REGDOC 21-2008 indici.qxd
Transcript
REGDOC 21-2008 indici.qxd
REGATT 08-2010.qxd 22/04/2010 10.47 Pagina S A N TA S E D E 237 Medjugorje l’ inchiesta Il fenomeno e i suoi frutti I l 17 marzo scorso la Sala stampa della Santa Sede ha ufficializzato una notizia che era già stata anticipata dal settimanale italiano Panorama:1 «È stata costituita presso la Congregazione per la dottrina della fede, sotto la presidenza del card. Camillo Ruini, una Commissione internazionale d’inchiesta su Medjugorje. Detta Commissione, composta da cardinali, vescovi, periti ed esperti, lavorerà in maniera riservata, sottoponendo l’esito del proprio studio alle istanze del dicastero». La commissione Dalle poche parole aggiunte al già scarno comunicato dal direttore della Sala stampa della Santa Sede, p. Lombardi,2 si è poi appreso che la Congregazione ha preso in mano la questione su richiesta della Conferenza episcopale della Bosnia ed Erzegovina; e in effetti, in un’intervista del 20 novembre all’agenzia Zenit, il card. Vinko Puljicé, arcivescovo di Sarajevo e presidente della Conferenza episcopale, aveva detto di attendere dalla Santa Sede «suggerimenti e proposte su come accompagnare questo fenomeno» e «magari anche sulla costituzione di una commissione» preposta a seguire i contenuti delle apparizioni e dei messaggi che i sei veggenti di Medjugorje attribuiscono alla Madonna. Se ne deduce che la nuova Commissione eredita in forma ampliata il mandato di quella annunciata nel 2006 dallo stesso card. Puljicé, che avrebbe dovuto occuparsi soprattutto dei frutti delle supposte apparizioni e dunque delle loro significative implicazioni pastorali, e che avrebbe dovuto essere composta anche da membri designati dall’ex Sant’Uffizio, ma rimanendo sotto la responsabilità dell’episcopato locale.3 Rimarrà invece sospeso il giudizio definitivo sul «fenomeno Medjugorje», poiché i veggenti continuano a riferire di avere apparizioni mariane, alcuni anche quotidianamente, ed è noto che la Santa Sede ritiene di non doversi e potersi pronunciare definitivamente sull’origine soprannaturale di fenomeni di questo tipo fin tanto che sono in corso. Sotto questo decisivo aspetto, continuano dunque a fare testo le parole della Dichiarazione di Zara del 10 aprile 1991 dei vescovi iugoslavi (allora il paese, e di conseguenza la Conferenza episcopale, erano ancora uniti): «Sulla base delle indagini finora condotte, non è possibile affermare che si tratti di apparizioni o di rivelazioni soprannaturali». Tale Dichiarazione era a sua volta frutto del lavoro di una Commissione insediata dall’episcopato iugoslavo nel 1987 e confermava, pur senza assolutizzarle, le conclusioni precedentemente raggiunte da due commissioni della diocesi di Mostar, nel cui territorio si trova Medjugorje, raccomandando tuttavia che i vescovi assicurassero la cura pastorale «ai numerosi fedeli» che vi giungono da ogni parte del mondo, «spinti da motivi religiosi o di altro genere», e promettendo «adeguate indicazioni liturgico-pastorali», le stesse tuttora auspicate dal card. Puljicé. La squadra dei prudenti Ma non vi è da dubitare del grado di legittimazione che il «fenomeno Medjugorje» otterrebbe da un giudizio positivo che dovesse emergere dalla neonata Commissione intorno ai frutti spirituali dei pellegrinaggi mariani (tali sono di fatto, anche se tecnicamente si dovrebbero definire dei semplici viaggi organizzati, pur dotati di assistenza pastorale) diretti alla cittadina bosniaca. Questi già oggi coinvolgono annualmente più di un milione di fedeli (ma certe stime dicono due milioni), tra cui molti italiani, e la gran parte di costoro, al ritorno, si trasforma in un convinto e commosso promoter dell’esperienza di armonia e serenità spirituale che ha vissuto (non necessariamente avendo assistito a qualcosa di soprannaturale); entra così in una squadra di «convinti» che ha in padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria, l’indiscusso leader e che recentemente ha potuto giovarsi di acquisti imprevedibili, come il giornalista e conduttore televisivo Paolo Brosio.4 Anche la squadra dei «prudenti» ha tuttavia un leader assai autorevole (oltre che combattivo, per quanto mediaticamente più debole), trattandosi del vescovo stesso di Mostar, mons. Ratko Pericé, che dal 1993, anno in cui succedette per coadiutoria al non meno prudente mons. anicé,5 si adopera perché i credenti (vescovi, preti e semplici fedeli), nel guardare a Medjugorje e nel recarvicisi, tengano in conto la citata Dichiarazione del 1991, sappiano che là c’è una parrocchia e non ancora un santuario, che la continuità ormai tren- IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2010 237 REGATT 08-2010.qxd 22/04/2010 10.47 Pagina tennale delle apparizioni è inconsueta nella tradizione, anche recente, dei santuari mariani, e che la frequenza di esse è diversa tra l’uno e l’altro veggente; e infine che alcuni degli ex francescani che sin dall’inizio accreditarono le apparizioni sono in una condizione di fatto scismatica rispetto alla diocesi.6 Se non fossi papa… Molti osservatori di cose religiose sarebbero probabilmente pronti a scommettere sulla presenza discreta ma tremendamente efficace, tra i «convinti», di papa Giovanni Paolo II, che avrebbe confidato sia a Mirjana Dragicéevicé, una dei veggenti, sia all’arcivescovo di Praga, card. Tomášek: «Se non fossi papa, sarei già a Medjugorje a confessare».7 Gli stessi, fino a poco tempo fa, avrebbero altrettanto probabilmente posto tra i «prudenti» papa Benedetto XVI, memori, se non altro, del «Commento teologico» con cui l’allora card. Ratzinger accompagnò la pubblicazione del «terzo segreto» di Fatima, nel 2000.8 E infatti dall’inizio del suo pontificato si contano, in riferimento a Medjugorje, diverse iniziative (o ipotesi di iniziative) improntate alla prudenza: dal citato annuncio di commissione episcopale del 2006 alle risposte del card. Bertone a G. De Carli nel volume L’ultima veggente di Fatima, sostanzialmente attestate sulla Dichiarazione di Zara; dalle voci – subito smentite – di un rigoroso Vademecum sulle apparizioni in generale, che avrebbe dovuto essere pubblicato dalla Congregazione per la dottrina della fede all’inizio del 2009, al fatto che mons. Amato, quando ne era segretario, avrebbe raccomandato ai vescovi della Toscana, che lo interrogavano in merito a Medjugorje, la lettura e la divulgazione della severa omelia là pronunciata da mons. Pericé nel 2006. Ma a modificare questo quadro istituzionale è giunta la visita compiuta a Medjugorje, dal 28 dicembre al 2 gennaio scorsi, dall’arcivescovo di Vienna, card. Christoph Schönborn, notoriamente molto vicino a Benedetto XVI. Non un pellegrinaggio ufficiale, evidentemente, che avrebbe contraddetto le indicazioni dell’episcopato locale e della Santa Sede, ma comunque una permanenza significativa, in forma privata eppure costellata di momenti pubblici anche liturgici;9 preceduta dall’in- 238 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2010 238 contro a Vienna con due dei veggenti, Ivan Dragicéevicé e Marija Pavlovicé-Lunetti e da un soggiorno presso la Comunità cenacolo di Saluzzo, che è molto legata a Medjugorje, e seguita da numerose interviste e dichiarazioni che lasciano assai pochi dubbi sulla personale convinzione maturata dal cardinale intorno alle apparizioni di Medjugorje, sulla base delle testimonianze ricevute e dei frutti (dalle conversioni, alla riscoperta dei sacramenti, alle vocazioni) che egli ha potuto costatare nella sua diocesi. E alcune fonti attribuiscono allo stesso Schönborn, ricevuto in udienza da Benedetto XVI il 15 gennaio, il suggerimento decisivo circa la costituzione della Commissione internazionale d’inchiesta che è stata affidata al card. Ruini. Guido Mocellin 1 Nel numero datato 11.3.2010, sotto la rubrica di I. INGRAO «Indiscreto». 2 Riportate il giorno stesso dalla Radio vaticana e, più ampiamente, dall’agenzia AGI. Invece A. TORNIELLI, su Il Giornale e sul suo blog, indica il 18 marzo alcuni probabili membri dell’organismo e annuncia «una prima sintesi» del lavoro della Commissione già per la fine dell’anno in corso. Il 13 aprile la Sala stampa vaticana annuncerà poi che la prima riunione si è svolta il 26 marzo e che vi hanno partecipato in qualità di membri i cardd. Tomko, Puljicé, Bozanicé e Herranz, l’arcivescovo Amato e i proff. Anatrella, Sequeri, Jaeger, Kijas, Perrella, Schütz e Nykiel, che fungono rispettivamente da segretario e da segretario aggiunto; più alcuni esperti. 3 Cf. Regno-att. 16,2006,520. 4 Andato ad affiancare con il suo bestseller A un passo dal baratro. Perché Medjugorje ha cambiato la mia vita (2009), i precedenti volumi di S. GAETA e A. SOCCI, rispettivamente: Medjugorje. È tutto vero (2006) e Mistero Medjugorje (2005). Tutti e tre questi libri sono editi da Piemme. 5 Fu lui a insediare le due commissioni diocesane degli anni Ottanta. 6 Tra questi ex il più famoso all’estero è divenuto Tomislav Vlašicé, che dopo essere stato a Medjugorje dal 1981 al 1985 ne ha usato (del tutto indebitamente, dice Radio Maria) il nome per accreditare, in Italia, una serie di attività che gli hanno infine meritato (gennaio 2008) pesantissime sanzioni canoniche da parte della Congregazione per la dottrina della fede; di qui la sua richiesta, rapidamente esaudita, di dismissione dallo stato clericale e di dimissione dall’Ordine dei frati minori (marzo 2009). 7 Lo riporta S. GAETA nel volume scritto insieme al postulatore della causa di beatificazione di K. Wojtyla, S. ODER: Perché è santo. Il vero Giovanni Paolo II raccontato dal postulatore della causa di beatificazione, Rizzoli, Milano 2010. 8 Il commento prende le mosse dall’interpretazione del n. 67 del Catechismo della Chiesa cattolica, che parla delle rivelazioni private, e istituisce un parallelo: le rivelazioni private stanno alla Rivelazione come la pietà popolare sta alla liturgia; cf. Regno-doc. 13,2000,396ss. 9 Tutto ciò ha suscitato forte irritazione in mons. Pericé, che l’ha espressa con una lunga dichiarazione pubblicata lo stesso 2 gennaio sul sito web diocesano www.cbismo.com. Serbia Massacro di Srebrenica Scuse a metà I l Parlamento della Repubblica serba «condanna con la massima severità il crimine compiuto contro la popolazione bosniaca a Srebrenica nel luglio 1995, nel modo stabilito dalla sentenza della Corte penale internazionale, così come condanna tutti i processi e gli avvenimenti sociali e politici che hanno portato alla convinzione che la realizzazione di determinati obiettivi nazionali potesse essere perseguita attraverso la forza armata e la violenza fisica contro i membri di altre nazioni e religioni; e contestualmente estende le proprie condoglianze e scuse alle famiglie delle vittime per non avere fatto tutto il possibile per prevenire la tragedia».1 Ci sono volute 13 ore di discussione, e che 101 dei 250 membri dell’Assemblea nazionale uscissero dall’aula, perché il 31 marzo passasse (con 127 voti a favore, 21 contrari e un astenuto) la mozione di condanna per il massacro dell’11-16 luglio 1995. In quelle 5 notti nell’enclave bosniaca di Srebrenica, che oggi si trova nel territorio della Repubblica serba Srpska, le milizie serbo-bosniache agli ordini del leader politico Radovan Karadzicé e del generale Ratko Mladicé trucidarono 8.000 uomini tra i 12 e i 77 anni, mentre i caschi blu olandesi sotto il cui controllo si trovava la cittadina non riuscivano né a garantire la sicurezza della popolazione né a ottenere un intervento aereo della NATO. La dichiarazione è stata approvata quindi con i voti del Partito democratico e del Partito socialista, che costituiscono la maggioranza, ma solo a patto di condannare il massacro come un «crimine» e non come un «genocidio».2 Risultato evidente da un lato della pressione della corrente filo-europeista, che con tale gesto simbolico vuole compiere uno dei passi necessari per l’ingresso della Serbia nell’Unione Europea,3 ma dall’altro della resistenza di una parte della classe politica e della società, che nelle sue frange più nazionaliste considera ancora i leader serbi dell’epoca degli eroi, e più in ge-