Mamma, una donna dall`aspetto eroso dalla sofferenza e dallo

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Mamma, una donna dall`aspetto eroso dalla sofferenza e dallo
Mamma, una donna dall’aspetto eroso dalla sofferenza e dallo sguardo reso inespressivo
dai troppi calci in culo ricevuti dalla vita, si è spesso lamentata di come mi ha dovuto
crescere da sola. Un cazzo, falsissima cazzata. Io e mia madre siamo cresciuti insieme.
Esatto, perfetto: lei ha fatto un bel nulla da sola, perché un genitore e la sua progenie non
hanno un rapporto esistenziale mono direzionale, nemmeno per un lurido cazzo: un figlio
dà, forse involontariamente, al proprio talvolta odiato genitore un insieme di informazioni
e di contingenze esistenziali che portano, danno valore all’essenza spirituale del fottuto
procreatore. Diciamocela tutta quindi: questa dell’”io ti ho cresciuto” è una di quelle
sempre verdi cazzate che fondamentalmente un genitore ti ripete in continuazione –
soprattutto dopo i diciotto anni - per infliggerti una dannata gerarchia che, ad occhio e
croce, non conta un succoso cazzo. Ad ogni modo, come precisato precedentemente, io e
mia mamma siamo cresciuti soli soletti perché, sostanzialmente, a mio padre non fotteva
un cazzo di nulla se non di se stesso. Riducendo la questione al nocciolo, papà ha sempre
avuto i cazzi suoi, su ogni cosa: dal semplice infilare il cucchiaino nella tazzina del caffè
all’ascoltare tranquillo una partita di calcio. Mai un sorriso, mai nulla di positivo; sempre
e solo i suoi lamenti, i suoi incessanti piagnucolii su come il mondo lo avesse messo alle
strette, lo avesse inculato. Cazzo se avevi voglia di fuggire quando c’era lui in casa; avevi
un isterico bisogno di correre, di scappare, di mandare affanculo tutto: lui, il catechismo,
Dio, qualsiasi cosa avesse a che fare con la sua esistenza e con il suo lasciare che gli altri
si interessassero di educare e crescere i suoi figli.
Papà e i cazzi suoi; io e i cazzi miei: fondamentalmente, due cose che sono andate di pari
passo per un bel pezzo della nostra vita. Per capirci, quando ho compreso quanto fosse
una egocentrica testa di cazzo, ho staccato: per me non esisteva più e, con incomparabile
sollievo, mi sono reso conto che lui, in tutta risposta, mi cancellò dalla sua esistenza.
Ma questo idillio generazionale non durò a lungo, poiché solo alcuni anni dopo successe
quella cosa che mi fece capire che malgrado tutto il vecchio stronzo era l’unico capace di
infondermi l’insegnamento più importante di tutti: certe situazioni oggettivamente
ingestibili, prima di collassare, arrivano ad un punto nel quale l’unica scelta sana di
mente è quella di dar sfogo alla violenza.
I ricordi mi tornano alla mente chiari come fossero avvenimenti di pochi minuti fa: Un
giorno mamma chiamò a scuola e mi fece riaccompagnare a casa da uno dei bidelli. Lei
non poteva venire a prendermi, alla fine delle lezioni, perché era successa una cosina da
nulla: papà era sbroccato di brutto. Un po’ peggio del solito, sottolineò lei ma, in sintesi,
stavolta si era messo nei guai. Occhio però, perché “messo nei guai” e’ un concetto
oggettivamente minimalista per definire un omicidio; ma sta di fatto che il vecchio e’
uscito d’un tratto di testa e dopo aver malmenato ripetutamente a colpi di clava – uno di
quei cazzo di tubi di piombo che usano gli idraulici nei cessi - il suo odiato manager, lo
ha schiacciato con l’automobile; finendolo.
Non bastasse a rovinare la famiglia, durante il processo ha dato ulteriormente di matto,
ma non nel senso che ha fatto il pazzo tipo, che so, abbassandosi i pantaloni, cacando di
fronte a tutti e mangiando la sua stessa merda; no, nulla di tanto ludico e goliardico:
lucido e dettagliato, ha spiegato come avesse commesso quell’insano gesto solo perché
odiava quell’enorme acquario che il suo manager vantava di possedere nel suo ufficio e
che curava come un amante delle automobili tiene una Ferrari. Stracazzo, mio padre, il
mio odiato vecchio: il primo caso di attivismo super violento che ho avuto il piacere di
conoscere. Peccato però che non fosse così, perché io conoscevo quell’uomo e sapevo, ci
avrei messo una mano sul fuoco, che a papà degli animali non fottesse nulla. Si era
inventato quella assurda scusa, secondo me, solo per cacare il cazzo in modo inaudito ai
famigliari del defunto, ai suoi famigliari e a quella immane fica venuta dallo spazio che
gli avevano assegnato come avvocato d'ufficio. Ci metterei la mano sul fuoco su questo
che ho appena detto, anche perché già al tempo sapevo riconoscere un animalista da una
semplice testa di cazzo. Già da allora io ero un animalista, uno di quelli che credeva che
l’essere umano avesse spaccato il cazzo con il suo fare degli altri essere viventi il cazzo
che voleva. Ero uno di quei ben pensanti giovani ma stanchi degli abusi sugli animali.
Ero un animalista filosofo, un po’ come quelli del PETA: pieni di buoni propositi, di
proclami, di denunce che poi, alla fine, rimangono inascoltate, inefficaci e quindi inutili.
Adesso, tornando al mio passato ed al discorso sul mio vecchio, immaginate un pochino
quella sfortunatissima donna che era mia madre di fronte ad una situazione tanto
grottesca. Lei, il cui unico desiderio di una vita era quello di invecchiare insieme a mio
padre, pulirgli il culo quando cacava senza rendersene conto e, all’occorrenza, di pulire il
culo ad eventuali nipoti, se Iddio avesse concesso. Non è quindi difficile immaginare
come la poverina – non trovo altro modo per definirla - assolutamente non gradiva che
tutti considerassero papà uno al quale era andato in pappa il cervello; ma affrontando
coerentemente la realtà e dando il giusto peso alle parole che aveva blaterato durante il
processo, oggettivamente, anche per lei era abbastanza difficile non considerarlo il cazzo
di un cavallo pazzo.
Infatti un giorno, mentre sorseggiavamo la colazione, mamma mi confessò in un mare di
lacrime la sua necessità di divorziare da quell’uomo che un tempo era stato il suo amato
marito - e mio padre -, persona che purtroppo si era trasformata in uno spaventoso
sconosciuto. Anelava il divorzio la vecchia, ripeto, ma non lo chiese mai. Non tanto
perché amava ancora il cavallo pazzo, ma sostanzialmente perché durante una delle
ennesime sedute del processo gli chiesero se si era pentito; lui rispose che aspettava con
ansia di scontare la sua pena per uscire e dare alle fiamme la casa dell'ex manager con
tutta la sua famiglia dentro. Capite: non è che ad un tipino del genere gli vai a dire che
non lo ami più e che vuoi il divorzio.
Sta di fatto che dopo la sparata sulla cosa che gli faceva più gola quando sarebbe uscito
dal carcere, gli hanno appioppato trenta anni senza pensarci troppo - secondo me
l'avvocatina fighetta ha richiesto un programma di protezione con i controcoglioni
sapendo a quale grazioso elemento ha fatto appollaiare sulla testa un ergastolo.
Santo cielo: non avrò avuto più di undici anni quando accadde tutto questo, e adesso che
ne ho quasi quaranta lo ricordo ancora come fosse storia di qualche giorno fa.
Intorno ai venti anni, appena consegnatami la patente – sì, cazzo, ho impiegato qualche
anno di troppo a passare l’esame di guida: nessuno è perfetto – ho preso la macchina di
mamma e senza dirle nulla – se lo avesse saputo minimo le sarebbe venuto un ictus – e
sono andato a trovare papà. Non so spiegare perché, ma negli anni a scuola, in parrocchia,
in ogni dove, se qualcuno mi chiedeva di mio padre, rispondevo dicendo che era morto;
forse fisicamente no, ma per me sì, era finito a miglior vita. Ho mentito a me stesso e agli
altri così a lungo, così decisamente che alla fine non ho più capito se fosse veramente
morto o meno. Ma accadde che qualche settimana dopo il mio diciottesimo compleanno
arrivò una telefonata che lo fece tornare in vita come uno dei cazzo di zombie di Romero:
un nuovo avvocato d’ufficio ci informò che papà aveva ammazzato un carcerato. Non che
abbia mai capito molto bene, ma credo che qualcuno se lo volesse fottere – nel senso che
desiderava scoparlo – e lui lo ha fatto fuori prima, oppure che mio padre volesse fottere –
nel senso che desiderava scoparlo – un tipo e non essendoci riuscito lo ha ammazzato.
Cazzo, non era chiaro, ma sta di fatto che papà in pochi anni aveva mandato al creatore
due cristiani. Ecco, l’essere tornato in vita da un punto di vista giuridico, mi ha scatenato
una certa curiosità che mi ha portato, come dicevo prima, a decidere di salire in macchina
per raggiungerlo, per incontrarlo.
Ora, cazzo, in quella tanto lunga quanto unica occasione che ho sfruttato per incontrarlo
non mi ha riconosciuto – o non ha voluto farlo, non saprei -; ma chiacchierando mi ha
confermato di non essere assolutamente intenzionato a pregare per la remissione dai
peccati che aveva compiuto, che anzi se fosse potuto tornare indietro, lo avrebbe rifatto,
ma anche qualche anno prima. Più volte ha sontuosamente dichiarato essere la vile azione
più soddisfacente della sua vita. In parole povere, il mio vecchio non era pentito per nulla
di quello che ha fatto, anzi ne andava fiero, gli brillavano gli occhi quando parlava del
rumore che hanno fatto le gomme quando sono passate sopra la testa del suo odiato capo.
Si sentiva un uomo che aveva raggiunto il suo scopo nella vita, uno dei rari che aveva
capito il suo senso in questa straordinariamente incasinata vita; o almeno così dichiarava
di essere al tempo, dato che non lo vado a trovare da decenni, mentre più che certamente
marcisce ancora in galera. Però una sua frase mi trapana ancora il cervello e mi ha aiutato
a dare un senso alla mia esistenza – perché sono diventato quello che sono dopo che lui
mi ha illuminato con quelle parole. E’ andata così: prima di lasciarlo ai suoi muri grigi,
gli ho chiesto di dirmi la verità riguardo all’omicidio; gli ho detto chiaramente che la sua
maschera di attivista del cazzo non lo nascondeva da me, che io sapevo che a lui dei tanto
colorati pesciolini tropicali fotteva meno di una scoreggia di lucertola.
Dietro ad un sorrisone enorme da andicappato – anche quell’espressione di merda sarà
una delle poche cose che non mi scorderò per il resto della vita -, il vecchio, in tutta
risposta, mi chiese di ricordare quando da bambino mi diceva di stare lontano dalle piante
da frutto del giardino perché altrimenti sarei stato punto da qualche ape – cosa che poi mi
succedeva almeno una volta alla settimana, quando ero piccolo e stupido. Dopo avergli a
mia volta domandato che cazzo centrasse la mia infanzia di cagatore di cazzo degli insetti
che infestavano l’albero di limone del nostro giardino, mi svelò l’essenza stessa della vita,
mi disse che io da bambino facevo con le api lo stesso errore che il suo capo ha fatto con
lui: rompere i coglioni a qualcuno o qualcosa che si sta facendo i cazzi propri e che se ne
sbatte altamente le palle di te. Imperativo, disse: non si deve – metaforicamente – infilare
un dito nel culo a qualcuno che sta a farsi i cazzi suoi, perché la reazione potrebbe essere
sconsiderata - e questa, voglio ricordare ancora una volta, e’ diventata una delle prime
regole della mia vita.
Fottutamente pazzo papà, ma quei suoi insegnamenti, uniti a qualche altra cosa che vi sto
per raccontare, ha creato l’uomo che sono, ha svegliato l’attivista violento che sopiva
dentro di me.
Il vecchio – come appare chiaro dalle mie precedenti parole -, qualche anno prima di
uscire di testa, in giardino aveva piantato un maestoso albero di limone. Cazzo, difficile
da credersi: quel dannato coso attirava a sé tutto il disperato universo animale. Non
scherzo: se la mattina avvicinavi il muso a quella stramaledetta pianta scoprivi un cosmo
intero di api, vespe, farfalle, calabroni, cazzo di cosi che non ho capito come si chiamano,
formiche, mille insetti tutti intenti a farsi “i propri cazzi”, come direbbe mio padre; tutti
intenti ad assaporare germogli o, secondo me, l’essenza stessa di quel dannato limone. E
ripensando a quella pianta, lo devo ammettere, ho capito la verità di cui parlava mio
padre: che tu sia uomo, cane, pesce, ape, che tu sia il diamine che sei, se stai a farti i cazzi
tuoi, nessuno ha diritto di romperti i coglioni. Esatto: non me ne frega un cazzo che tu
abbia rispetto degli insetti o degli animali perché eticamente è giusto che tu non faccia
soffrire nessuna forma di vita; dico, sancisco che tu non devi andare a cagare il cazzo a
nulla che si sta facendo i cazzi suoi perché, allora, stai cercando rogne grandi come
palazzi. E voglio sottolineare quanto questo concetto sia globale, santo cielo: mi sta bene
per gli alberi, per gli insetti e per le cazzo di pietre perché, se voglio estremizzare il
concetto, quello che mi fa imbestialire dell’essere umano è che crede di essere l’unico
elemento del cosmo con cazzo di capacità decisionale. Falso, maledizione, falsissimo:
Maometto diceva che il vero saggio e’ colui che non sa di esserlo, e che quindi non ti
rompe il cazzo con le sue elucubrazioni dei miei coglioni. La stessa cosa vale per il
mondo animale: se gli insetti non ti spaccano il cazzo, non è perché non sono in grado di
farlo, ma e’ assolutamente e imprescindibilmente perché non gliene frega un cazzo di
farlo.
Definiamoci, quindi: troppo facile dire che devo aver rispetto di tutto quello che può
soffrire come motivazione principale della tutela dei diritti degli animali; perché, ripeto,
impegnandomi un pochino potrei dimostrare che la sabbia della spiaggia soffre quando la
calpesti quanto una formica quando la schiacci; soprattutto perché questa cosa della
sofferenza e’ sempre legata a quel capriccio umano di voler sindacare anche sul dolore
delle cose. Quella supponenza degli scienziati che vuole sancire cosa è dolore e cosa no.
No, santo cielo: rispetto è consentire a tutto quello che non ha, per capacità, per scelta,
per indole, coscienza di te e che vuole proseguire la sua esistenza senza aver a che fare
con te, di proseguire nel farsi gli emeriti cazzi suoi senza doverti dare spiegazioni.
E tutto questo che ho detto spiega perché non ho mai voluto un animale in casa: perché il
mio animale domestico sono sempre state quelle apine, quei calabroni, quel che cazzo ne
so di come si chiamano che infestavano l’ormai vecchio e deperito limone di papà. Ecco
perché mi chiamano Little butterfy: perché sono un metro e un cazzo e perché a quel
coglione di compagnetto mongoloide dell’università che mi ha fatto vedere una farfallina
dentro un contenitore di vetro gli ho fatto cadere a ginocchiate i cazzo di denti davanti.
Ora, mentre sto a rivangare il passato e a farmi tutte queste pipe mentali, ho la torcia
elettrica puntata sulle tondeggianti chiappe vestite di una lercia mimetica di Two fingers,
amico e compagno in tutte le incursioni che facciamo presso vili e sfortunati sfruttatori
della vita altrui. Al fianco di Two fingers, Il nazio si muove furtivamente. Lo chiamiamo
Il nazio perché il signorino e vistosamente e dichiaratamente nazi, e lo dimostra senza
alcun pudore soprattutto in occasioni come queste, nelle quali veste tipo cosplay con una
divisa delle SS fatta in casa. Cioè, sinceramente, a vederlo così chiunque si fermerebbe
una decina di minuti a prenderlo a calci nel culo; ma infondo, molto infondo, e’ un bravo
ragazzo, sempre se lo tieni a debita distanza da rom, negazionismo e discussioni sugli
sbarchi di clandestini a Lampedusa. Fermatosi tutto d’un tratto, l’amico con la fascia
rossa sul braccio sembra osservare innervosito una gabbia nella quale una decina di
beagle sonnecchiano tranquilli. A meno di un metro dalle mie spalle San Francesco,
imprecando rumorosamente la Madonna: sostiene sia il caso di muoversi più velocemente,
poiché non si sa mai che quei poveri coglioni delle guardie che abbiamo legato e
imbavagliato riescano a liberarsi. Noi quattro – a dirla tutta siamo in cinque, ma Ponzio
Pilato non si fa vivo da eoni -, da circa otto mesi, formiamo i Brutale Animal Liberation
Front, cioè quello che normalmente viene definito un gruppo di attivisti; ma non di quelli
soliti, che si riconoscono nei dogmi della PETA, della ELF o del più radicale Animal
Liberation Front, no, noi siamo uno di quei rarissimi gruppi che si riconoscono solo ed
esclusivamente nel comandamento occhio per occhio dente per dente. Noi siamo uno di
quei rarissimi – ripeto - casi di attivismo violento e brutale - e per attivismo violento e
brutale intendo che quando diamo alle fiamme lo studio di un qualche artigiano della
pelle, lo facciamo con il pellettiere dentro. Qualcuno potrebbe pensare che tra il nostro
modo di affrontare il problema e quello dell’ALF, infondo, non ci sia un granché di
differenza. Errore: a noi non importa infliggere un danno economico o cose simili ai
mercenari della vita animale, a noi piace far capire a chi abusa delle altre forme di vita
che, se non c’è una enorme divinità che se li incula per i loro crimini, c’è un gruppo
organizzato e informato in grado di fargli cagare addosso dalla paura.
Qualcuno si domanderà come nasce un gruppo come il nostro; e la risposta è tra le più
semplici possibili: per caso. Noi cinque fino ad un anno fa non ci conoscevamo, ci siamo
incontrati per la prima volta, in questura, con un unico elemento che ci accomunava:
eravamo tutti dei black block, arrivati da varie regioni d’Italia, con l’unica intenzione di
dimostrare ai grandi otto del mondo che, infondo, pochi stronzi ben motivati e molto
incazzati possono essere più pericolosi di quello che credono – se ben organizzati. Sta di
fatto che, con il nostro passato di picchiatori di imprenditori, sia l’ALF che il PETA ci
considera infiltrazione terroristica – cosa che a noi, tutto sommato, sta bene.
Ma forse è il caso di tornare un pochino indietro con gli eventi: un carissimo “fratello”,
su internet, ci ha spifferato che un certo famosissimo allevamento di animali per la
ricerca scientifica vendeva cavie fuori legge – scimmie, per la precisione. Spacciava la
notizia attendibile al cento percento; e noi conosciamo molto bene il carissimo “fratello”,
e sappiamo essere persona attendibile – ripeto: in pochi hanno voglia di cagare il cazzo a
gente che viene additata come terrorista. Il solo pronunciare la parola scimmia ha
mandato su tutte le furie Two Fingers che ha repentinamente proposto l’organizzazione di
una spedizione di liberazione e punizione. Organizzare la missione ha richiesto mesi, sia
perché nessuno di noi aveva i soldi per i biglietti aerei – l’allevamento si trova nel lì di
Bergamo -, sia perché riuscire a trovare contatti su internet che ci aiutassero a conoscere e
capire il funzionamento dei sistemi di sicurezza dell’allevamento ha richiesto tempi
molto lunghi. Pianificato tutto alla perfezione, procurati i soldi per il volo, fatto
consegnare l’armamentario indispensabile e siamo pronti per l’incursione. A proposito
del volo, per poco non mi suicidavo: San Francesco, che sarà anche patrono degli uccelli
ma odia volare, con grande ironia, appena l’aereo ha iniziato a muoversi, ha proceduto a
benedire il volo. Non lo avesse mai fatto: In nazio, che sedeva a suo fianco, ha iniziato a
domandargli se la sua benedizione sarebbe potuta servire a far decollare centinaia e
centinaia di Ho 2291, durante la seconda guerra mondiale. San Francesco, non
risparmiando una precisa bestemmia a Dio, gli ha risposo che non sapeva nemmeno di
cosa stesse blaterando. Da questo, e per l’intero viaggio, quel gran rompicoglioni de Il
nazio non ha fatto altro che parlare della Luftwaffe e dell’aviazione tedesca durante la
Grande guerra. Nel frattempo, giusto per sfuggire alle urla del mio compare SS, ho
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L’Hornet Ho IX, o Ho 229, e’ stato un prototipo di aereo da caccia sviluppato durante la fine della
seconda guerra mondiale dai fratelli Hornet per la Gothaer waggenfabrik ed e’ stato uno dei primi
esemplari di velivolo studiato per essere invisibile ai radar.
domandato a Two Fingers alcune informazioni riguardanti un suo articolo pubblicato su
un blog internet. Two Fingers è un esperto sia di comunicazione internet, che di cultura
giapponese, quindi appoggiandosi ad un provider nipponico difficilmente raggiungibile
dalla polizia postale italiana, pubblica articoli riguardanti quelle carogne delle compagnie
farmaceutiche. L’ultimo suo articolo aveva come tema il perfezionamento umano, e
quindi il non considerare i vaccini solo come precauzioni, ma vera e propria modifica
dell’essere umano. Riflessione che portano con sé una sola conclusione: i vaccini hanno il
solo scopo di credere agli sciocchi e spaventati acquirenti che la farmacologia li può
rendere invulnerabili alle malattie più mortali: dall’autodifesa dalla meningite, dagli
orecchioni, da che cazzo ne so. Ma quello che sostiene TwoFingers è che il solo scopo
delle vaccinazioni è quello di convincere l’opinione pubblica che la prevenzione è la
migliore delle cure; cosa che, ridotta al nocciolo, significa che è cosa buona e giusta
farmacolizzare uomini sani – con la scusa della precauzione. Cosa che ha un solo
enumerabile risultato: rendere milionario il consiglio di amministrazione della grandi
compagnie farmaceutiche. In tutto questo chiarissimo discorso, Two Fingers mette alla
sbarra – in modo molto pesante – un dirigente di un piccolo laboratorio d’analisi italiano
che, secondo l’autore dell’articolo, brucia milioni di ero in inutili sperimentazioni per
conto di una ben più nota compagnia farmaceutica tedesca.
Nel bel mezzo del volo ho all’amico come mai tanto astio verso un gruppo di coglioni
all’italiana che, in fin dei conti, con i vaccini c’entrano poco o un cazzo. Lui mi risponde
dicendo che sono questi piccoli laboratori a fare il lavoro sporco di ricerca e che, una
folto fottuti questi, i grandi gruppi saranno costretti ad uscire allo scoperto. Non credo di
aver capito benissimo, ma ho preferito non indagare ulteriormente.
Ma riprendendo l’argomento spedizione, a poche ore dall’atterraggio, penetrare nel
perimetro dell’allevamento e’ stato più facile del previsto: ci avevano informati sul fatto
che le guardie giurate erano un manico di fottuti scansafatiche impigriti dall’inedia; e,
realmente, quando ce li siamo trovati di fronte, i custodi passavano il loro tempo a
dormire. Sta di fatto che, dopo averli presi alla sprovvista e spaventati con pistole
giocattolo e con la presenza dell’idiota vestito da nazista, li abbiamo legati e resi innocui.
Two fingers però ha voluto somministrare loro “la punizione” da subito, infilando i
pollici nel culo di ognuno di loro per facilitare l’ingresso di un pezzo di scopa con su
scritto Brutale Animal Liberation Front – penso che da questo tutti abbiano capito il
perché del nome in codice Two Fingers. Dalla guardiola al prefabbricato numero due –
quello che ci era stato spifferato essere il luogo dove allevavano le scimmie – c’è una
bella passeggiata di quasi ottocento metri in uno spiazzo verde con qualche albero al
contorno. Penetrati nell’edificio attraverso una feritoia nel sistema di aereazione abbiamo
acceso le torce e iniziato la perlustrazione, fino a quando, come dicevo prima, Il nazio
non si e’ innervosito per via dei beagle in gabbia.
E tutto questo fa parte del passato. Ora, gironzoliamo per il prefabbricato e di scimmie
nemmeno l’ombra, ma posso assicurare che il posto è grande come una cazzo di caserma,
quindi una seconda controllata ci sta tutta. Facciamo su e giù altre due volte, fino a
quando San Franceso, che come già detto adora in modo spasmodico – come si può
immaginare dal nome in codice - tutti i pennuti, rimane incuriosito da quello che sembra
una gabbia vuota, e cioè una voliera di pappagalli. Ad un tratto, come fosse diventato
pazzo, inizia a fare uso di uno strano tono di voce e ad imprecare su qualcosa che trova
loschissimo. Gran cazzo, sotto l’enorme gabbia di fil di ferro San Francesco stava ad
illuminare quella che sembrava essere una nemmeno tanto piccola botola. Il nazio
sostiene trovare la cosa sospetta – come un negro nella scena di un crimine sessuale,
aggiunge - e ordina l’apertura della botola. Ci infiliamo dentro la sonnolente voliera ed
apriamo la botola. Pensavamo di trovare una di quelle scale in legno tipiche dei film
dell’orrore, ed invece troviamo un piccolo scivolo, una di quelle tipiche rampe gommante
che si trovano nelle corsie degli ospedali, che porta ad un corridoio non più largo di un
metro e mezzo e alto meno di un metro e ottanta. C’era da cacarsi letteralmente addosso
mentre percorrevamo il piccolo corridoio di cemento grezzo: sembrava di essere in uno
di quei cazzo di film dell’orrore nei quali raramente ne esci vivo. Fatta qualche decina di
passi arriviamo ad una specie di zona del corridoio nella quale ci sono una dozzina di
porte di metallo sia da un lato che dall’altro del corridoio. Tutte le porte hanno degli
spioncini, tipici – o simili – a quelli presenti nelle porte di ferro delle carceri. Il nazio alza
uno degli spioncini, illumina con la torcia e, tutto d’un tratto, scatta dall’altra parte
sbattendo contro il muro, come se avesse visto qualcosa che lo ha spaventato. Inizia a
balbettare isterico, ripete più e più volte che non avevamo capito un cazzo. Continua a
raffica nel suo dire che non abbiamo capito un cazzo, fino a quando Two Fingers non
ripete la stessa esperienza dell’amico e con occhi sgranati informa che se le scimmie di
cui ci ha parlato il “fratello” su internet sono quelle che sta vedendo adesso, allora non si
tratta di cavie animali ma di cavie umane, africani, a prima vista. Infilo la mia torcia nello
spioncino e osservo due uomini di colore, tra lo scheletrico e l’anoressico in stadio
terminale, completamente nudi, con gli occhi sbarrati e la bava bianca che gli esce dalla
bocca. Pare osservino senza la minima reazione la luce che penetra dalla feritoia sulla
porta. Oggettivamente sconvolto, mi giro verso i miei compagni e pronuncio una sola
parola: scappiamo. Nel frattempo, San Francesco ha sbirciato in tutti gli spioncini e ci
informa che devono essere, ad occhio e croce, una quarantina di cavie umane, tutte
africane, tutte in pessime condizioni di salute. Two Fingers non risponde a nessuna delle
nostre domande e ai nostri implori di andare via a gambe levate: sembra riflettere.
Trascorsi alcuni minuti ci chiama in raccolta e dice che la cosa migliore da fare e’
liberare due di queste cavie umane, portarle fino all’uscita e chiamare la polizia, in modo
da rendere nota la cosa, di dominio pubblico. Per poco Il nazio, incazzatosi come una
bestia – insieme a rom e emigrati, mai pronunciare la parola polizia in sua presenza - non
lo attacca al muro, ma Two Fingers continua nel dire che scappare adesso potrebbe essere
molto pericoloso, perché una volta fuori di lì, se la polizia ci prendesse, non avremmo
con noi nessuna prova dei misfatti che si stanno consumando in questo allevamento;
invece, chiamarli con le cavie in bella mostra, potrebbe generare qualche casino in più
per quei bastardi dell’allevamento e qualcuno in meno per noi. A convincersi Il nazio ci
impiega una vita e mezzo, ma nel frattempo San Francesco ha forzato senza troppi
problemi la serratura di una delle celle aprendola. Facendo un po’ troppo baccano –
secondo i miei gusti - ha trascinato fuori dal fottuto loculo due negroidi vividamente sotto
l’effetto di qualche farmaco molto potente. Il nazio, finalmente convinto da Two Fingers
ad essere collaborativo, – ma dire controvoglia e’ come usare il piu’ blando degli
eufemismi -, recuperate due fatiscenti e quasi arrugginite sedie a rotelle dalla stanza degli
sfortunati neri, ci piazza le cavie sopra e con l’aiuto di San Francesco trascinano i
rumorosi aggeggi mentre ripercorriamo il prefabbricato. Ad un tratto, risoffermandosi ad
osservare i cuccioli, Il nazio estrae da uno dei taschini il cellulare e chiama il nostro
informatore dicendogli di presentarsi velocemente di fronte all’entrata dell’allevamento;
gli dice che la situazione e’ degenerata ma che non se la sente di lasciare i beagle nella
gabbia. Sta di fatto che riesce a convincere l’informatore a venire a prendere gli
insonnoliti quadrupedi prima di chiamare la polizia. Two Fingers non e’ contento della
cosa, dice che è maledettamente pericoloso sia per noi che per l’informatore, ma si ritrova
lo stesso con due cani sotto braccio.
Sgomberati a gambe levate dall’allevamento, ferma su un lato della carreggiata male
illuminata da un lampione ingiallito, la vecchia Ford Fiesta dell’informatore e’ l’unica
forma di vita presente e borbottante. Velocemente Il nazio aiuta l’informatore a caricare i
cani in macchina. Nel tanto che vediamo la vecchia automobile borbottare e partire via,
Two Fingers chiama la polizia.
Come da protocollo, con la stessa gentilezza di una tigre con un granchio tra le palle, ci
sbattono dentro, in gatta buia. Ci interrogano per tutta la notte sul come e sul perché ci
trovavamo con due negri drogati per strada. Nel tanto che con una scortesia da manuale
letteralmente mi lanciano in una cella lercia quanto quella delle povere cavie negre, mi
domando quale trattamento stiano riservando a quell’imbecille de Il nazio, che non ha
voluto ascoltare le nostre insistenti richieste di levarsi almeno la cazzo di banda con la
scritta SS dal braccio. Qualche ora dopo, sempre con la solita allegria simile a quella di
chi ha appena scoperto che la moglie va a letto con il giardiniere romeno, mi prelevano
nuovamente per continuare l’interrogatorio. Gli raccontiamo tutto sull’incursione, sulla
botola e sul lager, e loro sembrano molto, ma molto incazzati. Ma la cosa veramente
strana e’ che il giorno dopo, alle sette del mattino, senza nemmeno chiederci le firme per
il rilascio, ci sbattono fuori dal commissariato lasciandoci liberi. La faccia de Il nazio e’
gonfia, come quella di chi ha preso ceffoni a profusione. Ci racconta che ha sfidato i pula,
che gli ha insultato la madre, che ha chiesto loro di identificarsi, che, alla fine, gli ha fatti
uscire di testa a tal punto che una volta identificatisi, lo hanno preso a colpi di blocchetto
degli appunti sulla faccia. E’ abbastanza allegro per la cosa, anche se l’avergli strappato
l’ottimo costume da SS lo ferisce nel profondo, ma dice che sa come farsi passare il
magone. Ad ogni modo, Two fingers continua a ripetere che trova molto strano l’iter – o
la mancanza stessa di questo - del nostro rilascio, e ci comunica che è probabilmente
l’inizio di un mega insabbiamento che, per noi, potrebbe essere paragonabile all’inizio di
un guaio senza pari. Ci consiglia di stare allerta, di non prendere mai sottogamba cose o
avvenimenti che ci appaiono insoliti. Ed infatti trascorrono i giorni e nessun telegiornale,
nessun quotidiano, niente di niente ha parlato della nostra incursione nell’allevamento e
della liberazione di alcune cavie umane da laboratorio; l’unica notizia che trapela e’
quella di tre poliziotti che, nel loro quotidiano parevano felicissimi, si sono suicidati.
Tutti attaccati ad una corda, tutti e tre appartenenti allo stesso distretto. Tutti e tre della
stessa caserma che ci ha ingabbiato – ho detto che Il nazio odia i poliziotti, ma non ho
detto che, al di fuori di tutto, In nazio e’ pericoloso.