Sulla via di Emmaus - Diocesi di Caserta

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Sulla via di Emmaus - Diocesi di Caserta
LA PAROLA CHE CI VIENE INCONTRO
Sulla via di Emmaus
di p. Edoardo Scognamiglio, Ofm Conv.
È molto bello, soprattutto nel tempo di Pasqua, soffermarsi sulle pericope
suggestiva di Lc 24,13-35. Siamo sulla via di Emmaus: Gesù accompagna il
cammino dei discepoli che si sono smarriti innanzi allo scandalo terribile e
ignobile della morte di croce. In questo racconto è come se Gesù ci invitasse a
impegnare tutte le nostre energie per riconoscere e individuare i segni della sua
presenza e non, invece, al contrario, di sprecare le nostre forze per sottolineare i
vuoti della sua presenza. La Pasqua è l’inizio di un nuovo dialogo tra Dio e
l’umanità, tra Gesù e i suoi discepoli. Infatti, al “no” dell’uomo espresso
chiaramente nel Venerdì santo, ove la croce appare come il segno del male nel
mondo e di tutte le ingiustizie della terra, il Padre ha risposto con il “si” della
risurrezione, riscattando suo Figlio dal potere delle tenebre e rivelandolo al
mondo come il Vivente, ossia come colui che più non muore, cioè che vive per
sempre. La presenza di Gesù – “in persona” – è la vera gioia dei discepoli che
sentono il loro cuore ardere e ricevono una vera e propria nuova rivelazione
mentre spezzano il pane: i loro occhi finalmente si aprirono, ossia furono guariti
dalla cecità interiore provocata dall’angoscia della morte e per la perdita del loro
Maestro1. La croce di Gesù sembra, da una parte, cancellare tutte le nostre
aspettative e speranze – vere o false che siano – e, dall’altra, però, aprire i
discepoli (e, dunque, anche noi) a una nuova e più convincente esperienza del
Signore Gesù Cristo come il Risorto dai morti, come colui che più non muore e
vive per sempre. È la luce del Risorto a dare un significato nuovo alla morte
infame del Maestro come pure a riempire di senso le nostre attese e prove della
vita!
«24 [13] Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un
villaggio distante circa sette miglia [60 stadi] da Gerusalemme, di nome
Emmaus,
[14] e conversavano [ômíloun] di tutto quello che era accaduto.
[15] Mentre discorrevano [omilein] e discutevano insieme, Gesù in persona si
accostò [si avvicinò] e camminava con loro.
[16] Ma i loro occhi erano incapaci [trattenuti] di riconoscerlo.
[17] Ed egli disse loro: “Che sono questi discorsi [parole] che state facendo fra
voi durante il cammino?”. Si fermarono, col volto triste [cupo];
1
Per l’esegesi, cf. almeno W. GRUNDMANN, Das Evangelium nach Lukas, Berlin 1959; E.
OSTY, L’Evangile selon Saint Luc, Paris 1961; H. Schürmann, Das Lukasevangelium, Freiburg
1969; F. BOVON, Vangelo di Luca e Atti degli apostoli, in J. AUNEAU E ALTRI (curr.), Vangeli
sinottici e Atti degli apostoli, Roma 1983, 221-322; C. GHIDELLI (curr.), Luca. Versione,
introduzione e note, Cinisello Balsamo (Milano) 1986; ORTENSIO DA SPINETOLI, Luca. Il
Vangelo dei poveri, Assisi (Perugia) 1994, 730-736. Per la parte spirituale, cf. S. FAUSTI, Una
comunità legge il Vangelo di Luca, Bologna 1999, 790-797.
[18] uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: “Tu solo sei così forestiero in
Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto [le cose accadute o fatti] in
questi giorni?”.
[19] Domandò: “Che cosa?”. Gli risposero: “Tutto ciò che riguarda Gesù
Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il
popolo;
[20] come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo
condannare a morte e poi l’hanno crocifisso.
[21] Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre
giorni da quando queste cose sono accadute.
[22] Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al
sepolcro
[23] e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una
visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo.
[24] Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevan detto
le donne, ma lui non l’hanno visto [eôrakénai]”.
[25] Ed egli disse loro: “Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei
profeti!
[26] Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella
sua gloria?”.
[27] E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture
ciò che si riferiva a lui.
[28] Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se
dovesse andare più lontano.
[29] Ma essi insistettero: “Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al
declino”. Egli entrò per rimanere con loro.
[30] Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e
lo diede loro.
[31] Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro
vista.
[32] Ed essi si dissero l’un l’altro: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre
conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?”.
[33] E partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono
riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro,
[34] i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone”.
[35] Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano
riconosciuto nello spezzare il pane».
1. Il contesto in cui ci troviamo: il memoriale della Pasqua
Ci troviamo all’interno dei racconti delle apparizioni e della risurrezione di
Gesù: la domenica, il primo giorno dopo il sabato, alcune donne (tra cui Maria di
Magdala, Giovanna e Maria di Giacomo), sono andate al sepolcro per ungere il
corpo di Gesù ma l’hanno trovato vuoto e hanno ricevuto il primo annuncio da
due angeli (uomini con vesti sfolgoranti o splendide). Le donne ricevono il
kerygma sul Cristo crocifisso e risorto e appaiono smarrite, tramortite dal fatto in
sé della passione di Gesù e dal nuovo annuncio degli angeli.
L’evento nuovo che crea sconvolgimento nella vita di queste donne è il
racconto della pasqua. Da questo racconto nasce anche un nuovo annuncio: «E,
tornate dal sepolcro, annunziarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri» (Lc
24,9). All’interno del kerygma, vi è spazio per la memoria cancellata dall’evento
tragico della morte di croce: «esse si ricordarono delle sue parole» (Lc 24,8). Ciò
che cancella la nostra memoria è l’esperienza quasi infinita del dolore e quella
decisiva della morte. È a questo punto che s’inserisce la scena dei discepoli in
cammino verso Emmaus. Ciò che ha tolto loro ogni memoria e speranza è lo
scandalo della croce. Forse, siamo tutti – a un certo punto della nostra vita –
inciampati nel paradosso terribile della morte infame del Crocifisso. Quella
morte, quel dolore, ci toglie ogni speranza perché abbatte i nostri progetti e
cancella le nostre attese.
Parlare di Emmaus significa avere, anzitutto, memoria per lo scandalo della
croce che segnò per sempre la divinità e l’umanità del Verbo della vita.
Nell’annuncio della Pasqua c’è sempre e innanzitutto il ricordo vivo della
passione di Gesù. Difatti, gli uomini in vesti sfolgoranti, ricorderanno alle donne
attonite: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? [6] Non è qui, è risuscitato.
Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea, [7] dicendo che
bisognava che il Figlio dell’uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, che
fosse crocifisso e risuscitasse il terzo giorno”» (Lc 24,5-7).
Il racconto della pasqua presume due elementi importanti: la memoria delle
parole e dei fatti di Gesù (la sua missione) e il superamento dell’incredulità dei
discepoli (le parole delle donne parvero ai discepoli come un vaneggiamento
[una sorta di delirio o di sciocchezze], cf. Lc 24,11). La Pasqua obbliga a un
cambio di prospettiva: partire dalla vita nuova del Risorto e non più dalla sua
morte di croce. «Perché cercate tra i morti il Vivente?» (Lc 24,5). Egli non è più
qui, nel sepolcro, perché è risuscitato. È importante “ricordare”, cioè vivere il
memoriale! Occorre vincere la paura della morte e il ricordo terribile di quelle
sofferenze inflitte a Gesù, il Nazareno. La morte ci azzittisce, la vita nuova ci
permette di cantare e raccontare con gioia la novità del Risorto, il Vivente. La
presenza dei due uomini in abito sfolgorante richiama non solo due esseri
trascendenti (come in At 1,10), ma anche una testimonianza autorevole e sicura
(cf. Dt 19,15).
Il racconto di Emmaus diventa, per noi credenti, una stupenda e meravigliosa
catechesi sull’agire misterioso e sulla presenza del Cristo risorto in mezzo a noi.
Egli, il Vivente, accompagna i nostri passi: è lui in persona che cammina con noi.
Mentre noi mettiamo sempre in evidenza i segni dell’assenza di Dio, del suo
potere, il Cristo risorto ci chiama a individuare i segni efficaci della sua presenza
vivente.
Si tratta di un dialogo dei due discepoli con un pellegrino su un argomento di
estrema attualità, ciò che è accaduto in Gerusalemme in questi giorni (vv. 13-14).
L’apice del racconto è il riconoscimento di Gesù da parte dei discepoli, preceduto
dall’illustrazione delle Scritture da parte di Gesù. Il racconto non ha uno scopo
apologetico, bensì teologico e liturgico. Teologico perché vuole rivelare l’azione
vivente del Risorto e liturgico perché il luogo in cui il Cristo si lascia riconoscere
è la comunità che spezza il pane e si lascia illuminare dal Vangelo stesso. I due
discepoli non fanno parte del collegio apostolico, ma del numero dei discepoli di
Gesù, verso i quali Luca sembra mostrare particolare attenzione.
Il capitolo 24 è costruito attorno ad alcune domande fondamentali che
permettono di approfondire il racconto della Pasqua e delle stesse apparizioni: le
donne al sepolcro si interrogavano sul significato del sepolcro vuoto e nel
frattempo i due uomini pongono la domanda (Perché cercate tra i morti colui che
è vivo?, v . 5). Gesù che cammina con i discepoli verso Emmaus domanda loro:
Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi? (v. 17). I discepoli, dopo
aver incontrato il Risorto, si chiedono: Non ardeva forse in noi il nostro cuore
mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture? (v.
32). Ci sono poi altre domande relative all’apparizione di Gesù agli apostoli e
alla sua ascensione: Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro
cuore? (v. 38); Avete qualcosa da mangiare? (v. 41). Se è vero che non è
necessario rispondere a tutte le domande, bensì porsi quelle giuste, per noi
credenti, è fondamentale lasciarci interpellare dagli interrogativi sopra esposti.
2. Che cos’è Emmaus?
Emmaus, in arabo Al Qubeibeh, cioè piccola cupola, è un minuscolo villaggio
situato a 18 km (60 stadi) a nord di Gerusalemme che, con maggior probabilità di
ogni altro, ricorda l’incontro di Gesù risorto con due discepoli, la sera di Pasqua.
È una bella posizione, un luogo circondato da ulivi, fiori, pini marittimi e da colli
digradanti verso la pianura di Saron e il mare Mediterraneo. Il sito sembra fatto
apposta per facilitare il pellegrino a immaginare Gesù che, camminando da
semplice viandante insieme ai due discepoli, tristi per i tragici avvenimenti di
Gerusalemme, spiegò loro con efficacia il senso della storia della salvezza,
trasformandoli totalmente. Del discepolo Cleopa non sappiamo niente, a volte lo
si tende a unire a Maria di Cleofa. Cleopa è un’abbreviazione di Cleopatro, un
nome greco che significa “di padre illustre”. Questo personaggio non va
identificato con Cleopa o Clopa che copare in Gv 19,25, il cui nome è in
aramaico.
Il racconto è scandito in due tappe.
Nella prima, ambientata nel percorso, Gesù spiega le Scritture alla luce della
sua Pasqua, facendo “ardere” il cuore dei suoi interlocutori. È significativo che i
due non riconoscano Gesù, pur avendolo seguito durante i suoi giorni terreni;
accadrà così anche a Maria di Màgdala (cf. Gv 20,11-18). Per riconoscere il
Risorto non basta la ragione o l’esperienza fisica. È necessario un altro canale di
conoscenza, quello della fede, indispensabile a noi e ai primi testimoni in
maniera eguale.
Nella seconda tappa, quando i viandanti raggiungono il villaggio e sostano
attorno a una mensa, i loro occhi si aprono solo alla spezzare del pane, una
locuzione che indica la celebrazione della cena eucaristica. È all’interno
dell’esperienza di fede propria del culto che il volto del Risorto diventa
riconoscibile ed è radice di speranza e di testimonianza.
Questo brano è proclamato la terza domenica di Pasqua anno A.
I discepoli hanno anche cercato Gesù, ma non come il Vivente, bensì come il
Maledetto, come colui che si è lasciato sopraffare dalla morte e ha deluso ogni
loro aspettativa. I discepoli non sono più credenti, bensì dei delusi dalla vita e dal
messaggio di Cristo che è stato il loro maestro. Innanzi alla croce, svaniscono
tutte le nostre speranze e quelle attese inautentiche da noi considerate
indispensabili. Bisogna oramai cercare Gesù come il Vivente e non come un
morto.
Perché cercate tra i morti il Vivente? Come noi cerchiamo Gesù? Non basta
essere suoi discepoli. Occorre cercarlo come il Vivente. In Mc e Mt è attestato
che i discepoli cercano Gesù (cf. 16,6 e 28,5). Ma come lo cercano? Come un
sopravvissuto alla morte? L’oggetto della ricerca, per Luca, è quello di cercare il
Vivente tra i morti (cf. Ap 1,17s.). Luca, diversamente da Marco e Matteo, non
qualifica Gesù come il Crocifisso (ton estauròmenon), bensì come il Vivente (ton
zônta). Nei racconti dei fatti pasquali, il verbo vivere (zaô) ricorre solo in Luca.
Mentre Mt e Mc sono più retrospettivi, Lc è più prospettico: Gesù aveva predetto
anche la sua risurrezione e non solo la morte. Si vuole accentuare la realtà della
risurrezione. Vi è piena identità tra il Crocifisso e il Risorto, come anche tra il
loro agire prima e dopo la croce, prima e dopo la risurrezione. La vita nuova del
Risorto continua nella vita della Chiesa che lo annuncia.
3. Qualche riferimento esegetico
Il verbo ὁράω indica l’atto del vedere in quanto comprensione o conoscenza
del mistero (cf. Gv 1,18.50.51; 11,40; 14,7.9; 20,8.25.29; 1Gv 1,1). Acquista un
ruolo determinante pure per il futuro (cf. Gv 1,39.50.51): il discepolo, in Gesù, è
chiamato a vedere sempre qualcosa di nuovo. L’uso al perfetto sta a dire, nel
caso di Gv 14,9 – “l’avente visto me ha visto il Padre” – che si tratta di un vedere
di fede che affonda le radici nella memoria del passato e che ha una sua
continuità viva e dinamica nel presente (cf. Gv 14,7.9; 20,18.25.29); è,
comunque, un vedere-guardare con gli occhi della fede che tiene assieme il
presente (in ordine alla sostanza) e il futuro (in ordine alla totalità del suo
compimento o della pienezza). Ciò vale anche per Luca. Si vedrà il Risorto nella
misura in cui si saprà accogliere l’insegnamento impartito da Gesù a proposito
della sua morte di croce e si avrà fede in lui. La fede in Gesù diviene conditio
sine qua non per la visione del Risorto! Eôraka indica la forma verbale più
completa: applicato a Gesù descrive ciò che lo sguardo ha scoperto in lui, ma di
cui si conserva l’immagine interiore. Questo vedere Gesù è connesso con un
simbolo spaziale. Infatti, Gesù è visto come il luogo dove avviene la
manifestazione di Dio (cf. Gv 1,34), nonché come il tempio della presenza divina
(cf. Gv 19,35).
Il termine omileon ha un importante significato liturgico-sacramentale e
catechetico. C’è una ricerca appassionata e inquietante dei fatti relativi a Gesù e a
quello che aveva annunciato e vissuto. Si afferma, anzitutto, l’attenzione sul
dialogo tra i due discepoli, segue la catechesi di Gesù. Dapprima l’uomo cerca
Cristo, ma resta scandalizzato dalla sua croce. Sarà poi Cristo a mettersi sui passi
dei discepoli. Cristo è la nostra luce che ci illumina.
“Gli occhi impediti”: si tratta di una vera e propria cecità interiore. La
rivelazione che riceveranno del Risorto sarà come una nuova creazione: si
aprirono i loro occhi. È la conoscenza mediante il dono pasquale della fede. I due
discepoli sanno tutto di Gesù, sono aggiornatissimi, bene informati. Sono un
esempio moderno di globalizzazione: sanno più dell’ignoto pellegrino che loro
stessi sembrano rimproverare perché non sa degli ultimi fatti accaduti a
Gerusalemme. Eppure, i due viandanti hanno gli occhi bendati e sono tristi. La
gioia è il tipico sentimento della pasqua. I due discepoli si fermano perché sono
abbattuti e tristi.
“Tu solo sei così straniero (paroikeo)”: è un termine noto solo a Luca che
indica lo stato di uno straniero che vive in una città.
“Noi speravamo…”: i discepoli non posseggono ancora la chiave di volta per
comprendere i fatti accaduti a Gesù. L’oggetto della loro speranza messianica era
la liberazione d’Israele… Quest’attesa messianica è stata svilita, anzi, vanificata,
distrutta… La morte di Gesù ha tolto loro ogni speranza. La croce è
inevitabilmente letta come la fine di ogni speranza: solo il Risorto può farla
comprendere come il vero mistero della salvezza.
Il termine stolto (anòetos) non è frequente nel NT: oltre che in Lc 24,25, si
trova nelle lettere di Paolo. Può significare ignorante, ma indica soprattutto
l’incomprensione dell’agire divino. Stolti sono i Galati a cui Paolo rimprovera
l’abbandono della retta comprensione di Gesù Crocifisso (cf. Gal 3,1). I due
viandanti sono “senza testa” e “lenti di cuore”, cioè lenti, assopiti, chiusi in se
stessi, perché raggelati dalla tristezza. La presenza di Gesù, invece, che non
abbandona i suoi discepoli, è motivo di gioia, di fuoco nuovo.
Il verbo spiegare (diermhéneusen) sta a indicare che il Risorto è il nuovo
principio ermeneutico delle Scritture e della sua stessa passione-morte. È il
Vivente a dare un significato nuovo alla storia del Crocifisso. Al centro della
catechesi del Risorto vi è l’annuncio della morte e della risurrezione, quasi a dire
che la sua morte non fu un incidente sul lavoro, un fatto improvviso e inaspettato,
ossia estraneo alla promessa di Dio. È, anzi, il passaggio per entrare nella gloria.
La pasqua di Gesù getta una luce nuova sulla croce e su tutta la Scrittura che
diventa, a sua volta, un commento alla passione di Cristo come gloria di Dio.
Sono importanti pure i verbi ricordare e raccontare…
Egli fece finta di proseguire… (v. 28): il Risorto va oltre le nostre paure, attese
e infedeltà, perché è sempre alla ricerca dei suoi discepoli. Resta con noi… (v.
29: “Dimora con noi”). L’invito si trasforma in preghiera, fino a diventare un
canto quasi di contemplazione che si fa silenzio, adorazione, quasi a dire che il
Risorto, colui che cerca i discepoli, vuole essere cercato: il nostro desiderio di lui
lo forza a stare con noi, perché Cristo per primo, con grande ardore, ha desiderato
mangiare con noi (cf. 22,15). L’invio a rimanere non è una formula vuota di
cortesia, bensì un’offerta seriamente intesa, fatta nella forma propria dei costumi
orientale, di una costrizione cordialmente insistente (cf. Gen 19,3; At 16,15) e in
maniera convincente motivata con il calar del giorno. La comunione conviviale
con il Signore va ottenuta con la preghiera. Con il suo comportamento, Gesù ne
crea le premesse. Se il Risorto dimora con noi non c’è più notte, né paura per la
morte, né alcuna forma di oscurità né possono sopraggiungere le tenebre. Egli è il
Vivente, ossia la Luce che vince le tenebre del mondo! Il dimorare di Dio con noi
è, forse, una delle espressioni che meglio ci fanno cogliere il significato
dell’Eucaristia. Gesù promise che con il Padre avrebbe preso dimora presso di
noi, e ci invitò a dimorare in lui come lui in noi (cf. Gv 14,23; 15,4). Questa
promessa ora è realizzata nell’Eucaristia. Il pane spezzato è la dimora di Cristo, il
Crocifisso-Risorto, tra i suoi discepoli. Gesù acconsente alla richiesta dei
discepoli e rimane come ospite. Gesù, dunque, non è presente solo nella parola
della Scrittura, ma anche nello straniero accolto come ospite.
Il Risorto appare nel sottrarsi, e coloro che lo vedono lo scorgono mentre egli
si sottrae. Cristo è colui che viene e se ne va… Il Risorto è colui che poi
scomparve e fu innalzato. Egli viene come colui che va. Si vede pre-sente il
Risorto che quasi è as-sente. Egli è visto con una incertezza certa e una certezza
incerta. Il Risorto non è disponibile e non è fissabile. La sua presenza nella
comunità e nella storia è di luce, completamente nuova, trasfigurata… Il Risorto
si sottrae allo sguardo prolungato dei discepoli – “egli divenne invisibile” (cf. v.
31) – ma resta sempre accanto ai due viandanti e ogni volta che si spezza il pane
nel suo nome si fa riconoscere e si rende presente. L’Eucaristia diventa il nostro
roveto ardente: chi riceve il corpo del Signore brucia di nuovo amore, di fuoco di
vita che ha vinto per sempre la morte (cf. v. 32).
Chiediamoci, tuttavia, quand’è che i discepoli riconobbero il Signore?
Solamente allo spezzare del pane, come a dire che è nell’intimità con il Signore
che egli si fa vedere e toccare come il Risorto, ossia il nuovo Adamo. Dopo aver
incontrato il Signore, i discepoli cambiarono direzione e tornarono a
Gerusalemme; la Pasqua di Gesù continua nel loro annuncio: Davvero il Signore
è risorto (v. 34). Le rivelazioni di Dio devono essere annunciate. Quelli che le
hanno ricevute sono chiamati a testimoniare. I due discepoli sentono
l’apparizione – che è iniziativa gratuita del Risorto – come un incarico e,
nonostante l’ora tarda, si mettono in cammino verso Gerusalemme per portare la
lieta novella agli undici e agli altri. Il ritorno diventa un vero e proprio annuncio:
ovunque gli uomini ricevano la grazia della visita di Dio si sentono chiamati ad
annunciarla e a testimoniarla a casa.
4. Alcuni messaggi molto importanti
4.1. Gesù si fa compagno
Gesù in persona si accostò e camminava con loro (v. 15b) e non perché gli
piace mettersi in mostra e affermare la sua supremazia, tant’è che i loro occhi
erano incapaci di riconoscerlo (v. 16). È lui che prende l’iniziativa e soprattutto
cammina al loro fianco, si fa compagno di quella strada, di quella determinata
fase del loro cammino. Certamente – e ce lo rivela l’originale del testo greco – il
loro discutere e discorrere era visibilmente animato, tanto che è facile per lo
sconosciuto permettersi di domandare loro: Ma di che cosa state parlando così
calorosamente?. Anche qui, con il nostro stile poco aperto al dialogo, verrebbe
voglia di sostituirci alla risposta dei due discepoli: Ma cosa vuoi? Fatti i fatti
tuoi! E, forse, dopo che essi rispondono: Di quanto è capitato a Gerusalemme in
questi giorni ed egli incalza: E che cosa è successo?, non verrebbe voglia di
rispondere: Ma scusa, dove vivi? Dove hai la testa?. Invece, è talmente forte la
ferita che sentono dentro, la sensazione di essere stati ingannati, che essi sentono
il bisogno di sfogarsi.
D’altronde, chiunque avrebbe convenuto con loro sull’assurdità della vicenda,
quindi non esitano a raccontare e esprimere tutta la loro delusione. E questo si
coglie dai verbi che utilizzano: fu profeta grande… speravamo fosse lui a
liberare Israele… I discepoli avevano i loro progetti e le loro speranze;
certamente, anche sulla scia delle idee promosse dagli zeloti, ai quali era legato
uno di loro, che ritenevano che la liberazione dovesse esprimersi con atti militari
e tendere alla ricerca della prosperità economica e del benessere materiale.
Invece, Gesù non solo è condannato a morte, ma alla morte in croce, infamante,
riservata ai malfattori. Questo non rientra nei loro progetti.
Anche noi abbiamo desideri, progetti, speranze cui ci aggrappiamo con tanta
passione, senza considerare che alcuni accadimenti possono rivelarci che esiste
un progetto di Dio, diverso dal nostro, che naturalmente non possiamo prevedere
o preventivare, più grande dei nostri pensieri. Per questo non riusciamo a pensare
che possa essere più bello, più utile, più entusiasmante per noi e più capace di
fare fiato e speranza. Certo, non è facile aprirsi e abbandonarsi al progetto di Dio
e al mistero che lo accompagna.
Ma per cosa pensate che Gesù si accosta e cammina con noi? Non certo per
una sterile comprensione affettiva o per assecondare delusioni o incomprensioni.
Egli è la via, la verità e la vita. Per questo cammina con noi: per condurci sulla
via; per questo ci spiega le scritture: per portarci alla verità; per questo spezza il
pane: per donarci la vita.
4.2. Gesù, novità sempre nuova
Mentre i discepoli parlano Gesù li ascolta e li fa parlare. Questo è il compito
del vero animatore: ascoltare e fare in modo che l’altro possa esprimere le
proprie ansie e possa spiegarsi bene. L’iniziativa dell’incontro, dicevamo, è presa
da Gesù. I discepoli non solo non fanno nulla perché l’incontro possa accadere,
ma quasi accettano il viandante con indifferenza, a malincuore e frappongono
l’ostacolo della delusione, della rinuncia a credere e a sperare. Gesù, però, dà
rilievo alla libertà dei discepoli, che dapprima scoraggiata e rinunciataria, viene
via via rigenerata e aperta alla speranza, alla fiducia nel disegno di Dio sulla
storia dell’uomo. Gesù fa questo senza dire cose nuove. Ma sono cose che
avevano bisogno di sentirsi ridire e che assumevano, in quel determinato
momento e in quella specifica situazione, un significato nuovo.
È per questa ragione che i due, a loro volta, lo ascoltano e lo lasciano parlare:
perché si tratta di parole che aprono, spiegano, illustrano, indicano, fanno vedere
gli eventi della vita, anche i più oscuri, in un modo nuovo e pieno di speranza.
Sembrava loro che tutto ciò che pesava sul loro cuore a poco a poco si
sciogliesse. Ed è così che, arrivati a destinazione, con semplicità e serenità gli
dissero: Perché non ti fermi con noi?. È molto bella questa richiesta, la richiesta
di restare, di rimanere. Se ci pensiamo, è ciò che avvenne, con inversione delle
parti, all’inizio della vita pubblica di Gesù. Due discepoli lo seguono, egli si
volta e dice loro: Che cercate? – gli dissero: Maestro, dove abiti? – egli rispose:
Venite e vedrete – essi andarono, videro dove abitava e stettero con lui quella
notte. Lo stare, il rimanere, è il segno più eloquente della conoscenza. Capite ora
l’importanza di stare davanti l’Eucaristia!
4.3. L’Eucaristia, fonte dell’annuncio
Ed è proprio l’Eucaristia la chiave di svolta di questi due uomini. Quando due
persone si amano, si parlano anche solo con uno sguardo, basta un segno, la
comunicazione è immediata. Di colpo balzarono in piedi, lasciano la cena a metà
e corrono verso Gerusalemme. Quel Gesù che fu profeta, che speravano liberasse
Israele, che è stato ucciso in croce era apparso loro, aveva camminato con loro e
aveva spezzato per loro il pane. Ecco l’insegnamento per noi oggi: balzare in
piedi, lasciare la mensa, correre nel buio per gridare a tutti: Il Signore è
veramente risorto! Noi l’abbiamo visto. Gesù ha acceso il loro cuore ed essi non
riescono più a contenere l’ardore: sentono il bisogno di comunicarlo agli altri.
4.4. L’Eucaristia, alimento della comunità
L’adesione a Gesù si esprime nell’adesione alla comunità cristiana e si
alimenta nell’Eucaristia, senza della quale non esiste comunità. I due discepoli di
Emmaus, dopo aver incontrato il Signore e dopo averlo riconosciuto nel segno
del pane, ritornano a quella comunità che avevano abbandonato con il cuore
pieno di tristezza. La vita comunitaria deve offrire il clima di fede e di carità, che
sostiene la testimonianza insieme alla preghiera. Chiediamo a Gesù che lui stesso
accompagni ciascuno di noi, come ha accompagnato i due discepoli di Emmaus,
così anche noi, al termine del cammino, possiamo ripetere la loro preghiera:
Resta con noi perché si fa sera.
5. Piste per la riflessione personale
- Trovo facile comunicare? Quali sono le situazioni che mi bloccano?
- Riesco a fare del mio comunicare un dono per gli altri e a vedere nel dialogo
con gli altri e nel loro ascolto un elemento essenziale della mia vita di fede?
- Quali sono i miei punti di riferimento quando lo scoraggiamento, la
delusione, la stanchezza hanno il sopravvento?
- Riesco a stare in silenzio davanti all’Eucaristia? Cosa dico a Gesù e cosa Lui
dice a me?
- Riesco a stabilire un rapporto franco e sincero con gli altri? Sono diffidente?
Dopo un litigio riesco a fare il primo passo per ricomporre l’amicizia?
- Quale è il giudizio sulle mie relazioni all’interno della comunità
parrocchiale? Mi sento capito, valorizzato? Riesco a valorizzare gli altri? Riesco
a vedere negli altri quel qualcosa che manca a completare me stesso?
- Riesco ad essere elemento di dialogo, di comunione? Sono capace di
trasferire agli altri la gioia e l’entusiasmo di essere un vero testimone del
Risorto? Quali sono gli ostacoli che incontro?
- Cosa mi propongo per migliorare le relazioni in casa, a scuola, nel lavoro, in
parrocchia?
- Prego il Signore perché resti con me, illumini il mio cammino, mi apra gli
occhi e il cuore alla Sua Parola, spezzi il pane per me?
6. Oratio
Signore Gesù, grazie perché ti sei fatto riconoscere nello spezzare il pane.
Mentre stiamo correndo verso Gerusalemme e il fiato quasi ci manca per l’ansia
di arrivare presto, il cuore ci batte forte per un motivo ben più profondo.
Dovremmo essere tristi, perché non sei più con noi. Eppure ci sentiamo felici.
La nostra gioia e il nostro ritorno frettoloso a Gerusalemme, lasciando il pasto
a metà sulla tavola, esprimono la certezza che tu ormai sei con noi.
Ci hai incrociati poche ore fa su questa stessa strada, stanchi e delusi. Non ci hai
abbandonati a noi stessi e alla nostra disperazione. Ci hai smosso l’animo con i
tuoi rimproveri. Ma soprattutto sei entrato dentro di noi. Ci hai svelato il segreto
di Dio su di te, nascosto nelle pagine della Scrittura. Hai camminato con noi,
come un amico paziente. Hai suggellato l’amicizia spezzando con noi il pane, hai
acceso il nostro cuore perché riconoscessimo in te il Messia, il Salvatore di tutti.
Quando, sul far della sera, tu accennasti a proseguire il tuo cammino oltre
Emmaus, noi ti pregammo di restare. Ti rivolgeremo questa preghiera, spontanea
e appassionata, infinite altre volte nella sera del nostro smarrimento, del nostro
dolore, del nostro immenso desiderio di te. Ma ora comprendiamo che essa non
raggiunge la verità ultima del nostro rapporto con te. Per questo non sappiamo
diventare la tua presenza accanto ai fratelli.
Per questo, o Signore Gesù, ora ti chiediamo di aiutarci a restare sempre con
te, ad aderire alla tua persona con tutto l’ardore del nostro cuore, ad assumerci
con gioia la missione che tu ci affidi: continuare la tua presenza, essere vangelo
della tua risurrezione. Signore, Gerusalemme è ormai vicina. Abbiamo capito che
essa non è più la città delle speranze fallite, della tomba desolante. Essa è la città
della Cena, della Croce, della Pasqua, della suprema fedeltà dell’amore di Dio
per l’uomo, della nuova fraternità. Da essa muoveremo lungo le strade di tutto il
mondo per essere autentici testimoni del Risorto. Amen. Alleluia. Maranathà,
vieni Signore Gesù!