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Spazio Tre
XIX edizione
Teramo 7 - 28 maggio 2010
Programma
PITTURA
CINEMA
DANZA
LIBRI
MUSICA
Spazio Tre
Comune di Teramo
Fondazione
della Cassa di Risparmio
della Provincia di Teramo
Regione Abruzzo
Provincia di Teramo
www.maggiofesteggiante.it
www.spaziotre.info
2010
Ideazione e Direzione artistica
SILVIO ARACLIO
Immagine del Maggiofest
STEFANO CANULLI
Sezione Cinema Maggio Italiano
Ideazione
LEONARDO PERSIA
SILVIO ARACLIO
Progetto grafico e realizzazione catalogo
PIERO ASSENTI
Organizzazione
LEONARDO PERSIA
SILVIO ARACLIO
Sezioni Pittura Libri Danza Musica
Ideazione
CARLA PIANTIERI
SILVIO ARACLIO
Organizzazione
CARLA PIANTIERI
Ufficio Stampa
ALLEGRA ARACLIO
ANTONELLA GAITA
Segreteria
MANUELA LAMONICA
Stampa
MULTIPROGRESS
Documentazione video del Maggiofest
PRODEO SNC
Collaboratori:
Vincenzo Macedone
Piero Assenti
Vincenzo Castaldo
Marco Cicconi
Davide Di Giuseppe
Ringraziamenti:
Anna Bonaiuto, Annamaria Merlini, Fabio Bo,
Guido Campana, Paolo De Bernardin, Nino Di
Berardino, Antonio D’Orazio, Antonio Topitti.
I
l nostro fauno, immagine ideata da Stefano Canulli, in questi anni si è sempre trasformato ma per quest’edizione è tornato bambino: vuol essere un segno di speranza per il
futuro? In fondo diciannove edizioni sono molte, ma ripartire e ritrovare un’energia tutta nuova
nonostante il nostro budget diventi sempre più infantile...eheheh...
Spero che il programma di questo Maggio piaccia al nostro pubblico. Abbiamo cercato di avere
dei grandi artisti. Le date non sono molte ma di grande qualità. E poi con un GirodiBanda si
conclude la festa, nella migliore tradizione del Maggio e con un pensiero alla XX edizione.
Evviva!
Il Direttore Artistico
Silvio Araclio
PROGRAMMA
PITTURA
Venerdì 7 · Sabato 15 maggio
HIKIKOMORI
di Mauro Di Giuseppe
Torre Bruciata, via Antica Cattedrale
Opening Venerdì 7 maggio ore 18,00
Orari mostra 17,30-20,30
CINEMA · Maggio Italiano
Cinema d’autore
CARLO VERDONE
Lunedì 10 maggio
Sala Polifunzionale della Provincia
Ore 15,30 UN SACCO BELLO (99’)
Ore 17,30 BOROTALCO (131’)
Ore 19,30 COMPAGNI DI SCUOLA (118’)
Ore 21,30 AL LUPO AL LUPO (114’)
Mercoledì 12 maggio
Multisala Smeraldo
Ore 16,30 IL MIO MIGLIOR NEMICO (115’)
Ore 18,30 GRANDE, GROSSO E VERDONE (131’)
Ore 21,00 MANUALE D’AMORE (130’)
Giovedì 13 maggio
Teatro Comunale
Ore 21,15 IO, LORO E LARA (115’)
incontro con il regista Carlo Verdone
presentano i critici Fabio Bo e Leonardo Persia
DANZA
Venerdì 21 maggio
INFERNO
una creazione di Emiliano Pellisari
Teatro Comunale - Ore 21,15
LIBRI
Domenica 23 maggio
ARCHIVI DEL SUONO
di Paolo De Bernardin - Maggioli Editore
Sala Polifunzionale della Provincia - Ore 17,30
presentano il libro Giuseppe Videtti - giornalista La Repubblica
Paola Besutti - docente di Musicologia applicata - Università degli Studi di Teramo
a seguire EX.WAVE in concerto
MUSICA
Venerdì 28 maggio
GIRODIBANDA
la musica tradizionale salentina e la banda
direzione M° Cesare Dell’Anna
Piazza Sant’Anna - Ore 21,30
PITTURA
Venerdì 7- Sabato 15 Maggio
Torre Bruciata Via Antica Cattedrale
Opening ore 18
Orari mostra 17,30 - 20,30
L
Letteralmente “stare in disparte, isolarsi” è un termine giapponese che sta ad indicare un fenomeno
comportamentale riguardante gli adolescenti e i giovani post-adolescenti in cui
si rigetta la vita pubblica e si tende ad
evitare qualsiasi coinvolgimento sociale.
Si tende quindi ad isolarsi chiudendosi
nelle proprie case e interrompendo ogni
genere di rapporto con gli altri, fuori
dalle mura domestiche. L’HIKIKOMORI
diventa schiavo della propria vita seden-
MAURO DI GIUSEPPE Biografia
Mauro Di Giuseppe è un insegnante di storia
dell’arte. Si è formato all’Accademia di Belle
Arti dell’Aquila. Con Fabio Mauri ha curato le
scenografie e gli allestimenti di diversi spettacoli lirici e teatrali lavorando, tra gli altri,
con registi come Silvio Araclio, Renato Bruson, Maurizio Nichetti, Massimo Ranieri. Dal
1992 al 1997 è stato scenografo presso la Rai
di Napoli.
taria, gioca con videogiochi e guarda la
televisione durante tutto il proprio tempo
libero. L’unico mezzo di comunicazione
che usa è internet, con cui si crea un
vero e proprio mondo tutto suo, con amici
conosciuti on-line.
Una provocazione quindi. Questo è il senso dei lavori di Di Giuseppe. Nella fase
iniziale strizzano l’occhio agli eventi sociali, utilizzandoli a pretesto come ricerca
segnica da trasferire sulla tela.
Cinema d’autore
Carlo
CINEMA
VERDONE
Lunedì 10 Maggio
Mercoledì 12 Maggio
Giovedì 13 Maggio
Sala Polifunzionale
della Provincia
Ore 15,30 Un sacco bello
Ore 17,30 Borotalco
Ore 19,30 Compagni di scuola
Ore 21,30 Al lupo al lupo
Multisala Smeraldo
Ore 16,30 Il mio miglior nemico
Ore 18,30 Grande, grosso e Verdone
Ore 21,00 Manuale d’amore
Teatro Comunale
Ore 21,15 Io, loro e Lara
incontro con il regista
presentano i critici Fabio Bo
e Leonardo Persia
R
ispetto al Carlo Verdone attore, il
Carlo Verdone regista può disorientare. Il primo muove lo sguardo dello spettatore,
lo seduce con la sua generosità di maschere e
tipizzazioni, di performance in movimento continuo, facendolo stare al passo di una ricchezza
recitativa che trascende il personaggio unico
(da cui la tendenza, anche quando non diviso,
a moltiplicarsi, allargando magari il campo alla
foto di un sosia, a dei bambini replicanti, a un
modello d’ispirazione trascinato nel set). Laddove il regista sembra essere invece economo
ed essenziale, completamente asservito alla
vis recitativa (anche altrui), senza rincorrere il
tocco, senza ricorrere allo stile.
Eppure, a uno sguardo più attento, l’invisibilità
della messa in scena comincia a rivelare bagliori di visibilità. Prima di tutto, il regista sa stare
al passo dell’attore, e degli attori, con un timing
altrettanto variegato: ora morbido, poi caotico,
sospeso prima nella situazione comica, disteso
dopo in una momentanea risoluzione. O, ancora, risoluto e irrefrenabile nel setacciare la gag,
si chiude alla fine nel contegno, in una cifra
astratta che è l’equivalente, sul versante della
recitazione, di un’afasia loquace, dei contrappunti irresistibili d’inerzia recitativa (il volto perplesso, immobile) attraverso i quali si realizza il
virtuosismo di Carlo Verdone attore.
Presi in sé, questi momenti registici, svincolati
dal contesto comico che li occulta o separati
anche dall’evidenza del racconto e della recitazione che li contiene, rivelano un’autorialità pudica, mai soverchia, per niente esibita, eppure
evidente. L’autore è talmente modesto da utilizzarli come chiusura del film, se non addirittura
come titoli di coda. Guardare quelli di Io, loro e
Lara: un’Africa lontanissima dai cliché, anche per
le locations (il Kenya del Nord, direzione Corno
d’Africa) e il commento musicale (Thomas Feiner
& Anywhen). Ma soprattutto una sequenza che,
più che a una commedia, sembra appartenere a
un film d’autore rarefatto e malinconico. Oppure
“malin-comico”: neologismo creato da Stefano
Reggiani appositamente per il nostro.
Questo non solo perché si raffigura un mondo
“altro” rispetto a tutto quello che si è visto prima. Le distanze, così lontane così vicine, risolte
sempre in un collegamento e in un’affinità, sono
una costante del Verdone regista: si noti nell’incipit dello stesso film, il montaggio parallelo tra il
sacerdote in Africa e Lara, sexy, in webcam. E si
leggano i titoli dei film, dove spesso appare non
solo la contrapposizione (Io e mia sorella) e lo
scontro (Maledetto il giorno che ti ho incontrato),
che sappiamo essere incontro, ma la stessa contiguità del distante (Perdiamoci di vista; Il mio miglior nemico) e il moltiplicarsi dell’uno nel gruppo
(Bianco, rosso e Verdone; Compagni di scuola).
Il vuoto del singolo è un vuoto sociale. Noi sta
CINEMA
sempre dietro Io. Con i
propri condizionamenti,
le maschere, le imposizioni e i modelli.
«Ma perché dobbiamo
far finta di essere forti!» dice/scrive Tiziana
(Laura Morante) ad Andrea (Rodolfo Corsato)
attraverso il vetro dell’aeroporto, nel pre-finale
de L’amore è eterno finchè dura. Un’interrogativa che è contemporaneamente un’esclamativa. Una confessione, un momento di verità
espresso attraverso un uso perfetto del campo/controcampo e con una grande direzione
di attori, altro segno distintivo, come pure lo
scavo, delicato e rispettoso, della psiche femminile. Appena dopo, il finale dello stesso film
fa annegare la neo-coppia Gilberto (Verdone) e
Carlotta (Stefania Rocca) nell’anonimato della
folla, ribadendo l’illusorietà dell’amore e dell’affrancamento dagli altri, dal collettivo. Se il protagonista Verdone trascina nella sua individualità ingenua gli altri personaggi, facendo venir
fuori pure ad essi una goffaggine che è globale,
con conseguente smascheramento di cinismo,
efficientismo e perfezione indotti, lo sguardo di
Verdone regista, che pure sa essere cattivo e
tagliente, feroce e disilluso, non è mai canzonatorio o sprezzante, in controtendenza con la
commedia all’italiana.
L’immagine del coatto Ivano che, di ritorno dalla
luna di miele, gioca da solo a pallone nell’appartamento non del tutto ammobiliato, cioè i titoli
finali di Viaggi di nozze,
pone l’accento più che
sulla buffa solitudine
del personaggio, sulla
tragicomica solitudine
del cosmo.
Simili momenti vuoti (in
tutti i sensi), riconoscibilissimi, si ritrovano in
tutte le regie di Verdone. Nello stesso film, per
esempio, quando Ivano e la consorte Jessica,
dinanzi al mare, da un pontile, parlano di un amplesso irrisolto; oppure, con un’altra coppia di
coatti, guardano, disincantati, le stelle cadenti.
La macchina da presa si ritrae dai primi piani,
allarga, estende la mestizia, ma non la separa
dal comico, dall’ironia. Il vuoto esistenziale, che
la camera fissa amplifica, viene rotto da gesti
e parole altrettanto vuote: nella prima scena, le
flessioni di Ivano; nella seconda, una battutastandard ma, nello specifico, eloquentissima:
«Che palle!». E’ in casi simili, bellissimi, non
lontani dalla grande scuola umoristica europea
(Jacques Tati, ma anche, più a Nord, Aki Kaurismaki o Roy Andersson, e, a Est, Otar Ioseliani), che si rivela il marchio più evidentemente
autoriale di Verdone.
Un marchio discreto di poesia distanziata e
zen, come quando irrompe come un haiku il
primo piano di Veronica Pivetti che piange, ma
con gli occhi coperti da una maschera per il
viso. Scheggia di tragico, scivolata fuori dallo
humour. O la fuga fuoricampo di Iris (Claudia
Gerini) riflessa sullo sguardo ferito di Romeo
(nomen omen!) nel finale amaro e poetico di
Sono pazzo di Iris Blond. Visionarietà trasparente, ma discreta, costantemente frapposta,
mai esplicita. La musica, sempre benissimo
utilizzata, spinge le storie fuori dal loro universo, ribadendo al contempo la loro estendibilità.
Sakamoto e Robert Fripp, David Sylvian e i Public Enemy. Jimi Hendrix, Joe Cocker, i Cream.
A volte espressamente citati o messi in campo.
Pop e rock sono una passione esposta e con-
temporaneamente nascosta di Carlo Verdone:
esteriore dell’interiore.
E’ il segno di un riserbo, una misura, una sincerità che, nella cifra genialmente contrastata
dell’autore, appartengono pure al suo stile
d’attore. Ricco, ma mai sovrabbondante. Carico, eppure contenuto. Tradizionale e moderno.
Grande recitazione e grande regia. Un sacco
bravo.
Leonardo Persia
CARLO VERDONE Biografia
Carlo Verdone (Roma, 1950) diventa celebre alla fine degli anni ’70 per i suoi
memorabili sketch televisivi e con Un sacco bello (1980) e Bianco, rosso e verdone (1981) porta al cinema il suo repertorio di feroci tipizzazioni (dal ragazzo
timido al figlio dei fiori, passando per il mistificatore bullo di borgata). Di questi film Verdone è in pratica l’uomo orchestra: autore di soggetto, sceneggiatura, interprete principale e regista e vi rivela la capacità di fissare, con
estrema precisione e notevole coinvolgimento affettivo, i nuovi
riti e miti, le dissociazioni dell’io e il difficile cammino di
scoperta di se stessi da parte delle nuove generazioni
dei giovani romani nati nei paraggi del miracolo economico. Ma soprattutto sa usare più di tutti i nuovi
comici la macchina da presa, ne conosce il linguaggio
di base e sa metterla al servizio della storia e non solo
dell’attore come faranno invece i suoi colleghi comici
(Benigni o Nuti, per esempio). “Si sente che è stato
al Centro Sperimentale” dirà – ironicamente – di lui
Benigni e di fatto questo titolo farà la differenza e gli
consentirà di puntare progressivamente a un cinema
CINEMA
d’autore con la presenza dell’attore Carlo Verdone. Riesce quindi a spostare l’attenzione da fenomeni transitori, colti con grande tempismo, allo studio più approfondito dei personaggi, degli intrecci e delle situazioni
narrative. Mentre il Verdone-attore degli esordi rinverdisce i fasti del fregolismo, ma percorre strade già note, il
Verdone-regista rivela progressivamente le proprie qualità, abbandonando le imitazioni di superficie e andando alla ricerca di intrecci psicologici più sottili e complessi. La regia cinematografica non è per lui un valore
aggiunto, ma un elemento portante e ordinatore. Il vero salto di qualità per Verdone non è improvviso, ma
risulta da un affinamento continuo della propria riflessione sui personaggi e sul mondo in cui si muovono.
Il riso lascia il posto a un retrogusto amaro e malinconico sempre più evidente e la rete di rapporti si dilata e
si complica. Ciò è evidente già in Borotalco (1982) e in Acqua e sapone (1983), sebbene continui a sfruttare la
sua capacità camaleontica e la galleria delle sue maschere mai volgari e molto legate al dialetto romano. Ma è
soprattutto in Io e mia sorella (1987), nel nostalgico Compagni di scuola (1988) e in Al lupo! Al lupo! (1992) a
decidere di accentuare le venature malinconiche del suo umorismo, aggiungendo più di una sfumatura amara
alle sue commedie. I suoi personaggi, pur candidi e imbranati, poco alla volta perdono la definizione macchiettistica per acquisire spessori e dimensioni inedite e talvolta riescono a essere all’altezza delle situazioni, a
risolvere i problemi personali e di tutti, anche se la sua visione si fa più pessimistica e i suoi protagonisti sembrano quasi sempre votati alla delusione e alla sconfitta professionale e sentimentale. Il suo tocco col tempo
si fa più leggero e al tempo stesso più meditativo, prendendo in controtempo la tendenza alla beceraggine di
alcuni film in cui si presta a fare delle comparsate. Maledetto il giorno che t’ho incontrato (1992) insiste con
acume su queste tracce, mentre ogni tanto torna alla struttura e ai toni comici degli esordi interpretando tre personaggi in Viaggi di nozze (1995) e, successivamente, in Grande, grosso e Verdone (2007). Tratteggia
quindi, con risultati alterni, una satira della dominante volgarità italiana con Gallo cedrone (1998)
e C’era un cinese in coma (2000). Dalla metà degli anni ’90 gira una decina di titoli di buona
fattura e qualità registica, interpretativa e di scrittura, riuscendo sempre più a far emergere
come elemento portante anche la colonna sonora e a valorizzare anche la recitazione dei
suoi partner maschili e femminili, da Claudia Gerini a Veronica Pivetti a Beppe Fiorello a Silvio Muccino. Con la loro capacità di osservazione a caldo dei processi di trasformazione dell’italiano medio, Ma che colpa abbiamo noi (2002), L’amore è eterno
finché dura (2003), Il mio miglior nemico (2006) e l’ultimo Io, loro e Lara
(2010) sono i risultati più interessanti della sua ultima produzione.
UN SACCO BELLO
Regia: Carlo Verdone Sceneggiatura: Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Carlo Verdone Fotografia: Ennio Guarnieri Montaggio: Eugenio Alabiso Musiche: Ennio Morricone Anno: 1980 Durata: 99’
Interpreti: Carlo Verdone, Mario Brega, Renato Scarpa, Veronica Miriel, Isabella Bernardi.
Come in Domenica d’agosto (1950) di Emmer siamo a Roma nel cuore dell’estate e alle prese con le vite parallele di un bullo alla John Travolta, un «bambino di Dio» e un giovanotto mammone che deve andare a Ladispoli. La novità è data dal fatto che la scena si svolge ai nostri giorni, in una Roma degradata nei linguaggi e nei
comportamenti: e ce lo conferma Carlo Verdone, interprete fregoliano di tutti e tre i protagonisti e mimetico
notomizzatore delle moderne nevrosi verbali. Un sacco bello è la cronaca di tre fallimenti: il bulletto non riesce
a partire per Cracovia con l’amico che gli è più simpatico, l’hippie non accetta di tornare in famiglia anche se
il futuro gli fa paura, il figlio di mamma fallisce la conquista di
una splendida ragazza spagnola. Dietro queste figure, Verdone (anche autore del copione, con Benvenuti e de Bernardi,
e puntuale regista) ci fa intravedere l’intollerabile malinconia
della solitudine. Ma il film trascorre lieve sulle note più gravi,
concentrato sulla risata e sul grande numero polimorfo di un
comico dotatissimo. Anche se eccede in generosità moltiplicandosi in troppe macchiette (ai protagonisti aggiunge altri tre
personaggi: un prete, un professore e un ragioniere cretino),
Verdone conferma l’occhio acuto e lo sberleffo a colpo sicuro
che già gli è stato riconosciuto in palcoscenico (...)
(Da Tullio Kezich, Il nuovissimo Mille film. Cinque anni al
cinema 1977-1982, Oscar Mondadori).
Questo giovanotto col volto quadrato e gli occhi che ogni tanto si rovesciano all’interno in cerca di segrete visioni; questo
CINEMA
attore dalla voce nasale e intermittente che ripete con felicità i luoghi comuni; questo Carlo Verdone, scoperto
e lanciato in fretta, è un talento umoristico che dà frutti ancora piccoli, ma gustosi. Crescerà; la sua fortuna
naturale è di essere una maschera italiana aggiornata con garbo ai tempi. Verdone ha raccolto alcuni caratteri romani con la cura rispettosa dell’entomologo, del cacciatore di farfalle, non ha alterato i suoi modelli,
qualche volta ne è stato complice: la comicità, la risata nascono dalla ripetizione del tic, dall’imperturbabilità
dei difetti.
I personaggi di Verdone non hanno svolgimento, si avvitano su se stessi con allegra ostinazione; stanno meglio nella scenetta isolata che nel film, ma anche nel film conservano una loro stupefatta presenza. Verdone
può assomigliare al Sordi degli inizi, al Sordi dei compagnucci della parrocchietta; ma Sordi già allora aveva
bisogno di una storia ben distesa per dispiegare in pieno il suo carattere provocatorio. Forse il paragone ha
bisogno di un’aggiunta cabarettistica: Verdone sta tra Sordi e Franca Valeri; il monologo, il trucco vocale, la
mimica gli piacciono più del resto, anche se il resto, per chi vuol fare il regista di se stesso, è importante.
(Stefano Reggiani)
BOROTALCO
Regia: Carlo Verdone Sceneggiatura: Carlo Verdone, Enrico Oldoini Fotografia: Ennio Guarnieri Montaggio: Antonio Siciliano Musiche: Lucio Dalla, Fabio Liberatori, Stadio Anno: 1982 Durata: 131’
Interpreti: Carlo Verdone, Angelo Infanti, Eleonora Giorgi, Moana Pozzi.
Il borotalco non è soltanto una polvere usata per l’igiene della pelle, come dice il vocabolario. Un dizionario
delle metafore potrebbe aggiungere che il borotalco, mentre assorbe i sudori quotidiani, è un morbido inganno della fantasia, un sogno indulgente. Dunque si addice bene al “ fotoromanzo con ironia ” scritto da Enrico
Oldoini con Carlo Verdone, dove il gioco dell’artificio s’incrocia con le amarognole allegrie dell’illusione. E
benissimo si destina a un pubblico di spettatori che ama le nuvole profumate, il cinema-piumino su cui riposarsi. Nel nostro caso, chi fa uso abbondante di borotalco, e ha un po’ di cipria anche nel cervello, sono Sergio
e Nadia, due giovani della Roma di oggi i quali corrono la città per vendere, di porta in porta, pubblicazioni a
dispense. Ambedue sono fidanzati (Sergio con la figlia d’un pizzicagnolo, Nadia con un meccanico), e ambe-
due hanno i loro sogni: a lui piacerebbe avere più faccia
tosta e furbizia, lei vorrebbe sfondare come cantautrice.
Lui ha per modello l’amico sbruffone col quale divide la
camera in un convitto di preti, lei idoleggia Lucio Dalla. Sergio, l’imbranato, sul lavoro è un disastro; Nadia,
l’intraprendente, è in testa alla classifica dei venditori.
Succede che Sergio, visitando un cliente da supporre
danaroso, si trovi in una casa di gran lusso e conosca un
tipo che è proprio il suo rovescio: un Manuel play-boy amico intimo dei divi americani, inseguito dalle donne
e sopravvissuto a esperienze eccitanti. Sergio sta ad ascoltarlo a bocca aperta (e gli fa da sguattero in cucina),
almeno finché la polizia non viene a prendere quel venditore di fumo. Allora il nostro birbante che fa? Si
mette nei panni di Manuel, e quando Nadia, che non lo conosce, bussa alla porta, recita la parte del grande
uomo di mondo. La donna ci casca, anche perché lui le ha detto di essere in confidenza con Lucio Dalla, ma
ora per Sergio sono dolori: deve dar fondo ai risparmi, sfuggire le minacce del pizzicagnolo, e tener testa a
Nadia che lo supplica di presentarla al cantante. A imbrogliare ancor più la matassa si mette l’amore: quando
lui sta per confessarle il trucco, lei gli chiude la bocca con un bacio (...). Borotalco è un film-svolta per Carlo
Verdone, che alla terza tappa della sua carriera cinematografica tenta il gran salto mettendo da parte la galleria
di macchiette, per cui fu applaudito come un nipotino di Fregoli, e calando i propri estri in un unico personaggio (...). Come regista non ha ancora un suo stile, ma come interprete d’una realtà quotidiana, soprattutto
giovanile, da prendere affettuosamente in giro e da rapire nei cieli dell’assurdo, sta trovando la sua strada.
Felicemente in coppia con un’Eleonora Giorgi che dà una replica irruente e festosa a quel Sergio un po’
allocco, dipinge un carattere nel quale si concentrano molti tic della sua generazione, derivati dall’insicurezza
e dal mito del successo. Osservatore della piccola gente, non ha la sublime perfidia di Alberto Sordi (cui nel
film rende omaggio): la comicità, in Borotalco, nasce dal connubio fra personaggi che non accettano se stessi,
e si mettono in vie senza sbocco, patetiche vittime dei propri fantasmi, creati per uscire dalla mediocrità. Il
film ha a suo modo un lieto fine perché i protagonisti passano una mano di borotalco sulla realtà, ma è intriso
della malinconia procurata da chi è costretto a nascondere la verità sotto i cosmetici. Vogliamo dire che Frank
Capra ai suoi tempi era più ottimista (...). (Giovanni Grazzini, Il Corriere della Sera, 23 gennaio 1982).
COMPAGNI DI SCUOLA
Regia: Carlo Verdone Sceneggiatura: Carlo Verdone, Piero De Bernardi, Leo Benvenuti Fotografia:
Danilo Desideri Montaggio: Antonio Siciliano Anno: 1988 Durata: 118’
CINEMA
Interpreti: Carlo Verdone, Christian De Sica, Nancy Brilli, Alessandro Benvenuti, Eleonora Giorgi, Massimo
Ghini, Athina Cenci, Natasha Hovey.
Anche se il film riguarda la generazione dell’autore, quella dei primi anni ‘50, la fenomenologia della rimpatriata
scolastica è immutabile da sempre e consente a chiunque di identificarvisi. Maturato come regista, Verdone
è in grado di tenere sotto tiro per due ore una ventina di personaggi senza dispersione né cadute di ritmo né
momenti opachi: la mano è sempre leggera, farsa e dramma sono tenuti ugualmente a distanza e le residue
tentazioni pecorecce sono poche. Quando la compagnia degli ex alunni è finalmente al completo, nella sontuosa villa di Nancy Brilli, mantenuta di lusso, una piccola folla di personaggi comincia a prendere vita. C’è
Massimo Ghini sinistro onorevole, c’è Athina Cenci psicoanalista nevrotica, c’è Christian De Sica showman fallito, c’è Fabio Traversa zimbello della compagnia, c’è Angelo Bernabucci romanesco greve, c’è Maurizio Ferrini
inguaribile goliardo, c’è Eleonora Giorgi separata inquieta, c’è Isa Gallinelli amica petulante... Su tutti domina,
naturalmente, Verdone detto “il Patata”, che sarà la vittima principale della crudeltà del gruppo: nel corso della
festa sarà esposto al ludibrio il suo amore segreto di professorino mal maritato per l’allieva Natasha Hovey.
E dopo l’inevitabile bagno notturno e una ritirata
felliniana all’alba, ciascuno riprenderà la sua strada con qualche speranza o qualche amarezza in
più. Per fortuna non siamo di fronte alla denuncia
di una generazione che ha fallito o a simili sfoghi di moralismo politico, ma a una commedia di
gruppo che nasce da una visione crepuscolare e
in qualche modo “migliorista”. Prova ne sia che
alla fine pur cornuto e mazziato, il Patata riprende
soprappensiero a fumare, forse sulla strada di ca-
pire che l’esistenza non è quell’oscura selva di veleni da
lui fino a quel momento tanto temuta.
(Tullio Kezich, da Il filmnovanta: cinque anni al cinema: 1986-1990, Mondadori, Milano, 1990)
Com’è triste lo sguardo di Carlo Verdone sui suoi coetanei, quei trentacinquenni che quindici anni fa sono usciti
dal liceo! Nonostante Io e mia sorella fosse già un film
“serio”, finora Verdone lo abbiamo visto soprattutto ridere, o sorridere. Adesso sorride ancora un po’ (per farci ridere), ma l’atteggiamento, ormai, è di uno che graffia,
sconsolato, quasi tutta intera la generazione di cui fa parte, come già certi suoi colleghi d’oltreoceano (Il Grande
Freddo, La caduta dell’impero americano). Dei graffi “all’italiana”, naturalmente, facendo ancora posto al lazzo
e alla beffa, ma sempre in cifre amare, anzi amarissime, che la realtà di oggi, di certi ex giovani di oggi, ce la
restituiscono sotto le luci più scure, e negative, con pochissime speranze di salvezza, psicologiche e morali.
L’occasione, la classica “rimpatriata” di alcuni compagni di scuola quindici anni dopo la maturità; organizzata
da una collega che adesso è ricca perché mantenuta da un ricco. Ci sono falliti e arrivati, delusi e tristi, insicuri
e tronfi, tutti penò, salvo poche eccezioni, incapaci di volare alto, solo legati a piccoli giochi meschini e pronti
a riannodare vecchie rivalità, nuovi abusi. Verdone li osserva con voluto distacco. Non partecipa per nessuno,
neanche per quel personaggio pieno di compromessi e di falsi equilibri cui dà vita egli stesso: qua mette alla
berlina, là insiste sui pedale di un’ironia che intenzionalmente sconfina nel sarcasmo, là ancora finge di voler
arrivare addirittura alla farsa ma in realtà avvolge poi tutto, con puntualità, in atmosfere aggressive e polemiche,
con il “basso continuo” di uno sconforto che non tarda a permeare di sé tutta la vicenda.
Non siamo, certo,al ritratto di una “generazione perduta”, ma non si stenta a ritrovare in tutti quei personaggetti
volutamente di mezza tacca, anche nel politico che ha fatto carriera, il segno di un grigio sfacelo, che, anche là
dove i modi sono divertenti, serra il cuore. Un Verdone drammatico, insomma, l’occhio sempre lucido nell’osservazione della gente di cui è circondato, adesso però più portato a soffrirne che non a cedere, come agli inizi,
al dileggio. Un segno di maturità, in un film maturo.
(Gian Luigi Rondi, Il Tempo, 23 dicembre 1988).
AL LUPO AL LUPO
Regia: Carlo Verdone Sceneggiatura: Filippo Ascione, Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Carlo Verdone
Fotografia: Danilo Desideri Montaggio: Antonio Siciliano Musiche: Manuel De Sica Anno: 1992 Durata: 114’
CINEMA
Interpreti: Carlo Verdone, Sergio Rubini, Francesca Neri, Maria Mercader.
(...) La storia dei tre fratelli Sagonà si regge sulla suspense. Ascione, Benvenuti e De Bernardi, che con il regista
Verdone hanno scritto la sceneggiatura, fanno sparire all’inizio del film il celebre scultore Mario proprio quando dovrebbe presenziare a un concerto del figlio minore. Sull’ansia di quest’ultimo si scatena la ricerca, coinvolgendo Livia tutta presa dai suoi problemi personali fra marito e amante, e Gregorio, che sotto il cappellone
a punta dello showman nasconde le amarezze di un’antica rivalità con il fratellino bravo e per bene. La caccia
al padre ci porta dal palazzo romano all’Accademia Chigiana di Siena, da una villa presso Talamone alla
residenza dell’ispiratrice del vecchio, dalla piscina termale sulla piazza di Bagno Vignoni cara al Tarkovskij di
Nostalghia a una baita sulle Alpi Apuane dove cadrà il velo del mistero. Ma c’è dietro un mistero più grande,
che riaffiora dai ricordi dell’infanzia, dalle fotografie e dai filmini ritrovati: ed è la formula, l’impossibilità,
l’ineluttabilità del vivere insieme, dell’essere padri, figli e fratelli. Anni or sono il compianto Stefano Reggiani
definì il cinema di Verdone “malincomico”, con un neologismo che resta la migliore definizione di Al lupo al
lupo. Dove a un più acuto sentimento del paesaggio (la bella fotografia è di Danilo Desideri) corrisponde un
divertimento minimalista, affettuosamente psicologistico, servito con rara immedesimazione dai bravissimi
interpreti. Evidentemente Verdone avendo anche lui un padre chiamato Mario, un fratello e una sorella, ha
trasferito e travestito in questo racconto non pochi spunti autobiografici, mediandoli sotto il segno del sorriso.
Si può avvertire un calo di tono nella seconda parte, ma succede
nei migliori gialli quando scivolano verso la spiegazione. Però
l’ultimissima inquadratura è un imprevisto colpo di teatro, che
risolleva le sorti del film e rende toccante il suo significato.
(Tullio Kezich, Il Corriere della Sera, 20 dicembre 1992).
IL MIO MIGLIOR NEMICO
Regia: Carlo Verdone Sceneggiatura: Carlo Verdone , Pasquale Plastino , Silvia Ranfagni Fotografia:
Danilo Desideri Montaggio: Claudio Di Mauro Musiche: Paolo Buonvino Anno: 2006 Durata: 115’
Interpreti: Carlo Verdone, Silvio Muccino, Ana Caterina Morariu, Agnese Nano, Corinne Jiga.
(...) De Laurentiis, legato a Verdone con un contratto per cinque film, non è il produttore che si tiene in disparte e, nel male e nel bene, questo film porta stampato a tutti i livelli il suo trattamento. E che sia stato un film faticoso, con battaglie tra autori e produttori, ben si legge nella stesura finale. Ma pur con dei non funzionamenti
di sceneggiatura e di struttura, il film, alla fine, è tra i più divertenti che il regista abbia girato in questi ultimi
anni. Verdone tende la mano, forse senza accorgersene, al cinema di Mario Mattoli, di Camillo Mastrocinque
e di Steno. Un cinema che lascia completamente spazio agli attori comici di esprimersi, che sa costruire gag,
situazioni e battute. Misteriosamente, anche all’interno di trovate non di grande novità, un momento comico
straordinario come nel cinema di Totò e Peppino. In Manuale d’amore Giovanni Veronesi aveva intuito che
quella era la strada per liberare comicamente Verdone, e qui si va esattamente in quella direzione, al punto
che la storia stessa del film è un pretesto per vederlo all’opera, e Silvio Muccino il giusto partner giovane per
scatenarlo e trovare un nuovo pubblico. Verdone è tal Achille De Bellis, marito infedele di una ricca borghese,
Sara Bertelà, che tradisce addirittura con la mignottissima moglie, Corinne Jiga volgare ma efficace, del cognato, Paolo Trestini. Direttore di un albergo della catena del cognato, licenzia in tronco una cameriera anni
‘70, Agnese Nano, che ritiene abbia rubato un computer a un cliente. Pensando che la madre sia innocente,
Orfeo, cioè Silvio Muccino, cercherà di vendicarsi su Verdone, non sapendo che è il padre della ragazza che
ha cominciato a corteggiare, Anna Caterina Morariu (sembra Maria Monsè purtroppo). Trovata questa che
troviamo identica nel successo del momento, La notte prima degli esami, altro film che deve molto ai fratelli
Muccino e al trattamento De Laurentiis, visto che Fausto Brizzi è sceneggiatore degli ultimi cinepanettoni. Ma
se nel film di Brizzi la trovata verrà portata avanti fino quasi alla fine della storia, qui si traduce in uno svelamento centrale che lancia un film diverso da quello che abbiamo seguito. Da ricco annoiato borghese, Verdone, scoperto da moglie e cognato, perde tutto e, complice Muccino, cercherà almeno di ricucire il rapporto
con la figlia, in fuga in Turchia. Qua e là si avvertono buchi improvvisi di sceneggiatura, per non parlare di
CINEMA
tutto l’episodio in Turchia e di come vengono piazzati nel film
gli sponsor Vodafone e acqua Lete, ma, esattamente come nei
classici mattoliani, il film vive nello scatenamento dei protagonisti e nel dosaggio di battute e situazioni comiche, davver ben
costruito. Verdone porta alle massime conseguenze il suo personaggio di marito o padre che subisce dalle donne come da
chiunque, senza vergognarsi del suo funzionamento comico.
E se il meglio lo dà nelle scene con Muccino, si toglie anche il
lusso di una grande autocitazione da Bianco, rosso e Verdone
con la scena, celebre, dei portantini. La riprende, la smonta e
la ricostruisce nuova di zecca per il piacere di un pubblico che
lo ha sempre seguito con affetto.
(Marco Giusti, Il Manifesto, 10 marzo 2006).
(...) L’amarezza e il pessimismo del film (...) non si traducono
nelle solite reprimende salvazioniste, bensì in quel grumo di
(false) sicurezze e (patetiche) impotenze col quale tutti siamo
costretti a fare i conti: salvo, beninteso, ad indicare come prezioso bene superstite la possibilità di ridere a
crepapelle sul vanesio e ossessivo attaccamento alla propria immagine esibito dagli svarianti personaggi. La
voce fuori campo di Silvio Muccino - un’ottima performance in accorto bilico sulla spontaneità (che di per
sé non basta) - serve proprio a rimarcare il progetto del regista: la caricatura - naturalmente al diapason ogni
volta che Verdone/attore dà fuoco alle polveri delle sue trascinanti e fregolistiche gag - produrrà quella forma
di piacere dato dal confronto fra la realtà e la sua deformazione nella somiglianza. Il road-movie alla ricerca
«dei padri», sia pure a tratti un tantino prolisso, costeggia sempre un paesaggio di diffidenze e risentimenti.
«Tu mi devi sempre seguire, tu mi devi sempre dare retta»: l’utopia buonista di Achille/Carlo anche nel raggio
finale di tenero sentimento coglie un riflesso beffardo e farsesco.
(Valerio Caprara, Il Mattino, 11 marzo 2006).
GRANDE, GROSSO E VERDONE
Regia: Carlo Verdone Sceneggiatura: Carlo Verdone , Pasquale Plastino , Piero De Bernardi Fotografia:
Danilo Desideri Montaggio: Claudio Di Mauro Musiche: Manuel De Sica Anno: 2008 Durata: 131’
Interpreti: Carlo Verdone, Claudia Gerini, Geppi Cucciari, Eva Riccobono, Emanuele Propizio.
Fortemente voluto dai fan, che da anni sognavano il ritorno dei suoi grandi personaggi, dal candido Mimmo
a Ivano il coatto, Grande, grosso e Verdone, è la giusta, onesta e attesa risposta a questi desideri da parte di
Carlo Verdone. Ben sapendo a cosa andava incontro. Cioè esporsi a una via crucis di quanti, ricordando il
Verdone anni ‘80 e ‘90, si esibiranno in ogni tipo di accanimento su paragoni, differenze e ogni genere di reazioni fanatiche su personaggi che si trovano a attraversare trent’anni di vita italiana. Se ne guarda Benigni di
rifare Cioni Mario oggi, dopo l’Oscar e le letture di Dante. Se ne guarda ancor di più Moretti di rifare il Michele
Apicella di Ecce bombo. A Verdone, invece, che pure ha studiato con Roberto Rossellini e ha avuto come
padrino degli esordi Sergio Leone, si può chiedere di tutto. E lui non si nega mai. Per questo è così amato
dal pubblico. E per questo non si può che provare tenerezza di fronte a un attore che rispolvera maschere
un po’ lontane riadattandole ai gusti di oggi per un progetto che comporta non pochi rischi. Verdone punta
su tre dei suoi personaggi più noti costruendo su di loro, assieme a Piero De Bernardi e a Pasquale Plastino,
dei piccoli film da commedia all’italiana classica. Non mischia nemmeno le storie come in Un sacco bello e
Bianco, rosso e verdone, né comprime il tutto con un montaggio più serrato e moderno. Dilata per sviluppare
bene ogni capitolo. Nel primo episodio seguiamo quello che un tempo fu Mimmo, bravo ragazzo in giro con
la nonna Sora Lella. Adesso è sposato con una ragazza
sarda, Geppi Gucciari stellina di Zelig, ha due figli che
parlano non solo come lui, ma proprio con la sua voce,
e una mamma a carico che ha la pessima idea di morire
il giorno che la famigliola ha deciso di fare una gita scoutistica. I quattro si trovano così ad affrontare una serie
di eventi sfortunati legati alla spostamento della salma
CINEMA
e alla tumulazione. Ne viene fuori un curioso Six Feet Under all’italiana, forse non adatto ai gusti della nostra
commedia, dove brilla per stravaganza comica la stella di Massimo Marino, star della tv trash notturna della
capitale («A frappé» è la sua frase storica), nei panni di un fetentissimo cassamortaro cocainomane. Fa meno
effetto quello che è un vero regalo ai fan dell’attore, cioè l’arrivo del fratello emigrato in Australia, Stefano
Natale, che non solo parla anche lui come Verdone, ma che è stato il modello originario del personaggio di
Mimmo. Certo, se Verdone non avesse già triplicato la parlata alla Mimmo, l’entrata di Stefano Natale sarebbe
stata più clamorosa. Nel secondo episodio, il più costruito anche registicamente e il più cupo, è di scena il
professore pignolo che aveva liquidato in Bianco, rosso e verdone la moglie Magda e in Viaggi di nozze l’altra
moglie, Veronica Pivetti. Niente moglie qui, ma i ritratti di tre spose defunte. Il professore sfoga la sua carica di
follia col figlio, timido pianista (è Andrea Miglio Risi, figlio di Marco Risi e nipote di Dino), e con la fidanzatina
di lui, orfanella. I due cercano di liberarsi del mostro, anche coinvolgendo uno scassinatore (Nicola Di Gioia)
che si prenderà ben due colpi di pistola. L’idea è quella di fare il ritratto di un mostro di oggi, legato alla politica, alla Chiesa, ma pronto a abbassare il prezzo con le prostitute. Nel terzo episodio, il più funzionale, torna
la coppia Verdone e Claudia Gerini di Viaggi di nozze. Stavolta sono due coatti, Moreno e Enza, in vacanza
in un hotel elegante di Taormina col figlioletto che pensa solo al calcio. Con l’idea di ricostruire una famiglia
in crisi, ognuno di loro vedrà negli ospiti alla moda dell’albergo delle occasioni per elevarsi di classe. Moreno
si innamorerà di un’algida fanciulla, Eva Riccobono, e Enza del bellone televisivo, Roberto Farnesi. Scopriranno, come nelle commedie anni ‘60, che i mostri non sono loro, ma le persone finte che hanno intorno.
Verdone e la Gerini sono fantastici come ai tempi di Ivano e Jessica, con grandi battute e notevoli tormentoni.
La spalla verdoniana degli esordi in tv, cioè Pierluigi Ferrari, ha un bel ruolo come concierge. Ma è il trionfo
di Moreno-Verdone che non la smette di preoccuparsi di «cadute di stile» e per questo offre in continuazione mance da 50 e da 100 euro a tutti. Alla fine dei 131 minuti, forse si esce convinti di non aver riso come
avremmo sperato, soprattutto dopo un film divertente come il precedente Il mio miglior nemico con Silvio
Muccino. Probabilmente Verdone ha bisogno di aver a fianco degli attori che gli trasmettano energia per farci
davvero ridere. Ma forse in questo film voleva trasmetterci il malessere che proviamo rispetto alla volgarità
della società dove viviamo. E questo non fa più ridere.
(Marco Giusti, Il Manifesto, 7 marzo 2008).
MANUALE D’AMORE
Regia: Giovanni Veronesi Sceneggiatura: Ugo Chiti, Giovanni Veronesi Fotografia: Giovanni Canevari
Montaggio: Claudio Di Mauro Musiche: Paolo Buonvino Anno: 2009 Durata: 90’
Interpreti: Carlo Verdone, Luciana Littizzetto, Silvio Muccino, Sergio Rubini, Margherita Buy, Jasmine Trinca.
(...) Diciamo subito che il film, a differenza di molti altri film di Veronesi, funziona proprio in questa struttura
portante da commedia a quattro episodi. Funziona soprattutto, cioè, la cornice e l’incastro dei tasselli, che non
è una cosa facilissima, e rende fluido l’intero racconto. L’incastro è tale che tutta la maglia, alla fine dell’ultimo
episodio, si chiude in maniera logica come raramente accade nella commedie degli ultimi anni (...). Dei quattro episodi, i più riusciti sono l’ultimo, con Carlo Verdone, e il primo con Silvio Muccino e Jasmine Trinca.
Verdone, liberato per un momento dal dover fare il regista, torna a fare il comico puro con una freschezza che
da anni ci sembrava un po’ appannata. Il suo marito abbandonato, un medico
romano cinquantenne che non se lo aspettava proprio di dover ricominciare
tutto dall’inizio, è sui suoi migliori livelli. Arriva anche a un momento di farsa
banfiana con la grande scena di sesso interrotto con Sabrina Impacciatore che
lo porterà a fare l’amante in mutande prima sotto il letto mentre i due scopano
poi sul cornicione di un palazzo per eludere il marito geloso. Veramente non
ci aspettavamo da Verdone, dopo gli ultimi due film, così seriosi e in cerca
di identità, un ritorno alla commedia così spontaneo. Accettiamo perfino il
finale ottimista con la bella Anita Caprioli, in riva al mare, che fa tanto anni
`60. L’episodio di Muccino (...) funziona alla grande, anche perché Veronesi
e Muccino hanno capito tutti i trucchi che fanno piacere ai loro spettatori.
Puoi odiarli, insomma, e francamente lo si capisce, ma come macchinetta da
commedia infernale che riprende tutti i temi più elementari di questi ultimi
trent’anni, dalla vespa di Nanni Moretti, alla Jasmine Trinca di La stanza del
figlio alla sotto vanzinata del personaggio Silvio Muccino, funziona perfettamente (...). Non funziona quasi per niente (...)l’episodio con Margherita Buy
CINEMA
e Sergio Rubini. Non funziona malgrado il piacere di rivederli sullo schermo come se fossero i nostri Tom
Hanks e Meg Ryan vent’anni dopo. che fanno la coppia di quarantenni in crisi (...). L’episodio di Luciana
Litizzetto (fantastica come vigilessa cattiva), forse per la presenza del marito traditore Dino Abbrescia, sembra
il seguito poco convinto del film precedente, Se devo essere sincera, diretto da Davide Ferrario. Ci eravamo
un po’ annoiati lì e non ci funziona troppo nemmeno questo sketch basato sul tradimento ed è un peccato,
anche perché appena vediamo la Litizzetto con Carlo Verdone come vigilessa nordica di fronte al romano
incazzato, sul modello insomma di Il vedovo di Dino Risi con Alberto Sordi e Franca Valeri, il film prende un
altro aspetto. Fortuna che poi arriva l’episodio e finalmente si ride come quest’anno non ci è mai accaduto
vedendo un film italiano.
(Marco Giusti, Il Corriere della Sera, 23 gennaio 2009).
IO, LORO E LARA
Regia: Carlo Verdone Sceneggiatura: Pasquale Plastino,
Francesca Marciano, Carlo Verdone Fotografia: Danilo Desideri Montaggio: Claudio Di Mauro Musiche: Fabio Liberatori
Anno: 2009 Durata: 115’
Interpreti: Carlo Verdone, Laura Chiatti, Anna Bonaiuto, Marco Giallini, Sergio Fiorentini, Angela Finocchiaro.
(...)Io, loro e Lara parte da uno spunto che può ricordare il vecchio Stanno tutti bene di Tornatore (un uomo torna da lontano e
scopre che il suo paese, o la sua famiglia, è alle soglie del baratro)
ma finisce per essere un’acre benché sorridente resa dei conti con
l’Italia di oggi, la sua incredibile volgarità, la sua ipocrisia. Vista da
un missionario, lo stesso Verdone, di ritorno dopo lunghi anni in
Africa dove ne ha passate di tutti i colori.
È un ulteriore passo avanti dopo la ferocia di Grande grosso... e
Verdone. Dal raccapriccio, che può scantonare in comico, si passa
infatti allo sgomento. Dallo stupore (come siete, anzi come siamo
diventati) al fastidio, se non alla denuncia (possibile che a tutti
vada bene così?).
Non è una posizione facile per un comico. Difatti Verdone lascia
più spazio che mai agli eccellenti coprotagonisti e al loro corteo
di rancori, cecità, avidità, tenendo invece dubbi e dilemmi per sé.
Sarà vero che quella moldava grandi forme vuole irretire il padre
(un trascinante Sergio Fiorentini), che in effetti l’ha sposata e presenta tutti i sintomi più molesti del rimbambimento erotico-senile? O l’anziano vedovo ha il diritto di fare ciò che vuole con i suoi averi? E padre Carlo
dovrà seguire le paranoie di sua sorella Anna Bonaiuto, psicoterapeuta distratta ma pronta a tutto per salvare
i beni di famiglia, o dovrebbe suggerirle di fare piuttosto attenzione a sua figlia? Anche il fratello finanziere,
erotomane e cocainomane (Marco Giallini), non brilla per credibilità. Ma quando salta fuori che la chiave di
tutto è la seducente e misteriosa Lara (Laura Chiatti), toccherà proprio a padre Carlo chiarire un enigma che
è di natura morale più che poliziesca.
Naturalmente Io, loro e Lara non è La messa è finita (malgrado i non pochi tratti in comune). E la tonaca di
Verdone non è un pulpito ma solo un filtro che crea una salutare distanza fra l’attore-regista e il mondo che
racconta (il nostro) costringendo anche noi a scoprirlo come per la prima volta. Il tono di fondo resta comico,
ma con una nota amara nuova se per stupirsi di quanto vediamo dobbiamo assumere lo sguardo ingenuo,
fiducioso e spaesato del sacerdote. Che sembra l’unico in grado di reggere il disagio dei sentimenti nascosto
dietro quei comportamenti aberranti, dalla ragazza che per fare l’amore prima minaccia di buttarsi di sotto,
alla psicoterapeuta così fragile da voler sedurre un prete (l’irresistibile Angela Finocchiaro). Così il ritorno
finale in Africa è quasi un sollievo. La crisi di padre Carlo forse è finita. La nostra, sia pure fra una risata e
l’altra, va avanti.
(Fabio Ferzetti Il Messaggero 5 gennaio 2010).
Nel suo nuovo film Carlo Verdone è di una bravura che si può solo definire mostruosa. Ora l’unico proble-
CINEMA
ma di questa commedia accurata e accorata potrebbe essere quello di schivare l’abbraccio dei professionisti dell’indignazione che usano il cinema come strofinaccio per spolverare i propri e altrui luoghi comuni.
Infatti Io, loro e Lara si sviluppa su tre assi portanti: un climax a blocchi (la prima parte decisamente
esilarante, poi un bouquet di mezzitoni e infine il finale fintamente consolatorio), l’attenzione spasmodica
al coro dei comprimari e una riflessione più crepuscolare che impettita sul contemporaneo affievolirsi
dei valori. Io, loro e Lara non è un film quaresimale, anzi si ride moltissimo perché il vecchio papà al
Viagra Sergio Fiorentini, il fratello traffichino e sniffatore Marco Giallini, la sorella survoltata e rapace Anna
Bonaiuto capeggiano un bestiario di personaggi/attori degni della tradizione della migliore commedia all’italiana. Il segreto sta, come sempre, nell’inimitabile presa sul dettaglio che il Grande Osservatore esercita
nel rispetto dei diversi tempi comici: ora stupefatto, ora goffo, ora polemico, ora malinconico, il suo alter
ego in abito talare riflette ogni sfumatura dell’ambiente e dei comportamenti, le tramuta in emozioni, le
rimodella in espressioni e le restituisce agli spettatori in forma di visione insieme laica e cattolica, istintiva
e riflessiva, depressa e speranzosa. Le tecniche di regia sono rese invisibili e grazie al felice contrappunto
di fotografia, scenografia e musica il ritratto di gruppo - nonostante l’impianto quasi teatrale - non scade
mai nel moralismo spray e si propone anzi come antitesi ai finti tribunali dei dibattiti in tv. Non insisteremmo, peraltro, sul confronto etico tra occidente egocentrico e terzomondo idillico: non fosse altro perché
il primo è rappresentato anche da creature come Lara che l’emergente Laura (Chiatti, nuova pupilla del
pigmalione di via Giulia) incarna con acerba grazia
non disgiunta da un velo di angelica malizia.
Sono trent’anni che l’occhio carloverdoniano
inquadra la tragicommedia dell’inadeguatezza; ma se non fossimo in grado di cogliere
l’elegante amarezza di un film come questo
saremmo noi spettatori a scoprirci inadeguati
a usufruire di un cinema italiano onesto innanzitutto con se stesso.
(Valerio Caprara, Il Mattino, 8 gennaio
2010).
INFERNO
DANZA
una creazione di Emiliano Pellisari
Venerdì 21 Maggio
Teatro Comunale
ore 21,15
I
nferno è uno spettacolo unico! I sette
ballerini sul palco non si limitano a
danzare: volano. Pellisari infatti mischia le
tecniche del circo e dell’illusionismo con
complessi sistemi scenotecnici. Ad aprire gli
occhi a questo straordinario regista coreografo è stato uno stage a Mosca col regista
Anatolj Vasilev. Nel 2005 ha debuttato con
Daimon, con le coreografie di Pierpaolo Koss
e successivamente ha realizzato Nogravity
con Brian Sanders dei Momix... Inferno è la
sua ultima grande creazione e ha debuttato
in Aprile con un enorme successo di critica
e di pubblico al Teatro Olimpico di Roma. In
Ottobre Pellisari debutterà con la seconda
parte del suo progetto sulla Divina Commedia, il Purgatorio.
Emiliano Pellisari Producer&director
Dagli studi sul teatro ellenistico al teatro fantastico rinascimentale e le invenzioni meccaniche seicentesche, nasce lo
stile di Emiliano Pellisari: studi in filosofia, autore teatrale
(finalista Ricer Ater Tondelli 1999, vincitore Enzimi 2000),
presente nel background nel cinema come organizzatore,
regista e sceneggiatore (Tritone, Korti, Rai 2, 1998- Banane a Bahamas, Aprea, 1999), organizzatore teatrale
(Attori&tecnici a Roma, Teatro della Tosse di Genova), produttore esecutivo di eventi Navigazioni, Genova 2004 - Luzzati, Barcolana, Trieste 2004), regista teatrale, coreografo sui
generis ed infine produttore di se stesso, quasi un “artigiano
teatrale”.
DANZA
2005 - Daimon Project, International Forniture Exhibition, Milano
2005 - Daimon, International Performance Art Center, Mosca
2005/6 - Nogravity, tournée nazionale
2006 - Paralimpiadi, End cerimony, Torino
2006 - Johnson&Johnson, Parigi
2006 - Comix, Roma teatro Parioli
2007 - Orfeo+Euridice, Notte Bianca, Roma
2008 – Blutango, Roma, teatro Vittoria
2009 - Inferno, tournée nazionale
Gli spettacoli di Emiliano Pellisari nascono dagli studi sulle macchinerie sceniche antiche e le implementazioni tecnologiche dei giorni nostri . Il rapporto uomo-macchina trasforma lo spazio sensoriale
imponendo nuove tecniche coreografiche che sono state sviluppate negli anni e che oggi rappresentano
il segno distintivo artistico della Compagnia.
“Ventisei Comuni. Due fiumi.
Un territorio vasto e variegato eppure unico.
Un patrimonio di tesori da scoprire
e da assaporare.
Natura, cultura
ed enogastronomia.
BIM, valore aggiunto al territorio”
www.bim-teramo.it
ARCHIVI DEL SUONO
Domenica 23 Maggio
Sala Polifunzionale della Provincia
ore 17,30
Amy Winehouse
Paolo Conte
EX.WAVE in concerto
Nina Simone
LIBRI-MUSICA
di Paolo De Bernardin
Presentazione di Archivi del suono - Maggioli editore
di Paolo De Bernardin
Intervengono Giuseppe Videtti giornalista La Repubblica
Paola Besutti docente di Musicologia applicata- Università degli Studi di Teramo
a seguire Ex.Wave in concerto
Q
uesta raccolta di articoli scritti da
Paolo De Bernardin per la rivista Inarcassa, il periodico della Cassa di
previdenza degli ingegneri e architetti liberi
professionisti, è una carrellata di personaggi
cult della musica italiana e internazionale, da
Paolo Conte a Amy Winehouse, da Rino Gaetano a Chavela Vargas, da Leonard Cohen a
Luciano Berio, Ennio Morricone...
Miniera di aneddoti divertenti e citazioni
colte, la collezione di pezzi di De Bernardin
offre anche lo spunto alla meditazione
intima e commossa, sul talento, la vita e i
destini degli indimenticabili protagonisti che
vi sono tratteggiati.
PAOLO DE BERNARDIN Biografia
Paolo De Bernardin è nato a Cupra Marittima. Dopo studi classici e
universitari abbandona lo studio per dedicarsi totalmente alla musica.
Disc-jockey nella prima metà degli anni Settanta, presentatore e conduttore di programmi in varie televisioni private. Co-fondatore di una
delle prime radio private in Italia (Radio102 di San Benedetto del Tronto,
giugno 1975). Giornalista redattore della rivista Poster fonda nel 1980 la
rivista Rockstar di cui è redattore capo fino al 1994 (attualmente titolare
della pagina Etnie e Colori, rubrica di ethno-musica di Rockstar). Collabora con vari giornali e riviste e con le
Edizioni l’Espresso per le quali è autore di Cento anni di storia afroamericana. Dal 1995 al 1999 è l’ideatore
e direttore artistico del Festival Radici di San Benedetto del Tronto. Dal 1996 collabora con Selezione dal
LIBRI-MUSICA
Reader’s Digest con il quale ha realizzato il volume Giro del Mondo in Musica. Dal 2002 è collaboratore della
rivista Inarcassa. E’ trentennale il suo rapporto con la RAI (dal marzo1978), impegnato in vari programmi di
tutte e tre le reti radiofoniche (da Stereonotte, ad Archivi del Suono, da Masters Cinema e Ballo a Jingle Bells,
da Biblioteca di Musica Leggera a L’Altra Musica, dal Cammello di Radio Due al Terzo Anello di Radio Tre,
da Invenzioni a 2 voci a Fuochi e, infine, conduttore a tutt’oggi del Notturno Italiano di Rai International/
RAI Italia Radio) e della Televisione RAI (Discoring, Rai Educational, Rai Sat Satisfaction e dei programmi
Crossover, Christmas time e Jazztime di Blu Sat 2000, canale radiofonico e televisivo della CEI, Conferenza
Episcopale Italiana). Dal 2006 è direttore artistico del Festival Mare Aperto di San Benedetto del Tronto. Di
recente è stato consulente musicale nel film-documentario Sound of Morocco dell’Istituto Luce presentato
alla Festa del Cinema di Roma nel 2009 con la regia di Giuliana Gamba.
EX.WAVE
Luca D’Alberto Violectra
Lorenzo Materazzo pianoforte
Si sono perfezionati nelle più grandi accademie (Scala di Milano, Mozarteum
di Salisburgo, Royal Academy di Londra). L’esigenza di dialogare con la modernità li ha portati a dar vita ad un progetto unico a livello internazionale: Ex.Wave. In meno di due anni dalla loro formazione hanno già ottenuto
prestigiosi riconoscimenti: hanno aperto le date milanesi dei Deep Purple
nel luglio 2008 con grande successo di pubblico e critica. Hanno firmato un
contratto con la Capitol, una delle maggiori case cinematografiche internazionali per l’utilizzo delle loro musiche in film e pubblicità. Sono stati invitati a
suonare a Palazzo Reale di Monaco di Baviera dalla Goss-Michael Foundation
(la fondazione di George Michael). Il primo disco degli Ex.Wave dal titolo Apri gli occhi è uscito il 30 gennaio
2009 su etichetta Do It Yourself/EMI.
Collaborano con artisti di fama nazionale ed internazionale (Alan Wilder - Depeche Mode, Recoil, Sara Lov,
Devics, Astrid Young, A Toys Orchestra, Ulan Bator, Xabier Iriondo - Ex Afterhours, Marco Parente) e hanno
composto musiche originali per mostre tenutesi alla XV Quadriennale di Roma e al MOMA di New York.
Presidente Carla Piantieri
Direttore artistico Silvio Araclio
Scuola di Teatro:
Corsi per ragazzi (9-15 anni)
Corsi pomeridiani (età minima 15 anni)
Corsi serali per adulti
Corsi di:
recitazione, dizione, impostazione della voce
Seminari di educazione teatrale nelle scuole
Produzione spattacoli
Organizzazione rassegne
GIRODIBANDA
La musica tradizionale e salentina e la banda
MUSICA
casa laboratorio Albania Hotel
Venerdì 28 Maggio
Piazza Sant’Anna
ore 21,30
G
irodiBanda è il risultato di un lungo
lavoro di ricerca che racconta il
vissuto culturale e musicale della gente del
Salento. Il fenomeno musicale bandistico
sembra essere legato al ricordo e alla realtà
delle vecchie generazioni e a pochi affezionati particolarmente motivati oltre a riscontrare,
negli ultimi anni, l’attenzione di turisti curiosi
e attenti. Eppure la musica da banda si presenta come mezzo di aggregazione e fruibilità
della musica colta più diretto e vivace fra tutti
i fenomeni di diffusione della musica, sin da
quando ancora nelle case non esistevano
radio o televisione.
La Cassa Armonica è il palco per eccellenza
nel quale si esibiscono le bande Pugliesi.
Particolare struttura circolare che permette
allo spettatore di ascoltare il suono perfettamente da qualsiasi punto ci si trovi, permettendo un’amplificazione acustica unica.
GirodiBanda segue l’intento di attualizzare
la musica popolare intesa in senso stretto, passando dalla musica bandistica alla
musica tradizionale salentina, fino ad arrivare
a quella folk popolare e a quella balkan,
l’organico diretto da Cesare Dell’Anna, è
composto da una banda pugliese e il gruppo
OPA CUPA, che da dieci anni ormai lavora
sulla commistione tra la tradizione musicale
delle bande da giro e le ritmiche e melodie
delle fanfare dei Balcani. L’ensemble accompagna le voci della tradizione salentina: Enza
Pagliara, Emanuele Licci e Claudio Cavallo, e
la cantante di Opa Cupa Irene Lungo.
Il repertorio prevede marce sinfoniche classiche del repertorio bandistico dei maestri E.
Abate e N. Ippolito. Inoltre alcuni tra i brani
più belli della tradizione popolare salentina
e parte del repertorio del più famoso gruppo
balkanjazz del mondo: Opa Cupa. Tutto
fortemente influenzato da grossi spunti
improvvisativi e arrangiamenti per organico
bandistico.
Il cd + dvd GirodiBanda, prodotto da 11/8
Records e distribuito da Felmay, è il live presentato in anteprima assoluta a Galatina il
20/08/07 ospite del Festival La Notte della
Taranta. Attualmente GirodiBanda è invitato
a partecipare a numerosi festival in Italia ed
alle feste patronali del Sud Italia come serata
conclusiva e rappresentativa delle nuove
tendenze musicali bandistiche.
GIRODIBANDA Organico
Cesare Dell’Anna - Direttore- tromba
Irene Lungo- voce
Enza Pagliata- voce
Claudio Cavallo- voce
Emanuele Licci- voce
Opa Cupa
Banda da Giro
Artisti di strada
(trampoli, giocolieri,
mangiafuoco)
ALBO D’ORO
Sezione Cinema MAGGIO ITALIANO
1994 - GIUSEPPE PICCIONI
1995 - DANIELE LUCHETTI
1996 - MARIO MARTONE
ROBERTA TORRE
ARCIPELAGO (Antonietta De Lillo, Antonio
Rezza, Cosimo Alemà, Fabio Caramaschi,
Stefano Saveriano, Ilaria Freccia, Giovanni
Martinelli, Paolo Bragaglia, Beniamino
Catena)
1997 - FRANCESCA ARCHIBUGI
FABIO SEGATORI
ARCIPELAGO (Guido Chiesa, Maurizio
Dell’Orso, Giancarlo Bocchi, Antonio Meucci,
Giancarlo Rolandi, Stefano Bessoni)
1998 - PAPPI CORSICATO
GUIDO CHIESA
ARCIPELAGO (Gianluca Sodaro, Rolando
Stefanelli, Enrico Salimbeni, Giulio Laurenti)
VIDEA (Cristina Vuolo)
1999 - PAOLO VIRZI’
EROS PUGLIELLI
ARCIPELAGO (Fluid Video Crew,
Vincenzo Scuccimarra, Enrico Pitzianti,
Laura Muscardin, Stefano Corazziari)
VIDEA (Alessandro Nico Savino
e Simona Piattella)
2000 - DAVIDE FERRARIO
DANIELE SEGRE
TONINO VALERII
2001 - FERZAN OZPETEK
LUCIANO EMMER
VideA (Marco Chiarini)
2002 - CRISTINA COMENCINI
GILLO PONTECORVO
VideA (Riccardo Forti)
2003 - MIMMO CALOPRESTI
FRANCA VALERI
ARCIPELAGO (Emanuele Crialese,
Camille D’Arcimoles, Alessandra Stabile,
Frizzi Maniglio, Alessia Lucchetta, Tommaso
Lipari, Simone Massi, Daniele Lunghini,
Diego Zuelli)
VideA (Francesco Calandra)
2004 - SILVIO SOLDINI
VideA (Giovanna Di Lello)
2005 - MATTEO GARRONE
VideA (Massimo Martelli - Stefano Odoardi)
PIER PAOLO PASOLINI
2006 - PAOLO SORRENTINO
EDOARDO WINSPEARE
VideA (Dino Viani)
2007 - SAVERIO COSTANZO
Demoni & Gay - letteratura e omosessualità nel Cinema
Asta Nielsen/Hamlet
2008 - CARMINE AMOROSO
È successo un ‘68 - I suoi primi 40 anni
2009 - GIANNI DI GREGORIO
Futuritmi - Corti del ’20 e del ’30 di ispirazione futurista
ITALO DOC 8 film di Italo Moscati
Sezione Danza
1996 Concerto d’Europa · LILIANA COSI e MARINEL STEFANESCU
1997 Mediterranea · BALLETTO DI TOSCANA
Gran Gala del Maggio per la Danza · ORIELLA DORELLA, ANITA MAGYARI, MICHELE VILLANOVA
1999 Indiscipline · KATAKLÒ
2000 La Lupa · LUCIANA SAVIGNANO
2001 Arie di corte e Pavane - Souvenir di Isadora Duncan · CARLA FRACCI
2002 Coreografia europea · ATERBALLETTO
Patchwork · COMPAGNIA ZAPPALÀ DANZA
2003 Vento (nelle costellazioni silenziose) · COMPAGNIA VIRGILIO SIENI DANZA
Gee Andy! (Il mondo dell’artista mito della Pop Art Andy Warhol) · BALLETTO TEATRO DI TORINO
2004 Gli Scordati · GIORGIO ROSSI - ASSOCIAZIONE SOSTA PALMIZI
Catalogo Tangueros · NUEVA COMPAÑIA TANGUEROS
2005 Aterballetto Suite · ATERBALLETTO
2006 Duende; Camuflage-Venus · SPELLBOUND DANCE COMPANY
Grazie Rudy · Galà Rudolf Nureyev · MAXIMILIANO GUERRA
2007 Polis · Compagnia ABBONDANZA/BERTONI
2008 Omaggio a Béjart · GRAZIA GALANTE - RAFFAELE PAGANINI
Carmina Burana · SPELLBOUND DANCE COMPANY
2009 Giulietta e Romeo - KLEDI KADIU e COMPAGNIA BALLETTO DI ROMA
La sezione Musica del Maggiofest ha ospitato, tra gli altri: Wim Mertens, Roger Eno, Harmonia, Nccp (Nuova
compagnia di canto popolare), Nada, Rita Marcotulli, Javier Girotto, Piccola Orchestra Avion Travel, Quintorigo,
Peppe Barra, Madreblu, Ominostanco, Quartetto Euphoria, Franco Piersanti, Germano Mazzocchetti, Banda Osiris, Raiz, Officina Zoè, Lisma Project, Ambrogio Sparagna & Orchestra Pizzicata, Eugenio Bennato.
La sezione Teatro ha ospitato, tra gli altri: i Teatri indipendenti d’Abruzzo (Spazio Tre, Florian, Drammateatro,
Piccolo Teatro del Me-Ti, Teatro dei colori, L’Arte del Teatro, Lanciavicchio, L’Uovo), Teatro Stabile d’Abruzzo,
Peppe Barra, Piera Degli Esposti, Walter Maestosi, Grazia Scuccimarra, Cosimo Cinieri, Lorenzo Salveti, Paola Pitagora, Dacia Maraini, Koreja, Maria Inversi, Riccardo Reim, Manuele Morgese, Daniele Salvo, Giacinto Palmarini.
Finito di stampare nel mese di maggio 2010
Multiprogress - Mosciano S.A. (Teramo)