Nel capannone a 40 gradi a mani nude nella monnezza

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Nel capannone a 40 gradi a mani nude nella monnezza
Tonino Bucci
In vendita
la pillola
abortiva
on-line
Viale:
«Buona idea,
pochi rischi»
L’irresistibile
ascesa politica
degli islamisti
in Indonesia
Youtube,
l’esibizionismo
nuova
frontiera
dei razzisti
a pagina 7
Quotidiano
del Partito
della Rifondazione
Comunista
www.liberazione.it
9
a pagina 12
€ 1.00
sabato 12 luglio 2008
Anno XVIII n° 165
771127 308003
Matteo Alviti
80712
Laura Eduati
a pagina 5
giornale comunista
“
“
L’autorità
Vincereavvelena
e
chiunque
l’assume
molto peglio
su se stesso
che dibib
oi artecip
(Vladimir Ilic Lenin)
Processiamo
il clandestino
Tutti d’accordo
Stefano Bocconetti
E’ il metodo che un giornalista non dovrebbe usare mai, quello che fa inorridire le scuole che insegnano questo lavoro. Ma una volta, una volta sola, si può
usare. E cominciare a parlare di una notizia dai commenti. Dai tanti commenti arrivati ieri dopo l’approvazione della
norma che tutti chiamano blocca-processi. Ghedini, l’avvocato del premier e firmatario degli emendamenti che
hanno modificato il testo originario - è
esterrefatto: «Ma come? Abbiamo accolto tutto ciò che chiedeva il piddì. Perché ora non lo votano?». Chiamato in
causa, il piddì replica con qualche imbarazzo: sì, la norma è migliorata. Ma in
realtà tutta l’operazione giustizia serviva
solo a salvare Berlusconi dai suoi guai.
Per cui, lo stesso votiamo no. E poi ancora, l’associazione dei magistrati: che
applaude al fatto che venga ristabilito un
ruolo per i giudici, saluta alcuni passi in
avanti ma dice che non tutto è risolto.
Tanti commenti, allora. Ma sembra che
tutti si tengano rigorosamente lontani
dal «centro» della notizia. Perché ieri le
destre - dopo essersi votati il lodo Alfano, che garantisce l’immunità al premier
- hanno deciso di lasciar perdere il grosso della legge blocca processi. Non c’è
più l’obbligo per le Procure di «mettere
da parte» migliaia di processi e occuparsi solo di quelli che prevedono dieci anni di carcere. Ora, invece, saranno i giudici a decidere cosa sia urgente e cosa
no. Fatto salvo, però, che il governo
fornisce loro alcune indicazioni. Vincolanti: dovranno occuparsi soprattutto di reati di terrorismo, mafia,
omicidi. E dovranno occuparsi - così
è scritto - di udienze che riguardano le
espulsioni dei migranti clandestini.
Reato - fino a che non passa il progetto di Bossi - che resta solo di carattere
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«amministrativo».
Padova: in un impianto per il riciclo si rompe una macchina e i padroni costringono 30 operaie
del Marocco a lavorare come schiave a cinque euro l’ora. Loro si ribellano e occupano la fabbrica
Nel capannone a 40 gradi
a mani nude nella monnezza
Davide Varì
Si può lavorare 10 ore di seguito, chinati per terra a spalare “monnezza” dentro un capannone caldo e asfissiante
per 5 euro l’ora? Sì, in Italia si può. Bastano un paio di requisiti: essere donna
ed essere migrante. E la sorte di 30 lavoratrici marocchine - ma forse sarebbe
più appropriato chiamarle schiave - era
proprio quella.
Dopo l’incendio della primavera scorsa, l’impianto padovano “Star Recycling” di smaltimento e differenziazione rifiuti era infatti rientrato in funzione senza il nastro trasportatore ed altri
macchinari fondamentali al ciclo di lavoro. Da un mese circa tutto si faceva
dunque a mano. Con le mani di queste
donne per la precisione. Con le loro
braccia e il loro sudore. Il camion dei rifiuti arrivava, si infilava nel capannone
e buttava tutto a terra: stracci, bottiglie
e avanzi di ogni genere. E loro lì, con le
mani affondate nella monnezza, sedute sulle ginocchia a separare i rifuti.
Ma ieri, esauste ed esasperate, le 30
donne hanno deciso di occupare quel
capannone e incrociare le braccia. Poi
hanno chiamato il sindacato e l’ispettorato del lavoro per denunciare tutto:
«Abbiamo bisogno qualcuno che ci
aiuti, ci salvi», racconta a Liberazione
una di loro. «Questo non è lavoro continua la donna che non vuole si faccia il suo nome per paura del «padrone»
- questo è un inferno, è una cosa disumana, un lavoro da bestie. Non possiamo andare in bagno e non facciamo
pause. C’è una signora italiana che ci
controlla tutto il giorno».
Il banchetto
di nozze
afgano
> Kabul smentisce l’esercito Usa: erano tutti civili i 47 uccisi dalle bombe lo scorso 6 luglio
a pagina
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Il congresso del Prc. Interviene il primo firmatario della mozione 1
La lettera inviata dal presidente francese a Berlusconi sul caso della ex-Br
Siamo d’accordo con Nichi Vendola
torniamo a fare politica ed opposizione
«Caro Silvio, la Francia vi chiede
la grazia per Marina Petrella»
Maurizio Acerbo*
Sono d’accordo con Nichi Vendola. Abbiamo il
dovere, tutti e tutte, di “ritrovare il filo rosso della
buona politica”, di evitare che una “dinamica fatale” ci spinga verso la dissoluzione. Per questo avevo proposto con gli altri compagni e compagne
della mozione 1 di optare per un congresso a tesi,
in modo da gestire le differenze di prospettiva all’interno di un quadro unitario, evitando la degenerazione in una conta che in alcune aree del paese ha assunto contorni estranei alla tradizione politica della sinistra. Per la stessa ragione abbiamo
proposto sin dall’inizio che dal congresso scaturisse comunque una gestione unitaria, coinvolgendo
tutte le mozioni, superando l’esclusione delle mi-
noranze che ha caratterizzato – negativamente - la
gestione del partito negli ultimi anni. Sempre nella logica di mantenere il congresso in un ambito di
confronto tra posizioni politiche abbiamo considerato estremamente sbagliata la candidatura preventiva a segretario di Nichi. Una scelta che ha deformato il congresso mettendo in secondo piano
le questioni politiche e accentuato gli elementi di
personalizzazione deleteria consentendo anche
nella narrazione da parte dei media una banalizzazione della ricchezza di posizioni e culture che vivono dentro Rifondazione. La suggestione plebiscitaria non è solo estranea alla nostra idea della politica, ma è anche pericolosa perché sostituisce lo
scontro sulle persone (che diventano simboli) alla
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dialettica tra le idee.
Nicolas Sarkozy
Signor Presidente del Consiglio,
determinata a conformarsi alla Convenzione
europea sulle estradizioni che lega
i nostri due paesi, la Francia ha deciso di
dare seguito alla richiesta di estradizione
avanzata dalla giustizia italiana relativa alla
Signora Marina Petrella, condannata dalla
corte d’assise d’appello di Roma il 6 marzo
1992 alla pena della reclusione all’ergastolo
per sequestro, omicidio, tentato omicidio,
furto, ricettazione a attentato con finalità di
terrorismo.
Di conseguenza il Primo Ministro ha
firmato il 3 giugno 2008 il decreto di
estradizione necessario.
Se il ricorso depositato davanti al Consiglio
di Stato dovesse essere rigettato, la Signora
Petrella sarà consegnata alle autorità
giudiziarie italiane competenti, come
prevede la legge, per l’esecuzione della pena.
Tuttavia il caso della Signora Petrella è
molto particolare. Per questo motivo, dopo
il nostro incontro durante il vertice del G8 a
Toyako, vorrei richiamare nuovamente la
sua attenzione sulla situazione
dell’interessata.
La Signora Petrella è in effetti in Francia dal
1993. Vi ha fondato una famiglia e non ha
mai violato le nostre leggi.
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