biodiversita` zootecnica: conservazione, produzione

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biodiversita` zootecnica: conservazione, produzione
BIODIVERSITA’ ZOOTECNICA:
CONSERVAZIONE, PRODUZIONE, PROMOZIONE
Corte Benedettina, Legnaro PD – 24 novembre 2004
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P. Pignattelli
Si è svolto a Padova, lo scorso mese di novembre, un significativo convegno sulla
biodiversità zootecnica. L’incontro, organizzato da Veneto Agricoltura, aveva il compito di fare il
punto sulle esperienze reali attivate da diversi imprenditori agricoli nel settore della conservazione e
valorizzazione della biodiversità zootecnica. I numerosi relatori che sono intervenuti hanno
contribuito a spiegare le problematiche che oggi affronta il settore e quali sono le strategie, con le
quali è possibile affrontare le diverse problematiche.
Fra le relazioni della mattina ricordiamo quelle di Riccardo Fortina del Dipartimento di
Scienze Zootecniche dell’Università di Torino – RARE (razze autoctone a rischio di estinzione) e di
Riccardo De Gobbi di Veneto Agricoltura che hanno illustrato le numerose iniziative a supporto
della biodiversità su scala nazionale il primo e della Regione Veneto, il secondo. Molto significative
le conclusioni di Fortina che sottolineando come oggi, in Italia, le attività di conservazione del
germoplasma siano numerose, spesso simili o addirittura sovrapponibili, con spreco di risorse
umane ed economiche, auspica l’attivazione del previsto “Piano Nazionale della Biodiversità” che
ancora giace incompiuto al Ministero dell’Ambiente. Infine l’intervento di Valerio Bondesan di
Veneto Agricoltura, Settore Ricerca e Sperimentazione Agricola ed Ittica, che ha relazionato sui
progetti regionali di conservazione e promozione della biodiversità delle razze avicole venete, oltre
12 razze fra tra polli,tacchini, anatre e faraone, delle razze ovine autoctone, 4 razze (Alpagota,
Bogna, Lamon e Vicentina) e della razza bovina Burlina. Il relatore ha evidenziato lo stato di
avanzamento dei progetti che in molti casi associano il lavoro di campo a quello di laboratorio per
una miglior identificazione e valorizzazione del patrimonio genetico. Il progetto riguardante il
settore ovino è stato ripreso nel pomeriggio da Emilio Pastore, del Dipartimento Scienze
Zootecniche dell’Università di Padova che ha completato le informazioni riportando i contributi di
Tesi di Laurea di alcuni studenti e docenti della Facoltà di Agraria.
Tra i vari interventi del pomeriggio, vogliamo ricordare, oltre alle comunicazioni di
Giovanni Matteotti, moderatore della Tavola Rotonda pomeridiana, riguardante una ricerca per il
recupero della Nera di Fagagna, antichissima razza suina famosa per le sue carni gustose e saporite
e relativi prosciutti e, sempre relativamente al settore suino, quella, puntuale e circoscritta, di
Maurizio Bonanzinga dell’ARSIA – Regione Toscana, sui pregi e difetti dell’allevamento della
Cinta senese, nonché quella di Luciano Castellani, presidente del Consorzio Parmigiano di Vacca
Reggiana, sui favorevoli risultati, anche produttivi, derivanti dall’allevamento delle bovine di Razza
Reggiana, riassumibili nel passaggio da 900 capi allevati nel 1982 agli attuali oltre 2200 e dalla 400
forme di Parmigiano Reggiano dei primi anni ’90 alle attuali 3.550. In ogni caso meritano, a nostro
avviso, uno spazio maggiore alcune esperienze significative avviate in quattro regioni italiane: il
Veneto,la Liguria, il Lazio e la Toscana.
Innanzitutto quella di Alessandro Ferrante, presidente del Consorzio “Valle del
Biologico”, nato nell’Aprile 2003 dalla volontà dei produttori locali di rafforzare l’immagine delle
produzioni tipiche e certificate “Biologiche della Val di Vara”, al fine di garantirne l’elevata qualità,
identificabile in un proprio marchio.
Il raggiungimento dell’ambita certificazione ambientale da parte del Comune di Varese
Ligure e l’adozione di un marchio collettivo sono risultati, per i produttori, la carta vincente per
competere vantaggiosamente in un mercato che vede crescere la domanda di prodotti naturali e
biologici, ma al tempo stesso chiede anche maggiori garanzie di controllo e di tutela dei
consumatori. A tale scopo, per le aziende aderenti al Consorzio, si stanno realizzando disciplinari di
filiera per ogni singola tipologia di prodotto.
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Altro obiettivo del Consorzio è quello di abbattere gli elevati costi di gestione delle singole
aziende operando collettivamente negli acquisti di materie prime, soprattutto mangimi.
Attualmente sono consorziate due cooperative: la Cooperativa S. Pietro Vara che riunisce
oltre 50 aziende biologiche e gestisce un mattatoio a capacità limitata e due punti vendita, uno dei
quali situato a Varese Ligure destinato solo alla vendita di carne biologica e la Cooperativa Casearia
costituita da oltre 60 aziende di cui 40 biologiche, che conferiscono il latte al caseificio di recente
costruzione ed in linea con le vigenti normative. Adiacente al caseificio è stato realizzato un
moderno centro di ingrasso per suini biologici.
Oltre alle due realtà cooperative si sono consorziati produttori singoli di miele,animali di
bassa corte, ovi caprini ed ortofrutta.
Il Consorzio è impegnato anche nel recupero e nella valorizzazione della biodiversità
zootecnica locale con tre progetti riguardanti polli, conigli e maiali, rispettivamente. Per quanto
riguarda i polli è stato attivato un progetto per il recupero della razza Ligure “Gigante nera d’Italia”.
È una razza a duplice attitudine selezionata all’inizio del secolo scorso dal Pollaio Provinciale di
Genova sotto la guida di Frau Sanna. Questa razza, quasi abbandonata nel dopoguerra, viene ancora
allevata da alcune aziende rurali liguri ed è stata recentemente recuperata dal CIPA di La Spezia
(Centro di Istruzione Professionale Agricola della CIA) ed presentata ufficialmente, lo scorso 18
luglio, al mercato di prodotti biologico e tipici svoltosi a Varese Ligure
In campo cunicolo, un altro prodotto registrato e tipico è il “CUNIGIU della Val di Vara”
ottenuto attuando dapprima una selezione ed un ambientamento di razze tipiche e incrociandole poi
tra loro.
Infine, data la necessità di raggiungere la tipicità anche nelle produzioni di insaccati e dato
che i maiali utilizzati sono allevati con metodo biologico e sono complementari alla produzione
casearia, si è manifestata l’esigenza di allevare maiali autoctoni. Nella tradizione ligure però non
sono attualmente presenti razze di maiali tradizionali e quindi non è possibile percorrere la stessa
esperienza utilizzata nel caso del pollo e del coniglio. Si è stati quindi costretti, seguendo i dettami
del regolamento comunitario 1804/99, paragrafo 3.1, ad iniziare la selezione di una varietà ligure di
maiali.
I soggetti sono in genere prodotti commerciali che da diverse generazioni però sono allevati
in modo estensivo e si riproducono in loco. Il progetto coinvolge già due aziende, altre sono state
individuate e stanno per aderire al programma. Gli animali sono allevati con metodo biologico ed
isolati geneticamente al fine di evitare l’ingresso di “sangue” proveniente da animali estranei al
comprensorio ligure. Naturalmente verrà attivato un programma genetico volto a valorizzare i
vantaggi della consanguineità ed evitarne i pericoli.
Nel caso del “Maiale della Val di Vara” non si è dunque in presenza di una razza autoctona ma
sicuramente, come prevede il regolamento comunitario, viene selezionata una varietà idonea per le
produzioni biologiche estensive.
Una singolare esperienza è quelle presentata dal Dr. Andrea Messi, titolare dell’azienda
agricola ”Il Moggio” impostata e condotta con metodo biodinamico. Situata nella Valle Santa, è
dominata dalla Cascata delle Marmore e dal Terminillo, i suoi terreni corrono tra l’Umbria e il
Lazio. Il piano colturale dell’azienda prevede la produzione di ortaggi e frutta, ma anche varie
produzioni zootecniche. Mentre per le produzioni orticole e la frutticoltura il mercato fornisce le
varietà tecniche idonee per le produzione col metodo biodinamico, del tutto diversa è la situazione
nel settore zootecnico, specialmente avicolo. Proprio a questo settore sono state rivolte le maggiori
attenzioni. Innanzitutto, nell’individuare le razze da allevare, la scelta si è rivolta a quelle varietà
che un tempo venivano allevate nel comprensorio Laziale ed Umbro, che sono state oggetto di una
ricognizione storica e di un’indagine volta a stabilirne l’autenticità e l’evoluzione.
Per quanto riguarda il comprensorio laziale la tipicità locale è ancora legata alla presenza del
Pollaio Provinciale di Roma che dal 1927 agli ’50 utilizzò per il meticciamento e per produrre
soggetti idonei al territorio la Rhode Island, la Plymouth Rock barrata e la Livornese. La scelta di
tali razze fu dettata dal fatto che queste presentavano caratteri morfologici tali che, incrociate
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volontariamente o casualmente con la popolazione locale, non ne modificavano radicalmente la
forma e neppure turbavano l’armonia dei caratteri delle razze locali. Negli anni ’50 poi il
comprensorio laziale incorporò il Consorzio Avicolo Pontino che oltre alla Livornese utilizzava
anche soggetti di razza New Hampshire.
Diversa era invece la realtà delle produzioni tipiche Umbre dato che nella regione non sono
mai stati presenti impianti pubblici di selezione. Le razze allevate erano comunque sempre New
Hampshire, Plymouth Rock barrata e Livornese diffuse da ditte private di incubazione.
L’azienda “Il Moggio” aspira comunque alla realizzazione di produzioni avicole
“brevettabili” e pertanto la scelta di utilizzare razze tipiche è solo il primo passo per procedere poi
all’individuazione di meticci che si adattino sia al comprensorio Umbro-Sabino che al metodo
d’allevamento biodinamico. È stato necessario quindi individuare altre razze che bene si adattino
all’allevamento estensivo. Individuate le razze, è stato necessario recuperarle. Umbria, Sicilia,
Toscana e Veneto sono state le regioni che hanno fornito i soggetti e contemporaneamente è iniziato
il lavoro di adattamento al nuovo ambiente, di selezione e di miglioramento delle performance.
Contemporaneamente, è stato necessario realizzare le strutture più idonee per l’allevamento
adattando quelle fornite dall’industria alle particolari esigenze che il progetto richiede, dai posatoi,
ecc. ai nidi trappola, fondamentali per l’attività di selezione. E’ in corso la realizzazione di un
incubatoio da gestire con metodo biologico, sicuramente “fai da te” considerato che il regolamento
comunitario non fornisce alcuna indicazione. A fianco all’incubatoio, verrà realizzata una struttura
con batterie per la cova naturale utilizzando tacchine e chiocce.
Il metodo d’allevamento, quello biodinamico e mediterraneo, sarà la principale caratteristica
dell’azienda. Le strutture d’allevamento sono infatti diverse anche dal biologico, sia per i posatoi e
gli uscioli, sia per gli spazi per il pascolo, oltre il doppio. Anche l’età di macellazione è molto
superiore a quella prevista dal regolamento biologico. Infine l’azienda “Il Moggio” per garantire la
tracciabilità delle produzioni chiude il cerchio produttivo con la macellazione aziendale ed un
proprio punto di vendita.
Obiettivo dell’azienda è quello di diventare un’azienda pilota del settore anche in relazione
al fatto che in questo specifico campo non esistono strutture private o pubbliche.
Per quanto riguarda la realtà Toscana vale la pena ricordare le esperienze riportate da Paolo
Pignattelli e da Francesca Farina, presidente del Consorzio della Valdarnese Bianca, relative al
progetto “Riconoscimento, salvaguardia e valorizzazione della Valdarnese Bianca” finanziato da
ARSIA – Regione Toscana per il triennio 2001-2003 e coordinato dal Dipartimento di Scienze
zootecniche, Università di Firenze, sotto la responsabilità della prof.ssa Manuela Gualtieri.
Il progetto è stato articolato in 2 fasi: la prima si è concentrata nell’indagine sul territorio
(Valdarno superiore) e nell’analisi delle consistenze della Valdarnese bianca (VB); la seconda ha
riguardato: a) la definizione dello standard di razza; b) la costituzione di nuclei di selezione
attraverso la scelta dei riproduttori; c) l’inanellamento dei soggetti selezionati e la registrazione dei
dati per l’istituzione del Registro Anagrafico (APA – Arezzo).
I risultati del censimento si riferiscono a 28 allevamenti di una certa consistenza per un
totale di 92 galli e 706 galline, riconducibili alle caratteristiche morfologiche e produttive della VB.
Ridefinito lo standard della razza si è proceduto alla selezione morfologica ed all’inanellamento dei
riproduttori presenti in 12 allevamenti. La preselezione ha interessato oltre 8.500 soggetti con uno
scarto di quasi 6.000 capi (±70%), sul restante ±30% la selezione ha consentito l’inanellamento di
854 femmine (33,2%) e di 152 maschi (5,9%) sufficienti a formare oltre 60 famiglie e 7 nuclei di
selezione; i parametri produttivi di questi ultimi, costantemente monitorati, saranno usati per creare
i riproduttori della linea maschile e femminile della razza e per prove di laboratorio.
Contemporaneamente alla realizzazione del registro anagrafico è stato redatto anche il
disciplinare di allevamento per riproduttori della VB. Inoltre, in aggiunta all’inserimento
nell’elenco dei prodotti tipici toscani con la denominazione “Pollo del Valdarno”è stato creato il
“presidio Slow Food” e registrato il marchio volontario dell’Associazione Agricoltori Custodi (Loro
Ciuffenna, AR), comprendente tre diverse denominazioni (Pollo del Valdarno, Valdarno bianca di
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Agricoltori Custodi, Valdarnese bianca di Agricoltori Custodi). Più recentemente è stato costituito il
Consorzio valorizzazione della Valdarnese bianca per una più efficace salvaguardia della sua
tipicità e per l’ottenimento del marchio DOP e/o IGP.
E’ stato anche sottolineata dai relatori la positiva risposta degli allevatori e la loro
disponibilità a sottoporsi ai severi schemi di selezione, come pure ad uniformarsi a comuni regole di
allevamento, (disciplinari APA e A.A.C.) e la partecipazione a corsi di formazione. Restano tuttavia
alcune ombre relative alla capacità imprenditoriale della maggior parte degli allevatori per una
migliore valorizzazione del prodotto in grado di renderlo più appetibile, non solo attraverso i citati
canali ufficiali, ma anche attraverso un salto di qualità gestionale, sia nella politica dei prezzi, sia
nella scelta della clientela e dei canali distributivi.
“In ogni caso – hanno concluso i due esperti - riteniamo che il lavoro svolto possa apportare
un notevole contributo non solo al recupero di un’antica razza, ma anche alla sua valorizzazione,
alla salvaguardia delle risorse genetiche autoctone e della biodiversità nonché al mantenimento
delle tradizioni e delle culture locali relative alla cucina ed alla gastronomia, senza trascurare il
recupero e la valorizzazione delle aree marginali”.
Infine richiamandosi alla premesse del Convegno, Pignattelli, anche come presidente della
Associazione Italiana di Zootecnia Biologica e Biodinamica ZOOBIODI, ha voluto ricordare che
l’esempio fornito dal progetto per il recupero della Valdarnese Bianca, pur nella vasta gamma delle
iniziative intraprese e degli ottimi risultati ottenuti, sottolinea, se mai ce ne fosse bisogno, la
difficoltà di reperire animali di razze e varietà autoctone, le cui tecniche di selezione, le norme
amministrative e quelle commerciali impongono un approccio molto professionale e
interdisciplinare. Approccio cheZoobiodi, grazie alla sua organizzazione, è in grado di soddisfare.
L’Associazione inoltre, intende attivarsi per i canali ufficiali per essere riconosciuta quale Referente
del Ministero per la Biodiversità Zootecnica, sul modello, per es. dell’Ente Nazionale delle Sementi
Elette.
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