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Provincia Mediterránea de los Misioneros OMI Provincia Mediterranea dei Missionari OMI Province Méditerranée des Missionnaires OMI Via Tuscolana 73 - 00044 FRASCATI - RM Tel.: 06/940.83.77 – cell. 335.6159414 Fax: 06/940.80.17 Superior provincial: E-Mail: [email protected]; Asia: il futuro del cristianesimo si gioca qui! Incontro con gli Oblati italiani missionari in Thailandia, Indonesia, Corea del Sud e Cina Aeroporto di Jakarta, Indonesia, 22 dicembre 2014 La visita ai Confratelli oblati italiani della Thailandia è iniziata il 17 dicembre scorso con il volo Roma-Fiumicino-Doha (Qatar) e da qui decollo per Bangkok, dove ad attenderci c’era padre Domenico Rodighiero. E’ lui ad introdurci nel mondo oblato della Thailandia e a raccontarci qualcosa della Chiesa cattolica e del cristianesimo in questo paese. Gli Oblati della Thailandia costituiscono una Delegazione della Provincia delle Filippine. 16 i membri: 7 thailandesi, 4 filippini, un laotiano, un francese e i nostri tre italiani: p. Claudio Bertuccio, p. Domenico Rodighiero e p. Paolo Miceli. A Sampran, vicino a Bangkok, c’è la casa del giuniorato con 17 ragazzi tra i 12 e i 18 anni e il prenoviziato con 4 giovani. Il centro amministrativo della Delegazione è a Rangsit a pochi chilometri dalla capitale. Più in generale, i cattolici in Thailandia sono circa 300.000 su una popolazione che oramai sfiora i 70milioni. Comunque, pur essendo una piccola minoranza, in un contesto religioso segnato dal buddismo, la Chiesa cattolica gode di una posizione di grande considerazione nella società. La presenza oblata prese consistenza con l’arrivo di alcuni oblati francesi, dopo l’espulsione dal Laos dei missionari stranieri nell’estate del ’75, soprattutto nel Nord, confinante con il Laos, dove trovavano rifugio le popolazioni laotiane perseguitate dal regime comunista. Il primo italiano ad essere membro della Delegazione è stato padre Paolo Miceli nel 1992, poi, due anni dopo, vi è giunto padre Claudio Bertuccio e, nel gennaio 2000, padre Domenico Rodighiero. Partiamo proprio da lui per annotare qualcosa della vita dei Nostri. 1 Padre Domenico Rodighiero, vicentino, 50enne, ordinato sacerdote nel 1997, dopo tre anni di ministero svolto in Italia nella comunità di Santa Maria a Vico, è approdato in Thailandia. Fino al 2003 ha lavorato presso la parrocchia di St. Michael, nella zona di Bangkok chiamata Saphan Mai, nata negli anni sessanta. Da tre anni è nuovamente a St. Michael nella veste di parroco, dopo alcuni anni trascorsi come responsabile del prenoviziato nella comunità di Sampran. Qui, a St. Michael, i cattolici sono circa 650 su una popolazione del territorio parrocchiale che si aggira intorno alle 500.000 unità. Nel 2013, l’anagrafe della parrocchia presentava questi dati: 19 battesimi di bambini e 5 di adulti, 10 funerali e 9 matrimoni di cui 8 celebrati con rito misto. Padre Domenico e p. Juin (oblato thailandese, vicario parrocchiale di St. Michael) si occupano della cura pastorale di alcune minoranze etniche presenti nel paese, soprattutto di quella pakistana, srylankese e irakena. Con lui, il 19 dicembre, celebriamo in lingua curda l’eucarestia dil Natale: una cinquantina di persone, soprattutto famiglie giovani con tanti bambini, vivacizzano la preghiera, marcata da canti prolungati con melodie commoventi. Facciamo anche l’esperienza, per due sere di fila, della “preghiera di Natale”, dove, a mo’ di un centro di ascolto, un gruppo di famiglie cristiane della stessa zona si ritrovano presso un’abitazione privata per condividere la festa del Natale con canti tradizionali e alcune brevi preghiere per poi condividere un pasto comunitario. Parlando della missione in terra thailandese, padre Rodighiero sottolinea “la necessità di lavorare per costruire la comunità ecclesiale, vista la cultura individualista dominante nella società, anche dovuta alla spiritualità buddista che mette l’accento sulla dimensione interiore della persona. Si tratta di vivere con la gente, di incontrare le famiglie, di creare rapporti, di far crescere il senso di appartenenza dei diversi gruppi alla comunità ecclesiale. In questa parrocchia ci sono i Legionari di Maria , i Cursillos de Cristianidad, il gruppo dei giovani, della liturgia, la San Vincenzo che si occupa dei poveri, lavorando soprattutto con gli immigrati e i rifugiati: realtà con la loro specifica identità, ma non sempre capaci di percepirsi come parte di un’unica famiglia, di sentirsi parte del corpo ecclesiale che ha diversi carismi. Essere missionari in Thailandia significa dare testimonianza con la coerenza della vita e l’apostolato della carità evangelica, in un contesto prevalentemente buddista che da più di due millenni forma la coscienza religiosa e spirituale di questo grande popolo. Come Oblati, si tratta di vivere l’esperienza della comunità e l’amore per i poveri nella tensione per l’evangelizzazione per fare emergere la “differenza cristiana””. Da Bangkok, nei giorni 20 e 21 dicembre, ci spostiamo al Nord per incontrare padre Paolo Miceli. E’ lui ad accoglierci all’aeroporto di Loei, cittadina di circa 200.000 abitanti. 2 Padre Paolo Miceli è nato nel1944 in provincia di Lecce. Sacerdote nel 1969, è stato missionario in Laos. Successivamente ha svolto il suo ministero in Italia, fino al 1992, quando ha ricevuto l’obbedienza per la Thailandia. Per sei anni ha lavorato nella parrocchia di St. Michael in Bangkok, poi a Loei nella parrocchia di Cristo Re dal ’98 al 2003. Dopo una breve parentesi come cappellano a Lourdes (2004 – 2006), dal 2007 al 2010, è stato tra le montagne di Thap Beuk, parroco della “Parrocchia Sacra Famiglia” a Man Khao della comunità cristiana di Na Sa Ung (attualmente parrocchia di Sant’Antonio). Nel 2010 è stato nominato parroco della parrocchia di “Gesù Buon Pastore” a Lomsack nel Nord del paese, nel distretto oblato di Loei-Lomsack, dove si trova tuttora, essendo, dal maggio di quest’anno, ritornato come parroco della parrocchia di “Cristo Re” a Loei. Nel Distretto svolgono il loro ministero anche p. Paolo Prasong Wibunsing, omi, superiore del Distretto e parroco della parrocchia di “San Raffaele Arcangelo” in Tha Bom, e p. Ben Catanus, omi, filippino, parroco di “Santa Maria della Visitazione” a Chiang Khan. Le comunità cristiane del distretto (corrispondente al territorio della Provincia di Loei), cui va aggiunto il villaggio di Man Khao, dove si trova la parrocchia della “Sacra Famiglia” con parroco p. Tommaso Thotsaphon, omi, contano circa 1500 cristiani su una popolazione di circa 600.000 abitanti. Con p. Miceli è stato importante condividere alcuni momenti del suo ministero parrocchiale, ma soprattutto, anche per l’emozione che ci ha fatto vivere, raggiungere la località di Phu Khol Nghiu, al confine con il Laos, evidenziato dal grande fiume Mekhong, potendo così contemplare il paese, quasi toccarne il suolo, scrutando con occhi commossi la regione di Sayaburi,dove hanno svolto la missione i nostri Oblati del Vicariato apostolico di Luang-Prabang. Ci dice padre Paolo: “Potrei riassumere brevemente in tre direzioni i campi di azione che hanno caratterizzato il mio servizio missionario in questa ventina di anni di Thailandia. Oltre al servizio pastorale, liturgico, catechetico di ogni parrocchia, la missione era rivolta verso i giovani (molto vivace e numeroso il gruppo a Saphan Mai, il primo periodo di Loei e Mankhao). L'altro tentativo è stato quello di tentare la via dell'ecumenismo con le varie comunità protestanti, soprattutto a Loei, Man Khao e Lomsack. Terzo aspetto: la vicinanza agli ultimi e ai più poveri (lo Slum lungo il canale dietro la parrocchia di Saphan Mai, gli anziani e malati di Huay Sawing, i giovani di Na Luang). Mi ha sempre animato il desiderio di far sentire che la parrocchia è la fontana del villaggio, come diceva San Giovanni XXIII, dove tutti possono e devono sentirsi a proprio agio. Nel momento presente, in questi sei mesi a Cristo Re, sto cercando di riorientarmi in una comunità cristiano molto diversa da quella lasciata undici anni fa (non per le persone, ma per lo stile e spirito). Anche socialmente è molto cambiata: non c'è più il clima della provincia, più emarginata di tutta la Thailandia, di una dozzina di anni fa, ma una società più vicina alla modernità e, forse, meno sensibile ai valori religiosi”. 3 Lasciamo la Thailandia, pensando a padre Claudio Bertuccio che, dopo alcuni mesi passati in Italia, offrendo il suo prezioso servizio pastorale presso la comunità di Maddaloni, riprenderà il suo apostolato nella Delegazione ai primi di gennaio per continuare il suo intenso ministero, iniziato nel 1993 e che lo ha visto superiore della Delegazione dal 2007 al 2013. Intanto, siamo fieri di saperlo Commissario per la preparazione del prossimo Capitolo Generale nel 2016, certi che farà ogni cosa con la passione e la determinazione che lo caratterizzano. Aeroporto di Balikpapan, 27 dicembre 2014 Il 22 dicembre, abbiamo lasciato Bangkok alla volta dell’Indonesia. Dopo il primo scalo nella capitale Jakarta nell’isola di Giava, abbiamo raggiunto il Kalimantan (la parte indonesiana del Borneo; la parte Nord dell’isola appartiene alla Malesia) con destinazione la città di Balikpapan (circa 600.000 abitanti), dove abbiamo incontrato i padri Rebussi e Bertolini nella nuova e accogliente casa della comunità oblata, situata nella parrocchia di San Pietro e Paolo, accanto alla Chiesa recentemente costruita. Nelle primissime ore di martedì, 23 dicembre, p. Adriano è partito in aereo alla volta di Malinau (più a Nord, oltre la città di Tarakan, a circa 500 chilometri da Balikpapan) per incontrare p. Natalino Belingheri che da trent’anni lì svolge il suo apostolato. Gli Oblati sono giunti nel Kalimantan Orientale nell’aprile del 1977 in numero di sette, tutti provenienti dalla missione laotiana - oltre ai padri Rebussi e Belingheri, p. Mario Bertoli (1940 – 2000, primo provinciale della Provincia d’Indonesia nel 1994); Piero Bonometti (1935 – 2010), p. Pancrazio Di Grazia (1930 – 2011), p. Antonio Bocchi (1940 – 2012), p. Angelo Albini (1935, lasciò la Missione tre anni dopo) -. Nel ’78 si è aggiunto p. Carlo Bertolini e, nel 1981, padre Dino Tessari, oggi in Italia, membro della comunità di Bologna. Al momento dell’arrivo degli italiani, che costituirono fin da subito la Delegazione di Samarinda nel Kalimantan Orientale, in Indonesia vi erano già alcuni Oblati francesi nel Kalimantan Occidentale e australiani in Giava. Nel 1994 le tre Delegazioni si sono unite per formare l’attuale Provincia d’Indonesia che attualmente ha 29 membri, dei quali, oltre ai nostri tre italiani, altri tre dell’Australia e un francese. Nove sono gli scolastici a voti temporanei. Conosciamo da vicino i nostri Confratelli oblati italiani. Padre Giuseppe Rebussi, bergamasco, classe 1940, dopo l’ordinazione sacerdotale nel 1966, ha ricevuto l’obbedienza per la missione del Laos. Dopo l’espulsione dei missionari dal paese nel 1975, è stato tra i promotori dell’iniziativa di non lasciare l’Asia e di inserirsi nella missione oblata della Thailandia, dove si stavano inserendo gli Oblati francesi provenienti dal Laos. Non andando in porto questa iniziativa, nel 1977, insieme a padre Mario Bertoli, accolse la proposta del provinciale italiano, padre Remigio Salzillo, di visitare la diocesi di Samarinda in Indonesia (allora inglobava anche il Vicariato di Tarakan, oggi diocesi a sé), a seguito della richiesta del vescovo della stessa di avere dei missionari. 4 Padre Rebussi è stato il primo superiore della Delegazione (1977 – ’83), svolgendo in pari tempo il ministero di Vicario episcopale del Vicariato di Tarakan e di parroco dell’immensa parrocchia Maria Immacolata nella medesima città. Nel 1983 è a Malinau, sempre impegnato nella pastorale parrocchiale, comprendente una decina di Stazioni Missionarie, che con il tempo diventarono più di venti, dando vita successivamente a ben quattro parrocchie. Dal 1995, è a Balikpapan, dove, all’inizio, ha svolto il ruolo di superiore della comunità e di parroco della Parrocchia San Pietro e Paolo. Attualmente è responsabile di una delle due stazioni missionarie della parrocchia, quella del “Km 15” intitolata a San Giuseppe con circa mille fedeli (il totale dei cattolici della parrocchia è di poco superiore alle 4.000 unità su una popolazione di circa 200.000 abitanti). Qui ha da poco terminato di costruire la grande chiesa, capace di 600 posti a sedere, pronta, come dice p. Rebussi, ad essere presto parrocchia. La stazione missionaria, che ha la sua autonomia amministrativa e pastorale rispetto alla parrocchia, anche se rimane da quest’ultima canonicamente dipendente, è costituita da sette comunità di base, ognuna formata da alcune decine di famiglie, dalle trenta alle cinquanta, con attività di catechesi, liturgia e servizi socio-caritativi. Dice padre Rebussi: “La missione oblata, in questi quarant’anni di intensa attività pastorale, ha saputo sviluppare molti centri missionari, che, nel tempo, si sono evoluti in centri parrocchiali ben organizzati, alcuni poi ceduti al clero diocesano, con una significativa presenza di laici impegnati nell’evangelizzazione, che hanno dato vita alla nuova diocesi di Tanjung Selor. E’ necessario che le comunità di base, che costituiscono la realtà delle “stazioni missionarie”, salvaguardino un atteggiamento pastorale aperto, che sa “guardare oltre” il proprio orticello, per non correre il rischio di chiudersi, di diventare realtà ecclesiali troppo istituzionalizzate, con attività standard tipiche delle parrocchie cittadine, ripiegate sulla loro vita interna, attente a chi già c’è, ma poco interessate a coloro che stanno fuori e che potrebbero ricevere l’annuncio cristiano. Insomma, dopo gli anni dello slancio, si corre il rischio di diventare una chiesa sedentaria, ripiegata sugli allori, anche influente dal punto di vista ecclesiale, ma povera di spirito missionario”. Padre Carlo Bertolini vive nella comunità di Balikpapan con padre Rebussi e altri due padri oblati indonesiani. Ha 77 anni, essendo nato nel 1937 a Domodossola (Verbania). Sacerdote dal 1963, p. Carlo ha svolto per quindici anni il ministero in Italia nelle comunità di Aosta, Patti, Mazara del Vallo, Roma-Prefetti e Palermo. Nel ’78 ha raggiunto l’Indonesia, approdando proprio a Balikpapan, ma subito impegnato nella difficile missione di Penajan-Tanah Grogot, dall’altra parte del golfo dove è adagiata Balikpapan, disposta lungo 150 chilometri di strada. Nel 1983 è diventato parroco della parrocchia di Maria Immacolata a Tarakan, succedendo a padre Rebussi, con una decina di stazioni missionarie che servivano una ventina di comunità cristiane. Dall’89 al ’93 è parroco a Berau, a Sud di Tarakan, territorio vasto quanto la 5 provincia amministrativa, con molte “stazioni” da animare pastoralmente. Seguono due anni a Balikpapan; poi, per quindici anni, è a Tidung Pala come primo parroco di questo esteso territorio tra Tarakan e Malinau. Dal 2010 è per la terza volta a Balikpapan, dove lavora presso la Parrocchia di San Pietro e Paolo e come responsabile della “Stazione Km 45, Vieni Spirito Santo”, dove si reca ogni fine settimana per le attività apostoliche e le celebrazioni domenicali. Uomo dal tratto spirituale, p. Bertolini ci tiene a dire che “la missione altro non è che la continuazione della presenza di Gesù in mezzo all’umanità, che si trova, cosciente o no, in una situazione di attesa. Missione è lavorare per il Regno, sapendo che questo è più grande di noi, appartiene all’intelligenza di Dio e al suo progetto d’amore sull’umanità. La missione che noi svolgiamo non può che essere condotta in un orizzonte di umiltà e di fiducia nella provvidenza divina”. Padre Natalino Belingheri, nato nel 1943, bergamasco come p. Giuseppe, è diventato prete nel ’69 e nello stesso anno ha raggiunto la missione del Laos. Nel ’77 ha iniziato la sua avventura indonesiana: prima è stato per sei anni a Mara Satu, zona di Kajan nel Nord del Kalimantan, svolgendo il ministero di prima evangelizzazione in diversi villaggi. Nel 1984 è a Malinau con p. Rebussi e, nel 1988, diventa parroco a Palau Sapi, nella zona superiore del fiume Malinau, svolgendo a tutt’oggi il suo ministero in tanti villaggi che raggiunge in molti casi con la piroga. “Per me - dice padre Belingheri -, la missione si compie stando con la gente, entrando in contatto con i loro costumi, i loro modi di pensare la vita e il mondo. La missione è annuncio della buona notizia a partire dallo sforzo del missionario di inculturarsi, di stimare la storia e i luoghi del popolo che serve, cogliendo i semi del Verbo già presenti e proponendo altri semi di verità per contribuire alla crescita umana, religiosa della gente nella logica evangelica. Questo lo noto proprio stando a contatto con la mia gente: mi piace chiacchierare con gli anziani del villaggio, cogliere la loro sapienza e poi scoprire che questa è premessa per accogliere quella del Vangelo, che nulla toglie alla ricchezza originaria, ma fa crescere le persone nella verità”. Pochi i giorni trascorsi in Indonesia, ma che ci hanno permesso di intuire il grande sforzo di evangelizzazione realizzato dai nostri Confratelli. Guardiamo a loro con ammirazione, anche constatando che, nonostante qualche acciacco legato all’età, continuano a spendersi per la Chiesa e il Vangelo, in un paese dove i cattolici sono circa dieci milioni su una popolazione di oltre 240milioni. Come i tre Magi, continuano a scrutare la grande stella, Cristo Signore, e a seguirla. 6 Comunità oblata in Seoul, mercoledì, 31 dicembre 2014 Stiamo per lasciare la Corea. Qui, abbiamo trascorso quattro giorni, gli ultimi di questo anno 2014 che affidiamo alla paternità di Dio, al quale oggi la Chiesa innalza, come in nessun altro giorno dell’anno, il canto del Te Deum per esprimergli lode, ringraziamento, invocando misericordia e aiuto, certa che il Dio che si è mostrato nella carne di Gesù non può che essere il Dio-con-noi; ossia, il Dio della storia e dell’uomo. Il nostro Dio. In Corea siamo giunti domenica scorsa, 28 dicembre, con il viaggio aereo Balikpapan-Jakarta-Seoul, iniziato nel pomeriggio di sabato 27. Dai 33 gradi, zeppi di umidità, dell’Indonesia, passiamo ai meno 8 di Seoul, che consolida la neve ghiacciata caduta due settimane prima e deposta lungo le ampie vie di comunicazione della capitale. All’aeroporto ci preleva padre Maurizio Giorgianni che a guardarlo bene, per quei suoi occhi un po’ a mandorla, sembra che sia nato qui. E’ subito full – immersion: senza concederci tregua, p. Maurizio ci porta con sé nel quartiere di Gwangju nella città di Suwon per trascorrere una domenica con la comunità cattolica filippina, qui numerosa per motivi di lavoro. L’eucarestia in inglese, con preghiere e canti in Tagalog, la dice lunga sulla realtà multietnica di questo paese che, con una superficie di soli 100.000 Kmq e ben 50 milioni di abitanti, fino a trent’anni fa sottosviluppato, oggi è tra le maggiori economie del mondo, nonché all’avanguardia nella tecnologia e telematica. La missione di Corea ha a che fare nelle sue origini con la nostra Provincia. I primi a giungervi furono i padri Vincenzo Bordo e Mauro Concardi (dal 2004 alla Casa Generalizia come Vice-economo Generale), su invito del vescovo di Suwon, mons. Angelo Kim Nam Su, e con l’esplicito appoggio dell’allora Superiore Generale, p. Marcello Zago. Nel settembre 1991, si aggiunge p. Giovanni Zevola (in Cina dal 2011) e, nel gennaio ’93, arriva padre Maurizio Giorgianni. Insieme costituiscono una squadra giovane e motivata, pronta a tutte le sfide che la Corea presenta dal punto di vista dell’evangelizzazione. Missione nata come parte della Vice-provincia del Giappone, oggi è un’unità della Provincia del Sri Lanka. Due le comunità: una nella periferia di Seoul, dove vivono i nostri due italiani, p. Giorgianni e p. Bordo, e una nella città di Suwon, appena fuori la capitale ma che fa un tutt’uno con questa, che funge da casa di formazione, dove vivono tre Oblati, due coreani e un srilankese, uno scolastico (a febbraio sarà allo Scolasticato Internazionale di Roma, raggiungendo un altro scolastico coreano in Italia da due anni), due prenovizi e un giovane in discernimento. 7 L’incontro con i nostri due Oblati italiani ci permette di assaporare la ricchezza carismatica della loro attività apostolica e di intuire qualcosa della realtà ecclesiale di questo lembo d’Asia, dove i cattolici sono più di 5milioni, il 10% della popolazione (quasi il doppio i protestanti) e dove la Chiesa gode di grande considerazione tra la popolazione, rafforzata anche dalla visita apostolica di Papa Francesco dello scorso agosto. Il numero dei sacerdoti è cresciuto notevolmente in questi ultimi vent’anni; soffre di più la vita religiosa, almeno dal punto di vista vocazionale. Ma chi sono e cosa fanno i Nostri di Corea? Padre Maurizio Giorgianni, nato a Messina nel ‘63, oblato dal 1985 e sacerdote nel ’91, è dal 2011 il superiore della Missione, nonché economo della stessa dal 2009. Giunto in Corea nel 1993, dopo lo studio della lingua, si è inserito nella pastorale parrocchiale nella diocesi di Suwon. In particolare, per due anni, è stato l’animatore principale di un gruppo di giovani legati agli Oblati e si è impegnato nella pastorale a favore delle persone diversamente abili e non vedenti. Dal ‘96 al 2002 è superiore della Missione; nello stesso periodo è nominato responsabile per la formazione alla luce delle prime vocazioni e con la nascita nel ’98 della comunità di accoglienza per il discernimento vocazionale. Inoltre, è l’animatore del gruppo MAMI (l’AMMI di casa nostra). Ancora, dal ’98 al 2005, è impegnato nella predicazione in alcune parrocchie della diocesi ed è confessore nel santuario mariano di Suwone e in alcune comunità religiose. Dal 2005 si occupa maggiormente della pastorale dei migranti nella diocesi di Suwon: dal 2007 è attivo un centro di accoglienza nella zona di Gwangju. Precedentemente, dal 2005 al 2008, è stato responsabile del Centro per i migranti in Pyonthaek. Racconta padre Maurizio: “Qui la Chiesa ha vissuto e vive una fase di notevole sviluppo non solo dal punto di vista numerico, ma anche di coscienza pastorale nell’ evangelizzazione. Per noi Oblati si tratta di condividere il nostro carisma missionario con la Chiesa coreana, collaborando con il clero diocesano e lavorando per la formazione dei laici. Ma soprattutto, alla luce del carisma, si tratta di continuare a lavorare con i poveri, con le categorie che sono al margine della società come gli emigrati e i malati. D’altra parte, la Missione fin dal suo nascere si è caratterizzata per l’apostolato verso i poveri, soprattutto sul piano caritativo. Sempre sul piano del carisma,credo che siamo chiamati come religiosi ad una convinta testimonianza della vita comunitaria nel segno di una comunione evangelica che racconti la dimensione profetica della vita religiosa e oblata. In ultimo, credo che il sogno da custodire e per il quale pregare sia quello di restare desti per essere pronti alla “chiamata missionaria” nella Corea del Nord”. 8 L’altro Oblato italiano è padre Vincenzo Bordo: decano della Missione, viterbese, 58 anni ben portati, prete dall’87, iniziatore della Missione con padre Concardi nel maggio ’90, dopo due anni di ministero in Italia, membro della comunità di Verona. Dopo lo studio della lingua, è stato vice-parroco nella chiesa di Shin-Un-Gong dal ’93 al ’94, mentre già dal ’92 si impegna nei quartieri poveri della città di Seong-Nam, nei dintorni di Seoul, con attenzione ad anziani e a persone diversamente abili. E’ il primo responsabile della Missione dal gennaio ’92 al luglio del ’96. Nel ’93 dà vita ad una mensa per anziani soli e subito dopo avvia la fondazione del programma Namume-Shil per ragazzi poveri e abbandonati. Seguono una serie di fondazioni, la più significativa è “La Casa di Anna” che si occupa in prevalenza dell’accoglienza dei ragazzi di strada e di una mensa per anziani e poveri che ogni giorno offre un pasto caldo a più di 500 persone. Seguono altre fondazioni: nel 2006 è costituita una “Casa famiglia” e un centro di accoglienza, “Purum Shelter”, per ragazzi di strada; nel 2010 è la volta di un centro di formazione per ragazzi di strada, “Chung-Chang Shelter”, e nel 2013 di un centro per il recupero delle persone senza fissa dimora. Padre Borgo ha ricevuto una serie infinita di riconoscimenti da parte delle autorità civili. Il più prestigioso nel maggio scorso, quando ha ricevuto il premio Ho-Ham-Sang, “Servizio alla comunità”, che in Corea corrisponde al Premio Nobel per la pace. La sua attività è stata oggetto di più di cento interviste in giornali coreani ed esteri e più di cinquanta nella TV e radio. Con padre Vincenzo trascorriamo la giornata del 30 dicembre, visitando tre delle quattro residenze che accolgono ragazzi e giovani di strada per essere sostenuti nell’inserimento scolastico e, così, nella società. Il pomeriggio lo trascorriamo alla mensa per i poveri, unendoci ai volontari nella preparazione dei pasti. Indossati i grandi grembiuli da cucina, ci mettiamo a pelare patate, sgranare fagiolini, mescolare in grandi pentoloni il soffritto per un saporoso piatto di carne. Seguono due ore abbondanti per fare la vaisselle, mentre restiamo stupidi nel vedere l’ordine con il quale si svolge il lavoro in cucina. Padre Bordo ci narra l’inizio della missione in Corea: “Nel 1990 il Padre Generale, Marcello Zago, inviando il sottoscritto e p. Mauro Concardi in Corea, ci invitava a far dono del nostro carisma alla Chiesa locale e a fare attenzione in modo particolare all’evangelizzazione dei poveri. Non è stato facile capire la strada da intraprendere per svolgere un apostolato in chiave carismatica in una Chiesa che era in espansione e molto forte dal punto di vista istituzionale. Ma ogni tipo di scoraggiamento è stato superato da un atto di fede: ”Se siamo qui è perché c’e’ sicuramente un progetto di Dio. Cerchiamo di comprenderlo e realizzarlo”. Così, attraverso un lungo processo di discernimento, ci siamo resi conto, partendo dalla teologia paolina, che il Corpo di Cristo è comunione di carismi e che la Chiesa coreana, pur essendo ricca di apostoli, vescovi, pastori, sacerdoti diocesani, dottori – insegnanti di teologia ben preparati -, mancava di evangelisti – missionari, profeti, consacrati -. Ci siamo messi in cammino in questa direzione e abbiamo scoperto le “nuove povertà” e le “nuove periferie” della società: gli immigrati illegali, la gente di strada, i ragazzi abbandonati, gli anziani soli, gli ammalati. Con coraggio e fantasia abbiamo iniziato dei nuovi apostolati di cui la Chiesa e la società 9 coreana non ne percepivano la consistenza. A distanza di 25 anni, la presenza degli Oblati in Corea è stimata dalla Chiesa locale e dalle autorità civili. Anche il premio Ho-Am-Sang che ho ricevuto nel maggio scorso, altro non è che un riconoscimento pubblico per il lavoro pastorale svolto da noi Oblati, segno che la comunità oblata’ coreana in questi anni è stata capace di inserirsi nel contesto della società e della Chiesa, portando il proprio contributo di vita profetica e missionaria”. Aeroporto di Doha (Qatar), lunedì, 5 gennaio 2015 Lasciamo la Corea per la Cina, raggiungendo l’aeroporto di Seoul alle cinque del mattino del 1° gennaio 2015. Impressiona un po’ pensare ad un “Capodanno in transito”, ma anche, con qualche nostalgia, all’Italia, dove si sta consumando il cenone, aspettando i botti pirotecnici di mezzanotte. L’aereo atterra all’aeroporto di Pechino: impressionante la struttura. All’uscita scorgiamo padre Giovanni, sorridente alla cinese nel darci il benvenuto, ma su una sedia a rotelle a seguito di una complessa operazione alla tibia e perone, fratturatisi per una rocambolesca caduta in bicicletta il 17 novembre scorso, mentre rientrava da una scuola per insegnare inglese. In mezzora il taxi ci conduce nel quartiere dove padre Giovanni risiede con altri due Oblati. Guardando alle palazzine popolari che costituiscono l’abitato, il contesto ci appare simile ad un qualsiasi altro quartiere delle nostre città, ben lontano da ogni immaginazione, legittima crediamo, che ci portiamo dentro della Cina per una certa cinematografia e per quel fantasticare su fisionomie paesaggistiche tipiche del paese dei “mandarini”. Ad ogni modo, siamo nella terra che ha fatto la leggenda di Marco Polo e di uomini straordinari come Matteo Ricci e san Francesco Saverio. Siamo nella grande Cina, dove tutto impressiona a partire dai numeri: estensione Kmq 9.706.961, quasi venti volte la Spagna, trentadue l’Italia; abitanti poco meno di 1.400.000.000, più di un quinto della popolazione mondiale. In Cina i cattolici “dovrebbero essere” circa dodici milioni (mancano statistiche ufficiali), presenti nelle 138 diocesi del paese (90 quelle riconosciute dal governo). Come è risaputo, ci sono cattolici che appartengono alla “Chiesa patriottica” con i vescovi nominati dal governo cinese, per buona parte riconosciuti dalla Santa Sede, e una “Chiesa clandestina”, da sempre fedele a Roma, che ha vissuto forti restrizioni negli anni rigidi del comunismo. Secondo certe statistiche i preti sono quasi 3.000 e più di 5000 le suore; difficile stabilire il numero dei religiosi presenti, non potendo questi dichiararsi pubblicamente. 10 Mentre in Cina, negli anni sessanta, iniziava la “Rivoluzione culturale”, che metteva sottoscacco ogni espressione religiosa ed impediva agli stranieri di entrare nel paese, gli Oblati della Provincia delle Filippine arrivarono ad Hong Kong nel 1966. La presenza oblata fu denominata “Missione di Hong Kong” e fu focalizzata nell’educazione e nel lavoro pastorale legato all’attività scolastica con altre fondazioni e l’assunzione di parrocchie (attualmente ad Hong Kong - dal 1997 parte integrante dello stato cinese - gli Oblati svolgono il loro ministero in due parrocchie e dirigono ben quattro scuole, due elementari e due medie superiori; sono anche impegnati come cappellani in un ospedale e un carcere). Nel marzo 1990, la Missione fu affidata alla Provincia Australiana, prendendo successivamente il nome di “Missione di Cina”. Nel 2006 iniziarono le prime saltuarie presenze di due oblati in Pechino e, nel 2008, si dette il via ad una comunità con padre David Ullirch, americano, superiore della Missione di Cina dal 2006, e padre Luc Young (figlio di cinesi, nato nelle isole Mauritius), nominato superiore della comunità. Per sviluppare un’appropriata forma di presenza missionaria, si avviò un’attività sociale per bambini diversamente abili e abbandonati in tandem con l’Associazione China Little Flower; inoltre, si favorì una serie di attività legate ad un progetto di “interscambio culturale” con alcune scuole per lo studio della lingua inglese. In questo contesto non facile, ma in rapida evoluzione, nel 2011 si è inserito padre Giovanni Zevola, classe 1962, avellinese di Zungoli, oblato dall’87 e prete dal ‘90, missionario in Corea dal 1991 al 2011 (qui ha lavorato nella Diocesi di Suwon, mettendo in piedi l’ufficio per l’accoglienza degli immigrati, di cui è stato responsabile dal 1992 fino al 2005). Ci confida che, una decina di anni fa, era in lista di attesa per la Russia: lui ci credeva, ma le cose andarono diversamente. Così, con in mano una licenza in Sacra Scrittura, cominciò a tenere ritiri spirituali a preti e religiosi/e di alcune diocesi coreane e corsi biblici ai formatori di alcuni Istituti religiosi. Nel 2010, in occasione del suo 25mo di vita religiosa, gli viene concesso un anno sabatico, durante il quale matura la decisione “di rendersi disponibile per qualsiasi tipo di missione, pronto a qualsiasi obbedienza pur di non lasciare nulla di intentato per l’evangelizzazione”, come ci confida. Oramai sicuro di essere destinato alle Filippine come formatore, la Provvidenza, che porta il nome di “santa obbedienza”, lo conduce in Cina. Ci racconta che nella lettera per la prima obbedienza, scritta al Superiore Generale, padre Zago, aveva espresso il desiderio di essere missionario nel grande paese asiatico. Vent’anni dopo il sogno si avverava attraverso vie misteriose, ma di certo segnate dalla grazia divina e forse con lo zampino celeste dello stesso padre Zago. Così, da tre anni, p. Zevola vive in un appartamento in una zona periferica a Nord-Est della capitale, precisamente a Houshao, a trenta chilometri dal centro storico, da piazza Tiennamen, tanto per citare un luogo noto a tutti. 11 Qui, dopo lo studio impegnativo della lingua, si è inserito nel lavoro pastorale che gli Oblati stanno portando avanti con gli orfani abbandonati e in alcune iniziative tese a promuovere ciò che si potrebbe chiamare “scambio interculturale”, ben visto dalle autorità governative, attraverso l’insegnamento della lingua inglese. Quest’ultima realtà è stata possibile grazie alla costituzione dell’associazione “De Mazenod”, approvata dal governo, per l’insegnamento della lingua inglese a bambini e ragazzi dai 5 ai 15 anni. In questa linea, gli Oblati sono riusciti ad inserirsi in una scuola pubblica con 900 allievi (70% degli studenti provenienti da famiglie povere, figli di immigrati cinesi provenienti dalle zone interne e meno sviluppate del paese) sempre per l’insegnamento della lingua inglese. Mai domo nell’inventarsi qualcosa per la missione, girando in bici per i quartieri più poveri della capitale, padre Giovanni è riuscito ad entrare in contatto con la gente del villaggio di Gucheng. Qui, lo scorso anno, affittando una modesta abitazione, ha aperto un piccolo centro per fare un doposcuola per bambini delle elementari e medie, sempre proponendo lo studio della lingua inglese. Da qualche mese la stessa proposta è stata rivolta alle mamme dei partecipanti con un buon successo. Il prossimo step, ci dice p. Giovanni, è quello di organizzare delle attività ludiche e ricreative per le persone anziane del quartiere. Un momento intenso, che lascia il segno nel nostro animo, è la messa in cattedrale, domenica, 4 gennaio. Ci accompagna padre Giovanni, anche se siamo noi ad accompagnare lui, spingendolo sulla carrozzina come buoni barellieri lourdiani. La chiesa è gremita, l’assemblea è multietnica. Si prega in inglese, si canta in latino con la Missa De Angelis. Tra i fedeli, ci bisbiglia padre Giovanni, ci sono molti religiosi e preti in incognito (noi, tre Oblati presenti, ne siamo la prova!), che talvolta vengono allo scoperto per il semplice modo di pregare, di sorridere, anche solo di salutare. Il prete che presiede l’eucarestia, un giovane cinese, accoglie tutti con un gran sorriso. E con lo stesso “faint smile” ci dà l’arrivederci. Padre Zevola ci tiene a dire che questa “è una missione diversa da qualsiasi altra: siamo in un paese che sta vivendo una grande trasformazione con ripercussioni sul mondo intero, ma c’è ancora il passato che pesa soprattutto in relazione alle questioni religiose, anche se la Costituzione dell’82 concede la libertà di religione pur sotto il controllo dell’Ufficio per gli Affari Religiosi. Qui non possiamo dire di essere preti, siamo nel paese come operatori 12 sociali, anche se siamo liberi di muoverci più di quanto si possa immaginare. Il vescovo di Pechino non sa della nostra presenza e non conosce il numero dei religiosi che sono nella sua diocesi. Ci sono tante congregazioni presenti qui a Pechino, ma non ci conosciamo, ognuno si muove dietro attività particolari, quasi sempre nell’ambito dei servizi sociali o nel mondo accademico. La grande difficoltà è quella di sentirsi Chiesa, di sentirsi parte di un corpo; talvolta si ha l’impressione di camminare da soli, di non avere alcun riferimento. Ma sono ottimista, guardando il futuro: i rapporti tra il governo e la Chiesa, al di là di qualche scossone, procedono positivamente e penso che tra cinque o dieci anni si potrà entrare in Cina con un “visto da religiosi”. Ora dobbiamo costruire il futuro lavorando sui rapporti, incontrando la gente, fare amicizia con chi è cristiano. Dobbiamo imparare a riconoscerci e a condividere il nostro cammino umano e spirituale”. “La Cina chiama”, ci fa intendere padre Zevola. Così l’Asia! Mentre nel giorno dell’Epifania, il nostro viaggio si conclude con quasi sedici ore di volo lungo la tratta Pechino-Doha (Qatar)-Roma, la missione nel grande Continente asiatico è appena iniziata. Se il prossimo millennio sarà sotto l’egida asiatica, lo dicono fin d’ora i numeri che raccontano lo stato demografico ed economico di questo Continente, forse anche per il Cristianesimo si apre un tempo nuovo, caratterizzato dallo spostamento ad Oriente, e non solo verso il Sud del globo, dei processi di evangelizzazione. Intanto Auguri speciali, carichi di speranze evangeliche, per questo quindicesimo anno del terzo millennio cristiano. Che sia un “anno di grazia” per tutti noi, in particolare per la vita religiosa e per la Chiesa. Soprattutto per quella asiatica, oggi piccolo seme nell’immenso universo religioso e sociale di questo Continente, ma che fa intravvedere novità dense di Vangelo accolto e vissuto. In J.C. et M.I., Padre Alberto Gnemmi, omi (Provinciale) e padre Adriano Titone, omi (Procuratore per le Missioni Estere) 13