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Provincia Mediterránea de los Misioneros OMI
Provincia Mediterranea dei Missionari OMI
Province Méditerranée des Missionnaires OMI
Via Tuscolana 73 - 00044 FRASCATI - RM
Tel.: 06/940.83.77 – cell. 335.6159414 Fax: 06/940.80.17
Superior provincial: E-Mail: [email protected];
Asia: il futuro del cristianesimo si gioca qui!
Incontro con gli Oblati italiani missionari in
Thailandia, Indonesia, Corea del Sud e Cina
 Aeroporto di Jakarta, Indonesia, 22 dicembre 2014
La visita ai Confratelli oblati
italiani della Thailandia è iniziata
il 17 dicembre scorso con il volo
Roma-Fiumicino-Doha (Qatar)
e da qui decollo per Bangkok,
dove ad attenderci c’era padre
Domenico Rodighiero. E’ lui ad
introdurci nel mondo oblato della
Thailandia e a raccontarci
qualcosa della Chiesa cattolica e
del cristianesimo in questo paese.
Gli Oblati della Thailandia costituiscono una Delegazione della Provincia delle Filippine.
16 i membri: 7 thailandesi, 4 filippini, un laotiano, un francese e i nostri tre italiani: p. Claudio
Bertuccio, p. Domenico Rodighiero e p. Paolo Miceli. A Sampran, vicino a Bangkok, c’è la
casa del giuniorato con 17 ragazzi tra i 12 e i 18 anni e il prenoviziato con 4 giovani. Il centro
amministrativo della Delegazione è a Rangsit a pochi chilometri dalla capitale. Più in
generale, i cattolici in Thailandia sono circa 300.000 su una popolazione che oramai sfiora i
70milioni. Comunque, pur essendo una piccola minoranza, in un contesto religioso segnato
dal buddismo, la Chiesa cattolica gode di una posizione di grande considerazione nella
società. La presenza oblata prese consistenza con l’arrivo di alcuni oblati francesi, dopo
l’espulsione dal Laos dei missionari stranieri nell’estate del ’75, soprattutto nel Nord,
confinante con il Laos, dove trovavano rifugio le popolazioni laotiane perseguitate dal regime
comunista. Il primo italiano ad essere membro della Delegazione è stato padre Paolo Miceli
nel 1992, poi, due anni dopo, vi è giunto padre Claudio Bertuccio e, nel gennaio 2000, padre
Domenico Rodighiero.
Partiamo proprio da lui per annotare qualcosa della vita dei Nostri.
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Padre Domenico Rodighiero, vicentino, 50enne, ordinato sacerdote
nel 1997, dopo tre anni di ministero svolto in Italia nella comunità di
Santa Maria a Vico, è approdato in Thailandia.
Fino al 2003 ha lavorato presso la parrocchia di St. Michael, nella zona
di Bangkok chiamata Saphan Mai, nata negli anni sessanta. Da tre anni
è nuovamente a St. Michael nella veste di parroco, dopo alcuni anni
trascorsi come responsabile del prenoviziato nella comunità di
Sampran.
Qui, a St. Michael, i cattolici sono circa 650 su una popolazione del
territorio parrocchiale che si aggira intorno alle 500.000 unità. Nel 2013, l’anagrafe della
parrocchia presentava questi dati: 19 battesimi di bambini e 5 di adulti, 10 funerali e 9
matrimoni di cui 8 celebrati con rito misto. Padre Domenico e p. Juin (oblato thailandese,
vicario parrocchiale di St. Michael) si occupano della cura pastorale di alcune minoranze
etniche presenti nel paese, soprattutto di quella pakistana, srylankese e irakena. Con lui, il 19
dicembre, celebriamo in lingua curda l’eucarestia dil Natale: una cinquantina di persone,
soprattutto famiglie giovani con tanti bambini, vivacizzano la preghiera, marcata da canti
prolungati con melodie commoventi. Facciamo anche l’esperienza, per due sere di fila, della
“preghiera di Natale”, dove, a mo’ di un centro di ascolto, un gruppo di famiglie cristiane
della stessa zona si ritrovano presso
un’abitazione privata per condividere la festa del
Natale con canti tradizionali e alcune brevi
preghiere per poi condividere un pasto
comunitario.
Parlando della missione in terra
thailandese, padre Rodighiero sottolinea “la
necessità di lavorare per costruire la comunità
ecclesiale, vista la cultura individualista
dominante nella società, anche dovuta alla
spiritualità buddista che mette l’accento sulla
dimensione interiore della persona. Si tratta di vivere con la gente, di incontrare le famiglie,
di creare rapporti, di far crescere il senso di appartenenza dei diversi gruppi alla comunità
ecclesiale. In questa parrocchia ci sono i Legionari di Maria , i Cursillos de Cristianidad, il
gruppo dei giovani, della liturgia, la San Vincenzo che si occupa dei poveri, lavorando
soprattutto con gli immigrati e i rifugiati: realtà con la loro specifica identità, ma non sempre
capaci di percepirsi come parte di un’unica famiglia, di sentirsi parte del corpo ecclesiale
che ha diversi carismi. Essere missionari in Thailandia significa dare testimonianza con la
coerenza della vita e l’apostolato della carità evangelica, in un contesto prevalentemente
buddista che da più di due millenni forma la coscienza religiosa e spirituale di questo grande
popolo. Come Oblati, si tratta di vivere l’esperienza della comunità e l’amore per i poveri
nella tensione per l’evangelizzazione per fare emergere la “differenza cristiana””.
Da Bangkok, nei giorni 20 e 21 dicembre, ci spostiamo al Nord per incontrare padre
Paolo Miceli. E’ lui ad accoglierci all’aeroporto di Loei, cittadina di circa 200.000 abitanti.
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Padre Paolo Miceli è nato nel1944 in provincia di Lecce. Sacerdote
nel 1969, è stato missionario in Laos. Successivamente ha svolto il suo
ministero in Italia, fino al 1992, quando ha ricevuto l’obbedienza per la
Thailandia. Per sei anni ha lavorato nella parrocchia di St. Michael in
Bangkok, poi a Loei nella parrocchia di Cristo Re dal ’98 al 2003. Dopo
una breve parentesi come cappellano a Lourdes (2004 – 2006), dal 2007
al 2010, è stato tra le montagne di Thap Beuk, parroco della “Parrocchia
Sacra Famiglia” a Man Khao della comunità cristiana di Na Sa Ung
(attualmente parrocchia di Sant’Antonio). Nel 2010 è stato nominato
parroco della parrocchia di “Gesù Buon Pastore” a Lomsack nel Nord del paese, nel distretto
oblato di Loei-Lomsack, dove si trova tuttora, essendo, dal maggio di quest’anno, ritornato
come parroco della parrocchia di “Cristo Re” a Loei.
Nel Distretto svolgono il loro ministero anche p. Paolo Prasong Wibunsing, omi, superiore
del Distretto e parroco della parrocchia di “San Raffaele Arcangelo” in Tha Bom, e p. Ben
Catanus, omi, filippino, parroco di “Santa Maria della Visitazione” a Chiang Khan. Le
comunità cristiane del distretto (corrispondente al territorio della Provincia di Loei), cui va
aggiunto il villaggio di Man Khao, dove si trova la parrocchia della “Sacra Famiglia” con
parroco p. Tommaso Thotsaphon, omi, contano circa 1500 cristiani su una popolazione di
circa 600.000 abitanti. Con p. Miceli è stato importante condividere alcuni momenti del suo
ministero parrocchiale, ma soprattutto, anche per l’emozione che ci ha fatto vivere,
raggiungere la località di Phu Khol Nghiu, al confine con il Laos, evidenziato dal grande
fiume Mekhong, potendo così contemplare il paese, quasi toccarne il suolo, scrutando con
occhi commossi la regione di Sayaburi,dove hanno svolto la missione i nostri Oblati del
Vicariato apostolico di Luang-Prabang.
Ci dice padre Paolo: “Potrei riassumere brevemente in tre
direzioni i campi di azione che hanno caratterizzato il mio
servizio missionario in questa ventina di anni di Thailandia.
Oltre al servizio pastorale, liturgico, catechetico di ogni
parrocchia, la missione era rivolta verso i giovani (molto
vivace e numeroso il gruppo a Saphan Mai, il primo periodo
di Loei e Mankhao). L'altro tentativo è stato quello di tentare
la via dell'ecumenismo con le varie comunità protestanti,
soprattutto a Loei, Man Khao e Lomsack. Terzo aspetto: la
vicinanza agli ultimi e ai più poveri (lo Slum lungo il canale
dietro la parrocchia di Saphan Mai, gli anziani e malati di
Huay Sawing, i giovani di Na Luang). Mi ha sempre animato
il desiderio di far sentire che la parrocchia è la fontana del
villaggio, come diceva San Giovanni XXIII, dove tutti
possono e devono sentirsi a proprio agio. Nel momento presente, in questi sei mesi a Cristo
Re, sto cercando di riorientarmi in una comunità cristiano molto diversa da quella lasciata
undici anni fa (non per le persone, ma per lo stile e spirito). Anche socialmente è molto
cambiata: non c'è più il clima della provincia, più emarginata di tutta la Thailandia, di una
dozzina di anni fa, ma una società più vicina alla modernità e, forse, meno sensibile ai valori
religiosi”.
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Lasciamo la Thailandia, pensando a padre Claudio Bertuccio che, dopo alcuni mesi
passati in Italia, offrendo il suo prezioso servizio pastorale presso la comunità di Maddaloni,
riprenderà il suo apostolato nella Delegazione ai primi di gennaio per continuare il suo intenso
ministero, iniziato nel 1993 e che lo ha visto superiore della Delegazione dal 2007 al 2013.
Intanto, siamo fieri di saperlo Commissario per la preparazione del prossimo Capitolo
Generale nel 2016, certi che farà ogni cosa con la passione e la determinazione che lo
caratterizzano.
 Aeroporto di Balikpapan, 27 dicembre 2014
Il 22 dicembre, abbiamo lasciato Bangkok alla volta dell’Indonesia. Dopo il primo
scalo nella capitale Jakarta nell’isola di Giava, abbiamo raggiunto il Kalimantan (la parte
indonesiana del Borneo; la parte Nord dell’isola appartiene alla Malesia) con destinazione la
città di Balikpapan (circa 600.000 abitanti), dove abbiamo incontrato i padri Rebussi e
Bertolini nella nuova e accogliente casa della comunità oblata, situata nella parrocchia di San
Pietro e Paolo, accanto alla Chiesa recentemente costruita. Nelle primissime ore di martedì,
23 dicembre, p. Adriano è partito in aereo alla volta di Malinau (più a Nord, oltre la città di
Tarakan, a circa 500 chilometri da Balikpapan) per incontrare p. Natalino Belingheri che da
trent’anni lì svolge il suo apostolato.
Gli Oblati sono giunti nel Kalimantan Orientale nell’aprile del 1977 in numero di sette,
tutti provenienti dalla missione laotiana - oltre ai padri Rebussi e Belingheri, p. Mario Bertoli
(1940 – 2000, primo provinciale della Provincia d’Indonesia nel 1994); Piero Bonometti
(1935 – 2010), p. Pancrazio Di Grazia (1930 – 2011), p. Antonio Bocchi (1940 – 2012), p.
Angelo Albini (1935, lasciò la Missione tre anni dopo) -. Nel ’78 si è aggiunto p. Carlo
Bertolini e, nel 1981, padre Dino Tessari, oggi in Italia, membro della comunità di Bologna.
Al momento dell’arrivo degli italiani, che costituirono fin da subito la Delegazione di
Samarinda nel Kalimantan Orientale, in Indonesia vi erano già alcuni Oblati francesi nel
Kalimantan Occidentale e australiani in Giava. Nel 1994 le tre Delegazioni si sono unite per
formare l’attuale Provincia d’Indonesia che attualmente ha 29 membri, dei quali, oltre ai
nostri tre italiani, altri tre dell’Australia e un francese. Nove sono gli scolastici a voti
temporanei.
Conosciamo da vicino i nostri Confratelli oblati italiani.
Padre Giuseppe Rebussi, bergamasco, classe 1940, dopo
l’ordinazione sacerdotale nel 1966, ha ricevuto l’obbedienza per la
missione del Laos. Dopo l’espulsione dei missionari dal paese nel
1975, è stato tra i promotori dell’iniziativa di non lasciare l’Asia e di
inserirsi nella missione oblata della Thailandia, dove si stavano
inserendo gli Oblati francesi provenienti dal Laos. Non andando in
porto questa iniziativa, nel 1977, insieme a padre Mario Bertoli,
accolse la proposta del provinciale italiano, padre Remigio Salzillo,
di visitare la diocesi di Samarinda in Indonesia (allora inglobava
anche il Vicariato di Tarakan, oggi diocesi a sé), a seguito della
richiesta del vescovo della stessa di avere dei missionari.
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Padre Rebussi è stato il primo superiore della Delegazione (1977 – ’83), svolgendo in pari
tempo il ministero di Vicario episcopale del Vicariato di Tarakan e di parroco dell’immensa
parrocchia Maria Immacolata nella medesima città. Nel 1983 è a Malinau, sempre impegnato
nella pastorale parrocchiale, comprendente una decina di Stazioni Missionarie, che con il
tempo diventarono più di venti, dando vita successivamente a ben quattro parrocchie.
Dal 1995, è a Balikpapan, dove, all’inizio, ha svolto il ruolo di superiore della comunità e di
parroco della Parrocchia San Pietro e Paolo. Attualmente è responsabile di una delle due
stazioni missionarie della parrocchia, quella del “Km 15” intitolata a San Giuseppe con circa
mille fedeli (il totale dei cattolici della parrocchia è di poco superiore alle 4.000 unità su una
popolazione di circa 200.000 abitanti). Qui ha da poco terminato di costruire la grande chiesa,
capace di 600 posti a sedere, pronta, come dice p. Rebussi, ad essere presto parrocchia. La
stazione missionaria, che ha la sua autonomia amministrativa e pastorale rispetto alla
parrocchia, anche se rimane da quest’ultima canonicamente dipendente, è costituita da sette
comunità di base, ognuna formata da alcune decine di famiglie, dalle trenta alle cinquanta,
con attività di catechesi, liturgia e servizi socio-caritativi.
Dice padre Rebussi: “La missione oblata, in questi
quarant’anni di intensa attività pastorale, ha
saputo sviluppare molti centri missionari, che, nel
tempo, si sono evoluti in centri parrocchiali ben
organizzati, alcuni poi ceduti al clero diocesano,
con una significativa presenza di laici impegnati
nell’evangelizzazione, che hanno dato vita alla
nuova diocesi di Tanjung Selor. E’ necessario che
le comunità di base, che costituiscono la realtà
delle “stazioni missionarie”, salvaguardino un
atteggiamento
pastorale aperto, che sa
“guardare oltre” il proprio orticello, per non correre il rischio di chiudersi, di diventare
realtà ecclesiali troppo istituzionalizzate, con attività standard tipiche delle parrocchie
cittadine, ripiegate sulla loro vita interna, attente a chi già c’è, ma poco interessate a coloro
che stanno fuori e che potrebbero ricevere l’annuncio cristiano. Insomma, dopo gli anni dello
slancio, si corre il rischio di diventare una chiesa sedentaria, ripiegata sugli allori, anche
influente dal punto di vista ecclesiale, ma povera di spirito missionario”.
Padre Carlo Bertolini vive nella comunità di Balikpapan con padre
Rebussi e altri due padri oblati indonesiani. Ha 77 anni, essendo nato
nel 1937 a Domodossola (Verbania). Sacerdote dal 1963, p. Carlo ha
svolto per quindici anni il ministero in Italia nelle comunità di Aosta,
Patti, Mazara del Vallo, Roma-Prefetti e Palermo. Nel ’78 ha
raggiunto l’Indonesia, approdando proprio a Balikpapan, ma subito
impegnato nella difficile missione di Penajan-Tanah Grogot,
dall’altra parte del golfo dove è adagiata Balikpapan, disposta lungo
150 chilometri di strada. Nel 1983 è diventato parroco della
parrocchia di Maria Immacolata a Tarakan, succedendo a padre
Rebussi, con una decina di stazioni missionarie che servivano una ventina di comunità
cristiane. Dall’89 al ’93 è parroco a Berau, a Sud di Tarakan, territorio vasto quanto la
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provincia amministrativa, con molte “stazioni” da animare pastoralmente. Seguono due anni
a Balikpapan; poi, per quindici anni, è a Tidung Pala come primo parroco di questo esteso
territorio tra Tarakan e Malinau. Dal 2010 è per la terza volta a Balikpapan, dove lavora presso
la Parrocchia di San Pietro e Paolo e come responsabile della “Stazione Km 45, Vieni Spirito
Santo”, dove si reca ogni fine settimana per le attività apostoliche e le celebrazioni
domenicali. Uomo dal tratto spirituale, p. Bertolini ci tiene a dire che “la missione altro non
è che la continuazione della presenza di Gesù in mezzo all’umanità, che si trova, cosciente o
no, in una situazione di attesa. Missione è lavorare per il Regno, sapendo che questo è più
grande di noi, appartiene all’intelligenza di Dio e al suo progetto d’amore sull’umanità. La
missione che noi svolgiamo non può che essere condotta in un orizzonte di umiltà e di fiducia
nella provvidenza divina”.
Padre Natalino Belingheri, nato nel 1943, bergamasco come p.
Giuseppe, è diventato prete nel ’69 e nello stesso anno ha raggiunto la
missione del Laos. Nel ’77 ha iniziato la sua avventura indonesiana:
prima è stato per sei anni a Mara Satu, zona di Kajan nel Nord del
Kalimantan, svolgendo il ministero di prima evangelizzazione in diversi
villaggi. Nel 1984 è a Malinau con p. Rebussi e, nel 1988, diventa
parroco a Palau Sapi, nella zona superiore del fiume Malinau, svolgendo
a tutt’oggi il suo ministero in tanti villaggi che raggiunge in molti casi
con la piroga.
“Per me - dice padre
Belingheri -, la missione si compie stando
con la gente, entrando in contatto con i loro
costumi, i loro modi di pensare la vita e il
mondo. La missione è annuncio della buona
notizia a partire dallo sforzo del
missionario di inculturarsi, di stimare la
storia e i luoghi del popolo che serve,
cogliendo i semi del Verbo già presenti e
proponendo altri semi di verità per
contribuire alla crescita umana, religiosa
della gente nella logica evangelica. Questo
lo noto proprio stando a contatto con la mia
gente: mi piace chiacchierare con gli anziani del villaggio, cogliere la loro sapienza e poi
scoprire che questa è premessa per accogliere quella del Vangelo, che nulla toglie alla
ricchezza originaria, ma fa crescere le persone nella verità”.
Pochi i giorni trascorsi in Indonesia, ma che ci hanno permesso di intuire il grande
sforzo di evangelizzazione realizzato dai nostri Confratelli. Guardiamo a loro con
ammirazione, anche constatando che, nonostante qualche acciacco legato all’età, continuano
a spendersi per la Chiesa e il Vangelo, in un paese dove i cattolici sono circa dieci milioni su
una popolazione di oltre 240milioni.
Come i tre Magi, continuano a scrutare la grande stella, Cristo Signore, e a seguirla.
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Comunità oblata in Seoul, mercoledì, 31 dicembre 2014
Stiamo per lasciare la Corea. Qui, abbiamo trascorso quattro giorni, gli ultimi di questo
anno 2014 che affidiamo alla paternità di Dio, al quale oggi la Chiesa innalza, come in nessun
altro giorno dell’anno, il canto del Te Deum per esprimergli lode, ringraziamento, invocando
misericordia e aiuto, certa che il Dio che si è mostrato nella carne di Gesù non può che essere
il Dio-con-noi; ossia, il Dio della storia e dell’uomo. Il nostro Dio.
In Corea siamo giunti domenica
scorsa, 28 dicembre, con il viaggio aereo
Balikpapan-Jakarta-Seoul, iniziato nel
pomeriggio di sabato 27. Dai 33 gradi,
zeppi di umidità, dell’Indonesia, passiamo
ai meno 8 di Seoul, che consolida la neve
ghiacciata caduta due settimane prima e
deposta lungo le ampie vie di
comunicazione
della
capitale.
All’aeroporto ci preleva padre Maurizio
Giorgianni che a guardarlo bene, per quei
suoi occhi un po’ a mandorla, sembra che
sia nato qui. E’ subito full – immersion:
senza concederci tregua, p. Maurizio ci porta con sé nel quartiere di Gwangju nella città di
Suwon per trascorrere una domenica con la comunità cattolica filippina, qui numerosa per
motivi di lavoro. L’eucarestia in inglese, con preghiere e canti in Tagalog, la dice lunga sulla
realtà multietnica di questo paese che, con una superficie di soli 100.000 Kmq e ben 50 milioni
di abitanti, fino a trent’anni fa sottosviluppato, oggi è tra le maggiori economie del mondo,
nonché all’avanguardia nella tecnologia e telematica.
La missione di Corea ha a che fare nelle sue origini con la nostra Provincia. I primi a
giungervi furono i padri Vincenzo Bordo e Mauro Concardi (dal 2004 alla Casa Generalizia
come Vice-economo Generale), su invito del vescovo di Suwon, mons. Angelo Kim Nam Su,
e con l’esplicito appoggio dell’allora Superiore Generale, p. Marcello Zago. Nel settembre
1991, si aggiunge p. Giovanni Zevola (in Cina dal 2011) e, nel gennaio ’93, arriva padre
Maurizio Giorgianni. Insieme costituiscono una squadra giovane e motivata, pronta a tutte le
sfide che la Corea presenta dal punto di vista dell’evangelizzazione. Missione nata come parte
della Vice-provincia del Giappone, oggi è un’unità
della Provincia del Sri Lanka. Due le comunità: una
nella periferia di Seoul, dove vivono i nostri due
italiani, p. Giorgianni e p. Bordo, e una nella città
di Suwon, appena fuori la capitale ma che fa un
tutt’uno con questa, che funge da casa di
formazione, dove vivono tre Oblati, due coreani e
un srilankese, uno scolastico (a febbraio sarà allo
Scolasticato Internazionale di Roma, raggiungendo
un altro scolastico coreano in Italia da due anni),
due prenovizi e un giovane in discernimento.
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L’incontro con i nostri due Oblati italiani ci permette di
assaporare la ricchezza carismatica della loro attività apostolica
e di intuire qualcosa della realtà ecclesiale di questo lembo
d’Asia, dove i cattolici sono più di 5milioni, il 10% della
popolazione (quasi il doppio i protestanti) e dove la Chiesa gode
di grande considerazione tra la popolazione, rafforzata anche
dalla visita apostolica di Papa Francesco dello scorso agosto. Il
numero dei sacerdoti è cresciuto notevolmente in questi ultimi
vent’anni; soffre di più la vita religiosa, almeno dal punto di vista
vocazionale.
Ma chi sono e cosa fanno i Nostri di Corea?
Padre Maurizio Giorgianni, nato a Messina nel ‘63, oblato dal 1985 e
sacerdote nel ’91, è dal 2011 il superiore della Missione, nonché
economo della stessa dal 2009. Giunto in Corea nel 1993, dopo lo studio
della lingua, si è inserito nella pastorale parrocchiale nella diocesi di
Suwon. In particolare, per due anni, è stato l’animatore principale di un
gruppo di giovani legati agli Oblati e si è impegnato nella pastorale a
favore delle persone diversamente abili e non vedenti. Dal ‘96 al 2002
è superiore della Missione; nello stesso periodo è nominato responsabile
per la formazione alla luce delle prime vocazioni e con la nascita nel
’98 della comunità di accoglienza per il discernimento vocazionale. Inoltre, è l’animatore del
gruppo MAMI (l’AMMI di casa nostra). Ancora, dal ’98 al 2005, è impegnato nella
predicazione in alcune parrocchie della diocesi ed è confessore nel santuario mariano di
Suwone e in alcune comunità religiose. Dal 2005 si occupa maggiormente della pastorale dei
migranti nella diocesi di Suwon: dal 2007 è attivo un centro di accoglienza nella zona di
Gwangju. Precedentemente, dal 2005 al 2008, è stato responsabile del Centro per i migranti
in Pyonthaek.
Racconta padre Maurizio: “Qui la Chiesa ha vissuto e vive una fase di notevole
sviluppo non solo dal punto di vista numerico, ma anche di coscienza pastorale nell’
evangelizzazione. Per noi Oblati si tratta di condividere il nostro carisma missionario con la
Chiesa coreana, collaborando con il clero diocesano e lavorando per la formazione dei laici.
Ma soprattutto, alla luce del carisma, si tratta di continuare a lavorare con i poveri, con le
categorie che sono al margine della società come gli emigrati e i malati. D’altra parte, la
Missione fin dal suo nascere si è caratterizzata per l’apostolato verso i poveri, soprattutto
sul piano caritativo. Sempre sul piano del carisma,credo che siamo chiamati come religiosi
ad una convinta testimonianza della vita comunitaria nel segno di una comunione evangelica
che racconti la dimensione profetica della vita religiosa e oblata. In ultimo, credo che il
sogno da custodire e per il quale pregare sia quello di restare desti per essere pronti alla
“chiamata missionaria” nella Corea del Nord”.
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L’altro Oblato italiano è padre Vincenzo Bordo: decano della
Missione, viterbese, 58 anni ben portati, prete dall’87, iniziatore della
Missione con padre Concardi nel maggio ’90, dopo due anni di ministero
in Italia, membro della comunità di Verona. Dopo lo studio della lingua,
è stato vice-parroco nella chiesa di Shin-Un-Gong dal ’93 al ’94, mentre
già dal ’92 si impegna nei quartieri poveri della città di Seong-Nam, nei
dintorni di Seoul, con attenzione ad anziani e a persone diversamente
abili. E’ il primo responsabile della Missione dal gennaio ’92 al luglio del
’96. Nel ’93 dà vita ad una mensa per anziani soli e subito dopo avvia la
fondazione del programma Namume-Shil per ragazzi poveri e abbandonati. Seguono una
serie di fondazioni, la più significativa è “La Casa di Anna” che si occupa in prevalenza
dell’accoglienza dei ragazzi di strada e di una mensa per anziani e poveri che ogni giorno
offre un pasto caldo a più di 500 persone. Seguono altre fondazioni: nel 2006 è costituita una
“Casa famiglia” e un centro di accoglienza, “Purum Shelter”, per ragazzi di strada; nel 2010
è la volta di un centro di formazione per ragazzi di strada, “Chung-Chang Shelter”, e nel 2013
di un centro per il recupero delle persone senza fissa dimora. Padre Borgo ha ricevuto una
serie infinita di riconoscimenti da parte delle autorità civili. Il più prestigioso nel maggio
scorso, quando ha ricevuto il premio Ho-Ham-Sang, “Servizio alla comunità”, che in Corea
corrisponde al Premio Nobel per la pace. La sua attività è stata oggetto di più di cento
interviste in giornali coreani ed esteri e più di cinquanta nella TV e radio.
Con padre Vincenzo trascorriamo la giornata del 30 dicembre, visitando tre delle quattro
residenze che accolgono ragazzi e giovani di strada per essere sostenuti nell’inserimento
scolastico e, così, nella società. Il pomeriggio lo trascorriamo alla mensa per i poveri,
unendoci ai volontari nella preparazione dei pasti. Indossati i grandi grembiuli da cucina, ci
mettiamo a pelare patate, sgranare fagiolini, mescolare in
grandi pentoloni il soffritto per un saporoso piatto di carne.
Seguono due ore abbondanti per fare la vaisselle, mentre
restiamo stupidi nel vedere l’ordine con il quale si svolge il
lavoro in cucina.
Padre Bordo ci narra l’inizio della missione in Corea: “Nel
1990 il Padre Generale, Marcello Zago, inviando il sottoscritto
e p. Mauro Concardi in Corea, ci invitava a far dono del nostro
carisma alla Chiesa locale e a fare attenzione in modo
particolare all’evangelizzazione dei poveri. Non è stato facile
capire la strada da intraprendere per svolgere un apostolato in
chiave carismatica in una Chiesa che era in espansione e molto
forte dal punto di vista istituzionale. Ma ogni tipo di
scoraggiamento è stato superato da un atto di fede: ”Se siamo qui è perché c’e’ sicuramente
un progetto di Dio. Cerchiamo di comprenderlo e realizzarlo”. Così, attraverso un lungo
processo di discernimento, ci siamo resi conto, partendo dalla teologia paolina, che il Corpo
di Cristo è comunione di carismi e che la Chiesa coreana, pur essendo ricca di apostoli,
vescovi, pastori, sacerdoti diocesani, dottori – insegnanti di teologia ben preparati -,
mancava di evangelisti – missionari, profeti, consacrati -. Ci siamo messi in cammino in
questa direzione e abbiamo scoperto le “nuove povertà” e le “nuove periferie” della società:
gli immigrati illegali, la gente di strada, i ragazzi abbandonati, gli anziani soli, gli ammalati.
Con coraggio e fantasia abbiamo iniziato dei nuovi apostolati di cui la Chiesa e la società
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coreana non ne percepivano la consistenza. A distanza di 25 anni, la presenza degli Oblati
in Corea è stimata dalla Chiesa locale e dalle autorità civili. Anche il premio Ho-Am-Sang
che ho ricevuto nel maggio scorso, altro non è che un riconoscimento pubblico per il lavoro
pastorale svolto da noi Oblati, segno che la comunità oblata’ coreana in questi anni è stata
capace di inserirsi nel contesto della società e della Chiesa, portando il proprio contributo
di vita profetica e missionaria”.
 Aeroporto di Doha (Qatar), lunedì, 5 gennaio 2015
Lasciamo la Corea per la Cina, raggiungendo l’aeroporto di Seoul alle cinque del
mattino del 1° gennaio 2015. Impressiona un po’ pensare ad un “Capodanno in transito”, ma
anche, con qualche nostalgia, all’Italia, dove si sta consumando il cenone, aspettando i botti
pirotecnici di mezzanotte.
L’aereo atterra all’aeroporto di Pechino: impressionante la
struttura. All’uscita scorgiamo padre Giovanni, sorridente alla
cinese nel darci il benvenuto, ma su una sedia a rotelle a seguito di
una complessa operazione alla tibia e perone, fratturatisi per una
rocambolesca caduta in bicicletta il 17 novembre scorso, mentre
rientrava da una scuola per insegnare inglese.
In mezzora il taxi ci conduce nel quartiere dove padre Giovanni risiede con altri due Oblati.
Guardando alle palazzine popolari che costituiscono l’abitato, il contesto ci appare simile ad
un qualsiasi altro quartiere delle nostre città, ben lontano da ogni immaginazione, legittima
crediamo, che ci portiamo dentro della Cina per una certa cinematografia e per quel
fantasticare su fisionomie paesaggistiche tipiche del paese dei “mandarini”.
Ad ogni modo, siamo nella terra che ha fatto la leggenda di
Marco Polo e di uomini straordinari come Matteo Ricci e san
Francesco Saverio. Siamo nella grande Cina, dove tutto
impressiona a partire dai numeri: estensione Kmq 9.706.961,
quasi venti volte la Spagna, trentadue l’Italia; abitanti poco
meno di 1.400.000.000, più di un quinto
della popolazione mondiale. In Cina i
cattolici “dovrebbero essere” circa
dodici milioni (mancano statistiche
ufficiali), presenti nelle 138 diocesi del
paese (90 quelle riconosciute dal
governo). Come è risaputo, ci sono
cattolici che appartengono alla “Chiesa
patriottica” con i vescovi nominati dal
governo cinese, per buona parte
riconosciuti dalla Santa Sede, e una
“Chiesa clandestina”, da sempre fedele
a Roma, che ha vissuto forti restrizioni negli anni rigidi del comunismo. Secondo certe
statistiche i preti sono quasi 3.000 e più di 5000 le suore; difficile stabilire il numero dei
religiosi presenti, non potendo questi dichiararsi pubblicamente.
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Mentre in Cina, negli anni sessanta,
iniziava la “Rivoluzione culturale”, che
metteva sottoscacco ogni espressione
religiosa ed impediva agli stranieri di
entrare nel paese, gli Oblati della
Provincia delle Filippine arrivarono ad
Hong Kong nel 1966. La presenza oblata
fu denominata “Missione di Hong Kong”
e fu focalizzata nell’educazione e nel
lavoro pastorale legato all’attività
scolastica con altre fondazioni e
l’assunzione di parrocchie (attualmente
ad Hong Kong - dal 1997 parte integrante dello stato cinese - gli Oblati svolgono il loro
ministero in due parrocchie e dirigono ben quattro scuole, due elementari e due medie
superiori; sono anche impegnati come cappellani in un ospedale e un carcere). Nel marzo
1990, la Missione fu affidata alla Provincia Australiana, prendendo successivamente il nome
di “Missione di Cina”. Nel 2006 iniziarono le prime saltuarie presenze di due oblati in Pechino
e, nel 2008, si dette il via ad una comunità con padre David Ullirch, americano, superiore
della Missione di Cina dal 2006, e padre Luc Young (figlio di cinesi, nato nelle isole
Mauritius), nominato superiore della comunità. Per sviluppare un’appropriata forma di
presenza missionaria, si avviò un’attività sociale per bambini diversamente abili e
abbandonati in tandem con l’Associazione China Little Flower; inoltre, si favorì una serie di
attività legate ad un progetto di “interscambio culturale” con alcune scuole per lo studio della
lingua inglese.
In questo contesto non facile, ma in rapida evoluzione, nel 2011 si è
inserito padre Giovanni Zevola, classe 1962, avellinese di Zungoli,
oblato dall’87 e prete dal ‘90, missionario in Corea dal 1991 al 2011
(qui ha lavorato nella Diocesi di Suwon, mettendo in piedi l’ufficio per
l’accoglienza degli immigrati, di cui è stato responsabile dal 1992 fino
al 2005). Ci confida che, una decina di anni fa, era in lista di attesa per
la Russia: lui ci credeva, ma le cose andarono diversamente. Così, con
in mano una licenza in Sacra Scrittura, cominciò a tenere ritiri
spirituali a preti e religiosi/e di alcune diocesi coreane e corsi biblici ai
formatori di alcuni Istituti religiosi. Nel 2010, in occasione del suo 25mo di vita religiosa, gli
viene concesso un anno sabatico, durante il quale matura la decisione “di rendersi disponibile
per qualsiasi tipo di missione, pronto a qualsiasi obbedienza pur di non lasciare nulla di
intentato per l’evangelizzazione”, come ci confida. Oramai sicuro di essere destinato alle
Filippine come formatore, la Provvidenza, che porta il nome di “santa obbedienza”, lo
conduce in Cina. Ci racconta che nella lettera per la prima obbedienza, scritta al Superiore
Generale, padre Zago, aveva espresso il desiderio di essere missionario nel grande paese
asiatico. Vent’anni dopo il sogno si avverava attraverso vie misteriose, ma di certo segnate
dalla grazia divina e forse con lo zampino celeste dello stesso padre Zago.
Così, da tre anni, p. Zevola vive in un appartamento in una zona periferica a Nord-Est
della capitale, precisamente a Houshao, a trenta chilometri dal centro storico, da piazza
Tiennamen, tanto per citare un luogo noto a tutti.
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Qui, dopo lo studio impegnativo della lingua,
si è inserito nel lavoro pastorale che gli Oblati
stanno portando avanti con gli orfani
abbandonati e in alcune iniziative tese a
promuovere ciò che si potrebbe chiamare
“scambio interculturale”, ben visto dalle
autorità
governative,
attraverso
l’insegnamento della lingua inglese.
Quest’ultima realtà è stata possibile grazie alla
costituzione dell’associazione “De Mazenod”,
approvata dal governo, per l’insegnamento
della lingua inglese a bambini e ragazzi dai 5
ai 15 anni. In questa linea, gli Oblati sono riusciti ad inserirsi in una scuola pubblica con 900
allievi (70% degli studenti provenienti da famiglie povere, figli di immigrati cinesi
provenienti dalle zone interne e meno sviluppate del paese) sempre per l’insegnamento della
lingua inglese.
Mai domo nell’inventarsi qualcosa per la
missione, girando in bici per i quartieri più poveri della
capitale, padre Giovanni è riuscito ad entrare in
contatto con la gente del villaggio di Gucheng. Qui, lo
scorso anno, affittando una modesta abitazione, ha
aperto un piccolo centro per fare un doposcuola per
bambini delle elementari e medie, sempre proponendo
lo studio della lingua inglese. Da qualche mese la
stessa proposta è stata rivolta alle mamme dei
partecipanti con un buon successo. Il prossimo step, ci
dice p. Giovanni, è quello di organizzare delle attività ludiche e ricreative per le persone
anziane del quartiere.
Un momento intenso, che lascia il segno nel nostro animo, è la
messa in cattedrale, domenica, 4 gennaio. Ci accompagna padre
Giovanni, anche se siamo noi ad accompagnare lui, spingendolo
sulla carrozzina come buoni barellieri lourdiani. La chiesa è
gremita, l’assemblea è multietnica. Si prega in inglese, si canta in
latino con la Missa De Angelis. Tra i fedeli, ci bisbiglia padre
Giovanni, ci sono molti religiosi e preti in incognito (noi, tre
Oblati presenti, ne siamo la prova!), che talvolta vengono allo
scoperto per il semplice modo di pregare, di sorridere, anche solo
di salutare. Il prete che presiede l’eucarestia, un giovane cinese,
accoglie tutti con un gran sorriso. E con lo stesso “faint smile” ci
dà l’arrivederci.
Padre Zevola ci tiene a dire che questa “è una missione diversa da qualsiasi altra: siamo in
un paese che sta vivendo una grande trasformazione con ripercussioni sul mondo intero, ma
c’è ancora il passato che pesa soprattutto in relazione alle questioni religiose, anche se la
Costituzione dell’82 concede la libertà di religione pur sotto il controllo dell’Ufficio per gli
Affari Religiosi. Qui non possiamo dire di essere preti, siamo nel paese come operatori
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sociali, anche se siamo liberi di muoverci più di quanto si possa immaginare. Il vescovo di
Pechino non sa della nostra presenza e non conosce il numero dei religiosi che sono nella
sua diocesi. Ci sono tante congregazioni presenti qui a Pechino, ma non ci conosciamo,
ognuno si muove dietro attività particolari, quasi sempre nell’ambito dei servizi sociali o nel
mondo accademico. La grande difficoltà è quella di sentirsi Chiesa, di sentirsi parte di un
corpo; talvolta si ha l’impressione di camminare da soli, di non avere alcun riferimento. Ma
sono ottimista, guardando il futuro: i rapporti tra il governo e la Chiesa, al di là di qualche
scossone, procedono positivamente e penso che tra cinque o dieci anni si potrà entrare in
Cina con un “visto da religiosi”. Ora dobbiamo costruire il futuro lavorando sui rapporti,
incontrando la gente, fare amicizia con chi è cristiano. Dobbiamo imparare a riconoscerci e
a condividere il nostro cammino umano e spirituale”.
“La Cina chiama”, ci fa intendere padre Zevola. Così l’Asia!
Mentre nel giorno dell’Epifania, il nostro viaggio si conclude con quasi sedici ore di
volo lungo la tratta Pechino-Doha (Qatar)-Roma, la missione nel grande Continente asiatico
è appena iniziata. Se il prossimo millennio sarà sotto l’egida asiatica, lo dicono fin d’ora i
numeri che raccontano lo stato demografico ed economico di questo Continente, forse anche
per il Cristianesimo si apre un tempo nuovo, caratterizzato dallo spostamento ad Oriente, e
non solo verso il Sud del globo, dei processi di evangelizzazione.
Intanto Auguri speciali, carichi di speranze evangeliche, per questo quindicesimo anno
del terzo millennio cristiano. Che sia un “anno di grazia” per tutti noi, in particolare per la
vita religiosa e per la Chiesa. Soprattutto per quella asiatica, oggi piccolo seme nell’immenso
universo religioso e sociale di questo Continente, ma che fa intravvedere novità dense di
Vangelo accolto e vissuto.
In J.C. et M.I.,
Padre Alberto Gnemmi, omi
(Provinciale)
e
padre Adriano Titone, omi
(Procuratore per le Missioni Estere)
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