IL PARADOSSO DI BRUXELLES: RIFLESSIONI DI UNA GIOVANE

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IL PARADOSSO DI BRUXELLES: RIFLESSIONI DI UNA GIOVANE
26/3/2016
Il paradosso di Bruxelles: riflessioni di una giovane erasmiana nel “lontano” 2012 | Il Domani d'Italia
IL PARADOSSO DI BRUXELLES:
RIFLESSIONI DI UNA GIOVANE
ERASMIANA NEL “LONTANO” 2012
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Autore/i: Maria Pia Di Nonno
2016
ho ritrovato una mia riflessione del 2012 (quando ero in Erasmus a Bruxelles) riguardante
la pericolosità della città di Bruxelles. E' una riflessione che ho riportato anche nella tesi. A
dimostrazione che il problema di Bruxelles era un problema "non visto" dalle istituzioni, ma
presente già da parecchi anni.
Fiumi di belle parole scorrono nei palazzi di Bruxelles, ma il difetto è che
quei nobili ideali non dovrebbero essere frutto solo ed esclusivamente della
creatività di quella gente in giacca e cravatta che ogni giorno percorre i
corridoi e le scale mobili del Parlamento europeo; che si perde tra i mille
ascensori della bella sede di Berlaymont; che fa la fila ai buffet del pranzo
riempiendosi i piatti con salmone, tramezzini echeesecake; che discute nelle
belle sale rivestite di moquette provvisti di microfoni e cuffie, che beve caffè
annacquato; che si preoccupa di allestire sui terrazzi della sede del Comitato
delle Regioni un vero e proprio allevamento di api.
Pochi a Bruxelles sapevano che il 31 maggio 2012 fosse possibile partecipare
gratuitamente ad un pranzo sull’enorme terrazzo del civico 99­101 su Rue
Belliard e assaggiare il miele lì prodotto accompagnato da un pregiato
bicchiere di vino bianco e del buon formaggio. Solo i fortunati funzionari,
politici e stagisti europei, che ruotano in quell’iperuranio, potevano saperlo.
Questo non mina la fiducia riposta nell’Unione Europea, questo non è
euroscetticismo, questa è un’analisi dei possibili motivi che non hanno ancora
reso possibile di rendere giustizia al progetto dei Padri Fondatori e delle
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Madri Fondatrici.
Il progetto è ancora troppo poco politico. Questi tecnici senza volto che il
popolo a mala pena conosce, che lavorano ossequiando solo le clausole del
loro contratto di assunzione, che vivono arroccati nel bel quartiere europeo di
Schuman tra Rue de la Loi, Rue du Trône, Rue du Luxembourg, Rue Belliard
devono scendere in piazza e osservare il mondo che li circonda. Si parla tanto
di immigrazione e integrazione, ma allora perché i palazzi di Bruxelles non
iniziano con il risolvere il problema nella città che li ospita?
Glorioso e contemporaneamente nefasto destino quello che ha colpito una
tranquilla città del Belgio, dove le case non avevano porte blindate e dove si
passeggiava con tranquillità nelle piovose, ma pacifiche, viuzze circostanti la
Bourse e la Grande Place. Nell’ultimo tempo quella città è cambiata molto.
Sottoposta ad un estenuante fenomeno di sprawl urbano ha visto le case del
centro trasformarsi in alloggi a basso prezzo per quegli stranieri che qualche
soldo per l’affitto lo riescono ancora a racimolare, le scale della vecchia
prestigiosa Borsa collocata su Rue Anspach riempirsi di giovani e migranti
senza futuro che passano le proprie giornate a bere o se non peggio; le
stradine con le tipiche cioccolaterie del posto diventare luoghi di scippo,
stazioni come Gare du Midi o Gare du Nord diventare inaccessibili dopo un
certo orario con la povera gente distesa su dei cartoni che sono la loro unica
proprietà; Matongé trasformarsi in un ghetto dove gli africani sono segregati
e dove la ricchezza principale consiste nello spaccio di sostanze stupefacenti;
le ragazze camminare per strada accompagnate oppure avanzare con passo
svelto e deciso per paura di ricevere qualche apprezzamento di troppo. Un
reportage della ZDF (Zweites Deutsches Fernsehen) descrive Bruxelles come
«la ville plus dangereuse d’Europe» e delle recenti statistiche europee la
collocano al quinto posto su ventisette come capitale europea più pericolosa.
Questo a riprova che i politici europei dovrebbero preoccuparsi meno di
impiantare alveari sulle sedi comunitarie, quanto piuttosto guardarsi intorno,
osservare la società, diventarne gli spazzini, sfogliare ogni tanto il bel libro
del sociologo svedese Ulf Hannerz «Esplorare la città: antropologia della vita
umana».
Il paradosso di Bruxelles, questa frattura tra élite potente e ricca e
popolazione immigrata povera e mal integrata non può che dimostrare,
nuovamente, che a nessuno importa che sulla moderna sede del Comitato
delle Regioni siano stati impiantati degli alveari, e che la presenza di api in
città sia sintomo di salubrità. O meglio importa anche quello, ma dopo che si
siano perlomeno risolti problemi ben più urgenti come la sicurezza,
l’integrazione, l’evitare che nella città si aggiri un serial killer dei barboni. Il
progetto europeo deve rinnovarsi e abbandonare l’egocentrismo istituzionale
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che lo ha caratterizzato fino adesso per mettere al centro i cittadini, i loro
problemi, le loro speranze e le loro esigenze. La cittadinanza europea è
un’altra promessa non mantenuta. E questo dovrà esser fatto con iniziative
che partono dal basso, dal locale e che rendano tutto più umano, vicino e
raggiungibile.
(Tratto da Di Nonno Maria Pia, Una Comunità a misura d’uomo: la
Comunità olivettiana come luogo di risanamento politico, socio­economico e
morale, Fondazione Olivetti, Collana Intangibili “Tesi”, Roma, 2014)
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