatto con il popolo Totonaca, l'accoglienza è calorosa e ci sono vari scambi di doni dall'una e dall'altra parte. Gli spagnoli vengono a contatto con un popolo pacifico, che descrivono come persone sempre sorridenti e gentili, sebbene schiacciati dal potere e dal peso fiscale dei vicini Aztechi. Cortés capisce la situazione e stringe un patto con i capi locali affinchè si uniscano a loro per poter sconfiggere i Mexicas. I nuovi arrivati vengono invitati varie volte ad andarsene dal territorio azteco, tuttavia grazie all'appoggio dei Totonachi e quello di altre popolazioni locali, formano un grande esercito di circa 3000 indigeni e con questo attaccano la capitale Tenochtitlan (attuale Città del Messico) conquistandola in breve tempo. Senza l'appoggio del popolo Totonaca non sarebbe mai riusciti a penetrare nella capitale dell'impero Azteca. Certo non possiamo assolvere Cortés e i suoi uomini da una responsabilità che ebbe conseguenze storiche enormi, tuttavia analizzando i fatti storici sotto un altro punto di vista vediamo come senza l'appoggio delle popolazioni locali, la Conquista sarebbe stata molto più complicata! dom 20 ene 2013 Tra Caffè e Banane La nostra seconda parte del viaggio, ovvero la parte centrale del Messico, inizia con un bellissimo weekend presso la capitale dello stato di Veracruz. Xalapa è situata su un altipiano alla base del vulcano Cofre de Perote, ormai estinto da anni; è una città diversa da tutte le altre, finalmente si sale e si scende, le montagne nascoste dalle nuvole ci circondandano e l'aria è piacevolmente fresca...anzi abbastanza fredda. Per la prima volta dopo la nostra partenza dalla Germania, abbiamo bisogno di giacche e maglioni, che ormai avevamo dimenticato sepolti nel fondo dei nostri zaini. Siamo gentilmente ospitati da Olaf, studente di gastronomia che con la sua famiglia è nato e cresciuto a Xalapa. Al nostro arrivo ci porta subito fuori; il venerdi sera c'è parecchio movimento in giro, la città è piena di studenti e i locali sono affollati ed economici. Entriamo in una "pizzeria" dove un gruppo capitanato da due giovani ragazze suona musica propria; sono amici di Olaf, il batterista è una bomba, mi esalta, ed inoltre hanno un sassofonista che da sempre un tocco in più alle loro canzoni. Non male davvero le ragazze! La zona attorno alla città è punteggiata da piccoli paesini che si dedicano alla coltivazione del caffè, così, in compagnia di Olaf e della sua ragazza Dafne ci buttiamo alla scoperta della zona. Arriviamo a Xico, il "pueblo magico" famoso per il caffè. Ma quello che più sorprende è che le piante di caffè, che vediamo per la prima volta nella nostra vita, sono coltivate assieme alle banane. Di fatto sembra che ci siano delle piantagioni di banane, e che una strana pianta infestante cresca sotto la protezione delle larghe foglie dei banani. Quando il frutto del caffè è maturo diventa rosso, allora è tempo di raccoglierlo; successivamente viene spolpato, tostato e poi macinato. La polpa è divisa in due da una sottile membrana e al suo interno sono contenuti i chicchi che siamo abituati a vedere; li assaggio e hanno un gusto stranissimo, tipo patata dolce, niente a che vedere col caffè! La giornata in compagnia dei ragazzi è molto piacevole; camminiamo in un sentiero circondato da piccoli ruscelli, cascate e le piantagioni di caffè, poi finiamo a passeggiare nel centro del paese. Le case sono basse, le insegne di legno, le strade non asfaltate, i ristoranti pieni di gente, ci infiliamo in uno di questi e trangugiamo un buonissimo pollo condito con salsa di caffè. Olaf è stato in Spagna a lavorare sei mesi come cuoco in un hotel, così finiamo per confrontare i nostri paesi con il Messico, il nostro continente con quello americano e ovviamente come capita sempre in queste occasioni ognuno è orgoglioso di parlare delle proprie tradizioni e della propria cultura, lasciando in disparte gli aspetti economici e politici di cui nessuno va fiero! La nostra discussione finisce in un caffè del paese adiacente, Coatepec. Al piano inferiore la tostatrice del caffè esala odori forti ed inebrianti; mi ricorda quando vicino a casa tostano il caffè e tutto il paese si riempie di quell'odore da bruciato. Chi non c'è abituato lo detesta, ma io lo adoro! La sera ci mangiamo un bel piatto di pasta tonno, olive nere e capperi, e incredibilmemte olio di oliva! Delizioso! Poi ci sdraiamo sul divano a guardarci un film messicano, si intitola "L'inferno" e racconta la storia di un paese del Messico settentrionale in cui due bande rivali di narcotrafficanti si fanno la guerra per il controllo del territorio. In fondo Italia e Messico non sono poi così diversi. mié 23 ene 2013 Rumbo al DF! Scesi dalle montagne riprendiamo il nostro cammino verso il nord dello stato di Veracruz. Costeggiamo il golfo attraversando piccole cittadine e passiamo vicino all'unica centrale nucleare del Messico per arrivare alla città di Poza Rica. Una città abbastanza brutta costruita durante gli anni '50 quando si scoprirono i giacimenti di petrolio i quali sono letteralmente nella città; dovunque ci si gira si vedono fumi neri salire verso il cielo grigio e quà e là la luce delle fiamme del gas che viene bruciato. Nell'aria è forte l'odore acre e pungente del petrolio. Il giorno seguente, accompagnati da David, il couchsurfer che ci ospita, e da una sua amica ci dirigiamo verso El Tajin, la città più grande per importanza della civiltà Totonaca. L'area archeologica è davvero strana, innanzitutto giusto nell'ingresso assistiamo al rituale dei voladores; quattro uomini che appesi a testa in giù girano attorno ad un palo alto 30m sulla cui sommita un quinto uomo seduto suona il flauto per richiamare la pioggia. Entriamo nel sito e subito ci accorgiamo che l'area è davvero piccola, anzi è incredibile la densità di strutture che si trovano stipate nella zona. Non avevamo visto nulla del genere fino a questo momento. Dopodichè la nostra bella giornata continua in compagnia dei ragazzi che ci accompagnano in un piccolo villaggio abbarbicato sulle pendice della Sierra Madre Orientale, ci caliamo in una barranca alla ricerca di alcune cascatelle e poi ritorniamo verso casa. Il giorno seguente ci aspetta una lunga giornata di viaggio. Partiti da Poza Rica la strada inizia a salire rapida, l'autobus ondeggia tra una curva e l'altra, l'aria è fredda ed umida, in breve ci troviamo in mezzo le nuvole. L'altitudine aumenta rapida: 500-1000-1500-2000m, le orecchie si tappano, la vegetazione è rigogliosa e di quando in quando le nuvole si spostano mostrando squarci delle montagne che ci circondano. Ci inerpichiamo lentamente, ci sono camion di tutti i tipi, la strada è scivola ed alcuni rimangono impantanati e costretti ad arrendersi. Dopo circa due ore di colonna arriviamo al passo, a 2500m e di lì inizia la discesa. In breve il paesaggio cambia, le nuvole si diradano lasciando spazio a flebili raggi di sole, piccole foreste di pino prendono il posto delle palme e dei banani anche se per poco. Quando entriamo nell'altipiano centrale la terra è arida, gialla o rossa, argillosa, le piante scompaiono e al loro posto ci troviamo di fronte a cactus e piante di agave. Siamo arrivati! Sul fondo della valle si vede la città, Città del Messico, con i suoi 20 milioni di abitanti, il suo smog, i suoi palazzi, musei, cattedrali e mille altre cose da scoprire. Aquí estamos DF! sáb 26 ene 2013 Adobe! La cosa bella di poter viaggiare senza un piano prestabilito e senza fretta, è che a volte ti da l'opportunità di partecipare ad attività che il normale turista non avrebbe mai potuto fare. In questi giorni nella capitale siamo gentilmente ospitati da Ulises e dalla sua famiglia. Al di là del fatto che visitare la città con lui è un piacere perchè è una miniera di informazioni storiche e aneddoti, la cosa interessante è che lui con suo padre e un paio di operai stanno costruendo una casa a circa 60km a sud della città in un piccolo paesino chiamato Tlayacapan. Il progetto è di Ulises, che è ingegnere civile, non ha fatto nessun esame di stato o cose varie, semplicemente ha fatto il disegno, i calcoli strutturali della travi e delle fondazioni e poi ha presentato il progetto in comune. Lì lo hanno revisionato e, dopo aver pagato la concessione edilizia hanno iniziato i lavori. Quì in Messico non c'è bisogno di mettere barriere di protezione, cartelli, reti, gru, scavatori e avvisare mezzo mondo che si sta costruendo una casa; basta solo avvisare i vicini. Molto semplice no! La casa è molto bella, si sviluppa su due piani con un ampio soggiorno e cucina al piano inferiore e le stanze al piano superiore; un'elegante scala di legno unisce le due unità. La struttura portante è in cemento armato con fondazioni a trave rovescia che corrono attorno al perimetro della casa, il solagio del primo piano in legno di pino, cosi come le travi della scala, e la copertura, anchessa con travi di legno ed assi sormontata da una leggera copertura in calcestruzzo. Ulises mi dice che prevede di installare sicuramente dei pannelli solari per scaldare l'acqua, che qui sono economici, e forse un domani anche dei pannelli fotovoltaici; giustamente la casa è rivolta a Sud e quì c'è sole tutto l'anno, avrebbe anche senso! Arrivati alla casa facciamo un breve giro turistico dell'edificio e poi ci mettiamo all'opera. Oggi prepariamo i mattoni di adobe che sono serviti per i muri di tamponamento della struttura e serviranno per la recenzione del terreno. Io e Ulises ci mettiamo a crivellare la terra mentre Tania con il machete taglia la paglia di avena. Per l'adobe è necessaria una terra che sia principalmente argillosa, ma che contenga anche un po' di sabbia; questa viene mescolata all'acqua, si impasta con i piedi e poi vi si aggiunge la paglia. Infine, sempre a mano, viene compressa in degli stampi di metallo che poi vengono tolti. Il tutto 100% reciclabile e senza l'ausilio di leganti chimici o cemento. L'adobe è un buon isolante termico, è naturale ed è autoprodotto. Con 15 mattoni si copre circa 1mq di superficie. Ulises e suo papà hanno fatto per la casa circa un migliaio di questi mattoni, e adesso ne servono altrettanti per la recinzione. Nel frattempo arriva alla casa la sorella Violeta, in compagnia di un nostro caro amico Israim e del suo ragazzo. Con il padre si mettono a dipingere le pareti, e anche in questo caso rimango sorpreso. Per la pittura si usa acqua, calce idraulica e liquido di nopal. Il nopal è un cactus che abbonda in questa regione, ha una foglia grande e molto spessa al cui interno è contenuto un liquido spesso che funge da addensante tra la calce e l'acqua. Le foglie vengono tagliate e messe ammollo nell'acqua e piano piano rilasciano il loro liquido che poi viene filtrato e raccolto. Verso le due ci prendiamo una pausa, usciamo tutti sporchi dal terreno, chi con pezzi di fango tra i piedi chi con i capelli bianchi dal colore. Scendiamo in paese e zigzagando tra il labirinto del mercato cittadino entriamo in una piccola casa di una signora. Per 25 Pesos (meno di 2 Euro) pranziamo e poi ritorniamo al lavoro. Anche oggi felici e soddisfatti per quello che abbiamo appreso, sebbene stanchi morti per il duro, ma gratificante lavoro manuale! dom 27 ene 2013 Scorci della Capitale La trajinera scivola lenta e silenziosa sull'acqua piatta dei canali di Xochimilco, una delegazione a sud del centro di Città del Messico, l'unica ancora oggi a conservare la struttura a chinampas. Le chinampas erano piccole isole costruite sul lago di Texcoco che ingegnosamente gli Aztechi avevano creato per rubare poco a poco la terra al lago. Città del Messico era infatti un'isola costruita in mezzo ad un lago situato in una valle, che poco a poco è andata espandendosi fintanto che il lago è scomparso lasciando il posto all'acciaio e al cemento. Xochimilco preserva ancora la sua struttura originale, e la domenica molti chilangosvengono a passare con la loro famiglia una piacevole giornata a bordo di queste strane imbarcazioni. Come a Venezia, le barchette sono di legno, solo che hanno lo scafo piatto e sono larghe per far entrare il più alto numero di persone. Certo l'impressione non è quella di navigare tra antichi palazzi e ponti del '400, però il paesaggio naturale è piacevole e l'atmosfera rilassata e divertente. Si incontrano trajineras con Mariachi e soprattutto gli immancabili venditori ambulanti, che a bordo delle loro piccole imbarcazioni vendono tutto i tipi di prodotti! Oggi siamo in compagnia dei nostri amici di Cuernavaca: Israim e Violeta (la sorella di Ulises) e di altri loro amici. Ci chiedono un sacco di cose sul nostro viaggio; quello che abbiamo visto, le nostre avventure, le persone incontrate e rimangono sorpresi dal fatto che non ci sia successo niente di spiacevole. Come sempre si diffida del proprio paese di orgine, ma in verità le cose finora sono andate sempre liscie; speriamo continuino cosi anche in futuro! Terminato il nostro giro in barca ci spostiamo verso il centro della città, arriviamo nelloZocalo, la piazza principale e quella dei grandi eventi e delle manifestazioni. A Nord la Cattedrale Metropolitana con le sue imponenti torri campanarie, ad Est il Palazzo Nazionale con i bellissimi murales di Diego Rivera che raccontano la storia del Messico preispanico e rivoluzionario, a Sud la sede del municipio della città e ad Ovest uno dei più antichi e lussuosi hotel. Al centro della piazza sventola un'enorme bandiera messicana, contradistinta dallo scudo della città, l'aquila appoggiata su un cactus in mezzo ad un lago che cattura un serpente. Alle 6 di ogni giorno la bandiera viene calata e custodita dai militari all'interno del Palazzo Nazionle, per poi essere issata il giorno seguente. Terminiamo la nostra domenica in piazza Garibaldi, la zona famosa per i mariachis e per le feste. Oggi la zona è tranquilla, ma normalmente è piena di messicani che regalano alle loro amate serenate cantate da questi strani personaggi dai cappelli e dai ponchos colorati. Entriamo in una pulqueria e proviamo la bevanda tradizionale azteca che per secoli ha rischiato di estinguersi e negli ultimi anni è ritornata in auge. Il pulque si ottiene dalla fermentazione delle foglie della pianta del Maguey, una specie di pianta grassa gigante che sugli altipiani cresce in abbondanza. Il liquido spesso che si ottiene viene poi mescolato con il succo di una qualsiasi dei tipi di frutta tropicale del centro america. Tra brindisi e risate salutiamo i nostri amici che all'indomani tornano nella città in cui studiano, ma che presto reincontreremo nel nostro viaggio di ritorno lungo la costa pacifica. mar 29 ene 2013 Dove Nacquero gli Dei Sfortunatamente Città del Messico non possiede nessun resto del grande impero azteca; delle piccole rovine sono state scoperte nei pressi della Cattedrale Metropolitana nella piazza di Tlatelolco. Quando Cortes e i suoi uomini conquistano Tenochtitlán, la capitale azteca, la prima cosa che fanno è distruggere tutti i templi e i palazzi, per poter poi reciclare le pietre per le loro chiese e i loro luoghi di potere. Tuttavia antiche vestigia di una città antica si conservano ancora a circa 40km a Nordest della capitale. Si tratta della città di Teothiuacan che molti credono, compresi noialtri, essere un’antica città azteca. Teothiuacan, ovvero “luogo dove nacquero gli dei”, era il nome che gli aztechi diedero a questa città che per loro era sacra, ma che non avevano costruito. Di fatto la regione venne popolata circa 1000 anni prima dell’arrivo delle popolazioni mexica e si presume che al suo interno, nel momento di massimo apogeo, vivessero circa 100.000 persone. Come sempre accade inspiegabilmente nella storia delle civiltà mesoamericane, le città furono abbandonate dopo aver raggiunto la loro massima espansione, e cosi accadde per Teothiuacan. Oggi è possibile camminare attraverso la lunghissima Calzada de los muertos che unisce la prima parte della città alla zona più grande dove sono state costruite le due piramidi più grandi: quella del Sole e quella della Luna. La piramide del Sol è la terza piramide più grande del mondo dopo quella di Cholula (Puebla) e quella di Cheope in Egitto. Da vicino sembra un’enorme montagna si pietre ben sistemate, scalarla è un’emozione unica! Dalla cima si ammira tutto il paesaggio circostante che in questo periodo è arido e tinteggiato di giallo; qua e là si intravedono cactus enormi che tentano di farsi largo tra la sterpaglia. Una leggenda azteca narra che gli dei si incontrarono a Teothiuacan per decidere chi nominare dio del Sole; tra di loro ce n’era uno più ricco e valoroso ed un’altro più brutto e povero. Gli dei decisero di accendere un fuoco, chi per primo si fosse buttato tra le fiamme sarebbe diventato il dio del Sole. La divinità più bella ebbe timore e non si butto, il dio più brutto invece in un atto di coraggio si lanciò tra le fiamme ardenti; allora l’altro per gelosia vi si buttò successivamente. Il giorno dopo gli dei videro salire il Sole splendente e non lo potevano fissare per l’intensità dei suoi raggi, poi uscì la Luna che al principio era anche lei molto luminosa; allora una divinità prese un coniglio e per punire il meno valoroso tra i due dei lo lanciò verso la Luna diminuendo la sua intensità. Questa sera allora quando uscite da casa, guardate verso la luna e provate e vedere se riuscite a scovare il coniglio! vie 01 feb 2013 Lungo l'Altopiano Centrale La seconda parte del nostro viaggio prosegue con la scoperta della zona centrale del Messico, dopo la capitale ci fermiamo per un paio di giorni a Querétaro situata a circa 200km a Nord. La nostra richiesta di Couchsurfing viene accettata da Jonathan ed Eunice, una giovane coppia che condivide con noi lo spirito avventuriero; dopo il loro matrimonio infatti hanno deciso di vendere tutto quello che avevano per poter fare una lunga luna di miele in Europa, e con i loro risparmi sono riusciti a girare il vecchio continente in lungo e in largo per sei mesi. Arriviamo nel tardo pomeriggio e subito alla sera hanno una sorpresa per noi. Cosi come avevamo fatto a Mérida, anche qui partecipiamo ad un giro in bici notturno per promuovere l’uso della bicicletta in città. I ragazzi ci prestano le loro mountain bike e loro noleggiano un divertente tandem, che sfortunatamente a metà del percorso soffre di una rottura costringendoli a seguirci nel furgoncino di appoggio fino alla fine. Dopo 20km siamo stanchi morti e andiamo a dormire...finalmente in un divano! L’indomani visitiamo la città; il centro storico non è grande e si può comodamente girare a piedi. Gli antichi palazzi, i monasteri e le chiese coloniali sono ben conservati e i loro sgargianti colori allegrano la nostra passeggiata. Il cielo è di un azzurro intenso, forse paragonabile a quello andaluso, e il sole picchia forte. Sù a 2000m i raggi solari sono più intensi e soprattutto d’inverno più pericolosi, cosi cerchiamo riparo sotto gli alberi dei numerosi parchi della città. E’ un luogo tranquillo, pulito ed ordinato, per un momento sembra di stare in una cittadina europea, ma senza il traffico e la frenesia che c’è da noi. Quando i ragazzi terminano la loro giornata ci vengono a prendere e andiamo insieme a mangiare pozole. Parliamo di noi e di loro, del nostro viaggio e del loro, di quello che pensavano le famiglie, gli amici, delle avventure che hanno vissuto, le impressioni che hanno avuto dell’Europa. Il nostro 50º giorno in Messico lo festeggiamo finalmente con la prima camminata in montagna. Bernal è un piccolo paesino famoso per la sua Peña, ovvero un monolite di roccia alto poco più di 500m che si innalza dietro al paese. E’ il terzo monolite più alto al mondo dopo il Pan di Zucchero di Rio de Janeiro e il Peñon di Gibilterra. La camminata non è lunga, circa un’ora per arrivare fino a metà dell’enorme masso; per proseguire oltre ci si deve arrampicare in parete. Siamo circondati da un paesaggio arido e brullo, piante di cactus e di agave crescono sul dorso della montagna ed ovviamente per noi è una cosa strana abituati come siamo ai pini delle dolomiti! Lungo la salita il sole, alle nostre spalle, picchia duro e arrivati alla fine del sentiero abbiamo collo e braccia ustionate. Una pausa seduti su questo ammasso di lava solidificata e poi via giù verso il villaggio a mangiare gorditas imbottite di fagioli, foglie di cactus e carne di maiale. mar 05 feb 2013 Comida Corrida! Quando si arriva in un nuovo paese la prima cosa che ci spaventa è la lingua; nel nostro caso siamo stati decisamente fortunati dato che Tania lo spagnolo lo mastica abbastanza bene. La seconda cosa che spaventa il viaggiatore più del turista è il cibo. Il turista può infatti permettersi di mangiare fuori tutte le sere senza preoccuparsi troppo del budget; di conseguenza può scegliere tra un’ampia gamma di ristoranti di diverse origini. Quasi sempre il turista si butta sul sicuro: l’italiano va in pizzeria e si mangia la pizza anche se sembra gomma da masticare (e il giorno dopo ci ritorna), lo spagnolo va in cerca di paella e tortilla di patate, il tedesco di wurstel, il povero inglese di fish and chips e lo sfigato americano di McDonald’s o di KFC! La cucina messicana tuttavia riserva numerose sorprese, e soprattutto risulta essere molto economica; motivo per cui noi viaggiatori scegliamo sempre il fabricado en Mexico! La cosa più divertente è recarsi nei mercati locali, soprattutto per i colori, i profumi, le urla della gente e i sapori ovviamente. Appena si entra nel mercato si rimane affascinati dal roboante coro dei venditori, in gran maggioranza donne, che elencano ad una velocità impressionante la loro merce. Vince il più forte, e i clienti si accomodano sugli stretti sgabelli sgomitando per avere un posto a tavola. Qui si mangia bene e per niente: con poco più di 3€ si porta a casa una zuppa di pollo con verdure, una ciotola di riso e il piatto forte del giorno, più ovviamente tortillas illimitate, salse piccanti di tutti i tipi e da bere gratuito! Incredibile davvero. Poi succede che più il rapporto qualità/prezzo è alto e più ti viene voglia di mangiare; motivo per cui si tende spesso a bissare. L’unica cosa che manca è il dolce o il caffè, ma per quello basta spostarsi al bancone successivo e subito ti servono una fetta di torta o un frappè di frutta fresca; prezzo standard 10 pesos (60 centesimi)! Insomma quella del mercato è un’avventura giornaliera che vale la pena di essere vissuta, un’investimento che merita di essere effettuato. Ovviamente non adatto ai deboli di stomaco! sáb 09 feb 2013 Arrancando Verso Nord La lenta ma costante marcia per raggiungere il Nord del paese ci porta ad attraversare grandi e polverose città industriali, intervallate da piccole e colorate cittadine coloniali. Uno alla volta attraversiamo gli stati di Guanajuato, Aguascalientes e Zacatecas passando un paio di giorni nelle rispettive città. A San Miguel de Allende veniamo ospitati da una strana ma simpatica coppia messicana-olandese; i due ragazzi conosciutosi in Europa grazie al couchsurfing, hanno deciso di trasferirsi in Messico e di aprire una casa del tè. Il loro progetto è semplice ma efficace e vedere l’allegria e la gioia con cui lo stanno portando avanti ci ha fatto pensare positivamente per il nostro futuro. Guanajuato rimane in assoluto la città più bella che abbiamo visto fin quì. E’ costruita in una stretta valle circondata da montagne, e la cosa caratteristica oltre alla miriade di casa colorate, sono i suoi tunnel. Arrivati alla stazione la città sembra non esistere, poi si sale nel bus urbano, si entra in un labirinto di gallerie e all’improvviso, benvenuti nel paese delle meraviglie! La vista della città dall’alto del mirador al tramonto è semplicemente emozionante. Lasciata Guanajuato passiamo per León, città industriale che conta circa 1.5 milioni di abitanti ed è famosa per la produzione di scarpe e abigliamento in pelle. Alla stazione cambiamo per Aguascalientes, uno degli stati più piccoli del Messico, e poi dritti verso la città dell’argento, Zacatecas. Qui siamo ospiti di Abraham e Fatima, due giovani studenti alla loro prima esperienza come couchsurfer; con loro prepariamo tortillas di mais fatte a mano e ci divertiamo un sacco con i loro amici. Un giorno ci portano alla mensa universitaria e per 10 pesos facciamo colazione, pranziamo e ripetiamo! A circa 40km a sud della città si trovano le rovine della Quemada. Il sito non regge il confronto con le più grandi e spettacolari città dello Yucatán; tuttavia è dotato di qualcosa di mistico e particolare. L’area archeologica si trova adagiata sul fianco di una collina e gli edifici si arrampicano sul crinale sud attraverso una miriade di cactus. Lo scenario non differisce molto da quello di molti film western che da piccoli eravamo abituati a vedere in TV. All’indomani si parte per il viaggio più lungo. Sono circa 900km da Zacatecas a Chihuahua, la capitale del più grande stato messicano. Viaggiamo di notte per risparmiare il pernottamento e alle 4 di mattina arriviamo alla stazione; poche ore e poi via verso Ovest. Da Chihuahua a Creel sono altre 4 ore di viaggio per un totale di 1100km in un giorno. Addio caldo e addio deserto, quì ci troviamo alle falde del Barranca del Cobre, uno dei canyon più profondi del continente americano. mar 12 feb 2013 Dentro/Fuori Lontano centinaia di kilometri dalla zona urbanizzata dell’Altopiano Centrale, dal deserto Chihuahuense e dalla costa Atlantica e Pacifica c’è un luogo magico nascosto nella Sierra Tarahumara; il Pueblo Magico di Batopilas! Arrivare a Batopilas significa addentrarsi in uno dei canyon più profondi d’America. Da Creel la strada serpeggia tra le valli della sierra punteggiate da rocce dalle forme più strane, attraversa i numerosi torrenti che in millenni di lavoro scavarono profonde fessure nel terreno fino a condurti al limite del precipizio da dove si intravede il paesino adagiato sul fondo del canyon. Da lì in poi è tutta strada sterrata! L’autobus sobbalza, arranca, scivola, slalomeggia tra massi giganti, fa manovra nei tornanti troppo stretti per essere fatti con un’unica svolta, e scede piano piano. Da destra a sinistra si ammira il drammatico paesaggio che lentamente cambia; la temperatura poco a poco va aumentando, i pini cedono il posto ai cactus che timidi si fanno largo sulle pendici aride della valle. La discesa è rapida e in meno di un’ora passiamo dai 2300m della sommità ai 550m del fondo del canyon dove il torrente ci indica la via verso l’ex paese minero che gli spagnoli costruirono all’inizio del XVII secolo. Ritroviamo le palme, le ceibas, le piante di mango e di papaya; sembra di essere tornati nello Yucatán, con la differenza che siamo circondati da montagne bellissime. Un lato del canyon nella penombra, l’altro illuminato dalla tenue luce giallo ocra del tramonto. All’indomani si riparte con il buio. Alle 4 di mattina il bus esce dal paesino, le flebili luci illuminano il cammino pieno di trappole, di buche, di ponti di legno che attraversano il fiume; ogni tanto qualcuno scende nel mezzo del nulla, inghiottito dall’oscurità. Inizia la salita e con essa appaiono le prime luci dell’alba, le teste della gente addormentata sobbalzano, sbattono contro i sedili e i finestrini; poi ecco la cima, il sole infuocato appare tra le vette delle montagne. E’ un’emozione unica! Per un momento ricordo l’alba dalla cima di Nemrut! Alle 9 siamo di ritorno a Creel, infreddoliti e affamati, tempo di fare colazione e andare a riposarsi. Domani ci aspettano altre avventure in questa magica zona del Messico, senza dubbio una delle aree più belle del paese! mié 13 feb 2013 Nella Valle dei Rarámuri In questi due mesi e poco più di viaggio attorno al Messico abbiamo avuto l’opportunità di incontrare e osservare le usanze di vari gruppo indigeni: i Maya della penisola dello Yucatán, i Totonanacas, gli Otomí e i Chichimecas dell’altopiano centrale. In tutti i casi questi gruppi si trovano a convivere con la realtà del mondo moderno, e in molte situazioni, seppur conservando le loro usanze e credenze, hanno perso l’antico modo di vivere. I Rarámuri che popolano la Sierra Tarahumara sono tra i gruppi etnici, finora incontrati, che più conservano il loro stile di vita. Alla valle dove vivono i Rarámuri si accede mediante un sentiero nel bosco dalla cittadina di Creel; iniziamo la nostra camminata e dopo un paio di kilometri entriamo nell’ejido (terra comune) di San Ignacio. La zona è abitata da circa 4000 indigeni che vivono in piccole case costruite in adobe o legno all’interno di grotte, piccoli canyon o tra i campi coltivati. La valle è fertile ed è coltivata a mais o granoturco, quì e lì pascolano mucche, cavalli o capre e sporadicamente si vedono anche maiali pelosi fare il bagno nel fango. Le aree coltivate non sono grandi, le dimensioni sufficienti a mantenere una famiglia di 5/6 componenti; lo stesso vale per le piccole fattorie. Il paesaggio della vallata è bellissimo: enormi rocce laviche lavorate dal vento e dalla pioggia dalle strane forme antropomorfiche (lucertole, rane, funghi ...), boschi di pini che lasciano il posto alle gialle distese dei campi di mais appena raccolto; sembra di passeggiare nelle valli della Cappadocia, con la differenza che qui le rocce sono più solide e che i “camini delle fate” sono sostituiti dai camini di pietra fumanti delle case di legno degli indigeni. Veniamo superati da uomini a cavallo, da donne con i sandali di cuoio che trasportano sulla schiena i loro neonati, bambini che vanno a scuola, vecchi che si recano alla clinica del paesino. Dopo altri 7km raggiungiamo la valle de los monjes dove enormi massi verticali richiamano alla mente le figure di monaci, o probabilmente, come meglio ricorda il nome Rarámuri (Bisabírachi) quello di enormi falli eretti. Si avvicinano due giovani ragazze tentando di venderci alcuni braccialetti, rifiutiamo cortesemente e decidiamo di condividere con loro un paio di biscotti. Non parlano spagnolo e accettano senza remore l’offerta; quì la falsa cortesia lascia il posto ad un sorriso e ad una mano allungata in segno di affermazione! La nostra camminata prosegue verso il lago Arareko, ci perdiamo tra la foresta, tentiamo di ritrovare la via con la bussola, ma poi arriva provvisorio l’aiuto di un uomo che incontriamo tra i boschi; spinge una carriola piena di legna che è andato a tagliare nel bosco, gli chiediamo per il lago e sfoggiandoci un brutto sorriso senza denti ci indica gentilmente il cammino. Arrivati al lago pranziamo, ci rifocilliamo e dopo un paio di foto riprendiamo il cammino verso Creel; il tramonto non tarderà ad arrivare e bisogna affrettarsi per non farsi cogliere dal buio. jue 14 feb 2013 Il Chepe Sulla banchina della piccola stazione poco a poca vanno ad accalcarsi le persone in attesa del treno; sembra l’evento del giorno. Venditori ambulanti, suonatori di chitarra che animano l’attesa al ritmo di rancheras e corridos, bambini che chiedono qualche pesos a cambio di un sorriso o di un paio di braccialetti; qualcuno passa cavalcando tra le rotaie, mentre auto e perosne attraversano incauti le rotaie. I passaggi a livello quì non servono! Poi ecco il fischio del treno, esce dalla galleria e si dirige verso la stazione; la gente si affanna a raccogliere borse, valigie e bagagli, i vagoni sferragliano a pochi centimetri dal nostro naso e con fischi e cigolii finalmente il Chepe arriva alla stazione. Un paio di carrozze di prima classe e 6-7 di seconda, la gente si affretta a salire e dopo pochi minuti si parte in direzione della costa pacifica. Il Chepe, il treno che collega Chihuahua al Pacifico, è l’unico treno che trasporta passeggeri in Messico. Le linee ferroviarie costruite e potenziate all’inizio del XX secolo sotto il Porfiriato, sono poi state abbandonate dopo la Rivoluzione ed oggi sono utilizzate esclusivamente per il trasporto delle merci. Tutto il resto, sfortunatamente si muove su gomma! La ferrovia che attraversa la Sierra Tarahumara oltre ad essere un’opera ingegneristica di indubbio valore, è anche uno dei viaggio più spettacolari dell’intero continente americano. Dopo la stazione di Creel il treno inizia ad arrampicarsi tra le montagne attraversando una galleria dopo l’altra e lasciando intravedere scorci di paesaggio di infinita bellezza; da un lato all’altro delle rotaie si alternano i paesaggio boscosi, i prati deserti punteggiati dai cactus, i canyon e le cime delle montagne. Ad un certo punto il treno guadagna quota facendo letteralmente un giro su se stesso nel punto chiamato El Lazo; da lì in poi continua la sua corsa sul bordo del canyon. La fermata a Divisadero ci permette di raggiungere il punto più alto del tragitto dal quale possiamo ammirare la Barranca del Cobre unirsi con quella di Urique e di Tarárecua. Dal mirador la vista è sensazionale, sebbene alle spalle i venditori ti assalgano per offrirti le loro deliziose gorditas. Risaliti a bordo inizia la folle discesa verso Los Mochis. Nelle giunzioni tra le carrozze è possibile uscire all’aria aperta e lasciare che il vento ti scompigli i capelli; la gente si sporge per fare foto e video, e raggiunta la coda del convoglio ci sembra di essere in un film western. Passiamo piccoli paesini dispersi tra le montagne dove la gente ci saluta e ci sorride con le loro bocche sgranate, poi entriamo in una valle profonda ed iniziamo a seguire il corso di un torrente. Ponti, gallerie e curve si alternano rapidamente mentre piano piano il sole si nasconde tra le cime lasciando un lato della valle illuminato, e l’altro in una misteriosa penombra. Raggiungiamo la pianura e la locomotiva rallenta, il torrente si allarga lasciando spazio ad un grande lago; i pini si mescolano a grandi cactus dalle numerose diramazioni e le luci del tramonto accendono il cielo con le ombre delle montagne sullo sfondo. Sembra di stare sulla scenografia di un’attrazione turistica, vorresti fermare il treno e scendere per scattare foto ad ogni curva ma non è possibile, le immagini scorrono lentamente così come le emozioni. Uno dei viaggi più belli di sempre sta per giungere al termine. Adesso quando ci chideranno la cosa più bella del Messico sapremo con certezza come rispondere! sáb 16 feb 2013 Pacifico! La lunga costa pacifica del Messico è una sinuosa linea che dal Golfo di California scende piano piano verso l’istmo di Tehuantepec, si stringe, piega verso il Guatemala e poi prosegue senza sosta verso Sud. Sonora, Sinaloa, Nayarit, Jalisco, Colima, Michoacan, Guerrero, Oaxaca, Chiapas e la lista continua; è un percorso lungo e tortuoso in cui spiagge di sabbia dorata si alternano a baie acquitrinose e a costiere rocciose a strapiombo sul mare. Come unica costante l’oceano, e il continuo rumore roboante delle sue onde che si infrangono sulla costa. Lasciatoci alle spalle le bellissime montagne della Sierra Tarhaumara e passata la notte nella triste cittadina di El Fuerte; saltiamo nell’autobus diretti verso l’oceano. La cosa divertente, almeno per noi che viaggiamo senza fretta, è che a volte nei bus di seconda classe ti può capitare di tutto, dai venditori ambulanti che salgono a bordo per vendere patatine e pop corn, ai suonatori di chitarra o di fisermonica, compresa anche la rottura del motore. A pochi kilometri da Los Mochis il quattro cilindri esala l’ultimo respiro e decide di lasciarci giù prima della stazione; per fortuna in Messico sono attrezzati e cosi l’autista scende e non trova altro rimedio che fermare gli altri autobus diretti verso la città, pagarci il biglietto e farci salire! A Los Mochis l’oceano non si vede ancora. Rimaniamo prigionieri nella stazione in attesa del seguente autobus, il tempo di mangiare al volo alcuni tacos e poi via su di un’altra carcassa sbuffante. Sulla sinistra il profilo di piccole montagne dalla forma vulcanica mi ricordano i Colli Euganei, mentre scrutiamo l’orizzonte in cerca delle prime onde. All’improvviso, finalmente dopo più di un mese senza mare, vediamo le onde arrotolarsi su se stesse e schiantarsi sulla spiaggia lanciando nell’aria mille spruzzi di bianca schiuma. Mazatlán è una delle città del Nord più grandi situate sulla costa pacifica, e come ogni città di mare messicana che si rispetti è presa d’assalto da vecchi americani e canadesi che vengono a cercare calore e buon cibo. E’ incredibile la quantità di case che sono in vendita per mezzo di agenzie straniere e risulta quasi normale dopo poco abituarsi a leggere cartelli in inglese e incrociare per strada più gente che parla inglese che spagnolo. La città è spaccata in due: a Nord la “Zona Hotelera” con gli americani a caccia di sole, birre e hamburger, a Sud la città vecchia, con le sue eleganti e strette stradine, il mercato vecchio, la cattedrale e il porto. Da buoni viaggiatori evitiamo la zona turistica e terminiamo la tranquilla giornata sulla scogliera in attesa del tramonto. Il vento soffia forte verso Sud, sorseggiamo le ultime gocce del nostro cocco e pacificamente ammiriamo il sole spegnersi dietro uno scoglio nel mare. lun 18 feb 2013 En el Muelle Molti di noi conoscono San Blas per la famosissima canzone di Maná che per un’estate invase le radio di mezza Europa e d’Italia; quella che il gruppo messicano racconta, è la storia di una ragazza che disperata per la partenza del suo amato, decide di aspettarlo nel molo appunto del paesino. Per mesi attende il suo ritorno fino a che l’attesa e la disperazione la fanno impazzire. Una storia triste e piena di empatia, tutto il contrario di come appare il piccolo paesino della riviera di Nayarit. San Blas è effettivamente una pueblo di pescatori, molto piccolo e semplice nel quale decidiamo di rilassarci per un paio di giorni. Spiaggia, mare, sole e una piccola palapa a 20m dalla riva. Nel piccolo ristorante in cui decidiamo di fermarci ci sono a disposizione un paio di capanne di legno, col tetto ricoperto dai rami di palma e il pavimento di stuoie di vimini. Abbiamo a disposizione una piccola cucina, di fatto tutta nostra perchè siamo gli unici ospiti del posto; così possiamo farci da mangiare, stenderci e schiacciare un pisolino sulle numerose e colorate amache dondolanti tra una palma e l’altra, oppure semplicemente leggere un buon libro. Nascosta dietro le montagne, la breve costa dello stato di Nayarit, è davvero un piccolo gioiello di naturalezza. Spiagge dorate punteggiate da palme di cocco si alternano a zone acquitrinose popolate da miriadi di uccelli, e poi il costante rumore del mare con le onde che si infrangono a ritmo costante sulla spiaggia. La zona è ottima per praticare surf, anche se in bassa stagione i biondi surfisti dal corpo scolpito scarseggiano; probabilmente arriveranno durante l’alta stagione estiva. Senza dubbio la parte migliore della giornata è il tramonto; passeggiare lungo la riva con l’acqua che ti bagna i piedi è davvero rilassante. Ogni tanto qualche granchio spunta fuori dalla sabbia per poi andarsi a nascondere velocemente spaventato dai pellicani e dalle rondini di mare in cerca di cibo prima di andare a dormire. Mi vengono in mente le lunghe corse in compagnia di Claudio e Alessio sulle bellissime spiagge della Turchia o anche lo strenuante scatto verso la collina di sabbia della spiaggia di Bolonia nel sud della Spagna. Ricordi di viaggi indimenticabili, sperando che qualcuno dei miei amici si esalti e ci raggiunga quest’estate sulle spiagge del Nicaragua o del Costa Rica! vie 22 feb 2013 Balene all'Orizzonte Se ti dicessero che esiste la possibilità di vedere un mammifero di 5000kg saltare fuori dall’acqua da un catamarano a meno di 4-5m di distanza, ci crederesti? E se la tua mente sognatrice ti spingesse a credere a questo tipo di racconti, non andresti a verificare di persona? Da anni sognavo di poter vedere le balene nuotare e sbuffare vapore dalla cima della loro schiena. Invano tentai di convincere qualcuno a venire con me in Islanda per poter vedere questi enormi mammiferi nuotare tra le gelide acque dell’isola, ma nessuno era ancora pronto a salpare. Poi la possibilità di osservarle nuotare nell’Atlantico durante il viaggio alle Azzorre, e nuovamente la sorte avversa: non era stagione! Questa volta però il sogno si avvera. La Bahía de Banderas di Puerto Vallarta è il luogo perfetto per vedere le megattere che nei mesi invernali migrano dai freddi mari canadesi alle acque più calde della parte sud del Golfo di California. Eccoci quindi salire su di un catamarano in compagnia di una trentina di persone e prendere il largo verso la zona centrale della baia. Ben presto siamo in compagnia di altre barche che come noi sono venute a osservare l’affascinante spettacolo naturale di questi cetacei. Mentre combattiamo contro le onde del mare aperto e ascoltiamo il nostro capitano fornirci un po’ di informazioni, riusciamo a scovare all’orizzonte le prime pinne dorsali. Prima una, poi una coppia, le barche si avvicinano e le balene si spaventano e si immergono lasciando intravvedere la loro enorme coda piatta. Ben presto il mare si calma e ci allontaniamo dalle altre imbarcazioni ed è allora che inizia il vero divertimento. Inavvertitamente un’enorme coppia appare a poppa lanciando nell’aria grossi spruzzi di vapore acqueo da quello che apprendiamo essere il loro naso. Poi sulla sinistra una femmina in compagnia del piccolo ci accompagna per un breve tratto del viaggio mostrando innumerevoli volte il dorso e la coda per poi immergersi in cerca di cibo. Il capitano avverte che ci stiamo dirigendo verso una zona dove la madre sta insegnando al piccolo a saltare fuori dall’acqua; per un momento la barca accelera e il riflesso del mare ci acceca e poi all’improvviso vediamo una balena salire in verticale verso il cielo per poi ricadere pesantemente sul dorso. Semplicemente emozionante! Per una ventina di minuti rimaniamo in compagnia della coppia di megattere che sembrano divertite dalla nostra presenza e da quella di una piccola barca da pesca. La madre appare e scompare timidamente, mentre il piccolo si dimostra più audace mostrandosi altre due volte con delle piroette maestuose. Rimasti a bocca aperta per la bellezza dello spettacolo naturale, la megattera più grande ci concede un ultimo show eseguendo quasi al rallentatore un’immersione da manuale con la quale ci saluta con la sua enorme pinna caudale. E’ il momento di far ritorno al molo anche se le sorprese non sono finite quì. Sulla via verso il porto incontriamo una bellissima tartaruga verde che nuota a pelo d’acqua emergendo a tratti con la testa e boccheggiando con l’affilatissimo becco. E’ la chiusura di una giornata incredibile ed emozionante e di certo una delle più indimenticabili del nostro viaggio. Un giorno un mio amico viaggiatore mi disse che una delle cose più belle che aveva visto nella sua vita fu lo spettacolo naturale delle Galapagos; senza dubbio concordo pienamente con lui e speriamo un giorno di raggiungere le lontane isole di Darwin! lun 04 mar 2013 Un Nevado senza Neve Uno dei vulcani estinti più alti del Messico si trova ai confini tra lo stato di Jalisco e quello di Colima e da quest’ultimo prende il nome; Nevado de Colima appunto! Dopo aver chiesto alcune informazioni ai nostri amici di Autlán presso i quali siamo ospiti a cambio di lavoro nel loro ristorante, ci animiamo a provare l’ascesa al vulcano. Prendiamo un autobus che in due ore e mezzo ci porta alle falde della montagna nel paesino di El Fresnito. Qui siamo a 1800m e ci aspetta una lunga camminata di 16km con un dislivello di 1500m. Un’impresa impossibile, visto il fatto che quando iniziamo il cammino è già mezzogiorno e il sole picchia forte sopre le nostre teste. Imperterriti ci incamminiamo per la lunga mulattiera con la speranza di incontrare qualche auto dei guarda parco che ci possa portare fino alla zona di campeggio. Al principio la pendenza non sembra essere molto pronunciata ma dopo circa un’ora la fatica si fa già sentire; fortunatamente in lontananza sentiamo un’auto salire e dopo pochi minuti ci raggiunge. La fermiamo e molto semplicemente chiediamo alle due guardie se ci possono dare un passaggio fin sù. Con un cenno del capo accettano e cosi saliamo sul cassone del pick-up e in meno di un’ora arriviamo a La Joya a 3300m dove è possibile accampare. Mangiate un paio di cose e lasciati giù gli zaini nella piccola casetta che sarà la nostra dimora per la notte, ci mettiamo in cammino verso la cima. Non abbiamo certo intenzione di raggiungere la vetta situata a 4300m, però almeno di avvicinarci. L’aria in quota è rarefatta e si sente la fatica dell’ascesa, il sangue pulsa forte nella testa e il cuore batte più rapido del normale. Quando si superano i 3500m è meglio salire molto lentamente e senza fare sforzi eccessivi; cosi di quando in quando ci concediamo delle piccole pause anche perchè siamo un po’ fuori allenamento. La vista del Nevado è già spettacolare dalla zona del campeggio, ma più ci si avvicina più ci può ammirare il cono del vulcano estinto. Ben presto la strada piega verso Ovest, passando al versante occidentale della montagna, la salita si fa ancora più ripida, i nostri passi sempre più pesanti e l’andatura più lenta. In lontananza vediamo il cartello dei 4000! Lo raggiungiamo e per oggi diciamo basta. Da questo lato il vulcano non è così imponente come all’inizio, però la zona ci regala una spettacolare vista sul Vulcan de Fuego che ci sta di fronte. Questo sì è un vulcano attivo e sebbene al nostro arrivo non notiamo niente di strano, dopo alcuni minuti dal cratere inizia a salire una piccola colonna di fumo che poco a poco va espandendosi. E’ la prima volta che vediamo un vulcano in azione e sebbene l’eruzione non sia impressionante l’emozione è comunque molto forte, ancor di più se si sta osservando il tutto a 4000m di altezza che rappresentano per noi il nostro record! Scesi al campeggio ci prepariamo a passare la notte; ceniamo con un po’ di zuppa e frutta e poi ci chiudiamo nella tenda “piantata” in qualche modo all’interno delle piccole casette di legno. Ci prepariamo al freddo ma la notte è orribile, piedi e mani ghiacciati, mal di testa e insomnia dovuti al mal di montagna e un silenzio agghiacciante non ci fanno chiudere occhio; alla mattina la bottiglia di acqua fuori dalla tenda è ghiacciata. Alle otto iniziamo la discesa e in poco più di quattro ore siamo a valle con le gambe doloranti ma appagati dallo spettacolo e dall’emozione della montagna. Di una cosa siamo certi: non esistono città o aree archeologiche che reggano il confronto con l’immensità e la bellezza delle meraviglie naturali! dom 10 mar 2013 3 Mesi e non Sentirli Ebbene sì! Eccoci arrivati al nostro terzo mese di viaggio, novanta giorni e ancora camminiamo sul suolo messicano. Il fatto è che il Messico è un paese grandissimo, e nonostante i nostri 7000Km percorsi a bordo di autobus di qualsiasi tipo, abbiamo a mala pena visto metà di questo enorme paese. Beh che dico, metà no! Abbiamo visto molto finora, molto di più di quello che i normali viaggiatori o vacanzieri hanno l’opportunità di vedere e scoprire. All’inizio del viaggio il presupposto era procedere con calma. Primo perchè muoversi lentamente ti permette di assaporare meglio l’istantaneità dei luoghi, dico istantaneità perchè alla fine muovendosi da un posto all’altro non ci è permesso di vivere veramente una città o un paesaggio naturale, anche se sicuramente ci possiamo immergere in maniera più profonda del semplice turista “punta-e-scatta”. Il vantaggio del nostro incedere sono anche le spese. I costi del viaggiatore sono inversamente proporzionali alla velocità con cui decide di muoversi: più veloci ci si muove e più le spese aumentano. I nostri viaggi con gli autobus di seconda classe sono sì eterni, però molte volte ci permettono di vivere situazioni davvero divertenti e indimenticabili! A volte però capita di rimanere fermi in una città troppo a lungo e di annoiarsi un po’ per la mancanza di cose da fare; non sempre infatti la vita del viaggiatore può essere affascinante e ricca di avventure, a volte ci si deve anche immergere nella quotidianità della vita della gente che come sappiamo può essere monotona e piatta. Per un momento abbiamo valutato l’idea di comprare un auto; siamo anche stati al mercato delle auto usate, abbiamo parlato e contrattato con i venditori ed eravamo quasi vicino all’acquisto di un bellissimo VW Maggiolino bianco che quì in Messico sono comunissimi (l’ultima versione è addirittura del 2008). Un mezzo proprio ci permetterebbe di essere più indipendenti, di scappare dalla noia nel momento in cui la sentissimo avvicinarsi, di fuggire e saltare di città in città, di paese in paese. Ma non è questo quello che vogliamo. Vogliamo avere la possibilità di apprezzare con tranquillità il nostro viaggio, di poterci immergere il più possibile nella cultura e nello stile di vita dei paesi che attraverseremo, di essere per qualche giorno cittadini e non turisti, di uscire con i ragazzi che ci ospitano nelle loro case attraverso il Couchsurfing, di vivere un po’ al loro ritmo e perchè no di annoiarci un po’ con loro! Siamo stati in compagnia di insegnanti, di studenti, di ingegneri, di preti e di giovani che mandavano avanti un’attività propria, ed ognuno di loro, finora ci ha lasciato un’immagine del Messico. Diverse opinioni, diversi punti di vista, ossia Otras Miradas! Per questo abbiamo deciso, dopo tre mesi di non cambiare, di proseguire a questo ritmo e di concederci di quando in quando un’avventura su qualche montagna, su di un vulcano, su un treno o visitando una riserva naturale. Dopotutto se non viaggiassimo in autobus non avremo la possibilità di rilassarci, di leggere, di sdraiarci tra i sedili e vedere un film, di viaggiare in compagnia di una bambino seduto tra le nostre gambe, di rimanere in piedi due ore con il collo inclinato perchè il soffitto è troppo basso e non ci stiamo o semplicemente di passare sei ore di viaggio in compagnia di honduregni e cantare con loro al ritmo di Reggae! lun 11 mar 2013 Nella Terra di Mordor Ad ogni passo una nuvola di polvere si alza verso il cielo, guardiamo indietro e vediamo le orme lasciate dai nostri scarponi impresse nella sabbia vulcanica. Il cavallo sbuffa per liberarsi della cenere che si deposita nelle narici, mentre il nostro inaspettato compagno di viaggio si diverte a far volare via gli uccelli nel bosco. Oggi siamo diretti al Paricutín, uno dei vulcani più giovani della Terra e la nostra marcia è piacevolmente allegrata dalla compagnia della nostra guida, Cornelio e dal suo cane unitosi a noi nella speranza di ricevere un po’ di cibo. Il Paricutín spunta improvvisamente dal sottosuolo nella primavera del 1943 nel bel mezzo di un campo di mais di un contadino Purépecha della zona; per nove anni erutta lava e cenere nel cielo del Michoacán, finendo per distruggere completamente due villaggi e modificando la natura geologica e biologica della regione. Nella prima parte del nostro cammino attraversiamo una giovane foresta di pini; dopo l’eruzione del vulcano la vegetazione è stata completamente sostituita e lo si nota nelle piccole dimensioni dei tronchi. Su alcuni fianchi delle colline si coltivano le piante di avocado, la principale risorsa agricola della zona e indispensabile per la ricetta del guacamole messicano. Ovviamente non mancano le piante di maguey, resistenti e in grado di resistere anche in condizioni di aridità estrema, ed utilizzate nella produzione delpulque. Saliamo e scendiamo i pendii di un paio di colline, quando improvvisamente il bosco si arresta bruscamente. Cornelio lega il cavallo ad un albero e ci mostra la via attraverso il campo di lava. Quì ha inizio la terra di Mordor! La perfetta sagoma a tronco di cono del vulcano si staglia dritta davanti a noi, sembra lontanissima così com’è situata in un paesaggio che non lascia punti di riferimento. Balziamo tra una roccia e l’altra con la nostra guida al comando della spedizione e il cane a chiudere il gruppo. Le rocce nere assorbono le radiazioni luminose emanando calore e rallentando il nostro passo, sono affilate, alcune porose altre più compatte, scricchiolano in modo sinistro sotto i nostri passi e bisogna prestare attenzione perchè molte si muovono e rischiano di mandarci con il culo per terra. In meno di due ore raggiungiamo la base del cono vulcanico e quì inizia la parte più dura. La salita verso il cratere è rallentata dal fatto che ad ogni metro guadagnato se ne perde mezzo scivolando lungo il ghiaione, in più l’aria calda e la polvere seccano la gola rendendo difficile l’avanzata. Sulla nostra sinistra si apre alla vista il cratere minore; il vapore acqueo sale tuttora da alcune fessure tra le rocce e mescolato allo zolfo ne colora alcune di bianco. A poco più della metà della salita Tania decide di risparmiare le forze per il ritorno e ritorna con la nostra guida verso la cima del secondo cratere; io proseguo per altri venti minuti fino alla cima. Dalla cima assaporo la vista dell’area circostante, delle colate di lava solidificate, del cratere imploso su se stesso nell’ultima eruzione del Paricutín, per la prima volta sono sulla cima di un vulcano, a 2800m! La discesa dalla cima è rapida dato che si tratta di scivolare tra la sabbia vulcanica; incontro il resto della compagnia, facciamo un giro attorno al cratere minore e ci prepariamo per il ritorno. Ci aspettano altre due ore attraverso le poco appetibili rocce scure e affilate del canale di lava, poi finalmente l’ombra dei pini, gli ultimi kilometri fino al villaggio di Anghauán e per terminare un bel litro di acqua di melone e due panini a base di avocado e petto di pollo. Così termina un’altra avventura del nostro lungo viaggio! jue 14 mar 2013 Michoacán Quando ci avevano detto che Michoacán era uno degli stati più belli delle paese ci credevamo, però stavamo aspettando di poterlo visitare per poter confermare il passaparola della gente. Ora che l’abbiamo visitato possiamo dire che sì, Michoacán incanta! Incanta perchè a differenza degli altri stati dell’altopiano centrale è pieno di foreste di conifere, incanta perchè i paesi e le città sono piccole ed accoglienti, incanta per i suoi laghi, l’artigianato e le tradizioni locali e vorrei dire per le spiagge, che sfortunatamente non abbiamo visto. Incanta per l’avocado, i gelati e molte altre bontà culinarie, incanta perchè ospita ogni anno millioni di farfalle nella sua riserva. In Michoacán ci si sente come in un altro paese, tutto è più tranquillo, più verde, d’estate come d’inverno, tutto è più piccolo e a portata di mano. Basta visitare Morelia, la capitale, casa natale dell’eroe dell’indipendenza messicana José Maria Morelos. La città incastonata in una valle tra le montagne, ha un fascino coloniale tutto suo. La vita gira attorno alla meravigliosa piazza centrale con la sua imponente cattedrale di marmo rosa, i suoi palazzi governativi, i suoi caffè e le aree verdi. Morelia è una capitale, ma quando vi si giunge sembra di essere in un piccolo paese di campagna per l’incredibile assenza del traffico caotico che caratterizza le città messicane. Tutto ha un suo equilibrio e una sua armonia e certe volte sembra di passeggiare in una città europea. Sicuramente si gioca con Guanajuato il primato tra le città coloniali del paese e direi se lo merita tutto! Ma la perla del Michoacán è sicuramente la “Reserva de la Mariposa Monarca”. Un parco naturale protetto in cui ogni anno millioni di farfalle vengono a passare l’inverno dopo una migrazione di 4500km dai grandi laghi dell’America Settentrionale. Tra gli abeti bianchi e rossi della foresta a 3000m d’altitudine, le farfalle trascorrono i 3/4 mesi invernali per poi fare ritorno a Nord quando inizia la primavera. La cosa strana è che le farfalle che giungeranno alla riserva l’anno seguente, saranno le nipoti di quelle che la abbandonano quest’anno, e ancora oggi gli scienziati non riescono a spiegare questo magico fenomeno della natura. Al nostro arrivo non siamo fortunati come con le balene; piove e fa freddo, e più della metà della colonia è già partita la settimana prima. Tuttavia ci addentriamo nella foresta e dopo un’ora di cammino le avvistiamo tutte ammassate tra gli alberi nel tentativo di proteggersi e darsi calore a vicenda. Sembra che i pini abbiano le foglie al posto degli aghi. Per il freddo stanno chiuse e non volano, nonostante tutto lo spettacolo è a suo modo fantastico. Magari un giorno ritorneremo in questo meraviglioso stato e sicuramente faremo ritorno alla riserva per poter vedere le farfalle volare in tutto il loro splendore...e poi mancano le spiagge ovviamente! dom 17 mar 2013 Weekend con Amici Quando si visita un paese straniero la fortuna di avere degli amici è un fattore da non sottovalutare. Lasciato Michoacán entriamo nello stato di Morelos ed arriviamo a Cuernavaca; quì ad attenderci alla stazione c’è il nostro amico Israim. Isra l’abbiamo conosciuto in Italia, quando nel Luglio scorso venne per un convegno universitario. Si mise in contatto con noi attraverso couchsurfing e lo ospitammo per tre giorni a Padova. Subito stringemmo una buona amicizia, condividendo insieme a lui la passione per il viaggio, la scoperta e l’avventura; ci lasciammo con la promessa di rivederci in Messico, e adesso eccoci quì! Il giorno seguente si uniscono a noi anche Violeta e Ulises, altri due amici conosciuti tramite Israim e che ci avevano ospitato a Città del Messico. Tutti assieme ci dirigiamo a visitare le grotte di Cacahuamilpa e poi il bellissimo pueblo magico di Taxco. Siamo in grande compagnia, gli raccontiamo delle nostre avventure nel loro paese, di quello che più ci è piaciuto, parliamo di cibo, di tradizioni e di culture indigene. Anche loro sono grandi viaggiatori: Ulises si è fatto tutta la Baja California in autostop oltre ad aver visitato moltissime altre regioni del Messico, la sorella è invece amante delle avventure estreme e ci parla benissimo dello stato che a lei più piace: Chiapas, nostra prossima meta! Con loro chiacchieriamo anche della loro vita da studenti. Tutti sono laureati e stanno facendo o hanno fatto un master o un dottorato presso la loro università. Si trovano bene e sono soddisfatti, la borsa di studio che ricevono gli permette di vivere da soli con un proprio appartamento e non devono fare i salti mortali come dovremmo fare noi al loro posto nei nostri paesi se fossimo iscritti ad un dottorato. Essere studenti in Messico è quasi un privilegio: si entra gratis nei musei, nelle aree archeologiche, si pagano gli autobus a metà prezzo e il cinema, il teatro, i concerti, ecc... basta pensare che la tassa annuale di iscrizione alla UNAM di Città del Messico costa qualcosa come 50 centesimi! Ridicolo se confrontata con le nostre tasse universitarie. E poi ci sono corsi gratuiti di tutti i tipi, dalle lingue alle arti, accesso illimitato ad un’enorme biblioteca e spazi verdi dove giocare a tennis, calcio, pallavolo, ping pong, ecc... Insomma rimaniamo a bocca aperta per tutte le possibilità di cui dispongono e anche per la faticosa salita al mirador da cui si ammira tutto il paese di Taxco nella sua intatta bellezza. Sulla via del ritorno ci aspetta un’altra sorpresa; da lontano si vedono le cime innevate di due tra i vulcani più alti del paese, illuminate dalla colorata luce del tramonto. Tra un paio di giorni abbiamo deciso. Cercheremo di avvicinarci il più possibile! mié 20 mar 2013 Tra i Due Vulcani Seduti tra la steppa vulcanica che divide i due giganti del Messico, ammiriamo il paesaggio circostante. Davanti a noi si erge maestuoso il cono del Popocatépetl tutto coperto di neve e incapucciato da un gruppo di nuvole. Con i suoi 5465m è la seconda cima più alta del Messico, superato solamente da un altro vulcano: il Pico de Orizaba. Il Popo è uno dei vulcani del Centro America più attivi; la sua ultima eruzione risale al 1994 e da allora viene continuamente monitorata la sua attività e ne è interdetto l’accesso. Da secoli la Montagna Fumante fa da guardiana alla Donna Bianca sdraiata davanti a lei; l’Itzaccíhuatl rappresenta invece la terza cima del paese con i suoi 5220m. Il complesso roccioso è composto da tre vette e da due minori che si estendono verso il Popo, ed ognuna di essa rappresenta una parte del corpo di una donna: la testa, il seno, le ginocchia e i piedi. Da lontano, quando le cime sono innevate, la signora sembra indossare un vestito bianco. Per gli Aztechi era appunto la signora vestita di bianco: Iztac = bianca, cíhuatl = signora in lingua náhuatl. Seduti sul prato del passo di Cortés possiamo godere della vista dei due vulcani. Le nuvole li coprono entrambi, ma pazienti aspettiamo finchè la cima del Popo si scopre lasciando intravedere il bordo del suo enorme cratere rivolto verso Est. Dal suo interno a tratti escono sbottanti grosse nubi di vapore acqueo che rapidamente si addensano formando altre nuvole che ne ricoprono la sommità. Dall’altro lato la signora in bianco è meno visibile da questa prospettiva, anche se con un po’ di immaginazione si arriva a ricostruirne il profilo. Si vedono i piedi lungo i quali si fà largo uno dei sentieri che portano alla cima. Narra la leggenda che il guerriero Tlaxcalteca Popocatépetl prima di andare in guerra contro gli Aztechi chiese la mano della figlia del cacique Iztaccíhuatl della quale era innamorato. Il capo della tribù gliela concesse onorato della richiesta del guerriero. Durante l’assenza di Popocatépetl la ragazza viene avvertita della morte dell’amato in battaglia e per il dolore si suicida. Ritornato vittorioso in città Popo trova l’amata morta e decide di costruirle una tomba sopra la montagna; la carica con se e la porta tra le cime dove si pone a vegliarne il corpo durante la notte con una torcia accesa nella mano. Durante la notte una tormenta di neve li sorprende ricoprendoli di bianco, sebbene la torcia di Popocatépetl continui fumando e vigilando la sua amata per l’eternità. L’aria è fredda e il sole quando si fà vedere picchia forte. Ancora una volta la Natura ci regala un paesaggio memorabile. Senza dubbio uno dei simboli del Messico! lun 25 mar 2013 Nuovamente a Sud Questa volta cambiamo modo di viaggiare. Tramite Couchsurfing contattiamo nel gruppo di Car-Sharing del Messico un ragazzo francese che dispone di mezzo proprio per poter trasferirci a Oaxaca. Ci incontriamo con lui nella piazza di Puebla e assieme ad un’altra ragazza inglese proveniente dal DF saliamo a bordo del nuovo mezzo! Thibault è in viaggio da sei mesi, i primi due li ha spesi viaggiando per il Canada, dal Quebéc a Vancouver in autostop. Lì attraverso un amico ha potuto acquistare un furgone Dodge Ram giallo già completamente attrezzato; dispone infatti di letto matrimoniale, cucina, stoviglie e tutto il necessario per spostarsi e dormire a bordo. Dal Nord-Ovest del Canada è sceso attraversando gli stati della costa pacifica americana: Washington, Oregon, California e per finire Arizona. Poi è entrato in Messico e tutt’ora pensa di starci un altro po’ e poi tornare a casa. Susie è invece inglese, di Brighton, anche lei ha girato prima gli Stati Uniti, poi il Messico ed è stata anche in Guatemala come noi nella zona Nord. Entrambi hanno deciso di partire per le loro rispettive avventure senza avere molti soldi; Susie ha lavorato in qualche ostello lungo il cammino prendendo un po’ di soldi, e si sono incontrati facendo WWOOFingin una finca in cui volevamo andare anche noi. Il viaggio a bordo del furgone è divertente e piacevole, diverso dai soliti spostamenti in autobus. Parliamo un po’ in spagnolo e un po’ in inglese, attraversiamo una zona desertica piena di cactus enormi e penso che questa sarà una delle ultime volte in cui viaggeremo in compagna di un paesaggio del genere. Ormai ci dirigiamo verso Sud, verso le foreste del Chiapas e gli altipiani del Guatemala. Le montagne a Est formano una barriera naturale che blocca le nuvole che rimangono sopra la cime come lenzuola di cotone bianco; ecco spiegato il motivo di tanta siccità! Saliamo e scendiamo tra le montagne della Sierra del Sur e alla fine giungiamo a Oaxaca, capitale dell’omonimo stato. Moltissima gente ci ha parlato bene della città e dei suoi dintorni, del suo cibo, dei mercati, ecc... ma la verità è che Oaxaca non è né più né meno che un’altra città coloniale messicana. Certo all’occhio del turista che arriva da fuori è si imbatte nella realtà locale per la prima volta, l’impatto dev’essere molto forte, ma per noi ormai assuefatti della cultura messicana la sopresa non è così esaltante. Con questo non voglio sminuire il fascino della città, è piena di libreria e di gallerie d’arte, il tempio di Santo Domingo è forse una delle chiese più belle del Messico ela vita di strada è molto animata. Di fatto ci accorgiamo di essere tornati al Sud quando vediamo per le strade e nelle piazze centinaia di indigeni locali con i loro vestiti colorati. Per questo Oaxaca è anche una città di contraddizioni, dovrebbe essere economica ma non lo è, anzi alcune cose al mercato sono più care che nel resto del Messico, inoltre lo Zocalo è sede ogni giorno di menifestazione indigene contro il governatore dello stato. Attorno alla città sono sparse le rovine della civiltà Zapoteca, Monte Albán e Mitla sono le principali. Il primo beneficia di una strategica e bellissima posizione su di una montagna che domina la città e dalla quale si gode una vista a tuttondo sulle valle circostanti; come sito archeologico non è molto grande e non impressiona per le sue costruzioni, tuttavia è pieno di gente e di guide che non fanno altro che elogiare la grandezza e intelligenza di una civiltà che non conosceva l’uso della ruota e che era riuscita a dividere le stagioni e i giorni quando in Europa già ci si avvistavano i satelliti di Giove e si era creato l’orologio. Mitla invece è un po’ diverse dalle altre rovine preispaniche, era un sito cerimoniale e residenziale del quale rimangono tre piazze circondate da palazzi non immensi, ma comunque finemente decorati. Per certi versi le zone residenziali ricordano le domuslatine, con un grande patio quadrato al centro, circondato ai quattro lati da stanze e corridoii. All’interno di uno dei patii gli spagnoli costruiranno la chiesa di San Pablo che, sebbene contrasti con la civiltà preispanica, crea comunque un effetto unico all’occhio del visitatore. Molti criticano l’opera dei conquistadores, ma almeno si tratta di un edificio con un suo valore architettonico e artistico; e a mio avviso leggermente migliore delle case costruite dai messicani attorno alle rovine. Credo sia meglio vedere tre cupole rosse che un paio di Rotoplast neri sulla sommità di un solaio di cemento armato con le armature a vista! jue 28 mar 2013 Raccomandazioni per Viaggiare durante la Pasqua Una delle cose che più spaventa il viaggiatore è l’arrivo delle festività. Di più di essere derubato o di perdersi in una città che non conosce; le festività, soprattutto quelle natalizie e pasquali sono terribili. Ciò che accade è che in questi momenti i viaggiatori si vedono costretti a mescolarsi ai vacanzieri, i quali sono in numero assai maggiore, determinati e agguerriti ad arrivare fino alla meta. In quei giorni è meglio starsene tranquilli, nascosti da qualche parte e leggere un buon libro o girovagare per la città semideserta. E invece no! Noi giovani pivelli abbiamo la brillante idea di muoverci proprio il giovedi santo, e di dirigerci verso la spiaggia dove ovviamente vanno tutti, Puerto Escondido. Il problema di viaggiare in queste date è che non si trovano posti liberi negli autobus o nelle combi, e anche se si trovano si è costretti a fare 7/8 ore di viaggio impacchettati come sardine in una scatola di metallo con le ruote. La gente che va in vacanza si deve sempre portare tutta la casa a presso: stoviglie, giocattoli, tende, ombrelloni, vestiti, ecc... Poi c’è il fatto che ovviamente le strade sono intasate dal traffico, non solo le strade ma anche i marciapiedi. In Messico i marciapiedi di fatto non esistono, perchè sono occupati dai venditori ambulanti con i loro tendoni e le loro bancarelle; sicché si è costretti a camminare con 15kg in spalla facendo gli equilibristi tra i marciapiedi, i pali della luce, i cavi elettrici penzolanti e le bancarelle. Quando si arriva infine a destinazione e si tira un sospiro di sollievo, l’avventura non è ancora terminata! Gli ostelli sono pieni, le posadas traboccano di studenti in cerca dell’alloggio più economico, gli hotel sono presi d’assalto dalle famiglie più benestanti, in fuga dal caos delle grandi città e in cerca di relax nella bolgia di un piccolo paesino sulla costa. Per fortuna siamo armati di una piccola tenda da campeggio, pensando così di essere sistemati; ci sarà pure un qualche posto sulla spiaggia dove poter accampare! Il luogo lo troviamo, arriviamo alle 10 di sera, entriamo e ci troviamo nel bel mezzo di una festa di studenti diociottenni della capitale. Ci dicono di piantare la tenda nel mezzo perchè non c’è più posto, così la notte non chiudiamo occhio e malediciamo le benedette feste pasquali. Non tutti i mali vengono gli studenti se ne vanno, di conoscere i proprietari Messico ormai da quindici per nuocere, il giorno seguente quando clamorosamente rimaniamo in pochi nel campeggio e abbiamo l’occasione dell’ostello. Sono due coppie italo-francesi, trasferitesi in anni e molto felici della loro scelta. Essendo in quattro possono turnarsi a due a due nella gestione del negozio, così di quando in quando possono prendersi delle vacanze e non dipendere troppo dalla loro attività. Come dicono loro non si sentono schiavi del lavoro. Chiacchieriamo soprattutto con Simona, di Como, che ci informa delle problematiche e dei vantaggi di questo tipo di attività e poi ci lascia gli indirizzi di altri ostelli di italiani sparsi per il Centroamerica; nel lago Atitlán in Guatemala e nell’isola di Ometepe in Nicaragua. Chissà, forse anche noi un giorno apriremo un ostello tutto nostro, anzi se magari qualcuno ha voglia di associarsi, sarete i benvenuti!!! mar 02 abr 2013 Toniná La bellezza delle rovine Maya è probabilmente il fatto che non esistono in tutto il Centroamerica due siti cerimoniali uguali. Toniná è uno di quelli che si differenzia maggiormente e non si dimentica facilmente. Il sito si trova 14 Km a Est di Ocosingo, una zona in cui la presenza zapatista è stata ed è tuttora abbastanza forte; lo si nota dalle scritte, dai murales e dai cartelli che ricordano come molti terreni siano di proprietà dei fieri indigeni locali e non siano in vendita, e lo si nota anche e soprattutto grazie alla presenza di un’enorme base militare costruita proprio lungo la strada che da centro del paese porta a Toniná. Uno si chiede perchè dovrebbero esserci tanti militari in una zona così tranquilla tra le montagne del Chiapas; gli ultimi vent’anni di lotte indigene sono la risposta a questa domanda! Nella sua estensione il sito non è grandissimo, tuttavia impressiona per la sua imponenza. Sul lato di una collina alta circa una settantina di metri, si ergono all’incirca 13-14 templi distribuiti su 7 livelli, gli ultimi due dei quali sostengono quattro templi ciascuno. Il nome Toniná deriva dalla parola del maya Tzeltal che tradotta letteralmente significa: “luogo in cui si costruiscono strutture di pietra in onore al tempo”. La parte bassa della città non è stata portata alla luce, principalmente per il fatto che i terreni zapatisti che accerchiano il sito non hanno concesso all’ente federale l’accesso alla zona per permettere ulteriori scavi; di conseguenza tutto si concentra attorno alla collina. Sette livelli sopra i quali si costruirono templi, altari, residenze dei sacerdoti, tombe, ecc... quì l’Acropoli si trasforma in Città vera e propria! Iniziamo la nostra salita sul versante destro del monticolo, una zona caratterizzata dalla presenza di edifici residenziali contraddisinti da piccole stanze unite tra loro da labirintici corridoii; poi si iniziano ad incontrare le prime stele, erette per scandire i periodi più importanti della città. I templi costruiti con la tipica falsa volta a modiglioni ci ricordano le costruzioni di Palenque, così come le coperture decorate dai fregi a reticolo ci fanno tornare alla mente le costruizioni di Yaxchilán. E’ un piacere, dopo molto tempo, visitare un’altra zona archeologica, toccare le pietre millenarie che i Maya ci hanno lasciato in eredità, entrare nei misteriosi e buii corridoi dei templi e immaginarli decorati con lo stucco bianco e rosso, e poi salire i gradini sconnnessi fino ad arrivare alla cima. Dalla sommità dell’ultimo tempio la brezza ti accarezza il viso, ti scompiglia i capelli e il sole ti scalda la pelle; da quì si gode della vista di tutta la valle circostante, ai lati piccole colline sembrano celare altri misteri della Storia, e alle spalle le montagne della Sierra sembrano vigilare perennemente sopra Toniná. Per un momento ci viene voglia di tornare a Tulum, a Chichén, Uxmal, Edzná, Palenque, Yaxchilán e Tikal, tutte queste meraviglie di pietra calcarea immerse nella giugla o lungo la costa caraibica o nascoste tra l’ansa di un fiume o sulle pendici delle colline. Anche se a volte siamo stati un po’ critici nei confronti della civiltà Maya, tutti questi luoghi, nel momento del loro massimo apogeo, non hanno avuto niente da invidiare alle più grandi costruzioni egizie, greche o romane. Dopotutto il “mondo Maya” ti emoziona! jue 04 abr 2013 Sull'Altopiano Chiapaneco Per chi visita la zona meridionale del Messico, la città di San Cristóbal de Las Casas è uno spot indicato da tutte le guide come “not-to-be-missed”. Un po’ come visitare la Francia e non passare per Parigi, o l’Italia e non passeggiare per Firenze! Certo il paragone con le grandi città europee è un po’ azzardato, nel senso che San Cristóbal non ha niente da offrire al viaggiatore o al turista di passaggio, se non le tipiche chiese coloniali e la strade acciottolate che abbiamo trovato in decine di altre città messicane. Ma allora, perchè San Cristóbal continua ad essere presa d’assalto da migliaia di turisti al giorno? La risposta è semplice, San Cristóbal ha qualcosa che le altre città non hanno! Non sono solo i numerosi indigeni presenti in città a darle un tocco in più, anche Oaxaca, Mérida, Valladolid sono prese di mira dalle popolazioni di origine preispanica; quello che rende speciale San Cristóbal è tutto l’ambiente. Sono le sue chiese colorate, le stradine piene di ristoranti e bar alla moda, i mercati pieni di fango e pullulanti di gente indaffarata a vendere frutta, verdura e carne, i colorati huipiles delle donne indigene, i loro sguardi sorridenti e fieri, i bambini che giocano agli angoli delle strade, i musicisti di strada e poi ovviamente il paesaggio circostante, le montagne di pini avvolte perennemente nella foschia e coperte da grosse nuvole bianche. Camminando tra le strade si sente l’intenso odore di caffè chiapaneco uscire dai bar e mescolarsi a quello dolce dei tamales e delle pannocchie cotte alla brace che i venditori ambulanti ti offrono per strada; gli odori si mescolano ai colori dei vestiti indigeni che vendono i negozi. Ce ne sono a centinaia, ma mai troppo insistenti e mai ci si stanca di entrare a curiosare tra le decine di stoffe colorate, dalle gonne ai huipiles, dalle camicie ai pantaloni. San Cristóbal è stata anche teatro della rivolta zapatista iniziata nel Gennaio ’94, con la presa del palazzo governativo e ancora oggi è sede di manifestazioni sporadiche, l’ultima della quale ha avuto luogo il 21 Dicembre scorso con l’avvento del 13º Baktun. Quel giorno la città è stata testimone di una delle marce più numerose della storia del Chiapas con ben 50000 indigeni marciare incappucciati sulle strade della città. Segno che lo zapatismo è ancora forte e ha intenzione di proseguire per molto tempo. Durante il nostro soggiorno in città cogliamo l’occasione per assistere alla proiezione di un documentario riguardante la rivolta zapatista; la storia degli avvenimenti ci rinfresca un po’ la memoria, solo che adesso le cose appaiono differenti. Mentre si è a casa e si leggono informazioni o si ascoltano notizie in televisione tutto sembra così eccitante e in molti casi stimolante; tuttavia le cose viste dal vero si osservano con altri occhi (otras miradas)! In parte la lotta zapatista è indirizzata, come dice il Subcomandante Marcos “[...] per l’umanità e contro il neoliberismo”. Leggendo le varie “dichiarazioni della Selva Lacandona” si apprezza come lo zapatismo si schieri contro il consumismo e lo stile di vita occidentale che per moltissime ragioni è arrivato al capolinea, creando crisi economiche e situazioni politico-sociali instabili nella maggiorparte dei paesi sviluppati. In molti casi viene chiamato in causa lo stile di vita indigeno, molto più sobrio e legato alla natura, come esempio di possibile via d’uscita dalla società dei consumi imposta nel mondo occidentale. Tuttavia, viaggiando in questa zona del Chiapas, in molti casi ci si imbatte in indigeni che preferiscono i grandi centri commerciali più economici ai mercati locali in cui i loro compagni vendono i propri prodotti, oppure in mamme che preferiscono nutrire i loro figli a base di Coca Cola in luogo del latte, che purtroppo in Messico vale tre volte il prezzo della bevanda americana. L’economia ha un peso troppo grande nella società, a maggior ragione in questa zona dove i salari sono molto bassi e la gente cerca di spendere il meno possibile per poter sopravvivvere. Il neoliberismo probabilmente è una bestia troppo grande per essere sconfitta, in fondo un po’ come lo zapatismo, non esiste perchè siamo tutti e nessuno allo stesso momento. C’è da sperare quindi che lo zapatismo perduri e si diffonda come il suo compagno occidentale, e magari in un futuro non molto lontano possa essere generatore di un nuovo stile di vita. lun 08 abr 2013 Elogio a Chiapas Girando il Messico in lungo e in largo ci è capitato di incontrare moltissime persone che, dopo le normali raccomandazioni sul cibo locale da provare, ci suggerivano assolutamente di visitare il Chiapas. Alla fine come chiusura del nostro viaggio nel paese abbiamo messo piede nello stato più meridionale del Messico, quello che confina con il Guatemala. E il Chiapas non ha tradito le nostre aspettative. Davvero è uno degli stati messicani più belli, probabilmente perchè è più vario e completo. La zona meridionale e orientale dello stato è caratterizzata dalla presenza della Selva Lacandona all’interno della quale si nascondono aree archeologiche particolari come quella di Yaxchilán, nascosta lungo l’ansa del fiume Usumacinta, o quella di Bonampak, senza dimenticare Palenque che rimane senza dubbio una delle più belle del Messico. A mano a mano che ci si sposta verso Ovest e si sale verso “Los Altos de Chiapas” ci si imbatte in una miriade di fiumi e ruscelli che formano meravigliosi salti d’acqua e cascate. E’ il caso per esempio della strada che da Palenque porta a San Cristóbal, lungo la quale si incontrano le bellissime cascate di Agua Azul e di Misol Há. Sebbene quest’ultime siano le più famose e visitate tra i turisti, a nostro parere bisogna spingersi più a Sud per entrare in contatto con una natura ancora più bella ed incontaminata. La città di Comitán è ad esempio un punto strategico per chi desidera stare lontano dalle aree più affollate ed immergersi nella natura lussureggiante. Da quì è possibile accedere alle bellissime cascate di El Chiflón, un’area verde in cui fare il bagno tra pozze d’acqua color turchese, camminare nella foresta alla scoperta di molteplici salti d’acqua fino a giungere alla cascata più alta, el velo de novia (il velo della sposa) che con i suoi 65m di altezza spruzza acqua fresca sui visi sudati di chi ha avuto l’ardore di scoprirla. Senza dubbio la zona più bella è quella lungo la Carretera Fronteriza, la strada che corre parallela al confine col Guatemala. Da Comitán si sale leggermente verso una zona boscosa disseminata da pini e piccoli laghi smeraldo-turchese, i Lagos de Montebello. Dopodichè si inizia a slalomeggiare tra i tornanti e le curve che scendono rapide verso la selva, i pini scompaiono e lasciano il posto ad un groviglio di piante che in molti tratti bloccano il passaggio della luce. Lungo questo percorso tortuoso si fa largo il fiume Santo Domingo, il quale tra le sue numerose anse nasconde piccoli angoli di paradiso, come quello di Las Nubes, un centro ecoturistico nel quale è possibile bagnarsi assieme agli indigeni locali in limpide piscine naturali ed ammirare l’impeto del fiume scavarsi il cammino tra rocce calcaree, grotte e salti d’acqua di incantevole bellezza. La zona dell’altopiano è invece caratterizzata da una forte presenza indigena. Attorno alla città di San Cristóbal si disperdono centinaia di villaggi di etnia Tzotzil e Tzeltal nei quali i fieri abitanti sono sempre indaffarati nei lavori quotidiani come la raccolta della legna, il pascolo o il lavoro nella milpa. Gli indigeni di quest’area sembrano molto più attivi e più fieri di quelli ad esempio che si incontrano nello Yucatán. Non a caso questa è la zona in cui nacque lo zapatismo e in cui tuttora lo si incontra molto attivo, con le comunità autonome organizzate nelle cosiddette Juntas de Buen Gobierno, ovvero piccoli governi locali all’interno dei quali è la comunità intera a prendere tutte le decisioni in quelli che vengono chiamati Caracol. Una regione che per molti aspetti assomiglia al Trentino Alto-Adige o ai Paesi Baschi spagnoli: in cui sono radicate forti tradizioni locali, fieri abitanti orgogliosi delle loro origini e la presenza di innumerevoli risorse naturali, come acqua, legname, mais, caffè, energia elettrica e turismo; ma che nonostante tutto, secondo le statistiche messicane, rimane lo stato più povero del paese. Una regione sicuramente da non perdere per chi ha l’occasione di visitare il Messico! mié 10 abr 2013 Chicken Bus! Arriviamo a Ciudad Cuauthémoc con la consueta combi, scendiamo a ci carichiamo gli zaini in spalla diretti all’ufficio messicano di immigrazione per farci timbrare i passaporti e pagare la tassa di uscita. La ragazza dell’ufficio è gentile, ci pone il timbro, 10 Abril 2013, esattamente 4 mesi dopo il nostro ingresso, 10 Diciembre 2012, e ci augura buon proseguimento. Sfortunatamente il confine guatemalteco dista da quello messicano 4km, per cui dobbiamo attraversare la terra di nessuno a bordo di un taxi pigiati come sardine assieme ad altri messicani diretti in Guatemala. La “no mans land” è caratterizzata dalla presenza di due immense discariche; tonnellate di spazzatura che vengono riversate sul fianco di una montagna da camion e scavatrici, nel tentativo di nascondere sotto la roccia tutti gli scarti dell’essere umano; mentre centinaia di avvoltoi sorvolano l’area in cerca di cibo. Quando arriviamo a La Mesilla veniamo subito presi d’assalto dai cambiavalute locali; è sconsigliatissimo cambiare denaro per strada, però loro fanno i prezzi migliori, per cui ci liberiamo dei pochi pesos messicani in nostro possesso e ci mettiamo in tasca i primi quetzales. Poi via di nuovo all’ufficio, dove ci timbrano il passaporto e ci danno il benvenuto in Centro America. Ci confermano che potremo viaggiare per 90 giorni all’interno dell’area caratterizzata dal CA-4, ovvero Guatemala, Honduras, El Salvador e Nicaragua. Non credo ci basteranno 3 mesi, per cui dovremo chiedere un prolugamento in una qualche ambasciata! Infine eccoci in Guatemala, si nota subito una certa differenza, la confusione per strada è aumentata rispetto al Messico, i venditori ambulanti di fatto occupano entrambe le corsie costringendo le auto a slalom improbabili tra la gente e le bancarelle; le moto, i tuk tuk e le bici contribuiscono ad aumentare l’effetto caos che si crea tra le polverose strade del paese. Saliamo all’incirca 2km attraverso il marasma con gli zaini grandi caricati dietro e quelli piccoli davanti, la gente ci guarda stranamente concedendoci un sorriso; chiediamo della stazione degli autobus e ci rispondono con un “todo recto”. Un notevole cambiamento rispetto al “todo derecho en la esquina...” messicano! Quì basta andare sempre dritti e si arriva da qualche parte. Finalmente arriviamo alla stazione, ma non è come la immaginavamo; non c’è nessuna biglietteria, il passaggio si paga a bordo, e non c’è nessun autobus che assomigli ad un autobus. In Guatemala si viaggia a bordo dei famigerati chicken bus. I chicken bus sono vecchi autobus, quasi tutti della compagnia “Blue Bird”, usati negli anni ’50-’60 per il trasporto scolastico negli Stati Uniti. Grazie a questo magnanimo gesto di bontà gli americani si liberarono dei loro mezzi peggiori e il Guatemala balzò in testa alla classifica di paese più inquinato del Centroamerica. Il vantaggio del viaggio in chicken bus sono i prezzi ed il divertimento/rischio. Paghiamo poco meno di 2€ per i 90km che ci aspettano, (da casa mia a Padova pagavo di più per fare meno di 20km!) e saliamo a bordo delle montagne russe. Pronti, partenza, via!!! lun 15 abr 2013 Dove la Cultura Maya è Ancora Viva Entrando in Guatemala da Ovest ci si inbatte in una serie di verdeggianti montagne e profonde vallate che formano gli altopiani occidentali; in questa regione la cultura indigena è viva, colorate e affascinante. Confrontata con il Sud del Messico o la penisola dello Yucatán, in questa zona la cultura maya è molto più radicata e le antiche tradizioni, usi e costumi sono ancora fortemente e orgogliosamente difesi dalle popolazioni locali. Basti pensare che esistono almeno 23 lingue maya riconosciute ufficialmente dalla costituzione guatemalteca e che moltissime persone che si incontrano nei paesi non parlano lo spagnolo, o comunque chi lo parla lo considera come una seconda lingua. La fascia settentrionale che confina col Messico è caratterizzata dalla Cordillera de los Cuchumatanes, dove a 3000 metri tra verdi e e rocciosi pascoli sorge la cittadina di Todos Santos. Quì sono gli uomini ad indossare gli abiti tradizionali più vistosi: pantaloni a righe bianche e rosse, piccoli cappelli di paglia con nastri blu e giacche a strisce multicolore con spessi colletti di lana. Le donne vanno e vengono dalla piazza principale dove si svolge il mercato in cui vendono i loro prodotti ortofrutticoli. Più a Sud, nel villaggio di San Martín Sacatepéquez i maya svolgono ancora i loro riti cerimoniali presso le sponde della laguna Chicabal; un lago annidato nel cratere di un vulcano spento largo all’incirca 500m e fondo 300m. Per raggiungerlo partiamo dal villaggio e attraversiamo molteplici campi coltivati a patate, cipolle, verze e mais; gli uomini indaffarati nei lavori quotidiani zappano, tagliano legna e la trasportano dal bosco, mentre le donne si riuniscono in un piazzetta dove sgranocchiano le pannocchie e in calderoni arrugginiti nixtamalizzano il mais, facendolo bollire con la calce per poterlo poi schiacciare e ottenere la farina per le tortillas. Allontanandoci dal villaggio il sentiero si immerge nella foresta nebulare in cui la nebbia prende il sopravvento; raggiunto il bordo del cratere scendiamo un centinaio di gradini in legno fino a raggiungere le sponde della laguna. L’aura di mistero dovuta alla fitta nebbia è maggiormente amplificata dalla presenza di un gruppo di indigeni che non vediamo, ma ascoltiamo cantare e pregare in una lingua a noi incomprensibile. Ci troviamo, come dicono i cartelli nel “centro della visione cosmica dei maya Mam”. Non molto lontano da quì, in una graziosa vallata circondata da pinete, sorge il villaggio di Momostenango in cui gli abitanti producono coperte e poncho di lana. In questa zona si utilizza ancora oggi il calendario maya e gli altari della città sono teatro di cerimonie che hanno luogo in date importanti dal punto di vista astronomico come il solstizio d’estate, l’equinozio di primavera e il cambio dell’anno maya di 260 giorni. Spingendosi ancora più a Sud si raggiunge Quetzaltenango, la seconda città del Guatemala, adagiata sul fondo di una valle e sulla quale si proietta perennemente l’ombra del vulcano Santa Maria. A pochi chilometri della città si trova il paesino di San Andrés Xecul, famoso per la sua abbagliante chiesa coloniale la cui sgargiante facciata gialla è decorata da grottesche figure dai colori vivaci, fiori, e viti rampicanti, ed improbabili rappresentazioni di tigri e scimmie sgambettanti. Gli indigeni hanno messo tutto il loro impegno nella decorazione della chiesa, e anche se non hanno raggiunto i livelli di Michelangelo o Raffaello, hanno comunque dato un tocco personale, sebbene kitsch alla loro opera. Usciamo a piedi dal paese, ai lati della strada piccole e umili case di adobe punteggiano i campi in cui il mais inizia a germogliare; la gente ci guarda stupita per le nostre buffe magliette e pantaloni e ci salutano con un sorriso. Dopotutto siamo nella terra dei Maya! jue 18 abr 2013 Mercati Senza dubbio alcuni tra i luoghi più intriganti del Centro America sono i mercati delle città. Sin dai tempi antichi il mercato rappresentava il luogo di ritrovo e di scambio delle merci della maggiorparte delle popolazioni di tutto il mondo. Oggigiorno probabilmente per noi europei , abituati agli enormi, puliti e luccicanti centri commerciali, i mercati hanno perso un po’ il loro significato; tuttavia tra la gente dei paesi latinoamericani, essi ricoprono ancora il loro ruolo secolare. I mercati del Messico erano una delizia per il naso e i palati sopraffini. Era divertente entrare per andare alla scoperta delle prelibatezze locali, di nuovi tipo di frutta e dei nuovi piatti regionali. In alcuni di loro, come in quello di Guadalajara o in quello di Mérida era anche facile perdersi; mentre in altri si contrattava il pranzo per poco più di 2 Euro. In Guatemala le cose sono leggermente differenti. Il cibo perde un po’ il ruolo di attore principale, sebbene si riescano comunque a scovare angoli dove le semplici ma prelibate pietanze quotidiane vengono servite per la modica cifra di 1,5€. Nei mercati guatemaltechi, soprattutto in quelli degli altopiani, sono i prodotti artigianali a svolgere il ruolo di protagonisti. Il mercato cittadino, che quasi sempre si svolge in una valle, da l’opportunità alle popolazioni indigene che vivono nelle aldeas tra le montagne di scendere e poter vendere i loro prodotti locali. Ecco quindi che ci si inbatte in abiti tessuti a mano, stoviglie di ceramica o argilla, strumenti musicali o oggetti per la casa intarsiati in legno, ma anche verdura, frutta e animali. Chichicastenango è sicuramente il pueblo guatemalteco nel quale si svolge il mercato più rappresentantivo. Circondata da valli e montagne che si stagliano contro il cielo, Chichi appare isolata dal resto del Guatemala. Quando le sue strette viuzze acciotolate e i tetti dalle tegole rosse sono avvolte nella nebbia sembra immersa in un alone di mistero. In occasione del grandissimo mercato della domenica, Chichicastenango è invasa da turisti e da venditori di prodotti artigianali che, sebbene le conferiscono un’atmosfera commerciale, contribuiscono comunque a creare uno spettacolo unico in tutto il paese. Gli abitanti locali inoltre sono famosi per il loro attaccamento alle cerimonie e tradizioni precristiane, di modo che la domenica capita di imbattersi nelle confradias che sfilano in processione nella chiesa di Santo Tómas, o di fedeli che bruciano resina copal (simile all’incenso) e pregano di fronte alle effige dei loro defunti nei gradini della chiesa stessa. Non lontano dal paese, salendo una piccola collinetta, si arriva ad un piccolo santuario dedicato al dio maya della terra. Situato in mezzo ad un circolo di tozze croci su di una radura, l’idolo dal volto di pietra deturpato e annerito dal fumo delle offerte, viene oggigiorno regolarmente onorato con offerte di incenso, fiori, cibo e di tanto in tanto un sacrificio animale! Nonostante in molti casi sia un piacere passeggiare tra le bancarelle in cerca di affari e resistendo alle insistenti offerte dei commercianti locali, in altre situazioni risulta un po’ difficoltoso, sebbene divertente, trovarsi a slalomeggiare tra i tavolini ed i trasportatori con due zaini caricati sulle spalle. Dopo le maledizioni iniziali abbiamo preso con filosofia e divertimento l’occasione di attraversare a piedi i mercati diretti alla stazione dei bus, come ad esempio ci è capitato a Quetzaltenango! sáb 20 abr 2013 Un Lago tra Vulcani Seduti sulle sponde del lago Atitlán tentiamo di scorgere il profilo dei vulcani che si stagliano davanti a noi; purtroppo la foschia che in questi giorni affligge il lago perennemente, ci impedisce di goderci il paesaggio, che tuttavia tentiamo di immaginare. Poco lontano giungono le note di una lenta e romantica bachata, sembra che al tramonto la vita notturna di Panajachel si animi improvvisamente. Quello che molti altri viaggiatori hanno definito come lo spettacolo naturale più maestuoso del Centroamerica è a nostro avviso un po’ sopravvalutato. Con questo non vogliamo certo sminuire la bellezza del lago, ma sicuramente esistono posti molto più impressionanti. Il fatto è che la bellezza di un luogo è molto soggettiva e cambia da viaggiatore a viaggiatore, credo che innanzitutto dipenda dalla provenienza dell’osservatore. Gente abituata a vivere in un territorio piatto, privo di fiumi e laghi, rimane sicuramente affascinata ed impressionata di fronte ad un paesaggio come quello del lago Atitlán. Circondato a 360° da montagne e vulcani che si tuffano a capofitto sulle acque verdi e azzurre del lago, il panorama è di rara bellezza da qualsiasi zona lo si ammiri. Dalle pendici boscose e scivolose del volcán San Pedro alle strette e polverose strade di Santiago Atitlán, dalle sabbiose e calme sponde di Panajachel ai miradores drammatici che cadono a strapiombo sul lago appena dopo Sololá. Il lago venne creato in seguito allo sprofondamento del terreno di superficie dovuto ai movimenti di magma degli strati sottostanti la crosta terrestre che accaddero all’incirca un centinaio di migliaia di anni fa. L’enorme cavità rimasta vuota si riempì d’acqua creando un bacino di forma approssimativamente ovale che misura 18km lungo il lato maggiore e 8km lungo quello minore Nord-Sud, con una profondità media di 300m e vigilato costantemente lungo il lato meridionale dai tre vulcani: San Pedro, Tolimán e Atitlán tutti sopra i 3000m. La cosa strana è che nel lago si immettono 3 torrenti provenienti dalle montagne che circondano il bacino, che di fatto non ha nessuna uscita. Di conseguenza l’altezza media delle acque cambia perennemente di anno in anno, e l’unico modo che l’acqua ha di uscire è quello di evaporare. In pratica Atitlán è come un’enorme pentola, nella quale l’acqua riscaldata dall’energia solare evapora formando costantemente nuvole e una fitta foschia che impedisce molto spesso di vedere le sponde da un lato all’altro. Tuttavia le nuvole che si formano dalla condensa del vapore provocano precipitazioni regolari che ogni 3/4 giorni permettono di ammirare lo scenario nella sua completa bellezza. Fortunatamente in uno di questi giorni decidiamo di attraversare le acque per visitare il paesino di San Pedro e salire un po’ le pendici del vulcano; l’atmosfera è affascinante e la vista a tuttotondo del paesaggio dalla lancha con cui attraversiamo il lago è a dir poco fantastica. Un’altrà peculiarità di Atitlán è che i vilaggi che si adagiano sulle sue rive sono tutti ancora ricchi di autenticità e di cultura locale; da San Marcos a Santa Cruz, da San Pedro a Santiago, ciascuno con il suo vestito maschile e femminile tipico, ciascuno con i suoi prodotti artigianali, le sue tradizioni e le sue feste. Nonostante il turismo sia esploso nell’ultimo decennio, le popolazioni del lago hanno saputo mantenere intatto il loro stile di vita e per il momento non sono ancora giunti investimenti millionari con il progetto di costruire resort e hotel lungo le pendici vulcaniche del bacino. Atitlán rimane sicuramente uno dei luoghi più incantevoli visti finora in Guatemala, unico per la sua struttura ed il suo paesaggio e, sebbene molti laghi alpini delle nostre zone possano essere simili e forse anche più impressionanti come potrebbero esserlo il lago di Garda, di Como o il lago Maggiore, gli odori ed i colori dei villaggi maya rimarrano per sempre tra i ricordi di questo nostro bellissimo e lungo viaggio attraverso il Centroamerica! mié 24 abr 2013 Nell'Antica Capitale Appena si mette piede ad Antigua si capisce subito che non si ha a che fare con una città guatemalteca. Le strade larghe e acciotolate, le case basse le travi di legno dei tetti a vista e le coperture in tegole di terracotta rosse o marroni, le piazze spaziose e ordinate, pulite, con giardini o piccoli spazi verdi a spezzare di quando in quando la monotonia del quadricolato di strade che contraddistingue la pianta della città. Antigua non è una città guatemalteca, anzi come dice il nome stesso, è un’antica città spagnola costruita nel XVI secolo, poi distrutta e costruita di nuovo come capitale dello stato e per un breve periodo capitale dell’intera federazione di stati dell’America Centrale. Tutto quello che le altre città o paesi guatemaltechi hanno di brutto, Antigua non ce l’ha, o per lo meno non nel centro storico, perchè poi quando si attraversa la periferia ecco ricomparire le coperture in lamiera, le armature dei pilastri in cemento armato lasciate a vista, l’assenza di finestre, la spazzatura ad ogni angolo, nei piccoli torrenti o bruciata tra i boschi. Forse Antigua non è così perchè è una città presa d’assalto dai turisti, molti dei quali europei; ciononostante rimane affascinante e avvolta da una cornice naturale unica. La città si trova in una valle circondata da montagne lussureggianti coperte dalle coltivazioni di caffè; a Sud-Ovest si ergono due tra i vulcani più alti del paese: l’ormai spento Acatenango e il tutt’ora attivo volcan Fuego. Ma è soprattutto il terzo vulcano quello che simboleggia l’eterno e fatidico legame tra la città e la natura, il volcan Agua. Ciudad Vieja era un tempo costruita sulle pendici di questo enorme ed estinto vulcano, quando nel 1541 a seguito di un terremoto l’acqua contenuta nel cratere del vulcano tracimò formando una colata di fango e detriti che di fatto distrusse l’intera città. I pochi sopravvisuti non si diedero pervinti e ricostruirono il centro abitato una decina di kilometri più a Nord. L’alto rischio sismico della zona non impedì alla capitale di proliferare e di diventare tra il XVII e il XVIII secolo il cuore del potere economico spagnolo in Centro America. Vi si costruirono palazzi, chiese, ospedali, scuole, monasteri e persino l’università più antica del paese. Tra le sue strade spagnoli, mestizos ed indigeni passeggiavano e condividevano un’esistenza tranquilla ed agiata, a volte disturbata dalla terra che tremava. Fù proprio a causa di un terremoto che la città venne nuovamente distrutta nel 1773. Chiese, palazzi e case vennero ridotte a macerie che ancora oggi sono visibili; la capitale venne traslata nell’odierna Città del Guatemala e Antigua fù saccheggiata e lasciata cadere in rovina. Oggi passeggiando lungo i marciapiedi e le piazze della vecchia capitale si respira un’aria di freschezza e malinconia allo stesso tempo. Le case basse e color pastello si alternano alle grigie ed austere chiese barocche in rovina, gli indigeni vagano tra le strade a caccia di turisti mentre quest’ultimi si rifugiano nei loro fast-food preferiti in cerca di cibo americano da mettere sotto i denti. Dove un tempo i cavalli trascinavano le nobili carrozze degli spagnoli oggi ruggenti e fumanti tuk-tuk sfrecciano agli angoli delle strade, seguiti dai minibus pieni di stranieri che dall’antica capitale si dirigono verso le altre aree del paese. Ad una ventina di kilometri a Sud-Est si erge un altro vulcano attivo. Si tratta del Pacaya che regolarmente ogni 4-5 anni erutta lanciando nell’aria tonnellate di ceneri e polveri che poi si depositano attorno ai boschi vicini. Quando ci rechiamo a visitarlo la zona è sorvegliata e non ci è permesso salire sulla cima per permetterci di ammirare da vicino il cratere fumante. Dal basso di fatto si vedono i fumi mescolati al vapore acqueo salire dal cuore del vulcano che di quando in quando fa sentire la sua presenza con inquietanti brontolii che si alzano nell’aria come il suono della pancia vuota di un gigante. La camminata verso le sue pendici è piacevole e non troppo faticose, e sebbene non si tratti dello straordinario percorso tra i campi di lava del Paricutín rimane comunque emozionante gironzolare tra i neri e polverosi declivi della montagna fumante, fermandoci ad osservare le nuvole formarsi e modificarsi attorno al perfetto cono del vulcano. Da quì vediamo la cima dell’Agua spuntare tra le nuvole. Nonostante i trascorrere dei secoli e i numerosi cambiamenti morfoologici il vulcano Agua rimane immobile a vigilare la città che un tempo distrusse. Un legame secolare ed indelebile che rimarrà per sempre negli occhi di qualunque viaggiatore che passerà per di quì almeno una volta nella vita! dom 28 abr 2013 Incanto Naturale Rivolte le spalle agli altopiani e alla cintura vulcanica del Guatemala ci dirigiamo verso il centro del paese; facciamo una breve sosta nella capitale giusto il tempo di cambiare autobús e poi via verso la Verapaz. La parte centrale del Guatemala si divide in due regioni: Baja e Alta Verapaz; in questa regione gli spagnoli evitarono l’uso delle armi per sottomettere gli indigeni e lasciarono il compito ai frati francescani guidati da Bartolomé de Las Casas, che convertirono al cattolicesimo gli abitanti locali attraverso un vero e proprio processo di pace. La Verapaz appunto! Tra il territorio montano della regione si nasconde anche l’habitat del famoso quetzal, l’uccello simbolo del paese e che rappresenta anche la moneta guatemalteca. I quetzal vivono nelle foreste nebulari di alta quota nelle quali hanno maggiore facilità di nascondersi per proteggersi dai predatori. Nascondersi è appunto quello che fanno tutto il giorno e per questa ragione sono molto difficili da avvistare. Arriviamo nel biotopo del quetzal nel tardo pomeriggio, ceniamo e ci corichiamo presto per poter svegliarci di prima mattina e vedere il leggendario uccello. All’indomani veniamo svegliati da striduli e gorgoglii alquanto strani, esultanti di gioia ci vestiamo e ci precipitiamo fuori; tuttavia dopo due ore di ricerche invane gettiamo la spugna e ci dirigiamo a fare colazione. I sentieri del biotopo sono molto belli e spendiamo l’intera mattinata a passeggiare nella foresta nebulare senza avvistare nessun quetzal, ciononostante godendoci il paesaggio incredibilmente rigoglioso e pieno di vita immerso in una costante nebbiolina che a volte si converte in pioggia. Dopo mezzogiorno viaggiamo verso Lanquín, il microbus all’interno del quale siamo impachettati sfreccia e sobbalza tra le curve della strada sterrata che da Cobán porta al piccolo villaggio tra le montagne. Il paesaggio è a dir poco meraviglioso per i suoi colori e la sua estensione; verdeggianti e rigogliose colline si estendono a perdita d’occhio di fronte a noi e ad ogni curva o dopo ogni salita sembrano non terminare mai. Attraversiamo torrenti e fiumi impetuosi contornati da piantagioni di caffè e cardamomo, alberi di cacao, mango, palme da cocco e banani, si rimane affascinati di fronte alla vitalità della natura. Il paesino di Lanquín è incredibilmente preso d’assalto dai turisti stranieri che passano per di quì per raggiungere il Petén o la costa Atlantico verso cui siamo anche noi diretti. Si tratta di una zona carsica dove ovviamente abbondano grotte e torrenti sotterranei. A pochi chilometri dal paese si trovano le grotte omonime, non sono grandi però affascinanti per risultare ancora intatte; ad oggi rimangono ancora inesplorate e poco conosciute, la illuminazione è scarsa e si ha la sensazione di essere degli speleologi dilettanti mentre ci si arrampica e scivola tra le umide rocce calcaree. Attraversiamo all’incirca cinque “stanze” di notevoli dimensioni, dopodichè la presenza di pipistrelli e l’assenza di visibilità ci induce a fare marcia indietro. Dalle grotte nasce il torrente Lanquín che con le sue verdi e gelide acquee ci invita ad un placido riposo lungo le sue sponde, divertendoci a guardare i bambini giocare a palla tra risa e grida di gioia. Un’altra bellezza naturale si nasconde tra le montagne a pochi chilometri da Lanquín. Si tratta di Semuc Champey che in lingua q’euchí significa “dove il fiume si nasconde sotto la terra”. Consiste in un ponte naturale di pietra calcarea lungo circa 300m sopra il quale si sono formate delle bellissime pozze d’acqua di dimensioni e profondità variabili. Il fiume Cahabón che scorreva originalmente nel canyon tra le lussureggianti montagne, si è visto sbarrare la strada da un’enorme frana, dovendo così trovare un altro percorso. Con il passare dei secoli ha scavato un tunnel sotto la roccia, mentre la parte di montagna che ne aveva bloccato il corso è stata lentamente erosa dalle acque raccolte dal bacino montano circostante. La maniera in cui si è formato questo paesaggio e i suoi incredibili colori ne fanno un luogo unico al mondo. Ci facciamo il bagno tra le calme e tiepide acque delle pozze che assumono tonalità variabili dal verde all’azzurro a seconda della profondità e della luce del sole. La cosa più straordinaria è pensare che mentre in superficie tutto sembra tranquillo, sotto le piscine naturali c’è un torrente che scorre rapido e furioso tra le rocce e che poi ricompare poco più avanti. Uno dei luoghi più incredibile e affascinanti di tutto il Guatemala! dom 05 may 2013 Da Dove Venite? Prima dell’inizio della nostra avventura eravamo stati avvertiti del fatto che in alcuni paesi latinoamericani essere spagnoli avrebbe potuto causare una certa forma di discriminazione contro i vecchi conquistadores. Onde evitare problematiche e sguardi strani ci eravamo messi d’accordo di dire che entrambi eravamo italiani e che Tania parlava molto bene lo spagnolo perchè la sua famiglia veniva dalla penisola iberica però si era trasferita in Italia alcuni anni fà e lei ovviamente aveva imparato le due lingue. Dopo i nostri primi giorni in Yucatán quando la gente ci chiedeva la nostra provenienza negli autobus o nei posti dove ci fermavamo a mangiare osservammo che pochi sapevano dove fosse esattamente l’Italia. Alcuni si limitavano a contraccambiare un sorriso e si intravedeva sopra le loro teste un fumetto con un grande punto di domanda; altri invece citavano a caso città importanti come Firenze, Venezia o Roma o in altri casi la Ferrari o la pizza che effettivamente sono le uniche due cose conosciute dalla maggioranza della gente da queste parti. (oggi per esempio guardavano la Formula 1, tifavano Alonso perchè è spagnolo e la Ferrari perchè è l’auto che guida Alonso, non perchè sia italiana!) Di conseguenza abbiamo dovuto cambiare strategia e, per semplificare le cose abbia deciso di rispondere semplicemente che entrambi venivamo dalla Spagna. La cosa più divertente sono sicuramente le reazioni di alcune persone che ignorano del tutto dove si trovi il nostro continente o che pensano che lo spagnolo sia parlato magicamente solo in America Centrale sorprendendosi di come anche in Spagna si parli la stessa lingua. Riportiamo per esempio un breve scambio di opinioni tra noi e un giovane ragazzo messicano di origine Maya che incontrammo nei pressi delle lagune di Montebello nella zona meridionale del Chiapas. Seduti sulle sponde del lago ammirandone le acque azzurre e cristalline si avvicina un ragazzo per offrirci un giro a cavallo, noi cortesemente rifiutiamo ed inizia così un breve dialogo. Ragazzo: “Da dove venite?” Noi: “Dalla Spagna” Ragazzo: “Ahhhhh Spagna...c’è molta gente che ci visita da laggiù, è molto bello no?” Noi: “Si si, è un po’ come il Messico, belle spiagge, montagne e tante città ricche di storia, solo che non abbiamo i vulcani ed è molto più piccola” il tutto con un bel sorriso stampato sulla faccia. Ragazzo: “Ma è lontano? Quante ore di volo sono?” Noi: “Ah più o meno 12-13, in effetti è abbastanza lontano ma con i trasporti di oggi si arriva rapidamente anche qui in Messico” Ragazzo: “Eh sì infatti, ma in macchina saranno tipo 10-12 giorni, no?” Noi: “Mmh in macchina non ci si può arrivare da quì!” con sguardo sbalordito. Ragazzo: “Ah no! Però perchè no?” Noi: “Beh c’è il mare in mezzo!” ancora più sbalorditi. Ragazzo: “Ah allora è come un’isola!” Noi: “Beh no, è che si trova in un altro continente. Tipo quì c’è in continente americano, poi l’oceano e poi l’altro continente che si chiama Europa!” tentando di disegnare sulla sabbia una piccola mappa. Al ragazzo si illumina la faccia per la scoperta di un nuovo territorio, ci fa un sorriso, ci saluta e ci augura buon proseguimento. In altre occasioni invece ci è capitato di discutere sul fatto che anche in Spagna si coltivino meloni ed angurie e la risposta è stata che alcuni parenti dei nostri interlocutori vivessero in Florida ed anche loro erano d’accordo sul fatto che lì ci fossero buoni meloni ed angurie. In Guatemala invece la gente crede che la pelle di alcuni loro compatrioti sia più chiara perchè alcuni secoli fà gli spagnoli in visita nel paese, trovandolo affascinante e dal clima gradevole decisero di rimanerci mescolandosi tranquillamente con gli indigeni locali e creando così il mix tra la razza bianca e quella indigena. Tuttavia la reazione più comune riguarda il fatto che molta gente rimanga impressionata dalla fluidità che ha Tania nel parlare lo spangolo e molto spesso le chiedono se anche in Spagna, così come in Guatemala o Honduras, lo spagnolo si utilizzi come prima lingua! Nonostate all’inizio ci preoccupassimo del fatto che molte persone quì avrebbero potuto provare risentimento nei confronti del popolo che più di cinquecento anni fà li aveva conquistati, dopo i nostri cinque mesi di viaggio possiamo confermare che generalmente il centroamericano medio non conosce molto bene la storia ed ignora completamente il fatto che secoli addietro i feroci conquistadores abbiamo saccheggiato le sue terre e sottomesso i suoi antenati, anzi in molti casi veniamo accolti in maniera più calorosa per il semplice fatto che parliamo la loro lingua e non l’inglese come gli americani, di conseguenza i rapporti si fanno più semplici e riceviamo in cambio montagne di sorrisi! mié 08 may 2013 Attenti al Fuoco In tutte le occasioni in cui si ha a che fare con il fuoco si ha sempre un po’ di timore, probabilmente è qualcosa che ci portiamo dentro dall’alba dei tempi quando per la prima volta l’uomo rimase impressionato dalle prime fiamme che seppe produrre con ogni probabilità quasi per caso. Sarà una sorta di timore reverenziale verso il colore rosso e giallo delle lingue di fuoco, che quasi sempre si associano al pericolo, o la forza ed il calore che in molte situazioni ci sembrano incontrollabili. Ad ogni modo, qualsiasi sia la situazione, c’è sempre da prestare attenzione quando si gioca con il fuoco. Nel nostro caso ci sono state due situazioni in cui, seppure per un breve momento, ci siamo davvero spaventati vedendo il fuoco così vicino ed incontrollabile. Il primo episodio ci successe mentre stavamo a casa di Leonardo, il ragazzo che gestiva un ristorante ad Autlán, nello stato di Jalisco, México. Lo stato in cui ci trovavamo è famosissimo perchè è l’unico posto in Messico e nel mondo dove si produce il tequila. Metà del territorio è coperto da coltivazioni di Agave Azul, che è appunto la pianta dalla quale si ottiene la famosa bevanda messicana; tuttavia nella zona in cui stavamo noi la coltivazione preferita e più redditizia era quella della canna da zucchero. Leonardo possedeva all’incirca 40 ettari tutti coltivati a canna da zucchero, ossia tantissimi campi se vogliamo vederla con l’unità di misura veneta! Durante l’ultimo giorno in cui lavoravamo presso il ristorante accade che il proprietario decida di chiudere anticipatamente e andarsene verso la costa dove il lunedi avevano luogo i corsi universitari che seguiva. Fortunatamente ci lascia le chiavi di casa e del ristorante per poter cenare lì e dormire ed il giorno dopo lasciare tutto in mano agli operai e noi andarcene felici a scalare il Nevado de Colima. Sapevamo perfettamente come aprire e chiudere il locale e dove si trovavano tutte le stoviglie ecc... per farci da mangiare; sfortunatamente la serata inizia male con la chiave della serratura che si rompe dentro e noi che dobbiamo escogitare un piano B per poter entrare dalla finestra sul retro e poter così cenare. Mentre Tania prepara la cena riesco dopo alcuni tentativi a togliere la parte di chiave rotta all’interno della serratura. Fiuuuu per lo meno non ci sarà il bisogno di cambiarla! Tranquilli ci sediamo quindi per mangiarci la nostra bella e gustosa tagliatella, però proprio mentre stiamo mangiando sentiamo un suono strano simile ad un forte crepitio provenire da fuori. Apriamo la finestra sul retro della cucina e ci troviamo di fronte l’inferno! Dalla coltivazione fiamme alte 5-6m squarciano il cielo illuminandoci la faccia. Avanzano rapidamente e sebbene il ristorante non sia in pericolo, la casa lo è eccome trovandosi proprio circondata da canna da zucchero. Ci spaventiamo e per un istante non sappiamo come reagire. Immaginate di dover fare una telefonata ad un tipo che avete conosciuto due settimane prima e chi vi ha lasciato la casa nelle vostre mani per una notte, e di dovergli dire: “beh ehm...è che la coltivazione di canna da zucchero è andata in fiamme e così anche la tua casa...”. Come glielo spieghereste altrimenti? Dopo l’istante di black-out io corro verso la casa per prendere le nostre cose e Tania verso la strada in cerca di aiuto da parte di qualche automobilista; dopo alcuni minuti e con le fiamme che avanzano minacciosamente verso la casa me ne ritorno con i quattro zaini tra le spalle, braccia e mani. Ho cercato di salvare il possibile, le nostre cose ovviamente: soldi, computer, passaporti, scarpe, roba da vestire ecc... Tania mi dice che ad un centinaio di metri dal ristorante c’è un auto della polizia ferma lungo la strada, lascio giù la roba e mi fiondo verso l’auto in cerca di aiuto. Arrivo con il fiato corto per la corsa e la paura e dico al poliziotto: “...ehhmmm la canna da zucchero...sta bruciando tutta ed il fuoco procede verso la casa...” “Tranquillo” mi dice lui “hanno chiamato oggi pomeriggio per avvisare che la incendiavano questa notte. E’ una procedura normale da queste parti!” Dopodichè rimango sbalordito e con una faccia da stupido per un secondo o due. “Ok” dico, “grazie per l’avviso. Mi scusi per il disturbo” E me ne torno indietro contento e rilassato verso il ristorante a calmare Tania e a dirle quello che mi aveva spiegato il poliziotto. Fiuu pericolo scampato. Non ci sarà da fare la fatidica telefonata per avvisare della casa e dei campi andati in fumo. Evvai! All’indomani saliamo nel bus diretti verso le montagne; lungo il tragitto osserviamo gli uomini tagliare gli alti steli della canna da zucchero. Sono neri, come se li avessero incendiati il giorno prima, e sono privi delle lunghe e laceranti foglie che di fatto impediscono a chi li raccoglie di tagliarli e lavorare facilmente. Adesso sì abbiamo capito come funziona, e da ora in avanti ogni volta che vedremo le coltivazione e la raccolta della canna da zucchero ci verrà in mente quella fatidica notte, in cui ci siamo trovati di fronte ad alcuni minuti di panico e paura allo stato puro! dom 12 may 2013 Attenti al Fuoco 2 Il nostro secondo incontro con uno dei quattro elementi accade esattamente durante il nostro primo giorno in Guatemala. In quell’occasione è stato davvero un incontro ravvicinato, e devo dire ancora più spaventoso del precedente. Appena usciti dal Messico prendiamo subito confidenza con il primo “chicken bus”. Da La Mesilla ne prendiamo uno che per poco meno di due euro ci porta alla prima cittadina di una certa dimensione del Guatemala: Huehuetenango. Al di là del nome davvero esotico Huehue, como la chiamano i suoi abitanti, non ha molto da offrire ai viaggiatori; di conseguenza non possiede le tipiche infrastrutture turistiche, sebbene la pensione presso la quale ci fermiamo tre giorni sia decorosa e decente. Abbiamo una stanza tutta per noi (in Guatemala si paga lo stesso per una singola che per un doppia, sicchè essere in due è un vantaggio non indifferente). Come sempre usciamo per il pranzo verso il mercato della città e facciamo scorta per prepararci la cena autonomamente grazie al nostro fornello da campeggio. Prima della partenza abbiamo valutato varie opzioni per quanto riguarda la possibilità di essere automuniti per cucinare; sebbene in molti casi sia facile trovare cibo a prezzi economici (a volte super-economici) in altre situazioni come ad esempio in montagna o nei campeggi in cui si era lontani dai centri abitati, il fornello da campo è risultato utilissimo, se non indispensabile per non spendere una fortuna nel ristorante chic del lodge o rimanere a digiuno. Di conseguenza con il tempo abbiamo preso confidenza e piano piano ci siamo affezzionati al nostro attrezzo da cucina. Il nostro fornelletto Coleman dispone di un serbatoio per la benzina della capienza di 0.75l il quale, attraverso l’uso di una piccola pompetta manuale, viene messo in pressione affinchè quando si apra il rubinetto possano uscire i vapori della benzina sotto pressione. Sono questi ultimi a causare la combustione attraverso la miscela che creano con l’aria. Una volta che il processo è innescato, bisogna aspettare qualche minuto affinchè il vapore della benzina raggiunga la giusta temperatura e vaporizzazione perchè il processo di combustione sia efficace e generi una fiamma blu scura di forte intensità e non la tipica fiamma gialla che indica un eccesso di ossigeno ed un basso potere calorifico. Sicuri ormai di aver capito come funziona l’intero processo, ci sistemiamo sulla tavola fuori dalla camera in un piccolo patio e ci prepariamo per accendere il fuoco. Manualmente metto in pressione il serbatoio ed apro il rubinetto, dopodichè accendo e si sprigiona un’alta fiamma di color giallo. Come di consueto aspettiamo che la fiamma diminuisca di dimensioni e cambi colore, tuttavia dopo un minuto le cose non cambiano. A questo punto spengo e procedo ripetendo l’intera operazione, ottenendo lo stesso risultato. C’è qualcosa che non va sicchè chiudono di nuovo il rubinetto per controllare e la fiamma permane bruciando. Instintivamente e stupidamente penso che ci sia bisogno di togliere la pressione dal serbatoio per cessare la combustione, di conseguenza faccio quello che più mi sembra giusto e spontaneamente affero il tappo e lo svito. Subito iniziano ad uscire rapidamente i vapori della benzina dal tappo, come normalmente ho sempre fatto per togliere pressione al serbatoio a fuoco spento, tuttavia la situazione è diversa in questa occasione. I vapori incontrano la fiamma ancora accesa e la alimentano creando una specie di minincendio proprio davanti ai nostri occhi. La benzina inizia a fuoriuscire dal serbatoi spargendosi sulla tavola prendendo fuoco, non sapendo cosa fare afferro il fornello per metterlo a terra onde evitare di scatenare un incendio. Entrambi gridiamo: “Al fuoco, al fuoco. Un estintore per favore!” e rapidamente Tania si fionda verso la reception per chiedere aiuto. Il fornello continua a bruciare esternamente e le fiamme si fanno sempre più alte, penso rapido ed entro nella stanza, afferro un asciugamano e lo utilizzo per soffocare le fiamme sul tavolo evitando che prenda fuoco. La cosa funziona alla grande sicchè faccio lo stesso con il fornelleto e riesco a spegnere l’incendio. Dopo pochi secondi arriva Tania con un estintore. Pfiuuu è tutto finito e anche questa volta ce la siamo scampata bella! Il nostro compagno di viaggio mostra un po’ i segni della battaglia, ha qualche bruciatura quà e là, però non ha sofferto danni gravi. Dopo esserci calmati e scusati con il proprietario numerose volte per l’accaduto, tentiamo di vedere se l’arnese funziona ancora. Cautamente ripeto la procedura di accensione (con Tania al lato pronta a spegnere l’eventuale incendio!), fiamma gialla, attesa, pompo un poco per aumentare la pressione, adesso si che le cose funzionano. Piano piano la fiamma diventa blu ed è pronta per cucinare la cena. Sopravvissuti ancora una volta! jue 16 may 2013 Respirando Sott'Acqua Quando per la prima volta metti la testa sott’acqua col respiratore tra i denti ed esali il primo respiro, la sensazione è strana. Un misto di paura ed eccitazione per quello che stai facendo ti assale. Boia! Sto respirando sott’acqua, come un pesce in pratica, e guarda quante cose si vedono sul fondo...questo è più o meno quello che si prova inizialmente. Poi l’istruttore ti richiama in superficie e metti di nuovo la testa fuori continuando a respirare con il regolatore. L’aria che ti arriva alla gola è fresca, ha un sapore strano, come quando da piccolo prendevi i palloncini gonfiati ad elio e ne aspiravi un po’ per poter parlare dieci secondi con la vocina da marziano che tanto faceva divertire i tuoi amici (conosco chi lo fà tutt’ora, nonostante sia presidente di una società calcistica! ndr). Siamo solo inginocchiati a meno di dieci metri dal bagnasciuga con l’acqua che ci arriva al petto e già, dopo il primo respiro sott’acqua, ci sembra di essere dei veri sub. Un paio di esercizi per pulire la maschera e poi Freddy, il nostro simpatico e indimenticabile istruttore ci dice che dobbiamo spostarci in una zona più profonda: due metri! Cazzo! Due metri non sono niente, però questa volta sì che hai la testa completamente sott’acqua. E se succede qualcosa? E se respiro acqua dal naso? E se mi viene un attacco di panico ed ho difficoltà a respirare? Mentre ci spostiamo nuotando in superficie verso la zona più profonda, tutte queste domande attraversano rapide la mente; poi arriviamo, sgonfiamo il giubbotto e via sotto fino ad inginocchiarsi sul fondo. La tecnica principale per chi fa immersioni subacquee è il galleggiamento; un sub esperto padroneggia alla grande questa tecnica ed è come se fosse sospeso nell’acqua, proprio come una bolla. Non sale e non scende e si sente come un astronauta senza forza di gravità! Ovviamente per un principiante, controllare i movimenti del corpo è inizialmente molto difficile. Si inspira e si sale troppo, si espira e si scende come un sasso battendo le ginocchia sul fondo. Ci si sente incomodi, non ci si controlla, ci si sente goffi e la respirazione diventa più affannosa. All’improvviso si ha come voglia di tornare in superficie, togliersi tutta l’attrezzatura e muoversi come sempre siamo stati abituati. Stare in piedi e poter caminnare. Dopo un po’ però ci si calma, si prende confidenza con le pinne, la bombola, la maschera, con il tuo nuovo corpo e l’ambiente molto più denso che ti circonda e che rallenta i tuoi movimenti. Sott’acqua tutto dev’essere fatto con più calma e tranquillità, guardi il tuo istruttore come si muove, ti rilassi e ti concentri sul suono del respiratore. Dai un’occhiata in giro e noti come la vita sotto la superficie sia completamente diversa. Serenità e felicità sostituiscono la fretta e la tensione iniziali. Benvenuto nel nuovo mondo! Dopo una ventina di minuti in cui ognuno svolge separatamente i propri esercizi, siamo finalmente liberi di iniziare la nostra prima, seppur breve esplorazione. Ci troviamo a non più di trenta metri dalla spiaggia e Freddy ci accompagna sotto il molo, luogo in cui si nascondono una marea di pesci. Sembrano tutti uguali inizialmente, ma dopo un po’ si iniziano a notare piccole differenze, ad osservare i molteplici colori brillanti dei pesci tropicali, le loro pinne gialle, azzurre, rosse e nere, il loro movimento delicato, i loro occhi e come ti osservano. Non ci temono, anzi alcuni sono anche incuriositi dalla nostra presenza. Riusciamo a scorgere una piccola murena a puntini bianchi che si nasconde tra le rocce, poi un piccolo astice che ha convertito un blocco di cemento nella sua umile dimora. Freddy afferra una specie di ragno di mare e lo lascia cadere tra le nostre mani; è bellissimo sentire come si aggrappa e pizzica un po’ la pelle nel tentativo di camminare e ritornare nel suo habitat. Lo lasciamo sul fondo, dove tra le alghe i granchi si nascondono scavando piccole buche nella sabbia. Il nostro “tour” termina rapidamente; altri quindici minuti di esercizi con il respiratore e poi ahimè si ritorna in superficie. Wow! Quando si ritorna sotto? Domani? Non vediamo l’ora!!! sáb 18 may 2013 Il Meraviglioso Mondo Sottomarino “Vedrete più pesci e crostacei in dieci minuti di immersione che tutti gli animali che avete visto nella vostra vita.” Frase sacrosanta con la quale inizia il corso PADI Open Water. Una volta che si mette la testa sott’acqua non si può smettere di essere affascinati dalla bellezza, ricchezza e diversità della vita marina. E’ un susseguirsi di riflessi colorati che i pesci tropicali lanciano verso gli occhi degli osservatori; c’è chi se ne sta tranquillamente nascosto tra le rocce ed i coralli, chi se ne va a passeggio solo o in compagnia, altri che giocano a rincorrersi o chi come qualche murena difenda la propria casa dagli intrepidi curiosi. Sul fondo del mare regna pace e serenità, non ci sono i rumori assordanti delle auto e dei camion, le grida della gente o i versi striduli degli uccelli bensí puro e semplice silenzio, scandito solo dal rumore del respiratore. Durante il corso ci aspettano sei immersioni in mare aperto durante le quali, dopo i primi minuti di esercizi, possiamo dedicarci alla piacevole scoperta dei fondali di Utila. Osserviamo i pesci farfalla con le loro caratteristiche pinne gialle e la grande macchia nera sul dorso, gli eleganti pesci angelo neri o azzurri che con le loro pinne allungate e l’elegante incedere lento sono davvero uno spettacolo. Ci sono poi un’infinità di pesci pappagallo di vario tipo, quasi tutti impegnati a cibarsi delle alghe che crescono tra i coralli, i buffi pesci balestra che avanzano muovendo all’unisono pinna dorsale e ventrale e poi i pesci trombetta con il loro corpo affusolato e la loro bocca allungata che ti osservano con i loro grandi occhi. Durante le prime immersioni riusciamo ad osservare qualche razza appoggiata sul fondo e qualche rombo nascondersi tra la sabbia; successivamente le cose si fanno più interessanti. L’ultimo giorno del corso ci portano in una zona dove dicono sia facile incontrare aquile di mare e tartarughe. Ci buttiamo dentro. Aria, check. Giubbotto, check. Pesi, check. Regolatore alla bocca e via sotto! Il fondo si trova a 12m, un labirinto di coralli, anemoni e spugne colorate; seguiamo Freddy stando in coppia e dopo un paio di minuti osserviamo una grande razza chiodata mezza nascosta sul fondale. Freddy tenta di animarla a muoversi, ma la pigra continua a rastrare il fondo in cerca di cibo. Proseguiamo alla ricerca di qualcosa di più grosso, continuamente circondati dai pesci più piccoli e più comuni, e poi eccola lì, una bellissima aquila di mare volare nell’acqua! Esattamente, sta praticamente volando, muove le sue “ali” ed è come se danzasse nell’acqua. Il dorso nero punteggiato di bianco ed il ventre chiaro. Un’aquila nel mare che prosegue il suo cammino ignara della nostra presenza. Il tempo stringe e risaliamo in superficie, stiamo galleggiando quando dalla barca ci invitano a salire in fretta. “Che succede?” ci chiediamo. In lontananza si vede un gruppo di 8-10 delfini saltare tra le onde. Ritorniamo a bordo e ci lanciamo all’inseguimento dei mammiferi, in breve li raggiungiamo. E’ un emozione grandissima vederli saltare lì a due metri dalla barca, ma ancora di più sentirsi dire: “Maschera e pinne. Tutti dentro l’acqua!”. “Come!!! Dentro l’acqua con i delfini????” poi tutti si buttano e così facciamo anche noi. Un gruppetto di quattro continuano la loro marcia e proviamo ad inseguirli a nuoto, ma è davvero impossibile, sono troppo veloci. Così decido di tornare verso Tania e gli altri ragazzi dove gli altri delfini si sono fermati a giocare con loro; li vedo saltare in lontananza, metto la testa sotto e mi dirigo verso di loro. All’improvviso noto una figura scura avvicinarsi, viene verso di me e poi distinguo la testa di un delfino; mi guarda con i suoi occhi curiosi e si avvicina rapido. Mi immergo un po’ e tento di nuotare verso di lui, è solo a qualche metro da me, mi passa sotto e con un rapido colpo di coda si allontana. Eleganza e potenza allo stato puro. Che emozione, che adrenalina! Ritorniamo sulla barca e ci dirigiamo verso il secondo sito di immersione, si vede il fondo che a sta a 15m, saltiamo dentro e di nuovo giù. Quì seguiamo Freddy lungo un’inquietante parete di coralli, alla nostra destra e sotto di noi il misterioso blu profondo, a sinistra murene e cernie si nascondono tra le grotte e le rocce dell’enorme parete verticale che scende a picco per decine di metri verso l’ignoto. Dopo una quindicina di minuti risaliamo su una parte meno profonda, continuando la nostra esplorazione rastrando il fondo; rimaniamo un po’ più indietro degli altri e all’improvviso sulla nostra destra noto una figura rotonda e scura immobile tra i coralli. Una delle sensazioni più belle che si provano sul fondo marino è che da lontano le cose appaiono sempre sfuocate e poco visibili, poi a mano a mano che ti avvicini a loro si trasformano sorprendentemente in qualcosa di meraviglioso, o anche di deludente. Mi avvicino lentamente alla forma amorfa che piano piano prende vita e si trasforma in una bellissima tartaruga embricata, faccio cenno a Tania anche se lei l’ha già vista. Sta mangiando delle alghe con il suo affilato e curvo becco, il carapace bruno-giallastro e il ventre marrone chiaro; rimane quasi immobile mentre mangia e la nostra presenza non sembra affatto turbarla. Rimaniamo attoniti ed increduli per alcuni minuti, dimenticandoci degli altri, poi nuotiamo rapidi verso di loro e gli facciamo capire con degli strani gesti di aver avvistato qualcosa, torniamo indietro e la ritroviamo ancora lì tranquilla, con il suo pranzo. A qualche metro di distanza la osserviamo disposti a semicerchio attorno a lei finchè, forse disturbata dalla nostra presenza, decide di allontanarsi muovendo le quattro pinne simili a potenti remi che le garantiscono una rapida propulsione. La vediamo scomparire in lontananza e ridiventare quell’immagine indistinta e sfuocata di qualche minuto prima. Che giornata incredibile, quante emozioni e soprattutto il premio finale: il brevetto per le immersioni in mare aperto, PADI Open Water!!! Sfortunatamente non siamo riusciti a scattare nessuna foto del fondo marino dato che ancora non possediamo nessuna macchina fotografica subacquea, anche se credo che presto o tardi ce ne procureremo una! Condividiamo quindi uno dei tanti video che si trovano sul web, ma che più di tutti rappresenta le cose viste nei fondali di Utila. "Dalla nascita l'uomo porta sulle sue spalle il peso della gravità, è inchiodato alla terra. Ma l'uomo deve solo lasciarsi sprofondare sotto la superficie ed è libero" Jacques Cousteau lun 10 jun 2013 Già 6 Mesi “Da quanto tempo siete in viaggio?” Ci domandano Valerie e Jens, due ragazzi tedeschi alloggiati presso il nostro ostello. “Beh, oggi facciamo sei mesi!” Rispondiamo io e Tania guardandoci negli occhi e sorridendo “Wow che bello” dicono loro “Avrete visto un sacco di cose meravigliose e conosciuto molta gente.” “E quando pensate di tornare?” ci chiede Jens. “Bella domanda! A cui per il momento non sappiamo dare una risposta.” Sono ormai passati sei mesi da quando abbiamo lasciato la neve di Francoforte ed il vecchio continente per atterrare nelle calde ed accoglienti terre del nuovo mondo. Quattro mesi interminabili e ricchi di emozioni alla scoperta del paese più bello visto finora: il Messico. Poi un mese tra gli altopiani e la vivida cultura Maya del Guatemala ed infine quest’ultimo mese passato tra le immersioni ad Utila ed il volontariato a Copán. Quando siamo partiti non avevamo grosse aspettative e nessuno ci correva dietro, ci siamo presi il nostro tempo ed abbiamo semplicemente seguito il nostro ritmo naturale. Ci siamo lasciati guidare dai suggerimenti della gente, di altri viaggiatori e dai numerosicouchsurfer che ci hanno ospitato, senza preoccuparci che ad una certa data dovevamo prendere un volo per tornare a casa o un bus che ci aspettava per andare verso nuove destinazioni. Ogni giorno in più che passiamo alla reception dell’ostello incontriamo nuovi viaggiatori che non fanno altro che alimentare e fomentare la nostra sete di scoperta. Un paio di settimane fà parlando con una coppia di spagnoli in viaggio ormai da più di un anno, abbiamo scoperto l’esistenza di una coppia di isole al largo del Nicaragua; così abbiamo deciso di dirigerci alle isole del Maíz per affrontare il secondo corso di immersioni. Altri viaggiatori ci hanno suggerito di fare una pausa nella tranquilla e idillica cittadina tra le montagne di Boquete, a Panamá, e così è finita anche lei nella nostra lunga lista dellaMoleskine che sempre portiamo con noi per questo genere di cose. Questa mattina inoltre, parlando con i due ragazzi tedeschi a cui abbiamo preparato la colazione, ci è stato raccomandato di non saltare l’Ecuador, in particolare il paradiso naturale delle Galapagos. Sembra in pratica che tutte queste coincidenze ci forzino a proseguire il nostro “rotolare verso Sud”. A maggior ragione siamo spinti a farlo se, dopo un paio di chiacchierate via Skype con i nostri amici collegatesi dall’Italia e dal Belgio, non facciamo altro che ricevere commenti sconfortanti sulla situazione europea e dei nostri paesi, ed un convincente: “Fate bene! Rimanete lì e continuate la vostra avventura!”. Così abbiamo deciso che il nostro viaggio non terminerà con l’ultimo paese centroamericano, bensí Panamá rappresenterà di partenza per il secondo dei lunghi viaggi di Otras Miradas. Ancora non abbiamo fissato la data, dato che non ci piace limitarci con le tempistiche, tuttavia possiamo con certezza affermare che il destino successivo sarà il Sudamerica. Forse voleremo a Guayaquil, forse visiteremo le isole di Darwin a caccia di foche, delfini, leoni marini e tartarughe giganti, forse ci fermeremo un paio di mesi presso un altro ostello a Cuenca o magari ci dirigeremo dritti in Cile, dove i nostri amici Nico, Javier, Dominique e Gonzalo ci attendono e non fanno altro che insistere per vederci il più presto possibile. Di certo sappiamo che la lunga e variegata terra cilena sarà solo un punto di partenza per la prossima avventura. Otras Miradas continuerà sulla strada, negli autobus, tra le foreste e lungo le spiagge a trasmettere opinioni, riflessioni, visioni ed idee a tutti quelli che avranno voglia di continuare a viaggiare assieme a noi. Come diceva R.L. Stevenson: “Non viaggio per andare da qualche parte. Viaggio per il gusto di viaggiare e basta!” lun 17 jun 2013 Addio Copán Ci ritroviamo allora a dover fare i bagagli, come i giorni anteriori alla nostra partenza dall’Europa. Sembra strano, dopo tanto tempo dover rimettere le cose dentro lo zaino, seguendo l’ordine che solo Tania conosce a memoria, perchè è lei quella che si occupa di minimizzare lo spazio all’interno dei nostri due compagni di viaggio. Dopo un mese passato a Copán Ruinas, a camminare tra le sue strade acciotolate e pendenti che puntualmente alle 16:00-17:00 di ogni giorno si trasformavano in torrenti in piena. La stagione delle piogge è iniziata proprio il giorno del nostro arrivo a Copán, ed ora che ce ne andiamo abbiamo più timore di trovarci a viaggiare ogni giorno con il diluvio universale che cadrà sopre le nostre teste e inzupperà i nostri vestiti. Quanto bello era rimanere al coperto sotto la terrazza dell’ostello e guardare la gente rifugiarsi nelle case, negli alberghi o nei ristoranti per sfuggire all’ondata di pioggia che ogni giorno colpiva la zona. Il nostro periodo di volontariato alla reception dell’Hostal Berakah è stato un altro pezzo del puzzle del nostro viaggio che si è incastrato perfettamente con tutto il resto. Avevamo voglia di fermarci per un periodo e ritrovare la tanto odiata routine quotidiana che, ad essere sinceri un po’ ci mancava. Così avevamo contattato un ostello ad Estelí in Nicaragua e un paio di alberghi in Costa Rica con la speranza che ci offrissero vitto e alloggio a cambio del nostro umile aiuto. Le risposte hanno tardato ad arrivare e così abbiamo optato per la scelta più facile: tornare a Copán Ruinas, dove eravamo stati un paio di giorni al nostro arrivo in Honduras, e dare il cambio ad una coppia messicana di volontari presso l’ostello in cui avevamo soggiornato e che ci era sembrato un posto tranquillo. Fortunatamente la scelta si è rivelata corretta, dato che dopo pochi giorni dall’inizio del nostro volontariato, ci sono giunte le risposte negative degli altri ostelli che avevamo contattato. Tuttavia l’esperienza si è rivelata più movimentata ed avventurosa di quanto avessimo pensato e pianificato. Abbiamo dovuto far fronte ad una piccola alluvione in casa alle 4 di mattina, c’è stata la necessità continua ogni due giorni di riempire una vasca con l’acqua per poter poi avere la riserva necessaria per farci la doccia, usare il bagno e lavare i piatti; c’è stata anche l’occasione di condividere la casa con un cleptomane che continuamente si approfittava degli ospiti per poter sfilare dalle loro tasche piccole somme di denaro o oggetti di valore. Poi le notti passate ad ascoltare i discorsi degli ospiti mezzi ubriachi che si fermavano a parlare giusto davanti alla porta di casa con la gente del posto, un francese pazzo col cuore spezzato da una donna e che non sapeva se preferire le baguettes ed il camembert alla danza ed alla musica brasiliana. Sicuramente l’amicizia più importante e bella è stata quella stretta con Suomy; la ragazza delle pulizie di origine Maya con la quale abbiamo avuto l’occasione di condividere dei bellissimi pranzi, interessanti chiacchierate e indimenticabili momenti di semplice ma sana amicizia. Stando con lei ci siamo resi conto delle condizioni di estrema povertà in cui vive la gente del Centro America, ci siamo resi conto di come quì, in assenza di contratti di lavoro, la gente venga sfruttata e sottopagata, di come per loro il sogno di poter raggiungere i nostri paesi rimanga una cosa impossibile, mentre per noi europei sia così facile viaggiare per il mondo; di come nonostante tutto sappiano sempre regalarti un sorriso, una tortilla fatta a mano o qualche frutto strano portato dal loro giardino e a volte ci regalino anche qualche lacrima di felicità e tristezza per dovergli dire addio. Insomma un mese pieno di incontri inaspettati, di scontri ed amicizie con gli ospiti dell’ostello, di racconti, suggerimenti, avventure e risate, ma soprattutto la possibilità di trovarsi ad affrontare in prima persona tutte le problematiche ed i vantaggi riguardanti la gestione di un ostello. Ogni volta che incontriamo qualcuno lungo il cammino ci dice che il suo sogno è quello di aprire un ostello da qualche parte nel mondo. Utopia o realtà forse anche noi un giorno emuleremo il protagonista di “un posto nel mondo”! mié 19 jun 2013 Derubati Prima o poi ci doveva capitare. Ogni giorno continuavamo a meravigliarci di quanto fortunati eravamo stati durante i nostri sei mesi e poco più di viaggio; di come ancora non eravamo stati assaltati, derubati o minacciati, di come ancora non avevamo perso niente di importante dai nostri zaini, ad eccetto di qualche mutanda, un maglione e due magliette. Tuttavia il fatidico giorno è arrivato, e per nostra tristezza, delusione e sfortuna è venuta a mancare proprio la nostra cara e utile compagna di viaggio: la nostra macchina fotografica. Grazie a lei avevamo potuto regalarvi le “messe a fuoco” con le quali volevamo mostrarvi come durante il viaggio, i nostri occhi osservavano le molteplicità di paesaggi, colori, persone e sfumature. Purtroppo temiamo che questo non sarà più possibile, almeno finchè non troveremo i fondi (chissà attraverso la vendita delle nostre foto) necessari per poterci permettere l’acquisto di una degna sostituta della nostra Nikkon D3100. E’ stata una strana sensazione quella provata nel momento in cui abbiamo realizzato che la nostra compagna di viaggio ci era stata portata via. Ancora di più perchè avevamo proprio lo zaino sopra le nostre teste, e di fatto ci è stata portata via proprio davanti ai nostri occhi. Certo l’autobus era pieno, era mattina e un po’ eravamo addormentati, però quante volte abbiamo appoggiato i nostri zainetti nelle rastrelliere apposite e ci eravamo fidati dell’onestà della gente. Forse troppo, e forse probabilmente fino ad allora c’era andato tutto fin troppo bene. Però che rabbia, giusto durante i nostri primi giorni in Nicaragua, proprio mentre osservavamo come il nuovo paese fosse molto più pulito ed ordinato dei precedenti, proprio mentre stavamo parlando bene delle persone che incontravamo, di quanto gentili fossero, ecc... Quando meno te lo aspetti, quando ti fidi e abbassi un poco la guardia perchè credi che la gente che ti circonda sia onesta...Zac! Ti rubano le cose da sotto il naso. Che amarezza, che delusione, che rabbia e che impotenza per aver potuto evitarlo. Comunque le cose vanno avanti e non si tratta certo di una tragedia, abbiamo la sorella minore che fortunatamente ci hanno lasciato nello zaino, e ancora tutti i nostri documenti che ci permettono di proseguire con il viaggio. In questi momenti è meglio pensare a chi è stato più sfortunato di noi, chi è stato derubato di soldi e passaporto ed ha dovuto fare ritorno forzatamente a casa; perchè sì, anche se hai le copie del passaporto messe da parte, l’ambasciata non può fare nulla, solo un permesso temporaneo che ti permette unicamente di rientrare nel paese di residenza e allora sì che le cose sarebbero andate molto peggio. sáb 22 jun 2013 Seduti sull'Orlo del Cratere Adagiata al centro della lunga catena de los Maribios, la città di León sorge orgogliosa e fiera come uno centri culturali e politici del Nicaragua. Molti la paragonano ad Antigua, certo un confronto azzardato con la ben più bella ed elegante ex capitale del Guatemala; anche se tutto sommato entrambe condividano una lunga storia travagliata, una posizione invidiabile tra i vulcani e il forte contrasto tra un quartiere e l’altro immediatamente accanto. A León si incontra gente che gira per le strade con i carretti di legno trainati dai cavalli mentre trasportano gli ortaggi al mercato, rombanti autubus fumanti e colorati e giovani che si muovono in skateboard o a bordo di lussuose auto da corsa. Le case sono basse e colorate, col solaio in legno, i tetti in lamiera zincata ricoperti di tegole e cosa assai comune un grande patio in cui gli inquilini si riuniscono chiacchierando e oscillando seduti su graziose sedie a dondolo artigianali. Tuttavia la città è circondata da un’atmosfera decadente che traspare attraverso le facciate scrostate delle sue innumerevoli chiese, gli odori pungenti del mercato, le pozze di acqua e fango che rimangono ai lati delle strade al termine del quotidiano acquazzone e i numerosi murales che ricordano il passato, presente e futuro sandinista della roccaforte politica del Nord-Ovest. Sicuramente ciò che richiama i turisti di tutto il mondo a León è il suo paesaggio naturale. Il simbolo del Nicaragua, la catena de los Maribios è una cordigliera vulcanica di 60Km che dal Golfo de Fonseca scende fino al lago de Managua. Cosigüina, San Cristóbal, Telica-Rota, Pilas-El Hoyo e Momotombo sono i cinque vulcani rappresentati sullo scudo del paese. In compagnia di un numeroso gruppo di altri intrepidi viaggiatori ci dirigiamo a San Jacinto, dove una piccola area di pozze di fango bollente testimonia l’attività ancora forte della zona vulcanica; ad un paio di chilometri una centrale geotermica di proprietà rigorosamente straniera provvede a fornire di elettricità la città. Dopo un’abbondante camminata di un’ora attraverso pascoli e campi di fagioli dove avvistiamo un paio di guardabarrancos, gli uccelli simbolo del Nicaragua,arriviamo alla base del Telica. All’ombra di un’enorme mango facciamo sosta per rifocillarci, dopodichè iniziamo l’ascesa. Il sentiero è tranquillo e non molto ripido e solo l’umidità ed il calore ci rallentano l’avanzata. Finalmente dopo un’ora e mezzo circa arriviamo sul bordo di uno dei crateri collassati del vulcano; da lì possiamo ammirare in tutta la sua imponenza l’altro dei crateri ancora fumante ed in piena attività. Una grande e bianca nuvola di vapore acqueo misto a gas solforosi fuoriesce dalla bocca del Telica; quì non ci sono limiti, la zona è monitorata dai vulcanologi, ma ci si può avvicinare quanto si vuole. Dalla forcella scendiamo allora verso valle dove ci aspetta la zona per accamparci. Siamo circondati da un paesaggio surreale: da un lato una zona verde e rigogliosa con palme e piante di ananas selvatiche, dall’altro una distesa di massi e rocce vulcaniche sopra la quale la vegetazione fatica a farsi strada; sullo sfondo il cono negro e minaccioso del vulcano. Piantiamo le tende e verso l’imbrunire risaliamo lungo le pendici fino alla sommità; le nuvole purtroppo coprono il sole che tramonta in lontananza sopra l’ombra del San Cristóbal, tuttavia le luci del tramonto che filtrano tra le nubi rendono comunque magica l’atmosfera. Letteralmente ci sediamo sul bordo del cratere, aspettando il buio per poter vedere la lava. Si fà notte, il fumo bianco continua a fuoriuscire impedendoci di vedere il fondo, poi si alza un po’ di vento, l’aria si muove, il vapore si dirada e si intravedono i canali di lava rossa a poco più di un chilometro sul fondo del Telica. E’ una sensazione unica ed indescrivibile, pensare di stare lì in piedi ai limiti di un cratere attivo. Ci pensi un attimo e un brivido di adrenalina ti scuote il corpo dalla testa ai piedi. Ecco perchè adoriamo viaggiare!!! mar 25 jun 2013 Un'Isola da Sogno Seduto sulla sabbia bianca non posso fare a meno di fissare quel gruppo di palme sulla destra, mi ricordano troppo il puzzle che abbiamo a casa appeso in cucina. Per anni avevo visto quella foto di una spiaggia paradisiaca: la sabbia bianca e fina, il mare calmo e azzurro turchese ed un gruppo di palme protese verso l’acqua quasi a volersi tuffare. Mi sono sempre chiesto dov’era stata scattata quella foto, e se davvero poteva esistere nel mondo un luogo così bello. Beh che dire? Alla fine lo abbiamo trovato! Ci sono voluti due giorni per arrivare a Little Corn, ma ne è davvero valsa la pena. Anche se il viaggio è stato tremendo: due ore di bus fino a Managua, poi una folle corsa in taxi tra il traffico cittadino, un altro microbus dalla capitale verso Juigalpa e di lì altre quattro ore sulle strade sterrate e fangose della Regione Autonoma Atlantica Sud (RAAS) fino al porto di El Rama. Scesi dall’autobus saltiamo dentro ad una panga che ci trasporta fino al mare nella caotica e puzzolente cittadina di Bluefields, nel cuore della zona caraibica del Nicaragua. Poi il giorno seguente saliamo sul peschereccio Isleño D per uno dei viaggi più terribili della nostra vita. Cinque ore in mare aperto con le onde a fare oscillare la barca, la gente che vomita a destra e sinistra e noi che tentiamo di evitarlo seduti per terra con gli occhi chiusi e con le onde a bagnarci scarpe, pantaloni e maglietta. Pensavo di non soffrire il mal di mare, ma devo dire che questo viaggio mi ha fatto ricredere; forse anche peggio dell’attraversata Pico-Flores di due anni fà alle Azzorre. Arriviamo fradici alla più grande delle isole del Mais, un’ora di attesa e poi l’ennesimapanga per arrivare a Little Corn. Little Corn è bellissima, probabilmente il sogno di ogni viaggiatore, e anche perchè no di molti scrittori, pirati, sognatori e vacanzieri. E’ una isola piccola che si gira a piedi in poco più di un’ora, abitata da mezzo migliaio di creoli che parlano garìfuna, inglese o spagnolo a seconda del giorno e dalla voglia che hanno di farsi capire. Non ci sono auto, la gente si sposta a piedi o in bici, o come fanno i bambini a bordo di colorati carretti di legno spinti dai pescatori. Il sole sorge da una parte e tramonta dall’altro lato dell’isola, le spiagge di sabbia bianco-dorata circondano i litorali dell’isola, all’interno la vegetazione è rigogliosa ed esplosiva: manghi, avocado, palme d’olio e da cocco, alberi del pane, banani, ananas e papayos. Tutta la frutta esotica che possiate immaginare si può trovare a Little Corn. A concludere l’idillico paesaggio non può mancare una rigogliosa e ben conservata barriera corallina, lungo la quale si infrangono le onde dell’oceano e i colorati pesci tropicali trovano riparo. Seduti all’ombra di un gruppo di palme assaporiamo un piccolo ma gustoso cocco trovato lungo la spiaggia in attesa di iniziare il secondo corso di immersioni. Eccitati per delle nuove avventure subacquee...Let’s go diving!!! lun 01 jul 2013 Avventure Sottomarine L’acqua torbida e marrone del Rio Escondido scivola via lungo la chiglia del nostro Isleñoche lentamente ci sta portando indietro verso El Rama. Per alcuni istanti sembra di stare su Apocalypse Now in compagnia del folle colonello Kurtz o con Fitzcarraldo lungo il suo epico viaggio verso il cuore dell’Amazonas. Siamo salpati da Big Corn alle 9 di sera, condividendo due amache e la coperta della barca con una coppia anglospagnola, un paio di famiglie caraibiche e una decina di marinai del vascello. Uno dei viaggi più epici e spettacolari di sempre, un po’ tristi per aver lasciato l’isola, ma felici per aver guadagnato nuovi amici, l’Advanced ed entusiasti per quello che ci aspetta nelle prossime settimane. Anche questa volta le immersioni sono state spettacolari ed eccitanti; dopotutto vedere i delfini due volte in due giorni non è una cosa comune! La prima volta mentre eravamo sott’acqua, è stato incredibile vederli muoversi così veloci, ombre scure che si avvicinavano a noi e che ci nuotavano attorno. Qualcuno di loro incuriosito dalla nostra presenza si è avvicinato, ha fatto qualche giravolta e poi se n’è andato. E’ molto bello vedere come muovono la testa e poi il loro sguardo è così espressivo che sembrano parlarti con gli occhi così come fanno i bambini. Una sensazione unica. Il mondo sottomarino delle Corn Islands non è così ricco di specie come quello di Utila, tuttavia la barriera corallina è molto ben preservata e ricca di coralli verdi e rossi, di anemoni, di spugne e una moltitudine di ricci di mare che si annidano tra le rocce o sotto la sabbia. Quì si incontrano meno pesci, però di ben più grandi dimensioni; i pesci angelo sono grandissimi e ti squadrano con i loro occhi attenti, i pesci balestra variopinti e tra di loro riusciamo a scorgere anche un raro Queen Triggerfish. Durante l’immersione di orientamento subacqueo con la bussola facciamo conoscenza con un buffo ed enorme pesce istrice dotato di un solo occhio. Galleggia tranquillo accanto ad una roccia e fortunatamente non sembra turbato dalla nostra presenza; c’è da stare attenti a questo tipo di pesci che come il pesce palla possono gonfiarsi assorbendo acqua diventando tre/quattro volte più grandi delle dimensioni normali e soprattutto utilizzando i loro aculei velenosi per difendersi L’immersione notturna rimane indimenticabile non solo per l’opportunità di vedere astici, aragoste e polipi attivi quando cala il sole, ma soprattutto per lo spettacolo di luci che ci regalano gli organismi marini quando si spengono le nostre torce. Tutti assieme ci adagiamo sul fondo, spegnamo le luci e dopo pochi minuti ci troviamo circondati da migliaia di lucette fosforescenti prodotte per effetto della bioluminescenza degli organismi marini. Uno spettacolo unico, soprattutto quando iniziamo, sempre a luci spente, a nuotare tentando di distinguere i nostri profili attraverso le piccole luci biancastre. Nonostante le nostre avventure subacquee siano per il momento terminate, ci rimane ancora molto da vedere di questo meraviglioso e rigoglioso Nicaragua. Le città di Granada e Masaya, la laguna de Apoyo, un paio di vulcani attivi, l’enorme lago Cocibolca con la bellissima isola di Ometepe nel mezzo per poi finire con San Carlos e il rio San Juán. E poi tra poche settimane ci uniremo ai nostri amici per un memorabile viaggio nella terra della Pura Vida! Costa Rica, here we come!!! vie 05 jul 2013 Una M in Mezzo al Lago Da lontano non si può non riconoscere la peculiare forma dell’isola con le cime dei due vulcani che si innalzano nel bel mezzo del lago Cocibolca. Il Concepción e il Madera formano una M con i loro due picchi; quella M appunto che si osserva stilizzata nella scritta pubblicitaria di Ometepe e che si incontra in tutto il paese. Arrivando con la barca da Rivas si raggiunge la piccola cittadina di Moyogalpa, ad attenderci l’inesorabile temporale che ci ricorda che ci troviamo in piena stagione delle piogge. Dietro alla chiesa del paese si staglia l’ombra del Concepción, il vulcano più alto dell’isola e tra i due l’unico ad essere ancora attivo. Normalmente lo si osseva coperto da una spessa cappa di nubi, tuttavia il sereno dopo la tempesta ci da tempo per una decina di minuti di osservarne le pendici nere e scoscese, interrotte qua e la da lunghi canaloni di lava più o meno recente. L’unico autobus che gira nell’isola parte da Moyogalpa, aggira il vulcano lungo il lato meridionale, fa tappa ad Altagracia per poi ripartire verso Sud attraversando l’istmo di terra, sabbia e mangrovie che unisce i due vulcani. La parte più stretta dell’isola è un’oasi di tranquillità. Davanti al nostro ostello si estende una lunga spiaggia vulcanica che dopo qualche kilometro si tuffa nella giungla umida e selvaggia della foresta tropicale che sorge alle pendici dei due vulcani. La base strategica ci permette di fare piccole uscite in giornata senza cercare cose straordinarie, semplicemente per passeggiare, assorbire la cultura dell’isola e godere del bel paesaggio. Uno degli aspetti positivi di Ometepe è che è ancora poco sviluppata per il turismo. O meglio, di turisti se ne vedono in giro ed i servizi non mancano, nonostante tutto l’isola non è stata privata della sua autenticità ed il turista/viaggiatore non ha quella sensazione di essere continuamente derubato o raggirato come accade spesso in altri posti. La parte meridionale è sicuramente la più bella; le pendici del volcán Madera nascondono cascate e torrenti che scendono impetuosi verso le rive del lago, mentre piccoli isolotti abitati da scimmie ragno ed urlatrici punteggiano la riva. Mérida è la città più grande della zona, quì ci si arriva solo mediante una stradina sterrata percorsa una volta al giorno da un povero autobus che zigzagando tra le voragini e dimenticandosi della sospensioni, unisce il paese al resto dell’isola. La gente è semplice, vive di pesca, alleva maiali (Ometepe ha la densità di maiali per numero di abitanti più alta del Centro America) e i bambini si esaltano vedendo nascere i pulcini. L’ultimo giorno siamo costretti a partire alle 8 con il solo autobus che ci consente di raggiungere Altagracia. Arriviamo alle 9:30 ed il ferry che ci porterà a San Carlos non parte prima delle 9 di sera. Che fare? Ci sediamo nella piazza centrale ad aspettare ed osservare la gente: chi vende gelati e granatine, chi frutta o verdura e chi semplicemente come noi se ne sta seduto tutto il giorno senza fare niente, finchè arriva la pioggia e allora tutti sotto il chiosco del parco in cerca di riparo. Alla fine salutiamo Ometepe in compagnia della pioggia torrenziale che ci aveva accolto una settimana prima e che durante tutto il nostro soggiorno non ci ha mai abbandonato. Il sole è già scesa da un bel po’ e ci attendono ben nove ore di viaggio per attraversare il lago. Lasciamo l’isola contenti e con i ricordi indelebili dei bellissimi tramonti oltri il Concepción che in questi giorni ci ha regalato. vie 12 jul 2013 Navigando Navigando Certo non avrà i canalí, i ponti o i bellissimi palazzi di Venezia, tuttavia San Carlos rappresenta per noi l’alternativa nicaragüense alla meravigliosa città italiana. Sarà perchè per muoverci facciamo uso solamente delle nostre gambe e delle barche. La cittadina è situata sulla sponda sud-orientale del lago di Nicaragua, nel punto in cui vari fiumi confluiscono nel bacino e dal esce l’unico emissario del lago Cocibolca: il Rio San Juan. San Carlos è un agglomerato di case in legno, baracche dai tetti in lamiera e strade polverose rese pantanose dalle piogge. Al contrario che in altri posti quì la gente non si affanna per affittarti una stanza, anzi siamo noi che dobbiamo girare tra posadas ehospedajes finchè qualche buon’anima decide di darci una piccola stanza per la notte. Quando mettiamo piede a terra arriviamo dope nove ore di viaggio nel ferry che ci ha permesso di attraverare il lago durante la notte. Fortunatamente abbiamo potuto dormire comodamente sdraiati sulle panche e all’alba ci siamo svegliati in compagnia delle verdeggianti isole di Solentiname. Da lontano sembravano piattaforme di alberi galleggianti; il riparo ideale per aironi, garze e centinaia di altri uccelli di fiume. Dopo aver trovato la stanza ritorniamo al molo per una rapida colazione a base di caffè nicaraguense e piccole empanadas di ananas, dopodichè alle otto saliamo su una nuovalancha diretti al Castillo. Il viaggio lungo il fiume San Juan è meraviglioso, scorci di foresta tropicale, verdeggianti pascoli e palafitte lungo le rive. Di uccelli se ne scorgono a centinaia: egrette, aironi grigi, azzurri, verdi e tigrati, spatole, ibis, cormorani, qualche cicogna e jaribù e poi martin pescatore e moltissime tartarughe di fiume. Finalmente dopo tre ore di viaggio scorgiamo le rovine del Castillo. Strategicamente costruito su di una collinetta situata nei pressi di una stretta ansa in cui il fiume rallenta e dove le acque basse presentano numerose insedie, El Castillo domina il paesaggio circostante. Verso l’inizio del XVII secolo gil spagnoli che avevano scoperto l’ingresso fluviale al lago del Nicaragua, avevano deciso di costruire un forte per difendere la via d’accesso dai pirati inglesi, francesi ed olandesi che durante i decenni precedenti si erano concessi il lusso di entrare nel lago e di saccheggiare la città di Granada. I vascelli che entravano dall’Atlantico erano obbligati in questo punto a rallentare e a procedere con cautela per evitare di rimanere incagliati, motivo per cui erano facile bersaglio per i cannoni degli spagnoli che puntavano verso Est. Nonostante tutto in varie occasioni la fortezza venne presa d’assalto e distrutta. Ritornati a San Carlos non ci resta che passare la notte chiusi nella nostra stanza di cinque metri quadri guardando un film e aspettando l’alba per imbarcarci verso il Costa Rica. Dopo aver affrontato i cavilli burocratici e la ressa per salire nella nostra barca, finalmente iniziamo il viaggio lungo il Rio Frio. Navighiamo controcorrente circondati da una fitta vegetazione, giganteschi alberi di ceiba fungono da riparo per le scimmie urlatrici che ci salutano prima che abbandoniamo il Nicaragua, mentre lungo le sponde cormorani ed aironi si dedicano alla pesca. Presto saremo in terra Tica aspettando i nostri amici per due settimane e poi viaggiando in loro compagnia tra i parchi naturali e le meravigliose spiagge del paese centroamericano che molte persone identificano come il “più felice al mondo”! sáb 13 jul 2013 A Casa di Amici Entriamo in Costa Rica attraverso il villaggio de Los Chiles, zona di frontiera molto meno trafficata rispetto a Peñas Blancas lungo la costa Pacifica e molto più scenografica. Facciamo appena in tempo a mangiare un pollo fritto al volo e a prendere l’ultimo autobus in partenza per San José, nel quale rimanevano solamente due posti liberi. Almeno questa volta abbiamo avuto culo! A Herédia, una delle quattro città del Valle Central ci aspettano Adam ed Ana, conosciuti in Nicaragua sulla via del ritorno da Corn Island. Notiamo subito una certa differenza con gli altri paesi centroamericani. I trasporti sembrano più comodi, organizzati ed efficenti e la gente molto amichevole e precisa nelle informazioni. Per la prima volta esistono delle fermate pianificate, e non come eravamo abituati che in ogni dove l’autobus fermava per far salire o scendere la gente. Gli autobus statunitensi di seconda mano se ne vedono girare pochi in giro, le strade asfaltate ai fianchi sono dotate di piccole canalette per il deflusso dell’acqua piovana. In questo modo si evita che, dopo le piogge quotidiane le carreggiate si trasformino in torrenti come accadeva in Honduras o Nicaragua. Attraversiamo una zona pianeggiante in cui si estendono a perdita d’occhio le piantagioni di ananas della Del Monte. Il Costa Rica è uno dei più grandi produttori del continente di questo delizioso frutto. Dopo un paio d’ore ci arrampichiamo sulle montagne, passiamo Ciudad Quesada e Zarcero, per poi scendere nei pressi dell’aeroporto. Tra due settimane verremo quì a prendere i nostri futuri compagni di viaggio. I nostri amici vivono in un quartiere periferico di Herédia e ci hanno dato appuntamento nel Walmart. Wow quanto tempo senza vedere McDonald’s, Burger King, Pizza Hut, Walmart, ecc... appena raggiunto il Valle Central si nota subito un certo distacco dal resto del paese e del continente. La gente è molto più alla moda e con la pelle molto più chiara. Ci sono ragazzi che girano in skateboard, altri con grossi auricolari alle orecchie. Insomma ci si sente un po’ come in Europa. Adam ed Ana vivono in un piccolo appartamento ricavato nella parte superiore di una casa tica; sono arrivati a febbraio con la idea di fermarsi un anno nel paese e lavorare come insegnanti di inglese e spagnolo. Adam è di Leeds, laureato in lettere e filosofia e con un master bilingue conseguito a Valencia un paio di anni fà; Ana è invece spagnola, di Valencia appunto, laureata in filologia inglese ha vissuto per alcuni anni in Inghilterra, poi a Bruxelles, a Parigi, ha lavorato come hostess per poi far ritorno nella madrepatria. Sono insieme da quasi quindici anni e senza sosta vivono la loro vita viaggiando per il mondo. Dicono che tra viaggiatori ci si intende a prima vista, ancor più se si è una coppia. Sembra che tra noi e loro ci sia stata subito una forte intesa, un legame invisibile che dal principio ci ha permesso di stringere una bella ed indimenticabile amicizia; un filo che ha fatto si che loro non si preoccupassero per quel poco che potevano darci e noi ci adattassimo a dormire sui materassini da campeggio per una settimana vivendo in loro compagnia senza frigorifero e con solo una risottiera elettrica per farsi da mangiare. Quando si è in viaggio si impara ad apprezzare le cose semplici, ci si sente felici osservando i tramonti o i bambini che giocano nei parchi, o semplicemente perchè qualcuno ti ospita in casa senza conoscerti e senza giudicarti. Forse in viaggio le amicizie sono più autentiche o semplicemente, come dicono loro: “tra viaggiatori esiste un codice segreto, un codice muto!” mar 23 jul 2013 Nel Valle Central Una settimana prima che arrivino i nostri amici dall’Italia ci dedichiamo alla visita di San José, l’unica capitale dei paesi centroamericani sufficientemente sicura e discretamente valida da meritare un’occhiata. Dopo molti mesi ricominciamo a far uso del Couchsurfing che in Messico ci aveva permesso di viaggiare per mesi interi senza mai aver bisogno di ostelli e con la possibilità di incontrare decine di persone e viaggiatori e di entrare un po’ più nel vivo della cultura del paese. A san José ci ospitano Cristian, Andrés e Alonso, tre ragazzi ticos che condividono un appartamento nella periferia Nord della capitale. Andrés e Cristian hanno appena iniziato a lavorare e anche loro stanno mettendo da parte nel loro primo anno di lavoro un po’ di soldi per poter viaggiare e conoscere l’Europa. Sono curiosi come lo eravamo noi, inoltre per alcuni anni hanno studiato italiano all’università e così ci concedono il lusso di lasciare da parte lo spagnolo per qualche ora e lanciarci in avventurose e lunghe discussioni in italiano. E’ divertente passare il tempo con loro, di sera ci facciamo delle belle cene a base di pasta e sughi vari e lunghe chiacchierate sul loro e sui nostri paesi. Proprio quello che ci mancava da tempo. All’interno del Centro America il Costa Rica rappresenta un caso particolare. Da sempre è stato un paese pacifico, ha eliminato l’esercito all’inizio del ‘900 e si è principalmente dedicato alle esportazioni per far crescere il PIL del paese. Prima con il boom del caffè, poi le banane e gli ananas, la carne bovina e suina, infine con la produzione di apparecchiature e sistemi elettronici (Intel avviò all’inizio degli anni ’90 la produzione dei primi processori Pentium proprio nel paese centroamericano). Tuttavia negli ultimi anni la maggiore risorsa economica del paese è il turismo, e con i capitali stranieri e le orde di turisti americani ed europei a coprire in pratica tutte le stagioni dell’anno, sono cambiati anche gli usi ed i costumi. Nella capitale o nelle altre tre città del Valle Central (Herédia, Alajuela e Cartago) non è difficile imbattersi in ragazzini che escono da scuola con lo skateboard sotto braccio, o altri ballare al ritmo della breakdance americana nel centro delle piazze dei paesi, mentre sullo sfondo i vecchi pellegrini si recano fedeli alle messe del weekend. Dopo alcuni giorni all’interno della giungla cittadina districandoci tra McDonald’s, KFC e altre meno note catene di fast food, decidiamo di prenderci una pausa e di andare alla scoperta della vera giungla costaricense. Armati di zaino, tenda da campeggio, sacchi a pelo, fornello a gas e scorte di cibo per tre giorni, ritorniamo sulla strada con la bussola puntata verso Nord-Ovest, direzione Santa Rosa. Il parco nazionale Santa Rosa è una delle zone più grandi del Pacifico dedicate alla protezione del bosco secco tropicale e l’unico parco in Costa Rica di questo tipo. Scesi dall’autobus all’incrocio che porta verso l’entrata del parco ci incamminiamo lungo gli 8 Km che attraversano la foresta e ci conducono nella zona in cui accampiamo. E’ mezzogiorno ed il sole non perdona, fortunatamente la fitta boscaglia ci protegge dai raggi solari e dopo meno di due ore arriviamo a destinazione. Ci troviamo di fronte una bella spianta con bagni, docce, lavabi e persino un’area coperta con tavole da picnic; rimaniamo meravigliati ed estasiati. C’è persino l’acqua potabile!!! Prima di andare a dormire ci fanno visita un gruppo di agouti grandi roditori simili a scoiattoli che si cibano dei frutti del Guanacaste, l’albero nazionle del paese che da il nome anche alla regione in cui ci troviamo. La notte passa tranquilla e anche se al mattino ci svegliamo con la pioggia la nostra colazione è allietata dalla visita di un gruppo di scimmie ragno che saltano da un albero all’altro in cerca della frutta giusta. Ben presto il temporale lascia spazio a qualche spiraglio di sole, così ci dedichiamo alla classica camminata giornaliera verso la spiaggia. Lungo il cammino incontriamo tartarughe di fiume, falchi, parrocchetti e con nostra grande sorpresa al nostro ritorno anche una famiglia di cervi. Gli animali simbolo del bosco secco tropicale! L’indomani giunge così l’ora del nostro ritorno alla civiltà, salutiamo il campeggio facendo colazione in compagnia di un paio di iguane dei soliti agouti che tutte le mattine ci hanno fatto visita. Riprendiamo la marcia verso la strada principale, tra qualche giorno arrivano i ragazzi e allora si che ci lanceremo alla vera scoperta delle meraviglie naturali del Costa Rica. dom 28 jul 2013 Dai Vulcani ai Caraibi Dopo quasi otto mesi di viaggio e di lontananza dai nostri amici, ritorniamo finalmente a incontrarci pronti per partire in quello che sarà un indimenticabile viaggio alla scoperta del paese centroamericano. E’ sabato, ed i nostri amici sono partiti ormai da sei ore per un lunghissimo viaggio che li porterà a far scalo a New York, per poi raggiungere San José. La giornata inizia tranquilla, facciamo colazione in compagnia dei nostri amici Cristian ed Andrés, dopodichè impacchettiamo gli zaini, li ringraziamo per l’ospitalità ed il divertimento datoci durante la settimana e ci avviamo verso il cuore della capitale. I ragazzi arrivano questa sera e abbiamo un paio di cose da sistemare con l’auto a noleggio e l’ostello presso cui passeremo la notte. Siamo eccitati e contenti per l’arrivo dei nostri quattro amici, mentre Tania prepara la cena, riguardo i dettagli del viaggio che sebbene abbia una linea guida dovrà soffrire una decina di modifiche come sempre accade durante i viaggi on the road. L’aeroporto di San José è molto piccolo e una folla numerosa di taxisti, tour operator e turisti vari si accalca all’uscita aspettando che arrivi la gente. Aspettiamo impazzienti e poi finalmente li vediamo uscire dal tunnel, come dei calciatori che escono dagli spogliatoi, stremati ma con il sorriso e gli zaini in spalla come alla fine di un match vittorioso. Sono loro: il Capitano ed il fratello viaggiatore, il Moro e Zonca. Ci abbracciamo ed iniziamo a ridere come se fossero passati pochi giorni dalla nostra partenza. All’indomani inizia la nostra avventura a bordo del Montero che caricato all’impossibile si arrampica sulle pendici del Volcán Póas. Il parco nazionale creato attorno al vulcano è abbastanza piccolo ed uno dei più visitati; ci troviamo sulla cima circondati da turisti ansiosi di puntare le loro punta e scatta verso il cratere attivo del vulcano. Siamo fortunati, la giornata è bella e non ci sono nuvole a coprirci la vista, ma soprattutto siamo in compagnia dei nostri amici. Abbiamo un sacco di cose da raccontare e il tempo vola in loro compagnia. Ci dirigiamo al secondo cratere attraversando un piacevole sentiero ricco di felci e bromeliacee, dopodichè ritorniamo verso l’auto. Ci aspetta la missione Póas-Caraibi. Lungo la strada ci fermiamo a pranzare il primo dei tanti casados che ci accompagneranno in questi giorni. Attraversiamo la catena vulcanica centrale, passando tra la immensa foresta pluviale del parco Braulio Carrillo dove ci siamo sorpresi da un forte acquazzone, dopodiché iniziamo a scendere verso le afose pianure della costa atlantica. In pochi kilometri il paesaggio cambia radicalmente lasciando spazio ad infinite distese di banane ed ananas, un po’ alla volta entriamo nell’impero di Dole, Chiquita e Del Monte. Ce ne accorgiamo quando arriviamo a Puerto Limón, il porto sull’Atlantico più grande del paese. Sullo sfondo decine di navi cariche con container-frigo pronte a salpare verso l’Europa o gli Stati Uniti con il loro carico di frutta tropicale. Ancora una cinquantina di kilometri ci separano dalla nostra meta finale: Manzanillo. Sfortunatamente nei giorni seguenti la fortuna non è dalla nostra. Piove continuamente, il cielo è grigio ed il mare mosso non ci permette di ammirare la piccola barriera corallina situata a pochi metri dalla spiaggia. Nonostante tutto non ci diamo pervinti e ci gettiamo in acqua anche sotto il diluvio. Appena smette ci concediamo una lunga passeggiata lungo i litorali selvaggi di questo bellissimo tratto di costa, mentre al ritorno ci dissetiamo aprendo qualche cocco a colpi di machete. L’idea era quella di rimanere qualche giorno in più per poter godere delle onde e dei fondali marini di questo tratto di costa sudorientale, ma visto il clima decidiamo di spostarci più verso Nord. In fondo la bellezza di questo tipo di viaggio sta anche nell’essere flessibili e sicuramente il fatto di avere un mezzo proprio lascia una libertà senza paragoni. Eccoci dunque diretti verso il Parque Nacional del Tortuguero, definito da molti come l’Amazonia del Centroamerica. Ci sia arriva solo in barca e solo con essa si ha la possibilità di muoversi poi tra gli intricati labirinti di mangrovie. Tortuguero è un piccolo villaggio con un centinaio di abitanti situato nella costa nordorientale del Costa Rica, la ragione per cui è stato creato quì il parco nazionale è principalmente legata alla protezione dei luoghi di nidificazione delle tartarughe marine, che quì trovano una delle aree protette più vaste del Centro e Sudamerica per quanto riguarda la costa atlantica. Passiamo la notte in un paio delle molteplici cabañas che la gente del villaggio mette a disposizione dei turisti e al mattino ci attende ancora la pioggia al nostro risveglio. Sembra proprio che non voglia lasciarci in pace in questi giorni. Dopo un paio di tentativi riusciamo finalmente ad uscire a bordo di una canoa alla scoperta dei bellissimi canali del parco. Dall’acqua gli alberi sono immensi e la vegetazione è così fitta che ci sembra navigare chiusi tra due muri verdi. Sopra la volta della foresta una moltitudine di uccelli si sposta in cerca dei flebili raggi di sole che escono allo scoperto tra le coltri di nubi grigie. Osserviamo parrocchetti, aironi e garze di ogni tipo, le anhinga e i cormorani si appoggiano alle cime degli alberi ed aprono le loro ali per asciugarle mentre qualche farfalla morpho vola al nostro fianco mostrandoci il gioco di colori azzurro-giallo delle sue ali. Tucani solfarati e di Swainson sorvolano le nostre teste sempre viaggiando in coppia mentre tra le acque basse dei canali riusciamo a scorgere un paio di caimani mimetizzati ed immobili tra la umida vegetazione. Ma è durante la notte che ci aspetta il nostro incontro più sorprendente; accompagnati dalle guida che pattugliano la spiaggia di notte, veniamo condotti a tu per tu con una gigantesca tartaruga verde nell’atto di deporre le uova. Mi immaginavo qualcosa di grande, un po’ come quelle che avevamo visto facendo le immersioni ad Utila o Little Corn, ma davvero questo rettile non ha niente a che vedere con le precedenti. Il carapace sarà lungo almeno 1,20-1,30m e le dimensioni della testa e delle pinne sono impressionanti. Le tartarughe verdi sono le seconde più grandi al mondo tra quelle marine, superate solo dalle tartarughe liute che superano i 2m di lunghezza e la mezza tonnellata di peso. Quando questi enormi rettili scavano il loro nido creano un’autentica voragine sulla sabbia, depongono una centinaio o poco più di uova durante una mezzora, dopodiché iniziamo a coprire il nido e poi a cammuffarlo muovendo le pinne posteriori ed anteriore in modo alternato in quella che sembra una danza. Infine ritornano goffe e lente verso il mare, e finalmente una volta dentro l’acqua possono dar libero sfogo alle loro incredibili capacità natatorie. Osservare gli animali muoversi liberi all’interno del loro ambiente naturale da una sensazione di adrenalina e serenità indescrivibili, come se per un momento ci potessimo trasformare in qualcuno di loro. vie 02 ago 2013 Ritorno sulla Cordillera Lasciatoci alle spalle le pianure e le foreste umide ed afose dei Caraibi, ci arrampichiamo nuovamente sulla catena vulcanica centrale del paese. Il Costa Rica presenta tre catene vulcaniche che lo attraversano lungo la direzione Nord-Ovest, Sud-Est. Nell’ordine troviamo la Cordillera de Guanacaste, Cordillera Central elaCordillera de Talamanca. Il vulcano Arenal è situato proprio nel punto di unione tra la catena del Guanacaste e quella Centrale. Durante l’ultimo decennio è stato uno dei vulcani più attivi del Centroamerica; risvegliatosi nel 1968 a seguito di una grande esplosione, seguì la sua attività vulcanica fino alla fine degli anni ’90. Molte persone approfittarono per costruire attorno al vulcano le numerose piscine termali che oggi sono un punto di riferimento per il turismo di lusso della zona. Oggi il vulcano ha cessato la sua attività e sebbene continui a rappresentare un punto di riferimento per tutti i backpackers dell’america centrale, chi viene quì in cerca di lava ed esplosioni notturne spettacolari, beh rimane abbastanza deluso. La zona è comunque composta da bellissimi tratti di foresta nebulare e dalla presenza di altri vulcani e da una paio di parchi nazionali. Quando arriviamo a La Fortuna ad attenderci c’è ovviamente la pioggia e le nuvole basse che si concentrano attorno all’Arenal ci impediscono di ammirarne il cono perfetto. Ci ricorda un poco il volcán Concepción sull’isola di Ometepe in Nicaragua, con la differenza che quì fa un po’ più freddo e che ad attenderci appena appoggiati gli zaini nell’ostello, c’è un bellissimo esemplare di bradipo tridattile che scende da un albero. I bradipi sono animali bizzarri, si dice siano parenti alla lontana dei formichieri, solo che per qualche strano motivi preferiscono vivere la loro vita negli alberi e dormire qualcosa come 20 ore al giorno. In realtà la ragione di tanto sonno è legata al loro metabolismo; principalmente i bradipi si nutrono di foglie e frutta, in particolare vanno ghiotti della frutta del guarumo un albero nativo del centroamerica dalle foglie simili al nostro ippocastano. I frutti di questo albero sono difficili da digerire, ragione per cui questi animali passano la maggior parte del loro tempo appesi ai rami durante il processo di digestione. Sebbene sembrano animali estremamente goffi e lenti se confrontati con le scimmie ragno o i cebi capuccini, in realtà si muovono con agilità. Sembra un po’ come osservare una moviola calcistica, con i movimenti di gambe e bracce precisi e misurati, sebbene lentissimi. Altra cosa curiosa dei bradipi è che scendono dall’albero dove vivono una volta sola al mese, e lo fanno per una ragione ben precisa: defecare! Sono animali incredibilmente buffi e simpatici a cui ti affezzioni a prima vista, un po’ come i koala o gli opossum credo...anche se non ho visto nessuno dei due finora. Lasciato in pace il nostro amico peloso continuiamo la rotta verso il vulcano Tenorio situato ad una cinquantina di kilometri verso Nord-Ovest. Il Tenorio è famoso per la sua foresta nebulare che nasconde tra la nebbia e la pioggia un paio di bellissimi torrenti dalle acque color turchesi. La camminata non è lunga ma resa difficile dalla pioggia e dal terreno fangoso; inizialmente ci offrono degli stivali di gomma, ma fieri delle nostre scarpe da montagna rifiutiamo ed intraprendiamo il percorso nella foresta. Ben presto ci troviamo a fare i salti mortali tra le radici degli alberi ed i sassi scivolosi nel tentativo di non affondare nel fango fino alle caviglie. Aggrappandoci ai rami e guadando i torrenti sopra i tronchi arriviamo infine ad una radura in cui i due torrenti principali il rio Tinto ed il rio Sucio si incontrano per dar luogo a quello che diviene il rio Celeste. Lo strano mix delle acque colorate dai minerali vulcanici dei due corsi d’acqua creano un fiume color turchese che scivola lento tra la vegetazione accesa della foresta. Tornati indietro di qualche kilometro scendiamo lungo una quebrada richiamati dal rumore assordante di una cascata; si tratta nuovamente del rio Celeste che da una decina di metri si tuffa in una pozza di colore bianco-azzurro per poi proseguire il suo viaggio verso valle tra massi e tronchi. Raggiunta l’auto non resta che toglierci le scarpe e lavarci per bene le gambe. Probabilmente non la migliore camminata di sempre, sicuramente una delle più divertenti. lun 05 ago 2013 Finalmente Sole in Guanacaste La penisola di Nicoya è una delle zone più secche del Costa Rica e ci consente per una settimana di sfuggire alle piogge torrenziali che investono il paese durante questo periodo. La prima tappa è Montezuma, un piccolo villaggio situato sulla punta sudoccidentale della penisola; si tratta di una zona molto tranquilla, famosa per il surf ed i tramonti che accendono il cielo. In giro si trovano molti italiani in vacanza e molti altri europei. Ad una decina di kilometri da Montezuma si trova la Reserva Absoluta Cabo Blanco il primo parco nazionale istituito in Costa Rica; si tratta di una zona veramente selvaggia e che pochi viaggiatori raggiungono. Lasciamo l’auto nel piccolo parcheggio infangato all’ingresso del parco ed entriamo nel sentiero che in poco più di quattro kilometri ci conduce verso la spiaggia dalla quale è possibile ammirare lo scoglio che da il nome alla riserva: Cabo Blanco appunto! Il percorso è molto simile a quello affrontato nel parco del vulcano Tenorio, un sali e scendi scivoloso con alcuni torrenti da guadare. Quello che impressiona di più tuttavia è la vegetazione, meno rigogliosa di quella della foresta nebulare, sebbene ben più impressionante. Siamo circondati da una foresta pluviale tropicale con alberi che superano sicuramente i 50-60m di altezza. Procediamo lentamente fermandoci a fare qualche foto di quando in quando e dedicandoci all’osservazione degli animali. Un gruppo di scimmie urlatrici fa sentire la loro presenza quando ci avviciniamo, mentre quando quasi ormai siamo giunti alla spiaggia il nostro cammino si incontra con quello di un formichiere. Ci fermiamo e lui non sembra accorgersi della nostra presenza, prosegue lungo il suo tragitto, attraversa il sentiero e poi si tuffa alla disperata ricerca di formiche e termiti tra i numerosi tronchi degli alberi caduti nella foresta. Una volta raggiunta la spiaggia ci concediamo un bagno rinfrescante e mangiamo un paio di banane circondati da iguane e paguri che si nascondono tra la sabbia trasportando la loro conchiglia di protezione. Sulla via del ritorno invece incrociamo un lungo serpente che spaventato dal nostro arrivo si allontana, mentre una grossa famiglia di pizotes ci fa compagna per un po’ seguendoci lungo il sentiero. Il nostro soggiorno a Montezuma prosegue il giorno seguente con i nostri amici che si dedicano ad una mattinata di surf in cui tentano ripetutamente di mettersi in piedi sulle tavole, e c’è anche chi per alcuni secondi ci riesce. Dopodiché ci dirigiamo verso Mal País, un altro piccolo villaggio che condivide con Santa Teresa una delle più belle spiagge del paese. Da quì il tramonto è incredibile, dai colori accesi ed indimenticabile. Dall’estremo Sud raggiungiamo seguendo un percorso antiorario Tamarindo, altra cittadina turistica e famosa per la presenza di numerose scuole di surf e di ostelli. Molti ce l’hanno descritta come una piccola San Diego del Costa Rica, motivo per cui le nostre aspettative non sono delle migliori. Tuttavia devo dire con sincerità che, sebbene aspettandomi il peggio, non trovo cosi male questo paesino sulla costa, ossia né meglio né peggio che tanti altri luoghi del Messico o del Nicaragua. Ad una sessantina di kilometri al Sud di Tamarindo si trova una delle spiagge più interessanti del paese per quanto riguarda la nidificazione delle tartarughe olivacee, che in Costa Rica prendono il nome di loras per la forma del loro becco simile a quello di un pappagallo. Nel Refugio de Vida Silvestre Ostional, situato una sessantina di kilometri al Sud di Tamarindo, si verifica ogni mese un fenomeno naturale incredibile: la arribada. Centinaio di migliaia di tartarughe olivacee arrivano in massa nella nera spiaggia vulcanica per depositare le loro uova. Noi siamo un po’ sfortunati perchè proprio 3 giorni prima del nostro arrivo c’è stata la arribada di Agosto, tuttavia abbiamo comunque la opportunità di osservare circa una decina di tarturughe mentre escono dall’acqua e risalgono la spiaggia in cerca di un posto dove nidificare. Durante la salita lasciano sulla sabbia lunghe strisce nere che sono facili da individuare anche di notte senza l’ausilio della luce. Ne incontriamo una in buono stato eci accingiamo a seguirla senza disturbarla. La nostra compagna risale per una trentina di metri la spiaggia ed inizia a scavare il nido con le pinne posteriori. Dopodichè una volta scavato il buco del diametro di una 20 di centimetri e fondo 40-45cm inizia a deporre le uova. Sono bianche e dalla forma tondeggiande, della dimensione di una pallina da ping-pong. In poco tempo depone poco più di un centinaio di uova ed inizia a coprire il nido sempre utilizzando le pinne posteriori ed avvalendosi del peso del corpo per compattare la sabbia e cammuffare il nido. Dopo circa una mezzora il processo è terminato, la tartaruga si gira e spingendosi con le quattro pinne si dirige goffamente verso il mare, guidata dalla spuma bianca delle onde. Finalmente raggiunge l’acqua, dove decisamente si sente più sicura e a suo agio. La notte è terminata ed è ora di prendere il largo verso il mare aperto dove ci sarà modo di riposare ed alimentarsi per un altro mese prima di far ritorno alla stessa spiaggia e deporre altre uova. Uno spettacolo notturno indimenticabile!