Obsolete Shit

Transcript

Obsolete Shit
HIT
BSOLETE
1
3
davide bonazzi
HO
a fare
chiesto ad amici di FACEBOOK di AIUTARMI
this is obsolete shit
issue 3
may 2011
2
questo è obsolete shit
numero 3
maggio 2011
send unsolicited material to
[email protected]
manda materiale non richiesto a
[email protected]
un nuovo numero di OBSOLETE SHIT
e questo è il RISULTATO
3
www.danielaairoldi.com
4
Ph. Claudio Serrapica/PaoloStefano.com
ph. Claudio Veneroni
ATTRICE
CABARETTISTA
PRESENTATRICE
CANTANTE
I M M A G I N I _OLTRE+L’ I M M A G I N A Z I O N E •
DANIELA AIROLDI
no.com
olostefa
www.pa
5
[RIT.] (modificabile)
è merce marcia e pure dio s’accascia
a terra come la tua ex quella bagascia
è merce marcia 1 2 3 tutti in marcia
verso megalopoli metropoli usa asia francia
6
[ST. 2]
ad eccezione degli eccessi vivo in una
nazione
dove la ragione l’han ceduta alla crocifissione
e la fissione è nucleare e in sperimentazione
faccio pezzi a discrezione dell’ascoltatore
ascolta bene invento un invenzione
sono folle odio le folle lascio in folle
non mi funziona la frizione
merce marcia ma non posso cambiar marcia
dio s’accascia in orazione
come lei che fa fellazio alla stazione
disprezzo l’istituzione c’ho crisi d’ispirazione
respiro solo stronzate sparate a ripetizione
firmi una petizione contro ogni mia canzone
perchè non provoca commozione emozionale
ma cerebrale
[RIT.]
[ST. 3]
sono pronti all’ispezione io pronto alla
dispersione
e questo è agoniakalamaschera
ho smarrito la retta via nella via della
perdizione
state tutti pronti alla diaspora
t’incazzi per un’inezia rischiando la
castrazione
idiozia a profusione nella tua iscrizione
propini la distinzione fai i pompini per inerzia
ti dono la mia spezia dalla consistenza in
definizione
agonia è scristianizzazione
non ho una relazione voglio solo la mia
razione
il talento non basta serve l’ambizione
il talento è lento l’ambizione va a reazione
il mio rap è in estradizione il tuo fa corsi di
dizione
e se perde una lezione si da all’illazione
dedica attenzione all’eiaculazione
hai una certa predisposizione
all’insoddisfazione
[OUTRO]
il tuo pene è merce
ogni tua pena è merce
ogni tua idea è merce
prima dell’apnea s’immerge
la tua figa è merce
la tua sfiga è merce
la mia testa è merce
prima di usarla la deterge
il locale vende merce
il bilocale è merce
la vita rende merce
prima di fumarla cresce
lo stato ti rende merce
dio ti rende merce
il papa ti rende merce
prima ci prova prima ci riesce
a. carson
opti per la rimozione del mio pezzo dal tuo
lettore
e mi spiace dottore ma hai scelto l’opzione
peggiore
e come dio sei un maiale in putrefazione
agonia kalalamaschera
[ST. 1]
ho una manciata di secondi a disposizione
il mercato ha mercificato anche la tua
indisposizione
mi sveglio sempre nella stessa posizione
in veglia di una pozione contro il disprezzo
per le persone
in proporzione alla mia costituzione
la mia costituzione non la nostra costituzione
ad ogni azione corrisponde reazione
merce marcia e mangi la merda a ricreazione
ricopro una mansione immensa come la
creazione
ho sputtanato ogni fazione chiamami il
cazzone
ringrazio i miei per l’educazione che mi
hanno dato
anche se adesso sono inondato di disperazione
ad ogni disfunzione di pensiero
corrisponde eccitazione (eccitazione)
scambio il diritto di voto per un atto di
diffamazione
scusi un informazione...quanto manca alla
sua reincarnazione?
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STORIA DI UNA GALERISTA
DISADATTATA
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anna rosa callegari
liz w. pincelli
Q
uando ero piccola i miei dicevano sempre che mi ridevano gli occhi, questo
sino ai 5, 6 anni, probabilmente perchè a quei tempi l’ingresso in società
corrispondeva con l’inizio delle scuole elementari.
E qui iniziavi a fare i conti con la cattiveria e con il tentativo di uniformazione
generale che tutt’ora la società insiste diabolicamente a perpetrare... e i miei occhi
smisero di ridere.
Mi sono sempre sentita fuori luogo un po’ in tutti gli ambienti; ho sempre fatto
fatica ad essere la prima a socializzare, ho due amiche che considero sorelle che
probabilmente condividono con me molte filosofie di vita, ma non nello stesso modo,
o forse pubblicamente non vengono classificate come strane o poco normali come
me. Ho sempre sofferto moltissimo di questo giudizio a mio parere sbagliato nei
miei confronti, poi con l’età ho imparato a conviverci e a fregarmene un po’ di più,
tanto da entrare sfacciatamente tramite Pasquini in una stanza dichiaratamente per
DISADATTATI, dove pensavo che mi sarei trovata finalmente benissimo con persone
che erano simili a me. E invece no, addirittura sembrava che anche qui, non fossi abbastanza disadattata,
i miei commenti non erano abbastanza pungenti e psicopatici, così il MASSO mi ha
s-cancellata provocandomi una nuova crisi d’identità o se vogliamo, un nuovo calo
di autostima, per questo ci sono rimasta così male, pensavo: non sono nemmeno
all’altezza dei disadattati... fino a ieri sera, quando grazie alle mie “leccate di culo”
e alle cose orrende che poi ho scritto nella 3.1, ho scatenato la solidarietà della
stanza, che FINALMENTE mi ha riconosciuta come parte del gruppo. Questa storia è per la Matioli, l’Ausanio, la Maccagnani, l’Airoldi, la Rimondini, la
Pincelli, la Cavina, la Giordani, e la Passini che mi hanno fatto sentire una vera
disadattata e mi hanno fatto andare a letto felice!!! Ma soprattutto alla MOSETTI
che ha reso possibile tutto ciò.
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S
immagine courtesy Paolo+Stefano_Digital•Imaging - www.paolostefano.com
alberta tedioli
10
claudio serrapica
quilla il telefono al Corriere della Sera. Paolo Mieli sdraiato sul
divano apre un occhio sbadigliando e risponde.
“Si?”
E’ stato tutto uno scherzo, uno stupido scherzo, adesso è ora di
rivelare tutto”
“Chi sei? Riattacco”.
“No, mi ascolti, sono Sarah Scazzi, sono viva e sto bene”
“Riattacco”
“Accenda l’Ipad e mi vedrà”.
Era lei. Viva
Era interdetto ma la sua testa pensava solo “diochescoop, diochescoop
diochescoop. Proprio a me, che culo”.
Diede la notizia, si fermò l’Italia, si fermò la politica, (quella poi era
già ferma), ci fu una giornata aggiuntiva di festa, la gente scese
nelle piazze, cadde un aereo con 367 persone, ritrovarono Majorana
ultracentenario e non gliene fregò niente a nessuno, tutti i media non
parlarono d’altro per mesi, tutti volevano Sarah, la tivù, i giornali, la
moda, il cinema.
Lei nelle interviste confessò che aveva architettato la storia per
diventare fotomodella. La perdonarono tutti e fotomodella diventò
nelle migliori riviste.
La cugina e lo zio se li dimenticarono in carcere, non assassini e non
occultatori non interessavano a nessuno.
La Sarah fotomodella iniziò a digiunare, doveva sempre dimagrire,
quasi scomparire. Un giorno la trovarono morta in un albergo ma
nessuno ci credette.
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Recuperate tutte le energie. Tutte. Forse qualche spicciolo di linfa s’è disperso
attorno ma sono inezie, piccoli cori da stadio di periferia. Cinque minuti di assenza,
di indifferenza al mondo esterno eppure capaci di commuovere per gli sforzi del
singolo in quel lasso di tempo così denso eppure eterno. Ma poi di quale singolo
stiamo parlando? Non un singolo qualsiasi ma l’unico singolo che conti per
ciascuno: l’amato io. Nella solitudine. Nel silenzio. Un parto quasi mistico quanto
importante e irrinunciabile. In quei cinque minuti i potenti del pianeta, le carestie,
le quotazioni borsistiche, le stagioni… non esistono o semplicemente smettono di
avere significato e peso. Epifania quotidiana, se sei fortunato. Poi, in un liquido e
scrosciante finale, si scarica, ci si lava per bene e si esce dal bagno per affrontare
tutto il resto ma quasi sempre con minor impegno perché spesso siamo vicini alla
nostra intima natura proprio in quegli attimi di genuina liberazione.
Cinque minuti di verità prima di metterci la maschera.
14
NEVER (L) END - Davide Pavlidis 2009 - smalto acrilico su tela cm 90x70
giorgia passini
MINUTI
davide pavlidis
CINQUE
Campo a Maggese
pazzo seme
pazzo seme, aspetta
fai correre quell’animale
chiamalo Brenno.
opera la vita nel tuo amore.
15
16
sandra sisofo
beatrice ausanio
Cos’è il branco? Un branco è un gruppo di individui
che adottano lo stesso comportamento nei confronti
di situazioni esterne. Gli animali che utilizzano tale
comportamento sono legittimati dal fatto che in presenza
di predatori, l’unione fa la forza. Meno comprensibile è il
comportamento umano, che utilizza tale atteggiamento
per escludere o aggredire persone diverse, persone
cioè che non hanno un comportamento uniforme
o conforme al gruppo. Ultimamente, purtroppo ho
vissuto in prima persona tali aggressioni ed ho dovuto
prendere atto del fatto che quando si fa “gruppo” non
sempre è positivo, si chiudono le porte verso l’esterno,
e questo non dovrebbe mai accadere. Soprattutto ci
si accanisce sul più debole facendosi spalleggiare dal
gruppo, cosa oltremodo scorretta e meschina. Quali
le soluzioni? Risposte esaustive, al solito, non ce ne
sono: certo è che un gruppo realmente maturo non
può che essere ricco di differenze ed abile a ‘sfruttarle’
al suo interno …per contro, un gruppo immaturo non
può che tendere all’uniformazione, non può che
vivere le differenze interne come pericolose e distruttive.
Vivere le diversità come forma di arricchimento interiore
sarebbe auspicabile, ed eviterebbe situazioni dalle quali
dal gruppo si passa automaticamente al branco.
www.sandrasisofo.blogspot.com
Il branco
17
ED
ADAMO
Dice di venire da Israele. Dice di chiamarsi Eva, parla inglese, ma ancor
piu’ parlano i suoi occhi, verdi. Hanno il colore dell’acqua del fiume che ci
scorre accanto, penetrano nelle ossa allo stesso modo. è una domenica
mattina silenziosa, di auto bloccate per le polveri. Piove. Né io né lei abbiamo
l’ombrello.
Eva, tra un paio di mesi qui sarà molto freddo, pioverà molto.
Noto la grazia con cui è seduta: entrambe le gambe raccolte leggermente di
lato, sotto la gonna lunga che le copre fino alle caviglie. Non vedo le scarpe.
Il busto è eretto, tiene le mani una dentro l’altra, rivolte verso l’alto, poggiate
sul grembo. Sono certo mani che hanno accarezzato. Non chiedono, ma
accolgono. Sembra una madonna dipinta, senza bambino.
Sì, una volta avevo dei figli. Fa un cenno con la mano, distante. Una
gestualità elegante, misurata, d’altri tempi. Ora sono cresciuti. Fa un
cenno con la mano, verso l’alto. Si interrompe, guarda lontano. Cambio
domanda. Eva mi risponde scuotendo la testa, mentre nella mia
risuonano ancora le parole scambiate con il salumiere. Sa signoramia,
deve sempre chiedere Coscia Nazionale. Ah si? Certo! Senza polifosfati,
Senza polisaccaridi, Senza glutine. Ah... bene... grazie. Geniale, avevo
pensato, devo arrivare a possedere molto per poter avere cose prive di.
Eva, ora, sorride tremendamente, scoprendo le gengive vuote almeno
quanto il suo stomaco. Il labbro
superiore è arrossato. Indossa un
cappello di paglia a tesa larga, con il
lembo davanti rovesciato all’indietro,
un piccolo vezzo. Potrebbe sembrare
una damina ritratta ad una colazione
sull’erba, se non fosse per il portico
putrefatto dall’umidità alle sue spalle ed il
tanfo proveniente dalle sue spalle. Unica
intollerabile prova della sua esistenza.
Siamo uomini, non prosciutti, per noi
vige ancora la sana regola del sei se hai.
Ed allora, il carrello del supermercato
straripante di vita già morta, ben rinchiusa
in sacchetti di plastica, altro non è che il
suo destriero che pascola placido.
La pioggia,anche questa volta, ha lavato
la città ed ora che ha smesso di cadere,
sento il rumore degli zoccoli che si
allontanano sul selciato.
18
maurizio gatti
EVA
sabrina benvenuti
FAVOLA di
19
rocco montanari
SOLO NORMALITA’
Ho letto il suo fascicolo, lo faccio sempre quando c’è un ragazzo nuovo. Ho saltato la
relazione degli psicologi perché sembrano fatti apposta per non capire un cazzo delle
persone. Però ho studiato quella degli assistenti sociali, figure spesso inutili ma che almeno illustrano meglio il quadro familiare. Si chiama Franco, 17 anni, vive ad Alfonsine,
dove sono nato. Il reato è grave, rapina a mano armata ai danni di un tabaccaio. Il padre
non l’ha mai visto, la madre disoccupata rimedia qualche spicciolo pulendo le case dei
vicini, ovviamente in nero. Ha una relazione con un torinese e ogni fine settimana lascia
solo Franco con qualche scatoletta in dispensa e va a trombare col tipo sotto la Mole.
Franco cammina per il corridoio avanti e indietro come un criceto. Indossa vecchi jeans
che non sono cresciuti con lui, troppo corti. Ai piedi un paio di Nike da 200 euro. Lo
chiamo in sala biliardino, si siede di fianco a me.
- Sigaretta?
- Sì grazie.
- Belle scarpe!
- E’ l’unica cosa che ho comprato dopo la “rapa” prima che mi prendessero gli
sbirri. Gli amici mi prendevano sempre per il culo perché giravo col le merde
ai piedi.
Agita vistosamente le gambe, non si ferma un attimo.
- Sei nervoso? Ti vedo agitato.
Si gira e mi mostra un auricolare nell’altro orecchio.
- Sto seguendo la musica, sto bene.
Cazzo, la vecchiaia nasconde le evidenze, figura di merda.
Franco finisce la sigaretta, saluta e si alza di scatto per tornare a camminare in
corridoio. I piedi gli ballano nelle Nike, più grandi di un paio di numeri perché
possa crescerci dentro almeno in quelle.
Lo richiamo e gli dico – Franco, dietro ogni azione di una persona esistono
sempre motivi che l’hanno generata e spesso purtroppo l’unica vera colpa è la povertà.
Riprende l’avanti e indietro in corridoio, poi si ferma di colpo sulla porta e mi spara:
- Zio! Ma da quando la povertà è una colpa?
Anche stavolta l’ho presa nei denti.
20
cristiana boi
É SOLONORMALITÁ
21
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the local train sticker set
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arianna romagnoli
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ARGENTA
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VOLTANA
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MONTE
SANTO
PORTO
MAGGIORE
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S.BIAGIO
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ALFONSINE
LAVEZZOLA
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MEZZANO
23
annarita filosa
Mi sveglio con questo pensiero. E mi sembra che funzioni anche come argomento
per Obsolete shit. Certo, poi, sviluppare il concetto è tutta un’altra cosa.
Parto dal presupposto che, invecchiando interminatamente dall’istante stesso della
nascita, al risveglio l’idea di avere “un giorno in più” (“un mese in più”, “un
anno in più”) pare palesarsi a caratteri cubitali contro le pareti della mia
mente disadattata.
Così mi ritrovo a meditare, tra il sonno e la veglia, sulla tecnologia. Su
quanto, oggi, un cellulare, un computer, un aggeggio qualsiasi siano già
obsoleti ed abbiano perso metà del proprio valore al momento stesso in
cui ci accomodiamo alla cassa. Nessuna delle attuali campagne ecologiche
prevede, ciononostante, il riutilizzo di quello che banalmente rappresenta
lo scheletro di questi apparecchi. Si sprecano jalissiani fiumi di parole a
definire la differenziazione dei rifiuti, a modificare interi cicli produttivi
(con enorme spreco e spregio delle fonti energetiche) per fabbricare oggetti le cui
parti siano sempre più facilmente riciclabili, eppure nessuna compagnia promuove
campagne pro restituzione vuoti a perdere. Vi ricordate le estati torride della nostra
infanzia in cui le cassette di birra o gazzosa venivano riempite delle bottiglie di
vetro da rendere al commerciante, pena il pagamento di una cauzione? Quanto più
evoluto mi sembra quel comportamento da borghesucci risparmiatori! Quale prezzo
pagherà la nostra generazione alle leggi imperanti del marketing che costringono
una chiavetta usb di dimensioni sempre più mirabilmente ridotte all’interno di un
packaging che la renda visibile ed appetibile agli occhi del consumatore?
E dire che, vendendo imballaggi, mi sento ogni giorno di più una commerciante di
pattume.
Ai posteri l’hardware sentenza…
La prima è andata a sbattere di brutto coll’anteriore sinistro
proprio sul muretto di mia Zia Ornella che si è spaventata per il
botto. Ma il signore che la guidava non si è fatto niente, meno male.
www.micropunta.it
enrico culeddu
L’altra, invece è stata battuta all’asta di Camion e macchine di
Caorso per 8000 euri, che è un po’ una truffa sia per chi se l’è
aggiudicata che pensava di poterci andare in giro, sia per il pittore
Franco Grilli che ne meritava almeno il doppio ma Quatroruote
la valutava così, se dipingeva una Ferari magari andava meglio.
davide bonazzi
24
500
BATTUTE
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A PROPOSITO DI
STANOTTE
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claudia rimondini
Un SOGNO ? NO... un ricordo lontanissimo.
L’angelo custode anche.
A vent’anni non ero felice per
niente, avevo paura di tutto, mi
sentivo brutta e non amata. Credevo di avere idee bislacche
che non avevo il coraggio di dire
a nessuno, perchè mi sentivo
costantemente fuori posto.
Vivevo nel mio mondo, che ho
lasciato si espandesse così
tanto da impedirmi di far entrare
il mondo di fuori.
Ero sola, anche quando mi
trovavo in compagnia, perchè la
mia voce non era capace di uscire, si
fermava sempre all’altezza della gola,
come il respiro. Credo che un sacco di gente, la mia
famiglia per prima, pensasse che ero
veramente stupida come una capra.
Senza che io lo sapessi la mia chiusura
si è riflessa sul mio cuore e sul mio
corpo. Nonostante avessi delle relazioni
il mio cuore non riusciva a provare che
sentimenti tiepidi e il mio corpo non
sentiva nulla.
Cambiavo partner e dentro al letto
ero come morta, sapevo che per
amare qualcuno e per provare piacere
bisogna amare se stessi, ma mi
mancavano gli strumenti per convertire una
consapevolezza in realtà.
Oggi penso sempre che se il tempo non
fosse passato, sarei rimasta così, chiusa
dentro un bozzolo e incapace di sentire.
Pian piano sono riemersa, è stato un
processo lungo, non doloroso, però ogni giorno passato mi ha aggiunto qualcosa
per farmi arrivare all’oggi, una donna di carne e sangue, di idee e senitmenti che
riesce finalmente a far entrare il mondo dentro di sè.
Magari non penso di essere bellissima e intelligentissima, ma so voler bene,
desiderare, godere e anche amare.
Credo proprio che Ovidio avesse torto, e la vita abbia avuto buona cura di me.
simona mattioli
Ero bambina nel mio letto, gli occhi spalancati nel buio
in preda ad un folle terrore. Irrazionale.
“ANGELO CUSTODE, ti PREGO ... aiutami
CHE SONO MESSA MALE !
Sarò tua devota per l’ eternità.”
Nel silenzio della notte, un pianto improvviso: mia sorella.
Mamma corre.
Un incubo.
Pace.
OVIDIO (quel gran pessimista)
obsolete still life
TEMPO
“Come spicchio di melagrana sono le tue guance, senza
quello che di dentro si nascondi”
monica vezzani
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paola cominato
Ho un’immagine solerte che si nasconde tra le pieghe della mente e si impiaga di ferite
che nascondono rumori… potrei un giorno forse probabilmente con la pioggia e con il
sole a tratti ribaltare le lenzuola e cercando tra le pieghe ritrovare nuove possibilità…
direi che forse in questa stanza di persone che raccontano di cose quel che rimane sono i
colori niente odori contatti baci o opere di bene… ma solo colori… ti posso dire amore
e sentirlo veramente nel mio cuore ma è un amore asettico asintomatico... che non ha
sapore odore che non soddisfa il gusto nei suoi sintomi profondi… nella stanza del mio
cuore ricollego ogni evento e lo sento amplificato rimandato a domani per il troppo fare
rifare e disfare… dove non c’è mai un giusto tempo… con l’andar del tempo stare ai
tempi sconfiggere il tempo combattere contro il tempo… il tempo è galantuomo chi ha
tempo non aspetti tempo condividere il tempo andare a tempo al di là del tempo fuori
dal tempo per quanto tempo? ai margini del tempo in uno spazio tempo controllare il
tempo… da tempo memorabile il vuoto lasciato dal tempo il tempo è denaro dare tempo
al tempo tempo volato... è tempo di emigrare il tempo divora ogni cosa il tempo delle
mele c’è un tempo per ogni cosa... il tempo stringe tempo d’attesa il tempo aggiusta le
cose ogni cosa a suo tempo lascia il tempo che trova... fuori tempo il tempo è tiranno
cambia il tempo, un tempo... che tempo fa? ai miei tempi... bei tempi… perdere il tempo
ed infine… svanire
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MUSICALE
Apro la finestra e una folata
d’aria tiepida mi investe,
incongrua con la stagione.
Fuori il cielo è buio, ho pensato
potesse essere quasi arrivata
l’alba, ma
no... il filo
delle stelle
è ancora
continuo
e allora
non c’è
niente da
guardare,
solo
ascoltare e
respirare
lentamente,
rallentare e
ascoltare...
Un attimo
per
soffocare il
sorriso che
mi scoppia,
ed eccomi
persa in
quel luogo rimpiattato che è
quasi sonno, dove la superficie
liscia della fantasia manda
bagliori limpidi, dove frullati di
parole masticano tutte le strade,
gli incontri di una vita.
Le fermate raccolgono figure:
insegne, palazzi, muri, asfalto.
Poi, campi.
Campi aperti in cui riesco
a muovermi come al sicuro
delle quattro mura, emozioni
che non fanno male, un’aria
speciale, di quelle che capitano
una volta
ogni tanto,
inaspettate.
La musica
accompagna
senza
resistenza
l’andata e il
ritorno, il salto
per librarmi
a venti
centimetri
da terra è
facile, e da lì
cammino senza
incontrare
resistenza su
soffici tappeti
gassosi.
Senza peso.
C’è aria di
casa ovunque
intorno a me, non mi sono
mai mossa da qui eppure
sto andando lontano. Torno
indietro quando voglio.
Vado, torno.
Chiudo la finestra e apro gli
occhi per trattenere questo
tempo immaginifico, queste
note che modulano il mio volo.
lidia centineo
raffaella giordani
IL VIAGGIO
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Risveglio
A
Ho sbiascicato qualcosa di cui ricordo vagamente il suono,
dall’altra parte poche parole e una perplessità sospesa.
Le spiegazioni hanno un colore così falso, quando si arriva al
punto di mentire persino a se stessi.
Cancellarti dalle mie giornate, dolorosamente, forzatamente,
per poi ritrovarti nei miei sogni, ha il sapore amaro di una
beffa, è un film grottesco in bianco e nero, dove tu ed io non
siamo attori, ma solo marionette senza volontà né anima,
guidate dalle intenzioni folli di un burattinaio cieco.
Il sonno sposta ogni sera il dolore di qualche manciata
di ore, semplicemente.
www.micropunta.it
istituto micropunta
marina maccagnani
Lo squillo successivo mi ha catapultata di nuovo nel letto, come
un meteorite, lasciandomi gli occhi umidi, il respiro corto e lo
stomaco annodato.
sara mosetti
l primo squillo del telefono correvo lungo la piazza affollata, in
preda alla disperazione, gridando il tuo nome.
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simone galgano
michael j. dvorkin
34
Il
sistema
orwelliano
NECESSITA, per esistere e
funzionare al meglio, del sonno
della ragione dell’ uomo.
La motivazione per la quale,
pochi individui hanno la possibilità di comandare su 6 miliardi di
persone, risiede nella capacità di ipnosi del MAGO e dell’IMMAGO.
L’incantesimo è direttamente proporzionale alla forza dell’Elite e alla
fragilità della massa ri-educata.
Lo scettro fallico del potere costituito, viene accettato e rafforzato dai
sogni proiettivi dei sudditi e funziona a livello subconscio, funziona
perché chi detiene lo scettro, ha la conoscenza e la sapienza di riattivare
determinati pattern archetipi attraverso il simbolismo ancestrale!
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ph. Roberto Beltramini
FUORI ORARIO
Case che sogno. Che vivo. Che attraverso.
Sarà che ogni giorno ci entro...
Case diroccate. Case abbandonate. Case vuote. Case in attesa. Case di
speranze. Case abitate. Case vissute. Case in costruzione.
Case. E. Odori.
Di stufato e di pasti messi in tavola. Di stantio e di pulito. Di famiglie e di
corpi. Di pennellate ai muri e di scarichi fermi. Di fiori e di aria alle finestre.
Di polvere o di muffa. Di presente e di antico. Di futuro o di passato.
Vivo di case. Vivo di odori.
Non ho mai imparato a liberarmi di esse e a difendermi da essi. Al pari che
dai respiri nella notte. Da sonno a sonno. Da sonno in sonno.
Mi arrivano al cervello senza nessun filtro né valvola di sicurezza.
Mi stordiscono. A volte mi nauseano. Altre mi annientano.
E restano impressi in me come marchi a fuoco. Immutati ed
indelebili anche attraverso gli anni. Basta un niente a farli
tornare. Si celano. Ma non se ne vanno.
Case ne ho lasciate. Cambiate. Odiate. Amate.
Mai rimpiante.
Case che ho interrotto a metà. Dalle quali sono fuggita. Dove
ho vissuto e impresso dolori. Subito e inflitto abbandoni.
Avuto e creato rinnovamenti. Superato ostacoli. Caricato pesi.
Sopportato fatiche. Provato gioie. Ma nessuna mai è stata la
mia casa. La prima notte nel letto è sempre sufficientemente
chiara. Impietosamente sincera.
Neppure questa è la mia casa. Seppur mia a tutti gli effetti.
Nessuno scritto ha metamorfosi al cuore.
E sogno spesso case.
Case in cui entro e dalle quali esco. Dove si susseguono si
sviluppano si intersecano e si accavallano realtà ed irrealtà.
Fatti e misfatti. Case che ritrovo intatte di sogno in sogno. A volte case
dalle stanze segrete o allestite come giardini. Buie o luminose. Essenziali
e linde o sature e polverose come soffitte. E una sottile e struggente
malinconia mi insegue in ogni sogno.
Una casa. Ce n’è una.
Una in cui. Resto. (Davanti al mare) (Alla 3.1). Con immense vetrate e
comodi divani. Un grande terrazzo che gli gira intorno. Una casa che il sole
non abbandona mai e dove la notte non trova requie. Lì sono a mio agio.
Che non è essere felice. Ma a volte quella casa. Sa di casa. E sempre non
mi lascia. La rassegnata consapevolezza che non è così. Non sarà.
Neppure nel sogno. Io sogno.
E. Di casa in casa. Di odore in odore. Di sogno in sogno. Vivo serena senza
serenità.
E cammino quieta. Nella mia inquietudine.
monica scarpari
mauro muzzi
ACCETTAZIONE
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ssere se stessi, ed autorizzarci ad esserlo, è una delle cose più
drammatiche che ci sia: ci mette nella condizione di accettarci
come unici. L’unicità è una cosa scomoda, non appartenere a stereotipi, non mescolarsi con gli altri, è segno di autostima, di rispetto
di sè. è una strada in salita, piena di sassi e curve, dove puoi inciampare, cadere, soffrire, e rialzarsi. Spesso però non si pensa a
quanto faticoso debba essere anche stereotiparsi: è un lavoro immenso rinunciare a se stessi, portare una maschera in ogni momento,
sentirsi non autentici. Ma volete mettere accettare che la nostra voce
contribuisca a rendere unico ogni momento? Se l’umanità fosse un
coro, ognuno di noi, col proprio timbro, contribuirebbe a rendere
l’armonia più vibrante, quasi mistica!!
katia morichetti
laura lionello
stefano w. pasquini
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E
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yumi tieri pasquini
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41
42
La mostra personale di Stefano W. Pasquini
a Ferrara si presenta come un’orchestrazione
di lavori che può essere classificata come
“doppiamente site-specific”. Ovvero il percorso
della mostra è stato pensato dall’artista
per analizzare e rappresentare due contesti
ben precisi. Il primo è il luogo fisico in cui si
svolge la mostra, la “Casa del Boia”; questo
è stato riadattato (come quasi tutti gli spazi
d’arte italiani per l’arte tranne il Mart di Rovereto
o il MAXXI di Roma) a luogo d’arte pur con una
dimensione non propriamente adatta a presentare
opere in assenza di interferenze. Forse proprio per
questo motivo l’artista ha voluto evocare e parlare,
intrecciando queste due dimensioni, dell’impegno
delle varie amministrazioni nella cultura e quindi
dello stato di salute della cultura ora in Italia. Il titolo
della mostra fa riferimento alla richiesta di un famoso
senzatetto di Bologna, Angelo Rizzi, ma che adesso
potrebbe essere adottato da qualsiasi istituzione
a cui improvvisamente sia stato tolto il budget di
sostegno per la sua normale attività. In Italia però
da sempre abbiamo assistito ad un imperterrito
“pianto greco” legato alla mancanza di fondi per la
cultura, a una mancanza di costanza di attenzione
verso la politica culturale, e dall’abitudine delle
amministrazioni comunali di rivolgersi all’arte solo in
quei casi estremi per risolvere all’ultimo momento la
mancanza di un programma praticato con costanza
Stefano W. Pasquini, Dogs, 2004, stampa c-type.
Due precisazioni iniziali
lorenzo bruni
AIUTATEMI
CHE SONO MESSO MALE
43
Opere o interventi?
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Prima stanza
L’arrivo del visitatore alla “Casa del Boia” per la mostra di Pasquini è celebrato
da un oggetto particolare: un autovelox/scultura. Questa presenza all’interno di un
edificio evoca in maniera indolore la possibilità di andare lentamente per guardare
meglio i dettagli attorno a sé. Ma i dettagli di quale realtà stiamo parlando? Dei
dettagli del palazzo, oppure delle opere d’arte? Ma quali sono queste opere? Questo
invito paradossale è un atteggiamento che anima tutto il progetto dell’artista e il
tentativo di far relazionare la dimensione artistica con quella quotidiana. L’oggetto
in questione è un manufatto, una scultura, ma è anche un oggetto del reale con
funzioni aggressive molto evidenti, quello di infliggere multe. Quindi la sua presenza
ha un valore simbolico e di ricordo molto forte rispetto ad un altro oggetto qualsiasi
che poteva essere scelto per una semplice operazione di ready made. Adesso non
ci sono soldi per fare le mostre o non ci sono soldi per niente... fino al dramma dove
gli autovelox (meglio pensare che siano loro e non i nostri simili con i nostri stessi
problemi) fanno multe a 51km orari, e per questo le persone possono reagire in
maniera violenta fino a dargli fuoco. Questo è un fatto di cronaca accaduto proprio
nel comune in cui si svolge la mostra, ma è un fatto ipotizzabile per qualsiasi
luogo italiano. Un particolare molto importante per l’artista poiché è un oggetto
impersonale, ma che evoca storie personali. L’opera dunque non è solo una
scultura, ma un intervento, poiché è il potenziale “romanzo” che emergerà dalle
testimonianze dei visitatori a cui si chiede di raccontare le multe subite nella
loro vita. Una sorta di Luther Blissett più democratico, visto che internet, i blog
e i messaggi sul telefono permettono questo tipo di dialogo collettivo. Proprio
pensando alle dinamiche di questa opera/intervento/scultura emerge la prima
chiave di lettura del suo lavoro: riflettere sul personale e impersonale mischiando
le carte. Un’altra chiave di lettura però non interna ai suoi lavori, ma che nasce
da essi, è che questi suggeriscono una riflessione su quale è il vero confine e se
esiste un vero confine tra opera e non opera, tra oggetto personale e collettivo.
Dare fuoco ad un autovelox è un atto vandalico, un atto di protesta o un’opera
di arte pubblica? È lo sfogo verso un potere senza faccia. Un potere burocrate
Stefano W. Pasquini, installazione alla gallaeria Melepere, Verona 2010.
tutto l’anno. Quindi questo argomento evocato da Pasquini è solo un cavallo di
Troia per parlare di altro. Infatti l’artista, puntando il dito sulla crisi economica che
tutti conosciamo, vuol far emergere una riflessione sulla coscienza culturale che gli
italiani hanno del loro stesso stato di coscienza culturale, a livello collettivo. Questo
gioco di parole è già di per sé l’opera di Stefano W. Pasquini. Si tratta di parlare di
identità culturale personale, che può essere definita solo attraverso una coscienza
dell’identità collettiva. In un momento in cui l’indifferenza, la mancanza di dialogo e
di responsabilità la fa da padrone, questo non risulta facile.
45
come neanche Kafka avrebbe immaginato poiché normalizzato e decisionale e non
interlocutorio.
Seconda stanza
Seattle, 1999. “Gli eroi son tutti giovani e belli” cantava Guccini tanti anni fa. […]
Quest’opera è una struttura di legno realizzata con vecchie parti di mobili assemblati
assieme a formare una struttura che se vista da un punto preciso disegna la scritta
Seattle 1999. La domanda da porsi prima di tutto è se si tratta di un mobile o di
una scultura. Si tratta di un’immagine o di un oggetto di bricolage? “Combinare e
creare” era il motto di Kurt Schwitters, ma anche di André Breton e di Max Ernst.
L’idea che con gli scarti si può ricreare tutto è la grande verità concepita nel secolo
passato, il secolo che più in assoluto ha avuto forme di ricerca legate al recupero dei
segni delle culture precedenti. Il dramma con cui ora abbiamo a che fare adesso è che
di tutto questo archivio di informazioni non ce ne facciamo nulla. Adesso è evidente
l’incapacità collettiva di assumere le nostre responsabilità dopo il “secolo breve”, che
ci ha lasciato tanti frammenti delle varie ideologie utopiche fiorite in quel periodo.
Adesso l’unica scelta possibile è ignorare i frammenti. Forse per questo la scritta
di Pasquini verrà associata più che ad uno degli ultimi movimenti sociali del secolo
scorso, ad una band rock o ad un momento musicale. Nel caso mi sbagliassi, e che
Stefano W. Pasquini, US1102, 2011, installazione.
46
per il pubblico fosse invece evidente che quella scritta è un mezzo per ripensare
alle ipotesi di nuova società possibile (quella di No Logo di Naomi Klein, in Italia
contraddistinta dalle tute bianche, i girotondi, le marce per la pace etc.) cosa ci
rimane? Che è un bell’oggetto pur nella sua non pretenziosità. “C’è una logica in
questa follia....”, avrebbe detto il personaggio shakespeariano parlando di Amleto.
Terza stanza
L’opera consiste in una montagna di fogli. Sono rifiuti? È una montagna di soldi?
Si tratta di 5000 fogli stampati con un semplice cane che, addormentato o stanco,
è disteso sulla spiaggia e annoiato ci guarda o evita di guardarci. Il cane sosta
proprio accanto ad una passerella, un strada coperta di sabbia. È quasi nascosta.
Questa strada è una linea divisoria, anche se nascosta. Una volta c’erano dei confini
nazionali... e adesso? A cosa apparteniamo? A quale identità? Alla fine degli anni
novanta si è molto parlato della “Borderline Syndrome”. Molti artisti, che portavano
in evidenza un modello culturale e storie non legate al modello occidentale, hanno
permesso di sollevare il problema attorno al concetto di appartenenza nazionale. Era
il momento della paura e attrazione per il dissolvimento di una società basata su
divisioni nazionali. E ora? […]
L’ospite inatteso
C’è un’opera di Pasquini che, nel momento in cui sto scrivendo, ancora non ha una
collocazione e che potrebbe in realtà stare ovunque in questo percorso di mostra.
L’opera sintetizza il problema del tentativo di mettere in dialogo lo spazio dell’arte
e quello della vita e di ragionare su cosa sia un opera d’arte. L’opera consiste in una
serie di ritratti dipinti. Sono dei dipinti di volti. Non è tanto importante la tecnica,
ma il fatto che si facciano riconoscere come quadri... e quindi, come opere d’arte.
Questi volti si rifanno a ritratti di persone specifiche e sono stati dipinti dall’artista
usando come modello un’immagine diffusa sul web o alla televisione. Sono simulacri,
e rendono secondario il soggetto in quanto è fondamentalmente oggetto di notizie di
cronaca: “Monaco buddista morto dopo le proteste contro la dittatura in Birmania”,
“Amanda Knox, presunta assassina di Meredith Kercher, al processo di Perugia”,
“Federico Aldrovandi, ucciso dalla polizia di Ferrara, in una foto da bambino in cui bacia
la testa di suo fratello”. Queste sono alcune delle immagini presenti. Questi soggetti
sono scelti dall’artista semplicemente perché sono personaggi interessanti del nostro
presente. Ne fanno parte. Ne sono in qualche modo dei monumenti muti. Muti, perché
a differenza delle facce postate su Facebook non possono aggiornare il loro stato, e
la responsabilità del loro poter essere presenti nell’attualità è tutta altrui. E’ nostra.
“L’ospite inatteso” dunque di questo progetto di Pasquini è infine non tanto la
pittura, ma “l’altro”. Il mistero di una faccia, di un altro essere umano, continua
ad incuriosirci più di qualunque altra cosa, proprio perché forse siamo rimasti
senza modello di cosa evidenzi la nostra identità collettiva/personale e ancora non
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DIALOGO
LB: Caro Stefano, vorrei iniziare questo dialogo legato alla tua prossima
mostra a Ferrara partendo da una questione molto semplice. Quale può
essere il contributo di un’artista nell’attuale panorama culturale caratterizzato
dai tagli alla cultura? Questa domanda legata al contesto culturale generale
indipendente dall’arte poi inevitabilmente chiama in causa una domanda
più specifica al campo dell’arte: perché continuiamo a fare le mostre (è una
domanda più universale e indipendente al momento specifico della crisi secondo
me)? Per chi vengono realizzate le mostre?
lorenzo bruni
lo abbiamo sostituito con altre ipotesi. Questo “ospite inatteso”, questo evocare
il problema di quale sia oggi l’identità personale di un singolo individuo – poiché
prima dovremmo stabilire quello dell’intera società – è l’elemento di collegamento
che permette all’artista in questo progetto di riflettere non solo su cosa si intenda
oggi per opera d’arte, ma di far dialogare sia il contesto fisico in cui si inseriscono
le opere, che quello mentale, a cui appartengono gli spettatori. Solo adesso appare
evidente che questi lavori sono costituiti da opere che sono individuabili come
oggetti e, nello stesso tempo, come interventi.
SWP: E’ una domanda da un milione di dollari. Non lo so. Come ho già detto da
altre parti, fare l’artista, il creativo, in Italia oggi significa fare volontariato culturale.
Possiamo fingere che il problema sia solo culturale, ma è anche profondamente
legato all’economia e alla democrazia. Non voglio dire che sia un problema politico,
perché tutto è politica in Italia, dal costo della mensa negli asili alle sit-com in
televisione, passando dalla marca dell’autobus della tua città a quanta coda devi
fare al prossimo casello d’autostrada. Per chi fare le mostre? Per noi, per voi, per
loro. Fare le mostre, mostrare il proprio sé, è insito nell’uomo. Dal mio punto di vista
non c’è’ nessuna differenza tra una bacheca di Facebook e un olio su tela, sono solo
metodi di comunicazione diversi.
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LB: La domanda forse che però dovremmo affrontare prima è: quali sono le
caratteristiche di questa attualità della cultura che adesso per i tagli non può
più esprimersi come due o cinque anni fa? La crisi sta impedendo alla cultura di
esprimersi o era un problema precedente? Garyson recentemente ha parlato
di apatia e di accettazione generale del non corretto. L’evoluzione dei tempi sta
facendo rimpiangere a Tim Park il trash fine anni Ottanta con l’arrivo della diffusione
televisiva. Questa diffusione di un pubblico televisivo ha portato gli artisti nel
decennio successivo, negli anni Novanta, a ricercare e promuovere il cross-over tra
le arti. In quel momento storico il dialogo e lo scambio tra cultura alta e cultura
Stefano W. Pasquini, US1104 (Forgive Me), 2010, gesso e inchiostro..
49
popolare era necessario, ma anche possibile. Ora tra quali forze dovremmo forzare il
dialogo? L’antitesi di “apocalittici e integrati” di Umberto Eco andrebbe tutta riletta
poiché ora non ci sono due futuri ipotetici paralleli ma un non futuro..., in cui il
singolo è il fine e non il mezzo per stabilire un dialogo. Quindi, andando più nello
specifico... quando realizzi un progetto come quello di Ferrara o un opera d’arte a chi
ti rivolgi? Rispetto a quale pensiero dominante vuoi creare una provocazione? A cosa
ti opponi? Ci possiamo opporre a qualcosa?
SWP: In primis mi oppongo alla mancanza di rispetto che vige nel nostro paese, in
tutti gli ambiti. Partendo dal parlamento, passando per la televisione, il ruolo della
donna, la discriminazione verso il diverso, per arrivare appunto al ruolo dell’artista nella
società, che qui non viene rispettato. Non mi oppongo alla fatica dell’arte, che è anche
motivazione esistenziale dell’artista, mi oppongo alla metodologia che c’è dietro.
LB: Si certo, capisco perfettamente quello che stai dicendo. Tu hai sempre lavorato
sulla comunicazione. O meglio per precisare tu sei sempre stato affascinato dalla
comunicazione. Infatti, non sei interessato al linguaggio in sé e in senso autonomo
come gli artisti concettuali degli anni Sessanta o come gli attuali neo concettuali,
ma alla confusione che si ha adesso tra immagine e segno, tra parola e immagine.
Sei interessato a come vengono percepiti adesso i diversi segni. Ad esempio mi
viene in mente una tua opera recente. Una fotografia di una Fiat Panda che corre
verso l’obbiettivo in una strada di campagna. Prima dell’auto scorgiamo un cartello
stradale sulla sinistra, sul cui retro (non vediamo che segnale è e cosa intima di
fare o cosa segnala), vi è una scritta a spray (atto giovanilistico o solo vandalico?):
Dio c’è! Questa immagine è una sorta di capsula del tempo che è stata lasciata
aperta e che si confonde con il resto. L’immagine è attuale, ma ci riporta all’uso
degli anni Settanta di appuntare questa scritta per segnalare che fuori dalle strade
di lunga percorrenza (il moderno) vi erano persone che spacciavano droga. In questa
fotografia siamo in aperta campagna e in una curva, quindi è un luogo non adatto alla
sosta e a questo tipo di commercio. Quindi “Dio c’è” è una frase malinconica in tutti
sensi o una frase quasi di concreta memoria culturale. Un aspetto importante del
tuo lavoro è quello sui mezzi della comunicazione, e questo avviene con una rigorosa
ricerca di antispettacolarizzazione delle immagini. Le immagini e il linguaggio di
esse nasce per inglobare e far dimenticare le immagini precedenti. Nel tuo caso le
riporti a galla. Cosa ne pensi? Ti ritrovi in questo abbozzo di approccio lavorativo e
di posizione rispetto agli artisti tuoi coetanei che negli anni Novanta hanno stabilito
sempre una competitività con i mezzi della comunicazione?
Stefano W. Pasquini, UI1101 (Dio c’è), 2011, stampa c-type.
50
SWP: Bé, sicuramente appartengo a quella generazione, per cui va da sé che buona
parte del mio fare appartenga a quel decennio artistico. Un importante critico d’arte
mi ha definito “troppo anni ‘90”, e a me è piaciuta molto questa definizione, mi ha
51
fatto ripensare a quel decennio in termini sia politici che culturali, una sorta di ultima
utopia possibile. Detto questo, non mi piace pensare in questi termini, e credo che
ogni artista sia molto più complesso del sistema che lo cataloga. Non ho nulla contro
la spettacolarizzazione dell’immagine, anzi, sono un fan di Damien Hirst!
52
compensata in parte dalla creazione, più o meno spontanea, di sottogruppi o pubblici
paralleli dell’arte. La prima grande differenziazione è tra figurativi e astratti negli
anni Ottanta. Gli artisti negli anni Novanta si sono serviti dei meccanismi della
comunicazione/immagine per riflettere su questi metodi di attrazione di un grande
pubblico in maniera incondizionata. Il sistema dell’arte attorno a questo nuovo tipo
di arte però ha creato e diffuso un pericoloso problema, ovvero quello del consenso.
Non più raggiungere il massimo numero di soggetti ma fare il massimo numero
di pubblico e quindi di consenso in senso economico e politico. Proprio negli anni
Novanta si ha un’impennata impressionate di biennali d’arte che nascono in tutto
il mondo poiché sono usate per creare attenzione turistica e per livellare i contrasti
UI1011 (Mall), 2010, stampa c-type
LB: Facciamo un passo indietro. Ma che c’entra l’arte con la comunicazione...
potrebbe chiedersi qualcuno. Gli anni Novanta hanno celebrato il riscatto dell’arte
che dagli anni Cinquanta ha tentato di raggiungere il maggior numero di pubblico
proprio per realizzare a livello collettivo un cambiamento estetico o ideologico
totale. Questa esigenza poi si è tramuta negli anni in una frustrazione che era stata
sociali. Apparentemente si dava voce a tutti. In parte era vero e in parte è passata
l’idea che questa comunicazione era il reale e non il mezzo per aprire un riflessione
e discussione attorno al reale. Questa è una semplice constatazione e non una frase
reazionaria come lo erano dieci anni fa le affermazioni di Baudrillard attorno al tema
del simulacro, in cui l’immagine ha sostituito la cosa. Nel 2001 quando imperversava
la spettacolarizzazione dell’arte, o meglio dell’uso da parte dell’arte dei mezzi della
comunicazione (proprio di questi giorni è la notizia che Maurizio Cattelan smette
di lavorare) con il crollo delle torri gemelle fu dichiarato che l’arte era morta
proprio perché, se andava in quella direzione, avrebbe sempre dovuto scontrarsi
con quel grande e tragico happening collettivo in cui la comunicazione e il reale si
contrapponevano a vicenda. Del crollo delle torri gemelle impressionò
soprattutto la diretta visibile nello stesso momento in tutte le parti del
globo e che oltrepassava qualsiasi tipologia di finzione catastrofica
cinematografica alimentata da Hollywood negli ultimi decenni. Sono
passati dieci anni da quell’evento e nel frattempo gli artisti hanno
reagito lavorando sul “minimo evento”, sull’attivazione del quotidiano e
sull’aumento del livello di attenzione delle persone nel reale (da Pawel
Althamer a Jason Dodge, da Mario Airò a Ian Kiaer). La questione del
rapporto con la comunicazione in questi ultimi due anni si è rifatta
preminente soprattutto rispetto alle nuove emergenze mediorientali e
cinesi in cui questa possibilità di comunicazione è evidentemente, ed
ideologicamente controllata. Proprio questa situazione in cui non ci sono
mezze misure ha riportato anche attenzione alla situazione dei mezzi di
comunicazione nei paesi occidentali, dove questo controllo è più discreto
e in cui l’apparente democraticità di informazioni in realtà è anestetizzata
proprio dall’immissione di sempre più fonti diverse di informazioni fino a
creare una paralisi e un annullamento o implosioni di tutte queste su di
esse. Ripensando a questa dinamica, tra informazione e come gli artisti
hanno reagito - adattandosi o meno - vorrei chiederti se con il tuo
lavoro vuoi mettere in evidenza questa paralisi della comunicazione e
un non-assorbimento da parte del pubblico o vuoi già produrre una nuova
possibilità? E se sì, in cosa consiste questa nuova possibilità per te?
SWP: Premettendo che buona parte del mio lavoro si basa sulla famosa frase di
Duchamp “non ci sono soluzioni perché non ci sono problemi”, il senso, per esempio,
di questo numero di Obsolete Shit, che come dici tu mette in crisi il senso tra reale
e artificiale, può anche non esserci, ma il moto ondoso della possibilità di prova
(non mi piace la parola sperimentazione), del movimento di pensiero, è più forte di
qualunque altro stimolo. Diciamo che non riesco a non farlo. Del resto il confine tra
quello che è arte e quello che non è arte mi ha sempre interessato poco, e alle volte
sono quasi invidioso di chi è capace di ragionare in termini così netti. L’altra parte
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Stefano W. Pasquini, UP1006 (Federico Aldrovandi), 2011, acrilico su tavola
del mio lavoro, quella che tratta di problemi di vita, di politica e di diritti umani,
sicuramente ha anche come scopo una nuova possibilità, che è soprattutto una
possibilità di pensiero. Il meccanismo è semplice e parte dal basso, un esempio:
un ragazzo di vent’anni va in discoteca ed esce senza carta di identità, torna tardi,
e vicino a casa viene fermato da una pattuglia della polizia, che lo scambia per un
nordafricano e lo pesta fino a farlo morire per soffocamento. I genitori si ritrovano
in incubo kafkiano in cui loro figlio, Federico Aldrovandi, è stato ucciso dai “buoni”
della società, loro tentano di scoprire la verità su come sono andate le cose ed in
cambio hanno solo diffamazione, depistaggio e minacce. Aprono un blog, e le cose
cambiano. Questa storia ci dà da pensare due cose: che il posto in cui viviamo non
è una democrazia, e che grazie alla tecnologia è destinata a diventarlo. Ho preso
una foto di Federico da piccolo, che bacia sulla testa suo fratello minore, dal blog
dei suoi genitori, e l’ho dipinta. Il mio è quasi un bisogno rituale, io tutte le volte che
apro quella pagina di blog piango.
LB: Questo è molto interessante. Mi viene da chiedermi se il mio atteggiamento
è più da snob o da insensibile. Tu risolvi con il tuo lavoro questo problema di
retoricizzare fatti personali cercando di farceli vivere in maniera squisitamente
oggettiva. Ritornando al problema del confronto con il mondo delle informazioni un
problema importante per valutare la bravura di un artista rispetto ad un altro diviene
importante il problema del tempismo. Le informazioni sono tutte in presa diretta e
a rincorrerle l’arte sarà sempre seconda. Forse è per questo che le tue opere sono
sempre poste come in una sorta di senza tempo? Ad un primo sguardo sembra che
non siano legate o coincidenti con l’attualità attuale. Me ne puoi parlare meglio?
E’ così?
SWP: Certo, io sono legato al pensiero di quello che succede nel futuro, di
come l’arte di oggi sarà vista fra cent’anni, e allora mi pongo poco il problema
del tempismo. Non perché non sia importante nella comunicazione, ma perché
comunque la comunicazione di un artista è sempre molto limitata, ha un audience
limitata e difficilmente riesce a uscire da canoni di nicchia che per me rimangono
una contraddizione interna all’arte. Quando dipingo il volto di Clotilde Reiss, la
studentessa francese incarcerata per mesi in Iran solo per aver preso parte a una
manifestazione, forse sto giustificando la pittura, il bisogno di pittura, con un ideale
politico più’ alto. In fondo quando prendo un cartello stradale e con lo spray scrivo
sopra “Dio c’è” sto facendo la stessa operazione: sto mettendo in discussione sia il
momento artistico che il momento politico, e forse anche la spiritualità intrinseca in
ognuno di noi. Lo stesso vale quando prendo un santino di Benedetto XVI e lo attacco
a una pietra con lo scotch: l’operazione di pensiero sta all’interno di chi lo compie.
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LB: Il problema che poni sulla comunicazione va oltre il problema diciamo italiano.
Forse però questa tua attenzione alle fanzine, alle autoproduzioni di informazioni è
legato anche alla situazione italiana? In che modo? E’ consapevole? Quanto? Hai
sempre lavorato sul paradosso delle informazioni. Ora si ripropone la questione
molto vicina a quella del 2001, ovvero in un momento in cui gli artisti cercano di
lavorare sulla narrazione, sul paradosso delle informazioni e sulla paralisi delle
informazioni e degli happening la realtà ci supera. Penso alla manifestazione di
Jeremy Deller fatta per Manifesta nei Paesi Baschi, in cui tutti potevano protestare
per tutto. Questo è solo uno dei tanti esempi. Ma ciò non è solo da circoscrivere
al mondo dell’arte, credo, ma in generale. Se pensiamo al cinema ad esempio mi
55
SWP: A me piacciono le cose che aprono, che tendono a confondere, a
mandare il pensiero verso territori nuovi. Così ho pensato di inventarmi una
rivista aperta, inizialmente uno strumento per mostrare quello che faccio, ma
che col tempo potesse diventare qualcosa di diverso, aperto alle esperienze
altrui. Infatti fin da subito ho scritto di mandare materiale non richiesto alla
redazione. Finalmente questo numero gode dell’intervento di 42 persone che, più
o meno spontaneamente, hanno deciso di partecipare alla redazione della rivista,
consapevoli di essere stampati su un oggetto chiamato Merda Obsoleta, un nome
che da solo mette le basi sulla sua inutilità di fondo in modo ben chiaro. Le fanzines
mi hanno sempre interessato, quando ero piccolo per il loro essere l’unica fonte
alternativa, ora per una loro aura di nostalgia intrinseca, la stessa che trovo nei
santini delle chiese. Certo, la situazione italiana è surreale agli occhi di un paese
democratico, e sicuramente questo incide nella produzione editoriale, ma non in
maniera essenziale per Obsolete Shit. Ora ci sono buoni canali di controinformazione
a disposizione di chi è interessato, almeno a livello italiano. Quello che vediamo in
televisione in questi giorni (o meglio, in questi ultimi 20 anni) in Italia è piuttosto
particolare, e anche interessante dal punto di vista artistico, penso alla signora
pagata 300 euro per parlare in modo positivo della situazione dei terremotati de
l’Aquila, o appunto alle due fazioni che si urlano addosso da una parte all’altra
della strada davanti al tribunale milanese. Io consiglio sempre a tutti di spegnere
la televisione per sempre. O almeno di fare la prova per una settimana. E’ una bella
esperienza, ma ti pone in modo diretto in relazione con te stesso, e un sacco di gente
non ha intenzione di instaurare questo dialogo al momento.
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LB: Allora cosa possiamo fare per uscire da questa impasse? Parlarne potrebbe
essere solo un allungare con meno noia il presente. Il fare solo un gesto nichilista
alla Arancia Meccanica. Che fare? Lenin si rivolterebbe nella tomba visto che il “che
fare” coincide con il motivo e l’obbiettivo del fare e non il “come farlo”. Rispondimi...
dimmi qualcosa... non di
sinistra (come diceva
anni fa Moretti), ma
di sensato. Oppure la
mostra è solo un modo
per uccidere la noia? La
mostra sarà fatta dal
pubblico? O vuoi fornire
qualcosa al pubblico?
Ma cosa??? Che l’arte
cannibalizza la vita?
Che la complica? Che la
sintetizza?
US1012, 2011, materiali vari
viene in mente la notizia di un mese fa. Un gruppo consistente di persone si
è riunito fuori dal tribunale di Milano per aspettare notizie e manifestare la
loro solidarietà ai giudici o per l’imputato Silvio Berlusconi, che si presentava
per rispondere alle accuse di sfruttamento della prostituzione minorile...
anche sintetizzabile con le parole “Caso Ruby” o “Bunga Bunga”. Queste
persone mangiavano mortadella e parteggiavano per il presidente. Il fatto
che la politica ora sia fortemente personalizzata si è normalizzato. Il fatto che
la legge sia uguale per tutti è ormai saltato. Il finale del film di Nanni Moretti
dal titolo il Caimano di qualche anno fa ne è solo un’imitazione, lo anticipa di
poco. In questo scenario ha senso lavorare sulla comunicazione? O di nuovo
l’arte cannibalizza e dunque basta il reale? Che senso ha fare questa rivista
in un momento in cui l’artificiale e il reale si ribaltano per la seconda volta?
SWP: L’arte cannibalizza
la vita, la complica, la
sintetizza. Che fare?
Citare Mario Merz? O
Fellini? Mi ammazzo prima io? Già il fatto che qualcuno sia arrivato a leggere
fino qui, o che si sia per un attimo fermato a pensare a queste cose è una vittoria.
Lorenzo Bruni è critico e curatore indipendente, vive e lavora a Firenze. Dal 2005 è
direttore artistico di Via Nuova a Firenze, per cui ha ideato il ciclo di mostre collettive dal
titolo “La distanza è una finzione”, con cui ha coinvolto più di trenta artisti di differenti
nazionalità e generazioni come Ian Kiaer, Mark Manders, Marinella Senatore, Koo Jong-A,
Martin Creed, Christian Jankowski, Paolo Parisi, Roman Ondak, Rossella Biscotti, Jacopo
Miliani, Marco Raparelli, Carsten Nicolai, Luca Francesconi, Nedko Solakov e Matteo
Rubbi. Tra i suoi ultimi progetti spiccano nel 2010 la collettiva sull’idea di performatività ad
AstuniPublicStudio a Bologna e nel 2009 il ciclo di mostre e la collaborazione al convegno
internazionale sul tema dell’archivio alla Monash University di Prato. Tra i suoi progetti del
2008 sono da citare “Il viaggio di Sarah” per la Biennale di Bulgaria a Varna, e “What is
my name?” per l’HISK di Gent in Belgio, in cui analizzava un aspetto particolare dell’arte
concettuale di tipo romantico dagli anni Settanta a oggi, coinvolgendo diciotto artisti di
importanza internazionale, tra cui Rirkrit Tiravanija, James Lee Byars, José Dávila, Jonathan
Monk, Maurizio Nannucci. Dal 2000 collabora attivamente alla programmazione di Base /
progetti per l’arte a Firenze (spazio no profit fondato da un collettivo di artisti). Dal 2001
al 2004 è stato il curatore della Fondazione Lanfranco Baldi di Pelago diretta da Pier Luigi
Tazzi e dal 2004 al 2005 il curatore del ciclo di mostre “Attitudini” alla Galleria Civica di
Castel San Pietro Terme (BO). Ha partecipato a diverse pubblicazioni monografiche e sta
completando per Silvana Editoriale un volume sulla relazione fra arte e architettura dagli
anni Settanta ad oggi. Attualmente collabora con le riviste Arte e Critica e Flash Art.
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ARCHI
m/OBAM
cebook.co
www.fa
grassaebella.splinder.com
pubblicato in occasione della mostra:
www.davidepavlidis.splinder.com
www.danilomasotti.com
www.umarells.it
www.newhyronja.it
ellabolognesita.splinder.com
www.spettrod
COMUNE
DI FERRARA
Circoscrizione 1
YORUBA
::diffusione arte contemporanea::
Si ringraziano: A. Carson, Alberta Tedioli, Alberto
Despini, Alessandra Franzoni, Alessandro Linzitto,
Alessio Mineni, Alex Meszmer, Andrea Insulla, Andrea
Obamarchi, Andrea Mengoli, Andrea Rovacchi, Andrea
Ventura, Angelo Rizzi, Anke Wichmann, Anna Paola
Rosaspina, Anna Rosa Callegari, Annarita Filosa,
Antonio Nucci, Arianna Romagnoli, Axel Tönnies,
Beatrice Ausanio, Benjamin Novarino-Giana, Betty
Vezzani, Carlo Alberto Zini, Caterina Cavina, Ciccio
Minelli, CLAUDIA BASSO, Claudia Rimondini, Claudio
Lelli, Claudio Serrapica, Cristiana Boi, Cristiano
Calanchi, Cristina Beccaceci, Cristina Gaffurini, Daniela
Airoldi, Daniel Sambraus, Danilo 'Maso' Masotti, Davide
Bonazzi, Davide Macchiavelli, Davide Moroni, Davide
Pavlidis, Denis Sampieri, Denny Zanarini, Dr. Beck's,
Enrico Culeddu, Eric J. Edler, Ethel Norcia, Fabio Capelli,
Fabio Cavallucci, Fabio Ruggieri, Federica Zabarri,
Felix Vollemberg, Giampiero Bandini, Giancarlo Norese,
Giorgia Passini, Gino Pasquini, Giulia Marelli, Guido Di
Nunno, Guido Foddis, Irena Tieri, Istituto Micropunta, www.stefanopasquini.net
Jörg Dreisörner-Wichmann, Kai Wulfert, Katia www.obsoleteshit.com
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Gatti, Mauro Muzzi, Max Borella, Michael
J. Dvorkin, Michael Koenig, Michele
Lenzi, Michele Rizzoli, Monica Carrozzoni,
Monica Scarpari, Manu Théron,
Manuel Barthélemy, Monica Vezzani,
Nemanja Cvijanovic, Nicola Benizzi,
Nicola Ricci, Nicola Pasquini, Nicola
Putzu, Paola Cominato, Paolo Borghetti,
Paolo Capoferri, Paolo Frascaroli,
Paolo Spinello, Patrizia Silingardi,
Pedro Velez, Peter Jap Lim, PierDiego,
PierAndy, PierCirez, PierClaire, PierGabi,
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Müller, Riccardo Lolli, Riccardo Pedrini,
Richard Warburton, Roberta Pazi, Robij,
Torsten & Ilpo, Rocco Montanari, Rodin
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Mosetti, Sarah Corona, Sandra Sisofo,
Sébastien Spessa, Serena Bellinello,
Silvia Bologna, Simona Mattioli, Simone
Galgano, Sonia Schiavone, Sonia
Tancredi, Stefano Rambaldi, Stefano
Sampaoli, Stefano Stagni, Tony Cioli
Puviani, Tony Farinelli, Wilko Zanni, Yu
Guerra, Yumi Tieri Pasquini, le gallerie
Melepere di Verona, L'Arte di Molinella ed
Enrico Astuni di Bologna.
03/04/2011 01:34:26
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copertina
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