Vincenzo Russo da Qforum (il forum di Qlibri) 16/10
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Vincenzo Russo da Qforum (il forum di Qlibri) 16/10 2008 Tassare le rendite finanziarie. Se non ora, quando? Nel corso di alcune, più o meno illuminate, trasmissioni televisive, ho sentito qualche timido accenno alla questione della distribuzione della ricchezza negli Usa, e non solo, quale possibile concausa dell’attuale crisi. Mi pare che qualcuno si sia un po’ impressionato, e abbia bloccato sul nascere eventuali interessanti sviluppi. Peccato, perché credo che quello della distribuzione della ricchezza e dell’impoverimento di molta gente sia il nodo centrale di tutta la questione Secondo P. Krugman (in questi giorni è stato insignito del premio Nobel per l’economia), Bush ha deciso di restare nella storia degli Usa come il presidente conservatore che ha annullato il New Deal di F. D. Roosevelt. Con il pretesto della riduzione delle tasse, se quelle dei ricchi meglio, Bush ha cercato la riduzione permanente del ruolo dello stato nell’economia. La riduzione del prelievo fiscale non intaccando, anzi favorendo, il consenso di un certo elettorato, obbliga il governo, in ossequio ai sani principi ortodossi dell’equilibrio finanziario, alla riduzione della spesa pubblica e dello Stato sociale. E’ quello che Berlusconi cerca di fare da un pezzo in Italia, senza alcun esito. Quasi paradossalmente è riuscito, invece, nell’intento di abolire l’imposta di successione, a differenza di Bush largamente osteggiato, uno dei capisaldi di qualunque società liberale dove deve essere garantita l’uguaglianza dei punti di partenza di tutti gli individui. Il liberismo, nonostante le continue citazioni, prima che attuarlo, non riusciamo nemmeno a concepirlo! F. D. Roosevelt aveva intuito che per ultimare lo Stato federale avrebbe dovuto garantire anche un settore pubblico ed una protezione nuova per i lavoratori comprese le donne ed i neri. Cosa succede oggi nell’Unione europea? Siamo in attesa dell’unione politica e della base federale con il proprio risvolto sociale. Nel frattempo ci viene ripetuto il solito ritornello liberista secondo il quale saranno gli investimenti in infrastrutture, nell’attività di ricerca e gli aumenti di produttività a consentirci di aumentare la nostra competitività nel mercato globale e creare, così, maggiore ricchezza da spartire e più lavoro. Nell’attesa della tanto agognata crescita abbiamo prodotto solo stagnazione e ci accingiamo alla recessione! Vorrei che qualcuno provi a spiegarmi qual è la logica che giustifica il fatto che i profitti di uno speculatore di borsa o di un rentier scontano, dalle nostre parti, un’imposizione del 12,50%, a fronte della tassazione ordinaria di circa il 30% per il lavoratore con 1000 euro mensili! Questo è semplicemente assurdo, soprattutto in un periodo di disoccupazione elevata . E allora, se qualcuno vorrà illuminarci con le sue visioni provi a parlare di una tassazione delle rendite nostrane ad un livello comparabile a quello europeo (il 23% circa). Prevengo l’obiezione di qualche perfezionista politico: ”Non c’è l’ho possiamo permettere a causa dell’elevato debito pubblico e correremo il rischio della fuga dei capitali dal nostro Paese”. Tutte balle. O meglio, è vero che il nostro è il più grande debito pubblico europeo, ma è anche vero che abbiamo deciso di aderire pienamente all’Unione e rispettare i parametri di Maastricht che impongono il controllo del deficit e la riduzione del debito. E poi, dove dovrebbero correre questi capitali? Già oggi, potendoci considerare nello scenario internazionale una sorta di succursale delle isole Cayman, dal punto di vista fiscale, esercitiamo una scarsa attrattiva sui capitali stranieri i quali seguono altre rotte per ben altri motivi, che non sto qui ad elencare. Certo i nostri rivali non saranno i colleghi europei che, come precisato, applicano da un pezzo una tassazione più alta. Senza, poi, parlare degli Usa dove, sempre per l’ossequio al liberismo vero, e non quello di facciata, vige un semplice concetto, quello del reddito-entrata, per cui il reddito ai fini della tassazione personale è piuttosto ampio e comprende anche i capital gain, ovvero i guadagni realizzati con la vendita di azioni a prezzi 1 Vincenzo Russo da Qforum (il forum di Qlibri) 16/10 2008 superiori a quelli di acquisto, che rientrano in tal modo nel reddito imponibile (anche se Bush, coerentemente con la sua logica, ha cercato di intaccare la progressività di tale imposizione). Altro che tassazione sostitutiva al 12.50%! Se poi si vuole proprio esagerare, c’è sempre la possibilità di scomodare un certo J. Tobin (tanto per intenderci, premio Nobel e consigliere di John F. Kennedy), discepolo dell’”eretico” Keynes padre ispiratore della dottrina che ispirò il New Deal, e invocare l’introduzione della “Tobin Tax”. Nella formulazione originaria del 1972 si trattava di una piccola tassa, imposta dal governo, sulle transazioni di valuta estera allo scopo di scoraggiare la speculazione destabilizzante. L’idea era quella di trovare un modo di promuovere il libero scambio, tutelando i mercati dei Paesi interessati dai movimenti distruttivi dell’hot money. Nella sua versione aggiornata, tale imposizione si potrebbe configurare, a livello internazionale, come una tassazione dei movimenti speculativi di capitale. Una piccolissima imposta dello 0,05% (avete letto bene, 0,05, un’inezia) sul valore delle transazioni produrrebbe un incredibile aumento delle entrate degli Stati associati che potrebbe benissimo finanziare, ed equamente, una maggiore domanda aggregata. Chissà se le frange degli strenui oppositori alla globalizzazione (ad esempio la sinistra arcobaleno), che hanno fatto di tale misura, enfatizzandola in chiave punitiva, un loro cavallo di battaglia sono consapevoli della sua genealogia di strumento promotore degli scambi? Comunque sia, penso che sarebbe interessante capire cosa ne pensa Tremonti, scopertosi di recente ideologo dell’”antimercatismo”! Piuttosto che pensare ad improbabili misure di contenimento della globalizzazione con l’effetto, fra gli altri, di rallentare ulteriormente lo sviluppo dei paesi più poveri, quando ormai tutti i fattori produttivi, capitali in testa, sono completamente mobili, perché non tassare in minima parte il capitale quale fattore circolante creatore di ricchezza e compensare, così, chi della globalizzazione, almeno per adesso, si becca solo i mali? Non stiamo nemmeno parlando dei profitti delle aziende, che pure non languono. Questo consentirebbe, fra l’altro, di recuperare una quantità di preziosissime risorse finanziarie, incompatibili con lo stato attuale dei bilanci europei, che potrebbero essere impiegate per contrastare sul nascere le pericolose tendenze recessive in atto. Forse ho capito. Dopo le conquiste militari e, la più devastante, colonizzazione economica, i paesi poveri e gli individui deboli hanno intravisto un barlume di speranza. Qualcuno, sotto il populismo della coltre neo-protezionista, vuole celare lo spioncino del futuro, continuando a non voler occuparsi della distribuzione della ricchezza. La globalizzazione non va contrastata. Bisogna cercare di governarla e, soprattutto, rimediare concretamente alle mille iniquità che è capace di generare, pur all’interno della sua evidente capacità di creare risorse aggiuntive per l’intero pianeta. Il sistema capitalistico si è dimostrato l’unico in grado di produrre ricchezza. E’ afflitto da alcuni limiti: l’incapacità di garantire la piena occupazione e la distribuzione arbitraria e iniqua delle ricchezze e dei redditi. Parola di Keynes! Vincenzo Russo 2