il punto - Centro Studi Calamandrei

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il punto - Centro Studi Calamandrei
IL PUNTO
Le notizie di LiberaUscita
Gennaio 2012 - n° 91
SOMMARIO
ARTICOLI, INTERVISTE, COMUNICATI STAMPA
2332 - Se il sentimento religioso diventa flessibile - di Corrado Augias
2333 - La laicità nel Risorgimento italiano – di Graziella Sturaro
2334 - Per una mediazione laica? di Marco Comandé
2335 - La cultura ci influenza? di Marco Comandé
2336 - Il valore dei beni comuni - di Stefano Rodotà
2337 - Il cimitero delle intenzioni - di Paolo Izzo
2338 - Firenze: ripristino ICI su immobili commerciali Chiesa?
2339 - Perché far pagare le tasse è una rivoluzione culturale - di Stefano Rodotà
2340 - Il patto scellerato - di Roberto Saviano
2341 - L’utopia frugale per una società solidale - di Marino Niola
2342 - Brescia: questo è il tempo della responsabilità - di Massimo Tedeschi
2343 - Un nuovo umanesimo, per salvare il mondo - di Dario Lodi
2344 - Il manifesto del vescovo di Brescia - di Massimo Tedeschi
2345 - Testamento biologico una scelta di libertà - di Fulvio Tessitore
2346 - Rushdie o Castellucci è fatwa - di Federico Orlando
2347 - Cattolicesimo politico: un falso ideologico - di Marcello Vigli
2348 - Gesù, un uomo - di Augusto Cavadi
2349 - Hans Küng: il malato può scegliere sulla sua vita – di Licia Granello
2350 - Dai ricordi ai dati. l’oblio è un diritto? - di Stefano Rodotà
NOTIZIE DALL’ESTERO
2351 - Canada: il 67% dei canadesi favorevoli al suicidio assistito
2352 - Consiglio d’Europa: sì al testamento biologico
DAL TERRITORIO
2353 - Anche a Napoli il registro dei testamenti biologici
2354 - A Vicenza vietato anche il semplice deposito delle dat
2355 - Modena: la sezione di LiberaUscita ha fatto il bilancio del 2011
PER SORRIDERE…
2356 - Le vignette di Staino - il papa è arrabbiato…
2357 - Le vignette di Maramotti – grazie allo sciopero dei benzinai…
2358 - Le vignette di Altan – si può tenere in ostaggio un paese?
LiberaUscita – associazione nazionale laica e apartitica per il diritto di morire con dignità
Tel: 366.4539907 – Fax: 06.5127174 – email: [email protected] – web: www.liberauscita.
2332 - SE IL SENTIMENTO RELIGIOSO DIVENTA FLESSIBILE - DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di sabato 21 gennaio 2012
Caro Augias, in quanto spettatore adulto-cittadino milanese e, forse a qualcuno parrà strano,
proprio perché cristiano, interessato a questa ‘lettura’ alternativa di disvelamento del volto di
Gesù desidero avere la possibilità di assistere - serenamente - alla rappresentazione del
dramma di Castellucci: ‘Sul concetto di volto nel figlio di Dio’. Vorrei poter scegliere da me.
Vìttorio Bergnach
Dopo le insurrezioni per le “offese al Profeta” (vignette su un giornale danese) e le risse per i
posti a sedere vietati alle donne su qualche autobus israeliano, non potevano mancare i diktat
cristiani contro le pièces ritenute blasfeme. Se loro impongono il crocefisso a me (è una
metafora sia chiaro) non pensano di avere dato scandalo, ma se io voglio togliere quel
simbolo dai luoghi pubblici, l’intollerante sono io e loro le vittime della mia violenza. Che si
vuole:? Il divieto alle rappresentazioni sgradite? se perché non l’Indice dei libri proibiti.
Fabio Della Pergola
Risponde Corrado Augias
Era prevedibile che gli interventi delle gerarchie cattoliche in Italia sarebbero stati differenti da
quelli in Francia, prima ad Avignone poi a Parigi.
Il primo intervento di Romeo Castellucci ad Avignone fu nella veste di ‘Artista associato’ con
un progetto legato alla Divina Commedia. Vincent Baudriller, direttore artistico, spiegò quella
distinzione (la prima per un italiano) dicendo: «Castellucci è uno dei più grandi innovatori
della scena contemporanea, in grado di portare avanti una ricerca artistica che, oggi, non ha
uguali tra gli altri artisti».
Nel luglio 2011 è andato in scena ‘Il Volto di Dio’ e ad Avignone non ci sono stati incidenti; a
Parigi invece (ottobre) ci sono state manifestazioni di protesta sulla piazza dello Chàtelet,
contenute dalla polizia a parte la prima sera quando gli integralisti agirono di sorpresa dopo
essere entrati alla spicciolata con regolare biglietto e le tasche piene di oggetti da lanciare in
scena. Dall’arcivescovado si levò una protesta che a me parve più che altro per dovere
d’ufficio. Questi, sommariamente, i precedenti.
Dal frammento di spettacolo che ho visto ho ricavato l’impressione che Castellucci voglia
rappresentare in modo atroce la miseria dell’umana condizione. Il vecchio che perde le feci
disseminando la scena di escrementi è l’immagine estrema della miseranda condizione
umana dalla quale scaturiscono la rivolta e le domande alla divinità lì rappresentata dal volto
mirabile dipinto da Antonello.
Come ricordava il prof Prosperi ieri, le autorità cattoliche modulano in maniera flessibile le
loro reazioni adattandosi, secondo opportunità, alle circostanze di luogo e di tempo.
2333 - LA LAICITA’ NEL RISORGIMENTO ITALIANO – DI GRAZIELLA STURARO (*)
Siamo all’inizio dell’anno e tirando le somme sul 2011, al di là degli eventi politici interni ed
internazionali che hanno caratterizzato un periodo molto significativo da diversi punti di vista,
direi che non si potrà sicuramente dimenticare il 150° anniversario dell’Unità d’Italia con le
sue diverse e numerose manifestazioni ed iniziative.
Tra le varie ed interessanti pubblicazioni relative all’argomento, segnalo il numero 4-5 dei
“Quaderni Laici”, rivista quadrimestrale, pubblicata dal Centro di Documentazione, Ricerca e
Studi sulla Cultura Laica “Piero Calamandrei” edita da Claudiana dal titolo “La laicità nel
Risorgimento italiano”.
Un percorso sulle diverse tappe del pensiero laico e liberale dal concetto di separazione fra
Stato e chiesa alle teorie dei padri fondatori della patria come Camillo Benso conte di Cavour,
Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi e Goffredo Mameli.
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Innovativo, dal punto di vista dell’analisi storica, è il contributo di Cristina Vernizzi
dell’Associazione mazziniana italiana che colloca l’origine del tema relativo alla laicità nel
pensiero dei maggiori protagonisti del Risorgimento all’ultimo decennio del Settecento e, in
particolare, alla “Costituzione civile del clero” risalente al 1790 a regolamentazione della vita
religiosa in Francia che comportò non pochi cambiamenti nell’ambito sociale in quanto il
cattolicesimo non fu più considerato religione di Stato mentre il clero, privato delle sue
proprietà e privilegi, si trasformò in un corpo di funzionari stipendiati, con la nascita di un
movimento anticlericale, altrettanto integralista, che portò a massacri e ad una sistematica
scristianizzazione della vita sociale.
Con Napoleone i rapporti tra la Chiesa cattolico-romana ed il clero costituzionale non
migliorarono mentre l’Italia si preparava ad un’ondata di forte neoguelfismo che vedeva il
sommo pontefice guida ideale di una federazione di Stati.
Episodio significativo, sebbene breve parentesi, fu quello della Repubblica Romana e, con il
Triumvirato composto da Mazzini, Armellini e Saffi, l’elaborazione di una Costituzione molto
democratica rispetto ai tempi, grazie alla quale venne abolito il potere temporale dei pontefici
e garantita la libertà di culto a tutte le confessioni religiose.
Nel 1850 diventarono esecutive le Leggi Siccardi volte a limitare i privilegi della chiesa con la
soppressione del foro ecclesiastico, delle immunità locali, del diritto all’asilo e di alcune feste
religiose.
Quando si giunse al 1861 con la proclamazione del “Regno d’Italia” e di “Roma Capitale”, vi
fu un animato dibattito sulla questione del potere temporale della chiesa in quanto Cavour,
con la sua nota abilità diplomatica e strategia politica, aveva avviato delle trattative segrete
con la Curia romana per stilare un Concordato con il papa, il quale avrebbe dovuto rinunciare
al potere temporale mantenendo tutte le prerogative sovrane e gli uffici centrali mentre lo
Stato italiano avrebbe rinunciato a tutti i suoi strumenti di potere in materia religiosa. Tali
trattative, di fatto, si interruppero a causa di alcune manovre da parte del papa che in realtà
celavano l’ostilità verso l’idea di estendere la legislazione piemontese a tutto il territorio
italiano.
Infatti, tra il 1866 e il 1867 i rapporti tra clero e liberali terminarono e Cavour, uno dei massimi
esponenti del pensiero liberale che, essendo stato a contatto con gli ambienti protestanti
ginevrini di cui era originaria la madre Adele di Sellon, aveva appreso l’importanza della
libertà religiosa, facendo suo il celebre messaggio “Libera chiesa in libero Stato” che provocò
scontri a non finire con i clericali ed i conservatori.
Sergio Lariccia, esperto di Diritto ecclesiastico, sottolinea l’importanza dell’art. 2 della
Dichiarazione dei diritti del 26 agosto 1789 che riporta le seguenti parole “Le but de toute
association politique est la conservation des droits naturels et imprescriptibles de l’Homme.
Ces droits sont la liberté, la propriété, la sureté et la résistence à l’oppression”.
Anche l’art. 26 dello Statuto albertino del 1848 prevede che “La libertà individuale è
garantita”.
La carta di Re Carlo Alberto Amedeo di Savoia detto “Il Magnanimo” sancisce l’affermazione
dei diritti individuali che si esprime anche in varie forme di diffidenza nei confronti di diversi
gruppi collettivi operanti nella società.
Lo studioso di Storia del Risorgimento Adriano Viarengo focalizza la figura di Cavour
soprattutto per quanto riguarda la sua concreta azione politica all’interno del momento
storico-sociale in cui visse in quanto si trovò ad agire dopo la proclamazione dello Statuto
che, non solo si ispirava all’esperienza francese, ma anche alla Costituzione belga del 1831
nella quale si affermava che la stampa e l’insegnamento sono liberi così come si garantiva la
libertà individuale.
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Tra la fine del 1847 e l’inizio del 1848 la Compagnia di Gesù veniva allontanata dallo Stato
sabaudo, segno che la società andava verso una profonda trasformazione ed emerse la
questione dell’istruzione e della detenzione del potere culturale mentre, intorno al
provvedimento sui conventi, si scatenò un conflitto che non coinvolse solamente le gerarchie
ecclesiastiche ma anche il sovrano poiché si prevedeva la soppressione di tutte le
corporazioni religiose non specialmente dedite all’assistenza, all’istruzione o alla predicazione
mentre i beni sarebbero passati allo Stato e i redditi confluiti in una cassa ecclesiastica.
Per quanto riguarda la figura di Giuseppe Garibaldi, ne fa un inedito ritratto Gian Biagio
Furiozzi, docente di Storia contemporanea, ponendo in risalto come la laicità in questo
controverso personaggio storico non si riduca esclusivamente in un anticlericalismo “volgare
e grossolano” ma investe una serie di aspetti come i rapporti tra Stato e chiesa, il ruolo della
religione in uno Stato moderno, la divisione dei poteri, l’autonomia della sfera pubblica e
l’abolizione dei privilegi.
In effetti Garibaldi non fu un ateo. In quanto appartenente alla massoneria, credeva
nell’immortalità dell’anima e non dimostrò mai contrarietà nei confronti della religiosità
popolare. Le motivazioni della sua ostilità verso il clero furono strettamente politiche: dalla
Chiesa cattolica vista come ostacolo per l’unità dell’Italia, anche se tra le sue fila vi erano
esponenti del basso clero come il “Battaglione ecclesiastico” formato da siciliani francescani,
all’idea della chiesa come portatrice di ignoranza e superstizione mentre considerava i “preti”
dei “stimolatori di guerra”, alleati dei tiranni, fomentatori del brigantaggio, ostacolo per il
progresso umano e sempre presenti ai tavoli di spartizione dei territori con la loro
determinante influenza. Di conseguenza, l’anticlericalismo garibaldino, più che un tratto
pittoresco del suo carattere, lo si può definire come espressione di disagio e indignazione
verso le questioni civili e sociali, premessa di una visione più laica e moderna dello Stato.
Arturo Colombo, professore emerito di Storia delle dottrine politiche, apporta il suo contributo
alla figura di Giuseppe Mazzini e al suo pensiero. Sue le parole “La religione e la politica sono
inseparabili”. Anche se non sussiste l’esigenza di qualsiasi apparato chiesastico con i propri
dogmi e gerarchie, per Mazzini, secondo la recente tesi di Denis Mack Smith, fede religiosa e
convinzioni politiche risultano complementari respingendo da una parte il papato e dall’altra
l’ateismo ed il materialismo. In conclusione lo possiamo definire un anticattolico ma non un
anticristiano.
Sulla laicità di Carlo Cattaneo ne presenta uno studio Carlo G. Lacaita, ordinario di Storia
contemporanea, rintracciando l’origine delle sue teorie nel pensiero di Giambattista Vico e
nella cultura illuminista. Lo studioso analizza il periodo dello scontro fra Cattaneo e Rosmini, il
suo impegno volto al rinnovamento dell’insegnamento e soprattutto delle facoltà teologiche
con la consapevolezza che compito della cultura più moderna sarebbe stato quello di
promuovere un orientamento laico dal momento che considerava l’autorità ecclesiastica
nemica della scienza e della medicina. E qui, l’attualità del suo discorso. Anche per quanto
riguarda il carico fiscale e il patrimonio ecclesiastico esistente in Italia, Cattaneo fece
distinzione tra le prebende milionarie dei prelati e gli esigui introiti dei preti di campagna
raccomandandosi di fare una distinzione anche tra il vangelo e la dottrina, tra le posizioni
della gerarchia e quelle del clero minore.
Con Silvia Caviccchioli, docente di Storia contemporanea, è possibile inoltrarsi nelle varie
vicende descritte anche a livello cronachistico che portarono all’emancipazione degli ebrei e
dei valdesi durante l’epoca risorgimentale e alle iniziative a loro favore, intraprese dal
marchese d’Azeglio, per giungere alla concessione delle Regie lettere patenti e dei Regi
decreti da parte di Re Carlo Alberto il quale comprese l’importanza della libertà per le
minoranze religiose, promosse l’assistenza in ambito sociale e avviò la riforma della pubblica
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istruzione erodendo sempre più spazi all’autorità ecclesiastica e, di conseguenza, intaccando
il suo monopolio culturale.
Marco Novarino, storico della massoneria, permette di assistere al dibattito dell’epoca sul
ruolo della massoneria, per l’appunto, nelle società segrete risorgimentali sottolineando il
carattere aristocratico ed elitario di tipo laico e anticlericale che attingeva al pensiero
illuminista della prima e la predominante borghese delle seconde, pervase anche da spirito
religioso di stampo romantico.
E ancora, le analisi sulla posizione degli ebrei italiani ed il loro contributo al Risorgimento e
sulla storia dei valdesi e protestanti italiani di fronte all’unità d’Italia lasciando in sospeso la
problematica dei rapporti con la chiesa ufficiale.
La rivista volge al termine con il dibattito filosofico tra Giulio Giorello e Carlo Augusto Viano su
Benedetto Croce ed una serie di importanti documenti storici: dal discorso del 9 aprile 1861 al
Senato del Regno di Camillo Benso conte di Cavour ad un estratto dal trattato “Dei Doveri
dell’Uomo” del 1860 di Giuseppe Mazzini, dall’antologia di testi di Carlo Cattaneo e di
Giuseppe Garibaldi al discorso “Per la Costituente romana” di Goffredo Mameli per chiudersi
con la stesura completa della Costituzione della Repubblica Romana votata ad unanimità il 1°
luglio 1849 con i suoi 69 articoli che, per la loro modernità, hanno lasciato ai posteri un
esempio italiano unico di democrazia e di laicità, non solo dal punto di vista legislativo ma
anche in quanto singolare risultato di un evento storico per molto tempo dimenticato anche
dai testi e programmi scolastici.
Profetiche le parole di Cavour risalenti al 26 agosto del 1850: “Amico quant’altri mai della
libertà religiosa la più estesa, io desidero ardentemente di veder giungere il tempo in cui sarà
possibile di praticarla da noi, quale essa esiste in America, mercé l’assoluta separazione della
Chiesa dallo Stato. Separazione che io reputo essere una conseguenza inevitabile del
progresso della civiltà, e condizione indispensabile al buon andamento delle società rette dal
principio di libertà”.
(*) Graziella Sturaro è la responsabile di LiberaUscita per il Piemonte
2334 - PER UNA MEDIAZIONE LAICA? DI MARCO COMANDE’
da: facebook – bacheca di LiberaUscita – 31.12.2011
Nessuno può dimostrare quando inizia e quando finisce un’esistenza vitale. Ognuno ha le
proprie opinioni sul tema e quella cattolica è solo una delle tante correnti di pensiero, non
l’unica o la migliore. Questo è il punto di vista laico.
Le religioni e le dottrine filosofiche tendono a esprimersi in termini di “bene assoluto” e “male
assoluto”, ma sappiamo quali distorsioni ha storicamente prodotto la dicotomia amico-nemico.
Il laico non si sottrae al dibattito sul bene e sul male, ma chiede di valutare in base
all’esperienza l’efficacia dei valori etici perché il progresso tecnologico offre opportunità e
rischi imprevedibili, a cui bisogna reagire con realismo, modificando le proprie opinioni se
necessario: la clonazione, la manipolazione del DNA, l’uomo bionico, l’immortalità fisica, la
comparsa di nuove specie di ominidi e chissà che altro.
In Italia l’esperienza storica ha portato alla stesura della Carta Costituzionale definita “la più
bella del mondo”. I principi morali ivi riconosciuti hanno acquistato maggiore efficacia giuridica
proprio perché sono stati negoziati nell’Assemblea Costituente e quindi sono stati recepiti da
tutte le correnti politiche e sociali che l’Italia ha rappresentato.
Nell’era globale il negoziato del 1948 è diventato un punto di riferimento. Sullo scacchiere
mondiale culture profondamente diverse si scontrano e si confrontano, di conseguenza i
giuristi si stanno chiedendo quale impalcatura possa rafforzare gli Stati multietnici,
pluriconfessionali e aperti. Ed è per questo che la Costituzione italiana continua a essere
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attuale, di fronte alle nuove sfide, l’immigrazione, le frontiere della scienza e di Internet,
l’emergere di nuove associazioni per rispondere a nuovi bisogni. I Padri Costituenti non
avevano preclusioni o pregiudizi, quindi lasciavano spazio a idee diverse sulla libertà,
l’identità sessuale, le formazioni sociali ove si sviluppa la personalità dell’individuo.
L’afflusso di stranieri ha trapiantato in Italia concezioni diverse sull’etica sociale e religiosa: la
poligamia dei musulmani, la segregazione castale degli induisti, il disprezzo confuciano per
l’individualismo, l’infibulazione, i matrimoni infantili e combinati, lo sfruttamento della
prostituzione, l’alienazione del lavoro sottopagato, la censura.
Il cristiano, rifiutando i principi secolarizzati, risponde trincerandosi dietro la famiglia
tradizionale d’impostazione medievale, mentre il laico può ricordare come la poligamia violi
l’uguaglianza tra i coniugi, le caste siano proibite, il singolo cittadino abbia la meglio sulle
prescrizioni familiari, religiose, comunitarie ed economiche. Ne derivano la legge sul divorzio,
l’educazione sessuale nelle scuole, gli inderogabili doveri di solidarietà verso gli anziani, i
poveri, i mutilati e gli invalidi, la repressione degli illeciti e delle scorciatoie mafiose. Qui sta la
forza dei principi laici.
Invece proprio nel caso della bioetica assistiamo al tentativo di scardinare la Costituzione.
Ripetere frasi del tipo “i principi etici non possono essere affidati alla tirannia dei giudici”
significa non riconoscere che i giudici sono sottoposti a una gerarchia di leggi che mette in
primo piano i valori morali inscritti nella nostra Carta.
Abbiamo la memoria corta. Ci siamo dimenticati che il codice civile italiano ha ereditato dal
fascismo le norme penali “dei delitti contro l’integrità e la sanità della stirpe”, che con l’aborto
attentavano alla procreazione e alla vita del feto. Gli articoli dal 545 al 555 del codice penale
sono stati dichiarati incostituzionali e quindi abrogati. La sentenza n. 27 del 1975, che è
antecedente alla legge 194 del 1978 sull’interruzione di gravidanza, ha evidenziato come in
caso di contrasto tra due diritti, la salute della madre o la vita del feto, prevalga la “legittima
difesa” della madre.
Invece di preoccuparci di questo, dovremmo porre maggiore risalto alla questione culturale:
nel Mezzogiorno il numero di aborti è rimasto costantemente al di sotto della media perché
sono radicati i valori religiosi. Dunque è dal confronto culturale che deve partire una efficace
campagna contro l’aborto, non dal ripudio della giustizia civile.
Un laico riconosce che la Costituzione tutela la famiglia naturale fondata sul matrimonio, ma
ribadisce che questo diritto è uno dei tanti. Applicando tutti, proprio tutti, i principi della
Costituzione possiamo pensare che sarà efficace la difesa della famiglia tradizionale. Questi
ideali oggi sono dimenticati non perché la libertà porta al libertinaggio, ma perché nel dibattito
politico e sociale non si parla più dei doveri verso la collettività: lavorare, pagare le tasse,
denunciare i reati, tutelare i più deboli in quanto anch’essi sono individui con pieni poteri,
negoziare invece di usare la forza.
Se non ammettiamo il diritto di non curarsi e il contemporaneo diritto di curarsi quando
richiesto. Se la lotta all’aborto si fa violando i principi giuridici e non concretizzando la parte
della legge 194 rimasta inapplicata, quella sui consultori e gli aiuti alle madri. Se le
discriminazioni vengono fronteggiate usando argomenti contro la libertà, invece di ricordare
che ogni individuo ha dei diritti ma anche dei doveri. Se si considera la famiglia naturale in
antitesi con altri diritti costituzionali, invece di limitarsi a negoziare in Parlamento. Se non si
ha fiducia nelle istituzioni. Se diventa inefficace l’articolo 18 della Costituzione sul divieto di
associazioni mafiose e segrete. Se accade tutto ciò, allora si disgrega il patto di convivenza
tra le varie comunità italiane. Eppure è quello che sta accadendo oggi, quando assistiamo al
sistematico tentativo di smantellare le reti sociali, economiche, culturali su cui fanno
affidamento i comuni cittadini: i tagli allo Stato sociale, gli ospedali che non hanno più fondi, la
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disoccupazione e precarietà giovanile, la clandestinità come reato, la scarsa trasparenza nei
finanziamenti pubblici, lobbismo, qualunquismo.
Se un cittadino, nel sacrosanto esercizio di difesa dei propri diritti, non fa riferimento alla
Costituzione bensì alla propria identità sociale (la religione, l’etnia, il feticcio padano o il
comitato d’affari), allora dobbiamo preoccuparci.
2335 - LA CULTURA CI INFLUENZA? DI MARCO COMANDE’
da: facebook – bacheca di LiberaUscita – 31.12.2011
Viviamo in un ambiente culturale. Che ci accorgiamo o meno, ne siamo tutti influenzati.
Citiamo un esempio introduttivo per far comprendere cosa significhi. E l’esempio riguarda
proprio la scienza, che dovrebbe in t...eoria essere obiettiva o neutra.
Ludwig Boltzmann (1844-1906), fu un fisico austriaco che teorizzò e sperimentò l’esistenza
degli atomi. Purtroppo i suoi contemporanei non accettarono la dimostrazione e lui morì
suicida. Subito dopo, la sua teoria atomica divenne gradita a tutti. Come mai? La risposta
degli storici è univoca: ci fu un cambio generazionale nel mondo della scienza, i vecchi fisici
erano abituati a una certa visione positivistica e non riuscivano ad assimilare la notizia,
mentre le nuove generazioni erano aperte a qualunque novità.
Lo stesso problema oggi investe i paesi arabi, dove i giovani più aperti al cambiamento
vogliono scalzare la tirannia dei nonni al potere. Ma pensiamo alla rivoluzione francese: un
anno prima, l’aristocrazia e l’alto clero dettavano legge e pensavano che la propria gerarchia
sociale fosse destinata a durare in eterno, per grazia di Dio.
In che modo i pregiudizi culturali hanno influenzato l’etica della vita? Partiamo dall’oggi, così
comprenderemo meglio il nodo della questione. È dato per scontato che la vita inizia con il
concepimento, né prima né dopo: con il concepimento si forma una cellula dotata di DNA,
unica e irripetibile. Quando finisce questa vita? La medicina legale afferma: quando c’è la
morte cerebrale del paziente, ma quest’ultimo può morire prima se rifiuta le cure. Einstein nel
1955, poco prima di perire, disse: «Voglio andarmene quando lo voglio io. È di cattivo gusto
prolungare artificialmente la propria vita, ho fatto la mia parte, devo andare. E lo farò con
eleganza!”
Siamo sicuri che la vita inizi con il concepimento? Non è per caso che la cultura
individualistica di cui siamo impregnati non ci abbia influenzati? Tutta la giurisprudenza
occidentale, borghese, moderna, riconosce all’individuo diritti e doveri, cui non si possono
derogare senza giustificato motivo. Nella dialettica tra individuo, famiglia, religione, scuola e
istituzioni statali, il cittadino ha la meglio a meno che non prevalgano fini di utilità sociale.
Questo è un altro modo di dire che il cittadino ha pieni diritti tranne quando lede i diritti degli
altri: la legittima difesa che giustifica l’aborto terapeutico e la pillola del giorno dopo, il
trattamento sanitario obbligatorio per i drogati o i malati quando minacciano l’incolumità di
altri, il divieto di fumare in luoghi chiusi, il codice della strada, l’istruzione obbligatoria e
gratuita.
Al di fuori di questa società individualistica, atomistica potremmo dire parafrasando il fisico
Boltzmann, ci sono società che hanno principi diversi, che a scapito dell’individuo fanno
prevalere la famiglia (nei sistemi patriarcali primitivi), la religione (nelle teocrazie), la scuola
(nella Magna Grecia), le istituzioni statali (nei regimi totalitari di destra o di sinistra).
In questi modelli alternativi di convivenza, l’inizio e la fine della vita dipendono da altri fattori.
Prendiamo la Roma non ancora imperiale e immaginiamola come se fosse oggi: nella casa
patrizia, una donna ha partorito; il capo famiglia si avvicina al neonato e decide se accoglierlo
o meno; nel primo caso, prende in braccio il bebè e lo culla, mentre nell’altro caso un servo
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sistema l’infante fuori dall’uscio a morire di stenti, a meno che un passante non lo raccolga
per compassione o perché ha bisogno di un apprendista.
L’episodio chiarisce come il parto di una donna non bastava a far considerare cittadino
romano qualunque nascituro. Quindi l’inizio della vita era posticipato. D’altro canto, la
schiavitù anticipava la definizione di morte fisica al capriccio del tiranno.
E ora passiamo alla cultura cattolica. L’unità di base, nel Medioevo cristiano, non era
l’individuo bensì la famiglia, inoltre le ricerche scientifiche sullo sviluppo degli embrioni non
erano all’avanguardia. Le conseguenze furono paradossali.
Sant’Agostino, basandosi sull’interpretazione letterale della Genesi, affermava che Adamo
non era vivo quando fu impastato con il fango e l’argilla, bensì quando Dio gli infuse il soffio
dell’anima. Quindi la vita non inizierebbe con il concepimento, bensì quando l’embrione
acquisisce l’anima, in linea con la prassi ebraica. Una traduzione di “Esodo capitolo 21,
versetti 22-25” distingue infatti a seconda che il feto sia formato o meno, così in quest’ultimo
caso la pena per l’aborto è lieve.
Ma sul piano del codice di famiglia, il diritto dovere di due coniugi era quello di garantire una
numerosa prole. Così qualsiasi rifiuto in tal senso era considerato un delitto, la soppressione
di una vita nascente. Ed ecco l’associazione tra contraccezione e aborto: l’inizio della vita era
anticipato al coito coniugale e non all’acquisto embrionale dell’anima.
E la morte quando sopraggiunge? Nel medioevo non c’erano le moderne tecniche di
rilevamento del battito cardiaco o delle funzioni cerebrali, ma nemmeno c’erano le medicine
che l’industria estrae oggi dalla chimica. Un buon costume era quello di vegliare la notte sul
morto, confidando in Dio. Qui sta il nocciolo: tutto era affidato alla manzoniana Divina
Provvidenza. I sacerdoti, in quanto esecutori della volontà del Cielo, potevano comminare
condanne a morte o imporre guarigioni “miracolose”. La vita era un dono di Dio, quindi
l’individuo non poteva disporne e doveva affidarsi alla misericordia ecclesiastica, che non era
oggettiva come invece l’attuale articolo 32 della Costituzione che recita così: “Nessuno può
essere obbligato a un determinato trattamento sanitario”.
Conclusosi il periodo medioevale, le opinioni estremiste del cattolicesimo non sono
scomparse: l’aborto rimane un tabù, nei Paesi poveri viene giudicato preferibile il rischio di
morte per parto piuttosto che l’uso di anticoncezionali, marito e moglie non sono autorizzati al
preservativo in caso di Aids conclamato, il divieto di discriminazione non vale per gli
omosessuali, il rifiuto del coma farmacologico è giudicato un peccato.
Se avessi domandato “chi decide chi vive e chi muore?”, allora sarei passato per un nazista,
invece è una prassi quotidiana quando alle leggi giuridiche laiche si sostituiscono dottrine
morali “non negoziabili”.
In Medio Oriente sono i nazionalismi religiosi il principale ostacolo alla pace tra ebrei e
musulmani. Allo stesso modo, la cultura mafiosa, cultura della morte, non concepisce l’idea di
pentimento laico. Platone, abbandonando ogni saggia prudenza, descrisse uno stato
teocratico che divenne il modello per il Terrore di Robespierre e i dispotismi illuminati e
comunisti che praticavano il lavaggio del cervello.
2336 - IL VALORE DEI BENI COMUNI - DI STEFANO RODOTA’
da: la Repubblica di giovedì 5 gennaio 2012
Si può dire che il 2011 sia stato l´anno (anche) dei beni comuni. Espressione, questa, fino a
poco tempo fa assente nella discussione pubblica, del tutto priva d´interesse per la politica,
anche se il premio Nobel per l´economia era stato assegnato nel 2009 a Elinor Ostrom
proprio per i suoi studi in questa materia. Poi, quasi all´improvviso, l´Italia ha cominciato ad
essere percorsa da quella che Franco Cassano aveva chiamato la "ragionevole follia dei beni
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comuni". E questo è avvenuto perché la forza delle cose ha imposto un mutamento
dell´agenda politica con il referendum sull´acqua come "bene comune". Da quel momento in
poi è stato tutto un succedersi di iniziative concrete e di riflessioni teoriche, che hanno portato
alla scoperta di un mondo nuovo e all´estensione di quel riferimento ai casi più disparati. Si
parla di beni comuni per l´acqua e per la conoscenza, per la Rai e per il teatro Valle occupato,
per l´impresa, e via elencando. Nelle pagine culturali di un quotidiano campeggiava qualche
mese fa un titolo perentorio: "I poeti sono un bene comune".
L´inflazione non è un pericolo soltanto in economia. Si impone, quindi, un bisogno di
distinzione e di chiarimento, proprio per impedire che un uso inflattivo dell´espressione la
depotenzi. Se la categoria dei beni comuni rimane nebulosa, e in essa si include tutto e il
contrario di tutto, se ad essa viene affidata una sorta di palingenesi sociale, allora può ben
accadere che perda la capacità di individuare proprio le situazioni nelle quali la qualità
"comune" di un bene può sprigionare tutta la sua forza. E tuttavia è cosa buona che questo
continuo germogliare di ipotesi mantenga viva l´attenzione per una questione alla quale è
affidato un passaggio d´epoca. Giustamente Roberto Esposito sottolinea come questa sia
una via da percorrere per sottrarsi alla tirannia di quella che Walter Benjamin ha chiamato la
"teologia economica".
Ciò di cui si parla, infatti, è un nuovo rapporto tra mondo delle persone e mondo dei beni, da
tempo sostanzialmente affidato alla logica del mercato, dunque alla mediazione della
proprietà, pubblica o privata che fosse. Ora l´accento non è più posto sul soggetto
proprietario, ma sulla funzione che un bene deve svolgere nella società. Partendo da questa
premessa, si è data una prima definizione dei beni comuni: sono quelli funzionali all´esercizio
di diritti fondamentali e al libero sviluppo della personalità, che devono essere salvaguardati
sottraendoli alla logica distruttiva del breve periodo, proiettando la loro tutela nel mondo più
lontano, abitato dalle generazioni future.
L´aggancio ai diritti fondamentali è essenziale, e ci porta oltre un riferimento generico alla
persona. In un bel saggio, Luca Nivarra ha messo in evidenza come la prospettiva dei beni
comuni sia quella che consente di contrastare una logica di mercato che vuole "appropriarsi
di beni destinati al soddisfacimento di bisogni primari e diffusi, ad una fruizione collettiva".
Proprio la dimensione collettiva scardina la dicotomia pubblico-privato, intorno alla quale si è
venuta organizzando nella modernità la dimensione proprietaria. Compare una dimensione
diversa, che ci porta al di là dell´individualismo proprietario e della tradizionale gestione
pubblica dei beni.
Non un´altra forma di proprietà, dunque, ma «l´opposto della proprietà», com´è stato detto
icasticamente negli Stati Uniti fin dal 2003. Di questa prospettiva vi è traccia nella nostra
Costituzione che, all´articolo 43, prevede la possibilità di affidare, oltre che ad enti pubblici, a
"comunità di lavoratori o di utenti" la gestione di servizi essenziali, fonti di energia, situazioni
di monopolio. Il punto chiave, di conseguenza, non è più quello dell´ "appartenenza" del bene,
ma quello della sua gestione, che deve garantire l´accesso al bene e vedere la
partecipazione di soggetti interessati.
I beni comuni sono "a titolarità diffusa", appartengono a tutti e a nessuno, nel senso che tutti
devono poter accedere ad essi e nessuno può vantare pretese esclusive. Devono essere
amministrati muovendo dal principio di solidarietà. Indisponibili per il mercato, i beni comuni si
presentano così come strumento essenziale perché i diritti di cittadinanza, quelli che
appartengono a tutti in quanto persone, possano essere effettivamente esercitati. Al tempo
stesso, però, la costruzione dei beni comuni come categoria autonoma, distinta dalle storiche
visioni della proprietà, esige analisi che partano proprio dal collegamento tra specifici beni e
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specifici diritti, individuando le modalità secondo cui quel "patrimonio comune" si articola e si
differenzia al suo interno.
Se, ad esempio, si considera la conoscenza in Rete, uno dei temi centrali nella discussione,
ci si avvede subito della sua specificità. Luciano Gallino ne ha giustamente parlato come di
un bene pubblico globale. Ma proprio questa sua globalità rende problematico, o
improponibile, uno schema istituzionale di gestione che faccia capo ad una comunità di utenti,
cosa necessaria e possibile in altri casi.
Come si estrae questa comunità dai miliardi di soggetti che costituiscono il popolo di Internet?
Di nuovo una sfida alle categorie abituali. La tutela della conoscenza in Rete non passa
attraverso l´individuazione di un gestore, ma attraverso la definizione delle condizioni d´uso
del bene, che deve essere direttamente accessibile da tutti gli interessati, sia pure con i
temperamenti minimi resi necessari dalle diverse modalità con cui la conoscenza viene
prodotta.
Qui, dunque, non opera il modello partecipativo e, al tempo stesso, la possibilità di fruire del
bene non esige politiche redistributive di risorse perché le persone possano usarlo. È il modo
stesso in cui il bene viene "costruito" a renderlo accessibile a tutti gli interessati.
Ben diverso è il caso dell´impresa, di cui pure si discute. Qui è grande il rischio della
confusione. Sappiamo da tempo che l´impresa è una "costellazione di interessi" e che sono
stati costruiti modelli istituzionali volti a dar voce a tutti. Ma la partecipazione, anche nelle
forme più intense di cogestione, non mette tutti i soggetti sullo stesso piano, né elimina il fatto
che il punto di partenza è costituito da conflitti, non da convergenza di interessi. Parlare di
bene comune è fuorviante.
L´opera di distinzione, definizione, costruzione di modelli istituzionali differenziati anche se
unificati dal fine, è dunque solo all´inizio. Ma non rimane nel cielo della teoria. Proprio
l´osservazione della realtà italiana ci offre esempi del modo in cui la logica dei beni comuni
cominci a produrre effetti istituzionali. Il comune di Napoli ha istituito un assessorato per i beni
comuni; la Regione Puglia ha approvato una legge, pur assai controversa, sull´acqua
pubblica; la Regione Piemonte ne ha approvata una sugli open data, sull´accesso alle proprie
informazioni; in Senato sono stati presentati due disegni di legge sui beni comuni e vi sono
proposte regionali, come in Sicilia. Si sta costruendo una rete dei comuni ed una larga
coalizione sociale lavora ad una Carta europea.
Quel che unifica queste iniziative è la loro origine nell´azione di gruppi e movimenti in grado di
mobilitare i cittadini e di dare continuità alla loro presenza. Una novità politica che i partiti
soffrono, o avversano. Ancora inconsapevoli, dunque, del fatto che non siamo di fronte ad
una questione marginale o settoriale, ma ad una diversa idea della politica e delle sue forme,
capace non solo di dare voce alle persone, ma di costruire soggettività politiche, di
redistribuire poteri. È un tema "costituzionale", almeno per tutti quelli che, volgendo lo
sguardo sul mondo, colgono l´insostenibilità crescente degli assetti ciecamente affidati alla
legge "naturale" dei mercati.
2337 - IL CIMITERO DELLE INTENZIONI - DI PAOLO IZZO
da: www.cronachelaiche.it di giovedì 5 gennaio 2012
Sembra un film horror (perciò ne è sconsigliata la lettura a chi sia debole di cuore o di
stomaco) e invece si tratta soltanto dell’ultima, straziante trovata del Comune di Roma, nella
persona del vicesindaco Sveva Belviso.
Al cimitero Laurentino è stato inaugurato il Giardino degli angeli, un’area di 600 metri quadrati
che sarà dedicata alla tumulazione dei feti. Inutile che sgranate gli occhi: avete letto bene.
Laddove sia avvenuta una «interruzione di gravidanza spontanea o terapeutica», tiene a
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precisare la Belviso, d’ora in poi a Roma si possono chiamare le onoranze funebri, farle
arrivare nell’ospedale dove è avvenuta l’interruzione suddetta, raccogliere i resti
dell’intervento chirurgico abortivo e fare una bella preghiera per l’anima del feto… Sono
escluse ovviamente le donne che abbiano abortito volontariamente, che questa brava gente
considera, a tutt’oggi e nonostante la legge 194, assassine a tutti gli effetti; comunque, mortali
peccatrici. Davvero, non stiamo scherzando: Sveva Belviso, Cattivo Gioco, si potrebbe
ironizzare, se ci fosse ancora qualcosa da ridere.
La macabra iniziativa, del resto, non è nuova: aveva cominciato Roberto Formigoni in
Lombardia (al cimitero di Milano esiste già un’area cimiteriale simile) a pensare alla sepoltura
e persino al funerale per i feti, sebbene la legge non preveda nulla del genere. E non è nuovo
nemmeno che questi necrofili abusino della parola “bambini” senza alcun criterio umano,
scientifico e nemmeno giuridico. “Bambini non nati”, “bambini mai nati”, “angeli”, “figli”: questa
la terminologia utilizzata senza scrupoli da persone che ricoprono anche incarichi importanti
nell’Amministrazione della Capitale, come il consigliere di Roma Capitale Fabrizio Santori o il
presidente di Ama Piergiorgio Benvenuti che hanno sostenuto l’iniziativa e la accolgono con
entusiasmo.
In un Paese civile non si può smettere nemmeno un istante di mantenere la guardia nello
scontro con questi illegali cultori della morte che, in tema di aborto, se ne inventano di tutti i
colori per cercare di uccidere psichicamente le donne e in special modo quelle che ricorrano
all’interruzione di gravidanza volontaria. Ma dobbiamo veramente aspettarci ogni mostruosità,
fino a chiederci persino quando verranno materialmente a frugare nei nostri letti, nei cicli
mestruali delle donne o nei nostri preservativi usati per dare degna sepoltura a ovuli e
spermatozoi in quello che forse chiameranno il “Cimitero delle intenzioni”?
Commento. Quando si tratta di autenticare e registrare un normale atto come il testamento
biologico, al quale possono provvedere tranquillamente i dipendenti comunali che ricevono le
autocertificazioni senza alcuna spesa aggiuntiva ed anzi incassando la marca da bollo, allora
l’ex Governo Berlusconi invitò i Comuni a non farlo in quanto ciò avrebbe comportato costi
per un servizio non previsto dalla legge.
Oggi, di fronte alla incredibile iniziativa della giunta Alemanno di creare un apposito cimitero
non previsto dalla legge e con costi reali non indifferenti, il nuovo Governo Monti ha due
alternative logiche: o annullare la circolare del precedente Governo Berlusconi o diramare
una sua circolare a tutti i Comuni per vietare i cimiteri dei feti. Se – come presumibile - non
farà né una cosa né l’altra per non inoltrarsi su un terreno politicamente scivoloso, allora ci
attendiamo almeno che, per un minimo di coerenza, non affronti neppure il tema del disegno
di legge Calabrò.(G. Sestini).
Commento. Grazie anche per la risposta sul "cimitero dei feti"...molto opportuno il richiamo al
Governo di annullare la circolare del 19 novembre 2010. (Maria Laura Cattinari)
Commento. Che dire? La mamma degli imbecilli purtroppo non abortisce mai.Ma a mio avviso
la cosa peggiore da considerare è che i soggettini alla Belviso e alla Formigoni sono stati
eletti a quelle cariche da noi, da noi cittadini italiani (e nel caso lombardo è stata, mi pare, la
quarta volta…). Infatti, con tutte le critiche che pur possono farsi alla fragilità della nostra
democrazia, rimane il fatto che l’Italia è una nazione in cui dal 1946 si tengono consultazioni
elettorali. Questa classe dirigente, allora, non è un accidente piovutoci in testa da un altro
mondo, non è un corpo estraneo, ma è ciò che collettivamente, come società prima e come
corpo elettorale poi, siamo in grado di selezionare. E’ una convinzione che trovo raggelante;
meno male che ho una certa età e tra pochi decenni al massimo toglierò e mi toglierò il
disturbo. Auguri di buon anno a tutta l’associazione.(Pier Giorgio Nicoletti)
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Commento. Forse sarà possibile tumulare anche le centinaia di migliaia di bambini mai nati
contenuti nelle polluzioni notturne degli adolescenti. Solo in quelle, ovviamente, non in quelle
ottenute manualmente dai medesimi, che essendo volontarie si configurerebbero anch'esse
come omicidi. Preterintenzionali le loro, intenzionalissime invece quelle a mezzo di condom.
Per quest'ultime sarà previsto il carcere o il bracciale elettronico (di varie misure,
naturalmente)? Saluti sgomenti a tutti. (Franco Toscani)
2338 - FIRENZE: RIPRISTINO ICI SU IMMOBILI COMMERCIALI CHIESA?
Comunicato stampa di Mauro Romanelli - 10 gennaio 2012
Oggi il Consiglio Regionale della Toscana ha votato una Mozione presentata dal Consigliere
Pieraldo Ciucchi che sostanzialmente chiede al Presidente della Giunta di aprire un dialogo
con la Conferenza Episcopale Toscana al fine di raggiungere una soluzione condivisa sul
tema del pagamento dell'Ici/Imu da parte degli immobili commerciali della Chiesa Cattolica.
"Voteremo la Mozione come gesto di buona volontà - ha spiegato nel suo intervento il
Consigliere Mauro Romanelli - Fosse stato per noi l'avremmo scritta in altra maniera: per noi
l'esenzione dall'Ici degli immobili ecclesiastici è un privilegio che va eliminato, e non si deve
certo concertare questa eliminazione col titolare del privilegio stesso, ovvero la Conferenza
dei Vescovi Toscani. Inoltre, come hanno dimostrato alcune denuncie e inchieste, a partire da
quella del Consigliere Tommaso Grassi al Comune di Firenze, vi è anche un problema di
sommerso, ovvero di strutture che già oggi, a legislazione vigente, dovrebbero pagare l'Ici, in
quanto pienamente e inconfutabilmente attività commerciali, e non lo fanno".
"Detto questo, è importante che il tema sia stato posto, e ci rendiamo conto che per far
approvare la Mozione anche dal partito Democratico, essa dovesse essere per forza molto
sfumata e moderata: perciò la voteremo, perché comunque si tratta di un primo passo e di un
segnale che il problema esiste e va affrontato".
2339 - PERCHÉ FAR PAGARE LE TASSE È UNA RIVOLUZIONE - DI STEFANO RODOTÀ
da: la Repubblica di giovedì 12 dicembre 2012
Nella controversa agenda politica di questa difficile stagione ha fragorosamente fatto ingresso
la lotta all´evasione fiscale. Non più come tema polemico, non più come rivendicazione di
qualche buon esito di un´azione amministrativa di contrasto, ma come questione capitale,
destinata a sconvolgere equilibri, colpire interessi, revocare in dubbio compiacenze. Questo è
avvenuto con due mosse fortemente simboliche. Il blitz a Cortina e una dichiarazione del
Presidente del consiglio che ha indicato negli evasori quelli che «mettono le mani nelle tasche
dei contribuenti onesti». Non siamo solo di fronte allo smascheramento dell´ipocrita vulgata
berlusconiana, ma alla denuncia di una inaccettabile redistribuzione alla rovescia delle
risorse, per cui oggi sono soprattutto i meno abbienti a pagare servizi di cui, troppe volte,
sono proprio i più ricchi ad avvantaggiarsi (si pensi solo al caso dell´istruzione universitaria,
alla quale spesso non riescono poi ad accedere i figli di chi maggiormente la finanzia). Ed è
giusto ricordare quel che disse Tommaso Padoa Schioppa: «le tasse sono una cosa
bellissima e civilissima, un modo di contribuire tutti insieme a beni indispensabili come la
salute, la sicurezza, l´istruzione e l´ambiente».
Ironie e dileggi accolsero questo limpido richiamo alle virtù civiche. E oggi sono violente le
reazioni dei molti che ritengono inaccettabile una priorità come la lotta all´evasione,
certamente incompatibile con il melmoso immoralismo che si è fatto cemento sociale e nel
quale si è cercato il consenso politico. Ma i gesti simbolici sono importanti, a condizione che
siano poi accompagnati da inflessibile volontà politica e da quella adeguata strumentazione
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tecnica ricordata da Alessandro Penati, con una sottolineatura significativa: la necessità di
modificare "i comportamenti individuali e collettivi".
Qui si gioca la partita vera. Certo, «non si cambia la società per decreto» – ammoniva Michel
Crozier. È indispensabile, allora, un lavoro che vada nel profondo e rimetta in onore principi
fondativi abbandonati. E, poiché questi sono tempi in cui è così insistente il richiamo ai doveri
(magari per rendere più debole l´appello ai diritti), bisogna partire dai «doveri inderogabili di
solidarietà politica, economica e sociale» previsti dall´articolo 2 della Costituzione. Ma contro
la solidarietà sono state spese negli anni passati parole di fuoco, denunciandone i "pericoli" e,
muovendo da questa premessa, si sono organizzate "marce contro il fisco". Si è così cercato
di svuotare di senso sociale e di valore civile l´articolo 53 della Costituzione: «tutti sono tenuti
a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva» e secondo criteri
di progressività. Da quest´insieme di doveri, invece, non si può "evadere".
Arriviamo così alla radice dell´obbligazione sociale e del patto tra cittadini e Stato. Nel
momento in cui "tutti" non significa davvero "tutti", e emerge con nettezza che il contributo alla
spesa pubblica appare inversamente proporzionale alla capacità contributiva, con i meno
abbienti che pagano più dei ricchi, allora si rompe il legame sociale tra le persone, tra le
generazioni, tra i territori. Il ritorno pieno al principio di solidarietà, come valore fondativo, è la
via obbligata per interrompere questa deriva e la Costituzione, parlandone come di un
insieme di doveri inderogabili, individua un criterio ordinatore dell´insieme delle relazioni tra i
soggetti, anzi un connotato della cittadinanza.
Abbandonando quel riferimento, infatti, si innescano processi che dissolvono la stessa
obbligazione politica. Torna alla memoria un´espressione icastica e fortunata, legata alla
rivoluzione americana: «No taxation without representation» nessuna tassa senza
rappresentanza politica, principio che ritroviamo nell´articolo 22 della Costituzione che affida
solo alla legge, dunque a un atto del Parlamento, l´imposizione di prestazioni patrimoniali.
Ma, una volta garantito il rispetto di tale principio da parte delle istituzioni pubbliche, il
rapporto così istituito vincola il cittadino a fare la sua parte. L´evasione, allora, lo delegittima
come partecipante a pieno titolo alla comunità politica.
Sono questi i punti di riferimento, rispetto ai quali valgono poco gli esercizi intorno al ruolo da
riconoscere alla ricchezza. Questa, benedizione di Dio o sterco del diavolo, fa semplicemente
nascere un dovere sociale. Non è una penalizzazione, dunque, un vera lotta all´evasione, ma
lo strumento indispensabile per ricostituire una delle condizioni di base per il funzionamento
di un sistema democratico. Ma il rigore non deve essere necessariamente declinato nei
termini dell´emergenza. Come il contrasto alla criminalità non rende legittimo il ripescaggio
delle perquisizioni senza autorizzazione del magistrato, così la lotta all´evasione deve
rifuggire da strumenti sbrigativi, e non in linea con le indicazioni europee, come quelle
riguardanti la segnalazione di ogni movimento d´un conto corrente.
Ricordiamo, poi, che già l´articolo 14 della Dichiarazione dei diritti dei diritti dell´uomo e del
cittadino del 1789 parlava del diritto del cittadino di "seguire l´impiego" dei contributi versati.
Una vera lotta all´evasione, dunque, ha come complemento necessario una totale
trasparenza pubblica, una implacabile lotta alla corruzione, l´inaccettabilità d´ogni forma di
uso privato di risorse pubbliche.
2340 - IL PATTO SCELLERATO - DI ROBERTO SAVIANO
da: la Repubblica di venerdì 13 gennaio 2012
Non tiri un sospiro di sollievo, Onorevole Cosentino, trattenga ancora il fiato. Non creda che
questa congiura dell´omertà che si è frapposta tra lei e le richieste della magistratura, possa
sottrarla dal dovere di rispondere di anni di potere politico esercitato in uno dei territori più
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corrotti del mondo occidentale. Non tiri un sospiro di sollievo, Onorevole Cosentino, perché
quel fiato non dovrà usarlo solo per rispondere ai giudici. Il fiato che risparmierà lo deve usare
per rispondere a chi ha visto come lei ha amministrato – e lo ha fatto nel peggiore dei modi
possibile – la provincia di Caserta, plasmando una forma di contiguità, i tribunali diranno se
giudiziaria ma sicuramente culturale, con la camorra.
Onorevole Cosentino, per quanto ancora con sicumera risponderà che le accuse contro di lei
sono vacue accuse di collaboratori di giustizia tossicodipendenti. I pentiti non accusano
nessuno, dovrebbe saperlo. I pentiti fanno dichiarazioni e confessioni; i pm ne riscontrano
l´attendibilità ed è l´Antimafia a formulare l´accusa, non certo criminali o assassini. Lei,
ribadisco, non è accusato da pentiti, lei è accusato dall´Antimafia di Napoli.
Ma anche qualora i tribunali dovessero assolverla, lei per me non sarebbe innocente. E la sua
colpevolezza ha poco a che fare con la fedina penale. La sua colpa è quella di avere, per
anni, partecipato alla costruzione di un potere che si è alimentato di voti di scambio, della
selezione dei politici e degli imprenditori peggiori, il cui unico talento era l´attitudine al
servilismo, all´obbedienza, alla fame di ricchezza facile. Alla distruzione del territorio. La
ritengo personalmente responsabile di aver preso decisioni che hanno devastato risorse
pubbliche, impedito che nelle nostre terre la questione rifiuti fosse gestita in maniera
adeguata. Io so chi è lei: ho visto il sistema che lei ha contribuito a produrre e a consolidare
che consente lavoro solo agli amici e alle sue condizioni. Ho visto come pretendevate voti da
chi non aveva altro da barattare che una "x" sulla scheda elettorale. Sono nato e cresciuto
nelle sue terre, Onorevole Cosentino, e so come si vincono le elezioni. So dei suoi interessi e
con questo termine non intendo direttamente interessi economici, ma anche politici, quegli
interessi che sono più remunerativi del danaro perché portano consenso e obbedienza.
Interessi nella centrale di Sparanise, interessi nei centri commerciali, nell´edilizia, nei trasporti
di carburante, so dei suoi interessi nel centro commerciale che si doveva edificare nell´Agro
aversano e per cui lei, da quanto emerge dalle indagini, ha fatto da garante presso Unicredit
per un imprenditore legato ad ambienti criminali.
Onorevole Cosentino, per anni ha taciuto sul clan dei casalesi e qualche comparsata ai
convegni anticamorra o qualche fondo stanziato per impegni antimafia non possono
giustificare le sue dichiarazioni su un presunto impegno antimafia nato quando le luci
nazionali e internazionali erano accese sul suo territorio. Racconta che don Peppe Diana sia
suo parente e continua a dire essere stato suo sostenitore politico. La prego di fermarsi e di
non pronunciare più quel nome con tanta disinvoltura. È un uomo già infangato per anni, i cui
assassini sono stati difesi dal suo collega di partito Gaetano Pecorella, peraltro presidente
della commissione bicamerale sulle ecomafie e membro della Commissione Giustizia. Perché
non è intervenuto a difendere la sua memoria quando l´Onorevole Pecorella dichiarava che il
movente dell´omicidio di Don Diana "non era chiaro" gettando, a distanza di anni, ancora
ombre su quella terribile morte? Come mai questo suo lungo silenzio, Onorevole Cosentino?
Sono persuaso che lei sappia benissimo quanto conti questo silenzio. È il valore che ha
trattato in queste ultime ore con i suoi alleati politici. È questo suo talento per il silenzio a
proteggerla ora. E´ scandaloso che in Parlamento si sia riformata una maggioranza che l´ha
sottratta ai pubblici ministeri. Ma in questo caso nessuno, nemmeno Bossi - anche al prezzo
di spaccare la Lega- poteva disubbidire agli ordini di un affannato Berlusconi.
Perché lei, Onorevole Cosentino, rappresenta la storia di Forza Italia in Campania e la storia
del Pdl. E lei può raccontare, qualora si sentisse tradito dai suoi sodali, molto sulla gestione
dei rifiuti, e sulle assegnazioni degli appalti in Campania. Può raccontare di come il centro
sinistra con Bassolino, abbia vinto le elezioni con i voti di Caserta e come magicamente
proprio a Caserta il governo di centro sinistra sia caduto due anni dopo. Lei sa tutto,
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Onorevole Cosentino, e proprio ciò che lei sa ha fatto tremare colleghi parlamentari non solo
della sua parte politica. Sì perché lei in Campania è stato un uomo di "dialogo". Col centro
sinistra ha spartito cariche e voti. Onorevole Cosentino, so che il fiato che la invito a
risparmiare in questo momento lo vorrebbe usare come fece con Stefano Caldoro, suo rivale
interno alla presidenza della Regione. Ha cercato di far pubblicare dati sulla sua vita privata.
Ha cercato di trovare vecchi pentiti che potessero accusarlo di avere rapporti con le
organizzazioni criminali. Pubblicamente lo abbracciava, e poi lanciava batterie di cronisti nel
tentativo di produrre fango. Onorevole Cosentino, so che in queste ore sta pensando a quanti
affari potrebbe perdere, all´affare che più degli altri in questo momento le sta a cuore. Più del
centro commerciale mai costruito, più dei rifiuti, più del potere che ha avuto sul governo
Berlusconi. Mi riferisco alla riconversione dell´ex aeroporto militare di Grazzanise in aeroporto
civile. Si ricorda la morte tragica di Michele Orsi, ammazzato in pieno centro a Casal di
Principe? Si ricorda la moglie di Orsi cosa disse? Disse che lei e Nicola Ferraro eravate
interessati alla morte di suo marito. Anche in quel caso ci fu silenzio. Michele Orsi aveva
deciso di collaborare con i magistrati e stava raccontando di come i rifiuti diventano soldi e poi
voti e poi aziende e poi finanziamenti e poi potere.
Lei si è fatto forte per anni di un potere basato sull´intimidazione politica e mi riferisco al
sistema delle discariche del Casertano che a un solo suo cenno avrebbero potuto essere
chiuse perché la maggior parte dei sindaci di quel territorio erano stati eletti grazie al suo
potere: il destino della monnezza a Napoli - cui tanto si era legato Berlusconi - era nelle sue
mani. Onorevole Cosentino, non tiri un sospiro di sollievo, conservi il fiato perché le assicuro
che c´è un´Italia che non dimenticherà ciò che ha fatto e che potrebbe fare. Non si senta
privilegiato, non la sto accusando di essere il male assoluto, è solo uno dei tanti, ahimè
l´ennesimo.
Lei per me non è innocente e non lo sarà mai perché la camorra che domina con potere
monopolistico ha trovato in lei un interlocutore. Non aver mai portato avanti vere politiche di
contrasto, vero sviluppo economico in condizioni di leale concorrenza e aver difeso la
peggiore imprenditoria locale, è questo a non renderle l´innocenza che la Camera dei
Deputati oggi le ha tributato con voto non palese. Onorevole Cosentino prenderà questo atto
d´accusa come lo sfogo di una persona che la disprezza, può darsi sia così, ma veniamo
dalla stessa terra, siamo cresciuti nello stesso territorio, abbiamo visto lo stesso sangue e
abbiamo visto comandare le stesse persone, ma mai, come dice lei, siamo stati dalla stessa
parte.
Commento. Egregio onorevole (?) Cosentino, se Lei effettivamente è la persona che ha
dichiarato pubblicamente di essere, vittima di magistrati non dediti alla applicazione della
legge ma all'intento di nuocerle (fumus persecutionis), allora l’articolo di Saviano sopra
riportato le offre un’occasione ghiotta di denunciarlo per diffamazione e dimostrare ai giudici
la sua estraneità dai gravi e numerosi reati attribuitigli.
Spero di leggere sulla stampa che vorrà cogliere questa occasione, anche se ho il dubbio che
lo farà (Giorgio Grossi).
2341 - L’UTOPIA FRUGALE PER UNA SOCIETÀ SOLIDALE - DI MARINO NIOLA
da: la Repubblica di sabato 14 gennaio 2012
«Un certo modello di società dei consumi è finito. Ormai l’unica via all’abbondanza è la
frugalità, perché permette di soddisfare tutti i bisogni senza creare povertà e infelicità».
È la tesi provocatoria di Serge Latouche, professore emerito di scienze economiche
all’Università di Paris-Sud, universalmente noto come il profeta della decrescita felice.
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Il paladino del nuovo pensiero critico che non fa sconti né a destra né a sinistra sarà a Napoli
(dal 16 al 20 gennaio), ospite della Fics (Federazione Internazionale Città Sociale) e
protagonista del convegno internazionale Pensare diversa-mente. Per un’ecologia della civiltà
planetaria organizzato dal Polo delle Scienze Umane dell’Università Federico II.
Il tour italiano dell’economista eretico coincide con l’uscita del suo nuovo libro Per
un’abbondanza frugale. Malintesi e controversie sulla decrescita (Bollati Boringhieri).
Un’accesa requisitoria contro l’illusione dello sviluppo infinito. Contro la catastrofe prodotta
dalla bulimia consumistica.
Cos’è l’abbondanza frugale? Detta così sembra un ossimoro.
«Parlo di "abbondanza" nel senso attribuito alla parola dal grande antropologo americano
Marshall Sahlins nel suo libro Economia dell’età della pietra. Sahlins dimostra che l’unica
società dell’abbondanza della storia umana è stata quella del paleolitico, perché allora gli
uomini avevano pochi bisogni e potevano soddisfare tutte le loro necessità con solo due o tre
ore di attività al giorno. Il resto del tempo era dedicato al gioco, alla festa, allo stare insieme».
Vuol dire che non è il consumo a fare l’abbondanza?
«In realtà proprio perché è una società dei consumi la nostra non può essere una società di
abbondanza. Per consumare si deve creare un’insoddisfazione permanente. E la pubblicità
serve proprio a renderci scontenti di ciò che abbiamo per farci desiderare ciò che non
abbiamo. La sua mission è farci sentire perennemente frustrati. I grandi pubblicitari amano
ripetere che una società felice non consuma. Io credo ci possano essere modelli diversi. Ad
esempio io non sono per l’austerità ma per la solidarietà, questo è il mio concetto chiave. Che
prevede anche controllo dei mercati e crescita del benessere».
Perché definisce Joseph Stiglitz un’anima bella?
«Stiglitz è rimasto alla concezione keynesiana che andava bene negli anni ´30, ma che oggi,
anche a causa dello sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, mi sembra impraticabile.
Nel dopoguerra l’Occidente ha conosciuto un aumento del benessere senza precedenti,
basato soprattutto sul petrolio a buon mercato. Ma già negli anni ´70 la crescita era ormai
fittizia. Certo il Pil aumentava, ma grazie alla speculazione immobiliare e a quella finanziaria.
Un’età dell’oro che non ritornerà più».
È il caso anche dell´Italia?
"Certo, il boom economico italiano del dopoguerra si deve soprattutto a personaggi come
Enrico Mattei che riuscì a dare al vostro paese il petrolio che non aveva. È stato un vero
miracolo. E i miracoli non si ripetono".
I sacrifici che i governi europei, compreso quello italiano, stanno chiedendo ai cittadini
serviranno a qualcosa?
«Purtroppo i governi spesso sono incapaci di uscire dal vecchio software economico. E allora
tentano a tutti i costi di prolungarne l’agonia, ma questo, lo sanno bene, non fa altro che
creare deflazione e recessione, aggravando la situazione fino al momento in cui esploderà».
Lei definisce la società occidentale la più eteronoma della storia umana. Eppure
comunemente si pensa che sia quella che garantisce il massimo di autonomia democratica.
Chi decide per noi?
«Di fatto siamo tutti sottomessi alla mano invisibile del mercato. L’esempio della Grecia è
emblematico: il popolo non ha il diritto di decidere il suo destino perché è il mercato
finanziario a scegliere per lui. Più che autonoma, la nostra è una società individualista ed
egoista, che non crea soggetti liberi ma consumatori coatti».
Qual è il ruolo del dono e della convivialità nella società della decrescita?
«L’alternativa al paradigma della società dei consumi, basata sulla crescita illimitata, è una
società conviviale, che non sia più sottomessa alla sola legge del mercato. Che distrugge alla
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radice il sentimento del legame sociale che è alla base di ogni società. Come ha dimostrato
l’antropologo Marcel Mauss, all’origine della vita in comune c’è lo spirito del dono, la trilogia
inscindibile del dare, ricevere, ricambiare. Dobbiamo dunque ricomporre i frammenti
postmoderni della socialità usando come collante la gratuità, l’antiutilitarismo. In questo
concordo con gli esponenti italiani dell’economia della felicità, come Luigino Bruni e Stefano
Zamagni, che si rifanno alla grande lezione dell’economia civile napoletana del Settecento di
Antonio Genovesi».
Il capitalismo è l’ultimo pugile rimasto in piedi sul ring della storia?
«Non so se sia proprio l’ultimo pugile, perché non si sa mai in cosa è capace di trasformarsi,
ci sono scenari ancora peggiori, come l’eco-fascismo dei neoconservatori americani. Certo è
che siamo ad una svolta della storia. Se un tempo si diceva "o socialismo o barbarie" oggi
direi "o barbarie o decrescita". Serve un progetto eco-socialista. È tempo che gli uomini di
buona volontà si facciano obiettori di crescita».
Francis Fukuyama di recente ha riaffermato di ritenere che il modello liberal-capitalistico resti
l’orizzonte unico della storia. Senza alternative. Cosa ne pensa?
«Che ha una bella faccia tosta. Prima si è sbagliato totalmente sulla fine della storia, e oggi
ripropone la stessa solfa. La sua profezia è stata vanificata dalla tragedia dell’11 settembre
che ha dimostrato che la storia non era per niente finita. Fukuyama chiama fine della storia
quella che è semplicemente la fine del modello liberal capitalista».
A chi dice che l’abbondanza frugale è un’utopia lei risponde che è un’utopia concreta. Non è
una contraddizione in termini?
«No, perché per me l’utopia concreta non significa qualcosa di irrealizzabile, ma è il sogno di
una realtà possibile. Di un nuovo contratto sociale. Abbondanza frugale in una società
solidale. Sta a noi volerlo».
2342 - BRESCIA: QUESTO È IL TEMPO DELLA RESPONSABILITÀ - DI M. TEDESCHI
da: Corriere della Sera di mercoledì 18 gennaio 2012
In tempi di penuria di guide, di maestri di vita, di autorità morali, in tanti — non solo cattolici
— guardano a lui. All'inquilino del primo piano di piazzetta Vescovado. Al biblista di scuola
martiniana giunto a Brescia il 14 ottobre del 2007 e impostosi per la cultura vasta,
l'intelligenza acuta, la misura e la nettezza delle prese di posizione su temi spinosi. Monsignor
Luciano Monari, che compirà 70 anni il prossimo 28 marzo, non si sottrae a questo ruolo.
Senza protagonismo. Senza rinunciare a uno sguardo paterno ma critico sulla "sua" Chiesa.
E sulla terra che l'ha adottato, e che lui ha adottato, da quasi cinque anni.
Sulla facciata della Loggia c'è il motto che celebra Brescia fedele alla fede e alla giustizia.
Qual è lo stato di salute della fede a Brescia?
Nel Vangelo Gesù si chiede: «Il figlio dell'uomo, quando tornerà, troverà la fede?». La fede
non si può mai dare per scontata. Mentre la dimensione culturale della fede può rimanere,
non è detto che rimanga anche l'atteggiamento personale. Questo, o rimane sempre nuovo, o
si perde.
Ma a Brescia prevale la fede come fatto culturale o la fede come fatto personale?
La gente bresciana in chiesa ci va, la frequenza ai sacramenti e in chiesa è buona. In questo
risentiamo del vantaggio di una presenza numerosissima di catechisti, di animatori
dell'oratorio, di coppie di sposi che incarnano una speranza grande.
Nel suo pensiero c'è un «ma». Quale?
E' vero che la fede, nell'Occidente contemporaneo, non è tranquilla. Ratzinger,
nell'«Introduzione al cristianesimo», paragona la fede a un naufrago aggrappato a un relitto in
un oceano in tempesta. Non è una grande sicurezza, ma è l'unica che c'è. Insomma la fede
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non si può dare per scontata, il futuro richiede una creatività grande. Ora il più problematico
per noi è il rapporto con le nuove generazioni, in particolare con le ragazze. In passato sono
state una sicurezza nella pratica religiosa, oggi fanno più fatica degli altri.
E l'altra grande, storica fedeltà di Brescia — alla giustizia — regge ancora? O siamo in
presenza di una società più ingiusta, con un divario crescente fra ricchi e poveri?
Un ordine di giustizia nella nostra società rimane. E' vero però che negli ultimi anni il divario
fra i primi stipendi e gli ultimi è cresciuto. Oggi fra il manager che gestisce Fiat e Crysler e
l'ultimo manovale la distanza è enorme. Questo dipende anche dal fatto che le responsabilità
del manager sono immense, ma è pur vero che il senso del benessere personale vale per
tutti. Se la società non trova elementi equilibratori, se la legge del mercato non viene corretta,
è un problema.
Restiamo in ambito economico: in tempi di sacrifici, molti chiedono alla Chiesa di sopportarne
a sua volta. Lei cosa risponde?
Oggi un prete ha un compenso di 900 euro mensili. Un vescovo come me di 1.350 euro. In
più, io ho una pensione Inps di 400 euro da quando ho compiuto 65 anni. Immaginare grandi
sacrifici su stipendi come questi è difficile. Oppure si potrebbe rinunciare ad alcune cose che
la Chiesa fa. Ma quali: i Grest? I restauri dei beni artistici?
Ma la Chiesa paga l'Ici sui suoi immobili?
Gli edifici ecclesiastici, a parte quelli per uso di culto e pastorale, l'Ici la pagano. Il Paolo VI la
paga. Le esenzioni di cui gode la chiesa non sono diverse da quelle riconosciute a sindacati e
attività sociali. Io sono d'accordo sul principio: se un edificio ecclesiastico viene usato per fare
reddito, deve pagare l'Ici. Già oggi, comunque, il bilancio dell'ente diocesi è stretto, e un po' in
passivo.
Lei ha deciso di affidare tale amministrazione a un laico, Mauro Salvatore.
E' un laico fidabile, che ha le competenze, ha amministrato la sede della Cattolica. Trovo
giusto che le responsabilità amministrative le prendano i laici. E' bene che i preti facciano il
più possibile i preti. Ascoltando le persone, facendo la direzione spirituale. Se no dove
troveremo nuovi sacerdoti?
Qualcosa preoccupa il vescovo di Brescia?
E' lo sfilacciarsi del tessuto di solidarietà che pure a Brescia è ancora molto robusto. Se
saremo tutti un po' più poveri, come scriveva Berselli, c'è il rischio che questo comporti una
guerra tra poveri, una chiusura, una minor disponibilità verso gli altri. Zoia, uno psicanalista,
ha parlato della "Morte del prossimo". Dagli anni '60 s'è prodotta la tendenza ad assolutizzare
il diritto del singolo. Questo si riflette oggi in una conflittualità diffusa, nella mancanza di
educazione nelle cose più normali, senza un'attenzione al disagio che si procura agli altri.
Magari non pagando le tasse. Per la Chiesa un peccato, anche se pochissimi lo confessano.
E poi c'è l'altro motivo di preoccupazione: la denatalità, che non ha solo effetti sociali sulla
sostenibilità del sistema pensionistico, ma rispecchia un atteggiamento poco fiducioso nei
confronti della vita, del futuro.
E i motivi di speranza quali sono, invece?
C'è un'etica del lavoro molto robusta, ed è ciò di cui c'è più bisogno in tempi di crisi. C'è una
grande capacità imprenditoriale, di creatività, di rischio. Infine c'è un grande senso di
solidarietà che resiste: la dotazione di istituzioni, di fondazioni impiantate per rispondere ai
bisogni delle persone è imponente. Brescia ha la capacità di camminare. Speriamo che la
situazione generale lo consenta.
Un tempo i laici si battevano per la propria autonomia in politica, oggi invocano benedizioni
dalle gerarchie ecclesiastiche. Lei come vede il rapporto Chiesa-politica?
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Dalla Chiesa i laici possono avere una stima enorme per il lavoro che fanno a livello
economico e politico. Circa posizioni ecclesiastiche in questo ambito, invece, io ci andrei
piano. Oggi ci sono due poli: come vescovo non ho intenzione di scomunicare nessun
cristiano, nè nell'uno nè nell'altro polo. Vorrei che i cristiani dei due poli non si sentissero
estranei o non accolti dalla Chiesa. Al tempo stesso a ciascuno pongo domande. A chi è nel
polo di sinistra chiedo se davvero è attento al bene personale e non piuttosto alle ideologie; a
chi è nel polo di destra se davvero è aperto alla responsabilità sociale verso il prossimo. La
comunità cristiana non deve sposare una posizione politica contro le altre. Apprezzo, invece,
una comunione fra i politici cristiani, con opinioni politiche diverse, uniti però da cose più
profonde e radicali. Si possono fare incontri non solo per pregare ma per condividere le
proprie opinioni.
Nello spirito di Todi?
Sì, quello va bene.
Il governo-Monti in qualche modo ne è figlio. Come lo giudica?
Qualunque altro governo non avrebbe potuto fare cose diverse. L'importante è che stia in
piedi. Lo dico da cittadino, non da vescovo.
Dal pulpito i preti ormai evitano temi «politici», che possano dividere i fedeli. E' giusto?
Su alcuni temi, come l'immigrazione, parlare è doveroso. Lì sono in gioco atteggiamenti
culturali di accoglienza, prospettive di fondo, di riconoscimento delle persone. Le difficoltà
sorgono quando sono in gioco analisi economiche e sociali. Il Vangelo non parla delle
liberalizzazioni, una valutazione su questi temi si può fare alla luce di una concezione sociale,
economica. Ma su questi temi non è che abbondino le competenze, nè mia nè dei preti. Oggi
non è più possibile adottare il metodo deduttivo: partire da un principio per ricavarne le
conseguenze operative. Oggi bisogna partire dall'osservazione del reale per cogliere le
possibilità di bene che la società mi offre.
C'è invece un'attenzione trasversale, diffusa anche nel clero di base, ai temi dell'ambiente,
alle battaglie ambientali. C'è una svolta «verde» della Chiesa? E' attesa anche una sua
lettera pastorale in materia...
Ci sto ancora lavorando. Prima ne scriverò una ai sacerdoti. L'attenzione all'ambiente è una
delle necessità contemporanee. La cura dell'ambiente è una forma di responsabilità verso le
generazioni future, entra nei nostri doveri. Il senso comune è miope: vede l'interesse
immediato ma fa fatica a capire cosa accadrà nel lungo periodo.
Il vescovo di Bergamo, il bresciano Francesco Beschi, ha firmato recentemente le due
proposte di legge delle Acli sul diritto di cittadinanza per i figli di immigrati nati in Italia, e sul
diritto di voto dopo 5 anni di permanenza in Italia. Lei come le giudica?
Bene. Soprattutto quella sul diritto di cittadinanza. Non avrei problemi a sostenerla.
E per il diritto di voto dopo 5 anni?
Sì nel caso del voto amministrativo.
Pensi a Brescia come un fedele che si confessa: qual è il comandamento più violato?
Vede, un mio vecchio professore in seminario indicava cinque precetti trascendentali: sii
attento, sii intelligente, sii critico, sii responsabile e sii innamorato che in inglese è "be in
love". Credo che quello di cui abbiamo più bisogno sia l'essere responsabili. Tenere conto
degli effetti che le nostre azioni hanno su tutti e sul bene degli altri: non essere individualisti,
non essere narcisisti, camminare verso un rapporto di fraternità, costruire legami di fedeltà.
E la penitenza? Da un confessionale non si esce senza una penitenza... Vedere quali
conseguenze negative per gli altri ha avuto una nostra scelta e farcene carico, sperimentarle.
E' come chiedere a un politico che ha autorizzato una discarica di andarci a vivere vicino...
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E' così. E' fare l'esperienza delle conseguenze delle nostre scelte. E' metterci al posto degli
altri.
2343 - UN NUOVO UMANESIMO, PER SALVARE IL MONDO - DI DARIO LODI
da: www.lucidamente.it di lunedì 2 gennaio 2012
Che l’Occidente sia in declino, lo si dice da tempo.
Karl Marx ne parla diffusamente riferendosi al prossimo crollo del capitalismo, chiave di volta
del sistema occidentale e ormai mondiale. Mai profezia fu più sbagliata. Il famoso declino
viene ufficializzato più tardi da Oswald Spengler: il suo famoso Tramonto dell’occidente è un
compendio storico sulla falsariga del nostro Giambattista Vico, con l’aggravante di un
pessimismo a tavolino.
Ma le cose sono decisamente cambiate con la globalizzazione e con il capitalismo finanziario
legato alla finanza vera e propria, non vincolato alla produzione. Il capitalismo industriale ha
fatto il suo tempo; come motore principale oggi ha poco senso. Quello finanziario, grazie
all’apertura dei mercati mondiali, può fare profitto in maniera molto più articolata, evitando, o
contenendo, confronti fisici. Il Novecento ha conosciuto due conflitti mondiali per la
supremazia economica determinata dalla produzione, troppa in mercati ristretti. Grazie al
successo della finanza, tutto il mondo è Occidente, inteso come sistema dominante: che il
sistema occidentale sia il migliore è dimostrato ampiamente dai fatti. Altro discorso è
l’anarchia comportamentale del capitalismo finanziario. Questa anarchia, però, è resa
possibile dalla lentezza delle reazioni governative, dalla incapacità relativa nel varare regole
rispettose dei diritti umani. I governi, tutti i governi di area occidentale, sono in difetto (quando
non sono conniventi): tappano solo buchi. L’intraprendenza finanziaria li coglie continuamente
di sorpresa.
La globalizzazione reca in prospettiva un certo progresso umano, ovvero se si interverrà
politicamente con senso sociale e civile, senza i quali non può che instaurarsi una sorta di
nazismo moderno. Le basi formali per il cambiamento ci sono: basti pensare alla redazione
della Carta dei diritti dell’uomo del 1948, ossia la ragione nei rapporti fra gli uomini al posto
dell’istinto naturale di sopraffazione. Ecco, non sappiamo ancora ragionare umanamente.
Insomma, urge un nuovo umanesimo, laico, responsabile, aperto e coraggioso, per salvare
questo mondo e la dignità dell’uomo.
2344 - IL MANIFESTO DEL VESCOVO DI BRESCIA - DI MASSIMO TEDESCHI
da: Corriere della sera di giovedì 19 gennaio 2011
La fede cristiana ai tempi della crisi implica un forte senso di responsabilità individuale e
comunitaria. Responsabilità significa «tenere conto degli effetti che le nostre azioni hanno su
tutti e sul bene degli altri: non essere individualisti, non essere narcisisti, camminare verso un
rapporto di fraternità, costruire legami di fedeltà».
Così il vescovo di Brescia, monsignor Luciano Monari, in una intervista pubblicata ieri sulle
pagine bresciane del Corriere. Quasi un manifesto tracciato dal vescovo di origini modenesi
(è nato a Sassuolo 69 anni fa), biblista allievo del cardinal Martini, che da quattro anni guida
la diocesi che ha dato i natali a Paolo Vl: un vivaio del cattolicesimo liberale e democratico,
un possibile snodo del nuovo protagonismo dei cattolici nella vita pubblica italiana.
Monari non usa la clava ruiniana dei «valori non negoziabili». Parte dall'osservazione del
reale «per cogliere le possibilità di bene che la società offre». Là dove sono in gioco valori
evangelici, la presa di posizione del vescovo di Brescia è netta. É il caso della tutela del
creato, cioè dell'emergenza ambientale, su cui Monari sta preparando una lettera pastorale. È
il caso del divario crescente fra i compensi dei grandi manager e quelli dei semplici lavoratori,
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che pone un tema di giustizia sociale e su cui vengono invocati «elementi equilibratori». É il
caso dell'accoglienza degli immigrati.
Come il vescovo di Bergamo, il bresciano Francesco Beschi, anche Monari si dichiara
favorevole alla proposta di legge delle Adi di riconoscere la cittadinanza italiana ai figli degli
immigrati nati in Italia (introducendo lo jus soli) e alla proposta di riconoscere il voto
amministrativo a chi è nel nostro Paese da almeno 5 anni.
Su altri temi politici e sociali c'è un forte investimento di fiducia sui laici e sulla loro autonomia.
Nessuna «scomunica» ai cristiani che militano a destra o a sinistra, ma un appello a entrambi
a incontrarsi «non solo per pregare, ma per scambiare le proprie opinioni». Nello spirito di
Todi.
Se non è un manifesto, poco ci manca. I martiniani sono tornati. E hanno trovato, forse, un
nuovo punto di riferimento.
2345 - TESTAMENTO BIOLOGICO UNA SCELTA DI LIBERTÀ - DI FULVIO TESSITORE
da: la Repubblica, edizione di Napoli – venerdì 20 gennaio 2012
Credo che non si possa passare sotto silenzio la decisione della giunta comunale di istituire il
registro dell’anticipata dichiarazione di testamento biologico. Credo che tutti gli uomini di
buona volontà, con in testa i credenti, dovrebbero condividere una siffatta decisione. Si tratta
di una dichiarazione di volontà, che nessuno può proibire ad alcuno di compiere, così come
non si vieta ad alcuno di testare, in piena libertà, dichiarando le proprie volontà.
Ciò che va previsto (credo sia quasi inutile dirlo) è che si conosca l’avvenuta richiesta di
iscrizione nel registro, ma non il suo contenuto, che può essere positivo o negativo e che va
conosciuto solo quando si determinassero le condizioni di un malanno irreversibile e solo da
chi deve gestire (medico o non medico) un malanno. Sono convinto che in una materia come
quella concernente la disponibilità della propria vita lo Stato non può e non deve intervenire
con qualsivoglia forma di prescrizione. Può solo definire le modalità entro le quali ogni
cittadino può, se vuole, far conoscere le proprie determinazioni.
E mi libero subito di un’obiezione, invero sufficientemente stupida o deliberatamente ipocrita.
Quella secondo cui una cosa è dichiarare, quando si è in piena salute, la volontà di non
essere sottoposto a qualsivoglia forma di “accanimento terapeutico”, e altra cosa è farlo
quando si teme vicina la fine. E' davvero una stupidità, che se affermata, intaccherebbe il
principio stesso del testare. Perciò è un assurdo la “dichiarata anticipata di trattamento”, che
è cosa molto vicina a una trappola. Come un comune testamento deve essere compiuto nella
piena capacità di intendere e volere, ossia da sano, quando si dispone di tutta la propria
energia, ciò vale ancor più per una decisione concernente la suprema forma di disponibilità.
Va garantita la possibilità di cambiare opinione, non impedire che questa venga manifestata e
che lo si faccia quando si è al tutto sereni, perché in pieno vigore e lontano dalle condizioni
che irideboliscono e rendono timorosi. In queste situazioni si può essere preda delle
determinazioni altrui, fossero pure quelle del medico in buona fede (non prendo neppure in
considerazione la strumentalizzazione) in base a propri convincimenti, che, se adoperati in
casi di malanno, verrebbero intaccati nella propria eticità.
Il primo e insuperabile carattere dell’etica è il ”rispetto”, il rifiuto della “lesione” di altri,
qualsiasi forma e modo di lesione. E poi qui si tratta di un bene supremo, di una “cosa ultima”:
la vita. Certo nascono problemi enormi, che andrebbero trattati con timido rispetto e non con
astuzia interessata. Specie da parte di chi ha avuto delegato l’esercizio di un potere, come è il
caso dei parlamentari, che, proprio per questa loro condizione, dovrebbero più di ogni altro
tacere, essere, appunto rispettosamente timidi.
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Immaginiamoci poi quando - come è purtroppo oggi in base a una legge elettorale insieme
incostituzionale e anticostituzionale - i parlamentari non sono degli eletti (scelti), ma dei
nominati da un gruppetto di persone (non elette da alcuno), che gestiscono il potere legato a
una ideologia o idea che sia. Oggi, i parlamentari, consapevoli e rispettosi della propria (si, la
propria) dignità, dovrebbero saper essere timidamente rispettosi e lasciare alla loro riflessione
le elucubrazioni in materia di vita, la vita degli altri.
La vita! Che cosa è la vita?
Rispondere è difficile, difficilissimo. Una cosa, però, si può dire ed è che vita non si dà, vita
non esiste se non si dà la responsabilità dell’esistere, la responsabilità di volere e poter volere
consapevolmente la propria esistenza. Altrimenti si cade nel materialismo più grossolano. E si
badi ciò vale per tutti, per chi non è religioso e per chi è religioso. Anzi, direi
provocatoriamente, specialmente per l’uomo religioso. Il cristiano (colui che crede secondo le
forme e i modi di una religione straordinaria, della quale s’è potuto sostenere e ragionare
l’assolutezza, l’eccezionalità) deve, dovrebbe sapere che il suo dio gli ha concesso il “libero
arbitrio”, perché non sa che farsene di uomini che non siano liberi, ossia capaci di sentire e
vivere la propria responsabilità (che significa rispetto), senza mistificazioni e ipocrisie. La
libertà perfino di sbagliare, che è una grande idea etica.
Del resto il cristiano, a differenza del laico, ha una doppia sicurezza, quella che «la vita non è
mai tolta, ma solo mutata” (vita mutatur, non tollitur) dalla morte fisica. Il cristiano credente ha,
dovrebbe avere una duplice certezza, a seconda del suo vivere in fedeltà o in contrasto coi
suoi princìpi: la sicurezza del premio nell’altra vita o la sicurezza della punizione.
Non ammettere la responsabilità dell’esistenza, significa ridurre la vita a un malloppetto
materiale di cellule, ipotizzare una ecologia dello spirito, che è una vera e propria blasfemia. Il
discorso qui non può essere proseguito. E va fermato.
2346 - RUSHDIE O CASTELLUCCI E’ FATWA - DI FEDERICO ORLANDO
da: Europa di giovedì 26 gennaio 2012
Cara Europa, martedì sono andato con mia moglie al teatro Franco Parenti a vedere l’opera
di Romeo Castellucci sul volto di Gesù, giudicata blasfema dagli integralisti cattolici (romani o
lefebvriani) e contestatissima a Parigi nello scorso autunno dai medesimi protagonisti. Mi
aspettavo chissà cosa, in piazza, invece, a qualche isolato di distanza, s’era concentrato un
centinaio di superbigotti veneti (la Vandea italiana) e i Militia Christi romani, quelli stessi che
erano andati a dir rosari e portare ceri davanti alla clinica friulana dove Eluana Englaro era
stata liberata dopo 17 anni di falsa vita e di tortura vera.
L’unica sorpresa è stata dover esibire i biglietti d’ingresso alla polizia, che in forze presidiava
il teatro, prima che alle maschere. Segno che lo stato c’è, come c’è l’amministrazione
comunale, fattasi garante della libertà della cultura con la stessa presenza fisica
dell’assessore Stefano Boeri.
Se con i clericali si potesse ragionare, ma non si può, chiederei: a cosa è valsa tutta la
tensione che avete creato con la vostra fatwa khomeinista, se non a fare enorme pubblicità
all’opera di cui volevate impedire la rappresentazione?
Andrea Poddestà, Milano
Risponde Federico Orlando
Ma, caro Poddestà, la censura è arma che può funzionare soltanto nei regimi dittatoriali, laici
o religiosi che siano. Nei regimi liberi, una censura minacciata, e peggio se attuata, è sempre
oggetto di dibattito civile e quindi i suoi effetti finali sono sempre un boomerang contro i
censori.
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Ero poco più che ragazzo, ma ricordo l’immensa popolarità che produsse nell’Italia postbellica
l’arresto di Renzi e Aristarco per il loro film L’Armata s’agapò sull’occupazione italiana della
Grecia, accusato dalla procura militare di vilipendio dell’esercito (s’agapò in greco significa “ti
amo”); o l’anatema di mons. Fiordelli vescovo di Prato contro un uomo e una donna
conviventi in coppia di fatto e da lui fulminati dal pulpito come «pubblici concubini».
Sono passati sessant’anni da quegli avvenimenti, ma nulla è cambiato nella mentalità
fondamentalista, come ha dimostrato il caso Englaro. Perché i fondamentalisti confondono fra
gli interessati consensi che ricevono dai politici (conservatori e fascisti) in parlamento e
l’opinione pubblica generale. E fanno un potpourri di religione, integralismo, fascismo, come
s’è visto anche martedì sera davanti al “Parenti”: dove una squadra d’azione di Forza Nuova,
picchiatori nazi di estrema destra, era andata ad esibirsi davanti alle forze dell’ordine, che li
ha sollevati di peso e scaricati tra quel centinaio di salmodianti che nella vicina piazza Libia
già litigavano fra loro per la presenza di un prete lefebvriano, che pretendeva di dir messa
volante su un camioncino.
Lei parla di fatwa contro Castellucci per la sua opera, ormai internazionale, Sul concetto di
volto nel figlio di Dio (volto prestato dalla sublime raffigurazione fattane di Antonello da
Messina): il Vaticano (secondo me sbagliando, ma non ho titolo per dirlo) l’ha definito
«spettacolo che offende i cristiani», e alcuni deputati nordisti hanno bandito la crociata
parlamentare: Lussana e Polledri della Lega, Santolini dell’Udc, Pagano del Pdl...
Comunque, per noi laici che siamo assolutamente indifferenti all’orientamento culturale di
un’opera e preferiamo farcene una libera opinione dopo averla conosciuta, l’unica cosa che
conti in queste vicende è che lo stato garantisca l’espressione di tutti gli orientamenti culturali,
non consentendo ad alcuno di imporre con la prepotenza la propria opinione agli altri.
È ciò che han fatto il comune di Milano, il teatro Parenti, i ministri dell’interno, dei beni
culturali, della giustizia e del lavoro, a cui s’erano indirizzati lamenti e minacce. La fatwa,
ovvero la condanna fino all’assassinio in nome di Dio, pronunciata da un barbone in tonaca
bianconera, da noi non funziona. Ci proteggono secoli di illuminismo, razionalismo,
liberalismo, istituzioni rivoluzionarie e rappresentative.
Al povero Salman Rushdie è stato proibito dalle autorità indiane, alla faccia della “più grande
democrazia del mondo”, di partecipare il 24 gennaio al Salone del libro di Jaipur, la più
grande kermesse letteraria dell’India. I fondamentalisti musulmani non ne gradivano la
presenza. Ma l’Italia non è l’India, e men che meno l’Iran. E i versetti satanici hanno lo stesso
diritto di circolarvi dei versetti angelici. Bisogna che si rassegnino
2347 - CATTOLICESIMO POLITICO: UN FALSO IDEOLOGICO - DI MARCELLO VIGLI
da: www.italialaica.it di giovedì 26 gennaio 2012
Nella riunione del 23 gennaio il Consiglio permanente della Cei ha confermato il suo proporsi
come soggetto impegnato a partecipare alla vita politica italiana alla pari con partiti e parti
sociali. Nella sua prolusione il Presidente cardinale Bagnasco, mentre riconosce che non
spetta a noi Vescovi parlare di tempi e modi, azzarda analisi della situazione italiana e
propone soluzioni ai problemi aggiungendo che a noi però spetta ricordare che la conversione
a fare bene, a riguadagnare stima e fiducia è sempre possibile e doverosa.
Così, dopo aver evocato lo scenario in ambito internazionale, ne evidenzia le ricadute e le
specificità italiane. L’Italia appare particolarmente in angustia a motivo di sanzioni e
bocciature che possono apparire un declassamento, agli occhi del mondo, di noi che mai ci
siamo risparmiati per generosità e universalismo. E tuttavia un esame di coscienza – rigoroso
e spassionato – si impone, per scongiurare il rischio di un autolesionismo spesso in agguato
specie nei momenti di cambiamento. Ad esso però sembra non essere chiamata la Cei che
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non si interroga sul ruolo svolto nell’era del berlusconismo, nei confronti del quale non
nasconde un giudizio positivo, come emerge dal consenso senza riserve al nuovo governo
Monti.
Decisa è invece la rivendicazione della assidua, capillare presenza della componente
ecclesiale nell’azione di supplenza nell’ambito dei servizi sociali e sanitari attraverso
parrocchie, centri della Caritas, conventi, gruppi di fedeli, iniziative basate sul micro-credito e
quattrocentoventimila operatori. Interessante, però, la considerazione che l’accompagna: il
che non può non sospingere ormai ad una “carità di popolo” che si faccia “carità di sistema”.
Lo diciamo sottovoce per non aver l’aria di chi, per questo, ha da avanzare pretese. Non
chiediamo privilegi, né che si chiuda un occhio su storture o manchevolezze.
In verità lo è anche un’altra dichiarazione, che ha avuto grande eco nei media, Evadere le
tasse è peccato. Per un soggetto religioso questo è addirittura motivo di scandalo. È un
ritorno alla denuncia del peccato sociale, oscurato, negli ultimi tempi, dalla insistenza sui
valori irrinunciabili. Significativo è anche il tentativo di dettare un’agenda al governo
invitandolo, fra l’altro, a pagare in tempo i suoi debiti con i cittadini, e ad occuparsi della
situazione dei penitenziari italiani oltre che della famiglia e del ... riposo domenicale da non
sacrificare alle esigenze del mercato.
Di questa complessa strategia politica la Cei assume la piena responsabilità lasciando ai laici
e alle loro diverse iniziative di collegamento, di cui Bagnasco offre un’ampia rassegna, il
compito di farsi quel “soggetto unitario diffuso” che da una parte si offre come palestra
formativa, e dall’altra come laboratorio stimolante per la riconsiderazione dell’alfabeto della
società e della politica.
Nell’agenda politica della Cei, infatti, non sembra esserci un ritorno alla Dc, almeno in questa
fase. Ad esso sembrano invece interessati i cattolici impegnati nei partiti e nel governo per
accreditasi, in concorrenza fra loro, come rappresentativi dell’intero mondo cattolico e
legittimati dalla gerarchia. Anche dall’esterno grande è l’interesse per tale ritorno, magari per
esorcizzarlo, come è evidente nella folkloristica giustificazione offerta da Bossi ai suoi fedeli
per il ritardo nell’inizio della manifestazione in piazza Duomo a Milano sabato 21 gennaio:
Avete notato che abbiamo iniziato in ritardo - ha detto il Senatur - Lo abbiamo fatto perché
celebrava messa in duomo un nostro amico che è arcivescovo di Milano ed è stato patriarca
di Venezia. Uno nato a Lecco che il papa nella sua saggezza ha mandato qua. Uno dei
nostri: il cardinale Angelo Scola.
Arruolarlo non serve solo a fare breccia fra quei cattolici che hanno salutato con gioia la fine
dell’era Martini-Tettamanzi, ma anche a lanciare un messaggio a quelli di Comunione e
Liberazione, di cui Scola è punto di riferimento, in libera uscita per la crisi della gestione
Formigoni in Lombardia.
Casini si rivolge, invece, ai cattolici democratici scrivendo in un messaggio diffuso tramite
Twitter: Siamo pronti a superare l’Udc per far nascere un soggetto aperto ai nuovi
protagonisti della politica. Appello ai coraggiosi: uniamoci! Uniti nel sostenere il governo Monti
in alleanza/concorrenza con il terzetto Osnagri, Passera, Riccardi che del governo sono uno
degli assi portanti. Questi, in verità, sembrano volersi allineare alla scelta della Cei di
realizzare il superamento della contrapposizione fra partito dei cattolici o loro diaspora, con il
riconoscimento che, nel qualificarsi come tali, si costituiscono come portatori di una visione
specifica del mondo, ma capaci, al tempo stesso, di porsi in dialogo con le altre forze sociali
lasciando la alla gerarchia rappresentanza politica.
Pur diversi fra loro questi progetti non abbandonano lo schema di un cattolicesimo inteso
come orientamento culturale, distinto dai contenuti di fede della Comunità ecclesiale, capace
di ispirare l’azione politica. In verità tale “cattolicesimo” ha solo la funzione di copertura
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ideologica di scelte e posizioni politiche, da cui trae,di volta in volta, specificità: liberale,
democratico, sociale...
A questo schema sembra ispirarsi anche Paolo Bonetti nella sua riflessione sul cattolicesimo
liberale. Pienamente condivisibile la sua valutazione positiva dell’apporto dei cattolici non
clericali al Risorgimento e di quelli non integralisti alla costruzione della Repubblica dalla
Costituente al referendum del 1974. Altrettanto puntuale e significativa è l’indicazione delle
quattro questioni fondamentali che attengono a un corretto rapporto fra Stato e Chiesa
cattolica per le quali si chiede l’impegno a garantire sempre e comunque che sia rispettata la
legge fondamentale dello Stato repubblicano pur senza rinunciare ad operare secondo i loro
convincimenti morali.
E’ questa, però, una regola che vale per tutti e non solo per i cattolici. Il finanziamento delle
scuole private con soldi pubblici, purtroppo, è preteso anche da molti non cattolici in nome dei
principi liberali. Al riconoscimento delle unioni fra omosessuali si oppongono fascisti e razzisti
atei conclamati. Infine, le coscienze di credenti e non credenti sono ugualmente interrogate
dalla questione bioetica. Forse ai cattolici va preliminarmente chiesto di riconoscere che il
“cattolicesimo” ideologizzato è oggi l’instrumentum regni di quella parte della gerarchia
ecclesiastica che non intende rassegnarsi e cerca di riassumere il ruolo politico, frutto della
svolta costantiniana, sottrattole dal trionfo della modernità.
Quello che si deve pretendere da loro è l’autonomia di giudizio e di scelta nei confronti delle
indicazioni o dei diktat della gerarchia in tutte le questioni politiche, anche quelle in cui ci sono
valori ritenuti irrinunciabili, in coerenza con quanto è stato chiarito dal Concilio Vaticano II che
attribuisce ai laici la responsabilità di ispirarsi al messaggio evangelico nel partecipare alla
definizione delle regole del viver civile.
2348 - GESÙ, UN UOMO - DI AUGUSTO CAVADI
da: www.cronachelaiche.it di venerdì 27 gennaio 2012
Che cosa riteniamo di sapere sul cristianesimo? (Quasi) tutto. Che cosa sappiamo davvero?
(Quasi) niente. E’ una presunzione di informazione che condividiamo un po’ tutti gli italiani
(credenti, atei o agnostici): preti e suore non meno di chi non mette mai piede in chiesa. Sulla
base di questo “supposto sapere” ci dichiariamo cristiani o meno.
Ma quanto c’è di vero – cioè di storicamente e biblicamente attendibile – nell’idea di
cristianesimo che diamo per scontata, per ovvia, per stranota sia quando l’abbracciamo con
entusiasmo sia quando la rigettiamo con sdegno? Lo so; la domanda è imbarazzante. Può
risuonare persino impertinente nell’epoca in cui sembra di dover optare per un’alternativa
secca: o credere dogmaticamente o non credere per nulla. Eppure, se qualcuno nutre almeno
un piccolo dubbio sulla propria conoscenza del cristianesimo, ha a disposizione non solo libri
grossi e impegnativi ma – da qualche mese – anche un volumetto più agile da tenere in mano
e, soprattutto, da consultare. In “Chi è Gesù di Nazareth? Nuove idee dopo il Concilio” di Elio
Rindone, docente di filosofia e baccelliere in teologia, con tono dimesso, direi mansueto,
rivolta come un calzino bucato la dottrina cristiana, anzi – più limitatamente – cattolica, in
circolazione e restituisce una rappresentazione della persona e della vita di Cristo molto più
aderente alle fonti scientificamente studiate.
Nell’impossibilità di ripercorrere le tappe della sua analisi, vado subito all’essenziale, alla
chiave di volta da cui dipende l’intera costruzione: chi è stato Gesù? La dogmatica cattolica,
fedelmente riprodotta e divulgata dalla catechesi, risponde: una Persona divina (la seconda
persona della Santissima Trinità) che, senza cessare di essere Dio, ha assunto anche la
natura umana (dunque un’anima e un corpo in tutto simili ai nostri). Egli è “vero Dio e vero
uomo”.
25
Ebbene, questa risposta non è risultata soddisfacente nel IV secolo quando è stata formulata
dal Concilio di Nicea; non è stata accettata in questi due millenni da una serie di chiese
cristiane legate al modo di esprimersi dei primi tre secoli; non convince più – neppure oggi –
centinaia, anzi migliaia di teologi cristiani di ogni confessione religiosa. Per tante ragioni, la
più seria delle quali è che non si tratta di una dottrina fondata sulla Scrittura (cioè sulla fonte
principale della fede per qualsiasi cristiano).
Quest’ultima asserzione può suscitare stupore (almeno in chi legga la Bibbia in generale, i
vangeli in particolare, con occhi ingenui, del tutto privi di quell’attrezzatura esegetica con cui
ormai da decenni abbiamo imparato a leggere l’Iliade o l’Eneide o la Divina Commedia): non
dicono forse gli evangelisti, più volte, che Gesù è “il figlio di Dio”? Come negare che egli si è
presentato come un semplice profeta, bensì come l’incarnazione unica e irripetibile del Dio
eterno?
Per secoli l’umanità ha creduto che Ettore e Achille siano stati personaggi storici; che Enea
abbia davvero portato il padre Anchise sulle spalle; ricordo che anche mia nonna abbassava
la voce quando mi confidava che, secondo lei, maestra elementare, non era vero che Dante
era sceso all’inferno e ne era risalito poi sino al paradiso.
Oggi non lo crediamo più e insegniamo ai nostri ragazzi, appena quattordicenni, a distinguere
il significato delle parole nel mondo greco, nel mondo romano, nel mondo medievale e nel
mondo contemporaneo. Così i biblisti non hanno più dubbi: oggi “figlio di Dio” significa, o può
significare, “Essere trascendente della stessa natura di Dio” , ma nel I secolo dell’era cristiana
significava, senza possibilità di equivoci, “Messia, Servo e Unto del Signore, Inviato”. Dunque
Gesù non ha mai preteso di essere più che un uomo né i suoi discepoli lo hanno adorato
come adoravano Javhé.
Credere in lui non significa accettare una matematica paradossale (1+1+1=1), bensì qualcosa
di più facile da capire e di più difficile da vivere: che la nostra esistenza ha senso solo se
viviamo l’agape del Padre, solo se pratichiamo quotidianamente la sua donazione totale e
gratuita a tutti, a cominciare dagli impoveriti della terra.
Queste scoperte, che il Concilio Vaticano II (cui allude il sottotitolo del libro) ha reso un po’
meno segrete, possono suscitare reazioni assai diverse. Ci limitiamo solo alle reazioni di
quanti hanno accettato di informarsi e che hanno realmente capito la posta in gioco.
La prima è anche la più diffusa: e chi se ne frega? Io non ho mai creduto, già per conto mio,
che Gesù fosse Dio, anzi non credo neppure che esista un Dio qualsiasi: questi dibattiti sono
controversie clericali che non si scalfiscono.
Una seconda reazione è, in qualche modo, di segno opposto: la mia fede non si è mai basata
sullo studio delle fonti cristiane, dunque non dipende dai mutamenti di opinione fra gli esperti.
Per me Gesù è un mito: un mito che dà senso alla mia vita e, spero, alla mia morte. Sono
entrato in comunione con lui attraverso canali che non hanno nulla a che fare con la ragione,
le scienze bibliche, storiche e letterarie: e i miei canali continueranno a funzionare comunque,
a prescindere da cosa gli studiosi potranno appurare, con maggiore o minore certezza.
Una terza reazione, decisamente di minoranza, è invece un insieme di sospiro di sollievo e di
rimboccamento di maniche. Un sospiro di sollievo: Dio non mi chiede di credere in enigmi
metafisici, in dogmi misteriosi (Tre persone della stessa natura, una Persona con due
nature)… ma mi parla attraverso un uomo concreto, reale, che ha sperimentato una relazione
intima col Padre comune (in questo senso è per me un modello da imitare) ma anche
momenti di angosciosa solitudine e di terrore davanti alla morte (in questo senso è per me un
compagno che ha percorso la stessa strada che mi attende).
Gesù Cristo non è dunque il Pantocrator che mi fissa – tenero ma lontanissimo – dall’interno
della cupola dello splendido Duomo di Monreale: è piuttosto un viandante di Galilea che ha
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vissuto intensamente la fedeltà al progetto salvifico di Dio per questa terra, per questa
società.
Se tutto ciò mi libera dal timore di non avere mai abbastanza fede (chi è davvero convinto
della dogmatica cristiana?), non per questo mi deresponsabilizza. Anzi! Mentre prima –
quando credevo di credere – ritenevo che il più fosse fatto, adesso capisco che credere che
Gesù è stato illuminato da Dio non è la méta, bensì l’inizio: se è mio fratello, ciò che a lui è
stato possibile, è chiesto anche a me. Non ho alibi. Anch’io sono chiamato come lui a vivere
ogni giorno, col desiderio e con le pratiche, l’avvento del regno di Dio: un regno di solidarietà,
di convivialità, di condivisione. Rispetto a questo progetto di vita, in cui consiste la ‘vera’ fede,
sono sempre indietro.
E non resta che la preghiera di Kierkegaard: «Salvaci dall’errore di volerti ammirare o
adorare rapiti di ammirazione invece di voler imitarti e assomigliarti» .
2349 - HANS KÜNG: IL MALATO PUÒ SCEGLIERE SULLA SUA VITA – DI L. GRANELLO
da: la Repubblica di domenica 29 gennaio 2012
Udine. “Nessuno può mettere in dubbio che Hans Küng è un teologo cattolico”. Aprendo la
conversazione pubblica organizzata a margine del premio tra il neo vincitore e Antonio
Damasio, illustre neuroscienziato e membro della giuria, Armando Massarenti puntualizza la
vocazione religiosa e lavorativa del sacerdote svizzero.
A metterla in discussione, nei giorni scorsi, la Curia di Udine, indispettita per la passerella
offerta a Küng ferocemente critico verso il Vaticano su temi assai sensibili, dalla
contraccezione all’infallibilità del Papa. Sollecitato da Damasio e Massarenti, Küng non ha
deluso le aspettative dei tanti che hanno affollato il Teatro Nuovo, ribadendo che l’etica non è
una questione così complicata, «bastano due principi, ovvero trattare umanamente tutti gli
essere umani e non fare agli altri ciò che non si vorrebbe fosse fatto a sé, più i quattro
comandamenti alla base di tutte le tradizioni religiose: non uccidere, non mentire, non rubare,
non abusare sessualmente».
Mentre Damasio raccontava le sue convinzioni di neurologo, sicuro che le emozioni
determinino i comportamenti e di come compassione e ammirazione siano sentimenti
fondamentali nella costruzione della società e dei comportamenti razionali, Küng annuiva
“non è necessario ci sia un conflitto tra religione e scienza, non si deve discutere di scienza
con la Bibbia in mano... La Bibbia può dirci altro. Tutta la realtà ha un’origine. E malgrado le
grandi discussioni a Cambridge sul Big Bang e le speculazioni matematiche, per sapere
come e perché tutto è cominciato si deve fare un atto di fede, di fiducia. Secondo me, è una
fiducia ragionevole, più che pensare che tutto viene dal nulla e finisce nel nulla».
Ma Küng è andato oltre. Nella città dove è morta Eluana Englaro, le sue parole sono suonate
alte e forti: «L’uomo ha la responsabilità di sé fino alla fine. Sono obbligato ad aspettare di
diventare demente? Io non lo credo. Non è una posizione atea perché credo in Dio e nella
vita eterna. Do la mia vita a Dio e chiedo di prendere congedo in un modo degno». Applausi
scroscianti hanno accompagnato le parole di chiusura: «Autorità significa dare limiti ma anche
libertà. Chi dà solo limiti, fa dell’autoritarismo. Che io rifiuto, nello Stato come nella Chiesa».
2350 - DAI RICORDI AI DATI. L’OBLIO È UN DIRITTO? - DI STEFANO RODOTÀ
da: la Repubblica di lunedì 30 gennaio 2012
Dalla cancellazione alla imposizione. Ieri la damnatio memoriae, oggi l’obbligo del ricordo.
Che cosa diviene la vita nel tempo in cui "Google ricorda sempre"? L’implacabile memoria
collettiva di Internet, dove l’accumularsi d’ogni nostra traccia ci rende prigionieri d’un passato
destinato a non passare mai, sfida la costruzione della personalità libera dal peso d’ogni
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ricordo, impone un continuo scrutinio sociale da parte di una infinita schiera di persone che
possono facilmente conoscere le informazioni sugli altri. Nasce da qui il bisogno di difese
adeguate, che prende la forma della richiesta di diritti nuovi – il diritto all’oblio, il diritto di non
sapere, di non essere "tracciato", di "rendere silenzioso" il chip grazie al quale si raccolgono i
dati personali.
La cancellazione della memoria, l’oblio forzato sono antiche tecniche sociali. A Roma, per i
condannati per fatti gravissimi, v’era la damnatio memoriae, l’eliminazione d’ogni traccia che
potesse mantenerne il ricordo: scomparso il nome dalle iscrizioni, distrutte le immagini e le
statue. In Francia, nel 1598, dopo una stagione di guerre laceranti, l’Editto di Nantes stabilì
"che la memoria di tutte le cose accadute da una parte e dall’altra, dall’inizio del mese di
marzo 1585 fino al nostro avvento al trono, rimanga spenta e assopita come di cosa non
avvenuta. Vietiamo a tutti i nostri sudditi, di qualunque ceto e qualità siano, di rinnovarne la
memoria". Solo la liberazione dalle tossine del ricordo poteva consentire il ritorno alla
normalità sociale.
Un confronto con i nostri tempi mostra come queste impostazioni possano essere rovesciate.
In paesi usciti da regimi dittatoriali, commissioni per la verità e la riconciliazione, sul modello
creato nel 1995 dal governo sudafricano, hanno messo in evidenza l’importanza di una luce
piena sul passato per una riconciliazione fondata sulla costruzione di una memoria
"condivisa".
Per quanto riguarda le persone, la vera damnatio è ormai rappresentata dalla conservazione,
non dalla distruzione della memoria. Che cosa diventa la persona quando viene consegnata
alle banche dati e alle loro interconnessioni, ai motori di ricerca che rendono immediato
l’accesso a qualsiasi informazione, quando le viene negato il diritto di sottrarsi allo sguardo
indesiderato, di ritirarsi in una zona d’ombra?
Questa domanda è occasionata da un cambiamento tecnologico, ma illustra un mutamento
antropologico. Non a caso si parla di persona "digitale", disincarnata, tutta risolta nelle
informazioni che la riguardano, unica e "vera" proiezione nel mondo dell’essere di ciascuno.
Non un "doppio" virtuale, dunque, che si affianca e accompagna la persona reale, ma la
rappresentazione istantanea di un intero percorso di vita, un’espansione senza limiti della
memoria sociale che condiziona la memoria individuale. Il mutamento di qualità della
memoria sociale nasce dapprima con la creazione di banche dati sempre più gigantesche,
che rendono possibile la raccolta di tutte le informazioni disponibili, i loro collegamenti, la loro
massiccia diffusione. Ma il vero cambiamento si ha quando Internet fa sì che quelle
informazioni siano accessibili a tutti attraverso motori di ricerca che le "indicizzano", le
organizzano e le rendono suscettibili non solo di più diffusa conoscenza, ma di rielaborazioni
continue.
Si crea così un contesto che neutralizza le modalità che storicamente avevano consentito il
sottrarsi ad una sorta di dittatura implacabile della memoria sociale. Limitate, fino a ieri, le
possibilità di raccolta delle informazioni; ardua o impossibile una loro conservazione totale;
lontani o difficilmente accessibili gli archivi; ristrette le opportunità di una diffusione su larga
scala. In alcuni casi, come quello americano, vi era poi il contrappeso della "frontiera",
dimensione non soltanto fisica come ci ha ricordato Frederick Turner, ma luogo d’ogni
opportunità e di rinascita della persona libera dal passato. E poi la possibilità di scomparire,
cambiando nome, immergendosi nella "folla solitaria" delle metropoli.
Tutto questo è oggi cancellato dalla "tracciabilità" consentita dalle raccolte di massa delle
informazioni, dal fatto che la folla non è più solitaria, ma "nuda", restituita ad una realtà nella
quale ogni individuo è scrutato, schedato, ricondotto ad una misura che lo rende riconoscibile
e riconosciuto. Sembra scomparire l’antica alternativa intorno alla quale tanti si sono affaticati.
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La memoria come accumulo di esperienza e saggezza o peso insostenibile del quale
liberarsi? L’oblio come condanna o come risorsa? Se pure vi fosse un fiume Lete dove
abbeverarsi, per cancellare ogni ricordo, Internet rimarrebbe lì, implacabile, con la "sua"
memoria che si imporrebbe alla nostra.
Qui è la ragione di una discussione sul "diritto all’oblio" che si diffonde in ogni luogo, tema
divenuto cavallo di battaglia della commissaria europea Viviane Reding e che ha trovato
riconoscimento nelle nuove norme europee sulla privacy.
Liberarsi dall’oppressione dei ricordi, da un passato che continua ad ipotecare pesantemente
il presente, diviene un traguardo di libertà. Il diritto all’oblio si presenta come diritto a
governare la propria memoria, per restituire a ciascuno la possibilità di reinventarsi, di
costruire personalità e identità affrancandosi dalla tirannia di gabbie nelle quali una memoria
onnipresente e totale vuole rinchiudere tutti. Il passato non può essere trasformato in una
condanna che esclude ogni riscatto.
Non a caso, già prima della rivoluzione tecnologica, era prevista la scomparsa da archivi
pubblici di determinate informazioni trascorso un certo numero di anni. La successiva "vita
buona" era considerata ragione sufficiente per vietare la circolazione di informazioni relative a
cattivi comportamenti del passato. Soprattutto negli Stati Uniti le leggi prevedevano minuziose
casistiche riguardanti le attività economiche, tanto che dopo quattordici anni non si poteva
dare notizia neppure d’una bancarotta. Ombra protettrice di Max Weber, con l’etica
protestante a dare una mano a chi, benedetto dal successivo successo negli affari, doveva
considerarsi assolto da ogni precedente peccato?
Nelle regole di oggi, rinvenibili nei paesi più diversi, si va dal diritto della persona di chiedere
la cancellazione di determinate informazioni al potere di impedirne la stessa raccolta; al
divieto di conservare i dati personali oltre un tempo determinato e di trasmetterli a specifiche
categorie di persone (i datori di lavoro, ad esempio). E si prospettano ipotesi radicali: la
cancellazione della gran parte delle informazioni dopo dieci anni, una tabula rasa che
consentirebbe a ciascuno di ripartire liberamente da zero e riscatterebbe la persona dalla
servitù d’essere considerata come semplice produttore d’informazioni.
Ma il punto chiave sta nel rapporto tra memoria individuale e memoria sociale.
Può il diritto della persona di chiedere la cancellazione di alcuni dati trasformarsi in un diritto
all’autorappresentazione, alla riscrittura stessa della storia, con l’eliminazione di tutto quel che
contrasta con l’immagine che la persona vuol dare di sé? Così il diritto all’oblio può
pericolosamente inclinare verso la falsificazione della realtà e divenire strumento per limitare
il diritto all’informazione, la libera ricerca storica, la necessaria trasparenza che deve
accompagnare in primo luogo l’attività politica. Il diritto all’oblio contro verità e democrazia? O
come inaccettabile tentativo di restaurare una privacy scomparsa come norma sociale,
secondo l’interessata versione dei nuovi padroni del mondo che vogliono usare senza limiti
tutti i dati raccolti?
Internet deve imparare a dimenticare, si è detto, anche per sfuggire al destino del Funes di
Borges, condannato a tutto ricordare. La via di una memoria sociale selettiva, legata al
rispetto dei fondamentali diritti della persona, può indirizzarci verso l’equilibrio necessario nel
tempo della grande trasformazione tecnologica.
2351 - CANADA: IL 67% DEI CANADESI FAVOREVOLI AL SUICIDIO ASSISTITO
da: National Post - Tom Blackwell reporting – del 29 dicembre 2011
Toronto. Un recente sondaggio di Forum Research rende noto che più di due terzi dei
canadesi sono favorevoli alla legalizzazione del suicidio assistito da parte dei medici. Il
sondaggio ha provocato, ancora una volta, un acceso dibattito in tutto il paese. I sostenitori di
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entrambi gli schieramenti riconoscono peraltro che i risultati del sondaggio non sono una
sorpresa, e ritengono che non spetti all'opinione pubblica forzare se cambiare la legge
attuale, ora sotto esame della Corte Federale per un caso molto contestato.
I sostenitori della legalizzazione del suicidio assistito ritengono che la legge vada cambiata
per il rispetto dei diritti umani che trascende gli atteggiamenti popolari; gli avversari
appoggiano il cambiamento della legge in vigore affinché siano migliorate le cure alla fine
della vita per rendere la morte più confortevole.
Il sondaggio, condotto il 13 dicembre, ha riguardato 1.160 adulti. Le percentuali favorevoli al
suicidio assistito variano dal 60% nelle province Prairie all'81% in Quebec.
2352 - CONSIGLIO D’EUROPA: SI’ AL TESTAMENTO BIOLOGICO
Strasburgo, 26 Gennaio 2012 – Sì al testamento biologico, ma un fermo no all'eutanasia e al
suicidio assistito. Questo il concetto chiave contenuto nella risoluzione votata dall'Assemblea
parlamentare del Consiglio d'Europa in cui si chiede ai governi dei 47 Stati membri di
emanare leggi che permettano ai loro cittadini di esprimere la propria volontà sui trattamenti e
le cure che desiderano ricevere in caso che nel momento in cui i medici debbano prendere
una decisione non siano più in grado di indicare cosa desiderano.
Nel documento arrivato in aula mancava qualsiasi riferimento all'eutanasia o al suicidio
assistito, ma un certo numero di parlamentari, tra cui gli italiani Luca Volontè (Udc) e Renato
Farina (Pdl) hanno insistito per avere una sorta di clausola che specificasse che la risoluzione
non trattava queste due questioni e che ''l'eutanasia, intesa come l'uccisione volontaria o per
omissione di un essere umano dipendente per il suo supposto beneficio dovrebbe essere
sempre proibita''.
Nella risoluzione viene anche chiesto agli Stati che non lo hanno ancora fatto, come l'Italia, di
ratificare e attuare in ogni sua parte la Convenzione sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina,
conosciuta anche come Convenzione di Oviedo. L'Assemblea stila una lista di principi e di
misure concrete che gli Stati devono seguire nel regolamentare il testamento biologico, come
quella di evitare moduli complicati o oneri troppo alti in modo da assicurare che tutti possano
accedere al testamento biologico.
Commento
Nonostante il riferimento in negativo ad eutanasia e suicidio assistito, dobbiamo leggere in
positivo questa Risoluzione rivolta ai 47 Paesi membri dell'Unione affinché sia attuata in ogni
sua parte la Convenzione di Oviedo (1997). Vi si invitano i singoli Governi a normare il
Testamento Biologico rispettando una lista di principi minimi comuni.
Maria Laura Cattinari
Commento
La notizia è senz'altro positiva ed è la conferma della giustezza della battaglia che
LiberaUscita sta conducendo in Italia da ormai dieci anni. Adesso il problema italiano sarà
passare dal dire al fare. Non credo che il Governo "tecnico" attuale si caricherà di questo
spinoso adempimento - anche se il Vaticano si sarebbe "dichiarato soddisfatto" della presa di
posizione del Consiglio d'Europa - per cui dovremo attendere le prossime elezioni politiche e
sperare che "il vento cambi" veramente.
Aggiungo che la clausola inserita da Luca Volontè e Renato Farina può essere condivisa,
purché si continui precisando che "L'eutanasia, intesa come assistenza al suicidio di una
persona che chiede e vuole porre fine alla sua vita per non prolungare le sue sofferenze,
dovrebbe essere sempre consentita". Il termine "eutanasia" significa infatti, in italiano ma
anche in tutte le lingue, "buona morte". E la "buona morte" non esiste quando la persona
interessata non la vuole ed anzi si oppone. Usare il termine "eutanasia" per giustificare
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uccisioni di massa, come accaduto ad Auschwitz, o omicidi singoli, come fanno Volontè e
Farina, è un modo indegno e falso di travisare la realtà a scopi interessati.
Giampietro Sestini
Citazione
“L’uomo ha la responsabilità di sé fino alla fine. Sono obbligato ad aspettare di diventare
demente? Io non lo credo. Non è una posizione atea perché credo in Dio e nella vita eterna.
Dò la mia vita a Dio e chiedo di prendere congedo in un modo degno”.
Hans Küng – Udine, 28 gennaio 2012 (la Repubblica - 29.1.2012 – vedi sopra)
2353 - ANCHE A NAPOLI IL REGISTRO DEI TESTAMENTI BIOLOGICI
Cari amici di Liberauscita,
vi informo che In data venerdì 13 gennaio il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, in una
conferenza stampa ha annunciato la prossima presentazione in Consiglio comunale di una
proposta della Giunta per istituire il registro dei testamenti biologici.
(vedi: http://www.youtube.com/watch?v=vEA60bNWC68&feature=share).
All'elaborazione del documento di sintesi approvato dalla Giunta ha preso parte la sezione
campana della Consulta di Bioetica, che ha riferito tra l'altro ".... il documento risulta per molti
versi fortemente innovativo... avendo valutato le esperienze già condotte in altre città, il
documento ha inteso superare i limiti e le difficoltà di queste stesse esperienze, proiettando
Napoli in una posizione avanguardistica e pioneristica nel campo della bioetica italiana".
Tutto ora è quindi nelle mani del Consiglio Comunale: se adotterà una decisione conforme,
consentirà che Napoli si affianchi alle altre città italiane con vocazione di "città laiche".
Un articolo del Corriere del Mezzogiorno di ieri 15 gennaio (inserto giornaliero cittadino del
Corriere della Sera) nel commentare tale delibera riferisce che "...manca però ancora allo
stato una normativa di riferimento precisa ..." e che "...l'argomento rischia di generare nuove
frizioni, stavolta non tra maggioranza e opposizione politica bensì in seno a tutti gli
schieramenti, dividendo cattolici da laici".
Ed infatti beghe sono già sorte, ad esempio, in seno alla stessa Italia dei Valori, con la
contrapposizione - con varie motivazioni - tra il giudizio di approvazione espresso dal vice
presidente del consiglio comunale e la bocciatura di un altro consigliere.
L'amministrazione comunale - riferisce il giornalista - "sa bene di essere intervenuta su una
materia che va disciplinata da una normativa nazionale".
Non poteva non esprimersi in maniera negativa il sen. del Pdl Calabrò, noto relatore del
progetto di legge sul testamento biologico, del quale il giornalista riporta le seguenti
affermazioni "...l'iter della legge in parlamento è in via di definizione e la normativa sarà
varata entro la prossima estate....anticipare un registro comunale senza agganci normativi
nazionali significa soltanto promuovere un'iniziativa ideologica che può fuorviare
l'orientamento dei cittadini e rovesciare rischi di responsabilità medico-legale sugli operatori
sanitari ..,..".
Si contrappone la dichiarazione del sindaco De Magistris secondo cui " l'istituzione del
registro non interferisce con le competenze dello Stato" : nella delibera poi la Giunta - riferisce
sempre il giornalista - ha indicato che "..la legittimità dell'azione comunale trova fondamento
nelle funzioni amministrative del Comune che riguardano la popolazione e il territorio,
precipuamente nei settori dei servizi alla persona e alla comunità".
Vi terrò informati sugli sviluppi.
Francesco Porcellati
responsabile di Libera Uscita per la Campania
31
Commento. Nel merito delle notizie inviateci dal ns. responsabile per la Campania non
possiamo non aggiungere un commento:
- non è esatto affermare, come fa il Corriere del Mezzogiorno, che l'argomento rischia di
dividere "cattolici da laici". Moltissimi cattolici sono anche laici e, quindi, moltissimi laici sono
anche cattolici. Se si vuole pubblicare informazioni veritiere, come "sarebbe" dovere dei
giornalisti, occorre scrivere che "l'argomento rischia di dividere i cattolici fondamentalisti dai
laici, cattolici e non cattolici";
- non è esatto scrivere, come fa il giornalista, che "l'amministrazione comunale sa bene di
essere intervenuta su una materia che va disciplinata da una normativa nazionale".
L'autenticazione delle firme dei cittadini rientra nelle competenze ordinarie dei Comuni e la
raccolta delle dichiarazioni anticipate di volontà non ha contenuti legislativi ma semplicemente
di ordinaria amministrazione. La verità è che si vuole impedire al cittadino, ricorrendo anche
alle falsità, di manifestare pubblicamente il suo diritto di non essere "obbligato a un
determinato trattamento sanitario". In proposito va ricordato che chi si oppone a tale diritto
"viola i limiti imposti dal rispetto della persona umana" (art. 32 della Costituzione Italiana);
- il sen. Calabrò mente (sapendo di mentire?) quando afferma che il registro non deve essere
approvato perché la legge "sarà approvata entro la prossima estate". In altre parole, sarebbe
come dire "non comprate i Titoli di Stato perché l'Italia a breve fallirà";
- Altrettanto falso è affermare che il registro può "rovesciare rischi di responsabilità medicolegale sugli operatori sanitari" Tutte le associazioni medico-sanitarie si sono dichiarate a
favore del testamento biologico in quanto consente di conoscere la volontà scritta e
autenticata dei pazienti senza incorrere quindi in possibili infrazioni al dettato della
Costituzione e allo stesso codice deontologico medico.(Giampietro Sestini).
2354 - A VICENZA VIETATO ANCHE IL SEMPLICE DEPOSITO DELLE DAT
Dopo il voto negativo del Consiglio comunale nel giugno 2010 sulla istituzione del "registro"
dei testamenti biologici richiesto da una petizione popolare, in data 6 dicembre 2011 Rosalba
Trivellin, dell’associazione Luca Coscioni di Vicenza, ha presentato al Comune di Vicenza
una richiesta di oltre 620 cittadini vicentini con firme autenticate di poter "depositare" le loro
dichiarazioni anticipate di volontà .
Nel riportare qui sotto la risposta del delegato del Comune e il successivo commento
indignato inviatogli con lettera aperta dell’11 gennaio da Tommaso Chirco, dell’associazione
Coscioni, si ringrazia “Italia Laica” per averci girato la notizia.
La risposta del direttore delegato per i servizi demografici ed elettorali, Ruggiero Di Pace:
“Gentile Signora Rosalba Trivellin
Associazione Coscioni - Vicenza
Relativamente alla Sua nota del 6 dicembre 2011 con la quale sono stati consegnati n. 6
moduli relativi alla petizione al Sindaco come sollecito per apertura registro in oggetto, si
precisa quanto segue.
Va considerato che in Italia non esistono norme di legge che obblighino a seguire il
testamento biologico a differenza di altri paesi. L’art. 32 della Costituzione prevede che
nessuno può essere obbligato a ricevere trattamenti sanitari se non per disposizione di legge:
la norma continua stabilendo che la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal
rispetto della persona umana. Dal dettato costituzionale si evince che la materia del
trattamento sanitario che un singolo cittadino deve ricevere è prevista dalla disciplina
legislativa nazionale. Il fatto che non sia stata ancora emanata una legge nella specifica
materia, non
autorizza singole amministrazioni ad adottare norme che vadano
autonomamente a colmare il vuoto normativo esistente.
32
Infine si evidenzia che nell’attuale legislazione non sono rinvenibili norme che attribuiscano
direttamente o indirettamente competenze in materia all’Ente Locale, ancorché l’art. 117 della
Costituzione stabilisce che è riservato allo Stato il potere di legiferare in materia di
ordinamento civile, come peraltro ha ribadito il Ministero dell'Interno a diversi Uffici Territoriali
del Governo.”
La lettera aperta di Tommaso Chirco dell’associazione Luca Coscioni di Vicenza
“Sig. Direttore Di Pace,
sono un iscritto all’Associazione Coscioni di Vicenza, ma scrivo a titolo personale. Non so se
ritenermi più depresso o più indignato.
Con la lettera aperta dell’Associazione Coscioni,
- non si chiedeva di “adottare norme”, ma sostanzialmente di prendere atto che dei cittadini
depositano le proprie disposizioni anticipate di trattamento (testamento biologico);
- non si chiedeva di farlo “autonomamente” perché in Italia già in più di 80 Comuni l’han fatto;
- non si chiedeva di “colmare il vuoto normativo esistente”, si chiedeva di soddisfare la
richiesta, con firme autenticate di più di 620 cittadini vicentini, che si prendesse atto delle
proprie dichiarazioni anticipate di trattamento (testamento biologico). Ma ancora, sig.
Ruggiero di Pace, a Vicenza, grazie all’Associazione Coscioni e alla Chiesa Cristiana
Metodista Valdese, sono stati già depositati circa 50 testamenti biologici, e da parte del
Comune di Vicenza c’è solo il silenzio, non una constatazione, non un ringraziamento o una
“condanna”, nulla. Il silenzio equivale ad ignorare, ed ignorare equivale a “far fuori”, ma è la
filosofia dello struzzo. Peraltro il Comune tace anche sui testamenti biologici depositati c/o
l’Ufficio protocollo a Palazzo Trissino il 30-3-2011.
- non si chiedeva di “legiferare” al posto dello Stato, si chiedeva di non discriminare i cittadini
vicentini rendendoli impotenti a fare ciò che fanno altri cittadini, lor pari, in altri Comuni italiani:
poter depositare da qualche parte riconosciuta e laica, le proprie disposizioni anticipate di
trattamento.
Lei, sig. Di Pace, cita l’art. 32. Lo conosciamo; e voi Guide Civiche sapete bene che ognuno
si organizza come sa e come può, o come Indro Montanelli, o come Mario Monicelli, o come
Lucio Magri, o come Corrado Augias, o contrattando con i terapeuti di volta in volta ciò che si
accetta e cosa no. Le dichiarazioni anticipate di trattamento (testamento biologico) servono a
chi ha la sfortuna di non poter fare nessuna delle predette cose ed è in balìa degli impiccioni
di turno, nel ruolo di medici o preti o pseudobenpensanti o sedicenti opinion leader,
violentatori di libertà altrui.
Resta il fatto che, in tema di diritti civili rispetto alla propria vita, io non accetto che oltre a
vergognarmi di essere italiano rispetto ad altri Paesi europei come l’Olanda, la Svizzera, il
Belgio ecc., debba anche vergognarmi di essere residente a Vicenza e non in uno degli 80 e
più Comuni italiani dove vengono riconosciuti certi diritti basilari.
Al cittadino non interessa che le proprie Guide Civiche abbiano la libertà di coscienza di
scegliere secondo convinzioni personali; al cittadino interessa che le proprie Guide Civiche lo
mettano in condizione di poter decidere secondo la propria coscienza, e quindi secondo la
coscienza individuale, non secondo quella del proprio rappresentante civico.
E, facendo appello a tutti i lettori di questa lettera aperta, affinché segnalino alle nostre Guide
Civiche le proprie idee, saluto distintamente”.
2355 - MODENA: LA SEZIONE DI LIBERA USCITA HA FATTO IL BILANCIO DEL 2011
da: www.modenaqui.it di domenica 22 gennaio 2012
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Una giornata di bilanci e proposte per l’anno appena cominciato, tra la voglia di raccogliere
ciò che si è seminato negli anni e la determinazione ad informare il cittadino sul valore del
testamento biologico.
Si può riassumere così l’Assemblea annuale della sezione modenese di Libera Uscita che si
è tenuta ieri presso la sala Ancescao in via Ciro Menotti. Uno dopo l’altro si sono alternate le
figure di riferimento dell’Associazione che hanno ripercorso il cammino degli ultimi 12 mesi.
Un cammino che concentra le sue forze (e le iniziative) soprattutto nel sensibilizzare
l’opinione pubblica sul registro per il testamento biologico depositato in 12 Comuni della
provincia modenese.
Nell’incontro di ieri sono così intervenuti Giovanni Boschesi del Direttivo locale e nazionale,
Anna Maria Minniti che ha fatto un quadro del bilancio 2011 e, infine, la presidente nazionale
di Libera Uscita, Maria Laura Cattinari.
Il diritto di morire con dignità: un leit motiv ricordato anche ieri dalla guida dell’Associazione,
promotrice anche del primo comitato italiano (nato a Modena nel 2009) che promuove
iniziative sul testamento biologico e la libertà di cura, Articolo 32.
«Anche quest’anno - ha raccontato la presidente Cattinari - ci siamo impegnati a sostenere
momenti di carattere nazionale ed internazionale. Tra questi ci tengo a ricordare la giornata
dedicata al testamento biologico che si è tenuta a Udine lo scorso novembre di cui eravamo
tra gli sponsor. Poi sono stata delegata alla conferenza di Mondorf les Bains (Lussemburgo)
dove si è tenuta la Conferenza biennale della RtDE, Federazione Europea delle associazioni
per il diritto di morire con dignità».
Ma per la sezione modenese di Libera Uscita gran parte delle iniziative del 2011 si sono
concentrate sul vero cavallo di battaglia, ovvero il registro del testamento biologico.
«Ne abbiamo spiegato il funzionamento ai tanti cittadini che non sapevano cosa fosse e come
funzionasse. Ad oggi sono 170 i testamenti depositati in Comune e la nostra provincia è
quella che in Italia vanta più registri istituiti», ha sottolineato con soddisfazione la presidente
nazionale.
E per il 2012 le iniziative allo studio sono tante. Alcune già fissate nel primo semestre.
«Concentreremo il nostro impegno soprattutto su Carpi dove lavoreremo per ottenere il
registro. Nei prossimi mesi incontreremo anche i ragazzi del Liceo Carlo Sigonio per parlare
delle problematiche di fine vita e non mancheranno - aggiunge la Cattinari - una serie di tavoli
in centro storico per informare e sensibilizzare i cittadini sull’esistenza del registro e su come
usarlo nel momento del bisogno».
Potrebbe, poi, essere annoverato tra le prossime conquiste dell’Associazione l’istituzione del
registro a Castelvetro anche se, come conferma la Cattinari, si tratta del culmine di un lavoro
già impostato nell’anno passato: «Abbiamo la parola del sindaco che a breve verrà discussa
la petizione popolare in Consiglio».
E per Libera Uscita il primo semestre si concluderà con un appuntamento internazionale: la
partecipazione al meeting di Zurigo della World Federation of Right to Die.
Altro momento importante dell’Assemblea di ieri è stato il rinnovo degli organi direttivi dove
Maria Laura Cattinari è stata confermata nel ruolo di presidente modenese.
Unica novità la nomina di un vicepresidente andata a Giovanni Boschesi.
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2356 - LE VIGNETTE DI STAINO - IL PAPA E’ ARRABBIATO…
2357 - LE VIGNETTE DI MARAMOTTI – GRAZIE ALLO SCIOPERO DEI BENZINAI…
2358 LE VIGNETTE DI ALTAN – SI PUÒ TENERE IN OSTAGGIO UN PAESE?
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