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Università degli Studi di Siena Concorso per l’ammissione al Corso di Dottorato di Ricerca in Archeologia Medievale Candidato: Caterina Pittera LE CERAMICHE SMALTATE SPAGNOLE DI XIII-XVI SECOLO COME INDICATORE ARCHEOLOGICO DEL COMMERCIO TRA LA PENISOLA IBERICA E L’ALTO TIRRENO Anno accademico 2008-2009 Premessa La ceramica in epoca passata non ha mai costituito una “merce primaria” negli scambi commerciali e soprattutto nel traffico marittimo. La sua presenza nel carico delle imbarcazioni è legata alla funzione di recipiente da trasporto (giare e anfore), oppure di merce secondaria, appunto la così detta “merce d’accompagno”, impilata negli spazi lasciati liberi dal carico principale1. Sono rari, quindi, i documenti medievali in cui si possano trovare tracce dirette degli scambi e delle importazioni di ceramica tra una zona ed un’altra e, qualora se ne trovino, la terminologia utilizzata in questi elenchi crea allo studioso odierno non pochi problemi di confronti con il dato archeologico2. Il presente progetto di ricerca si prefigge lo scopo di contribuire a colmare queste lacune informative, attraverso un’attenta analisi del dato archeologico. Nello specifico si investigherà la diffusione delle produzioni ceramiche bassomedievali provenienti dalla Penisola Iberica in relazione ai ritrovamenti archeologici della Liguria, della Toscana, della Corsica e della Sardegna, nella prospettiva di ampliare le conoscenze sulla circolazione di questi reperti e anche sulla loro funzione di “indicatore archeologico” dei commerci tra Spagna e l’Italia. 1 Secondo una dinamica che è stata definita da J.P. Morel “parassitismo commerciale” (MOREL 1981, pp. 91-92.) Un esempio è fornito dall’archivio del mercante Francesco Datini, strumento ricchissimo di spunti per una trattazione su questo tema. 2 1 Nella prima fase della ricerca, si procederà ad un’approfondita revisione del materiale già edito per la Liguria, Pisa e Firenze, la Sardegna settentrionale e i centri della Corsica soggetti al dominio catalano-aragonese. Tale materiale verrà nuovamente analizzato, anche alla luce degli studi più recenti condotti in Spagna. In una seconda fase di studio, si avvieranno il censimento e la catalogazione di materiali inediti provenienti da alcuni scavi archeologici condotti nelle principali città interessate nel commercio con la Spagna3. Il tema in esame è stato trattato in passato per alcune realtà territoriali - in modo particolare Pisa - grazie al contributo di Graziella Berti4 e Liliana Tongiorgi, autrici di un vastissimo corpo di studi incentrato sulla circolazione delle ceramiche importate a Pisa nel basso medioevo e sui rapporti commerciali tra Pisa e i porti mediterranei. Inoltre, in collaborazione con Catia Renzi Rizzo5, Graziella Berti ha intrapreso uno specifico studio per risolvere la già accennata scissione tra fonti e dato archeologico, indagando sul lessico e studiando le denominazioni dei manufatti ceramici contenute nelle fonti archivistiche. Il suo lavoro, poi, non si è limitato alla sola Toscana, ma si è esteso anche alla Corsica, già dominio pisano, tramite il censimento dei bacini murati delle chiese romaniche6, molti dei quali provenienti dalla penisola Iberica. Per quanto riguarda la Liguria, molto si è fatto: dai primi studi di Mannoni7 e Blake8 sulle ceramiche allora denominate “ispano moresche”, al censimento dei bacini murati liguri condotto da A. Gardini e F. Benente9, sulla scia di quello condotto a Pisa, all’analisi dei materiali provenienti dal vastissimo contesto del Priamar di Savona, condotti da Carlo Varaldo10, fino ai più recenti articoli pubblicati da Garcia Porras sulle ceramiche spagnole nella Liguria di Ponente11. Quel che manca è però uno studio di più ampio respiro, in grado di offrire una visione di insieme che superi i particolarismi territoriali e capace inoltre di unire il dato storico archivistico a quello archeologico. 3 A tale proposito sono stati avviati contatti preliminari con Istituto Internazionale di Studi Liguri e Soprintendenza per i Beni Archeologici della Liguria, prof. Carlo Varaldo, dott. Fabrizio Benente, dott. Alexandre Gardini e dott.ssa Piera Melli (Liguria); con Prof. Philippe Pergola e dott. Daniel Istria (Corsica); con dott. Monica Baldassarri e dott.ssa Graziella Berti (Pisa e Toscana). 4 Per quanto riguarda i riferimenti alla vastissima opera di Graziella Berti si rimanda alla bibliografia finale. 5 RENZI RIZZO 1997 6 BERTI TONGIORGI 1975 7 MANNONI 1975. 8 BLAKE 1972. 9 GARDINI, BENENTE91993 10 VARALDO 2001 11 GARCIA PORRAS 2001-2005 2 A partire dal XIII secolo, infatti, si assiste ad un significativo aumento dei documenti archivistici e delle fonti librarie conservatesi fino ai giorni nostri e utilizzabili come utile strumento di indagine e ricerca. Un esemplare e paradigmatico studio che si sviluppi a partire da fonti documentali è quello di Marco Tangheroni. Il suo “Commercio e navigazione nel medioevo ”12, infatti, prende le mosse da importanti documenti, quali il “Compasso da navigare” o la ”Pratica della mercatura” del Pegolotti (testi risalenti al XIIIXIV secolo), e ricostruisce con una certa precisione le rotte più frequentate e di conseguenza i porti più utilizzati del mediterraneo occidentale. 1. Oggetto della ricerca La geografia politica del Mediterraneo occidentale nel basso medioevo è in continua mutazione; i poteri territoriali, le grandi città tendono a riversare tutte le loro energie nel accaparrarsi i nodi strategici delle rotte commerciali tra cui le isole Baleari, la Corsica e la Sardegna. Nel giro di pochi secoli queste aree passeranno, attraverso vere e proprie guerre di conquista, dal dominio pisano, a quello genovese, per poi giungere nelle mani dei Catalani. Ma se si analizza il dato archeologico dei materiali importati non emergeranno cesure, ma anzi, una continuità che sta a testimoniare quanto il commercio vada oltre la politica e la diplomazia, e come i rapporti economici continuino a mantenersi, sebbene vi sia scontro tra le parti. Esempio ne sono i commerci che si mantengono per tutto il medioevo tra mori e cristiani. Si è scelto quindi di utilizzare la ceramica spagnola quale “marker” dei traffici tra l’occidente iberico e le regioni che si affacciano sul nord tirreno proprio per la sua caratteristica di essere un oggetto “multietnico”; la sua produzione, infatti, avviene sia nei centri islamici che in quelli cristiani con caratteri formali, motivi decorativi e tecniche di produzione quasi totalmente identiche. Il tema dei contatti tra le città costiere italiane con la penisola iberica è stato ampiamente trattato sia da studiosi conterranei sia da quelli Spagnoli. Gabriella Airaldi13 e Marco 12 13 TANGHERONI 1996 AIRALDI 2002 - 2004. 3 Tangheroni14 se ne sono occupati per le città di Genova e Pisa, principali potenze protagoniste del dialogo con le realtà iberiche, tentando con le loro opere di analizzare la complessità di questo tema. Dai loro studi emerge la natura cosmopolita di queste due città, a sottolineare il fatto che il Mediterraneo medievale non è stato soltanto scenario di conflitti politici e confronti bellici, ma anche luogo di dialogo e continuo scambio commerciale. Oltre a queste due città, si devono tenere in conto anche tutte quelle altre realtà che, sebbene di modeste dimensioni, ricoprivano ruoli di enorme importanza nelle logiche commerciali e che sono ricordate nei portolani15 dell’epoca, e probabilmente toccate da navi, mercanti e marinai. Ci si riferisce alle Baleari16, nodo fondamentale per i traffici e le rotte catalane e aragonesi, la Corsica e la Sardegna oggetto di contese da parte di italiani e spagnoli, le città minori Liguri e Toscane, quali Savona, Albissola, Noli, Lucca, Livorno, e in seguito con la caduta di Pisa in mano fiorentina, Firenze. Il “Compasso da Navegare”17 e il “Pratica della mercatura” di Pegolotti, documenti di XIII e XIV secolo enumerano i porti dall’estremo occidente fino al mare Adriatico. Nello specifico dei nostri studi possiamo immaginare un sistema marittimo che partisse da Gibilterra, passasse per Siviglia, Malaga, Almeria, Cartagena, Valenza, Tortosa fino su a Barcellona; da qui si diramavano tre rotte quella che portava al Magrheb, quella per il sud Italia e la Sicilia, e infine quella che interessa maggiormente i nostri studi: la rotta che collegava la Catalogna alla Francia meridionale, alla Liguria e a Pisa. Il Compasso ricorda, quindi, i porti di Nizza, Monaco, Ventimiglia, Sanremo, Porto Maurizio, Noli, Vado, Savona, Genova, Portofino, Rapallo, Porto Venere e infine Porto Pisano. Questo a testimonianza della dinamicità e del fermento che caratterizzano il basso medioevo. Si hanno testimonianze18 di colonie di mercanti genovesi in tutti i maggiori porti iberici, da Sivilla a Granada, da Valencia a Barcellona, grazie al fatto che spesso i commerci tra queste città erano favoriti da esenzioni fiscali a favore dei mercanti liguri: Genova pagava alla corona di Aragona solamente il 5% di tasse contro il 10% delle altre città. Privilegi dovuti alla politica di aiuti nei confronti della corona spagnola che la città ligure aveva perseguito nel XII secolo per sconfiggere gli invasori mussulmani: la così detta crociata 14 TANGHERONI 1996 TANGHERONI 1996, pp. 16 BERTI 1998 17 TANGHERONI 1996. 18 AIRALDI 2004, pp. 219-259. 15 4 genovese che aveva portato alla liberazione di Tortosa e Almeria e che aveva fruttato ai genovesi 10.00019 marabottini. Situazione simile si ha con i Pisani che erano ben presenti nei porti del territorio iberico20, sebbene nemici degli Spagnoli sul fronte della Sardegna e della Corsica. Da questa breve analisi emerge un dato fondamentale che si cercherà di approfondire nel corso della ricerca: la variazione degli assetti politici e delle zone di influenza per l’area presa in esame dovuta anche a una forte policentricità del mediterraneo medievale. In ragione di tutto questo, lo scopo di questo progetto è quello di proporre uno studio di insieme non parcellizzato capace di fornire una visione globale dei traffici tra le città spagnole e quelle del nord tirreno, ma senza perdere di vista le singole vicende e specificità delle zone interessate. 1.1 - Ceramiche decorate a lustro e a blu e lustro Tra la fine del XI-sec. e l’inizio dell’XII si assiste alla comparsa in Andalusia di una produzione di ceramiche decorate totalmente a lustro, tecnica già sviluppata nel mondo islamico a partire dall'epoca Abasside (IX-X sec) a Baghdad e in Egitto e giunta in Europa con la conquista islamica della Penisola Iberica. Se ne hanno testimonianze di XII sec. in un documento del 1154. El-Edisi racconta, infatti, che questa ceramica veniva elaborata a Calatayud21. Sicuramente la tecnica della decorazione a lustro a terzo fuoco giunse nella Penisola Iberica dal Mahgreb islamico tramite traffici e commerci, ma anche per uno spostamento di artigiani che dal nord Africa portarono nella Penisola Iberica le conoscenze necessarie alla produzione di questo tipo di materiali. Tra i centri di maggiore produzione figurano Medina Al Zaharat, Malaga e Murcia22 attive dal XII secolo. I motivi decorativi, che saranno ripresi (come vedremo in seguito) da tutte le successive produzioni spagnole, sono propriamente quelli islamici; vanno da quelli vegetali stilizzati, a 19 IGUAL NAVARRO 1995, p. 64. IANNELLA 2005 p.209. 21 FLORES ESCOBOSA 1988 p. 15. GARCIA PORRAS 2002 p.53-62 22 NAVARRO PALAZON 1995. NAVARRO PALAZON 1984. 20 5 quelli epigrafici, zoomorfi (soprattutto figure di uccelli) a quelli geometrici (motivo a stella). In alcuni casi il lustro viene graffiato e decorato con finissime decorazioni astrattovegetali. La disposizione del motivo decorativo, spesso realizzato a risparmio, nella maggior parte dei casi è centrale e l’area compresa tra il cavetto e l’orlo divisa in bande campite con fini motivi vegetali. La ceramica decorata a solo lustro, utilizzata come oggetto di lusso cortigiano, scompare con la progressiva “reconquista” dei territori andalusi agli inizi del XIII secolo Da questo momento in poi, a prendere campo sarà la decorazione a blu e lustro, quella prodotta presso l’ultimo baluardo islamico in Andalusia: il Regno Nazarì di Granada. Il tema dei primi lustri andalusi e delle produzioni islamiche della Penisola Iberica è stato già oggetto di accurati studi, anche da parte di Graziella Berti e, per non ampliare eccessivamente la forbice cronologica e tematica del progetto di ricerca, riteniamo di concentrare la nostra analisi sulle ceramiche prodotte tra XIII e XVI secolo, partendo quindi dall’esame delle produzioni decorate a blu e lustro. La decorazione a blu e lustro è il risultato dell’utilizzo di ossido di cobalto con l’applicazione di lustro a terzo fuoco, una tecnica databile tra la metà del XIII sec. e la fine del XV sec. Data la somiglianza tra queste ceramiche andaluse e la più tarda produzione valenciana, la distinzione tra questi due gruppi ha creato in passato problemi di attribuzione; sebbene per caratteristiche tecniche e formali esse abbiano molti punti in comune, sono in realtà due aree di produzione a se stanti, soprattutto dopo la cristianizzazione dell’area Aragonese. Alberto Garcia Porras si è posto il problema nel 200023 e ha provato a fornire una risposta, proponendo il termine “ceramica nazarì”, per quanto concerne la ceramica prodotta in area Andalusa, e “ceramica valenciana”, per quel che riguarda la ceramica prodotta nell’area omonima. Quest’ultima, poi, viene suddivisa24 in “loza azul” e “loza dorada”, a sua volta distinta in “estilo malagueño”, “tipo Pula” ed “estilo classico”. La ceramica decorata a blu e lustro, come detto sopra, fa la sua comparsa nel sud della Spagna e precisamente nell'area di Granada e dintorni (Malaga, Granada, Almeria), ossia nell’area che costituiva il Regno Nazarì, agli inizi del XIII-XIV secolo. 23 24 GARCIA PORRAS 2000, pp.131-134. VINCEN LERMA ET ALII, 1992, pp.15-16. VINCENT LERMA, MARTI, PASCUAL ET ALII, 1984, pp. 190-203. 6 Negli ultimi anni si è si sono proposte ipotesi25 su come si sia giunti alla elaborazione di questa tecnica e sopratutto su come si sia arrivati all'utilizzo della decorazione in blu. L'utilizzo del cobalto per la decorazione delle ceramiche in epoca medievale è noto in Iran nelle produzioni delle città di Rayya e Kashan nel XII sec., con una produzione simile a quella nazarì, e cioè l'uso di lustro e blu. A causa dell'enorme distanza tra le due aree in esame però si è escluso che la produzione iberica sia stata influenzata direttamente da questa ceramica iraniana. Si è ipotizzato quindi che dall'Iran queste conoscenze e queste tecniche siano arrivate in Siria, probabilmente tramite le grandi masse migratorie dovute all'invasione mongola dell'area persiana, di cui si hanno testimonianze nelle fonti26. Ulteriore tramite tra l'Oriente e la Penisola Iberica deve essere stata la Tunisia, come possono testimoniare le ceramiche decorate a cobalto manganese di XII-XIII secolo, simili a quelle andaluse per i temi decorativi e per l'utilizzo del cobalto. Anche in quelle aree infatti l'instabilità politica portò a migrazioni di popolazione verso Al Andalus e probabilmente anche di artigiani che portarono con se le conoscenze tecniche sviluppate in patria. La “loza azul” y dorada" nazarì del XIV secolo nasce, quindi, dallo sviluppo, dall'elaborazione e dall'unione di tecniche provenienti dal mondo islamico orientale, attuato tramite un trasferimento di maestranze e di conoscenze empiriche. Originariamente questo tipo di ceramica viene prodotta come oggetto di lusso, destinato alla nobiltà dell'Alhambra di Granada e del Regno. Ben presto però si riscontra, sia nelle fonti documentarie che archeologiche una diffusione e una richiesta di questo tipo su tutto il territorio spagnolo ed Europeo. Si è cercato in questi anni di capire quali dovessero essere i centri di produzione di queste ceramiche; ancora oggi, sebbene le numerose nuove scoperte e la sempre maggiore attenzione della comunità scientifica sull'approfondimento di questi temi, non si è data una risposta definitiva a questo quesito. Per anni si attribuiva questo tipo di lavorazione a due singoli centri: l'Alhambra di Granada, sede centrale del Regno e Malaga, spesso citata dalle fonti come centro produttivo di questi manufatti. Le nuove campagne di indagine archeologica condotte nella città di Almeria27, con il rinvenimento di quartieri artigianali che producevano ceramica decorata a blu e lustro, 25 GARCIA PORRAS 2002 p.53-62 FLORES ESCOBOSA 1988 p.17. 27 FLORES ESCOBOSA, 1998 pp. 187-194. 26 7 hanno cambiato questa concezione, proponendo una visione policentrica della produzione di loza azul y dorada in Al-Andalus. Si procederà ora con una breve descrizione dei caratteri formali e decorativi che contraddistinguono la produzione decorata a blu e lustro di epoca Nazarì. Si tratta di ceramiche smaltate, decorate con un pigmento blu cobalto, con il lustro, applicato al terzo fuoco, ossia realizzato tramite l'applicazione sul pezzo già decorato e cotto di solfuri metallici (spesso di rame). Gli impasti riscontrati, abbastanza duri, possono apparire molto diversi tra loro: si passa dal rosa arancio al giallino, con a volte la presenza di inclusi bruni allungati e quarzo Lo smalto e di color bianco latte e il blu della decorazione è un intenso blu cobalto. il colore del lustro può essere vario: dal giallo, verde oliva, rosso fino al marrone ramato. Tuttavia, per i frammenti provenienti da contesti di scavo è spesso difficile stabilire la colorazione originaria del lustro, poiché quest’ultimo è soggetto a degrado a causa del contatto con la terra. Le forme della ceramica nazarì sono varie, e comprendono, oltre a quelle tipiche aperte (ciotole, scodelle piatti con tesa) anche alle chiuse e contenitori dall'alto piede. Il motivo decorativo nella maggioranza dei casi è tracciato con ampie e semplici linee in blu che definiscono figure, ed è poi integrato da una elaborata decorazione a lustro, spesso a motivo vegetale. I temi principali utilizzati dai ceramisti sono a carattere geometrico, vegetale, epigrafico, e zoomorfo. I temi decorativi possono essere disposti attorno ad un quadrato o ad una stella centrali, o disposti a raggiera, con bande di decorazione o epigrafica o vegetale che corrono sulla tesa. La produzione di questa ceramica è attestata per l'area dell'Alhambra28 a partire dal secondo quarto del XIII secolo fino al XV secolo; la produzione degli ultimi anni però risulta molto standardizzata e povera di quella creatività che distingueva i primi pezzi.Questo tipo di ceramica ha un’ampia area di esportazione: nel XIV secolo, la produzione Nazarì è ampiamente commerciata e ve ne sono testimonianze dall'Iraq all'Inghilterra. Alla fine del XIV secolo con la reconquista cristiana, inizia il declino di questo centro di produzione a favore di quelli cristiani; uno su tutti Valencia, con le limitrofe Paterna e Manises. Questa nuova produzione compare improvvisamente e già in fase tecnicamente 28 FLORES ESCOBOSA 1988 p.15 8 sviluppata, e ciò ha fatto supporre che la produzione di “loza dorada” valenciana sia stata avviata a seguito dello spostamento verso il nord di artigiani mussulmani. L'influenza dei temi più tipici della ceramica nazarì è evidente, soprattutto nei motivi decorativi delle prime produzioni valenciane. Nel XIV secolo si sviluppano nell'area valenciana tre tipi di produzione: quella a verde e manganese, la “loza azul”, ceramica decorata solamente in blu e la “loza dorada”, decorata a blu e lustro. Questi tipi dovevano essere prodotti coevi e probabilmente in una stessa officina si produceva più di un tipo di ceramica. Questo elemento è testimoniato dalla presenza di macchie di colore verde su alcuni pezzi di “loza dorada” riscontrati in indagini di scavo negli ultimi anni. Le prime testimonianze di una produzione di “loza dorada” e “loza azul” a Valencia si hanno a partire dal secondo quarto del XIV secolo29. La “loza azul” compare contemporaneamente alla “loza dorada” e continua la sua produzione fino alla metà del XV secolo. E' caratterizzata da impasto rosato morbido, smalto lucido color latte e decorazione a spessi tratti in blu. I motivi decorativi sono quelli della palmetta, delle bande a graticcio, delle foglie nervate disposte radialmente. Temi, tutti quanti, utilizzati nella produzione di “loza dorada”. Negli ultimi anni, Vincent Lerma30, Mercedes Mesquida31 e, in seguito, Jaume Coll Conesa32 e Garcia Porras33 hanno dedicato una rinnovata attenzione allo studio della “loza dorada”, cercando di costruire una sequenza crono tipologica per la produzione di Valencia.La prima fase produttiva definita "stile malagueño" compare appunto dal primo quarto del XIV alla fine del XIV secolo. Come si può intuire dal nome, questa produzione fa suoi i motivi decorativi andalusi ed è l'anello che lega la produzione Nazarì a quella Valenciana. E' caratterizzata da pigmenti molto diluiti e da decorazioni fini a stella con al centro una decorazione vegetale ad arabesque. Le forme sono quelle tipiche di Valencia e cioè i piatti con ampia tesa, le scodelle e le ciotole. Dalla metà del XIV inizia un altro tipo di produzione il cosiddetto "tipo Pula"34, che prende il nome dal sito sardo in cui fu ritrovata una grande quantità di queste ceramiche, 29 GARCIA PORRAS 2000 p 131-144. VINCENT LERMA 1992 31 MECEDES MESQUIDA 2001 32 COLL CONESA 2006 COLL CONESA, PEDRO LOPEZ ELUM, 2005 33 GARCIA PORRAS 2003 34 BLAKE 1986 30 9 prodotte probabilmente dai ceramisti di Paterna. Caratterizzata da un impasto morbido e rosato, la ceramica Pula ha nel suo corredo decorativo motivi ancora islamici ma più standardizzati, nel quadro di una produzione maggiormente seriale. Si trovano motivi centrali tipo stelle o fiori creati da spesse linee in blu intersecate, foglie nervate, nel numero di quattro o sei, con lungo stelo disposte a raggiera, o singoli alberi della vita decorati ad "atauriques". Anche il motivo epigrafico è ripreso da quello andaluso ma ormai è usato più per il gusto decorativo che per il suo significato (nelle ceramiche andaluse infatti erano presenti epigrafi di buon augurio sulle ceramiche). E' però con la fase successiva, lo "stile classico", che la ceramica valenciana assume una propria identità abbandonando i motivi islamici e utilizzando temi propri anche della cultura cristiana. Fa parte di questa produzione matura, che sarà prodotta per tutto il XV sec., la decorazione tipica a fiori di brionia di Manises, la decorazione epigrafica, con lettere gotiche, riportante formule cristiane tra cui "IHS" e "AVE MARIA", le foglie di edera e prezzemolo che corrono lungo la tesa di piatti e scodelle e la tripla corona aragonese. Si tratta di ceramiche molto standardizzate che fanno supporre ad una produzione quasi “industriale”. La loro diffusione infatti è capillare e se ne riscontrano esempi in tutta Europa quasi a testimoniare una ceramica di uso diffuso e più comune. 1.2 - Ceramiche decorate in verde e manganese Come si è già visto per le ceramiche decorate a lustro, anche le ceramiche decorate in verde manganese vengono prodotte sia in Andalusia che in area Valenciana. Grazie agli di studi di Graziella Berti35 sui bacini murati delle chiese pisane decorati in verde manganese e con l’aiuto di esami archeometrici, si è definito l’inizio della loro produzione – tra fine del X - inizi XI secolo - e il loro luogo di provenienza - Al Andalus, Maiorca36. La tecniche dello smalto e della decorazione in verde e manganese37, elaborate a Baghdad, arrivano in Spagna e più precisamente a Cordoba tramite la conquista islamica di queste terre. I principali luoghi di produzione sono, quindi, Cordoba in un primo tempo e 35 BERTI, TONGIORGI 1981. Anche se gli studiosi Portoghesi e Spagnoli hanno recentemente avanzato dubbi sulla datazione “alta” proposta da Geazziella Berti, soprattutto al convegno di Mertola del 2007 37 ROSSELLÓ BORDOY 1996. 36 10 Medina Al-Zaharat38 in seguito. I motivi decorativi, definiti con pennellate di verde contornate da sottili linee in bruno, ricalcano quelli delle precedenti produzioni islamiche, comprendendo quelli vegetali, zoomorfi (gazzella, lepre, cavallo), quelli epigrafici arabi (con la scritta “baraka”, parola araba per “benedizione” “buona fortuna”), e quelli antropomorfi. La ceramica verde e manganese è stata negli ultimi anni oggetto di dibattito grazie, ancora una volta, agli attenti studi di Graziella Berti e C. Renzi Rizzo. Le due studiose, infatti, supportate da analisi archeometriche sugli smalti e sugli impasti, portano avanti la tesi secondo cui la produzione duecentesca pisana di maioliche arcaiche sarebbe da ricondurre a quella Andalusa in verde e manganese. E in effetti, vista la stretta analogia tra le tecniche di produzione delle due tipologie di ceramiche e visti i forti rapporti commerciali tra Pisa e penisola iberica, la tesi di G.Berti e Renzi Rizzo sembrerebbe condivisibile. Un fatto che potrebbe dimostrare come una delle più grandi “rivoluzioni” nel campo della cultura materiale italiana medievale possa essere dipesa proprio dai rapporti e dai commerci con la penisola Iberica. Questa tecnica, inoltre, si è diffusa nelle aree cristiane della Spagna, dando luce nel XIII secolo, alle produzioni di Paterna e Manises, situate vicino a Valencia39. Data la forbice cronologica presa in esame, anche in questo caso, ad avere maggiore risalto saranno queste ceramiche valenciane. Cosi come accadeva per le produzioni andaluse, si tratta di ceramiche smaltate in bianco con decorazioni in manganese ed ossido di rame. Le forme sono principalmente aperte e su tutte prevalgono le scodelle ed i piatti. I temi decorativi, di ispirazione islamica, sono disposti in maniera centrale, radiale ed hanno una forte connotazione simbolica: si tratta di motivi vegetali (albero della vita), geometrici, epigrafici, zoomorfi ed antropomorfi. La produzione di Paterna e Manises ha però breve vita e già nel XIV secolo inizia a cedere il passo a quelle decorate in blu e lustro che presto troveranno una larghissima diffusione. E’ tuttavia attestato archeologicamente che nei primi decenni del XIV secolo a Valencia le due tipologie erano prodotte nelle stesse officine40. 38 ESCUDERO ARANDA 1988-1990. VINCENT LERMA 1992 p.51. 40 Sono state riscontrate tracce di verde su alcuni pezzi decorati a lustro. 39 11 1.3 - Ceramiche catalane A differenza dei tipi sopra descritti, le ceramiche catalane sono state raramente oggetto di interesse al di fuori della Catalogna e le opere che ne offrono uno studio sistematico e monografico sono principalmente in lingua Catalana. Sono quindi da sempre una categoria a se stante, che merita un approfondimento specifico, nonostante molte delle tipologie che brevemente andremo ad illustrare, potrebbero essere incluse e descritte nei paragrafi. precedenti. Oltre ad alcuni brevi interventi su questo tema, tra cui figura un lavoro di Maria Antonia Casanova41, attuale direttrice del museo della ceramica di Barcellona, prima degli anni ’90 non si hanno opere organiche su questo tipo di ceramica. E’ dato alle stampe solamente nel 1991 “La vaixella blava catalana de 1570 a 1670”42 lavoro approfondito sul tema delle ceramiche catalane decorate in blu. Nel 2001, Josep Anton Cerdà i Mellado ha pubblicato un altro lavoro su questo argomento43, in cui, partendo dallo studio dei materiali provenienti da uno scavo nella cittadina di Matarò, a pochi chilometri da Barcellona, apporta nuovi contributi alla conoscenza di questa tipologia ceramica. Cosí come secoli prima i ceramisti valenciani avevano iniziato le loro produzioni imitando i pezzi provenienti dall’Andalusia, così quelli catalani presero ispirazione da Paterna e Manises per le loro ceramiche. Tra XVI e il XV secolo, a Barcellona, fanno la loro comparsa officine che producono pezzi decorati in verde e manganese, lustro e blu di totale ispirazione valenciana. E’ interessante notare come le tecniche utilizzate per la loro fabbricazione abbiano impiegato quasi tre secoli a trasmettersi dall’Andalusia fino alla Catalogna. Le prime ceramiche a fare la loro comparsa sono quelle decorate a verde manganese, di cui si parla in alcuni documenti di XIV secolo44, con motivi geometrici e gotici, come abbiamo già accennato, riscontrati nelle produzioni di Paterna e Manises45. Si distinguono da quelle anteriori per una estrema povertà nella tecnica, impasti poco depurati e smalti di pessima qualità. La vita di questa tipologia peró è molto breve e giá agli inizi del XV secolo viene completamente soppiantata da quella decorata in blu e dalla produzione “a lustro”. Probabilmente questo repentino cambio è dovuto alla nuova “loza azul y dorada” 41 CASANOVA 1984 TELESE COMPTE 1991 43 CERDÀ 2001 44 TELESE COMPTE, 1991 p.15 45 Patena e Manises sono i principali due centri di produzione di ceramiche valenciane. 42 12 valenciana, che proprio all’inizio del Quattrocento stava vivendo la sua maggiore diffusione, modificando probabilmente la domanda del mercato e facendo si che i vasai catalani si adeguassero alla nuova “moda”del lustro. Anche in questo caso, i primi pezzi a lustro e blu catalani sono un’imitazione scadente di quelli valenciani dei quali riprendono pari passo le forme ed i motivi decorativi. Con il gli inizi del XVI secolo, però, le officine di Barcellona iniziano ad emanciparsi dall’influenza valenciana, dando vita alla produzione di “ceramiche blu” e alle “ceramiche a lustro” . Si riesce ad intendere quale dovesse essere l’entita’ di questa tipologia leggendo l’inventario di Deves i Morell46, vasaio di Barcellona, che menziona per l’anno 1563 un fabbricato di 64.000 pezzi solamente per quelli decorati in Blu. Questi ultimi, i così detti “Blaus de Barcelona”, sono stati suddivisi da Telese Compte in tre tipi: quelli prodotti tra il 1570 e il 1630, quelli tra il 1640 e il 1670 e per finire quelli tra il 1670 e il 1730 caratterizzati dall’introduzione del giallo. Dato l’arco cronologico della nostra ricerca, ci appresteremo a definire solamente quelli appartenenti alla prima fase. Si tratta per la maggioranza di forme aperte con decorazioni vegetali stilizzate, volute, circoli, spighe, tacche curvilinee, ma molto equilibrate, che circondano un motivo centrale geometrico. Spesso si tende ad un horror vacui, campendo con piccoli tratti e virgole quasi tutta la superficie del pezzo. Non mancano inoltre i motivi così detti gotici, quali piccoli uccelli, figure antropomorfe e armi araldiche. Contemporanea alla produzione di ceramiche in blu è quella decorata a lustro, in catalano “reflex metal·lic”47. Molto simile per storia e per motivi decorativi a quella in blu, la loza dorada catalana viene prodotta fino alla fine del XVII secolo. Anche in questo caso ci limiteremo ad analizzare i secoli interessati dalla nostra ricerca. Il lustro catalano, a partire dal XVI secolo si muove su due binari paralleli: una tipologia piú semplice e di minor qualità tecnica destinata ad un uso quotidiano, ed una piu raffinata, di lusso. La prima, che rappresenta la maggioranza della produzione, è decorata con piccoli punti e tratti a campire tutta la superficie, e da linee ondulate. L’esecuzione doveva risultare molto semplice anche grazie all’utilizzo del “pincell – peine48” pennello pettine, che permetteva con una sola passata di disegnare più punti. Diversa e assai più elaborata quella di lusso che, sempre di ispirazione gotica, comprendeva nel suo repertorio fiori, animali, castelli e figure 46 TELESE COMPTE 1992 p.18 LLORENS 1989 pp. 243-252. 48 LLORENS 1989 p. 247. 47 13 umane. Compare inoltre alla fine del XVI secolo una produzione a rilievo con il cavetto decorato con piccoli grappoli d’uva appunto a rilievo. Anche in questo caso, come già era accaduto per le officine valenciane, nello stesso “taller” si potevano produrre sia la ceramica in blu che quella a lustro, tant’è vero che in numerosi casi si sono riscontrati pezzi con gli stessi identici motivi decorativi, ma decorati uno in blu e l’altro in lustro. La produzione di originali catalane terminano alla fine del XVII secolo per lasciare posto, questa volta, ad una serie di produzioni di imitazione delle ceramiche italiane, tra cui sopratutto quelle liguri in bianco e blu e quelle di Montelupo. 2. Stato degli studi La prima opera degna di nota nella storia dello studio delle ceramiche spagnole bassomedievali si deve a Manuel Gonzalez Martì49 scopritore negli anni ‘5050 del quartiere di ceramisti di Paterna, in seguito riconosciuto come uno dei maggiori centri di produzione Valenciani. L’opera di Martì, che consta di ben tre volumi corredati di tavole e disegni pubblicati tra il 1944 e 1952, fornisce la base di partenza per ogni successiva analisi. Ed è proprio partendo da Martì che negli anni Settanta si sviluppa lo studio delle ceramiche iberiche. Fondamentali, a questo proposito, sono stati gli studi condotti da Hugo Blake51 e Tiziano Mannoni52 su materiali provenienti dalla Liguria. I due, infatti, hanno proseguito l’indagine sistematica sulle diverse tipologie e decorazioni, ma anche cominciato un approfondito e scientifico studio sugli impasti (con indagini archeometriche pionieristiche per l’epoca), grazie al quale si sono potuti individuare i diversi luoghi di produzione di tali ceramiche (Valencia e Andalusia). Negli anni ‘80 e ‘90, infine, le opere di Francovich e Gelichi53, Berti e Tongiorgi54 hanno contribuito ad ampliare l’area di indagine per il ritrovamento della ceramica, analizzando i contesti archeologici della Toscana. I primi con un opera generale sulle ceramiche spagnole in Toscana, i secondi con un corpus analitico 49 GONZALES MARTÌ 1944. GONZALES MARTÌ 1952-1954 51 BLAKE 1972, p.55-105. 52 MANNONI 1976. 53 FRANCOVICH GELICHI 1984 54 BERTI, TONGIORGI 1981. 50 14 sui bacini spagnoli murati nelle chiese pisane: indagine che ha dato il via agli studi nel campo dei bacini murati. I modelli elencati hanno svolto l’importante funzione di fornire i necessari punti d’appoggio a tutte le più recenti ricerche. Nell’ultimo decennio, infatti, le notizie55 su ritrovamenti di ceramiche spagnole sono aumentate sempre più aiutando a fornire una più precisa distribuzione di questi manufatti per gran parte delle regioni italiane. Inoltre il panorama di queste ricerche si sta sempre maggiormente ampliando, grazie alle recenti pubblicazioni spagnole, quali la revisione dei materiali provenienti da Paterna e Manises edita da Mercedes Mesquida56 e gli studi di Jaume Coll Conesa sulle ceramiche Valenciane57. Ma, nonostante siano state poste le basi per un comune modello scientifico di riferimento, ancora oggi rimangono insoluti alcuni cruciali interrogativi e problemi. Primo tra tutti quello di trovare una nomenclatura condivisa da tutta la comunità scientifica, in grado di tenere conto delle sostanziali differenze che esistono nel gruppo di ceramiche, spesso genericamente chiamato “ispano-moresche”; termine che include pressoché tutta la produzione spagnola medievale. Ed è proprio la mancata attenzione sulla diversificazione di questi prodotti il limite di tutti gli studi su questo argomento. Garcia Porras58 ha cercato negli anni scorsi di porre fine al dibattito almeno per quel che riguarda le ceramiche decorate a blu e lustro, proponendo una terminologia appropriata a distinguere le diverse aree di produzione. Ma è solo con uno studio ampio e non più settoriale che si può giungere ad una comprensione del vastissimo panorama delle produzioni spagnole bassomedievali, dimenticando il concetto di “ceramica spagnola” o peggio ancora “ceramiche ispano-moresche” e parlando invece di tante piccole realtà tutte diverse tra loro e con genesi differente. 55 PLATAMONE, FIORILLA 1998. MARINI 1998. GOBBO 1998. GARCIA PORRAS 2002. 56 Mercedes Mesquida 2001 57 COLL CONESA 2002 -2005. 58 GARCIA PORRAS 2000 p.131-134. 15 3. Obiettivi della ricerca Nei secoli presi in esame, Penisola Iberica e area Alto Tirrenica sono teatro di grandissimi cambiamenti che ne stravolgono a più riprese lo scenario politico ed economico. In passato il tema e stato largamente trattato e studiato, grazie all’abbondanza delle fonti archivistiche e storiografiche giunte fino a noi. Questo lavoro si prefigge di affrontare lo studio delle ceramiche smaltate di produzione spagnola importate a Savona, Genova, Pisa, nella Sardegna settentrionale e nella Corsica meridionale, individuarne i centri di produzione, anche alla luce di un confronto aggiornato con gli studi più recenti condotti nella Penisola Iberica. Una volta individuate le principali aree di provenienza, si cercherà di verificare se queste ceramiche possano avere il ruolo di indicatore archeologico dei commerci tra Penisola Iberica e l’area Alto Tirrenica e se questo indicatore possa essere letto in maniera autonoma e parallela rispetto ai dati desumibili dalle fonti scritte. Si tratta, in sostanza, di investigare se ai grandi mutamenti dell’assetto politico tra le parti (ad es. la perdita da parte di Pisa della Corsica a favore dei Catalani) corrispondano cambiamenti dei flussi di approvvigionamento e commercializzazione dei prodotti ceramici spagnoli (ad es. maggiori importazioni nell’isola di ceramiche catalane o in generale spagnole). Se, infine, flussi commerciali e rotte possono essere individuati attraverso lo studio archeologico delle ceramiche, restando comunque evidente il limite della fonte archeologica nella individuazione dei vettori, perché la fonte materiale difficilmente può consentire l’individuazione dei “responsabili” della sua commercializzazione. La ricerca sarà, quindi, focalizzata su indicatori archeologici su cui è possibile un approfondimento mirato, verrà condotta su un arco cronologico abbastanza ampio, ma giustificato dalle peculiari vicende storiche e politiche. L’area di studio su cui ci si intende concentrare è geograficamente ben definita e già individuata da precedenti contributi59. Il progetto di studio è finalizzato ad un arricchimento informativo e potrà portare un contributo alla prosecuzione degli studi sui rapporti politico e commerciali tra Penisola Iberica e area Alto Tirrenica. 59 In particolare di G. Berti, M. Milanese, A. García Porras, F. Benente, C. Varaldo, D. Istria. 16 4. Metodologia di ricerca La ricerca si avvarrà comunque di una forte sinergia tra fonti, non disdegnando quindi quelle archivistiche e iconografiche, cercando di dare un più ampio respiro e una multidisciplinarità al taglio di studi. 4.1 – Analisi delle fonti edite Si partirà quindi con l’analisi del materiale edito e dei principali contributi sul tema dei rapporti politico commerciali tra Penisola Iberica e Italia, in modo da definire un inquadramento generale delle rotte commerciali tra centri di produzione e porti della Penisola Iberica e centri di consumo dell’area tirrenica. In questa prima fase sarà importante un breve periodo di permanenza in Spagna, a Barcellona Valencia e Granada, in modo da completare la raccolta di materiale bibliografico già avviata nel corso di due lunghi soggiorni – sei mesi nel 2005, e un mese nel 2006 durante l’elaborazione della tesi di Laurea Triennale60 prima, della Laurea Specialistica61 poi, discusse presso l’Università degli Studi di Genova. A questo proposito si sono già presi contatti con Josep Cerdà direttore del Centro per la ceramica Catalana di Barcellona e si avvieranno rapporti con Jaume Col Conesa, direttore del Museo Gonzales Martì di Valencia, per meglio definire i problemi della ceramica valenciana e con Alberto Garcia Porras, ricercatore presso l’Università di Granata, per approfondire le conoscenze sulle produzioni Andaluse. 4.2- Analisi del materiale archeologico Si procederà ad un’analisi a campione di materiali editi e – in parte - inediti provenienti dai principali centri della linea costiera alto tirrenica, per incrementare i dati riguardanti la circolazione e la conoscenza della tipologia delle ceramiche spagnole importate in questi territori. Per la Liguria si analizzeranno contesti di scavo di Savona e Genova e, a questo proposito, sono stati presi contatti con il Prof. Carlo Varaldo e il Dott. Fabrizio Benente 60 Titolo: “I bacini murati del campanile della chiesa di Sant’Ambrogio Nuovo a Varazze 61 Titolo: “Le ceramiche smaltate spagnole di XIV XV secolo proveniente dallo scavo di Porta San Tommaso a Genova. 17 dell’Università di Genova e con la Dott.ssa Piera Melli ed il Dott. Alexandre Gardini della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Liguria. Per i centri costieri della Toscana e per Pisa si provvederà a contattare la Dott.ssa Graziella Berti e la Dott.ssa Monica Baldassarri. Per i centri della Sardegna Settentrionale62, verranno presi contatti con il prof. Marco Milanese, docente dell’Università di Sassari, mentre per la Corsica Meridionale63 sono già state avviate esperienze di collaborazione con il Prof. Ph. Pergola e il Dott. Daniel Istria. Qualora si riterrà necessario ai fini della ricerca, si procederà all’analisi archeometrica di frammenti ceramici inediti di particolare interesse, grazie al contributo del Dott. Alessandro Zucchiatti ricercatore del INFN presso il dipartimento di Chimica dell’Università di Genova e professore a contratto presso il Corso di Laurea Magistrale in Archeologia della stessa Università. 4. Tempi di realizzazione Il primo anno di lavoro sarà dedicato a censire tutto il materiale edito e in questa prospettiva si trascorreranno due mesi in Spagna, come accennato sopra, per completare la ricerca bibliografica avviata negli anni passati e definire in maniera esaustiva le caratteristiche proprie di tutte le tipologie ceramiche oggetto dello studio. Nel corso del secondo anno si provvederà ad arricchire la banca dati sulla circolazione delle ceramiche nella zona Alto Tirrenica tramite il riesame dei più importanti contesti editi e l’analisi a campione di alcuni contesti inediti, ovviamente grazie alla collaborazione con gli studiosi e i funzionari delle Soprintendenze citati in precedenza. Il terzo anno infine sarà dedicato alla sistematizzazione dei dati, all’elaborazione e alla stesura della tesi finale. 62 63 In particolare per Alghero cento maggiormente interessato dalla colonizzazione Catalana. Maggiormente toccati dai rapporti con il regno d’Aragona. 18 Bibliografia Andrews D., Pringle D., 1977, Lo scavo dell’area sud del chiostro di S. Silvestro a Genova in “Archeologia Medievale” IV pp. 47, 208. Arbace L. , 1998, Rajolettes Pintades de obra de Manises e Lustri a Napoli negli anni di Regno di Alfonso il Magnanimo: le importazioni e la circolazione dei modelli, in “Atti XXXI Convegno Internazionale della ceramica”, Albisola, pp.333-342. Bazzurro S., Cabona D., Conti G., Fossati S., Pizzolo O., 1974, Lo scavo del castello di Molassana, in “Archeologia Medievale” I pp. 19, 53. Benente F., Gardini A. 1993, I bacini ceramici della Liguria, in “Atti XXVI Convegno Internazionale della ceramica”, Albisola, pp.67-9. 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