omicidi - Osservatorio per la legalità e la sicurezza
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OMICIDI BARI 4 giugno L’OMICIDIO STRAMAGLIA La Corte d’assise d’appello di Bari, il 4 giugno, ha condannato a 14 anni di reclusione Mario Giovanni Antonio Pancotto, 50 anni, con l’accusa di omicidio. I giudici di secondo grado hanno ribaltato la sentenza di assoluzione emessa nel dicembre 2011 dalla Corte d’assise di Bari. Un provvedimento che era stato impugnato dal procuratore aggiunto Pasquale Drago, coordinatore della Dda. I motivi di appello sono stati sostenuti in secondo grado dal sostituto procuratore Angela Tomasicchio. Nella determinazione della pena ha inciso il riconoscimento dell’attenuante della provocazione. <Chelangelo>>, ritenuto dall’Antimafia barese il <<proconsole>> di Savino Parisi in alcuni centri dell’hinterland, venne ucciso a Valenzano il 24 aprile 2009. Pancotto, a sua volta, considerato un fedelissimo di Stramaglia, professione (ufficiale) carrozziere, era ritenuto da anni organico al clan <<Chelangelo>>, l’uomo che a Valenzano aveva gestito le attività illecite, garantendo anche la <<pace mafiosa>>. Fino al 24 aprile 2009. Intorno alle 20,30, stando alla ricostruzione dei Carabinieri del nucleo investigativo coordinati dal pm antimafia Elisabetta Pugliese (oggi alla Dna), tutto avvenne in una manciata di minuti in via Caduti di via Fani, una traversa di via Capurso. Secondo l’accusa e i giudici di secondo grado, il 49enne <<Chelangelo>>, insieme con un paio di altri fedelissimi, avrebbe rimproverato Pancotto per alcuni comportamenti ritenuti non ortodossi. La discussione degenerò e gli spallacci di <<Chelangelo>> avrebbero picchiato Mario Pancotto ripetutamente. Quest’ultimo reagì e a un certo punto – secondo l’accusa – salì nella sua abitazione, lì vicino, e recuperò la sua pistola. In pochi istanti ridiscese e sparò a Stramaglia, colpendolo al fianco. Subito dopo fece perdere le sue tracce. La sua latitanza durata quattro mesi, finì nell’agosto 2009 in una stazione di servizio a Irschenberg, sulla’autostrada che collega Salisburgo (Austria) a Monaco di Baviera. Le forze di polizia di mezza Europa si mobilitarono per catturarlo. L’omicidio Stramaglia precedette di qualche mese il blitz denominato <<Domino>> in cui finirono in manette 82 persone tra cui il boss Paris. In quella indagine dell’Antimafia sono approfonditi, tra l’altro, gli interessi del clan nei comuni in cui un tempo regnava Stramaglia. 5 giugno STRAGE AL SAN PAOLO Le indagini sul triplice omicidio avvenuto domenica 19 maggio nel quartiere San Paolo di Bari hanno segnato una svolta, secondo notizie pervenute il 5 giugno. Tre persone sono state iscritte nel registro degli indagati dalla Procura antimafia di Bari, per la morte di Vitantonio Fiore, di 22 anni, forse il vero obiettivo dei killer, del 30enne Antonio Romito e del 31enne Claudio Fanelli. Al momento si tratta solo di un atto dovuto, perché nei confronti delle tre persone coinvolte, agenti della Squadra mobile di Bari, su delega della Dda, hanno eseguito, nei giorni scorsi, alcune perquisizioni sia personali sia nei locali nella disponibilità di uno di loro, sia in carcere dove è detenuta una quarta persona non coinvolta nelle indagini. L’obiettivo è ricercare indizi ed elementi Blog: osserbari.wordpress.com e-mail: [email protected] Cell. : 3392922301 - 3476839372 di prova eventualmente utili a ricostruire la dinamica, la preparazione e l’esecuzione al fine di risalire alle responsabilità. Le indagini per individuare autori e mandanti della mattanza vanno avanti a pieno ritmo. Nel fascicolo aperto dalla Procura antimafia con le ipotesi di concorso in omicidio volontario aggravato dall’avere agito con metodo mafioso e dalla premeditazione e detenzione illegale di armi da fuoco ci sono le prime persone indagate. Il ruolo che i tre, piuttosto giovani, avrebbero avuto nella vicenda non è ancora ben chiaro. Gli investigatori stanno lavorando senza sosta per dare un volto e un nome ai killer e a chi ha armato il commando che ha utilizzato almeno due armi, un fucile mitragliatore kalashnikov e una pistola. Un’attività complessiva che poggia anzitutto su accertamenti di natura tecnica. Anche perché, nonostante l’esecuzione sia avvenuta in pieno giorno, nessuno sembra avere visto nulla. La miscela di omertà e paura certo non agevola il lavoro dell’Antimafia e della Polizia. Eppure, come dimostrano le perquisizioni, atto per il quale è necessario iscrivere nel registro degli indagati i destinatari del provvedimento, in questo caso tutti noti alle forze dell’ordine, i primi risultati non mancano. A quanto pare i detective della Mobile erano alla ricerca di indumenti, capi di abbigliamento, o possibili corpi di reato sui quali effettuare analisi e accertamenti da confrontare, probabilmente, con quanto è stato repertato sulla scena del delitto. Stando ad alcune indiscrezioni sarebbero stati sequestrati due giubbotti. Ma c’è chi parla di una motocicletta. Intanto per quanto riguarda il movente di una strage con pochi precedenti nel panorama della criminalità barese sembra prendere sempre più quota la pista della vendetta legata all’omicidio di Giacomo Caracciolese, avvenuto il 5 aprile scorso in via del Mille angolo con via De Napoli. Due delle tre persone indagate, infatti, vivono nella zona dai confini sempre labili come San Pasquale-Carassi-Picone. Una terza, originaria di un altro quartiere, avrebbe comunque interessi o legami con quella zona da mesi divenuta nevralgica negli equilibri sempre più fragili della mala barese. 14 giugno OMICIDIO MIZZI Alla vigilia della sentenza il processo slitta ancora. Il giudice, infatti, ha disposto nuovi accertamenti sul ripetitore telefonico agganciato quella sera dal cellulare di uno degli imputati. Solo all’esito di questo ulteriore approfondimento il gup Antonio Diella emetterà il verdetto. Il processo, celebrato con rito abbreviato, è quello per l’omicidio di Pino Mizzi, di 38 anni, ucciso da un proiettile vagante la sera del 16 marzo 2011 nella piazza centrale di Carbonara. Imputati Emanuele Fiorentino, di 33 ani, ed Edoardo Bove, di 32. Sono entrambi accusati di omicidio volontario con l’aggravante di aver favorito un’associazione mafiosa e detenzione illegale di arma da sparo. Il pm Federico Perrone Capano, alla scorsa udienza, aveva chiesto per entrambi la pena dell’ergastolo. Nel processo sono costituiti parti civili i familiari della vittima (moglie e due figli minorenni, madre, padre e tre fratelli), che hanno quantificato in 3,8 milioni di euro il risarcimento dei danni. I familiari chiedono giustizia a tutti i costi e, aggiungono, che lotteranno perché Giuseppe diventi vittima di mafia. Sono fiduciosi e sperano in una giusta condanna. Anche il Comune di Bari si è costituito parte civile e ha quantificato in 1,5 milioni di euro il risarcimento danni. Nel corso dell’udienza celebrata il 14 giugno il gup ha disposto, quindi, nuovi accertamenti. Il giudice ha convocato il dirigente di zona del gestore telefonico utilizzato da Bove per accertare il territorio di copertura del ripetitore che il giorno dell’omicidio agganciò il telefono. Gli approfondimenti tecnici serviranno a capire se l’imputato era vicino al luogo del delitto o si trovasse altrove come sostiene. A incastrare i due presunti killer, arrestati dai Carabinieri a febbraio dell’anno scorso, appunto la cella telefonica cui si è agganciato il telefonino di Bove la sera dell’omicidio, lo stub, esame che consente di rilevare la presenza di tracce di polvere da sparo sugli abiti e sulla pelle, a cui fu sottoposto Fiorentino poche ore dopo l’agguato e le immagini delle telecamere di videosorveglianza sistemate all’esterno dell’abitazione di Fiorentino, che lo immortalano con Bove. Mizzi, secondo l’accusa, fu ucciso per un tragico scambio di persona, colpito da 6 proiettili. Non era certo lui, insomma, l’obiettivo dell’agguato. I sicari, secondo quanto ipotizzano gli inquirenti, avrebbero dovuto vendicare il ferimento di Antonio Battista, cognato del boss Antonio Di Cosola, avvenuto il giorno precedente, sempre a Carbonara. 17 giugno IL KILLER DEL BOSS NICOLA MATERA Rischia 16 anni di carcere per omicidio ma continua a dichiararsi innocente. Il 32enne Giuseppe Carducci, di Gravina, con piccoli precedenti penali, è imputato in un processo con rito abbreviato con l’accusa di omicidio volontario. La Procura di Bari ritiene che sia stato lui, il 5 ottobre 2012, ad uccidere il pregiudicato 50enne Nicola Matera. Carducci fu arrestato dalla Squadra Mobile il giorno dopo il delitto. Secondo la ricostruzione fatta dagli investigatori, coordinati dal pm Luciana Silvestris, all’origine dell’omicidio ci sarebbe stata una lite tra il Carducci e il figlio 21enne di Matera per l’acquisto di un robot da cucina, un <<Bimby>>, bottino di un furto. Ne sarebbe nata una lite durante la quale Vincenzo Matera, figlio della vittima, sarebbe stato malmenato da Carducci che avrebbe poi ucciso il padre Nicola nel corso di un incontro chiarificatore. L’agguato mortale all’ora di pranzo mentre Matera si trovava tra i banchi del mercato locale. Almeno tre i proiettili che hanno raggiunto l’uomo al petto e all’addome. L’imputato si è sempre dichiarato innocente. I suoi difensori hanno chiesto l’assoluzione del Carducci “per non aver commesso il fatto” portando all’attenzione del giudice nuovi elementi di prova che sarebbero stati trascurati dall’accusa nel corso delle indagini. Si tratta dei filmati registrati dalle telecamere esterne di una banca e di un’agenzia viaggi in una strada diversa dal luogo del delitto che dimostrerebbero la presenza di Carducci in quella via, e quindi non tra le bancarelle del mercato dove è stato ucciso Matera. Quei filmati non sono stati mai acquisiti. I difensori hanno chiesto inoltre l’acquisizione di una lettera scritta da Vincenzo Matera, in cui questi parlerebbe della morte del padre e dell’estraneità di Carducci rispetto alla vicenda. La missiva è agli atti dell’inchiesta, ancora in corso, sull’omicidio del 43enne Mario Albergo, ucciso a Gravina nel novembre 2012. Per quel delitto è indagato in concorso con altre due persone, proprio Vincenzo Matera. Nell’ordinanza di custodia cautelare nei suoi confronti sarebbero contenute le trascrizioni di alcune intercettazioni ambientali che farebbero riferimento all’omicidio del padre, avvenuto qualche settima prima. Per questo motivo i difensori di Carducci hanno chiesto anche l’acquisizione dell’ordinanza. Sulla richiesta di integrazione il gup Antonio Diella deciderà nell’udienza del prossimo 4 luglio, data in cui - in caso di rigetto – potrebbe essere emessa la sentenza. 21 giugno CARBONIZZATO IN UN TRULLO E’ giallo sulla morte di Alì, 54enne marocchino senza fissa dimora. Di Alì si conosce solo il nome: il suo corpo è stato ritrovato semicarbonizzato in un trullo disabitato alla periferia di Putignano in strada comunale Pozzo Priore, diramazione via La Cupa, un prolungamento di via generale Sabato. Le indagini dei Carabinieri della stazione di Putignano sono a tutto campo. Il marocchino è morto da giorni probabilmente avvolto dalle fiamme, nel casolare abbandonato che aveva adibito a sua residenza. Mistero sulle cause dell’incendio. Il magistrato ha disposto accertamenti nell’istituto di Medicina legale del Policlinico di Bari. Via La Cupa è una strada in aperta campagna a poco meno di un chilometro dal centro abitato. Una zona disseminata di ville borghesi. Un breve tratturo conduce ad un casolare, dove viveva Alì. Sono stati i vicini a dare l’allarme, insospettiti dal forte odore nauseabondo proveniente dall’interno. Il servizio di vigilanza privata in un giro d’ispezione ha avvertito i carabinieri. Sul posto, il comandante della Compagnia di Gioia del Colle ed il comandante della Stazione di Putignano. E’ giunto anche il Sis, il reparto di investigazioni scientifiche dei carabinieri. In pochi minuti, allertati dagli uomini dell’Arma, sono giunti anche i Vigile del fuoco guidati dal capo squadra. Sono entrati nel rudere abbandonato. Alì viveva abusivamente nell’immobile. Lo hanno ritrovato esamine disteso sul pavimento e semicarbonizzato. L’unica certezza, al momento, è che diversi giorni prima c’è stato un incendio all’interno. La porta d’ingresso è stata ritrovata socchiusa. Quanto basta perché il fuoco divorasse l’ossigeno nelle stanze. Nessuno ha notato, probabilmente, le fiamme, visto che porte e finestre erano chiuse. Non è stato un incendio di enormi proporzioni, in mancanza di ossigeno, le fiamme si sono autoestinte. Ma non hanno risparmiato il povero marocchino. In città, Alì lo conoscevano in molti. In particolare, il titolare della stazione di carburanti sulla via per Turi. L’uomo ricorda: <<Noi qui abbiamo un piccolo punto di ristoro; spesso preparavo un piatto caldo anche per Alì>>. E il marocchino ricambiava la cortesia facendo pulizie all’esterno. La situazione è andata avanti così per anni. <<Prima pare vivesse a Castellana, ma da lì è dovuto andarsene per problemi>>. Lui raccontava di avere una moglie in Marocco che lo aveva cacciato via di casa. Un mese fa circa, una domenica mattina era ubriaco fradicio. Ha fatto qualcosa che mai aveva fatto: ha spaccato la vetrata d’ingresso della stazione di carburanti. Fu arrestato dai carabinieri, ma dopo pochi giorni era di nuovo lì. Da una decina di giorni, Alì non lo si vedeva più in giro. Il 21 giugno la macabra scoperta. 3 luglio DELITTO CHIAROLLA Non voleva uccidere. L’intenzione era colpire alle gambe. Ma quando ha premuto il grilletto la vittima si è abbassata, nel tentativo, forse, di ripararsi. Il proiettile ha raggiunto Antonio Chiarolla alla testa. Per lui non ci fu niente da fare. Ad ammettere in aula il delitto avvenuto nell’o t t o b re 2006 in via Trevisani, Giovanni Amoruso, detto «Pipistrello», «nato» con il clan Abbaticchio, cresciuto con i Palermiti e infine approdato agli Strisciuglio. Amoruso, da circa un anno collaboratore di Giustizia, ha deposto ieri davanti alla Corte d’As -sise, nell’ambito del processo denominato «Libertà » in cui è imputato per il delittto prima confessato al pm antimafia Desirèe Digeronimo, titolare del fascicolo, e ieri ricostruito in aula. Nelle gabbie una quarantina di presunti affiliati al clan Strisciuglio accusati a vario titolo associazione mafiosa, traffico e spaccio di droga, detenzione illegale di armi da fuoco. Amoruso, un passato da contrabbandiere, si è occupato, dice, anche di usura. «Chiarolla – ha riferito - mi aveva chiesto un prestito di 20mila euro perché mi disse che voleva acquistare una partita di hashish». L’uomo, a detta di Amoruso, era molto vicino a Michele Laera. «Gli detti la somma in due tranche e concordammo un interesse da 500 euro al mese». Alla prima scadenza Chiariolla non paga. «Quando gli chiesi di onorare il debito mi disse che non avrebbe restituito nulla, tanto era protetto da Laera. Aggiunse che loro due sarebbero andati in giro nel quartiere Libertà con la mia testa se avessi insistito». Ma la famiglia di Amoruso abitava in quella zona. Così «Pipistrello» va in giro armato. «Quella sera avevo con me una Magnum 357 che mi aveva dato Michele Costantino. Indossavo il giubbotto antiproiettile. Avevo notato Chiarolla nei pressi di un circolo ricreativo ma non feci niente perché avrebbero potuto chiuderlo. Quando scesi, Chiarolla era ancora lì. Fece qualche passo. Gli dissi di finirla: “Ridammi il capitale, non fa niente degli interessi chiudiamo la storia”». La risposta fu: «”Sta arrivando Laera”». A quel punto Amoruso impugna l’arma e spara. Credevo di averlo solo ferito». Subito dopo fugge in sella a una Vespa nel quartiere San Pasquale a casa di Michele Costantino. «Mi disse: “se la usi la devi restituire”. Dal telegiornale appresi che Chiarolla era morto. A quel punto Costantino decide di stappare una bottiglia di champagne che gli era stata regalata da Lorenzo Caldarola» (quasi per farsi beffe di Caldarola, essendo la vittima una persona vicina a lui, ndr). Ma ai giudici (presidente Clelia Galantino, giudice a latere Ornella Gozzo) oggi dice: «Mi dispiace, non volevo. Chiedo scusa ai famigliari». Il collaboratore ha raccontato altri particolari sulla distruzione dell’arma e sulla «latitanza» in una villa di Polignano dove c’era una cupa di armi. Amoruso non si è fermato qui. Nella sua lunga deposizione, infatti, rispondendo alle domande del pm Digeronimo, ha ribadito in aula quanto riferito agli inquirenti particolari sulla introduzione della droga in carcere e persino in Tribunale, proprio durante lo svolgimento di questo processo. Amoruso ha riferito in aula che in una occasione, all’udienza del 4 giugno 2012, uno degli imputati, Giuseppe Milloni, avrebbe fatto un cenno a un altro imputato, Leonardo De Filippis, indicandogli che aveva nascosto il «fumo» una finestra del bagno dove le guardie accompagnano i detenuti. De Fillippis, sempre a detta di Amoruso, sarebbe tornato in cella, mostrando la droga a lui e ad altri detenuti. Una settimana dopo, dice di avere assistito alla consegna di un pezzo di trenta grammi da Vito Valentino a a De Filippis, insieme con un pacco intero di cartine. Qualcuno avrebbe persino fumato durante l’udienza, in una cella sottostante all’aula dell’Assise in attesa dell’inizio dell’udien –za. Amoruso, infine, ha fatto anche riferimento alla droga che veniva introdotta nel carcere di Bari dai familiari dei detenuti e scambiata grazie alla compiacenza di un agente, il 48enne Giuseppe Altamura, soprannominato «Cartellino Rosso», arrestato per queste vicende il 21 giugno scorso sulla base anche delle dichiarazioni dei pentiti. 4 luglio RISSA FRA CENTO IMMIGRATI. UN MORTO E TRE FERITI Un morto e tre feriti: questo il bilancio della maxi rissa di martedì notte al Cara, il Centro accoglienza richiedenti asilo di Bari – Palese, fra un centinaio di immigrati. Una litigio che era nell’aria. Da diverso tempo i protagonisti della violenta baruffa, al calare del sole, cercavano di entrare in contatto fisico, forse per regolare un conto rimasto in sospeso per qualche apprezzamento espresso, nei giorni scorsi, da qualcuno dei protagonisti della vicenda nei confronti di una donna ospite del centro e non gradito a qualche suo amico. 24 agosto BADANTE TROVATA MORTA IN CASA Trovata morta nella sua casa di Mola di Bari una badante di origini caraibiche, di 65 anni. E sul macabro rinvenimento si profila fin da subito la pista inquietante dell’aggressione a sfondo sessuale. Proprio a Bari la donna prestava servizio come badante in una famiglia agiata. 28 agosto PROSTITUTA UCCISA. IL CORPO NELLE CAMPAGNE DI BITONTO Uccisa a coltellate in quello che sembra il giallo dell’estate 2013 nel barese: uno al collo e uno al fianco destro, almeno, i fendenti che hanno tolto la vita a una giovane prostituta, forse di nazionalità romena, trovata cadavere nei pressi di Bitonto. Sdraiata in un campo sotto un albero di fico, a faccia in su, vestita solo con la biancheria intima, le ginocchia coperte da ecchimosi, in stato di decomposizione. Difficile sul momento dare un’identità alla donna, dell’apparente età di 30 anni e forse di nazionalità romena, ancor più complicato appare ricostruire i suoi ultimi momenti di vita. Il corpo è stato visto nella prima mattinata da un contadino che si trovava poco distante, in un campo di sua proprietà. La zona nella quale la donna è stata uccisa, una stradina di campagna a pochi metri dalla provinciale 231, tra Modugno e Bitonto, è solitamente frequentata da prostitute dell’Est, che potrebbero aver conosciuto la vittima. Per questo molte di loro sono state ascoltate dagli agenti del Commissariato di Bitonto: una di queste ha ammesso di aver visto il corpo qualche giorno prima, ma di aver pensato che dormisse sotto il fico. L’alternativa è che sia stata uccisa da uno dei suoi aguzzini, che quando non le sfruttano, taglieggiano le giovani donne imponendo loro un dazio per poter esercitare la professione sulle strade. Quel che è certo è che il cadavere è stato trovato nella zona in cui solitamente le prostitute si appartano con i clienti per consumare i rapporti sessuali. Probabile, quindi, che sia stata uccisa da uno di loro, in preda ad un raptus. 29 agosto UCCISO IL BOSS CAMPANALE Omicidio di mafia al quartiere Poggiofranco di Bari. Ucciso a colpi di pistola il boss del rione San Girolamo di Bari, Felice Campanale, 67 anni. L’uomo è stato raggiunto da tre colpi di pistola al petto e uno alla nuca proprio mentre rientrava nella sua auto parcheggiata. A fare fuoco sarebbero state due persone arrivate in sella a una moto. Il bilancio dell’agguato poteva essere molto più grave: i killer sono intervenuti nel momento in cui il boss entrava in auto accompagnato dalla moglie e alcuni bambini, probabilmente nipoti, prelevati poco prima da una festa di compleanno nella struttura ludica. Nella sparatoria è rimasto ferito al polpaccio un ragazzo che con la fidanzata portava a spasso il cane. Le sue condizioni non sono gravi. Poco dopo, nella stessa serata, colpi di arma da fuoco sono stati segnalati nei pressi del lungomare IX Maggio, storico feudo del clan Campanale al rione San Girolamo: sei i colpi di pistola indirizzati contro un Fiorino, risultato rubato, nei pressi dell’abitazione dei Lorusso, famiglia da sempre in guerra con i Campanale. Felice Campanale è ritenuto l’erede della storica famiglia di San Girolamo, una volta dedita alla gestione dei parcheggi e poi passata a business illeciti più remunerativi come traffico e spaccio di droga. 4 settembre PREGIUDICATO TROVATO UCCISO A BITONTO Era lì da almeno tre giorni, abbandonato nelle campagne, attaccato da vermi e cani randagi. Ancora un cadavere alle porte di Bitonto, dove la scorsa settimana era stata trovata morta una prostituta romena. Questa volta il corpo ritrovato era di un uomo, del quale sarebbe già stata accertata l’identità, ma l’avanzato stato di decomposizione del cadavere e la permanenza per diversi giorni in una zona di campagna ha indotto gli investigatori ad essere cauti sull’identificazione in attesa della conferma. Sembrava fosse di un pregiudicato di 45 anni, con precedenti penali per droga ed estorsione, residente a Modugno. L’uomo era detenuto ai domiciliari, ma usufruiva di permessi per sottoporsi a cure odontoiatriche. Sarebbe scomparso da casa da almeno tre giorni, ma nessuno avrebbe presentato alle autorità giudiziarie e investigative alcuna denuncia. 1 ottobre UCCISE PER UN «BIMBY» Fu ucciso con tre colpi di pistola dopo la lite per un Bimby, ieri mattina il presunto assassino è stato condannato a 13 anni di carcere. E' questa la decisione del giudice del Tribunale di Bari che, al termine di un processo che si è celebrato con il rito abbreviato, ha inflitto la pena al 32enne Giuseppe Carducci, accusato dell'omicidio volontario di Nicola Matera, il 50enne di Gravina in Puglia ammazzato il 5 ottobre del 2012 dopo essere stato ferito al petto e all'addome. Il pubblico ministero, Luciana Silvestris, aveva chiesto 16 anni di reclusione, secondo la ricostruzione fatta dagli uomini della Squadra mobile all'origine del delitto ci sarebbe stata una lite tra l'imputato e il figlio della vittima, il 21enne Vincenzo Matera. Oggetto del contendere sarebbe stato l'acquisto di un robot da cucina, un Bimby che tra l'altro poi è risultato essere il provento di un furto, che sia Carducci sia il 21enne volevano a tutti i costi acquistare dal ricettatore. Così sarebbe nato un litigio furibondo, durante il quale Vincenzo Matera sarebbe stato picchiato da Carducci. Uno sgarro che non si è, però, concluso lì: qualche ora dopo, infatti, ci sarebbe stato un incontro tra Carducci e la vittima. I due avrebbero dovuto chiarirsi, ma la discussione è nuovamente degenerata e il 32enne avrebbe colpito Matera senior. Il giudice ha condannato l'imputato anche al risarcimento dei danni nei confronti della moglie della vittima, costituita parte civile. 25 ottobre AUTO NOLEGGIATA PER L’AGGUATO Una Bmw, presa a noleggio. Un’auto “pulita” per confondere gli uomini del clan opposto. Le indagini sul triplice omicidio del 19 maggio scorso al quartiere San Paolo raccontano il nuovo tentativo della criminalità organizzata di sfuggire alle rappresaglie di altri uomini armati e di eludere le inchieste che sempre di più sfociano in misure di prevenzione e quindi in provvedimenti di sequestri patrimoniali. Ieri mattina il pubblico ministero Ciro Angelillis che coordina le indagini sull’omicidio di Giacomo Caracciolese e sull’agguato al quartiere San Paolo in cui persero la vita Vitantonio Fiore, Antonio Romito e Claudio Fanelli ha disposto una consulenza tecnica affidando ad un biologo della Polizia Scientifica di Roma l’incarico di eseguire accertamenti tecnici sull’auto, una Fiat Bravo, usata per il triplice omicidio e ritrovata completamente bruciata non lontana dal luogo del delitto, su alcuni abiti che erano all’interno e su una Bmw, affittata da una azienda di noleggio. L’esperto dovrà verificare la presenza di tracce biologiche dei presunti autori dell’agguato al quartiere San Paolo. La Bmw è stata sequestrata in una delle perquisizioni, scattate all’indomani del triplice omicidio. Era parcheggiata in un garage riconducibile a Nicola Fumai (considerato uno degli autori dell’agguato). L’auto sarebbe stata utilizzata nelle fasi precedenti all’omicidio di Fiore, Romito e Fanelli. Ed è per questo che il pubblico ministero ha disposto la consulenza, alla ricerca di tracce biologiche. La Bmw era stata noleggiata alle 10.28 del 19 maggio e cioè due ore prima l’agguato. Gli agenti della squadra mobile sono convinti che l’auto sia stata presa in affitto perché in questo modo gli uomini del clan erano convinti di passare inosservati, di sfuggire al gruppo opposto e quindi a eventuali rappresaglie. Una tendenza che emerge anche in altre indagini. Il ricorso ad auto a noleggio è sempre più frequente nella criminalità organizzata barese. Spostarsi con un’auto rubate, secondo la malavita, è più rischioso perché è più facile incappare nei controlli delle forze di polizia. Ma ragionano gli investigatori i clan noleggiano le vetture, anche per lunghi periodi, per un altro motivo: in questo modo possono eludere le indagini patrimoniali, sfuggire alle misure di prevenzione e quindi evitare il sequestro dei beni, come le auto appunto. 2 novembre UCCISA IN CASA Strangolata da un foulard e soffocata dalla plastica dopo una violenta aggressione. Ad ucciderla sarebbe stato un uomo dalla carnagione olivastra, felpa rossa e cappellino giallo. È questa la descrizione fornita da due vicini di casa che hanno visto, poco dopo le 13, una persona scavalcare il cancello di un complesso residenziale alle porte di Bari, e l’hanno fotografata. Quello scatto è stato al centro delle indagini che la Squadra mobile di Bari. La vittima era appena rientrata in casa dopo aver fatto la spesa. Deve aver aspettato che la donna aprisse la porta per fare irruzione. Le chiavi, infatti, all’arrivo della polizia, erano ancora infilate nella toppa esterna. Le buste della spesa, invece, poggiate per terra nel salone. All’ingresso, invece, gli ambienti a soqquadro e la borsa della donna in cui il killer deve aver rovistato: nel portafogli non c’erano soldi. Da casa, però, non è sembrato mancare nulla. La prima ipotesi, un tentativo di rapina finito male. Ma altridue elementi che hanno fatto riflettere gli investigatori: quei pantaloni leggermente abbassati e quella sciarpa stretta al collo e legata al tavolo. È possibile che l’omicida volesse anche violentare la 60enne.A dare l’allarme sono stati i vicini residenti nel complesso residenziale. Uno di loro ha visto un uomo scappare verso la tangenziale che costeggia la stradina con le ville e lo ha fotografato. Una donna, invece, ha visto una persona dalla pelle scura fuggire. 15 novembre NIGERIANO – 18 ANNI CONFESSA L’OMICIDIO A guidare gli investigatori è stata quella foto scattata da un vicino di casa. Un uomo dalla carnagione olivastra che corre con addosso una felpa rossa e un cappello giallo. La polizia lo stava cercando ovunque tant’è che, subito dopo l’omicidio, aveva fermato in piazza Umberto un 30enne ghanese vestito proprio così. Ma il colpevole non era lui. All’assassino della 60enne trovata morta nella sua villetta a Torre a Mare lunedì mattina, la Squadra mobile ci è arrivata seguendo il segnale del cellulare rubato alla vittima. L’omicida, infatti, si era sbarazzato della scheda sim ma non del telefonino. Il segnale proveniva dal Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Palese dove vivono più di 1300 migranti. La polizia allora ha aspettato di intercettarlo in movimento. Il blitz è scattato mercoledì alle 19.15 in pieno centro a Bari in via Quintino Sella. A bordo dell’autobus proveniente dal Cara c’era quel cellulare e molto probabilmente anche l’assassino. I poliziotti hanno bloccato il pullman dell’Amtab e hanno fermato tutti i passeggeri. A quel punto hanno fatto squillare il telefono in cui era inserita una nuova scheda. È stato lo squillo a portarli un nigeriano poco più che 18enne, in Italia dal 2011 con permesso di soggiorno rilasciato per scopi umanitari. Il giovane, messo alle strette, ha confessato l’omicidio. 14 dicembre BRASILIANA MORTA CARBONIZZATA ERA SUPERTESTIMONE Bruna Bovino, la 29enne italo-brasiliana trovata morta nel centro estetico che gestiva a Mola di Bari, il prossimo febbraio avrebbe dovuto testimoniare, come parte civile, in un processo nel quale si era costituita e che vede imputate, per fatti risalenti al 2011, due persone accusate di induzione e favoreggiamento della prostituzione. E' un particolare che emerge dalle indagini condotte dai carabinieri e coordinate dal pm della Procura Antonino Lupo. La ragazza, madre di una bimba di due anni avuta da un compagno con il quale ha convissuto fino a qualche mese fa, è stata trovata dai vigili del fuoco carbonizzata nella struttura "Erwen".