omicidi - Osservatorio per la legalità e la sicurezza

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OMICIDI BARI
4 giugno
L’OMICIDIO STRAMAGLIA
La Corte d’assise d’appello di Bari, il 4 giugno, ha condannato a 14 anni di reclusione Mario
Giovanni Antonio Pancotto, 50 anni, con l’accusa di omicidio. I giudici di secondo grado hanno
ribaltato la sentenza di assoluzione emessa nel dicembre 2011 dalla Corte d’assise di Bari. Un
provvedimento che era stato impugnato dal procuratore aggiunto Pasquale Drago, coordinatore
della Dda. I motivi di appello sono stati sostenuti in secondo grado dal sostituto procuratore Angela
Tomasicchio. Nella determinazione della pena ha inciso il riconoscimento dell’attenuante della
provocazione. <Chelangelo>>, ritenuto dall’Antimafia barese il <<proconsole>> di Savino Parisi in
alcuni centri dell’hinterland, venne ucciso a Valenzano il 24 aprile 2009. Pancotto, a sua volta,
considerato un fedelissimo di Stramaglia, professione (ufficiale) carrozziere, era ritenuto da anni
organico al clan <<Chelangelo>>, l’uomo che a Valenzano aveva gestito le attività illecite,
garantendo anche la <<pace mafiosa>>. Fino al 24 aprile 2009. Intorno alle 20,30, stando alla
ricostruzione dei Carabinieri del nucleo investigativo coordinati dal pm antimafia Elisabetta
Pugliese (oggi alla Dna), tutto avvenne in una manciata di minuti in via Caduti di via Fani, una
traversa di via Capurso. Secondo l’accusa e i giudici di secondo grado, il 49enne <<Chelangelo>>,
insieme con un paio di altri fedelissimi, avrebbe rimproverato Pancotto per alcuni comportamenti
ritenuti non ortodossi. La discussione degenerò e gli spallacci di <<Chelangelo>> avrebbero
picchiato Mario Pancotto ripetutamente. Quest’ultimo reagì e a un certo punto – secondo l’accusa –
salì nella sua abitazione, lì vicino, e recuperò la sua pistola. In pochi istanti ridiscese e sparò a
Stramaglia, colpendolo al fianco. Subito dopo fece perdere le sue tracce. La sua latitanza durata
quattro mesi, finì nell’agosto 2009 in una stazione di servizio a Irschenberg, sulla’autostrada che
collega Salisburgo (Austria) a Monaco di Baviera. Le forze di polizia di mezza Europa si
mobilitarono per catturarlo. L’omicidio Stramaglia precedette di qualche mese il blitz denominato
<<Domino>> in cui finirono in manette 82 persone tra cui il boss Paris. In quella indagine
dell’Antimafia sono approfonditi, tra l’altro, gli interessi del clan nei comuni in cui un tempo
regnava Stramaglia.
5 giugno
STRAGE AL SAN PAOLO
Le indagini sul triplice omicidio avvenuto domenica 19 maggio nel quartiere San Paolo di Bari
hanno segnato una svolta, secondo notizie pervenute il 5 giugno. Tre persone sono state iscritte nel
registro degli indagati dalla Procura antimafia di Bari, per la morte di Vitantonio Fiore, di 22 anni,
forse il vero obiettivo dei killer, del 30enne Antonio Romito e del 31enne Claudio Fanelli. Al
momento si tratta solo di un atto dovuto, perché nei confronti delle tre persone coinvolte, agenti
della Squadra mobile di Bari, su delega della Dda, hanno eseguito, nei giorni scorsi, alcune
perquisizioni sia personali sia nei locali nella disponibilità di uno di loro, sia in carcere dove è
detenuta una quarta persona non coinvolta nelle indagini. L’obiettivo è ricercare indizi ed elementi
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di prova eventualmente utili a ricostruire la dinamica, la preparazione e l’esecuzione al fine di
risalire alle responsabilità. Le indagini per individuare autori e mandanti della mattanza vanno
avanti a pieno ritmo. Nel fascicolo aperto dalla Procura antimafia con le ipotesi di concorso in
omicidio volontario aggravato dall’avere agito con metodo mafioso e dalla premeditazione e
detenzione illegale di armi da fuoco ci sono le prime persone indagate. Il ruolo che i tre, piuttosto
giovani, avrebbero avuto nella vicenda non è ancora ben chiaro. Gli investigatori stanno lavorando
senza sosta per dare un volto e un nome ai killer e a chi ha armato il commando che ha utilizzato
almeno due armi, un fucile mitragliatore kalashnikov e una pistola. Un’attività complessiva che
poggia anzitutto su accertamenti di natura tecnica. Anche perché, nonostante l’esecuzione sia
avvenuta in pieno giorno, nessuno sembra avere visto nulla. La miscela di omertà e paura certo non
agevola il lavoro dell’Antimafia e della Polizia. Eppure, come dimostrano le perquisizioni, atto per
il quale è necessario iscrivere nel registro degli indagati i destinatari del provvedimento, in questo
caso tutti noti alle forze dell’ordine, i primi risultati non mancano. A quanto pare i detective della
Mobile erano alla ricerca di indumenti, capi di abbigliamento, o possibili corpi di reato sui quali
effettuare analisi e accertamenti da confrontare, probabilmente, con quanto è stato repertato sulla
scena del delitto. Stando ad alcune indiscrezioni sarebbero stati sequestrati due giubbotti. Ma c’è chi
parla di una motocicletta. Intanto per quanto riguarda il movente di una strage con pochi precedenti
nel panorama della criminalità barese sembra prendere sempre più quota la pista della vendetta
legata all’omicidio di Giacomo Caracciolese, avvenuto il 5 aprile scorso in via del Mille angolo con
via De Napoli. Due delle tre persone indagate, infatti, vivono nella zona dai confini sempre labili
come San Pasquale-Carassi-Picone. Una terza, originaria di un altro quartiere, avrebbe comunque
interessi o legami con quella zona da mesi divenuta nevralgica negli equilibri sempre più fragili
della mala barese.
14 giugno
OMICIDIO MIZZI
Alla vigilia della sentenza il processo slitta ancora. Il giudice, infatti, ha disposto nuovi
accertamenti sul ripetitore telefonico agganciato quella sera dal cellulare di uno degli imputati. Solo
all’esito di questo ulteriore approfondimento il gup Antonio Diella emetterà il verdetto. Il processo,
celebrato con rito abbreviato, è quello per l’omicidio di Pino Mizzi, di 38 anni, ucciso da un
proiettile vagante la sera del 16 marzo 2011 nella piazza centrale di Carbonara. Imputati Emanuele
Fiorentino, di 33 ani, ed Edoardo Bove, di 32. Sono entrambi accusati di omicidio volontario con
l’aggravante di aver favorito un’associazione mafiosa e detenzione illegale di arma da sparo. Il pm
Federico Perrone Capano, alla scorsa udienza, aveva chiesto per entrambi la pena dell’ergastolo.
Nel processo sono costituiti parti civili i familiari della vittima (moglie e due figli minorenni,
madre, padre e tre fratelli), che hanno quantificato in 3,8 milioni di euro il risarcimento dei danni. I
familiari chiedono giustizia a tutti i costi e, aggiungono, che lotteranno perché Giuseppe diventi
vittima di mafia. Sono fiduciosi e sperano in una giusta condanna. Anche il Comune di Bari si è
costituito parte civile e ha quantificato in 1,5 milioni di euro il risarcimento danni. Nel corso
dell’udienza celebrata il 14 giugno il gup ha disposto, quindi, nuovi accertamenti. Il giudice ha
convocato il dirigente di zona del gestore telefonico utilizzato da Bove per accertare il territorio di
copertura del ripetitore che il giorno dell’omicidio agganciò il telefono. Gli approfondimenti tecnici
serviranno a capire se l’imputato era vicino al luogo del delitto o si trovasse altrove come sostiene.
A incastrare i due presunti killer, arrestati dai Carabinieri a febbraio dell’anno scorso, appunto la
cella telefonica cui si è agganciato il telefonino di Bove la sera dell’omicidio, lo stub, esame che
consente di rilevare la presenza di tracce di polvere da sparo sugli abiti e sulla pelle, a cui fu
sottoposto Fiorentino poche ore dopo l’agguato e le immagini delle telecamere di videosorveglianza
sistemate all’esterno dell’abitazione di Fiorentino, che lo immortalano con Bove. Mizzi, secondo
l’accusa, fu ucciso per un tragico scambio di persona, colpito da 6 proiettili. Non era certo lui,
insomma, l’obiettivo dell’agguato. I sicari, secondo quanto ipotizzano gli inquirenti, avrebbero
dovuto vendicare il ferimento di Antonio Battista, cognato del boss Antonio Di Cosola, avvenuto il
giorno precedente, sempre a Carbonara.
17 giugno
IL KILLER DEL BOSS NICOLA MATERA
Rischia 16 anni di carcere per omicidio ma continua a dichiararsi innocente. Il 32enne Giuseppe
Carducci, di Gravina, con piccoli precedenti penali, è imputato in un processo con rito abbreviato
con l’accusa di omicidio volontario. La Procura di Bari ritiene che sia stato lui, il 5 ottobre 2012, ad
uccidere il pregiudicato 50enne Nicola Matera. Carducci fu arrestato dalla Squadra Mobile il giorno
dopo il delitto. Secondo la ricostruzione fatta dagli investigatori, coordinati dal pm Luciana
Silvestris, all’origine dell’omicidio ci sarebbe stata una lite tra il Carducci e il figlio 21enne di
Matera per l’acquisto di un robot da cucina, un <<Bimby>>, bottino di un furto. Ne sarebbe nata
una lite durante la quale Vincenzo Matera, figlio della vittima, sarebbe stato malmenato da Carducci
che avrebbe poi ucciso il padre Nicola nel corso di un incontro chiarificatore. L’agguato mortale
all’ora di pranzo mentre Matera si trovava tra i banchi del mercato locale. Almeno tre i proiettili che
hanno raggiunto l’uomo al petto e all’addome. L’imputato si è sempre dichiarato innocente. I suoi
difensori hanno chiesto l’assoluzione del Carducci “per non aver commesso il fatto” portando
all’attenzione del giudice nuovi elementi di prova che sarebbero stati trascurati dall’accusa nel
corso delle indagini. Si tratta dei filmati registrati dalle telecamere esterne di una banca e di
un’agenzia viaggi in una strada diversa dal luogo del delitto che dimostrerebbero la presenza di
Carducci in quella via, e quindi non tra le bancarelle del mercato dove è stato ucciso Matera. Quei
filmati non sono stati mai acquisiti. I difensori hanno chiesto inoltre l’acquisizione di una lettera
scritta da Vincenzo Matera, in cui questi parlerebbe della morte del padre e dell’estraneità di
Carducci rispetto alla vicenda. La missiva è agli atti dell’inchiesta, ancora in corso, sull’omicidio
del 43enne Mario Albergo, ucciso a Gravina nel novembre 2012. Per quel delitto è indagato in
concorso con altre due persone, proprio Vincenzo Matera. Nell’ordinanza di custodia cautelare nei
suoi confronti sarebbero contenute le trascrizioni di alcune intercettazioni ambientali che farebbero
riferimento all’omicidio del padre, avvenuto qualche settima prima. Per questo motivo i difensori di
Carducci hanno chiesto anche l’acquisizione dell’ordinanza. Sulla richiesta di integrazione il gup
Antonio Diella deciderà nell’udienza del prossimo 4 luglio, data in cui - in caso di rigetto –
potrebbe essere emessa la sentenza.
21 giugno
CARBONIZZATO IN UN TRULLO
E’ giallo sulla morte di Alì, 54enne marocchino senza fissa dimora. Di Alì si conosce solo il nome:
il suo corpo è stato ritrovato semicarbonizzato in un trullo disabitato alla periferia di Putignano in
strada comunale Pozzo Priore, diramazione via La Cupa, un prolungamento di via generale Sabato.
Le indagini dei Carabinieri della stazione di Putignano sono a tutto campo. Il marocchino è morto
da giorni probabilmente avvolto dalle fiamme, nel casolare abbandonato che aveva adibito a sua
residenza. Mistero sulle cause dell’incendio. Il magistrato ha disposto accertamenti nell’istituto di
Medicina legale del Policlinico di Bari. Via La Cupa è una strada in aperta campagna a poco meno
di un chilometro dal centro abitato. Una zona disseminata di ville borghesi. Un breve tratturo
conduce ad un casolare, dove viveva Alì. Sono stati i vicini a dare l’allarme, insospettiti dal forte
odore nauseabondo proveniente dall’interno. Il servizio di vigilanza privata in un giro d’ispezione
ha avvertito i carabinieri. Sul posto, il comandante della Compagnia di Gioia del Colle ed il
comandante della Stazione di Putignano. E’ giunto anche il Sis, il reparto di investigazioni
scientifiche dei carabinieri. In pochi minuti, allertati dagli uomini dell’Arma, sono giunti anche i
Vigile del fuoco guidati dal capo squadra. Sono entrati nel rudere abbandonato. Alì viveva
abusivamente nell’immobile. Lo hanno ritrovato esamine disteso sul pavimento e semicarbonizzato.
L’unica certezza, al momento, è che diversi giorni prima c’è stato un incendio all’interno. La porta
d’ingresso è stata ritrovata socchiusa. Quanto basta perché il fuoco divorasse l’ossigeno nelle
stanze. Nessuno ha notato, probabilmente, le fiamme, visto che porte e finestre erano chiuse. Non è
stato un incendio di enormi proporzioni, in mancanza di ossigeno, le fiamme si sono autoestinte. Ma
non hanno risparmiato il povero marocchino. In città, Alì lo conoscevano in molti. In particolare, il
titolare della stazione di carburanti sulla via per Turi. L’uomo ricorda: <<Noi qui abbiamo un
piccolo punto di ristoro; spesso preparavo un piatto caldo anche per Alì>>. E il marocchino
ricambiava la cortesia facendo pulizie all’esterno. La situazione è andata avanti così per anni.
<<Prima pare vivesse a Castellana, ma da lì è dovuto andarsene per problemi>>. Lui raccontava di
avere una moglie in Marocco che lo aveva cacciato via di casa. Un mese fa circa, una domenica
mattina era ubriaco fradicio. Ha fatto qualcosa che mai aveva fatto: ha spaccato la vetrata d’ingresso
della stazione di carburanti. Fu arrestato dai carabinieri, ma dopo pochi giorni era di nuovo lì. Da
una decina di giorni, Alì non lo si vedeva più in giro. Il 21 giugno la macabra scoperta.
3 luglio
DELITTO CHIAROLLA
Non voleva uccidere. L’intenzione era colpire alle gambe. Ma quando ha premuto il grilletto la
vittima si è abbassata, nel tentativo, forse, di ripararsi. Il proiettile ha raggiunto Antonio Chiarolla
alla testa. Per lui non ci fu niente da fare. Ad ammettere in aula il delitto avvenuto nell’o t t o b re
2006 in via Trevisani, Giovanni Amoruso, detto «Pipistrello», «nato» con il clan Abbaticchio,
cresciuto con i Palermiti e infine approdato agli Strisciuglio. Amoruso, da circa un anno
collaboratore di Giustizia, ha deposto ieri davanti alla Corte d’As -sise, nell’ambito del processo
denominato «Libertà » in cui è imputato per il delittto prima confessato al pm antimafia Desirèe
Digeronimo, titolare del fascicolo, e ieri ricostruito in aula. Nelle gabbie una quarantina di presunti
affiliati al clan Strisciuglio accusati a vario titolo associazione mafiosa, traffico e spaccio di droga,
detenzione illegale di armi da fuoco. Amoruso, un passato da contrabbandiere, si è occupato, dice,
anche di usura. «Chiarolla – ha riferito - mi aveva chiesto un prestito di 20mila euro perché mi disse
che voleva acquistare una partita di hashish». L’uomo, a detta di Amoruso, era molto vicino a
Michele Laera. «Gli detti la somma in due tranche e concordammo un interesse da 500 euro al
mese». Alla prima scadenza Chiariolla non paga. «Quando gli chiesi di onorare il debito mi disse
che non avrebbe restituito nulla, tanto era protetto da Laera. Aggiunse che loro due sarebbero andati
in giro nel quartiere Libertà con la mia testa se avessi insistito». Ma la famiglia di Amoruso abitava
in quella zona. Così «Pipistrello» va in giro armato. «Quella sera avevo con me una Magnum 357
che mi aveva dato Michele Costantino. Indossavo il giubbotto antiproiettile. Avevo notato Chiarolla
nei pressi di un circolo ricreativo ma non feci niente perché avrebbero potuto chiuderlo. Quando
scesi, Chiarolla era ancora lì. Fece qualche passo. Gli dissi di finirla: “Ridammi il capitale, non fa
niente degli interessi chiudiamo la storia”». La risposta fu: «”Sta arrivando Laera”». A quel punto
Amoruso impugna l’arma e spara. Credevo di averlo solo ferito». Subito dopo fugge in sella a una
Vespa nel quartiere San Pasquale a casa di Michele Costantino. «Mi disse: “se la usi la devi
restituire”. Dal telegiornale appresi che Chiarolla era morto. A quel punto Costantino decide di
stappare una bottiglia di champagne che gli era stata regalata da Lorenzo Caldarola» (quasi per farsi
beffe di Caldarola, essendo la vittima una persona vicina a lui, ndr). Ma ai giudici (presidente Clelia
Galantino, giudice a latere Ornella Gozzo) oggi dice: «Mi dispiace, non volevo. Chiedo scusa ai
famigliari». Il collaboratore ha raccontato altri particolari sulla distruzione dell’arma e sulla
«latitanza» in una villa di Polignano dove c’era una cupa di armi. Amoruso non si è fermato qui.
Nella sua lunga deposizione, infatti, rispondendo alle domande del pm Digeronimo, ha ribadito in
aula quanto riferito agli inquirenti particolari sulla introduzione della droga in carcere e persino in
Tribunale, proprio durante lo svolgimento di questo processo. Amoruso ha riferito in aula che in
una occasione, all’udienza del 4 giugno 2012, uno degli imputati, Giuseppe Milloni, avrebbe fatto
un cenno a un altro imputato, Leonardo De Filippis, indicandogli che aveva nascosto il «fumo» una
finestra del bagno dove le guardie accompagnano i detenuti. De Fillippis, sempre a detta di
Amoruso, sarebbe tornato in cella, mostrando la droga a lui e ad altri detenuti. Una settimana dopo,
dice di avere assistito alla consegna di un pezzo di trenta grammi da Vito Valentino a a De Filippis,
insieme con un pacco intero di cartine. Qualcuno avrebbe persino fumato durante l’udienza, in una
cella sottostante all’aula dell’Assise in attesa dell’inizio dell’udien –za. Amoruso, infine, ha fatto
anche riferimento alla droga che veniva introdotta nel carcere di Bari dai familiari dei detenuti e
scambiata grazie alla compiacenza di un agente, il 48enne Giuseppe Altamura, soprannominato
«Cartellino Rosso», arrestato per queste vicende il 21 giugno scorso sulla base anche delle
dichiarazioni dei pentiti.
4 luglio
RISSA FRA CENTO IMMIGRATI. UN MORTO E TRE FERITI
Un morto e tre feriti: questo il bilancio della maxi rissa di martedì notte al Cara, il Centro
accoglienza richiedenti asilo di Bari – Palese, fra un centinaio di immigrati. Una litigio che era
nell’aria. Da diverso tempo i protagonisti della violenta baruffa, al calare del sole, cercavano di
entrare in contatto fisico, forse per regolare un conto rimasto in sospeso per qualche apprezzamento
espresso, nei giorni scorsi, da qualcuno dei protagonisti della vicenda nei confronti di una donna
ospite del centro e non gradito a qualche suo amico.
24 agosto
BADANTE TROVATA MORTA IN CASA
Trovata morta nella sua casa di Mola di Bari una badante di origini caraibiche, di 65 anni. E sul
macabro rinvenimento si profila fin da subito la pista inquietante dell’aggressione a sfondo sessuale.
Proprio a Bari la donna prestava servizio come badante in una famiglia agiata.
28 agosto
PROSTITUTA UCCISA. IL CORPO NELLE CAMPAGNE DI BITONTO
Uccisa a coltellate in quello che sembra il giallo dell’estate 2013 nel barese: uno al collo e uno al
fianco destro, almeno, i fendenti che hanno tolto la vita a una giovane prostituta, forse di nazionalità
romena, trovata cadavere nei pressi di Bitonto. Sdraiata in un campo sotto un albero di fico, a faccia
in su, vestita solo con la biancheria intima, le ginocchia coperte da ecchimosi, in stato di
decomposizione. Difficile sul momento dare un’identità alla donna, dell’apparente età di 30 anni e
forse di nazionalità romena, ancor più complicato appare ricostruire i suoi ultimi momenti di vita. Il
corpo è stato visto nella prima mattinata da un contadino che si trovava poco distante, in un campo
di sua proprietà. La zona nella quale la donna è stata uccisa, una stradina di campagna a pochi metri
dalla provinciale 231, tra Modugno e Bitonto, è solitamente frequentata da prostitute dell’Est, che
potrebbero aver conosciuto la vittima. Per questo molte di loro sono state ascoltate dagli agenti del
Commissariato di Bitonto: una di queste ha ammesso di aver visto il corpo qualche giorno prima,
ma di aver pensato che dormisse sotto il fico. L’alternativa è che sia stata uccisa da uno dei suoi
aguzzini, che quando non le sfruttano, taglieggiano le giovani donne imponendo loro un dazio per
poter esercitare la professione sulle strade. Quel che è certo è che il cadavere è stato trovato nella
zona in cui solitamente le prostitute si appartano con i clienti per consumare i rapporti sessuali.
Probabile, quindi, che sia stata uccisa da uno di loro, in preda ad un raptus.
29 agosto
UCCISO IL BOSS CAMPANALE
Omicidio di mafia al quartiere Poggiofranco di Bari. Ucciso a colpi di pistola il boss del rione San
Girolamo di Bari, Felice Campanale, 67 anni. L’uomo è stato raggiunto da tre colpi di pistola al
petto e uno alla nuca proprio mentre rientrava nella sua auto parcheggiata. A fare fuoco sarebbero
state due persone arrivate in sella a una moto. Il bilancio dell’agguato poteva essere molto più
grave: i killer sono intervenuti nel momento in cui il boss entrava in auto accompagnato dalla
moglie e alcuni bambini, probabilmente nipoti, prelevati poco prima da una festa di compleanno
nella struttura ludica. Nella sparatoria è rimasto ferito al polpaccio un ragazzo che con la fidanzata
portava a spasso il cane. Le sue condizioni non sono gravi. Poco dopo, nella stessa serata, colpi di
arma da fuoco sono stati segnalati nei pressi del lungomare IX Maggio, storico feudo del clan
Campanale al rione San Girolamo: sei i colpi di pistola indirizzati contro un Fiorino, risultato
rubato, nei pressi dell’abitazione dei Lorusso, famiglia da sempre in guerra con i Campanale. Felice
Campanale è ritenuto l’erede della storica famiglia di San Girolamo, una volta dedita alla gestione
dei parcheggi e poi passata a business illeciti più remunerativi come traffico e spaccio di droga.
4 settembre
PREGIUDICATO TROVATO UCCISO A BITONTO
Era lì da almeno tre giorni, abbandonato nelle campagne, attaccato da vermi e cani randagi. Ancora
un cadavere alle porte di Bitonto, dove la scorsa settimana era stata trovata morta una prostituta
romena. Questa volta il corpo ritrovato era di un uomo, del quale sarebbe già stata accertata
l’identità, ma l’avanzato stato di decomposizione del cadavere e la permanenza per diversi giorni in
una zona di campagna ha indotto gli investigatori ad essere cauti sull’identificazione in attesa della
conferma. Sembrava fosse di un pregiudicato di 45 anni, con precedenti penali per droga ed
estorsione, residente a Modugno. L’uomo era detenuto ai domiciliari, ma usufruiva di permessi per
sottoporsi a cure odontoiatriche. Sarebbe scomparso da casa da almeno tre giorni, ma nessuno
avrebbe presentato alle autorità giudiziarie e investigative alcuna denuncia.
1 ottobre
UCCISE PER UN «BIMBY»
Fu ucciso con tre colpi di pistola dopo la lite per un Bimby, ieri mattina il presunto assassino è stato
condannato a 13 anni di carcere. E' questa la decisione del giudice del Tribunale di Bari che, al
termine di un processo che si è celebrato con il rito abbreviato, ha inflitto la pena al 32enne
Giuseppe Carducci, accusato dell'omicidio volontario di Nicola Matera, il 50enne di Gravina in
Puglia ammazzato il 5 ottobre del 2012 dopo essere stato ferito al petto e all'addome.
Il pubblico ministero, Luciana Silvestris, aveva chiesto 16 anni di reclusione, secondo la
ricostruzione fatta dagli uomini della Squadra mobile all'origine del delitto ci sarebbe stata una lite
tra l'imputato e il figlio della vittima, il 21enne Vincenzo Matera. Oggetto del contendere sarebbe
stato l'acquisto di un robot da cucina, un Bimby che tra l'altro poi è risultato essere il provento di un
furto, che sia Carducci sia il 21enne volevano a tutti i costi acquistare dal ricettatore. Così sarebbe
nato un litigio furibondo, durante il quale Vincenzo Matera sarebbe stato picchiato da Carducci.
Uno sgarro che non si è, però, concluso lì: qualche ora dopo, infatti, ci sarebbe stato un incontro tra
Carducci e la vittima. I due avrebbero dovuto chiarirsi, ma la discussione è nuovamente degenerata
e il 32enne avrebbe colpito Matera senior. Il giudice ha condannato l'imputato anche al risarcimento
dei danni nei confronti della moglie della vittima, costituita parte civile.
25 ottobre
AUTO NOLEGGIATA PER L’AGGUATO
Una Bmw, presa a noleggio. Un’auto “pulita” per confondere gli uomini del clan opposto. Le
indagini sul triplice omicidio del 19 maggio scorso al quartiere San Paolo raccontano il nuovo
tentativo della criminalità organizzata di sfuggire alle rappresaglie di altri uomini armati e di
eludere le inchieste che sempre di più sfociano in misure di prevenzione e quindi in
provvedimenti di sequestri patrimoniali. Ieri mattina il pubblico ministero Ciro Angelillis che
coordina le indagini sull’omicidio di Giacomo Caracciolese e sull’agguato al quartiere San Paolo
in cui persero la vita Vitantonio Fiore, Antonio Romito e Claudio Fanelli ha disposto una
consulenza tecnica affidando ad un biologo della Polizia Scientifica di Roma l’incarico di
eseguire accertamenti tecnici sull’auto, una Fiat Bravo, usata per il triplice omicidio e ritrovata
completamente bruciata non lontana dal luogo del delitto, su alcuni abiti che erano all’interno e
su una Bmw, affittata da una azienda di noleggio. L’esperto dovrà verificare la presenza di tracce
biologiche dei presunti autori dell’agguato al quartiere San Paolo. La Bmw è stata sequestrata in
una delle perquisizioni, scattate all’indomani del triplice omicidio. Era parcheggiata in un garage
riconducibile a Nicola Fumai (considerato uno degli autori dell’agguato). L’auto sarebbe stata
utilizzata nelle fasi precedenti all’omicidio di Fiore, Romito e Fanelli. Ed è per questo che il
pubblico ministero ha disposto la consulenza, alla ricerca di tracce biologiche. La Bmw era stata
noleggiata alle 10.28 del 19 maggio e cioè due ore prima l’agguato. Gli agenti della squadra
mobile sono convinti che l’auto sia stata presa in affitto perché in questo modo gli uomini del
clan erano convinti di passare inosservati, di sfuggire al gruppo opposto e quindi a eventuali
rappresaglie. Una tendenza che emerge anche in altre indagini. Il ricorso ad auto a noleggio è
sempre più frequente nella criminalità organizzata barese. Spostarsi con un’auto rubate, secondo
la malavita, è più rischioso perché è più facile incappare nei controlli delle forze di polizia. Ma
ragionano gli investigatori i clan noleggiano le vetture, anche per lunghi periodi, per un altro
motivo: in questo modo possono eludere le indagini patrimoniali, sfuggire alle misure di
prevenzione e quindi evitare il sequestro dei beni, come le auto appunto.
2 novembre
UCCISA IN CASA
Strangolata da un foulard e soffocata dalla plastica dopo una violenta aggressione. Ad ucciderla
sarebbe stato un uomo dalla carnagione olivastra, felpa rossa e cappellino giallo. È questa la
descrizione fornita da due vicini di casa che hanno visto, poco dopo le 13, una persona
scavalcare il cancello di un complesso residenziale alle porte di Bari, e l’hanno fotografata.
Quello scatto è stato al centro delle indagini che la Squadra mobile di Bari. La vittima era appena
rientrata in casa dopo aver fatto la spesa. Deve aver aspettato che la donna aprisse la porta per
fare irruzione. Le chiavi, infatti, all’arrivo della polizia, erano ancora infilate nella toppa esterna.
Le buste della spesa, invece, poggiate per terra nel salone. All’ingresso, invece, gli ambienti a
soqquadro e la borsa della donna in cui il killer deve aver rovistato: nel portafogli non c’erano
soldi. Da casa, però, non è sembrato mancare nulla. La prima ipotesi, un tentativo di rapina finito
male. Ma altridue elementi che hanno fatto riflettere gli investigatori: quei pantaloni leggermente
abbassati e quella sciarpa stretta al collo e legata al tavolo. È possibile che l’omicida volesse
anche violentare la 60enne.A dare l’allarme sono stati i vicini residenti nel complesso
residenziale. Uno di loro ha visto un uomo scappare verso la tangenziale che costeggia la
stradina con le ville e lo ha fotografato. Una donna, invece, ha visto una persona dalla pelle scura
fuggire.
15 novembre
NIGERIANO – 18 ANNI CONFESSA L’OMICIDIO
A guidare gli investigatori è stata quella foto scattata da un vicino di casa. Un uomo dalla
carnagione olivastra che corre con addosso una felpa rossa e un cappello giallo. La polizia lo
stava cercando ovunque tant’è che, subito dopo l’omicidio, aveva fermato in piazza Umberto
un 30enne ghanese vestito proprio così. Ma il colpevole non era lui. All’assassino della 60enne
trovata morta nella sua villetta a Torre a Mare lunedì mattina, la Squadra mobile ci è arrivata
seguendo il segnale del cellulare rubato alla vittima. L’omicida, infatti, si era sbarazzato della
scheda sim ma non del telefonino. Il segnale proveniva dal Centro di accoglienza per
richiedenti asilo di Palese dove vivono più di 1300 migranti. La polizia allora ha aspettato di
intercettarlo in movimento. Il blitz è scattato mercoledì alle 19.15 in pieno centro a Bari in via
Quintino Sella. A bordo dell’autobus proveniente dal Cara c’era quel cellulare e molto
probabilmente anche l’assassino. I poliziotti hanno bloccato il pullman dell’Amtab e hanno
fermato tutti i passeggeri. A quel punto hanno fatto squillare il telefono in cui era inserita una
nuova scheda. È stato lo squillo a portarli un nigeriano poco più che 18enne, in Italia dal 2011
con permesso di soggiorno rilasciato per scopi umanitari. Il giovane, messo alle strette, ha
confessato l’omicidio.
14 dicembre
BRASILIANA MORTA CARBONIZZATA ERA SUPERTESTIMONE
Bruna Bovino, la 29enne italo-brasiliana trovata morta nel centro estetico che gestiva a Mola
di Bari, il prossimo febbraio avrebbe dovuto testimoniare, come parte civile, in un processo nel
quale si era costituita e che vede imputate, per fatti risalenti al 2011, due persone accusate di
induzione e favoreggiamento della prostituzione. E' un particolare che emerge dalle indagini
condotte dai carabinieri e coordinate dal pm della Procura Antonino Lupo. La ragazza, madre
di una bimba di due anni avuta da un compagno con il quale ha convissuto fino a qualche mese
fa, è stata trovata dai vigili del fuoco carbonizzata nella struttura "Erwen".