Indovinare le parole - L`Italiano espresso online

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Indovinare le parole - L`Italiano espresso online
R. Solarino “Indovinare le parole: una microabilità per la lettura-studio” in Grassi R., Valentini A., Bozzone Costa R. (a cura di), Insegnare ad imparare in italiano L2: le abilità di studio per la scuola e per l'università, Atti del terzo convegno CIS (Centro di italiano per stranieri, Università di Bergamo), Guerra, Perugia, 2005, 171-186.
1. Introduzione
E’ possibile per un apprendente incrementare in modo autonomo la propria competenza lessicale in italiano L2 insieme alle sue capacità di lettura e comprensione? E’ quanto si è cercato di
accertare nell’anno accademico 1999-2000, presso il CLA dell’Università di Padova, con studenti Erasmus in possesso di una conoscenza di base dell'italiano. L’esperienza è stata realizzata all’interno di un corso pilota di 15 ore, distribuite in due mesi, finalizzato allo sviluppo delle
capacità di lettura e analisi di brani saggistici, indispensabili per un buon inserimento nel mondo universitario italiano.
L’obiettivo è stato perseguito mettendo in atto una strategia (che può essere definita come la
capacità di supplire ai vuoti di conoscenza lessicale attraverso lo sfruttamento del contesto e
della forma delle parole) che qui denomineremo di indovinamento lessicale contestualizzato
(ILC)1.
In sostanza si tratta di una strategia di apprendimento ben nota ai parlanti fin dalla più tenera
età, che consiste nell’indovinare il significato delle parole partendo dal contesto in cui esse
vengono utilizzate, con la differenza che nella lettura (e nell’ascolto) di testi, in particolare
espositivi, il contesto è esclusivamente linguistico. In una situazione di questo tipo i segnali, di
forma e di significato, su cui il parlante si può basare per indovinare il significato di una parola
agiscono in parallelo; la mente li processa contemporaneamente, vaglia le ipotesi suggerite e,
ritornando al testo, attribuisce alla parola in questione un significato che funzionerà più o meno
bene a seconda di quanto e di come si sarà operato nella prima parte del processo.
Attraverso l’analisi dei protocolli di quella esperienza abbiamo cercato di dare elementi per fare
luce su due questioni:
- la procedura è in grado di crescere su se stessa, di generare cioè capacità di risoluzione del
compito via via migliori?
- a quali aspetti linguistici è collegata? E in particolare: la sua efficacia dipende dalla ‘trasparenza’ delle parole da indovinare?
Inoltre, attraverso le risposte, è stato possibile intravedere delle modalità diverse di approccio
al compito, corrispondenti a diversi stili di apprendimento.
Sotto vari nomi la strategia è da tempo individuata come centrale nell’apprendimento di L1 e L2: Altieri Biagi (1986), Solarino (1986), Mariani / Pozzo (2002), Mariani (1987).
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Diciamo subito che il campione degli studenti con cui si è operato non è né equilibrato né omogeneo. I dati riguardano infatti tredici soggetti (sei spagnoli, tre russe, due inglesi, una francese
e un tedesco) con diversi livelli di conoscenza dell’italiano, che per di più non hanno svolto tutte le prove. In queste condizioni non pretendiamo certo di poter fare delle generalizzazioni, ma
di osservare alcune tendenze, di sottolineare fatti che ci sono apparsi significativi, ma che necessitano di ulteriore verifica.
Una seconda possibile obiezione sul modo in cui si è operato riguarda la scelta delle parole
‘sconosciute’: in due dei tre casi esaminati la scelta è stata operata dall’insegnante e niente garantisce che le parole prescelte fossero davvero ignote agli studenti. Ci si è lasciati guidare soprattutto dalla loro centralità nella comprensione del testo, come consiglia D’Addio (1991), e
dalla possibilità offerta dal contesto di intuirne il significato 2. Non si è data invece eccessiva
importanza al fatto che la lingua di partenza degli allievi potesse presentare parole affini per
forma e significato a quelle da indovinare, dando per scontato che in questo campo alcune lingue (nel nostro caso lo spagnolo e il francese) possono favorire enormemente la procedura di
ILC. Si è cioè preferito considerare l’eventuale vicinanza lessicale tra le due lingue in contatto
come una delle risorse su cui un parlante si può basare per attribuire un significato a una parola
in un dato contesto. Il punto di vista insomma è stato processuale più che dichiarativo: si sono
volute vedere all’opera delle capacità di lavorare sul testo più che saggiare delle conoscenze.
2. L’ILC: il primo test
Il primo3 insieme di dati che esamineremo riguarda la lettura-comprensione di un paragrafo di
un testo divulgativo dedicato al cervello. . Erano presenti 12 studenti: cinque spagnoli, tre russe, due inglesi, una francese, un tedesco. Agli studenti veniva chiesto di leggere attentamente il
testo e di indicare per iscritto su una scheda, entro 15 minuti, il significato delle 14 parole in
corsivo. Successivamente dovevano riunirsi in piccoli gruppi (di tre allievi ciascuno) e discutere le soluzioni adottate individualmente, scegliendone una a nome del gruppo. La procedura è
stata adottata nella convinzione che la discussione che sarebbe sorta potesse favorire il passaggio di abilità tra i vari componenti del gruppo: può essere di qualche interesse sottolineare che
in tre dei quattro gruppi organizzati con gli studenti presenti quel giorno si sono potute mescolare tre lingue diverse; nel quarto, inevitabilmente, c’erano due spagnoli. Va infine detto (con
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Non è facile esplicitare queste possibilità, che sono legate a fattori non solo linguistici in senso stretto, ma più genericamente testuali ed ‘enciclopedici’. Un primo elenco, puramente indicativo, potrebbe contenere: anticipazioni cataforiche e riprese anaforiche più o meno lessicalizzate (si vedano gli
incapsulatori anaforici in d’Addio 1988), riformulazioni, esempi, glosse di vario tipo.
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Per permettere di ricostruire, a chi lo volesse, l’intero procedimento di ‘riscoperta’ dell’ILC, precisiamo che in precedenza la procedura era stata introdotta in modo informale, durante una lettura
preoccupata soprattutto di comprendere un breve testo, limitandosi a mostrarla all’opera attraverso
l’esempio.
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rammarico, ma chi ha esperienza di studenti Erasmus capirà certe dinamiche) che solo cinque
studenti, tutti spagnoli, hanno consegnato la prova individuale: gli altri si sono limitati a partecipare alla seconda risoluzione del compito, quella di gruppo.
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Il cervello umano e quello animale
Da molti anni i ricercatori usano topi e altri Mammiferi nei loro esperimenti; il
cervello di questi animali è stato assai ben studiato, e la sua corteccia è stata comparata con quella umana. I risultati sono abbastanza sorprendenti.
Le cellule della corteccia
Cominciamo dai neuroni. Le cellule nervose della corteccia (piramidali e stellate)
sono praticamente uguali nell’uomo, nel topo, o negli altri Mammiferi superiori.
Viste al microscopio difficilmente si possono distinguere. In altre parole, l’uomo
non possiede neuroni particolari: sono esattamente quelli che esistono nella corteccia di altri Mammiferi. Non solo. Anche la densità dei neuroni è la stessa: in
un millimetro quadrato di corteccia ne esiste lo stesso numero.
Le sinapsi
E le sinapsi? Ancora più simili. Il meccanismo si è rivelato talmente efficiente,
nel corso dell’evoluzione, che non vi è stato alcun bisogno di modificarlo per
l’uomo. Ma c’è almeno una differenza nella densità delle sinapsi? No, è la stessa
per millimetro cubo. In altre parole la ‘scatola di montaggio’ è praticamente
uguale per tutti.
Le dimensioni della corteccia
Dove sono le differenze, allora? Le differenze esistono, naturalmente, ma non
sembrano essere di qualità, bensì di quantità. La corteccia umana, in pratica, è più
grande, più spessa, e ha maggiori connessioni intercorticali. Ed è anche più sviluppata in certe aree. Qualcuno ha fatto un po’ di conti, comparando la corteccia
umana e quella di altri primati: essa risulta quasi tre volte maggiore di quella di
uno scimpanzé e dieci o venti volte maggiore di quella di altre scimmie meno
evolute (e centocinquanta volte maggiore di quella di un mammifero insettivoro
primitivo). Aumentando le dimensioni della corteccia, aumentano così anche i
neuroni: si calcola che nel topo siano 65 milioni, nello scimpanzé 7 miliardi.
Nell’uomo qualche decina di miliardi. A causa del maggior spessore della corteccia (specialmente nell’area visiva) nell’uomo aumenta il numero delle cellule
nervose stellate, cioè di quei neuroni che hanno un ruolo di collegamento interno,
e che sono particolarmente preziosi nei processi di associazione e di elaborazione
dell’informazione. Infine, cosa ancor più importante, nell’uomo questo sviluppo
della corteccia è avvenuto in ‘zone’ strategiche, quelle preposte alle funzioni superiori (e tra esse quella del linguaggio). Resta da chiedersi come mai, nell’uomo,
certe parti della corteccia si siano sviluppate in questo modo.
Le crescite anomale
La risposta probabilmente è che tutta la storia dell’evoluzione è zeppa di ‘crescite
anomale’. Se si guardano gli animali in natura, infatti, si scoprono moltissimi
esempi di organi (o di altre parti del corpo) cresciuti a dismisura: a parte il classico collo della giraffa, o i muscoli labbro-nasali dell’elefante, basta pensare al
dente del narvalo, alla lingua del camaleonte o del formichiere, alle braccia del
gibbone, agli occhi del barbagianni, ai denti del tricheco, allo stomaco dei ruminanti, ai polmoni della balena, o al cuore della giraffa. In fondo la corteccia umana, pur così sviluppata, è in realtà spessa solo due millimetri!… Una crescita tutto
sommato neppure così straordinaria. Ma che è avvenuta, appunto, nelle zone strategiche.
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(da P. Angela, “Viaggio nella scienza”, fascicolo n. 6, Alla scoperta del cervello, De AgostiniLa Repubblica, Novara, 1997, p.110)
Come si osserverà, tra le parole selezionate 4 ci sono numerose parole derivate, sia per scelta
deliberata (volevamo vedere in che modo la possibilità di riconoscere la struttura di una parola entra nel processo di indovinamento) sia perché esse sono ‘naturalmente’ frequenti nella
terminologia specialistica. Tra le 14 parole selezionate sono dunque ben 13 le parole in cui è
possibile vedere all’opera processi di derivazione. Alcune sono derivate per suffisazione
(densità, stellate, insettivoro, nasali, strategiche), altre per prefissazione (preposte, dismisura), o per entrambi i procedimenti (intercorticali, associazione,); una è un verbo parasintetico
(con prefisso e suffisso), comparare. Alcune di esse sono più trasparenti morfotatticamente5,
nel senso che il confine tra tema e affisso non è minimamente oscurato da modificazioni morfofonologiche (densità), altre meno (per esempio intercorticali, che presenta supplettivismo
della base rispetto a corteccia). Per tre di esse (risulta, evolute, anomale), la struttura interna
della parola non è più leggibile, probabilmente, neanche per un parlante nativo medio
dell’italiano: si tratta infatti di parole di origine greco-latina, in cui le regole di derivazione,
pur simili a quelle italiane, sono state applicate ‘a monte’ del loro trasferimento all’italiano.
L’ultima delle 14 parole da indovinare, zeppa6, è, infine una parola ‘opaca’, che non trasmette
alcuna informazione di significato attraverso la sua forma.
L’ipotesi di partenza, sulla base degli assunti della morfologia naturale, dovrebbe a questo
punto essere che le parole costruzionalmente più leggibili siano state più facilmente indovinate di altre più opache. I dati raccolti dicono tuttavia che le cose non stanno sempre così.
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Va aggiunto che non si sono scelte tutte le parole che si supponevano sconosciute, ma solo quelle che
il contesto e/o la forma permettessero di indovinare con una certa facilità: per non essere inutilmente
frustrante la procedura deve infatti avere una certa (non bassa) probabilità di successo. Vanno escluse
per esempio tutte le parole-concetto – come nel nostro caso cellula e sinapsi – di difficile comprensione senza una conoscenza previa.
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Il rinvio d’obbligo è alla morfologia naturale di W.U.Dressler, in particolare a Dressler (1987), che collega
la trasparenza di una parola derivata alla maggiore o minore riconoscibilità della parti che la compongono.
Per l’italiano una scala di trasparenza morfotattica in tre livelli per i nomi derivati agentivi che si rifà alla
morfologia naturale è stata elaborata da Lo Duca (1990) e applicata all’acquisizione dei morfemi agentivi
nei bambini: pura affissazione senza modificazione (come in pianista, fioraio, camionista), affissazione più
modificazione, (dormiglione, cartolaio, piede-piedone, motocicletta- motociclista, leggere-lettore), modificazione zero o conversione, quando il derivato non assume alcun suffisso particolare: guidare-guida. I dati
raccolti da Lo Duca confermano la maggiore accessibilità dei derivati ‘con aggiunta’ (-aio e –ista in primo
luogo), rispetto a quelli a suffisso zero. Per un’applicazione delle nozioni di trasparenza morfotattica agli errori di italiano L1 si veda Solarino (1997).
E’ un aggettivo denominale da zeppa, pezzetto di legno per rincalzare mobili, in tipografia, listello di piombo per riempire gli spazi lasciati liberi dalla composizione), di etimologia incerta: Cortelazzo/Zolli (1988)
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Consideriamo innanzitutto la percentuale di risposte corrette per ciascuna delle parole da indovinare sul totale dei cinque studenti che hanno svolto individualmente la prova:
qui tab.n.1
Si tratta di una percentuale media di successo piuttosto alta (84,2%), che ci porta a concludere
che la procedura è, con tutta probabilità, già spontaneamente utilizzata dagli apprendenti:
l’attività proposta non fa che affinarla, rendendoli più consapevoli delle sue possibilità (e dei
suoi limiti).
Chiediamoci ora se risulta confermato da questo primo test che le parole morfotatticamente
trasparenti sono più facili da indovinare: da questo punto di vista interessante appare il caso di
preposte, parola derivata per prefissazione il cui significato viene ‘mancato’ da 4 studenti su
5: può essere che
la difficoltà di interpretazione sia dovuta alla necessità di passare
dall’interpretazione letterale (‘poste sopra’) a quella estesa (‘che controllano, dirigono’).
Interessanti appaiono, per altri versi l’unanimità nell’interpretazione di evolute e di risulta la cui struttura, come abbiamo visto, va considerata poco leggibile7- e la netta maggioranza di
corrette interpretazioni di zeppa, la parola più opaca di tutte: il successo nella interpretazione
di queste parole sembra suggerire che l’ILC non sia affatto bloccato dalla opacità morfologica
delle parole, ma che ci siano buone possibilità di indovinare un significato sconosciuto anche
partendo solo dallo sfruttamento del contesto.
Esaminiamo ora l’effetto sull’ILC del lavoro di gruppo. Confrontando le risposte individuali
con quelle concordate dopo una discussione in cui ciascun partecipante ha avuto la possibilità
di proporre un significato, si osserva che in quattro casi (densità, stellate, preposte, zeppa), una
risposta mancante del test individuale viene correttamente integrata nel gruppo; nei casi seguenti invece ipotesi di significato ‘deboli’, fatte isolatamente, vengono sostituite da altre molto
più convincenti nel gruppo:
qui tab. n.2
Talvolta sembra invece che nel passaggio dal lavoro individuale a quello di gruppo si sia verificata una perdita. In due casi (comparata e dismisura) proposte individuali ‘ragionevoli’ risultano mancanti nel lavoro del gruppo, ma – trattandosi di parole che non hanno presentato per gli
altri studenti particolari difficoltà – sono probabilmente delle omissioni involontarie, dovute a
mancata revisione.
Gli altri due casi in controtendenza sono anch’essi dubbi: nel primo (insettivoro: ‘che mangia
insetti’ >’tipo’) c’è forse il residuo di un tentativo di passare da un significato letterale a una
definizione più impegnativa, che è stata lasciata incompleta; nel secondo (stellate: ‘a forma di
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stella’ >’fissate’) le ragioni della correzione appaiono poco chiare: si deve forse ricorrere alla
‘cattiva influenza’ degli altri componenti del gruppo? Va notato infatti che tre dei quattro casi
di peggioramento riguardano un solo studente e un solo gruppo.
I casi di incremento (undici) sono comunque nettamente superiori a quelli di regressione (quattro), come conferma la percentuale di successo nell’indovinamento, che sale al 96%. Ciò sembra suggerire che è utile, dal punto di vista didattico, far eseguire il procedimento dell’ILC di
gruppo dopo quello individuale, e ciò vale soprattutto per la prime fasi di lavoro in una classe,
quando occorre far scoprire (o riscoprire), nel proprio meccanismo inconscio di incremento lessicale le strategie ottimali di esecuzione e di verifica dell’ILC.
E’ interessante notare che il modo in cui si lavora durante l’ILC rivela diversi stili cognitivi,
che nel nostro caso si manifestano essenzialmente come preferenza per ipotesi di indovinamento fondate sulla forma o sul significato. Una prima spia di questi due diversi atteggiamenti si
può trovare nelle spiegazioni date da due studenti spagnoli del significato di comparata: il primo studente parafrasa il termine con ‘relazionata’ e coglie il suo significato (‘paragonata’) meglio del secondo che, lavorando probabilmente sulla forma (con= ad, par- =simil), propone invece ‘assimilata’.
3. L’ILC: il secondo test
Una possibilità di variazione dell’ILC è di affidare agli apprendenti stessi il compito di individuare le parole su cui esercitare l’abilità di indovinamento. Nel nostro caso si è scelto di adottare questa variante nella seconda delle attività che qui esamineremo, una esercitazione di lettura
in autoapprendimento. Hanno svolto l’attività sei studenti, cinque spagnoli e la studentessa
francese. Data l’informalità della situazione, si può escludere che la scelta sia viziata dal desiderio di mostrare la propria abilità segnalando come sconosciute delle parole note: prenderemo
dunque per buone le scelte operate dagli studenti.
Il brano, che presenta a grandi linee le caratteristiche dell’economia italiana, appare non troppo
difficile dal punto di vista strutturale, ma utilizza molti termini tecnici, alcuni dei quali certamente opachi, che possono presentare difficoltà di comprensione. Il testo non è stato precedentemente letto né analizzato in classe: gli studenti dovevano quindi superare da soli i problemi di
comprensione e segnalare le parole del cui significato non erano sicuri.
Il sistema produttivo italiano
Il sistema produttivo italiano ha costante bisogno di importare grandi quantità di beni (materie
prime; energia: petrolio, gas, elettricità; semilavorati) e deve a sua volta compensare i costi di
approvvigionamento con un flusso almeno equivalente di esportazioni.
Il settore centrale dell'industria italiana è costituito, fin dagli anni Cinquanta, dall'industria
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Va però considerato che lo spagnolo ha un analogo verbo, resultar, che può aver favorito gli ispanofoni
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meccanica, che produce beni di consumo durevoli (automobili, elettrodomestici), impianti per
la produzione (macchine utensili) e, più recentemente, elettronica e «meccatronica»: computers, robot industriali, strumentazionì automatiche. Nell'industria pesante è entrata in crisi la
grande produzione siderurgica di base, gestita da imprese a partecipazione statale nei centri di
Genova, Taranto, Bagnoli; non così la produzione di acciai speciali.
Il settore chimico, dopo la crisi petrolifera del 1973, ha registrato crescenti difficoltà nella chimica primaria o petrolchimica; buono invece lo sviluppo della chimica secondaria e fine (farmaceutici, detersivi, cosmetici, prodotti per la casa). Vi sono infine settori industriali, cosiddetti
leggeri, che richiedono bassi investimenti di capitali e si reggono sul basso costo del lavoro,
nonché sull'elevato valore aggiunto dell'ideazione stilistica: industria tessile, industria delle pelli e del cuoio, sistema industriale della moda.
Il cuore del sistema economico italiano rimane costituito dalla media e grande impresa industriale, che ha dato impulso trainante alla crescita produttiva del dopoguerra. Nel 1951 l'agricoltura forniva ancora oltre il 20% del valore aggiunto complessivo, mentre nel 1988 il suo apporto non raggiungeva il 4%: le industrie occupavano il 55% degli addetti e fornivano quasi il
40% del valore aggiunto. L'apporto dell'industria risulta poi decisivo per le esportazioni, trattandosi di imprese che operano in settori aperti alla concorrenza internazionale.
In base al censimento del 1981 risultavano operanti in Italia 2,8 milioni di imprese: le imprese
con organico fino a due dipendenti erano il 72%; le imprese di tipo artigiano erano il 41,5%.
Ciò conferma un'immagine tradizionale dell'Italia come paese dell'impresa minore e della grande vitalità imprenditoriale: una tendenza che negli anni Ottanta è stata ulteriormente incoraggiata dalla crisi del mercato del lavoro dipendente e dalla vivace propensione, specie nei giovani, ad avviare esperienze di imprenditorialità autonoma, associata, cooperativa.
Va osservato che le imprese minori sono presenti sia nei settori tradizionali (agricoltura, artigianato, commercio, pubblici esercizi) sia nel terziario più moderno (attività che concorrono
allo sviluppo del sistema industriale al quale forniscono servizi di conoscenza, ricerca, finanza,
comunicazione, marketing, elaborazione dati, innovazione tecnologica ecc.).
Ma il quadro complessivo del sistema delle imprese presenta luci e ombre. L'integrazione
dell'economia italiana in quella europea e internazionale ha consentito alle imprese italiane
grandi e medie di entrare in nuovi mercati e di affinare le tecnologie. Ma ha evidenziato al
tempo stesso la dipendenza dall'importazione di prodotti energetici, materie prime e generi
alimentari. Inoltre, osserva l'economista V. Valli: «Rimane la debolezza economica di vaste
zone del Sud e del Centro Italia. Rimane, seppure con connotati diversi, la forte disoccupazione, elevatissima al Sud ed estesa oggi anche a diverse zone del Nord. Essa è particolarmente
grave fra i giovani [ ... ]. Rimane la forte sperequazione dei redditi e della ricchezza fra le famiglie e fra i settori. Rimane, sebbene sia un poco migliorata, l'inadeguatezza della dotazione
di servizi collettivi e della preparazione di base e professionalità della forza lavoro. Rimangono l'iniquità del sistema fiscale e l'inefficienza di gran parte dell'apparato pubblico.
(da D. Rei, Tra società e stato, SEI, Torino, 1991, p.55)
Cominciamo dall’elenco delle parole scelte dagli studenti.
qui tab.n.3
Nella terza colonna viene riportata la frequenza, cioè il numero delle volte che una stessa parola viene scelta, indipendentemente, da uno o più studenti e, nella quarta, la percentuale di successo nell’indovinamento. Se raggruppiamo le stesse parole a seconda del numero delle scelte,
cioè di quante volte sono state indicate indipendentemente dai sei studenti che hanno svolto la
prova, otteniamo i seguenti gruppi:
qui tab. n.4
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Si può ragionevolmente ritenere che, in qualche modo, questa divisione rappresenti, nella percezione degli studenti, una scala di difficoltà delle parole sconosciute. Essa quindi può dirci
qualcosa circa la maggiore o minore facilità (percepita) delle parole sconosciute. Di che tipo di
parole si tratta? Ci sembra di poter affermare che in tutti e tre i gruppi si trovano sia parole del
tutto opache, sia parole più o meno trasparenti morfotatticamente: si veda nel primo gruppo acciai per le parole opache, debolezza per quelle trasparenti, nel secondo gruppo cuoio e incoraggiate, nel terzo forniscono e durevoli. Se una tendenza si può osservare in questi dati è,
come è logico aspettarsi, la maggiore presenza di parole riconoscibili dalla forma, come derivati e composti, nel terzo gruppo, quello delle parole più ‘facili’. E’ probabilmente vero dunque
che la trasparenza formale di una parola è strettamente legata al giudizio di facilità. Ma si può
ipotizzare un legame altrettanto stretto con il successo dell’ILC?
Se guardiamo alle percentuali di successo nell’indovinamento sembra di poter affermare che
esso avviene in entrambi i casi, sia con parole opache che con parole trasparenti: si vedano, nella tabella n.3, le percentuali di successo di parole che vanno considerate opache: acciai, pelli e
beni sono stati sempre correttamente indovinate, indipendentemente dunque dalla loro opacità,
come del resto si era già notato per il primo test.
Che succede poi se la trasparenza morfotattica si accompagna ad un mutamento del significato
di una parola, nel senso che il suo significato complessivo non equivale alla somma dei significati delle sue parti? Paradossalmente in questi casi può avvenire che proprio i soggetti più
esperti di regole morfologiche, come nel nostro caso la studentessa francese, poiché sanno ‘tradurre’ pezzo per pezzo il significato di una parola, incorrano in errori di interpretazione: per
imprenditorialità la studentessa ipotizza infatti il significato ‘fatto di “prendersi in mano’, mostrando di non avere, in questo caso, operato il necessario confronto con il contesto di un significato ricavato solo dalla forma.
Va notato infine, che anche la formalità o rarità di una base possono costituire un ostacolo alla
comprensione e azzerare i vantaggi della trasparenza morfotattica: iniquità, per esempio, viene
interpretato come ‘mancanza’ da uno studente, evidentemente ignaro del significato del raro
iniquo.
Anche l’analisi di questo secondo test, dunque, conferma l’impressione ricavata dal primo, e
cioè che la possibilità di indovinare il significato di una parola sconosciuta non sia affatto ostacolata dalla opacità delle parole, ma che la procedura abbia buone possibilità di successo anche
basandosi solo dallo sfruttamento del contesto.
4. L’ILC come prova finale
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L’ILC può infine essere utilizzato alla fine di un percorso didattico come test di valutazione,
con modalità semioggettiva8. Da questo punto di vista, per gli aspetti psicolinguistici e le capacità attivate esso può essere considerato affine al cloze9 e ad altre prove di accertamento lessicale –per esempio quella utilizzata per la certificazione dell’italiano come L2 di livello avanzato10 che in qualche modo ne costituisce l’inverso: essa consiste infatti nel far seguire a un testo
una serie di domande a risposta chiusa in cui si chiede di rinvenire, all’interno di un determinato numero di righe, una parola il cui significato corrisponde ad significato definito attraverso
dei sinonimi o delle parafrasi.
Questi tipi di test -cloze, ILC e prove di accertamento lessicale del tipo adottato nella certificazione romana- hanno in comune la convinzione che occorre esplorare la competenza lessicale
non attraverso liste di termini, ma attraverso prove che richiedano la contestualizzazione di una
parola o di una espressione, nella consapevolezza che la conoscenza di senso (anche nel caso
che sia previa) deve essere sempre verificata su un testo, nella sua autenticità pragmatica e sociolinguistica.
Sarebbe interessante distinguere analiticamente, in un’ottica psicolinguistica, le operazioni cognitive che contraddistinguono queste prove: di sicuro resta la possibilità di alternarle a seconda dei momenti e degli scopi, tenendo presente che l’ILC, in misura maggiore di altre procedure consimili di sviluppo e accertamento lessicale, è una prova integrata 11. Offre infatti la possibilità di esercitare abilità di scrittura non solo ortografica (come nella riproduzione del termine
in un cloze con suggerimento) o limitata ad una sola parola (come nel cloze senza suggerimento), ma richiede anche di produrre un brevissimo testo espositivo, assimilabile alla definizione
di un vocabolario. Si tratta, inoltre, di un tipico esercizio ‘a stati non finiti’ 12, che può essere risolto in molti modi diversi, attivando così motivazione e potenziale comunicativo.
A tutte queste ragioni di interesse per l’ILC come prova finale, nel caso specifico che stiamo
esaminando se ne aggiunge un’altra, di non poco peso: quella di osservare se, attraverso
l’esercizio, l’abilità di indovinare i significati attraverso il contesto si sia affinata, e se questo
Una valutazione ‘oggettiva’ dell’ILC trascurerebbe infatti la distinzione – secondo noi necessaria – tra
significato vero e significato possibile sulla base del contesto.
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Per cui si veda Marello (1989).
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Per un’illustrazione della procedura e per esempi di test si vedano D’Addio (1990) e (1991), Ambroso
(1996).
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Dal punto di vista delle abilità, l’ILC infatti mette in gioco abilità ricettive e produttive, che ne fanno
un piccolo esempio di ‘compito’ nel senso di Pozzo (2000), ossia di attività autentica, che riproduce situazioni che sono proprie della vita reale e che implica l’uso di una serie complessa di conoscenze e abilità.
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Per la distinzione tra didattiche a stati finiti e non finiti, centrale in un’educazione linguistica che si
voglia fondare sullo sviluppo del potenziale comunicativo piuttosto che sulle regole di una lingua, si veda Simone (1976).
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miglioramento abbia lasciato qualche traccia anche nelle modalità di ‘restituzione’ del significato attraverso le definizioni.
Il testo della prova finale su cui effettuare l’ILC è stato il seguente. Le parole da indovinare sono in corsivo:
Ma chi deve fermare le stragi della notte?
Adesso la colpa degli incidenti d’auto e della strage del sabato sera, come la chiamano i giornali,
sarebbe delle discoteche. Basterebbe anticipare l’ora di chiusura o vietare la vendita dei superalcolici in quei locali per evitare gran parte dei mortali incidenti che si verificano appunto sulle strade
soprattutto nella notte tra il sabato e la domenica.
Intanto voglio dire una cosa che mi risulta per conoscenza diretta: di superalcolici nelle discoteche
se ne bevono assai pochi. In molte sono proibiti; ma comunque i giovani ne bevono assai pochi,
perché non hanno soldi a sufficienza e perché quel tipo di bevande non rientrano nelle loro abitudini.
In discoteca si va per stare insieme, per ballare, per fare all’amore. Proprio così: anche per fare
all’amore.
Certo, alla fine d’una serata rumorosa e intensa in tutti i sensi, si è un po’ storditi. Spesso
s’intrecciano rivalità, ripicche, desiderio di brillare di fronte agli altri rivali, dimostrando la propria abilità e coraggio. Insomma si gareggia. E qualche volta si finisce col rimetterci anche la vita,
per eccesso di fiducia in se stessi e per “spacconata”. Ma come si può rimediare a tutto questo?
Vietando le discoteche? Impensabile. Vietando la vendita di alcolici? Inutile, per le ragioni che ho
già detto. Anticipando l’ora di chiusura? Anche questo è un provvedimento di pochissimo effetto.
Se si anticipa dalle due a mezzanotte il solo risultato sarebbe che gli eventuali incidenti avverrebbero una o due ore prima, ma avverrebbero ugualmente.
La vera e sola prevenzione sarebbe quella di far rispettare i limiti di velocità e le cinture di sicurezza, cioè di far intervenire in modo efficiente e sistematico la polizia della strada.
Questo è il modo, semplice e probabilmente efficace; ma le autorità di tutto si preoccupano fuorché di questo. Sulla velocità stradale c’è stato un dibattito durato per mesi e poi tutto è caduto nel
dimenticatoio, come avviene sempre in Italia. Oggi le auto sfrecciano a 150, 180 e anche 200
all’ora senza che ci sia un poliziotto che muova un dito, per il semplice fatto che il poliziotto non
c’è. Delle cinture non parliamone neppure: credo che se si facesse un’indagine statistica si scoprirebbe che non più del 20 per cento di chi viaggia in macchina le usa, e sono ottimista.
Alberto Minunni (Faenza)
(da Il Venerdì di Repubblica.13.4.90)
La percentuale media di successo dell’ILC per questo test è altissima: oscilla infatti dal 92% al
100%, a seconda che si considerino accettabili parzialmente (attribuendo metà del punteggio)
o per intero le definizioni di strage, parola che tutti gli studenti che hanno sostenuto la prova
mostrano evidentemente di non conoscere.
Ma più importante forse di queste percentuali è la disinvoltura con cui gli studenti appaiono
muoversi nel compito, come testimonia il ricorrere di parafrasi epistemiche e di tipo attenuativo
come credo che sia una parola similare a, specie di, è come, è simile a, molto frequenti nelle
definizioni.
Colpisce anche il numero delle parole usate (un fatto sicuramente positivo, dal nostro punto di
vista). Se lo studente tedesco (il più competente in italiano del gruppo) usa definizioni ‘lessico10
grafiche’, senza alcuno slittamento categoriale, gli altri sembrano gareggiare nel produrre definizioni sempre più lunghe, che impiegano tutti i mezzi linguistici posseduti:
intensa
qui significa piena di emozioni, vivita (vissuta) al massimo
storditi
fuori di sé, si fanno cose che non si farebbero in un altro stato
spacconata
è simile a eccesso di fiducia in se stessi, lo che (sic) può finire con la vita di
qualche ragazzo
(significa) che alla fine un successo (evento) che è stato importante in un momento
determinato, dopo un (qualche) tempo si è dimenticato, è un posto immaginario
nel quale finiscono tutte le cose che dopo un (qualche) tempo si dimenticano13
dimenticatoio
Questo incremento del numero delle parole usate nelle definizioni, che si è potuto calcolare solo
per i quattro studenti (tutti spagnoli, i più diligenti del corso) che hanno svolto tutte e tre le attività,
si può apprezzare nel grafico seguente:
per il proto: inserire qui grafico
Un ultimo punto: che cosa può dirci quest’ultimo test sulla maggiore o minore facilità di indovinamento delle parole trasparenti? Quattro delle sette parole che erano state prescelte sono derivate, s’intrecciano, spacconata, prevenzione, dimenticatoio, ma non tutte, probabilmente, sono indovinabili sulla base della forma per uno straniero. Le definizioni di s’intrecciano, per
esempio, non sembrano recare traccia della parentela del verbo con treccia, e anche per spacconata le definizioni sembrano nascere più da un’analisi del contesto che da una segmentazione
della complessa struttura della parola. Per strage, intensa e storditi, che vanno considerate parole opache, vale quello che è già stato detto sopra, per le altre parole dello stesso tipo: il significato ipotizzato si avvicina a quello ‘vero’ tanto più quanto più accuratamente si è sfruttato il
contesto, ma anche quanto più il contesto è ricco di informazioni che permettono di ‘centrare’ il
significato voluto14.
5. Conclusioni
Quali conclusioni è possibile trarre da questa esperienza? Come si è detto in apertura, non è facile azzardare delle affermazioni generali su un numero così ristretto di casi, anche a causa
della disomogeneità del campione e dell’articolazione delle prove. Solo la seconda prova, ad
esempio, permette di fare qualche ipotesi sulla percezione di facilità delle parole italiane da
parte di uno straniero, ma per poter valutare il peso effettivo della trasparenza formale delle
13
Nelle definizioni riportate sopra il corsivo è di chi scrive.
14
Nel caso di strage, per esempio, il contesto non era univoco: incidenti e strage erano accostati come due
diverse entità, e l’incapsulatore anaforico successivo -D’Addio (1988)- incidenti mortali, poteva essere interpretato come riferito anche solo al primo dei due.
11
parole sulla comprensione, la facilità percepita andrebbe confrontata, in misura molto maggiore
di quanto abbiamo potuto fare noi, con il successo dell’ILC.
Si può però affermare con una certa sicurezza, sulla base dei nostri dati, che se ci si abitua a interrogare il contesto, questo permette di raggiungere un significato accettabile ai fini della
comprensione anche per parole opache e, probabilmente (ma anche questo necessita di ulteriori
verifiche) consente di evitare errori di interpretazione di parole trasparenti che abbiano subito
degli slittamenti semantici..
Dal punto di vista didattico ci sembra invece di poter sostenere che la procedura dell’ILC, facendosi gradualmente esperta degli ostacoli che può incontrare, è in grado di crescere su se
stessa e rende più sicuri delle proprie capacità di comprensione: ciò vale in particolare per il testo scritto, in cui è più facile verificare sul (con)testo le proprie ipotesi di significato.
12
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13
tab. n.1
r.
risposte
corrette
3
comparata
80%
10
densità
80%
20
intercorticali
100%
22
risulta
100%
23
evolute
100%
24
insettivoro
100%
28
stellate
80%
29
associazione
100%
31
strategiche
80%
31
preposte
20%
35
zeppa
60%
36
100%
37
anomale (forse confuso
con anormali?)
dismisura
38
labbro-nasali
100%
80%
tab. n.2
proposta individuale
proposta di gruppo
risulta
‘sarà’
‘si mostra’
strategiche
‘concrette’
‘importanti’
preposte
zeppa
‘appartenevano’
‘regioni’
‘sirvono’
‘dovuta’
‘che servono’
‘destinate’
‘controllano’
‘piena’
dismisura
‘incontrollo’
‘sproporzione, fuori di misura’
Tab.n.3
r.
2
2
3
4
costante
beni
semilavorati
flusso
frequenza
(su 6 st.)
1
1
1
2
successo
100%
100%
100%
0
14
6
6
7
9
10
13
13
14
15
16
16
18
18
19
20
20
22
24
25
28
29
30
31
33
37
39
40
42
42
43
45
durevoli
impianti
meccatronica
statale
acciai
detersivi
infine
cosiddetti
aggiunto
pelli
cuoio
trainante
forniva
complessivo
raggiungeva
addetti
concorrenza
censimento
artigiano
incoraggiata
propensione
imprenditorialità
artigianato
forniscono
affinare
debolezza
seppure
sperequazione
redditi
sebbene
iniquità
1
1
1
1
6
2
1
1
4
3
2
2
2
1
2
2
1
4
1
2
2
2
1
1
1
3
3
1
1
1
1
100%
0
100%
0
100%
100%
100%
100%
75%
100%
100%
100%
50%
100%
100%
0
100%
100%
100%
50%
100%
0
100%
100%
100%
100%
0
100%
100%
100%
0
Tab. n. 4
da sei a tre volte
due volte
una volta
acciai
aggiunto
censimento
pelli
debolezza
Seppure
flusso
detersivi
cuoio
trainante
forniva
raggiungeva
addetti
incoraggiata
propensione
imprenditorialità
costante
beni
semilavorati
durevoli
impianti
meccatronica
statale
infine
cosiddetti
complessivo
concorrenza
artigiano
artigianato
15
forniscono
affinare
sperequazione
redditi
sebbene
iniquità
18,00
16,00
14,00
12,00
10,00
8,00
6,00
4,00
2,00
0,00
1° test
2° test
1 (sp.)
2 (sp.)
3° test
3 (sp.)
4 (sp.)
16
Rosaria Solarino, città Giardino 29, 70016 Noicattaro (Bari) tel. 080 5430904 cell.3201710541
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