vademecum - Mondo Mostre

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vademecum - Mondo Mostre
Percorrendo al contrario l’itinerario di Cristoforo Colombo, cinquantadue dipinti di
grande importanza lasciano l’America e arrivano a Genova. Accogliere i visitatori in
questa mostra è un compito felice: il Detroit Institute of Arts, fondato nel 1885, uno
dei più grandi e completi musei degli Stati Uniti, ha selezionato e messo a
disposizione per questa iniziativa le principali opere delle sue collezioni
dall’Impressionismo alle avanguardie, con un percorso denso e affascinante che ci
conduce da Monet a Picasso. Il racconto visivo di questa mostra attraversa non meno
di sette decenni di arte e di emozioni: il passaggio da una sala all’altra è lo specchio di
un mondo in rapido cambiamento tra Otto e Novecento, nell’alternanza fra la
genialità di singoli protagonisti e la compattezza dei gruppi e dei movimenti artistici.
Nell’Appartamento del Doge si squadernano pagine intere di storia della pittura,
scandite da dipinti sempre di profonda bellezza e, in molti casi, di decisivo significato
per gli snodi dell’arte europea alle soglie della modernità. Ciascuna delle opere
esposte, nessuna esclusa, è una parte preziosa e insostituibile di una storia che ci
appartiene profondamente, e che ci parla una volta di più con l’universale linguaggio
della bellezza.
Cercando il sole
La nascita dell’impressionismo
Poco dopo il 1860, prende avvio a Parigi una delle più importanti svolte nell’intera
storia dell’arte occidentale. Pittori come Monet, Pissarro e Renoir lasciano la
penombra degli atelier ed escono en plein air (all’aria aperta) per riprendere in modo
libero e diretto le luci, i colori, l’atmosfera del paesaggio, la vita della borghesia
parigina, nei piccoli piaceri domenicali come nelle vie affollate della città.
Nel 1874 viene organizzata la prima mostra collettiva: dal titolo di un dipinto di
Monet, vengono chiamati “Impressionisti”. Quello che rende amabili le loro tele (la
luce naturale, i soggetti di vita quotidiana, la mancanza di convenzioni accademiche,
l’uso di colori limpidi, quasi direttamente spremuti dal tubetto) era considerato
all’epoca “la negazione delle regole più elementari del disegno e della pittura”.
Per diversi anni le tele degli Impressionisti sono accolte con freddezza dai critici e
trovano poco spazio nel gusto dei parigini, che preferivano le scene di vita cittadina
dipinte con cura da pittori come Gervex o Carolus-Duran. A poco a poco, tuttavia, il
gruppo che comprende Monet, Pissarro, Renoir e Degas comincia a ottenere un
crescente successo. Si organizzano mostre e aste in diverse nazioni: collezionisti russi,
inglesi e americani si appassionano alla pittura impressionista, il che spiega la
presenza di numerose opere importante nei musei fuori dalla Francia. Intorno al 1880
il gruppo perde l’iniziale compattezza: nascono proposte nuove e orizzonti espressivi
inaspettati.
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Degas
Lezioni di stile
Con tipico spirito americano, a cavallo del Novecento, si assiste negli Stati Uniti a una
vera e propria competizione per la formazione delle raccolte più complete, attraverso
l’acquisizione di opere-chiave, la scoperta e la valorizzazione di artisti antichi e
moderni. Degas è certamente uno degli artisti parigini più amati dai collezionisti
americani: una delle ragioni è l’influsso esercitato dalla ottima pittrice statunitense
Mary Cassatt, che dopo aver studiato all’accademia di Filadelfia si trasferisce a Parigi
nel 1875 e diventa un’attenta e originale interprete di Degas. Alla stabile residenza in
Francia la pittrice alterna trionfali rientri negli Stati Uniti, e fa da tramite tra i
collezionisti americani e il mercato artistico parigino. Non va poi sottovalutato il
fascino intrinseco di Parigi del secondo Ottocento, di cui Degas è stato certamente uno
dei più appassionati e caratteristici interpreti.
Nell’importante gruppo di opere del museo di Detroit, tutte raccolte negli anni della
prima maturità, Edgar-Hilaire Germain de Gas (questo il suo nome completo, nella
grafia corretta) propone uno stile educato, colto e insieme tuttavia inquieto, nitido,
modernissimo: palese è la differenza delle sue scene di interno con quelle di artisti
come Gervex o Carolus-Durand. Degas segue la parabola dell’impressionismo da
vicino, partecipando a quasi tutte le esposizioni collettive del gruppo, ma mantenendo
sempre una autonomia, quasi un nobile distacco, che gli impedisce di aderire
totalmente al movimento. Emerge con chiarezza la passione per la fotografia, di cui
ammira soprattutto la nettezza e la novità del taglio prospettico rispetto alla secolare
tradizione della buona pittura accademica.
La raffinatezza del segno di Degas, evidente fin dalle prime opere, si evolve
costantemente ma anche in modo coerente e lineare lungo un ampio un arco di
decenni lungo, mostrando via via una nuova interpretazione umana e sociale. Col
passare del tempo, l’aristocratico Degas sposta la propria attenzione: il tutù delle
ballerine diventerà il grembiule sdrucito delle stiratrici, all’arredamento curato delle
case alto-borghesi si sostituirà una tinozza ammaccata in un povero sottotetto, il bel
mondo delle corse ippiche a Longchamp lascia il posto ai tavolini dimessi di un bar
quasi deserto, dove non resta altro che la solitudine umana, la devastazione intorno a
un bicchiere di assenzio.
Intanto, le conseguenze di un incidente a un occhio durante la guerra francoprussiana si aggravano: la vista di Degas peggiora gradualmente, tanto da portare
gradualmente alla cecità. Degas non si arrende ai problemi fisici, esplora nuove strade
creative. Le mani si sostituiscono agli occhi: ciò che Degas non riesce più a vedere
diventa tocco, materia, manipolazione, dai pennelli ai pastelli, dalla tela alla creta,
dalla linea alla macchia, dalla pittura alla scultura.
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Cézanne
Solitario e geniale
Paul Cézanne segna il passaggio dalla prima stagione dell’impressionismo ai
successivi movimenti delle avanguardie. Grazie al contatto con gli impressionisti si
impadronisce della luce naturale, ma ben presto si pone un obiettivo più alto, un
intervento intellettuale di interpretazione: con intelligenza e sensibilità, ripercorre le
regole dell’arte, le smonta una per una e le rimonta in modo nuovo,
straordinariamente efficace.
Arroccato nella sua Provenza, Cézanne si è isolato da tutti: amici, letterati, pittori.
Dopo aver faticosamente strappato al padre banchiere il permesso di abbandonare gli
studi di giurisprudenza per dedicarsi alla pittura, da giovane Cézanne si affacciato su
Parigi, ma non l’ha amata, preferendo uno stretto e sobrio circuito di luoghi familiari,
tra Aix-en-Provence e la campagna circostante. La sua esistenza riservata e sobria, di
tranquillo benestante, l’antitesi di quella di un “pittore maledetto”, si proprio nella
stessa zona e negli stessi anni in cui si consuma il bruciante dramma umano e
artistico di Van Gogh.
Durante gli anni giovanili a Parigi, quando Pissarro lo convince a schiarire la
tavolozza e ai paesaggi “en plein air”, Cézanne soggiorna a Pontoise a ad Auvers-surOise, la località ritratta da Van Gogh nel dipinto esposto in mostra. Nei paesaggi
compaiono le prime Bagnanti. Fin da questo periodo, Cézanne comincia a concepire il
paesaggio non come una “impressione” di luce e colore, ma come una costruzione
mentale di solidi geometrici regolari come il cubo, la sfera, il cilindro. Prende parte
alla storia esposizione del 1874, ma dopo una serie di fallimenti ai Salons degli anni
‘70 si stacca progressivamente dal gruppo degli impressionisti (anche per questioni di
carattere) e lascia Parigi per tornare in provincia. Cézanne è poco incline ad
abbandonarsi al puro gusto per la luce e per il colore, e prova anzi un profondo
rispetto per la pittura del passato: si riferisce al più classico dei pittori del Seicento
francese quando afferma di voler “rifare Poussin sulla natura”. Per raggiungere una
concreta sintesi di forma e colore, ripete più volte vedute di luoghi particolari, come la
amata Montagne Sainte-Victoire. Per abitudine, comincia i dipinti all’aperto,
portando cavalletto, tele e colori in campagna, ma li finisce sempre nell’atelier. Pur
riprendendo spesso gli stessi scorci o le medesime composizioni, Cézanne non è mai
ripetitivo: ogni volta trova un aspetto nuovo, un diverso accordo di luci, una inedita
tessitura prospettiva, un accostamento di colori più efficace.
Di famiglia benestante e di abitudini morigerate, Cézanne non aveva bisogno di
vendere i suoi dipinti per vivere: lontano dai riflettori della crirtica e del mercato
artistico parigino, le sue opere vengono esposte di rado, e quasi nessuno si accorge
della sua grandezza. Solo dopo la sua morte, quando nel 1907 gli viene tributata una
mostra retrospettiva, giovani pittori come Picasso e Matisse capiscono il debito nei
confronti di un grande maestro, un ‘classico’ che dà un senso nuovo all’intero corso
dell’arte moderna.
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Oltre l’impressione
Proposte e prospettive
Dopo il 1880, con l’esaurirsi della fase più intensa dell’impressionismo, la pittura
europea vive un periodo di grande vivacità creativa: Parigi resta sempre il centro della
cultura, e quasi tutti i movimenti internazionali più importanti dalla metà
dell’Ottocento fino alla Prima Guerra Mondiale partono dalla capitale francese.
Superate prove molto dure, come la guerra franco-prussiana del 1870 e l’esperimento
della Comune, la Parigi di fine Ottocento è la vetrina della modernità, sostenuta anche
dalla corrente filosofica e culturale del “positivismo”, basata sulla valutazione
ottimistica delle conquiste tecniche e scientifiche. D’altra parte, molti intellettuali e
artisti sentono la necessità di evadere dal confortevole ma convenzionale mondo della
borghesia ottocentesca. Nascono correnti eccentriche, si cerca rifugio e conforto in
illusorie sensazioni legate all’alcol, alle droghe o a una più sottile e pervasiva ebrezza
intellettuale, sofisticata, elitaria, preziosa. L’elegante tela di Odilon Redon è un
esempio di tardo, raffinato simbolismo, rarefatto al punto da rasentare l’astrattismo.
Proprio mentre prende corpo la tendenza letteraria e artistica del simbolismo, si
consuma in pochi anni la folgorante e drammatica vicenda umana di Van Gogh. Nei
quattro anni trascorsi in Francia prima di morire tragicamente in un campo di grano
maturo, Van Gogh si espone in prima persona, letteralmente “mette la faccia” nella
pittura, a comicniare dagli autoritratti. Fuori da ogni canone, Van Gogh conferisce a
ogni quadro una dimensione spirituale, in cui l’artista riflette se stesso e la propria
interiorità. I colori forti e accesi manifestano emozioni e stati d’animo dell’autore; le
pennellate, cariche e intense, sono libere di creare nuove forme, per testimoniare una
dimensione interiore.
Anche Paul Gauguin è il protagonista di una straordinaria vicenda umana e artistica:
pittore autodidatta, stralunato erede di una famiglia avventurosa, padre e marito
disordinato, sempre soffocato dai debiti e oppresso da una vita parigina da cui si
sentiva estraneo. Dopo aver fondato una comunità di artisti a Pont-Aven, uno
sperduto villaggi di pescatori in Bretagna, nel 1888 prova a lavorare fianco a fianco
con van Gogh ad Arles, in Provenza, ma il breve sodalizio si conclude in modo
tempestoso. Aggredito e minacciato da Van Gogh, Gauguin decide infine di partire
verso luoghi lontani, verso orizzonti esotici, non “corrotti” dalla civiltà occidentale.
Il modello di Pont-Aven non resta isolato: la ricerca di una purezza naturale e morale,
spogliata da ogni conformismo, carica di sentimenti e di affetti espressi in modo
ingenuo, diretto e appassionato, porta diversi artisti della fine dell’Ottocento a cercare
alternative alle città industriali, sempre più grandi ma anche opprimenti. Paula
Modersohn-Becker è una delle principali animatrici del gruppo di artisti e letterati che
si riuniscono a Worpswede, una cittadina agricola nel nord della Germania.
Nel 1890 Maurice Denis pubblica il “manifesto” dei nabis, i “profeti”, un gruppo di
pittori che si riconoscono nella semplificazione delle forme, nell’uso del colore in
funzione non naturalistica, nella rivalutazione delle arti decorative. Le proposte dei
nabis, affiancate da un generale rinnovamento nell’uso del colore, steso a lunghe
pennellate oppure frammentato in piccoli punti, formano il presupposto per il
cosiddetto postimpressionismo, una corrente che si indirizza soprattutto verso
soggetti di silenzioso, domestico intimismo, a scene di vita quotidiana, a ritratti. Ne
sono ottimi esempi le opere dello svizzero Vallotton e soprattutto gli interni di
Bonnard.
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Matisse
e l’École de Paris
Nei primi anni del Novecento diverse città d’Europa come Vienna, Berlino, Londra e
Barcellona vivono una fase di grande dinamismo intellettuale, nei campi delle arti,
della letteratura, della scienza, della tecnologia: ma sembra che tutti gli artisti del
mondo si diano soprattutto appuntamento a Parigi.
In occasione del Salon d’Automne del 1905 il critico d’arte Louis Vauxcelles, colpito
dall’acceso cromatismo e dall’uso aggressivo della linea definisce fauves, belve feroci,
alcuni artisti che fanno la loro prima apparizione ufficiale in quell’occasione e che
trovano in Matisse il principale rappresentante. Nasce così una delle prime
avanguardie storiche dell’inizio del Novecento.
In perfetto parallelo cronologico e stilistico con il movimento espressionista tedesco
die Brücke, i fauves non considerano il quadro nei suoi valori di decorazione,
composizione, ordine, ma come l’occasione per esprimere in modo forte, persino
brutale, emozioni e sentimenti. Il movimento, del quale fanno parte anche Dufy e
Rouault, non è omogeno, e non produce una dichiarazione programmatica unitaria:
tuttavia, il ruolo dei fauves appare determinante per lo sviluppo delle avanguardie.
La “Ville Lumière” ribolle di vitalità, di proposte, di amicizie, di incontri. Nel 1906 e
nel 1907 le grandi mostre retrospettive di Gauguin e di Cézanne organnizate al Grand
Palais offrono una formidabile spinta alle già vivaci coscienze degli artisti
internazionali per superare anche la luminosa ma ormai scontata eredità
dell’impressionismo. I caffé del Quartiere Latino e gli atelier di Montmartre e
Montparnasse sono lo scenario di straordinarie novità. I gruppi di artisti più
organizzati, con il supporto di letterati o musicisti, si organizzano in movimenti,
stendendo un “manifesto” di poetica: ma, più in generale, si preferisce parlare di un
grande clima complessivo, a cui si dà il nome di École de Paris, la scuola di Parigi.
Fondamentale è il ruolo di intelligenti e coraggiosi mercanti d’arte, che propongono le
innovative opere dei maestri delle avanguardie a un crescente pubblico di collezionisti
internazionali, favorendo la conoscenza e le quotazioni dei più importanti artisti nel
mondo: mentre i musei appaiono come i luoghi dell’arte del passato, le gallerie d’arte
contemporanea iniziano a svolgere un’attività “di tendenza” che caratterizzerà tutto il
XX secolo.
Parigi è una città pianeggiante, ma sul suo panorama si delineano due collinette, alle
estremità opposte rispetto alla Senna, un tempo autonomi quartieri popolari,
progressivamente inglobati nella metropoli: Montmartre e Montparnasse. Luogo
privilegiato d’incontro per la presenza di ritrovi e balli popolari già cari a Renoir,
Montmartre è il centro prediletto dei cubisti: Picasso, Bracque, Gris. Nel gruppo
cosmopolita di Montparnasse, sostenuto da intellettuali e galleristi come Paul
Guillaume e Leopold Zborowski, molti degli artisti sono ebrei e vengono dall’Est: a
Parigi cercano non solo gli stimoli per l’arte, ma anche una maggiore libertà sociale e
politica e di autonomia di espressione. Chaim Soutine, ebreo russo come Chagall,
arriva a Parigi nel 1912: insieme allo scultore rumeno Costantin Brancusi, diventa uno
dei pochi veri amici di Amedeo Modigliani, forse il più grande e certo il più sfortunato
fra i pittori di Montparnasse. Figura controversa nel panorama dell’arte moderna, il
pittore livornese incarna perfettamente la figura dell’artista maudit, maledetto, alla
continua, tormentata ricerca di un equilibrio fra il successo e l’estrema, solitaria
raffinatezza formale dei suoi ritratti.
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Espressionismo
L’avanguardia che parla in tedesco
Il Detroit Institute of Arts ha potuto contare su una risorsa che lo contraddistingue tra
i musei degli Stati Uniti. Per oltre vent’anni (1924-1945) è stato diretto dallo storico
dell’arte tedesco Wilhelm (poi William) Valentiner, che non solo ha portato a Detroit i
primi Van Gogh e Matisse esposti nei musei americani, ma soprattutto una
competenza specifica sull’espressionismo tedesco, con scelte di altissimo livello.
La definizione di espressionismo non indica un unico movimento o un gruppo di
artisti, quanto una generale tendenza generale stilistica. Alcuni aspetti accomunano
molti pittori: tratti grafici asciutti e taglienti, contorni nettamente definiti, figure
spesso nude, paesaggi appena accennati eppure carichi di energia, sentimenti di
disagio espressi in modo esplicito, nessuna decorazione inutile, colori innaturali. Si
distinguono tre principali correnti: die Brücke (“il ponte”) fondato da Kirchner,
Heckel e Schmidt-Rottluff nel 1905 a Dresda; der blaue Reiter (“il cavaliere azzurro”),
animato da Kandinsky a Monaco di Baviera dal 1911; e la neue Sachlichkeit (“nuova
oggettività”), sviluppato dopo la Prima Guerra Mondiale a Berlino da Grosz,
Beckmann e Dix.
Significativo è inoltre il desiderio di purezza, di evasione verso mari lontani di maestri
come Pechstein e Nolde, e più tardi i lunghi viaggi di Kokoschka: un po’ come era
accaduto a Gauguin nei confronti di Parigi. Con la salita al potere del partito nazista,
tutto cambia. L’espressionismo viene definito entartete Kunst, cioè “arte degenerata”,
e messo al bando. Alcuni artisti sono costretti a emigrare e le loro opere vengono
distrutte o comunque espulse dai musei.
Picasso
Cubismo e classicità per l’arte del Novecento
Strada maestra dell’arte del Novecento, il percorso di Picasso scandisce le tappe di
un’evoluzione rapida e ben riconoscibile, che parte dalle estreme esperienze
ottocentesche attraversa sette decenni di avventure, ricerche, continue novità.
Picasso non ha mai rifiutato l’arte del passato: ogni scatto in avanti, anche il più
provocatorio e inatteso, si fonda su uno studio profondo e consapevole: le delicate e
talvolta dolenti armonie figurative dei periodi blu e rosa, le fasi appassionate del
cubismo, il “ritorno all’ordine” classicista degli anni ‘20, i legami con il surrealismo, la
poetica dell’object trouvé, i ritratti di Dora Maar e delle altre donne amate con
voracità inestinguibile, Guernica, l’impegno politico e pacifista, le grandi tele dipinte a
Vallauris, la varietà di esperimenti tecnici in scultura, ceramica e incisione; nelle
metamorfosi continue di uno stile inafferrabile e sempre personale, Picasso ha dato
un volto al Novecento. Picasso dipinge e vive senza limiti: l’espressione talvolta
persino esplosiva della sua energia creativa è prima di tutto la manifestazione di un
uomo che partecipa intensamente al suo tempo e al suo mondo, non disedegna la
cronaca mentre cerca il confronto con la storia.
Picasso, che è nato nel 1881, sembra inarrestabile. E’ diventato popolarissimo, la sua
immagine inconfondibile riempie regolarmente le pagine dei rotocalchi, non solo per
le continue ricerche artistiche, ma anche per le vicende di una biografia spettacolare.
L’ultimo segmento della sua vita vede all’opera un uomo che con le sue magliette col
collo a barchetta, a strisce orizzontali come quelle di un eterno monello. Supera gli
ottanta e poi anche i novant’anni, sempre sorretto da una energia veramente di fuoco,
di sole e di acciaio. Senza mai nemmeno un accenno di malinconia o di rimpianto,
Picasso rilegge temi e svolte stilistiche, interpretate alla luce di un’esperienza umana e
artistica senza confronti.
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