il punto - Centro Studi Calamandrei
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IL PUNTO Le notizie di LiberaUscita Gennaio 2012 - n° 91 SOMMARIO ARTICOLI, INTERVISTE, COMUNICATI STAMPA 2332 - Se il sentimento religioso diventa flessibile - di Corrado Augias 2333 - La laicità nel Risorgimento italiano – di Graziella Sturaro 2334 - Per una mediazione laica? di Marco Comandé 2335 - La cultura ci influenza? di Marco Comandé 2336 - Il valore dei beni comuni - di Stefano Rodotà 2337 - Il cimitero delle intenzioni - di Paolo Izzo 2338 - Firenze: ripristino ICI su immobili commerciali Chiesa? 2339 - Perché far pagare le tasse è una rivoluzione culturale - di Stefano Rodotà 2340 - Il patto scellerato - di Roberto Saviano 2341 - L’utopia frugale per una società solidale - di Marino Niola 2342 - Brescia: questo è il tempo della responsabilità - di Massimo Tedeschi 2343 - Un nuovo umanesimo, per salvare il mondo - di Dario Lodi 2344 - Il manifesto del vescovo di Brescia - di Massimo Tedeschi 2345 - Testamento biologico una scelta di libertà - di Fulvio Tessitore 2346 - Rushdie o Castellucci è fatwa - di Federico Orlando 2347 - Cattolicesimo politico: un falso ideologico - di Marcello Vigli 2348 - Gesù, un uomo - di Augusto Cavadi 2349 - Hans Küng: il malato può scegliere sulla sua vita – di Licia Granello 2350 - Dai ricordi ai dati. l’oblio è un diritto? - di Stefano Rodotà NOTIZIE DALL’ESTERO 2351 - Canada: il 67% dei canadesi favorevoli al suicidio assistito 2352 - Consiglio d’Europa: sì al testamento biologico DAL TERRITORIO 2353 - Anche a Napoli il registro dei testamenti biologici 2354 - A Vicenza vietato anche il semplice deposito delle dat 2355 - Modena: la sezione di LiberaUscita ha fatto il bilancio del 2011 PER SORRIDERE… 2356 - Le vignette di Staino - il papa è arrabbiato… 2357 - Le vignette di Maramotti – grazie allo sciopero dei benzinai… 2358 - Le vignette di Altan – si può tenere in ostaggio un paese? LiberaUscita – associazione nazionale laica e apartitica per il diritto di morire con dignità Tel: 366.4539907 – Fax: 06.5127174 – email: [email protected] – web: www.liberauscita. 2332 - SE IL SENTIMENTO RELIGIOSO DIVENTA FLESSIBILE - DI CORRADO AUGIAS da: la Repubblica di sabato 21 gennaio 2012 Caro Augias, in quanto spettatore adulto-cittadino milanese e, forse a qualcuno parrà strano, proprio perché cristiano, interessato a questa ‘lettura’ alternativa di disvelamento del volto di Gesù desidero avere la possibilità di assistere - serenamente - alla rappresentazione del dramma di Castellucci: ‘Sul concetto di volto nel figlio di Dio’. Vorrei poter scegliere da me. Vìttorio Bergnach Dopo le insurrezioni per le “offese al Profeta” (vignette su un giornale danese) e le risse per i posti a sedere vietati alle donne su qualche autobus israeliano, non potevano mancare i diktat cristiani contro le pièces ritenute blasfeme. Se loro impongono il crocefisso a me (è una metafora sia chiaro) non pensano di avere dato scandalo, ma se io voglio togliere quel simbolo dai luoghi pubblici, l’intollerante sono io e loro le vittime della mia violenza. Che si vuole:? Il divieto alle rappresentazioni sgradite? se perché non l’Indice dei libri proibiti. Fabio Della Pergola Risponde Corrado Augias Era prevedibile che gli interventi delle gerarchie cattoliche in Italia sarebbero stati differenti da quelli in Francia, prima ad Avignone poi a Parigi. Il primo intervento di Romeo Castellucci ad Avignone fu nella veste di ‘Artista associato’ con un progetto legato alla Divina Commedia. Vincent Baudriller, direttore artistico, spiegò quella distinzione (la prima per un italiano) dicendo: «Castellucci è uno dei più grandi innovatori della scena contemporanea, in grado di portare avanti una ricerca artistica che, oggi, non ha uguali tra gli altri artisti». Nel luglio 2011 è andato in scena ‘Il Volto di Dio’ e ad Avignone non ci sono stati incidenti; a Parigi invece (ottobre) ci sono state manifestazioni di protesta sulla piazza dello Chàtelet, contenute dalla polizia a parte la prima sera quando gli integralisti agirono di sorpresa dopo essere entrati alla spicciolata con regolare biglietto e le tasche piene di oggetti da lanciare in scena. Dall’arcivescovado si levò una protesta che a me parve più che altro per dovere d’ufficio. Questi, sommariamente, i precedenti. Dal frammento di spettacolo che ho visto ho ricavato l’impressione che Castellucci voglia rappresentare in modo atroce la miseria dell’umana condizione. Il vecchio che perde le feci disseminando la scena di escrementi è l’immagine estrema della miseranda condizione umana dalla quale scaturiscono la rivolta e le domande alla divinità lì rappresentata dal volto mirabile dipinto da Antonello. Come ricordava il prof Prosperi ieri, le autorità cattoliche modulano in maniera flessibile le loro reazioni adattandosi, secondo opportunità, alle circostanze di luogo e di tempo. 2333 - LA LAICITA’ NEL RISORGIMENTO ITALIANO – DI GRAZIELLA STURARO (*) Siamo all’inizio dell’anno e tirando le somme sul 2011, al di là degli eventi politici interni ed internazionali che hanno caratterizzato un periodo molto significativo da diversi punti di vista, direi che non si potrà sicuramente dimenticare il 150° anniversario dell’Unità d’Italia con le sue diverse e numerose manifestazioni ed iniziative. Tra le varie ed interessanti pubblicazioni relative all’argomento, segnalo il numero 4-5 dei “Quaderni Laici”, rivista quadrimestrale, pubblicata dal Centro di Documentazione, Ricerca e Studi sulla Cultura Laica “Piero Calamandrei” edita da Claudiana dal titolo “La laicità nel Risorgimento italiano”. Un percorso sulle diverse tappe del pensiero laico e liberale dal concetto di separazione fra Stato e chiesa alle teorie dei padri fondatori della patria come Camillo Benso conte di Cavour, Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi e Goffredo Mameli. 2 Innovativo, dal punto di vista dell’analisi storica, è il contributo di Cristina Vernizzi dell’Associazione mazziniana italiana che colloca l’origine del tema relativo alla laicità nel pensiero dei maggiori protagonisti del Risorgimento all’ultimo decennio del Settecento e, in particolare, alla “Costituzione civile del clero” risalente al 1790 a regolamentazione della vita religiosa in Francia che comportò non pochi cambiamenti nell’ambito sociale in quanto il cattolicesimo non fu più considerato religione di Stato mentre il clero, privato delle sue proprietà e privilegi, si trasformò in un corpo di funzionari stipendiati, con la nascita di un movimento anticlericale, altrettanto integralista, che portò a massacri e ad una sistematica scristianizzazione della vita sociale. Con Napoleone i rapporti tra la Chiesa cattolico-romana ed il clero costituzionale non migliorarono mentre l’Italia si preparava ad un’ondata di forte neoguelfismo che vedeva il sommo pontefice guida ideale di una federazione di Stati. Episodio significativo, sebbene breve parentesi, fu quello della Repubblica Romana e, con il Triumvirato composto da Mazzini, Armellini e Saffi, l’elaborazione di una Costituzione molto democratica rispetto ai tempi, grazie alla quale venne abolito il potere temporale dei pontefici e garantita la libertà di culto a tutte le confessioni religiose. Nel 1850 diventarono esecutive le Leggi Siccardi volte a limitare i privilegi della chiesa con la soppressione del foro ecclesiastico, delle immunità locali, del diritto all’asilo e di alcune feste religiose. Quando si giunse al 1861 con la proclamazione del “Regno d’Italia” e di “Roma Capitale”, vi fu un animato dibattito sulla questione del potere temporale della chiesa in quanto Cavour, con la sua nota abilità diplomatica e strategia politica, aveva avviato delle trattative segrete con la Curia romana per stilare un Concordato con il papa, il quale avrebbe dovuto rinunciare al potere temporale mantenendo tutte le prerogative sovrane e gli uffici centrali mentre lo Stato italiano avrebbe rinunciato a tutti i suoi strumenti di potere in materia religiosa. Tali trattative, di fatto, si interruppero a causa di alcune manovre da parte del papa che in realtà celavano l’ostilità verso l’idea di estendere la legislazione piemontese a tutto il territorio italiano. Infatti, tra il 1866 e il 1867 i rapporti tra clero e liberali terminarono e Cavour, uno dei massimi esponenti del pensiero liberale che, essendo stato a contatto con gli ambienti protestanti ginevrini di cui era originaria la madre Adele di Sellon, aveva appreso l’importanza della libertà religiosa, facendo suo il celebre messaggio “Libera chiesa in libero Stato” che provocò scontri a non finire con i clericali ed i conservatori. Sergio Lariccia, esperto di Diritto ecclesiastico, sottolinea l’importanza dell’art. 2 della Dichiarazione dei diritti del 26 agosto 1789 che riporta le seguenti parole “Le but de toute association politique est la conservation des droits naturels et imprescriptibles de l’Homme. Ces droits sont la liberté, la propriété, la sureté et la résistence à l’oppression”. Anche l’art. 26 dello Statuto albertino del 1848 prevede che “La libertà individuale è garantita”. La carta di Re Carlo Alberto Amedeo di Savoia detto “Il Magnanimo” sancisce l’affermazione dei diritti individuali che si esprime anche in varie forme di diffidenza nei confronti di diversi gruppi collettivi operanti nella società. Lo studioso di Storia del Risorgimento Adriano Viarengo focalizza la figura di Cavour soprattutto per quanto riguarda la sua concreta azione politica all’interno del momento storico-sociale in cui visse in quanto si trovò ad agire dopo la proclamazione dello Statuto che, non solo si ispirava all’esperienza francese, ma anche alla Costituzione belga del 1831 nella quale si affermava che la stampa e l’insegnamento sono liberi così come si garantiva la libertà individuale. 3 Tra la fine del 1847 e l’inizio del 1848 la Compagnia di Gesù veniva allontanata dallo Stato sabaudo, segno che la società andava verso una profonda trasformazione ed emerse la questione dell’istruzione e della detenzione del potere culturale mentre, intorno al provvedimento sui conventi, si scatenò un conflitto che non coinvolse solamente le gerarchie ecclesiastiche ma anche il sovrano poiché si prevedeva la soppressione di tutte le corporazioni religiose non specialmente dedite all’assistenza, all’istruzione o alla predicazione mentre i beni sarebbero passati allo Stato e i redditi confluiti in una cassa ecclesiastica. Per quanto riguarda la figura di Giuseppe Garibaldi, ne fa un inedito ritratto Gian Biagio Furiozzi, docente di Storia contemporanea, ponendo in risalto come la laicità in questo controverso personaggio storico non si riduca esclusivamente in un anticlericalismo “volgare e grossolano” ma investe una serie di aspetti come i rapporti tra Stato e chiesa, il ruolo della religione in uno Stato moderno, la divisione dei poteri, l’autonomia della sfera pubblica e l’abolizione dei privilegi. In effetti Garibaldi non fu un ateo. In quanto appartenente alla massoneria, credeva nell’immortalità dell’anima e non dimostrò mai contrarietà nei confronti della religiosità popolare. Le motivazioni della sua ostilità verso il clero furono strettamente politiche: dalla Chiesa cattolica vista come ostacolo per l’unità dell’Italia, anche se tra le sue fila vi erano esponenti del basso clero come il “Battaglione ecclesiastico” formato da siciliani francescani, all’idea della chiesa come portatrice di ignoranza e superstizione mentre considerava i “preti” dei “stimolatori di guerra”, alleati dei tiranni, fomentatori del brigantaggio, ostacolo per il progresso umano e sempre presenti ai tavoli di spartizione dei territori con la loro determinante influenza. Di conseguenza, l’anticlericalismo garibaldino, più che un tratto pittoresco del suo carattere, lo si può definire come espressione di disagio e indignazione verso le questioni civili e sociali, premessa di una visione più laica e moderna dello Stato. Arturo Colombo, professore emerito di Storia delle dottrine politiche, apporta il suo contributo alla figura di Giuseppe Mazzini e al suo pensiero. Sue le parole “La religione e la politica sono inseparabili”. Anche se non sussiste l’esigenza di qualsiasi apparato chiesastico con i propri dogmi e gerarchie, per Mazzini, secondo la recente tesi di Denis Mack Smith, fede religiosa e convinzioni politiche risultano complementari respingendo da una parte il papato e dall’altra l’ateismo ed il materialismo. In conclusione lo possiamo definire un anticattolico ma non un anticristiano. Sulla laicità di Carlo Cattaneo ne presenta uno studio Carlo G. Lacaita, ordinario di Storia contemporanea, rintracciando l’origine delle sue teorie nel pensiero di Giambattista Vico e nella cultura illuminista. Lo studioso analizza il periodo dello scontro fra Cattaneo e Rosmini, il suo impegno volto al rinnovamento dell’insegnamento e soprattutto delle facoltà teologiche con la consapevolezza che compito della cultura più moderna sarebbe stato quello di promuovere un orientamento laico dal momento che considerava l’autorità ecclesiastica nemica della scienza e della medicina. E qui, l’attualità del suo discorso. Anche per quanto riguarda il carico fiscale e il patrimonio ecclesiastico esistente in Italia, Cattaneo fece distinzione tra le prebende milionarie dei prelati e gli esigui introiti dei preti di campagna raccomandandosi di fare una distinzione anche tra il vangelo e la dottrina, tra le posizioni della gerarchia e quelle del clero minore. Con Silvia Caviccchioli, docente di Storia contemporanea, è possibile inoltrarsi nelle varie vicende descritte anche a livello cronachistico che portarono all’emancipazione degli ebrei e dei valdesi durante l’epoca risorgimentale e alle iniziative a loro favore, intraprese dal marchese d’Azeglio, per giungere alla concessione delle Regie lettere patenti e dei Regi decreti da parte di Re Carlo Alberto il quale comprese l’importanza della libertà per le minoranze religiose, promosse l’assistenza in ambito sociale e avviò la riforma della pubblica 4 istruzione erodendo sempre più spazi all’autorità ecclesiastica e, di conseguenza, intaccando il suo monopolio culturale. Marco Novarino, storico della massoneria, permette di assistere al dibattito dell’epoca sul ruolo della massoneria, per l’appunto, nelle società segrete risorgimentali sottolineando il carattere aristocratico ed elitario di tipo laico e anticlericale che attingeva al pensiero illuminista della prima e la predominante borghese delle seconde, pervase anche da spirito religioso di stampo romantico. E ancora, le analisi sulla posizione degli ebrei italiani ed il loro contributo al Risorgimento e sulla storia dei valdesi e protestanti italiani di fronte all’unità d’Italia lasciando in sospeso la problematica dei rapporti con la chiesa ufficiale. La rivista volge al termine con il dibattito filosofico tra Giulio Giorello e Carlo Augusto Viano su Benedetto Croce ed una serie di importanti documenti storici: dal discorso del 9 aprile 1861 al Senato del Regno di Camillo Benso conte di Cavour ad un estratto dal trattato “Dei Doveri dell’Uomo” del 1860 di Giuseppe Mazzini, dall’antologia di testi di Carlo Cattaneo e di Giuseppe Garibaldi al discorso “Per la Costituente romana” di Goffredo Mameli per chiudersi con la stesura completa della Costituzione della Repubblica Romana votata ad unanimità il 1° luglio 1849 con i suoi 69 articoli che, per la loro modernità, hanno lasciato ai posteri un esempio italiano unico di democrazia e di laicità, non solo dal punto di vista legislativo ma anche in quanto singolare risultato di un evento storico per molto tempo dimenticato anche dai testi e programmi scolastici. Profetiche le parole di Cavour risalenti al 26 agosto del 1850: “Amico quant’altri mai della libertà religiosa la più estesa, io desidero ardentemente di veder giungere il tempo in cui sarà possibile di praticarla da noi, quale essa esiste in America, mercé l’assoluta separazione della Chiesa dallo Stato. Separazione che io reputo essere una conseguenza inevitabile del progresso della civiltà, e condizione indispensabile al buon andamento delle società rette dal principio di libertà”. (*) Graziella Sturaro è la responsabile di LiberaUscita per il Piemonte 2334 - PER UNA MEDIAZIONE LAICA? DI MARCO COMANDE’ da: facebook – bacheca di LiberaUscita – 31.12.2011 Nessuno può dimostrare quando inizia e quando finisce un’esistenza vitale. Ognuno ha le proprie opinioni sul tema e quella cattolica è solo una delle tante correnti di pensiero, non l’unica o la migliore. Questo è il punto di vista laico. Le religioni e le dottrine filosofiche tendono a esprimersi in termini di “bene assoluto” e “male assoluto”, ma sappiamo quali distorsioni ha storicamente prodotto la dicotomia amico-nemico. Il laico non si sottrae al dibattito sul bene e sul male, ma chiede di valutare in base all’esperienza l’efficacia dei valori etici perché il progresso tecnologico offre opportunità e rischi imprevedibili, a cui bisogna reagire con realismo, modificando le proprie opinioni se necessario: la clonazione, la manipolazione del DNA, l’uomo bionico, l’immortalità fisica, la comparsa di nuove specie di ominidi e chissà che altro. In Italia l’esperienza storica ha portato alla stesura della Carta Costituzionale definita “la più bella del mondo”. I principi morali ivi riconosciuti hanno acquistato maggiore efficacia giuridica proprio perché sono stati negoziati nell’Assemblea Costituente e quindi sono stati recepiti da tutte le correnti politiche e sociali che l’Italia ha rappresentato. Nell’era globale il negoziato del 1948 è diventato un punto di riferimento. Sullo scacchiere mondiale culture profondamente diverse si scontrano e si confrontano, di conseguenza i giuristi si stanno chiedendo quale impalcatura possa rafforzare gli Stati multietnici, pluriconfessionali e aperti. Ed è per questo che la Costituzione italiana continua a essere 5 attuale, di fronte alle nuove sfide, l’immigrazione, le frontiere della scienza e di Internet, l’emergere di nuove associazioni per rispondere a nuovi bisogni. I Padri Costituenti non avevano preclusioni o pregiudizi, quindi lasciavano spazio a idee diverse sulla libertà, l’identità sessuale, le formazioni sociali ove si sviluppa la personalità dell’individuo. L’afflusso di stranieri ha trapiantato in Italia concezioni diverse sull’etica sociale e religiosa: la poligamia dei musulmani, la segregazione castale degli induisti, il disprezzo confuciano per l’individualismo, l’infibulazione, i matrimoni infantili e combinati, lo sfruttamento della prostituzione, l’alienazione del lavoro sottopagato, la censura. Il cristiano, rifiutando i principi secolarizzati, risponde trincerandosi dietro la famiglia tradizionale d’impostazione medievale, mentre il laico può ricordare come la poligamia violi l’uguaglianza tra i coniugi, le caste siano proibite, il singolo cittadino abbia la meglio sulle prescrizioni familiari, religiose, comunitarie ed economiche. Ne derivano la legge sul divorzio, l’educazione sessuale nelle scuole, gli inderogabili doveri di solidarietà verso gli anziani, i poveri, i mutilati e gli invalidi, la repressione degli illeciti e delle scorciatoie mafiose. Qui sta la forza dei principi laici. Invece proprio nel caso della bioetica assistiamo al tentativo di scardinare la Costituzione. Ripetere frasi del tipo “i principi etici non possono essere affidati alla tirannia dei giudici” significa non riconoscere che i giudici sono sottoposti a una gerarchia di leggi che mette in primo piano i valori morali inscritti nella nostra Carta. Abbiamo la memoria corta. Ci siamo dimenticati che il codice civile italiano ha ereditato dal fascismo le norme penali “dei delitti contro l’integrità e la sanità della stirpe”, che con l’aborto attentavano alla procreazione e alla vita del feto. Gli articoli dal 545 al 555 del codice penale sono stati dichiarati incostituzionali e quindi abrogati. La sentenza n. 27 del 1975, che è antecedente alla legge 194 del 1978 sull’interruzione di gravidanza, ha evidenziato come in caso di contrasto tra due diritti, la salute della madre o la vita del feto, prevalga la “legittima difesa” della madre. Invece di preoccuparci di questo, dovremmo porre maggiore risalto alla questione culturale: nel Mezzogiorno il numero di aborti è rimasto costantemente al di sotto della media perché sono radicati i valori religiosi. Dunque è dal confronto culturale che deve partire una efficace campagna contro l’aborto, non dal ripudio della giustizia civile. Un laico riconosce che la Costituzione tutela la famiglia naturale fondata sul matrimonio, ma ribadisce che questo diritto è uno dei tanti. Applicando tutti, proprio tutti, i principi della Costituzione possiamo pensare che sarà efficace la difesa della famiglia tradizionale. Questi ideali oggi sono dimenticati non perché la libertà porta al libertinaggio, ma perché nel dibattito politico e sociale non si parla più dei doveri verso la collettività: lavorare, pagare le tasse, denunciare i reati, tutelare i più deboli in quanto anch’essi sono individui con pieni poteri, negoziare invece di usare la forza. Se non ammettiamo il diritto di non curarsi e il contemporaneo diritto di curarsi quando richiesto. Se la lotta all’aborto si fa violando i principi giuridici e non concretizzando la parte della legge 194 rimasta inapplicata, quella sui consultori e gli aiuti alle madri. Se le discriminazioni vengono fronteggiate usando argomenti contro la libertà, invece di ricordare che ogni individuo ha dei diritti ma anche dei doveri. Se si considera la famiglia naturale in antitesi con altri diritti costituzionali, invece di limitarsi a negoziare in Parlamento. Se non si ha fiducia nelle istituzioni. Se diventa inefficace l’articolo 18 della Costituzione sul divieto di associazioni mafiose e segrete. Se accade tutto ciò, allora si disgrega il patto di convivenza tra le varie comunità italiane. Eppure è quello che sta accadendo oggi, quando assistiamo al sistematico tentativo di smantellare le reti sociali, economiche, culturali su cui fanno affidamento i comuni cittadini: i tagli allo Stato sociale, gli ospedali che non hanno più fondi, la 6 disoccupazione e precarietà giovanile, la clandestinità come reato, la scarsa trasparenza nei finanziamenti pubblici, lobbismo, qualunquismo. Se un cittadino, nel sacrosanto esercizio di difesa dei propri diritti, non fa riferimento alla Costituzione bensì alla propria identità sociale (la religione, l’etnia, il feticcio padano o il comitato d’affari), allora dobbiamo preoccuparci. 2335 - LA CULTURA CI INFLUENZA? DI MARCO COMANDE’ da: facebook – bacheca di LiberaUscita – 31.12.2011 Viviamo in un ambiente culturale. Che ci accorgiamo o meno, ne siamo tutti influenzati. Citiamo un esempio introduttivo per far comprendere cosa significhi. E l’esempio riguarda proprio la scienza, che dovrebbe in t...eoria essere obiettiva o neutra. Ludwig Boltzmann (1844-1906), fu un fisico austriaco che teorizzò e sperimentò l’esistenza degli atomi. Purtroppo i suoi contemporanei non accettarono la dimostrazione e lui morì suicida. Subito dopo, la sua teoria atomica divenne gradita a tutti. Come mai? La risposta degli storici è univoca: ci fu un cambio generazionale nel mondo della scienza, i vecchi fisici erano abituati a una certa visione positivistica e non riuscivano ad assimilare la notizia, mentre le nuove generazioni erano aperte a qualunque novità. Lo stesso problema oggi investe i paesi arabi, dove i giovani più aperti al cambiamento vogliono scalzare la tirannia dei nonni al potere. Ma pensiamo alla rivoluzione francese: un anno prima, l’aristocrazia e l’alto clero dettavano legge e pensavano che la propria gerarchia sociale fosse destinata a durare in eterno, per grazia di Dio. In che modo i pregiudizi culturali hanno influenzato l’etica della vita? Partiamo dall’oggi, così comprenderemo meglio il nodo della questione. È dato per scontato che la vita inizia con il concepimento, né prima né dopo: con il concepimento si forma una cellula dotata di DNA, unica e irripetibile. Quando finisce questa vita? La medicina legale afferma: quando c’è la morte cerebrale del paziente, ma quest’ultimo può morire prima se rifiuta le cure. Einstein nel 1955, poco prima di perire, disse: «Voglio andarmene quando lo voglio io. È di cattivo gusto prolungare artificialmente la propria vita, ho fatto la mia parte, devo andare. E lo farò con eleganza!” Siamo sicuri che la vita inizi con il concepimento? Non è per caso che la cultura individualistica di cui siamo impregnati non ci abbia influenzati? Tutta la giurisprudenza occidentale, borghese, moderna, riconosce all’individuo diritti e doveri, cui non si possono derogare senza giustificato motivo. Nella dialettica tra individuo, famiglia, religione, scuola e istituzioni statali, il cittadino ha la meglio a meno che non prevalgano fini di utilità sociale. Questo è un altro modo di dire che il cittadino ha pieni diritti tranne quando lede i diritti degli altri: la legittima difesa che giustifica l’aborto terapeutico e la pillola del giorno dopo, il trattamento sanitario obbligatorio per i drogati o i malati quando minacciano l’incolumità di altri, il divieto di fumare in luoghi chiusi, il codice della strada, l’istruzione obbligatoria e gratuita. Al di fuori di questa società individualistica, atomistica potremmo dire parafrasando il fisico Boltzmann, ci sono società che hanno principi diversi, che a scapito dell’individuo fanno prevalere la famiglia (nei sistemi patriarcali primitivi), la religione (nelle teocrazie), la scuola (nella Magna Grecia), le istituzioni statali (nei regimi totalitari di destra o di sinistra). In questi modelli alternativi di convivenza, l’inizio e la fine della vita dipendono da altri fattori. Prendiamo la Roma non ancora imperiale e immaginiamola come se fosse oggi: nella casa patrizia, una donna ha partorito; il capo famiglia si avvicina al neonato e decide se accoglierlo o meno; nel primo caso, prende in braccio il bebè e lo culla, mentre nell’altro caso un servo 7 sistema l’infante fuori dall’uscio a morire di stenti, a meno che un passante non lo raccolga per compassione o perché ha bisogno di un apprendista. L’episodio chiarisce come il parto di una donna non bastava a far considerare cittadino romano qualunque nascituro. Quindi l’inizio della vita era posticipato. D’altro canto, la schiavitù anticipava la definizione di morte fisica al capriccio del tiranno. E ora passiamo alla cultura cattolica. L’unità di base, nel Medioevo cristiano, non era l’individuo bensì la famiglia, inoltre le ricerche scientifiche sullo sviluppo degli embrioni non erano all’avanguardia. Le conseguenze furono paradossali. Sant’Agostino, basandosi sull’interpretazione letterale della Genesi, affermava che Adamo non era vivo quando fu impastato con il fango e l’argilla, bensì quando Dio gli infuse il soffio dell’anima. Quindi la vita non inizierebbe con il concepimento, bensì quando l’embrione acquisisce l’anima, in linea con la prassi ebraica. Una traduzione di “Esodo capitolo 21, versetti 22-25” distingue infatti a seconda che il feto sia formato o meno, così in quest’ultimo caso la pena per l’aborto è lieve. Ma sul piano del codice di famiglia, il diritto dovere di due coniugi era quello di garantire una numerosa prole. Così qualsiasi rifiuto in tal senso era considerato un delitto, la soppressione di una vita nascente. Ed ecco l’associazione tra contraccezione e aborto: l’inizio della vita era anticipato al coito coniugale e non all’acquisto embrionale dell’anima. E la morte quando sopraggiunge? Nel medioevo non c’erano le moderne tecniche di rilevamento del battito cardiaco o delle funzioni cerebrali, ma nemmeno c’erano le medicine che l’industria estrae oggi dalla chimica. Un buon costume era quello di vegliare la notte sul morto, confidando in Dio. Qui sta il nocciolo: tutto era affidato alla manzoniana Divina Provvidenza. I sacerdoti, in quanto esecutori della volontà del Cielo, potevano comminare condanne a morte o imporre guarigioni “miracolose”. La vita era un dono di Dio, quindi l’individuo non poteva disporne e doveva affidarsi alla misericordia ecclesiastica, che non era oggettiva come invece l’attuale articolo 32 della Costituzione che recita così: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario”. Conclusosi il periodo medioevale, le opinioni estremiste del cattolicesimo non sono scomparse: l’aborto rimane un tabù, nei Paesi poveri viene giudicato preferibile il rischio di morte per parto piuttosto che l’uso di anticoncezionali, marito e moglie non sono autorizzati al preservativo in caso di Aids conclamato, il divieto di discriminazione non vale per gli omosessuali, il rifiuto del coma farmacologico è giudicato un peccato. Se avessi domandato “chi decide chi vive e chi muore?”, allora sarei passato per un nazista, invece è una prassi quotidiana quando alle leggi giuridiche laiche si sostituiscono dottrine morali “non negoziabili”. In Medio Oriente sono i nazionalismi religiosi il principale ostacolo alla pace tra ebrei e musulmani. Allo stesso modo, la cultura mafiosa, cultura della morte, non concepisce l’idea di pentimento laico. Platone, abbandonando ogni saggia prudenza, descrisse uno stato teocratico che divenne il modello per il Terrore di Robespierre e i dispotismi illuminati e comunisti che praticavano il lavaggio del cervello. 2336 - IL VALORE DEI BENI COMUNI - DI STEFANO RODOTA’ da: la Repubblica di giovedì 5 gennaio 2012 Si può dire che il 2011 sia stato l´anno (anche) dei beni comuni. Espressione, questa, fino a poco tempo fa assente nella discussione pubblica, del tutto priva d´interesse per la politica, anche se il premio Nobel per l´economia era stato assegnato nel 2009 a Elinor Ostrom proprio per i suoi studi in questa materia. Poi, quasi all´improvviso, l´Italia ha cominciato ad essere percorsa da quella che Franco Cassano aveva chiamato la "ragionevole follia dei beni 8 comuni". E questo è avvenuto perché la forza delle cose ha imposto un mutamento dell´agenda politica con il referendum sull´acqua come "bene comune". Da quel momento in poi è stato tutto un succedersi di iniziative concrete e di riflessioni teoriche, che hanno portato alla scoperta di un mondo nuovo e all´estensione di quel riferimento ai casi più disparati. Si parla di beni comuni per l´acqua e per la conoscenza, per la Rai e per il teatro Valle occupato, per l´impresa, e via elencando. Nelle pagine culturali di un quotidiano campeggiava qualche mese fa un titolo perentorio: "I poeti sono un bene comune". L´inflazione non è un pericolo soltanto in economia. Si impone, quindi, un bisogno di distinzione e di chiarimento, proprio per impedire che un uso inflattivo dell´espressione la depotenzi. Se la categoria dei beni comuni rimane nebulosa, e in essa si include tutto e il contrario di tutto, se ad essa viene affidata una sorta di palingenesi sociale, allora può ben accadere che perda la capacità di individuare proprio le situazioni nelle quali la qualità "comune" di un bene può sprigionare tutta la sua forza. E tuttavia è cosa buona che questo continuo germogliare di ipotesi mantenga viva l´attenzione per una questione alla quale è affidato un passaggio d´epoca. Giustamente Roberto Esposito sottolinea come questa sia una via da percorrere per sottrarsi alla tirannia di quella che Walter Benjamin ha chiamato la "teologia economica". Ciò di cui si parla, infatti, è un nuovo rapporto tra mondo delle persone e mondo dei beni, da tempo sostanzialmente affidato alla logica del mercato, dunque alla mediazione della proprietà, pubblica o privata che fosse. Ora l´accento non è più posto sul soggetto proprietario, ma sulla funzione che un bene deve svolgere nella società. Partendo da questa premessa, si è data una prima definizione dei beni comuni: sono quelli funzionali all´esercizio di diritti fondamentali e al libero sviluppo della personalità, che devono essere salvaguardati sottraendoli alla logica distruttiva del breve periodo, proiettando la loro tutela nel mondo più lontano, abitato dalle generazioni future. L´aggancio ai diritti fondamentali è essenziale, e ci porta oltre un riferimento generico alla persona. In un bel saggio, Luca Nivarra ha messo in evidenza come la prospettiva dei beni comuni sia quella che consente di contrastare una logica di mercato che vuole "appropriarsi di beni destinati al soddisfacimento di bisogni primari e diffusi, ad una fruizione collettiva". Proprio la dimensione collettiva scardina la dicotomia pubblico-privato, intorno alla quale si è venuta organizzando nella modernità la dimensione proprietaria. Compare una dimensione diversa, che ci porta al di là dell´individualismo proprietario e della tradizionale gestione pubblica dei beni. Non un´altra forma di proprietà, dunque, ma «l´opposto della proprietà», com´è stato detto icasticamente negli Stati Uniti fin dal 2003. Di questa prospettiva vi è traccia nella nostra Costituzione che, all´articolo 43, prevede la possibilità di affidare, oltre che ad enti pubblici, a "comunità di lavoratori o di utenti" la gestione di servizi essenziali, fonti di energia, situazioni di monopolio. Il punto chiave, di conseguenza, non è più quello dell´ "appartenenza" del bene, ma quello della sua gestione, che deve garantire l´accesso al bene e vedere la partecipazione di soggetti interessati. I beni comuni sono "a titolarità diffusa", appartengono a tutti e a nessuno, nel senso che tutti devono poter accedere ad essi e nessuno può vantare pretese esclusive. Devono essere amministrati muovendo dal principio di solidarietà. Indisponibili per il mercato, i beni comuni si presentano così come strumento essenziale perché i diritti di cittadinanza, quelli che appartengono a tutti in quanto persone, possano essere effettivamente esercitati. Al tempo stesso, però, la costruzione dei beni comuni come categoria autonoma, distinta dalle storiche visioni della proprietà, esige analisi che partano proprio dal collegamento tra specifici beni e 9 specifici diritti, individuando le modalità secondo cui quel "patrimonio comune" si articola e si differenzia al suo interno. Se, ad esempio, si considera la conoscenza in Rete, uno dei temi centrali nella discussione, ci si avvede subito della sua specificità. Luciano Gallino ne ha giustamente parlato come di un bene pubblico globale. Ma proprio questa sua globalità rende problematico, o improponibile, uno schema istituzionale di gestione che faccia capo ad una comunità di utenti, cosa necessaria e possibile in altri casi. Come si estrae questa comunità dai miliardi di soggetti che costituiscono il popolo di Internet? Di nuovo una sfida alle categorie abituali. La tutela della conoscenza in Rete non passa attraverso l´individuazione di un gestore, ma attraverso la definizione delle condizioni d´uso del bene, che deve essere direttamente accessibile da tutti gli interessati, sia pure con i temperamenti minimi resi necessari dalle diverse modalità con cui la conoscenza viene prodotta. Qui, dunque, non opera il modello partecipativo e, al tempo stesso, la possibilità di fruire del bene non esige politiche redistributive di risorse perché le persone possano usarlo. È il modo stesso in cui il bene viene "costruito" a renderlo accessibile a tutti gli interessati. Ben diverso è il caso dell´impresa, di cui pure si discute. Qui è grande il rischio della confusione. Sappiamo da tempo che l´impresa è una "costellazione di interessi" e che sono stati costruiti modelli istituzionali volti a dar voce a tutti. Ma la partecipazione, anche nelle forme più intense di cogestione, non mette tutti i soggetti sullo stesso piano, né elimina il fatto che il punto di partenza è costituito da conflitti, non da convergenza di interessi. Parlare di bene comune è fuorviante. L´opera di distinzione, definizione, costruzione di modelli istituzionali differenziati anche se unificati dal fine, è dunque solo all´inizio. Ma non rimane nel cielo della teoria. Proprio l´osservazione della realtà italiana ci offre esempi del modo in cui la logica dei beni comuni cominci a produrre effetti istituzionali. Il comune di Napoli ha istituito un assessorato per i beni comuni; la Regione Puglia ha approvato una legge, pur assai controversa, sull´acqua pubblica; la Regione Piemonte ne ha approvata una sugli open data, sull´accesso alle proprie informazioni; in Senato sono stati presentati due disegni di legge sui beni comuni e vi sono proposte regionali, come in Sicilia. Si sta costruendo una rete dei comuni ed una larga coalizione sociale lavora ad una Carta europea. Quel che unifica queste iniziative è la loro origine nell´azione di gruppi e movimenti in grado di mobilitare i cittadini e di dare continuità alla loro presenza. Una novità politica che i partiti soffrono, o avversano. Ancora inconsapevoli, dunque, del fatto che non siamo di fronte ad una questione marginale o settoriale, ma ad una diversa idea della politica e delle sue forme, capace non solo di dare voce alle persone, ma di costruire soggettività politiche, di redistribuire poteri. È un tema "costituzionale", almeno per tutti quelli che, volgendo lo sguardo sul mondo, colgono l´insostenibilità crescente degli assetti ciecamente affidati alla legge "naturale" dei mercati. 2337 - IL CIMITERO DELLE INTENZIONI - DI PAOLO IZZO da: www.cronachelaiche.it di giovedì 5 gennaio 2012 Sembra un film horror (perciò ne è sconsigliata la lettura a chi sia debole di cuore o di stomaco) e invece si tratta soltanto dell’ultima, straziante trovata del Comune di Roma, nella persona del vicesindaco Sveva Belviso. Al cimitero Laurentino è stato inaugurato il Giardino degli angeli, un’area di 600 metri quadrati che sarà dedicata alla tumulazione dei feti. Inutile che sgranate gli occhi: avete letto bene. Laddove sia avvenuta una «interruzione di gravidanza spontanea o terapeutica», tiene a 10 precisare la Belviso, d’ora in poi a Roma si possono chiamare le onoranze funebri, farle arrivare nell’ospedale dove è avvenuta l’interruzione suddetta, raccogliere i resti dell’intervento chirurgico abortivo e fare una bella preghiera per l’anima del feto… Sono escluse ovviamente le donne che abbiano abortito volontariamente, che questa brava gente considera, a tutt’oggi e nonostante la legge 194, assassine a tutti gli effetti; comunque, mortali peccatrici. Davvero, non stiamo scherzando: Sveva Belviso, Cattivo Gioco, si potrebbe ironizzare, se ci fosse ancora qualcosa da ridere. La macabra iniziativa, del resto, non è nuova: aveva cominciato Roberto Formigoni in Lombardia (al cimitero di Milano esiste già un’area cimiteriale simile) a pensare alla sepoltura e persino al funerale per i feti, sebbene la legge non preveda nulla del genere. E non è nuovo nemmeno che questi necrofili abusino della parola “bambini” senza alcun criterio umano, scientifico e nemmeno giuridico. “Bambini non nati”, “bambini mai nati”, “angeli”, “figli”: questa la terminologia utilizzata senza scrupoli da persone che ricoprono anche incarichi importanti nell’Amministrazione della Capitale, come il consigliere di Roma Capitale Fabrizio Santori o il presidente di Ama Piergiorgio Benvenuti che hanno sostenuto l’iniziativa e la accolgono con entusiasmo. In un Paese civile non si può smettere nemmeno un istante di mantenere la guardia nello scontro con questi illegali cultori della morte che, in tema di aborto, se ne inventano di tutti i colori per cercare di uccidere psichicamente le donne e in special modo quelle che ricorrano all’interruzione di gravidanza volontaria. Ma dobbiamo veramente aspettarci ogni mostruosità, fino a chiederci persino quando verranno materialmente a frugare nei nostri letti, nei cicli mestruali delle donne o nei nostri preservativi usati per dare degna sepoltura a ovuli e spermatozoi in quello che forse chiameranno il “Cimitero delle intenzioni”? Commento. Quando si tratta di autenticare e registrare un normale atto come il testamento biologico, al quale possono provvedere tranquillamente i dipendenti comunali che ricevono le autocertificazioni senza alcuna spesa aggiuntiva ed anzi incassando la marca da bollo, allora l’ex Governo Berlusconi invitò i Comuni a non farlo in quanto ciò avrebbe comportato costi per un servizio non previsto dalla legge. Oggi, di fronte alla incredibile iniziativa della giunta Alemanno di creare un apposito cimitero non previsto dalla legge e con costi reali non indifferenti, il nuovo Governo Monti ha due alternative logiche: o annullare la circolare del precedente Governo Berlusconi o diramare una sua circolare a tutti i Comuni per vietare i cimiteri dei feti. Se – come presumibile - non farà né una cosa né l’altra per non inoltrarsi su un terreno politicamente scivoloso, allora ci attendiamo almeno che, per un minimo di coerenza, non affronti neppure il tema del disegno di legge Calabrò.(G. Sestini). Commento. Grazie anche per la risposta sul "cimitero dei feti"...molto opportuno il richiamo al Governo di annullare la circolare del 19 novembre 2010. (Maria Laura Cattinari) Commento. Che dire? La mamma degli imbecilli purtroppo non abortisce mai.Ma a mio avviso la cosa peggiore da considerare è che i soggettini alla Belviso e alla Formigoni sono stati eletti a quelle cariche da noi, da noi cittadini italiani (e nel caso lombardo è stata, mi pare, la quarta volta…). Infatti, con tutte le critiche che pur possono farsi alla fragilità della nostra democrazia, rimane il fatto che l’Italia è una nazione in cui dal 1946 si tengono consultazioni elettorali. Questa classe dirigente, allora, non è un accidente piovutoci in testa da un altro mondo, non è un corpo estraneo, ma è ciò che collettivamente, come società prima e come corpo elettorale poi, siamo in grado di selezionare. E’ una convinzione che trovo raggelante; meno male che ho una certa età e tra pochi decenni al massimo toglierò e mi toglierò il disturbo. Auguri di buon anno a tutta l’associazione.(Pier Giorgio Nicoletti) 11 Commento. Forse sarà possibile tumulare anche le centinaia di migliaia di bambini mai nati contenuti nelle polluzioni notturne degli adolescenti. Solo in quelle, ovviamente, non in quelle ottenute manualmente dai medesimi, che essendo volontarie si configurerebbero anch'esse come omicidi. Preterintenzionali le loro, intenzionalissime invece quelle a mezzo di condom. Per quest'ultime sarà previsto il carcere o il bracciale elettronico (di varie misure, naturalmente)? Saluti sgomenti a tutti. (Franco Toscani) 2338 - FIRENZE: RIPRISTINO ICI SU IMMOBILI COMMERCIALI CHIESA? Comunicato stampa di Mauro Romanelli - 10 gennaio 2012 Oggi il Consiglio Regionale della Toscana ha votato una Mozione presentata dal Consigliere Pieraldo Ciucchi che sostanzialmente chiede al Presidente della Giunta di aprire un dialogo con la Conferenza Episcopale Toscana al fine di raggiungere una soluzione condivisa sul tema del pagamento dell'Ici/Imu da parte degli immobili commerciali della Chiesa Cattolica. "Voteremo la Mozione come gesto di buona volontà - ha spiegato nel suo intervento il Consigliere Mauro Romanelli - Fosse stato per noi l'avremmo scritta in altra maniera: per noi l'esenzione dall'Ici degli immobili ecclesiastici è un privilegio che va eliminato, e non si deve certo concertare questa eliminazione col titolare del privilegio stesso, ovvero la Conferenza dei Vescovi Toscani. Inoltre, come hanno dimostrato alcune denuncie e inchieste, a partire da quella del Consigliere Tommaso Grassi al Comune di Firenze, vi è anche un problema di sommerso, ovvero di strutture che già oggi, a legislazione vigente, dovrebbero pagare l'Ici, in quanto pienamente e inconfutabilmente attività commerciali, e non lo fanno". "Detto questo, è importante che il tema sia stato posto, e ci rendiamo conto che per far approvare la Mozione anche dal partito Democratico, essa dovesse essere per forza molto sfumata e moderata: perciò la voteremo, perché comunque si tratta di un primo passo e di un segnale che il problema esiste e va affrontato". 2339 - PERCHÉ FAR PAGARE LE TASSE È UNA RIVOLUZIONE - DI STEFANO RODOTÀ da: la Repubblica di giovedì 12 dicembre 2012 Nella controversa agenda politica di questa difficile stagione ha fragorosamente fatto ingresso la lotta all´evasione fiscale. Non più come tema polemico, non più come rivendicazione di qualche buon esito di un´azione amministrativa di contrasto, ma come questione capitale, destinata a sconvolgere equilibri, colpire interessi, revocare in dubbio compiacenze. Questo è avvenuto con due mosse fortemente simboliche. Il blitz a Cortina e una dichiarazione del Presidente del consiglio che ha indicato negli evasori quelli che «mettono le mani nelle tasche dei contribuenti onesti». Non siamo solo di fronte allo smascheramento dell´ipocrita vulgata berlusconiana, ma alla denuncia di una inaccettabile redistribuzione alla rovescia delle risorse, per cui oggi sono soprattutto i meno abbienti a pagare servizi di cui, troppe volte, sono proprio i più ricchi ad avvantaggiarsi (si pensi solo al caso dell´istruzione universitaria, alla quale spesso non riescono poi ad accedere i figli di chi maggiormente la finanzia). Ed è giusto ricordare quel che disse Tommaso Padoa Schioppa: «le tasse sono una cosa bellissima e civilissima, un modo di contribuire tutti insieme a beni indispensabili come la salute, la sicurezza, l´istruzione e l´ambiente». Ironie e dileggi accolsero questo limpido richiamo alle virtù civiche. E oggi sono violente le reazioni dei molti che ritengono inaccettabile una priorità come la lotta all´evasione, certamente incompatibile con il melmoso immoralismo che si è fatto cemento sociale e nel quale si è cercato il consenso politico. Ma i gesti simbolici sono importanti, a condizione che siano poi accompagnati da inflessibile volontà politica e da quella adeguata strumentazione 12 tecnica ricordata da Alessandro Penati, con una sottolineatura significativa: la necessità di modificare "i comportamenti individuali e collettivi". Qui si gioca la partita vera. Certo, «non si cambia la società per decreto» – ammoniva Michel Crozier. È indispensabile, allora, un lavoro che vada nel profondo e rimetta in onore principi fondativi abbandonati. E, poiché questi sono tempi in cui è così insistente il richiamo ai doveri (magari per rendere più debole l´appello ai diritti), bisogna partire dai «doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» previsti dall´articolo 2 della Costituzione. Ma contro la solidarietà sono state spese negli anni passati parole di fuoco, denunciandone i "pericoli" e, muovendo da questa premessa, si sono organizzate "marce contro il fisco". Si è così cercato di svuotare di senso sociale e di valore civile l´articolo 53 della Costituzione: «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva» e secondo criteri di progressività. Da quest´insieme di doveri, invece, non si può "evadere". Arriviamo così alla radice dell´obbligazione sociale e del patto tra cittadini e Stato. Nel momento in cui "tutti" non significa davvero "tutti", e emerge con nettezza che il contributo alla spesa pubblica appare inversamente proporzionale alla capacità contributiva, con i meno abbienti che pagano più dei ricchi, allora si rompe il legame sociale tra le persone, tra le generazioni, tra i territori. Il ritorno pieno al principio di solidarietà, come valore fondativo, è la via obbligata per interrompere questa deriva e la Costituzione, parlandone come di un insieme di doveri inderogabili, individua un criterio ordinatore dell´insieme delle relazioni tra i soggetti, anzi un connotato della cittadinanza. Abbandonando quel riferimento, infatti, si innescano processi che dissolvono la stessa obbligazione politica. Torna alla memoria un´espressione icastica e fortunata, legata alla rivoluzione americana: «No taxation without representation» nessuna tassa senza rappresentanza politica, principio che ritroviamo nell´articolo 22 della Costituzione che affida solo alla legge, dunque a un atto del Parlamento, l´imposizione di prestazioni patrimoniali. Ma, una volta garantito il rispetto di tale principio da parte delle istituzioni pubbliche, il rapporto così istituito vincola il cittadino a fare la sua parte. L´evasione, allora, lo delegittima come partecipante a pieno titolo alla comunità politica. Sono questi i punti di riferimento, rispetto ai quali valgono poco gli esercizi intorno al ruolo da riconoscere alla ricchezza. Questa, benedizione di Dio o sterco del diavolo, fa semplicemente nascere un dovere sociale. Non è una penalizzazione, dunque, un vera lotta all´evasione, ma lo strumento indispensabile per ricostituire una delle condizioni di base per il funzionamento di un sistema democratico. Ma il rigore non deve essere necessariamente declinato nei termini dell´emergenza. Come il contrasto alla criminalità non rende legittimo il ripescaggio delle perquisizioni senza autorizzazione del magistrato, così la lotta all´evasione deve rifuggire da strumenti sbrigativi, e non in linea con le indicazioni europee, come quelle riguardanti la segnalazione di ogni movimento d´un conto corrente. Ricordiamo, poi, che già l´articolo 14 della Dichiarazione dei diritti dei diritti dell´uomo e del cittadino del 1789 parlava del diritto del cittadino di "seguire l´impiego" dei contributi versati. Una vera lotta all´evasione, dunque, ha come complemento necessario una totale trasparenza pubblica, una implacabile lotta alla corruzione, l´inaccettabilità d´ogni forma di uso privato di risorse pubbliche. 2340 - IL PATTO SCELLERATO - DI ROBERTO SAVIANO da: la Repubblica di venerdì 13 gennaio 2012 Non tiri un sospiro di sollievo, Onorevole Cosentino, trattenga ancora il fiato. Non creda che questa congiura dell´omertà che si è frapposta tra lei e le richieste della magistratura, possa sottrarla dal dovere di rispondere di anni di potere politico esercitato in uno dei territori più 13 corrotti del mondo occidentale. Non tiri un sospiro di sollievo, Onorevole Cosentino, perché quel fiato non dovrà usarlo solo per rispondere ai giudici. Il fiato che risparmierà lo deve usare per rispondere a chi ha visto come lei ha amministrato – e lo ha fatto nel peggiore dei modi possibile – la provincia di Caserta, plasmando una forma di contiguità, i tribunali diranno se giudiziaria ma sicuramente culturale, con la camorra. Onorevole Cosentino, per quanto ancora con sicumera risponderà che le accuse contro di lei sono vacue accuse di collaboratori di giustizia tossicodipendenti. I pentiti non accusano nessuno, dovrebbe saperlo. I pentiti fanno dichiarazioni e confessioni; i pm ne riscontrano l´attendibilità ed è l´Antimafia a formulare l´accusa, non certo criminali o assassini. Lei, ribadisco, non è accusato da pentiti, lei è accusato dall´Antimafia di Napoli. Ma anche qualora i tribunali dovessero assolverla, lei per me non sarebbe innocente. E la sua colpevolezza ha poco a che fare con la fedina penale. La sua colpa è quella di avere, per anni, partecipato alla costruzione di un potere che si è alimentato di voti di scambio, della selezione dei politici e degli imprenditori peggiori, il cui unico talento era l´attitudine al servilismo, all´obbedienza, alla fame di ricchezza facile. Alla distruzione del territorio. La ritengo personalmente responsabile di aver preso decisioni che hanno devastato risorse pubbliche, impedito che nelle nostre terre la questione rifiuti fosse gestita in maniera adeguata. Io so chi è lei: ho visto il sistema che lei ha contribuito a produrre e a consolidare che consente lavoro solo agli amici e alle sue condizioni. Ho visto come pretendevate voti da chi non aveva altro da barattare che una "x" sulla scheda elettorale. Sono nato e cresciuto nelle sue terre, Onorevole Cosentino, e so come si vincono le elezioni. So dei suoi interessi e con questo termine non intendo direttamente interessi economici, ma anche politici, quegli interessi che sono più remunerativi del danaro perché portano consenso e obbedienza. Interessi nella centrale di Sparanise, interessi nei centri commerciali, nell´edilizia, nei trasporti di carburante, so dei suoi interessi nel centro commerciale che si doveva edificare nell´Agro aversano e per cui lei, da quanto emerge dalle indagini, ha fatto da garante presso Unicredit per un imprenditore legato ad ambienti criminali. Onorevole Cosentino, per anni ha taciuto sul clan dei casalesi e qualche comparsata ai convegni anticamorra o qualche fondo stanziato per impegni antimafia non possono giustificare le sue dichiarazioni su un presunto impegno antimafia nato quando le luci nazionali e internazionali erano accese sul suo territorio. Racconta che don Peppe Diana sia suo parente e continua a dire essere stato suo sostenitore politico. La prego di fermarsi e di non pronunciare più quel nome con tanta disinvoltura. È un uomo già infangato per anni, i cui assassini sono stati difesi dal suo collega di partito Gaetano Pecorella, peraltro presidente della commissione bicamerale sulle ecomafie e membro della Commissione Giustizia. Perché non è intervenuto a difendere la sua memoria quando l´Onorevole Pecorella dichiarava che il movente dell´omicidio di Don Diana "non era chiaro" gettando, a distanza di anni, ancora ombre su quella terribile morte? Come mai questo suo lungo silenzio, Onorevole Cosentino? Sono persuaso che lei sappia benissimo quanto conti questo silenzio. È il valore che ha trattato in queste ultime ore con i suoi alleati politici. È questo suo talento per il silenzio a proteggerla ora. E´ scandaloso che in Parlamento si sia riformata una maggioranza che l´ha sottratta ai pubblici ministeri. Ma in questo caso nessuno, nemmeno Bossi - anche al prezzo di spaccare la Lega- poteva disubbidire agli ordini di un affannato Berlusconi. Perché lei, Onorevole Cosentino, rappresenta la storia di Forza Italia in Campania e la storia del Pdl. E lei può raccontare, qualora si sentisse tradito dai suoi sodali, molto sulla gestione dei rifiuti, e sulle assegnazioni degli appalti in Campania. Può raccontare di come il centro sinistra con Bassolino, abbia vinto le elezioni con i voti di Caserta e come magicamente proprio a Caserta il governo di centro sinistra sia caduto due anni dopo. Lei sa tutto, 14 Onorevole Cosentino, e proprio ciò che lei sa ha fatto tremare colleghi parlamentari non solo della sua parte politica. Sì perché lei in Campania è stato un uomo di "dialogo". Col centro sinistra ha spartito cariche e voti. Onorevole Cosentino, so che il fiato che la invito a risparmiare in questo momento lo vorrebbe usare come fece con Stefano Caldoro, suo rivale interno alla presidenza della Regione. Ha cercato di far pubblicare dati sulla sua vita privata. Ha cercato di trovare vecchi pentiti che potessero accusarlo di avere rapporti con le organizzazioni criminali. Pubblicamente lo abbracciava, e poi lanciava batterie di cronisti nel tentativo di produrre fango. Onorevole Cosentino, so che in queste ore sta pensando a quanti affari potrebbe perdere, all´affare che più degli altri in questo momento le sta a cuore. Più del centro commerciale mai costruito, più dei rifiuti, più del potere che ha avuto sul governo Berlusconi. Mi riferisco alla riconversione dell´ex aeroporto militare di Grazzanise in aeroporto civile. Si ricorda la morte tragica di Michele Orsi, ammazzato in pieno centro a Casal di Principe? Si ricorda la moglie di Orsi cosa disse? Disse che lei e Nicola Ferraro eravate interessati alla morte di suo marito. Anche in quel caso ci fu silenzio. Michele Orsi aveva deciso di collaborare con i magistrati e stava raccontando di come i rifiuti diventano soldi e poi voti e poi aziende e poi finanziamenti e poi potere. Lei si è fatto forte per anni di un potere basato sull´intimidazione politica e mi riferisco al sistema delle discariche del Casertano che a un solo suo cenno avrebbero potuto essere chiuse perché la maggior parte dei sindaci di quel territorio erano stati eletti grazie al suo potere: il destino della monnezza a Napoli - cui tanto si era legato Berlusconi - era nelle sue mani. Onorevole Cosentino, non tiri un sospiro di sollievo, conservi il fiato perché le assicuro che c´è un´Italia che non dimenticherà ciò che ha fatto e che potrebbe fare. Non si senta privilegiato, non la sto accusando di essere il male assoluto, è solo uno dei tanti, ahimè l´ennesimo. Lei per me non è innocente e non lo sarà mai perché la camorra che domina con potere monopolistico ha trovato in lei un interlocutore. Non aver mai portato avanti vere politiche di contrasto, vero sviluppo economico in condizioni di leale concorrenza e aver difeso la peggiore imprenditoria locale, è questo a non renderle l´innocenza che la Camera dei Deputati oggi le ha tributato con voto non palese. Onorevole Cosentino prenderà questo atto d´accusa come lo sfogo di una persona che la disprezza, può darsi sia così, ma veniamo dalla stessa terra, siamo cresciuti nello stesso territorio, abbiamo visto lo stesso sangue e abbiamo visto comandare le stesse persone, ma mai, come dice lei, siamo stati dalla stessa parte. Commento. Egregio onorevole (?) Cosentino, se Lei effettivamente è la persona che ha dichiarato pubblicamente di essere, vittima di magistrati non dediti alla applicazione della legge ma all'intento di nuocerle (fumus persecutionis), allora l’articolo di Saviano sopra riportato le offre un’occasione ghiotta di denunciarlo per diffamazione e dimostrare ai giudici la sua estraneità dai gravi e numerosi reati attribuitigli. Spero di leggere sulla stampa che vorrà cogliere questa occasione, anche se ho il dubbio che lo farà (Giorgio Grossi). 2341 - L’UTOPIA FRUGALE PER UNA SOCIETÀ SOLIDALE - DI MARINO NIOLA da: la Repubblica di sabato 14 gennaio 2012 «Un certo modello di società dei consumi è finito. Ormai l’unica via all’abbondanza è la frugalità, perché permette di soddisfare tutti i bisogni senza creare povertà e infelicità». È la tesi provocatoria di Serge Latouche, professore emerito di scienze economiche all’Università di Paris-Sud, universalmente noto come il profeta della decrescita felice. 15 Il paladino del nuovo pensiero critico che non fa sconti né a destra né a sinistra sarà a Napoli (dal 16 al 20 gennaio), ospite della Fics (Federazione Internazionale Città Sociale) e protagonista del convegno internazionale Pensare diversa-mente. Per un’ecologia della civiltà planetaria organizzato dal Polo delle Scienze Umane dell’Università Federico II. Il tour italiano dell’economista eretico coincide con l’uscita del suo nuovo libro Per un’abbondanza frugale. Malintesi e controversie sulla decrescita (Bollati Boringhieri). Un’accesa requisitoria contro l’illusione dello sviluppo infinito. Contro la catastrofe prodotta dalla bulimia consumistica. Cos’è l’abbondanza frugale? Detta così sembra un ossimoro. «Parlo di "abbondanza" nel senso attribuito alla parola dal grande antropologo americano Marshall Sahlins nel suo libro Economia dell’età della pietra. Sahlins dimostra che l’unica società dell’abbondanza della storia umana è stata quella del paleolitico, perché allora gli uomini avevano pochi bisogni e potevano soddisfare tutte le loro necessità con solo due o tre ore di attività al giorno. Il resto del tempo era dedicato al gioco, alla festa, allo stare insieme». Vuol dire che non è il consumo a fare l’abbondanza? «In realtà proprio perché è una società dei consumi la nostra non può essere una società di abbondanza. Per consumare si deve creare un’insoddisfazione permanente. E la pubblicità serve proprio a renderci scontenti di ciò che abbiamo per farci desiderare ciò che non abbiamo. La sua mission è farci sentire perennemente frustrati. I grandi pubblicitari amano ripetere che una società felice non consuma. Io credo ci possano essere modelli diversi. Ad esempio io non sono per l’austerità ma per la solidarietà, questo è il mio concetto chiave. Che prevede anche controllo dei mercati e crescita del benessere». Perché definisce Joseph Stiglitz un’anima bella? «Stiglitz è rimasto alla concezione keynesiana che andava bene negli anni ´30, ma che oggi, anche a causa dello sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, mi sembra impraticabile. Nel dopoguerra l’Occidente ha conosciuto un aumento del benessere senza precedenti, basato soprattutto sul petrolio a buon mercato. Ma già negli anni ´70 la crescita era ormai fittizia. Certo il Pil aumentava, ma grazie alla speculazione immobiliare e a quella finanziaria. Un’età dell’oro che non ritornerà più». È il caso anche dell´Italia? "Certo, il boom economico italiano del dopoguerra si deve soprattutto a personaggi come Enrico Mattei che riuscì a dare al vostro paese il petrolio che non aveva. È stato un vero miracolo. E i miracoli non si ripetono". I sacrifici che i governi europei, compreso quello italiano, stanno chiedendo ai cittadini serviranno a qualcosa? «Purtroppo i governi spesso sono incapaci di uscire dal vecchio software economico. E allora tentano a tutti i costi di prolungarne l’agonia, ma questo, lo sanno bene, non fa altro che creare deflazione e recessione, aggravando la situazione fino al momento in cui esploderà». Lei definisce la società occidentale la più eteronoma della storia umana. Eppure comunemente si pensa che sia quella che garantisce il massimo di autonomia democratica. Chi decide per noi? «Di fatto siamo tutti sottomessi alla mano invisibile del mercato. L’esempio della Grecia è emblematico: il popolo non ha il diritto di decidere il suo destino perché è il mercato finanziario a scegliere per lui. Più che autonoma, la nostra è una società individualista ed egoista, che non crea soggetti liberi ma consumatori coatti». Qual è il ruolo del dono e della convivialità nella società della decrescita? «L’alternativa al paradigma della società dei consumi, basata sulla crescita illimitata, è una società conviviale, che non sia più sottomessa alla sola legge del mercato. Che distrugge alla 16 radice il sentimento del legame sociale che è alla base di ogni società. Come ha dimostrato l’antropologo Marcel Mauss, all’origine della vita in comune c’è lo spirito del dono, la trilogia inscindibile del dare, ricevere, ricambiare. Dobbiamo dunque ricomporre i frammenti postmoderni della socialità usando come collante la gratuità, l’antiutilitarismo. In questo concordo con gli esponenti italiani dell’economia della felicità, come Luigino Bruni e Stefano Zamagni, che si rifanno alla grande lezione dell’economia civile napoletana del Settecento di Antonio Genovesi». Il capitalismo è l’ultimo pugile rimasto in piedi sul ring della storia? «Non so se sia proprio l’ultimo pugile, perché non si sa mai in cosa è capace di trasformarsi, ci sono scenari ancora peggiori, come l’eco-fascismo dei neoconservatori americani. Certo è che siamo ad una svolta della storia. Se un tempo si diceva "o socialismo o barbarie" oggi direi "o barbarie o decrescita". Serve un progetto eco-socialista. È tempo che gli uomini di buona volontà si facciano obiettori di crescita». Francis Fukuyama di recente ha riaffermato di ritenere che il modello liberal-capitalistico resti l’orizzonte unico della storia. Senza alternative. Cosa ne pensa? «Che ha una bella faccia tosta. Prima si è sbagliato totalmente sulla fine della storia, e oggi ripropone la stessa solfa. La sua profezia è stata vanificata dalla tragedia dell’11 settembre che ha dimostrato che la storia non era per niente finita. Fukuyama chiama fine della storia quella che è semplicemente la fine del modello liberal capitalista». A chi dice che l’abbondanza frugale è un’utopia lei risponde che è un’utopia concreta. Non è una contraddizione in termini? «No, perché per me l’utopia concreta non significa qualcosa di irrealizzabile, ma è il sogno di una realtà possibile. Di un nuovo contratto sociale. Abbondanza frugale in una società solidale. Sta a noi volerlo». 2342 - BRESCIA: QUESTO È IL TEMPO DELLA RESPONSABILITÀ - DI M. TEDESCHI da: Corriere della Sera di mercoledì 18 gennaio 2012 In tempi di penuria di guide, di maestri di vita, di autorità morali, in tanti — non solo cattolici — guardano a lui. All'inquilino del primo piano di piazzetta Vescovado. Al biblista di scuola martiniana giunto a Brescia il 14 ottobre del 2007 e impostosi per la cultura vasta, l'intelligenza acuta, la misura e la nettezza delle prese di posizione su temi spinosi. Monsignor Luciano Monari, che compirà 70 anni il prossimo 28 marzo, non si sottrae a questo ruolo. Senza protagonismo. Senza rinunciare a uno sguardo paterno ma critico sulla "sua" Chiesa. E sulla terra che l'ha adottato, e che lui ha adottato, da quasi cinque anni. Sulla facciata della Loggia c'è il motto che celebra Brescia fedele alla fede e alla giustizia. Qual è lo stato di salute della fede a Brescia? Nel Vangelo Gesù si chiede: «Il figlio dell'uomo, quando tornerà, troverà la fede?». La fede non si può mai dare per scontata. Mentre la dimensione culturale della fede può rimanere, non è detto che rimanga anche l'atteggiamento personale. Questo, o rimane sempre nuovo, o si perde. Ma a Brescia prevale la fede come fatto culturale o la fede come fatto personale? La gente bresciana in chiesa ci va, la frequenza ai sacramenti e in chiesa è buona. In questo risentiamo del vantaggio di una presenza numerosissima di catechisti, di animatori dell'oratorio, di coppie di sposi che incarnano una speranza grande. Nel suo pensiero c'è un «ma». Quale? E' vero che la fede, nell'Occidente contemporaneo, non è tranquilla. Ratzinger, nell'«Introduzione al cristianesimo», paragona la fede a un naufrago aggrappato a un relitto in un oceano in tempesta. Non è una grande sicurezza, ma è l'unica che c'è. Insomma la fede 17 non si può dare per scontata, il futuro richiede una creatività grande. Ora il più problematico per noi è il rapporto con le nuove generazioni, in particolare con le ragazze. In passato sono state una sicurezza nella pratica religiosa, oggi fanno più fatica degli altri. E l'altra grande, storica fedeltà di Brescia — alla giustizia — regge ancora? O siamo in presenza di una società più ingiusta, con un divario crescente fra ricchi e poveri? Un ordine di giustizia nella nostra società rimane. E' vero però che negli ultimi anni il divario fra i primi stipendi e gli ultimi è cresciuto. Oggi fra il manager che gestisce Fiat e Crysler e l'ultimo manovale la distanza è enorme. Questo dipende anche dal fatto che le responsabilità del manager sono immense, ma è pur vero che il senso del benessere personale vale per tutti. Se la società non trova elementi equilibratori, se la legge del mercato non viene corretta, è un problema. Restiamo in ambito economico: in tempi di sacrifici, molti chiedono alla Chiesa di sopportarne a sua volta. Lei cosa risponde? Oggi un prete ha un compenso di 900 euro mensili. Un vescovo come me di 1.350 euro. In più, io ho una pensione Inps di 400 euro da quando ho compiuto 65 anni. Immaginare grandi sacrifici su stipendi come questi è difficile. Oppure si potrebbe rinunciare ad alcune cose che la Chiesa fa. Ma quali: i Grest? I restauri dei beni artistici? Ma la Chiesa paga l'Ici sui suoi immobili? Gli edifici ecclesiastici, a parte quelli per uso di culto e pastorale, l'Ici la pagano. Il Paolo VI la paga. Le esenzioni di cui gode la chiesa non sono diverse da quelle riconosciute a sindacati e attività sociali. Io sono d'accordo sul principio: se un edificio ecclesiastico viene usato per fare reddito, deve pagare l'Ici. Già oggi, comunque, il bilancio dell'ente diocesi è stretto, e un po' in passivo. Lei ha deciso di affidare tale amministrazione a un laico, Mauro Salvatore. E' un laico fidabile, che ha le competenze, ha amministrato la sede della Cattolica. Trovo giusto che le responsabilità amministrative le prendano i laici. E' bene che i preti facciano il più possibile i preti. Ascoltando le persone, facendo la direzione spirituale. Se no dove troveremo nuovi sacerdoti? Qualcosa preoccupa il vescovo di Brescia? E' lo sfilacciarsi del tessuto di solidarietà che pure a Brescia è ancora molto robusto. Se saremo tutti un po' più poveri, come scriveva Berselli, c'è il rischio che questo comporti una guerra tra poveri, una chiusura, una minor disponibilità verso gli altri. Zoia, uno psicanalista, ha parlato della "Morte del prossimo". Dagli anni '60 s'è prodotta la tendenza ad assolutizzare il diritto del singolo. Questo si riflette oggi in una conflittualità diffusa, nella mancanza di educazione nelle cose più normali, senza un'attenzione al disagio che si procura agli altri. Magari non pagando le tasse. Per la Chiesa un peccato, anche se pochissimi lo confessano. E poi c'è l'altro motivo di preoccupazione: la denatalità, che non ha solo effetti sociali sulla sostenibilità del sistema pensionistico, ma rispecchia un atteggiamento poco fiducioso nei confronti della vita, del futuro. E i motivi di speranza quali sono, invece? C'è un'etica del lavoro molto robusta, ed è ciò di cui c'è più bisogno in tempi di crisi. C'è una grande capacità imprenditoriale, di creatività, di rischio. Infine c'è un grande senso di solidarietà che resiste: la dotazione di istituzioni, di fondazioni impiantate per rispondere ai bisogni delle persone è imponente. Brescia ha la capacità di camminare. Speriamo che la situazione generale lo consenta. Un tempo i laici si battevano per la propria autonomia in politica, oggi invocano benedizioni dalle gerarchie ecclesiastiche. Lei come vede il rapporto Chiesa-politica? 18 Dalla Chiesa i laici possono avere una stima enorme per il lavoro che fanno a livello economico e politico. Circa posizioni ecclesiastiche in questo ambito, invece, io ci andrei piano. Oggi ci sono due poli: come vescovo non ho intenzione di scomunicare nessun cristiano, nè nell'uno nè nell'altro polo. Vorrei che i cristiani dei due poli non si sentissero estranei o non accolti dalla Chiesa. Al tempo stesso a ciascuno pongo domande. A chi è nel polo di sinistra chiedo se davvero è attento al bene personale e non piuttosto alle ideologie; a chi è nel polo di destra se davvero è aperto alla responsabilità sociale verso il prossimo. La comunità cristiana non deve sposare una posizione politica contro le altre. Apprezzo, invece, una comunione fra i politici cristiani, con opinioni politiche diverse, uniti però da cose più profonde e radicali. Si possono fare incontri non solo per pregare ma per condividere le proprie opinioni. Nello spirito di Todi? Sì, quello va bene. Il governo-Monti in qualche modo ne è figlio. Come lo giudica? Qualunque altro governo non avrebbe potuto fare cose diverse. L'importante è che stia in piedi. Lo dico da cittadino, non da vescovo. Dal pulpito i preti ormai evitano temi «politici», che possano dividere i fedeli. E' giusto? Su alcuni temi, come l'immigrazione, parlare è doveroso. Lì sono in gioco atteggiamenti culturali di accoglienza, prospettive di fondo, di riconoscimento delle persone. Le difficoltà sorgono quando sono in gioco analisi economiche e sociali. Il Vangelo non parla delle liberalizzazioni, una valutazione su questi temi si può fare alla luce di una concezione sociale, economica. Ma su questi temi non è che abbondino le competenze, nè mia nè dei preti. Oggi non è più possibile adottare il metodo deduttivo: partire da un principio per ricavarne le conseguenze operative. Oggi bisogna partire dall'osservazione del reale per cogliere le possibilità di bene che la società mi offre. C'è invece un'attenzione trasversale, diffusa anche nel clero di base, ai temi dell'ambiente, alle battaglie ambientali. C'è una svolta «verde» della Chiesa? E' attesa anche una sua lettera pastorale in materia... Ci sto ancora lavorando. Prima ne scriverò una ai sacerdoti. L'attenzione all'ambiente è una delle necessità contemporanee. La cura dell'ambiente è una forma di responsabilità verso le generazioni future, entra nei nostri doveri. Il senso comune è miope: vede l'interesse immediato ma fa fatica a capire cosa accadrà nel lungo periodo. Il vescovo di Bergamo, il bresciano Francesco Beschi, ha firmato recentemente le due proposte di legge delle Acli sul diritto di cittadinanza per i figli di immigrati nati in Italia, e sul diritto di voto dopo 5 anni di permanenza in Italia. Lei come le giudica? Bene. Soprattutto quella sul diritto di cittadinanza. Non avrei problemi a sostenerla. E per il diritto di voto dopo 5 anni? Sì nel caso del voto amministrativo. Pensi a Brescia come un fedele che si confessa: qual è il comandamento più violato? Vede, un mio vecchio professore in seminario indicava cinque precetti trascendentali: sii attento, sii intelligente, sii critico, sii responsabile e sii innamorato che in inglese è "be in love". Credo che quello di cui abbiamo più bisogno sia l'essere responsabili. Tenere conto degli effetti che le nostre azioni hanno su tutti e sul bene degli altri: non essere individualisti, non essere narcisisti, camminare verso un rapporto di fraternità, costruire legami di fedeltà. E la penitenza? Da un confessionale non si esce senza una penitenza... Vedere quali conseguenze negative per gli altri ha avuto una nostra scelta e farcene carico, sperimentarle. E' come chiedere a un politico che ha autorizzato una discarica di andarci a vivere vicino... 19 E' così. E' fare l'esperienza delle conseguenze delle nostre scelte. E' metterci al posto degli altri. 2343 - UN NUOVO UMANESIMO, PER SALVARE IL MONDO - DI DARIO LODI da: www.lucidamente.it di lunedì 2 gennaio 2012 Che l’Occidente sia in declino, lo si dice da tempo. Karl Marx ne parla diffusamente riferendosi al prossimo crollo del capitalismo, chiave di volta del sistema occidentale e ormai mondiale. Mai profezia fu più sbagliata. Il famoso declino viene ufficializzato più tardi da Oswald Spengler: il suo famoso Tramonto dell’occidente è un compendio storico sulla falsariga del nostro Giambattista Vico, con l’aggravante di un pessimismo a tavolino. Ma le cose sono decisamente cambiate con la globalizzazione e con il capitalismo finanziario legato alla finanza vera e propria, non vincolato alla produzione. Il capitalismo industriale ha fatto il suo tempo; come motore principale oggi ha poco senso. Quello finanziario, grazie all’apertura dei mercati mondiali, può fare profitto in maniera molto più articolata, evitando, o contenendo, confronti fisici. Il Novecento ha conosciuto due conflitti mondiali per la supremazia economica determinata dalla produzione, troppa in mercati ristretti. Grazie al successo della finanza, tutto il mondo è Occidente, inteso come sistema dominante: che il sistema occidentale sia il migliore è dimostrato ampiamente dai fatti. Altro discorso è l’anarchia comportamentale del capitalismo finanziario. Questa anarchia, però, è resa possibile dalla lentezza delle reazioni governative, dalla incapacità relativa nel varare regole rispettose dei diritti umani. I governi, tutti i governi di area occidentale, sono in difetto (quando non sono conniventi): tappano solo buchi. L’intraprendenza finanziaria li coglie continuamente di sorpresa. La globalizzazione reca in prospettiva un certo progresso umano, ovvero se si interverrà politicamente con senso sociale e civile, senza i quali non può che instaurarsi una sorta di nazismo moderno. Le basi formali per il cambiamento ci sono: basti pensare alla redazione della Carta dei diritti dell’uomo del 1948, ossia la ragione nei rapporti fra gli uomini al posto dell’istinto naturale di sopraffazione. Ecco, non sappiamo ancora ragionare umanamente. Insomma, urge un nuovo umanesimo, laico, responsabile, aperto e coraggioso, per salvare questo mondo e la dignità dell’uomo. 2344 - IL MANIFESTO DEL VESCOVO DI BRESCIA - DI MASSIMO TEDESCHI da: Corriere della sera di giovedì 19 gennaio 2011 La fede cristiana ai tempi della crisi implica un forte senso di responsabilità individuale e comunitaria. Responsabilità significa «tenere conto degli effetti che le nostre azioni hanno su tutti e sul bene degli altri: non essere individualisti, non essere narcisisti, camminare verso un rapporto di fraternità, costruire legami di fedeltà». Così il vescovo di Brescia, monsignor Luciano Monari, in una intervista pubblicata ieri sulle pagine bresciane del Corriere. Quasi un manifesto tracciato dal vescovo di origini modenesi (è nato a Sassuolo 69 anni fa), biblista allievo del cardinal Martini, che da quattro anni guida la diocesi che ha dato i natali a Paolo Vl: un vivaio del cattolicesimo liberale e democratico, un possibile snodo del nuovo protagonismo dei cattolici nella vita pubblica italiana. Monari non usa la clava ruiniana dei «valori non negoziabili». Parte dall'osservazione del reale «per cogliere le possibilità di bene che la società offre». Là dove sono in gioco valori evangelici, la presa di posizione del vescovo di Brescia è netta. É il caso della tutela del creato, cioè dell'emergenza ambientale, su cui Monari sta preparando una lettera pastorale. È il caso del divario crescente fra i compensi dei grandi manager e quelli dei semplici lavoratori, 20 che pone un tema di giustizia sociale e su cui vengono invocati «elementi equilibratori». É il caso dell'accoglienza degli immigrati. Come il vescovo di Bergamo, il bresciano Francesco Beschi, anche Monari si dichiara favorevole alla proposta di legge delle Adi di riconoscere la cittadinanza italiana ai figli degli immigrati nati in Italia (introducendo lo jus soli) e alla proposta di riconoscere il voto amministrativo a chi è nel nostro Paese da almeno 5 anni. Su altri temi politici e sociali c'è un forte investimento di fiducia sui laici e sulla loro autonomia. Nessuna «scomunica» ai cristiani che militano a destra o a sinistra, ma un appello a entrambi a incontrarsi «non solo per pregare, ma per scambiare le proprie opinioni». Nello spirito di Todi. Se non è un manifesto, poco ci manca. I martiniani sono tornati. E hanno trovato, forse, un nuovo punto di riferimento. 2345 - TESTAMENTO BIOLOGICO UNA SCELTA DI LIBERTÀ - DI FULVIO TESSITORE da: la Repubblica, edizione di Napoli – venerdì 20 gennaio 2012 Credo che non si possa passare sotto silenzio la decisione della giunta comunale di istituire il registro dell’anticipata dichiarazione di testamento biologico. Credo che tutti gli uomini di buona volontà, con in testa i credenti, dovrebbero condividere una siffatta decisione. Si tratta di una dichiarazione di volontà, che nessuno può proibire ad alcuno di compiere, così come non si vieta ad alcuno di testare, in piena libertà, dichiarando le proprie volontà. Ciò che va previsto (credo sia quasi inutile dirlo) è che si conosca l’avvenuta richiesta di iscrizione nel registro, ma non il suo contenuto, che può essere positivo o negativo e che va conosciuto solo quando si determinassero le condizioni di un malanno irreversibile e solo da chi deve gestire (medico o non medico) un malanno. Sono convinto che in una materia come quella concernente la disponibilità della propria vita lo Stato non può e non deve intervenire con qualsivoglia forma di prescrizione. Può solo definire le modalità entro le quali ogni cittadino può, se vuole, far conoscere le proprie determinazioni. E mi libero subito di un’obiezione, invero sufficientemente stupida o deliberatamente ipocrita. Quella secondo cui una cosa è dichiarare, quando si è in piena salute, la volontà di non essere sottoposto a qualsivoglia forma di “accanimento terapeutico”, e altra cosa è farlo quando si teme vicina la fine. E' davvero una stupidità, che se affermata, intaccherebbe il principio stesso del testare. Perciò è un assurdo la “dichiarata anticipata di trattamento”, che è cosa molto vicina a una trappola. Come un comune testamento deve essere compiuto nella piena capacità di intendere e volere, ossia da sano, quando si dispone di tutta la propria energia, ciò vale ancor più per una decisione concernente la suprema forma di disponibilità. Va garantita la possibilità di cambiare opinione, non impedire che questa venga manifestata e che lo si faccia quando si è al tutto sereni, perché in pieno vigore e lontano dalle condizioni che irideboliscono e rendono timorosi. In queste situazioni si può essere preda delle determinazioni altrui, fossero pure quelle del medico in buona fede (non prendo neppure in considerazione la strumentalizzazione) in base a propri convincimenti, che, se adoperati in casi di malanno, verrebbero intaccati nella propria eticità. Il primo e insuperabile carattere dell’etica è il ”rispetto”, il rifiuto della “lesione” di altri, qualsiasi forma e modo di lesione. E poi qui si tratta di un bene supremo, di una “cosa ultima”: la vita. Certo nascono problemi enormi, che andrebbero trattati con timido rispetto e non con astuzia interessata. Specie da parte di chi ha avuto delegato l’esercizio di un potere, come è il caso dei parlamentari, che, proprio per questa loro condizione, dovrebbero più di ogni altro tacere, essere, appunto rispettosamente timidi. 21 Immaginiamoci poi quando - come è purtroppo oggi in base a una legge elettorale insieme incostituzionale e anticostituzionale - i parlamentari non sono degli eletti (scelti), ma dei nominati da un gruppetto di persone (non elette da alcuno), che gestiscono il potere legato a una ideologia o idea che sia. Oggi, i parlamentari, consapevoli e rispettosi della propria (si, la propria) dignità, dovrebbero saper essere timidamente rispettosi e lasciare alla loro riflessione le elucubrazioni in materia di vita, la vita degli altri. La vita! Che cosa è la vita? Rispondere è difficile, difficilissimo. Una cosa, però, si può dire ed è che vita non si dà, vita non esiste se non si dà la responsabilità dell’esistere, la responsabilità di volere e poter volere consapevolmente la propria esistenza. Altrimenti si cade nel materialismo più grossolano. E si badi ciò vale per tutti, per chi non è religioso e per chi è religioso. Anzi, direi provocatoriamente, specialmente per l’uomo religioso. Il cristiano (colui che crede secondo le forme e i modi di una religione straordinaria, della quale s’è potuto sostenere e ragionare l’assolutezza, l’eccezionalità) deve, dovrebbe sapere che il suo dio gli ha concesso il “libero arbitrio”, perché non sa che farsene di uomini che non siano liberi, ossia capaci di sentire e vivere la propria responsabilità (che significa rispetto), senza mistificazioni e ipocrisie. La libertà perfino di sbagliare, che è una grande idea etica. Del resto il cristiano, a differenza del laico, ha una doppia sicurezza, quella che «la vita non è mai tolta, ma solo mutata” (vita mutatur, non tollitur) dalla morte fisica. Il cristiano credente ha, dovrebbe avere una duplice certezza, a seconda del suo vivere in fedeltà o in contrasto coi suoi princìpi: la sicurezza del premio nell’altra vita o la sicurezza della punizione. Non ammettere la responsabilità dell’esistenza, significa ridurre la vita a un malloppetto materiale di cellule, ipotizzare una ecologia dello spirito, che è una vera e propria blasfemia. Il discorso qui non può essere proseguito. E va fermato. 2346 - RUSHDIE O CASTELLUCCI E’ FATWA - DI FEDERICO ORLANDO da: Europa di giovedì 26 gennaio 2012 Cara Europa, martedì sono andato con mia moglie al teatro Franco Parenti a vedere l’opera di Romeo Castellucci sul volto di Gesù, giudicata blasfema dagli integralisti cattolici (romani o lefebvriani) e contestatissima a Parigi nello scorso autunno dai medesimi protagonisti. Mi aspettavo chissà cosa, in piazza, invece, a qualche isolato di distanza, s’era concentrato un centinaio di superbigotti veneti (la Vandea italiana) e i Militia Christi romani, quelli stessi che erano andati a dir rosari e portare ceri davanti alla clinica friulana dove Eluana Englaro era stata liberata dopo 17 anni di falsa vita e di tortura vera. L’unica sorpresa è stata dover esibire i biglietti d’ingresso alla polizia, che in forze presidiava il teatro, prima che alle maschere. Segno che lo stato c’è, come c’è l’amministrazione comunale, fattasi garante della libertà della cultura con la stessa presenza fisica dell’assessore Stefano Boeri. Se con i clericali si potesse ragionare, ma non si può, chiederei: a cosa è valsa tutta la tensione che avete creato con la vostra fatwa khomeinista, se non a fare enorme pubblicità all’opera di cui volevate impedire la rappresentazione? Andrea Poddestà, Milano Risponde Federico Orlando Ma, caro Poddestà, la censura è arma che può funzionare soltanto nei regimi dittatoriali, laici o religiosi che siano. Nei regimi liberi, una censura minacciata, e peggio se attuata, è sempre oggetto di dibattito civile e quindi i suoi effetti finali sono sempre un boomerang contro i censori. 22 Ero poco più che ragazzo, ma ricordo l’immensa popolarità che produsse nell’Italia postbellica l’arresto di Renzi e Aristarco per il loro film L’Armata s’agapò sull’occupazione italiana della Grecia, accusato dalla procura militare di vilipendio dell’esercito (s’agapò in greco significa “ti amo”); o l’anatema di mons. Fiordelli vescovo di Prato contro un uomo e una donna conviventi in coppia di fatto e da lui fulminati dal pulpito come «pubblici concubini». Sono passati sessant’anni da quegli avvenimenti, ma nulla è cambiato nella mentalità fondamentalista, come ha dimostrato il caso Englaro. Perché i fondamentalisti confondono fra gli interessati consensi che ricevono dai politici (conservatori e fascisti) in parlamento e l’opinione pubblica generale. E fanno un potpourri di religione, integralismo, fascismo, come s’è visto anche martedì sera davanti al “Parenti”: dove una squadra d’azione di Forza Nuova, picchiatori nazi di estrema destra, era andata ad esibirsi davanti alle forze dell’ordine, che li ha sollevati di peso e scaricati tra quel centinaio di salmodianti che nella vicina piazza Libia già litigavano fra loro per la presenza di un prete lefebvriano, che pretendeva di dir messa volante su un camioncino. Lei parla di fatwa contro Castellucci per la sua opera, ormai internazionale, Sul concetto di volto nel figlio di Dio (volto prestato dalla sublime raffigurazione fattane di Antonello da Messina): il Vaticano (secondo me sbagliando, ma non ho titolo per dirlo) l’ha definito «spettacolo che offende i cristiani», e alcuni deputati nordisti hanno bandito la crociata parlamentare: Lussana e Polledri della Lega, Santolini dell’Udc, Pagano del Pdl... Comunque, per noi laici che siamo assolutamente indifferenti all’orientamento culturale di un’opera e preferiamo farcene una libera opinione dopo averla conosciuta, l’unica cosa che conti in queste vicende è che lo stato garantisca l’espressione di tutti gli orientamenti culturali, non consentendo ad alcuno di imporre con la prepotenza la propria opinione agli altri. È ciò che han fatto il comune di Milano, il teatro Parenti, i ministri dell’interno, dei beni culturali, della giustizia e del lavoro, a cui s’erano indirizzati lamenti e minacce. La fatwa, ovvero la condanna fino all’assassinio in nome di Dio, pronunciata da un barbone in tonaca bianconera, da noi non funziona. Ci proteggono secoli di illuminismo, razionalismo, liberalismo, istituzioni rivoluzionarie e rappresentative. Al povero Salman Rushdie è stato proibito dalle autorità indiane, alla faccia della “più grande democrazia del mondo”, di partecipare il 24 gennaio al Salone del libro di Jaipur, la più grande kermesse letteraria dell’India. I fondamentalisti musulmani non ne gradivano la presenza. Ma l’Italia non è l’India, e men che meno l’Iran. E i versetti satanici hanno lo stesso diritto di circolarvi dei versetti angelici. Bisogna che si rassegnino 2347 - CATTOLICESIMO POLITICO: UN FALSO IDEOLOGICO - DI MARCELLO VIGLI da: www.italialaica.it di giovedì 26 gennaio 2012 Nella riunione del 23 gennaio il Consiglio permanente della Cei ha confermato il suo proporsi come soggetto impegnato a partecipare alla vita politica italiana alla pari con partiti e parti sociali. Nella sua prolusione il Presidente cardinale Bagnasco, mentre riconosce che non spetta a noi Vescovi parlare di tempi e modi, azzarda analisi della situazione italiana e propone soluzioni ai problemi aggiungendo che a noi però spetta ricordare che la conversione a fare bene, a riguadagnare stima e fiducia è sempre possibile e doverosa. Così, dopo aver evocato lo scenario in ambito internazionale, ne evidenzia le ricadute e le specificità italiane. L’Italia appare particolarmente in angustia a motivo di sanzioni e bocciature che possono apparire un declassamento, agli occhi del mondo, di noi che mai ci siamo risparmiati per generosità e universalismo. E tuttavia un esame di coscienza – rigoroso e spassionato – si impone, per scongiurare il rischio di un autolesionismo spesso in agguato specie nei momenti di cambiamento. Ad esso però sembra non essere chiamata la Cei che 23 non si interroga sul ruolo svolto nell’era del berlusconismo, nei confronti del quale non nasconde un giudizio positivo, come emerge dal consenso senza riserve al nuovo governo Monti. Decisa è invece la rivendicazione della assidua, capillare presenza della componente ecclesiale nell’azione di supplenza nell’ambito dei servizi sociali e sanitari attraverso parrocchie, centri della Caritas, conventi, gruppi di fedeli, iniziative basate sul micro-credito e quattrocentoventimila operatori. Interessante, però, la considerazione che l’accompagna: il che non può non sospingere ormai ad una “carità di popolo” che si faccia “carità di sistema”. Lo diciamo sottovoce per non aver l’aria di chi, per questo, ha da avanzare pretese. Non chiediamo privilegi, né che si chiuda un occhio su storture o manchevolezze. In verità lo è anche un’altra dichiarazione, che ha avuto grande eco nei media, Evadere le tasse è peccato. Per un soggetto religioso questo è addirittura motivo di scandalo. È un ritorno alla denuncia del peccato sociale, oscurato, negli ultimi tempi, dalla insistenza sui valori irrinunciabili. Significativo è anche il tentativo di dettare un’agenda al governo invitandolo, fra l’altro, a pagare in tempo i suoi debiti con i cittadini, e ad occuparsi della situazione dei penitenziari italiani oltre che della famiglia e del ... riposo domenicale da non sacrificare alle esigenze del mercato. Di questa complessa strategia politica la Cei assume la piena responsabilità lasciando ai laici e alle loro diverse iniziative di collegamento, di cui Bagnasco offre un’ampia rassegna, il compito di farsi quel “soggetto unitario diffuso” che da una parte si offre come palestra formativa, e dall’altra come laboratorio stimolante per la riconsiderazione dell’alfabeto della società e della politica. Nell’agenda politica della Cei, infatti, non sembra esserci un ritorno alla Dc, almeno in questa fase. Ad esso sembrano invece interessati i cattolici impegnati nei partiti e nel governo per accreditasi, in concorrenza fra loro, come rappresentativi dell’intero mondo cattolico e legittimati dalla gerarchia. Anche dall’esterno grande è l’interesse per tale ritorno, magari per esorcizzarlo, come è evidente nella folkloristica giustificazione offerta da Bossi ai suoi fedeli per il ritardo nell’inizio della manifestazione in piazza Duomo a Milano sabato 21 gennaio: Avete notato che abbiamo iniziato in ritardo - ha detto il Senatur - Lo abbiamo fatto perché celebrava messa in duomo un nostro amico che è arcivescovo di Milano ed è stato patriarca di Venezia. Uno nato a Lecco che il papa nella sua saggezza ha mandato qua. Uno dei nostri: il cardinale Angelo Scola. Arruolarlo non serve solo a fare breccia fra quei cattolici che hanno salutato con gioia la fine dell’era Martini-Tettamanzi, ma anche a lanciare un messaggio a quelli di Comunione e Liberazione, di cui Scola è punto di riferimento, in libera uscita per la crisi della gestione Formigoni in Lombardia. Casini si rivolge, invece, ai cattolici democratici scrivendo in un messaggio diffuso tramite Twitter: Siamo pronti a superare l’Udc per far nascere un soggetto aperto ai nuovi protagonisti della politica. Appello ai coraggiosi: uniamoci! Uniti nel sostenere il governo Monti in alleanza/concorrenza con il terzetto Osnagri, Passera, Riccardi che del governo sono uno degli assi portanti. Questi, in verità, sembrano volersi allineare alla scelta della Cei di realizzare il superamento della contrapposizione fra partito dei cattolici o loro diaspora, con il riconoscimento che, nel qualificarsi come tali, si costituiscono come portatori di una visione specifica del mondo, ma capaci, al tempo stesso, di porsi in dialogo con le altre forze sociali lasciando la alla gerarchia rappresentanza politica. Pur diversi fra loro questi progetti non abbandonano lo schema di un cattolicesimo inteso come orientamento culturale, distinto dai contenuti di fede della Comunità ecclesiale, capace di ispirare l’azione politica. In verità tale “cattolicesimo” ha solo la funzione di copertura 24 ideologica di scelte e posizioni politiche, da cui trae,di volta in volta, specificità: liberale, democratico, sociale... A questo schema sembra ispirarsi anche Paolo Bonetti nella sua riflessione sul cattolicesimo liberale. Pienamente condivisibile la sua valutazione positiva dell’apporto dei cattolici non clericali al Risorgimento e di quelli non integralisti alla costruzione della Repubblica dalla Costituente al referendum del 1974. Altrettanto puntuale e significativa è l’indicazione delle quattro questioni fondamentali che attengono a un corretto rapporto fra Stato e Chiesa cattolica per le quali si chiede l’impegno a garantire sempre e comunque che sia rispettata la legge fondamentale dello Stato repubblicano pur senza rinunciare ad operare secondo i loro convincimenti morali. E’ questa, però, una regola che vale per tutti e non solo per i cattolici. Il finanziamento delle scuole private con soldi pubblici, purtroppo, è preteso anche da molti non cattolici in nome dei principi liberali. Al riconoscimento delle unioni fra omosessuali si oppongono fascisti e razzisti atei conclamati. Infine, le coscienze di credenti e non credenti sono ugualmente interrogate dalla questione bioetica. Forse ai cattolici va preliminarmente chiesto di riconoscere che il “cattolicesimo” ideologizzato è oggi l’instrumentum regni di quella parte della gerarchia ecclesiastica che non intende rassegnarsi e cerca di riassumere il ruolo politico, frutto della svolta costantiniana, sottrattole dal trionfo della modernità. Quello che si deve pretendere da loro è l’autonomia di giudizio e di scelta nei confronti delle indicazioni o dei diktat della gerarchia in tutte le questioni politiche, anche quelle in cui ci sono valori ritenuti irrinunciabili, in coerenza con quanto è stato chiarito dal Concilio Vaticano II che attribuisce ai laici la responsabilità di ispirarsi al messaggio evangelico nel partecipare alla definizione delle regole del viver civile. 2348 - GESÙ, UN UOMO - DI AUGUSTO CAVADI da: www.cronachelaiche.it di venerdì 27 gennaio 2012 Che cosa riteniamo di sapere sul cristianesimo? (Quasi) tutto. Che cosa sappiamo davvero? (Quasi) niente. E’ una presunzione di informazione che condividiamo un po’ tutti gli italiani (credenti, atei o agnostici): preti e suore non meno di chi non mette mai piede in chiesa. Sulla base di questo “supposto sapere” ci dichiariamo cristiani o meno. Ma quanto c’è di vero – cioè di storicamente e biblicamente attendibile – nell’idea di cristianesimo che diamo per scontata, per ovvia, per stranota sia quando l’abbracciamo con entusiasmo sia quando la rigettiamo con sdegno? Lo so; la domanda è imbarazzante. Può risuonare persino impertinente nell’epoca in cui sembra di dover optare per un’alternativa secca: o credere dogmaticamente o non credere per nulla. Eppure, se qualcuno nutre almeno un piccolo dubbio sulla propria conoscenza del cristianesimo, ha a disposizione non solo libri grossi e impegnativi ma – da qualche mese – anche un volumetto più agile da tenere in mano e, soprattutto, da consultare. In “Chi è Gesù di Nazareth? Nuove idee dopo il Concilio” di Elio Rindone, docente di filosofia e baccelliere in teologia, con tono dimesso, direi mansueto, rivolta come un calzino bucato la dottrina cristiana, anzi – più limitatamente – cattolica, in circolazione e restituisce una rappresentazione della persona e della vita di Cristo molto più aderente alle fonti scientificamente studiate. Nell’impossibilità di ripercorrere le tappe della sua analisi, vado subito all’essenziale, alla chiave di volta da cui dipende l’intera costruzione: chi è stato Gesù? La dogmatica cattolica, fedelmente riprodotta e divulgata dalla catechesi, risponde: una Persona divina (la seconda persona della Santissima Trinità) che, senza cessare di essere Dio, ha assunto anche la natura umana (dunque un’anima e un corpo in tutto simili ai nostri). Egli è “vero Dio e vero uomo”. 25 Ebbene, questa risposta non è risultata soddisfacente nel IV secolo quando è stata formulata dal Concilio di Nicea; non è stata accettata in questi due millenni da una serie di chiese cristiane legate al modo di esprimersi dei primi tre secoli; non convince più – neppure oggi – centinaia, anzi migliaia di teologi cristiani di ogni confessione religiosa. Per tante ragioni, la più seria delle quali è che non si tratta di una dottrina fondata sulla Scrittura (cioè sulla fonte principale della fede per qualsiasi cristiano). Quest’ultima asserzione può suscitare stupore (almeno in chi legga la Bibbia in generale, i vangeli in particolare, con occhi ingenui, del tutto privi di quell’attrezzatura esegetica con cui ormai da decenni abbiamo imparato a leggere l’Iliade o l’Eneide o la Divina Commedia): non dicono forse gli evangelisti, più volte, che Gesù è “il figlio di Dio”? Come negare che egli si è presentato come un semplice profeta, bensì come l’incarnazione unica e irripetibile del Dio eterno? Per secoli l’umanità ha creduto che Ettore e Achille siano stati personaggi storici; che Enea abbia davvero portato il padre Anchise sulle spalle; ricordo che anche mia nonna abbassava la voce quando mi confidava che, secondo lei, maestra elementare, non era vero che Dante era sceso all’inferno e ne era risalito poi sino al paradiso. Oggi non lo crediamo più e insegniamo ai nostri ragazzi, appena quattordicenni, a distinguere il significato delle parole nel mondo greco, nel mondo romano, nel mondo medievale e nel mondo contemporaneo. Così i biblisti non hanno più dubbi: oggi “figlio di Dio” significa, o può significare, “Essere trascendente della stessa natura di Dio” , ma nel I secolo dell’era cristiana significava, senza possibilità di equivoci, “Messia, Servo e Unto del Signore, Inviato”. Dunque Gesù non ha mai preteso di essere più che un uomo né i suoi discepoli lo hanno adorato come adoravano Javhé. Credere in lui non significa accettare una matematica paradossale (1+1+1=1), bensì qualcosa di più facile da capire e di più difficile da vivere: che la nostra esistenza ha senso solo se viviamo l’agape del Padre, solo se pratichiamo quotidianamente la sua donazione totale e gratuita a tutti, a cominciare dagli impoveriti della terra. Queste scoperte, che il Concilio Vaticano II (cui allude il sottotitolo del libro) ha reso un po’ meno segrete, possono suscitare reazioni assai diverse. Ci limitiamo solo alle reazioni di quanti hanno accettato di informarsi e che hanno realmente capito la posta in gioco. La prima è anche la più diffusa: e chi se ne frega? Io non ho mai creduto, già per conto mio, che Gesù fosse Dio, anzi non credo neppure che esista un Dio qualsiasi: questi dibattiti sono controversie clericali che non si scalfiscono. Una seconda reazione è, in qualche modo, di segno opposto: la mia fede non si è mai basata sullo studio delle fonti cristiane, dunque non dipende dai mutamenti di opinione fra gli esperti. Per me Gesù è un mito: un mito che dà senso alla mia vita e, spero, alla mia morte. Sono entrato in comunione con lui attraverso canali che non hanno nulla a che fare con la ragione, le scienze bibliche, storiche e letterarie: e i miei canali continueranno a funzionare comunque, a prescindere da cosa gli studiosi potranno appurare, con maggiore o minore certezza. Una terza reazione, decisamente di minoranza, è invece un insieme di sospiro di sollievo e di rimboccamento di maniche. Un sospiro di sollievo: Dio non mi chiede di credere in enigmi metafisici, in dogmi misteriosi (Tre persone della stessa natura, una Persona con due nature)… ma mi parla attraverso un uomo concreto, reale, che ha sperimentato una relazione intima col Padre comune (in questo senso è per me un modello da imitare) ma anche momenti di angosciosa solitudine e di terrore davanti alla morte (in questo senso è per me un compagno che ha percorso la stessa strada che mi attende). Gesù Cristo non è dunque il Pantocrator che mi fissa – tenero ma lontanissimo – dall’interno della cupola dello splendido Duomo di Monreale: è piuttosto un viandante di Galilea che ha 26 vissuto intensamente la fedeltà al progetto salvifico di Dio per questa terra, per questa società. Se tutto ciò mi libera dal timore di non avere mai abbastanza fede (chi è davvero convinto della dogmatica cristiana?), non per questo mi deresponsabilizza. Anzi! Mentre prima – quando credevo di credere – ritenevo che il più fosse fatto, adesso capisco che credere che Gesù è stato illuminato da Dio non è la méta, bensì l’inizio: se è mio fratello, ciò che a lui è stato possibile, è chiesto anche a me. Non ho alibi. Anch’io sono chiamato come lui a vivere ogni giorno, col desiderio e con le pratiche, l’avvento del regno di Dio: un regno di solidarietà, di convivialità, di condivisione. Rispetto a questo progetto di vita, in cui consiste la ‘vera’ fede, sono sempre indietro. E non resta che la preghiera di Kierkegaard: «Salvaci dall’errore di volerti ammirare o adorare rapiti di ammirazione invece di voler imitarti e assomigliarti» . 2349 - HANS KÜNG: IL MALATO PUÒ SCEGLIERE SULLA SUA VITA – DI L. GRANELLO da: la Repubblica di domenica 29 gennaio 2012 Udine. “Nessuno può mettere in dubbio che Hans Küng è un teologo cattolico”. Aprendo la conversazione pubblica organizzata a margine del premio tra il neo vincitore e Antonio Damasio, illustre neuroscienziato e membro della giuria, Armando Massarenti puntualizza la vocazione religiosa e lavorativa del sacerdote svizzero. A metterla in discussione, nei giorni scorsi, la Curia di Udine, indispettita per la passerella offerta a Küng ferocemente critico verso il Vaticano su temi assai sensibili, dalla contraccezione all’infallibilità del Papa. Sollecitato da Damasio e Massarenti, Küng non ha deluso le aspettative dei tanti che hanno affollato il Teatro Nuovo, ribadendo che l’etica non è una questione così complicata, «bastano due principi, ovvero trattare umanamente tutti gli essere umani e non fare agli altri ciò che non si vorrebbe fosse fatto a sé, più i quattro comandamenti alla base di tutte le tradizioni religiose: non uccidere, non mentire, non rubare, non abusare sessualmente». Mentre Damasio raccontava le sue convinzioni di neurologo, sicuro che le emozioni determinino i comportamenti e di come compassione e ammirazione siano sentimenti fondamentali nella costruzione della società e dei comportamenti razionali, Küng annuiva “non è necessario ci sia un conflitto tra religione e scienza, non si deve discutere di scienza con la Bibbia in mano... La Bibbia può dirci altro. Tutta la realtà ha un’origine. E malgrado le grandi discussioni a Cambridge sul Big Bang e le speculazioni matematiche, per sapere come e perché tutto è cominciato si deve fare un atto di fede, di fiducia. Secondo me, è una fiducia ragionevole, più che pensare che tutto viene dal nulla e finisce nel nulla». Ma Küng è andato oltre. Nella città dove è morta Eluana Englaro, le sue parole sono suonate alte e forti: «L’uomo ha la responsabilità di sé fino alla fine. Sono obbligato ad aspettare di diventare demente? Io non lo credo. Non è una posizione atea perché credo in Dio e nella vita eterna. Do la mia vita a Dio e chiedo di prendere congedo in un modo degno». Applausi scroscianti hanno accompagnato le parole di chiusura: «Autorità significa dare limiti ma anche libertà. Chi dà solo limiti, fa dell’autoritarismo. Che io rifiuto, nello Stato come nella Chiesa». 2350 - DAI RICORDI AI DATI. L’OBLIO È UN DIRITTO? - DI STEFANO RODOTÀ da: la Repubblica di lunedì 30 gennaio 2012 Dalla cancellazione alla imposizione. Ieri la damnatio memoriae, oggi l’obbligo del ricordo. Che cosa diviene la vita nel tempo in cui "Google ricorda sempre"? L’implacabile memoria collettiva di Internet, dove l’accumularsi d’ogni nostra traccia ci rende prigionieri d’un passato destinato a non passare mai, sfida la costruzione della personalità libera dal peso d’ogni 27 ricordo, impone un continuo scrutinio sociale da parte di una infinita schiera di persone che possono facilmente conoscere le informazioni sugli altri. Nasce da qui il bisogno di difese adeguate, che prende la forma della richiesta di diritti nuovi – il diritto all’oblio, il diritto di non sapere, di non essere "tracciato", di "rendere silenzioso" il chip grazie al quale si raccolgono i dati personali. La cancellazione della memoria, l’oblio forzato sono antiche tecniche sociali. A Roma, per i condannati per fatti gravissimi, v’era la damnatio memoriae, l’eliminazione d’ogni traccia che potesse mantenerne il ricordo: scomparso il nome dalle iscrizioni, distrutte le immagini e le statue. In Francia, nel 1598, dopo una stagione di guerre laceranti, l’Editto di Nantes stabilì "che la memoria di tutte le cose accadute da una parte e dall’altra, dall’inizio del mese di marzo 1585 fino al nostro avvento al trono, rimanga spenta e assopita come di cosa non avvenuta. Vietiamo a tutti i nostri sudditi, di qualunque ceto e qualità siano, di rinnovarne la memoria". Solo la liberazione dalle tossine del ricordo poteva consentire il ritorno alla normalità sociale. Un confronto con i nostri tempi mostra come queste impostazioni possano essere rovesciate. In paesi usciti da regimi dittatoriali, commissioni per la verità e la riconciliazione, sul modello creato nel 1995 dal governo sudafricano, hanno messo in evidenza l’importanza di una luce piena sul passato per una riconciliazione fondata sulla costruzione di una memoria "condivisa". Per quanto riguarda le persone, la vera damnatio è ormai rappresentata dalla conservazione, non dalla distruzione della memoria. Che cosa diventa la persona quando viene consegnata alle banche dati e alle loro interconnessioni, ai motori di ricerca che rendono immediato l’accesso a qualsiasi informazione, quando le viene negato il diritto di sottrarsi allo sguardo indesiderato, di ritirarsi in una zona d’ombra? Questa domanda è occasionata da un cambiamento tecnologico, ma illustra un mutamento antropologico. Non a caso si parla di persona "digitale", disincarnata, tutta risolta nelle informazioni che la riguardano, unica e "vera" proiezione nel mondo dell’essere di ciascuno. Non un "doppio" virtuale, dunque, che si affianca e accompagna la persona reale, ma la rappresentazione istantanea di un intero percorso di vita, un’espansione senza limiti della memoria sociale che condiziona la memoria individuale. Il mutamento di qualità della memoria sociale nasce dapprima con la creazione di banche dati sempre più gigantesche, che rendono possibile la raccolta di tutte le informazioni disponibili, i loro collegamenti, la loro massiccia diffusione. Ma il vero cambiamento si ha quando Internet fa sì che quelle informazioni siano accessibili a tutti attraverso motori di ricerca che le "indicizzano", le organizzano e le rendono suscettibili non solo di più diffusa conoscenza, ma di rielaborazioni continue. Si crea così un contesto che neutralizza le modalità che storicamente avevano consentito il sottrarsi ad una sorta di dittatura implacabile della memoria sociale. Limitate, fino a ieri, le possibilità di raccolta delle informazioni; ardua o impossibile una loro conservazione totale; lontani o difficilmente accessibili gli archivi; ristrette le opportunità di una diffusione su larga scala. In alcuni casi, come quello americano, vi era poi il contrappeso della "frontiera", dimensione non soltanto fisica come ci ha ricordato Frederick Turner, ma luogo d’ogni opportunità e di rinascita della persona libera dal passato. E poi la possibilità di scomparire, cambiando nome, immergendosi nella "folla solitaria" delle metropoli. Tutto questo è oggi cancellato dalla "tracciabilità" consentita dalle raccolte di massa delle informazioni, dal fatto che la folla non è più solitaria, ma "nuda", restituita ad una realtà nella quale ogni individuo è scrutato, schedato, ricondotto ad una misura che lo rende riconoscibile e riconosciuto. Sembra scomparire l’antica alternativa intorno alla quale tanti si sono affaticati. 28 La memoria come accumulo di esperienza e saggezza o peso insostenibile del quale liberarsi? L’oblio come condanna o come risorsa? Se pure vi fosse un fiume Lete dove abbeverarsi, per cancellare ogni ricordo, Internet rimarrebbe lì, implacabile, con la "sua" memoria che si imporrebbe alla nostra. Qui è la ragione di una discussione sul "diritto all’oblio" che si diffonde in ogni luogo, tema divenuto cavallo di battaglia della commissaria europea Viviane Reding e che ha trovato riconoscimento nelle nuove norme europee sulla privacy. Liberarsi dall’oppressione dei ricordi, da un passato che continua ad ipotecare pesantemente il presente, diviene un traguardo di libertà. Il diritto all’oblio si presenta come diritto a governare la propria memoria, per restituire a ciascuno la possibilità di reinventarsi, di costruire personalità e identità affrancandosi dalla tirannia di gabbie nelle quali una memoria onnipresente e totale vuole rinchiudere tutti. Il passato non può essere trasformato in una condanna che esclude ogni riscatto. Non a caso, già prima della rivoluzione tecnologica, era prevista la scomparsa da archivi pubblici di determinate informazioni trascorso un certo numero di anni. La successiva "vita buona" era considerata ragione sufficiente per vietare la circolazione di informazioni relative a cattivi comportamenti del passato. Soprattutto negli Stati Uniti le leggi prevedevano minuziose casistiche riguardanti le attività economiche, tanto che dopo quattordici anni non si poteva dare notizia neppure d’una bancarotta. Ombra protettrice di Max Weber, con l’etica protestante a dare una mano a chi, benedetto dal successivo successo negli affari, doveva considerarsi assolto da ogni precedente peccato? Nelle regole di oggi, rinvenibili nei paesi più diversi, si va dal diritto della persona di chiedere la cancellazione di determinate informazioni al potere di impedirne la stessa raccolta; al divieto di conservare i dati personali oltre un tempo determinato e di trasmetterli a specifiche categorie di persone (i datori di lavoro, ad esempio). E si prospettano ipotesi radicali: la cancellazione della gran parte delle informazioni dopo dieci anni, una tabula rasa che consentirebbe a ciascuno di ripartire liberamente da zero e riscatterebbe la persona dalla servitù d’essere considerata come semplice produttore d’informazioni. Ma il punto chiave sta nel rapporto tra memoria individuale e memoria sociale. Può il diritto della persona di chiedere la cancellazione di alcuni dati trasformarsi in un diritto all’autorappresentazione, alla riscrittura stessa della storia, con l’eliminazione di tutto quel che contrasta con l’immagine che la persona vuol dare di sé? Così il diritto all’oblio può pericolosamente inclinare verso la falsificazione della realtà e divenire strumento per limitare il diritto all’informazione, la libera ricerca storica, la necessaria trasparenza che deve accompagnare in primo luogo l’attività politica. Il diritto all’oblio contro verità e democrazia? O come inaccettabile tentativo di restaurare una privacy scomparsa come norma sociale, secondo l’interessata versione dei nuovi padroni del mondo che vogliono usare senza limiti tutti i dati raccolti? Internet deve imparare a dimenticare, si è detto, anche per sfuggire al destino del Funes di Borges, condannato a tutto ricordare. La via di una memoria sociale selettiva, legata al rispetto dei fondamentali diritti della persona, può indirizzarci verso l’equilibrio necessario nel tempo della grande trasformazione tecnologica. 2351 - CANADA: IL 67% DEI CANADESI FAVOREVOLI AL SUICIDIO ASSISTITO da: National Post - Tom Blackwell reporting – del 29 dicembre 2011 Toronto. Un recente sondaggio di Forum Research rende noto che più di due terzi dei canadesi sono favorevoli alla legalizzazione del suicidio assistito da parte dei medici. Il sondaggio ha provocato, ancora una volta, un acceso dibattito in tutto il paese. I sostenitori di 29 entrambi gli schieramenti riconoscono peraltro che i risultati del sondaggio non sono una sorpresa, e ritengono che non spetti all'opinione pubblica forzare se cambiare la legge attuale, ora sotto esame della Corte Federale per un caso molto contestato. I sostenitori della legalizzazione del suicidio assistito ritengono che la legge vada cambiata per il rispetto dei diritti umani che trascende gli atteggiamenti popolari; gli avversari appoggiano il cambiamento della legge in vigore affinché siano migliorate le cure alla fine della vita per rendere la morte più confortevole. Il sondaggio, condotto il 13 dicembre, ha riguardato 1.160 adulti. Le percentuali favorevoli al suicidio assistito variano dal 60% nelle province Prairie all'81% in Quebec. 2352 - CONSIGLIO D’EUROPA: SI’ AL TESTAMENTO BIOLOGICO Strasburgo, 26 Gennaio 2012 – Sì al testamento biologico, ma un fermo no all'eutanasia e al suicidio assistito. Questo il concetto chiave contenuto nella risoluzione votata dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa in cui si chiede ai governi dei 47 Stati membri di emanare leggi che permettano ai loro cittadini di esprimere la propria volontà sui trattamenti e le cure che desiderano ricevere in caso che nel momento in cui i medici debbano prendere una decisione non siano più in grado di indicare cosa desiderano. Nel documento arrivato in aula mancava qualsiasi riferimento all'eutanasia o al suicidio assistito, ma un certo numero di parlamentari, tra cui gli italiani Luca Volontè (Udc) e Renato Farina (Pdl) hanno insistito per avere una sorta di clausola che specificasse che la risoluzione non trattava queste due questioni e che ''l'eutanasia, intesa come l'uccisione volontaria o per omissione di un essere umano dipendente per il suo supposto beneficio dovrebbe essere sempre proibita''. Nella risoluzione viene anche chiesto agli Stati che non lo hanno ancora fatto, come l'Italia, di ratificare e attuare in ogni sua parte la Convenzione sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina, conosciuta anche come Convenzione di Oviedo. L'Assemblea stila una lista di principi e di misure concrete che gli Stati devono seguire nel regolamentare il testamento biologico, come quella di evitare moduli complicati o oneri troppo alti in modo da assicurare che tutti possano accedere al testamento biologico. Commento Nonostante il riferimento in negativo ad eutanasia e suicidio assistito, dobbiamo leggere in positivo questa Risoluzione rivolta ai 47 Paesi membri dell'Unione affinché sia attuata in ogni sua parte la Convenzione di Oviedo (1997). Vi si invitano i singoli Governi a normare il Testamento Biologico rispettando una lista di principi minimi comuni. Maria Laura Cattinari Commento La notizia è senz'altro positiva ed è la conferma della giustezza della battaglia che LiberaUscita sta conducendo in Italia da ormai dieci anni. Adesso il problema italiano sarà passare dal dire al fare. Non credo che il Governo "tecnico" attuale si caricherà di questo spinoso adempimento - anche se il Vaticano si sarebbe "dichiarato soddisfatto" della presa di posizione del Consiglio d'Europa - per cui dovremo attendere le prossime elezioni politiche e sperare che "il vento cambi" veramente. Aggiungo che la clausola inserita da Luca Volontè e Renato Farina può essere condivisa, purché si continui precisando che "L'eutanasia, intesa come assistenza al suicidio di una persona che chiede e vuole porre fine alla sua vita per non prolungare le sue sofferenze, dovrebbe essere sempre consentita". Il termine "eutanasia" significa infatti, in italiano ma anche in tutte le lingue, "buona morte". E la "buona morte" non esiste quando la persona interessata non la vuole ed anzi si oppone. Usare il termine "eutanasia" per giustificare 30 uccisioni di massa, come accaduto ad Auschwitz, o omicidi singoli, come fanno Volontè e Farina, è un modo indegno e falso di travisare la realtà a scopi interessati. Giampietro Sestini Citazione “L’uomo ha la responsabilità di sé fino alla fine. Sono obbligato ad aspettare di diventare demente? Io non lo credo. Non è una posizione atea perché credo in Dio e nella vita eterna. Dò la mia vita a Dio e chiedo di prendere congedo in un modo degno”. Hans Küng – Udine, 28 gennaio 2012 (la Repubblica - 29.1.2012 – vedi sopra) 2353 - ANCHE A NAPOLI IL REGISTRO DEI TESTAMENTI BIOLOGICI Cari amici di Liberauscita, vi informo che In data venerdì 13 gennaio il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, in una conferenza stampa ha annunciato la prossima presentazione in Consiglio comunale di una proposta della Giunta per istituire il registro dei testamenti biologici. (vedi: http://www.youtube.com/watch?v=vEA60bNWC68&feature=share). All'elaborazione del documento di sintesi approvato dalla Giunta ha preso parte la sezione campana della Consulta di Bioetica, che ha riferito tra l'altro ".... il documento risulta per molti versi fortemente innovativo... avendo valutato le esperienze già condotte in altre città, il documento ha inteso superare i limiti e le difficoltà di queste stesse esperienze, proiettando Napoli in una posizione avanguardistica e pioneristica nel campo della bioetica italiana". Tutto ora è quindi nelle mani del Consiglio Comunale: se adotterà una decisione conforme, consentirà che Napoli si affianchi alle altre città italiane con vocazione di "città laiche". Un articolo del Corriere del Mezzogiorno di ieri 15 gennaio (inserto giornaliero cittadino del Corriere della Sera) nel commentare tale delibera riferisce che "...manca però ancora allo stato una normativa di riferimento precisa ..." e che "...l'argomento rischia di generare nuove frizioni, stavolta non tra maggioranza e opposizione politica bensì in seno a tutti gli schieramenti, dividendo cattolici da laici". Ed infatti beghe sono già sorte, ad esempio, in seno alla stessa Italia dei Valori, con la contrapposizione - con varie motivazioni - tra il giudizio di approvazione espresso dal vice presidente del consiglio comunale e la bocciatura di un altro consigliere. L'amministrazione comunale - riferisce il giornalista - "sa bene di essere intervenuta su una materia che va disciplinata da una normativa nazionale". Non poteva non esprimersi in maniera negativa il sen. del Pdl Calabrò, noto relatore del progetto di legge sul testamento biologico, del quale il giornalista riporta le seguenti affermazioni "...l'iter della legge in parlamento è in via di definizione e la normativa sarà varata entro la prossima estate....anticipare un registro comunale senza agganci normativi nazionali significa soltanto promuovere un'iniziativa ideologica che può fuorviare l'orientamento dei cittadini e rovesciare rischi di responsabilità medico-legale sugli operatori sanitari ..,..". Si contrappone la dichiarazione del sindaco De Magistris secondo cui " l'istituzione del registro non interferisce con le competenze dello Stato" : nella delibera poi la Giunta - riferisce sempre il giornalista - ha indicato che "..la legittimità dell'azione comunale trova fondamento nelle funzioni amministrative del Comune che riguardano la popolazione e il territorio, precipuamente nei settori dei servizi alla persona e alla comunità". Vi terrò informati sugli sviluppi. Francesco Porcellati responsabile di Libera Uscita per la Campania 31 Commento. Nel merito delle notizie inviateci dal ns. responsabile per la Campania non possiamo non aggiungere un commento: - non è esatto affermare, come fa il Corriere del Mezzogiorno, che l'argomento rischia di dividere "cattolici da laici". Moltissimi cattolici sono anche laici e, quindi, moltissimi laici sono anche cattolici. Se si vuole pubblicare informazioni veritiere, come "sarebbe" dovere dei giornalisti, occorre scrivere che "l'argomento rischia di dividere i cattolici fondamentalisti dai laici, cattolici e non cattolici"; - non è esatto scrivere, come fa il giornalista, che "l'amministrazione comunale sa bene di essere intervenuta su una materia che va disciplinata da una normativa nazionale". L'autenticazione delle firme dei cittadini rientra nelle competenze ordinarie dei Comuni e la raccolta delle dichiarazioni anticipate di volontà non ha contenuti legislativi ma semplicemente di ordinaria amministrazione. La verità è che si vuole impedire al cittadino, ricorrendo anche alle falsità, di manifestare pubblicamente il suo diritto di non essere "obbligato a un determinato trattamento sanitario". In proposito va ricordato che chi si oppone a tale diritto "viola i limiti imposti dal rispetto della persona umana" (art. 32 della Costituzione Italiana); - il sen. Calabrò mente (sapendo di mentire?) quando afferma che il registro non deve essere approvato perché la legge "sarà approvata entro la prossima estate". In altre parole, sarebbe come dire "non comprate i Titoli di Stato perché l'Italia a breve fallirà"; - Altrettanto falso è affermare che il registro può "rovesciare rischi di responsabilità medicolegale sugli operatori sanitari" Tutte le associazioni medico-sanitarie si sono dichiarate a favore del testamento biologico in quanto consente di conoscere la volontà scritta e autenticata dei pazienti senza incorrere quindi in possibili infrazioni al dettato della Costituzione e allo stesso codice deontologico medico.(Giampietro Sestini). 2354 - A VICENZA VIETATO ANCHE IL SEMPLICE DEPOSITO DELLE DAT Dopo il voto negativo del Consiglio comunale nel giugno 2010 sulla istituzione del "registro" dei testamenti biologici richiesto da una petizione popolare, in data 6 dicembre 2011 Rosalba Trivellin, dell’associazione Luca Coscioni di Vicenza, ha presentato al Comune di Vicenza una richiesta di oltre 620 cittadini vicentini con firme autenticate di poter "depositare" le loro dichiarazioni anticipate di volontà . Nel riportare qui sotto la risposta del delegato del Comune e il successivo commento indignato inviatogli con lettera aperta dell’11 gennaio da Tommaso Chirco, dell’associazione Coscioni, si ringrazia “Italia Laica” per averci girato la notizia. La risposta del direttore delegato per i servizi demografici ed elettorali, Ruggiero Di Pace: “Gentile Signora Rosalba Trivellin Associazione Coscioni - Vicenza Relativamente alla Sua nota del 6 dicembre 2011 con la quale sono stati consegnati n. 6 moduli relativi alla petizione al Sindaco come sollecito per apertura registro in oggetto, si precisa quanto segue. Va considerato che in Italia non esistono norme di legge che obblighino a seguire il testamento biologico a differenza di altri paesi. L’art. 32 della Costituzione prevede che nessuno può essere obbligato a ricevere trattamenti sanitari se non per disposizione di legge: la norma continua stabilendo che la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Dal dettato costituzionale si evince che la materia del trattamento sanitario che un singolo cittadino deve ricevere è prevista dalla disciplina legislativa nazionale. Il fatto che non sia stata ancora emanata una legge nella specifica materia, non autorizza singole amministrazioni ad adottare norme che vadano autonomamente a colmare il vuoto normativo esistente. 32 Infine si evidenzia che nell’attuale legislazione non sono rinvenibili norme che attribuiscano direttamente o indirettamente competenze in materia all’Ente Locale, ancorché l’art. 117 della Costituzione stabilisce che è riservato allo Stato il potere di legiferare in materia di ordinamento civile, come peraltro ha ribadito il Ministero dell'Interno a diversi Uffici Territoriali del Governo.” La lettera aperta di Tommaso Chirco dell’associazione Luca Coscioni di Vicenza “Sig. Direttore Di Pace, sono un iscritto all’Associazione Coscioni di Vicenza, ma scrivo a titolo personale. Non so se ritenermi più depresso o più indignato. Con la lettera aperta dell’Associazione Coscioni, - non si chiedeva di “adottare norme”, ma sostanzialmente di prendere atto che dei cittadini depositano le proprie disposizioni anticipate di trattamento (testamento biologico); - non si chiedeva di farlo “autonomamente” perché in Italia già in più di 80 Comuni l’han fatto; - non si chiedeva di “colmare il vuoto normativo esistente”, si chiedeva di soddisfare la richiesta, con firme autenticate di più di 620 cittadini vicentini, che si prendesse atto delle proprie dichiarazioni anticipate di trattamento (testamento biologico). Ma ancora, sig. Ruggiero di Pace, a Vicenza, grazie all’Associazione Coscioni e alla Chiesa Cristiana Metodista Valdese, sono stati già depositati circa 50 testamenti biologici, e da parte del Comune di Vicenza c’è solo il silenzio, non una constatazione, non un ringraziamento o una “condanna”, nulla. Il silenzio equivale ad ignorare, ed ignorare equivale a “far fuori”, ma è la filosofia dello struzzo. Peraltro il Comune tace anche sui testamenti biologici depositati c/o l’Ufficio protocollo a Palazzo Trissino il 30-3-2011. - non si chiedeva di “legiferare” al posto dello Stato, si chiedeva di non discriminare i cittadini vicentini rendendoli impotenti a fare ciò che fanno altri cittadini, lor pari, in altri Comuni italiani: poter depositare da qualche parte riconosciuta e laica, le proprie disposizioni anticipate di trattamento. Lei, sig. Di Pace, cita l’art. 32. Lo conosciamo; e voi Guide Civiche sapete bene che ognuno si organizza come sa e come può, o come Indro Montanelli, o come Mario Monicelli, o come Lucio Magri, o come Corrado Augias, o contrattando con i terapeuti di volta in volta ciò che si accetta e cosa no. Le dichiarazioni anticipate di trattamento (testamento biologico) servono a chi ha la sfortuna di non poter fare nessuna delle predette cose ed è in balìa degli impiccioni di turno, nel ruolo di medici o preti o pseudobenpensanti o sedicenti opinion leader, violentatori di libertà altrui. Resta il fatto che, in tema di diritti civili rispetto alla propria vita, io non accetto che oltre a vergognarmi di essere italiano rispetto ad altri Paesi europei come l’Olanda, la Svizzera, il Belgio ecc., debba anche vergognarmi di essere residente a Vicenza e non in uno degli 80 e più Comuni italiani dove vengono riconosciuti certi diritti basilari. Al cittadino non interessa che le proprie Guide Civiche abbiano la libertà di coscienza di scegliere secondo convinzioni personali; al cittadino interessa che le proprie Guide Civiche lo mettano in condizione di poter decidere secondo la propria coscienza, e quindi secondo la coscienza individuale, non secondo quella del proprio rappresentante civico. E, facendo appello a tutti i lettori di questa lettera aperta, affinché segnalino alle nostre Guide Civiche le proprie idee, saluto distintamente”. 2355 - MODENA: LA SEZIONE DI LIBERA USCITA HA FATTO IL BILANCIO DEL 2011 da: www.modenaqui.it di domenica 22 gennaio 2012 33 Una giornata di bilanci e proposte per l’anno appena cominciato, tra la voglia di raccogliere ciò che si è seminato negli anni e la determinazione ad informare il cittadino sul valore del testamento biologico. Si può riassumere così l’Assemblea annuale della sezione modenese di Libera Uscita che si è tenuta ieri presso la sala Ancescao in via Ciro Menotti. Uno dopo l’altro si sono alternate le figure di riferimento dell’Associazione che hanno ripercorso il cammino degli ultimi 12 mesi. Un cammino che concentra le sue forze (e le iniziative) soprattutto nel sensibilizzare l’opinione pubblica sul registro per il testamento biologico depositato in 12 Comuni della provincia modenese. Nell’incontro di ieri sono così intervenuti Giovanni Boschesi del Direttivo locale e nazionale, Anna Maria Minniti che ha fatto un quadro del bilancio 2011 e, infine, la presidente nazionale di Libera Uscita, Maria Laura Cattinari. Il diritto di morire con dignità: un leit motiv ricordato anche ieri dalla guida dell’Associazione, promotrice anche del primo comitato italiano (nato a Modena nel 2009) che promuove iniziative sul testamento biologico e la libertà di cura, Articolo 32. «Anche quest’anno - ha raccontato la presidente Cattinari - ci siamo impegnati a sostenere momenti di carattere nazionale ed internazionale. Tra questi ci tengo a ricordare la giornata dedicata al testamento biologico che si è tenuta a Udine lo scorso novembre di cui eravamo tra gli sponsor. Poi sono stata delegata alla conferenza di Mondorf les Bains (Lussemburgo) dove si è tenuta la Conferenza biennale della RtDE, Federazione Europea delle associazioni per il diritto di morire con dignità». Ma per la sezione modenese di Libera Uscita gran parte delle iniziative del 2011 si sono concentrate sul vero cavallo di battaglia, ovvero il registro del testamento biologico. «Ne abbiamo spiegato il funzionamento ai tanti cittadini che non sapevano cosa fosse e come funzionasse. Ad oggi sono 170 i testamenti depositati in Comune e la nostra provincia è quella che in Italia vanta più registri istituiti», ha sottolineato con soddisfazione la presidente nazionale. E per il 2012 le iniziative allo studio sono tante. Alcune già fissate nel primo semestre. «Concentreremo il nostro impegno soprattutto su Carpi dove lavoreremo per ottenere il registro. Nei prossimi mesi incontreremo anche i ragazzi del Liceo Carlo Sigonio per parlare delle problematiche di fine vita e non mancheranno - aggiunge la Cattinari - una serie di tavoli in centro storico per informare e sensibilizzare i cittadini sull’esistenza del registro e su come usarlo nel momento del bisogno». Potrebbe, poi, essere annoverato tra le prossime conquiste dell’Associazione l’istituzione del registro a Castelvetro anche se, come conferma la Cattinari, si tratta del culmine di un lavoro già impostato nell’anno passato: «Abbiamo la parola del sindaco che a breve verrà discussa la petizione popolare in Consiglio». E per Libera Uscita il primo semestre si concluderà con un appuntamento internazionale: la partecipazione al meeting di Zurigo della World Federation of Right to Die. Altro momento importante dell’Assemblea di ieri è stato il rinnovo degli organi direttivi dove Maria Laura Cattinari è stata confermata nel ruolo di presidente modenese. Unica novità la nomina di un vicepresidente andata a Giovanni Boschesi. 34 2356 - LE VIGNETTE DI STAINO - IL PAPA E’ ARRABBIATO… 2357 - LE VIGNETTE DI MARAMOTTI – GRAZIE ALLO SCIOPERO DEI BENZINAI… 2358 LE VIGNETTE DI ALTAN – SI PUÒ TENERE IN OSTAGGIO UN PAESE? 35