REQUIEM A volte sogno d`aver violentato ed ucciso una bambina

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REQUIEM A volte sogno d`aver violentato ed ucciso una bambina
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REQUIEM
A volte sogno d'aver violentato ed ucciso una bambina.
Anzi, questo è stato molti sogni fa: ora l'assassinio è passato da un pezzo ed è rimasto solo un senso di colpa.
Nella mostruosità del sogno ho tagliato a pezzi la bambina e ne ho nascosto i resti in
un sacco di iuta, ed il sacco l'ho messo sopra ad un armadio, giù in cantina.
Nel sogno ho 10-12 anni e quando scendo con mio padre in cantina, a prendere il
vino, son coperto di sudore perché sento che sarò scoperto. Ma non accade mai, e mi
sembra assurdo che non accada.
La bambina si sta disfacendo nel sacco di iuta sopra l'armadio, il brodo del disfacimento, che immagino abbia una terribile puzza, lo vedo colare, anzi lo sento frusciare
fino a terra a formare una macchia untuosa.
Eppure mio padre non s'accorge di nulla. Altre volte, in una variante del sogno, che
è poi l'ultima versione, la bambina l'ho lasciata intera e l'ho sepolta in fondo ad un pozzo.
Sopra al piccolo corpo rattrappito, piegato in posizione fetale, ho versato della calce per
aiutare la decomposizione, affinché lei ed il mio delitto scompaiano velocemente nella
terra.
Nel sogno dico “sto sognando, ormai la conosco questa storia”, eppure la sensazione di colpa, ed ancor più la sensazione del pericolo d'essere scoperto, è forte.
Questo incubo mi perseguita da anni.
REQUIEM AETERNAM DONA EIS, DOMINE, ET LUX PERPETUA LUCEAT
EIS. AMEN.
Oh si. Che possano avere la Pace. Ma che anch'io possa averla, quando avrò espiato. Poiché so che deve esserci l'Espiazione. Che sia veloce ed affilata e misericordiosa. Amen. Non posso crederci, mi vien da dire. Vorrei svegliarmi ma so bene che non
è sogno, non è incubo. Le piccole formiche stanno veramente portandosi via in processione, le briciole della colazione Quest'aria rovente viene dal deserto, e veramente sento
questo odoreprofumo di spezie. Il sudore, accompagnato dalla sgradevole impressione di
sporco, d'umidità, scopre sul cuoio capelluto, sotto i capelli forse troppo lunghi, sotto la
barba, attorno agli occhiali specchiati. Lo sento scorrere sotto le ascelle e scendere giù
fino alla cintola. Li l'acqua si ferma ed immagino, vedo, l'ondata di marea che si sta
formando attorno alla ciccia che mi accompagna, e poi scendere fino ad inzuppare, e lo ha
già fatto, la cintura di cuoio chiaro. Se tutto questo è vero, e so che è vero (eppure ancora
quanto vorrei svegliarmi), allora ho veramente ucciso. Allora sono un Assassino. Ho
saltato il fosso, infranto il TABU'.
Sarò esecrato dall'umanità tutta e dall'umanità cercato perchè mi sia inflitta la Pena.
E' stato facile, un gesto semplice, a trasformare me in Assassino e lei da bella e viva
ad una cosa in veloce trasformazione, della quale non si potrà che chiudere, nascondere
agli occhi dei viventi, la rimasta parvenza. E lasciare che, ancora, la Morte trionfi.
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Gli occhi chiusi. Il piede che ciondola dal letto sfiorando il pavimento. La fila di
formiche dal buco nel muro al pezzo di pane per terra, vicino alla scarpa. Un calzino,
bianco e sporco. Poi, salendo, il grande corpo bianco dell'Assassino steso scomposto sul
letto, le lenzuola avvolte attorno al ventre. La camicia è aperta fino ai pantaloni. Dalla
persiana filtrano strisce di luce che decorano le lenzuola. Il condizionatore pompa disperatamente, ma è sconfitto dalla forte umidità che quasi si condensa in nebbia nella
stanza.
La stanza 89 dell'Hotel Dahlia a Djerba. Djerba in Tunisia. Djerba “la douce”,
dolce con le coppie in luna di miele, con le torme dei turisti europei. Djerba che appena
appena si accorge dell'esistenza, in una sua camera, dell'esistenza dell'Assassino che qui
cerca rifugio all'occhio di Dio.
Per questo la finestra della camera èchiusa: a conservare il respiro, gli umori, le
puzze dell'Assassino.
Affinché non ammorbino la Terra.
Pensa. Pensa con metodo, dal punto UNO in poi. Non trascurare nessun passaggio.
L'algoritmo deve essere perfetto, se il “programma” non “gira” sono finito.
E se mi prendono qui in Tunisia? Le prigioni qui devono essere terribili. Se questi
sono gli alberghi di lusso! Pensa!
Ricominciamo. Allora, chi sapeva che ero con Bebèl? La casa era praticamente
chiusa, i vecchi se n'erano andati da un pezzo e Francoise non si era proprio vista.
Io no l'ho vista, ma chissà dove poteva essere in casa a fare cosa. Francoise: da
controllare.
Con Bebèl era praticamente chiuso da almeno sei mesi.
Quant'è il tempo oltre il quale la polizia non si interessa più dei “probabili”?
Informarsi.
Io e Bebèl. Povera Bebèl. Non ha sofferto, lo so. Eravamo soli nella casa.
I vicini?
Le altre ville erano chiuse, niente auto, niente serrande aperte, niente giardinieri,
niente di niente.
Chi vuol stare in villa d'agosto? Solo le mosche, le zanzare, le cicale, l'umidità del
prato.
No, non c’era nessuno, ho visto bene. Un DC8 era in circuito d'atterraggio, volava
cosi basso da poterne leggere la sigla sulla coda, KLM, ma è ridicolo solo pensarlo che
dall'aereo... Ma no, è troppo ridicolo! Dalla strada non si vede nulla, la macchina l'ho
parcheggiata sotto la quercia all'ingresso, per via del sole; e li c'è tutta la siepe di bambù,
come una tenda, ad impedire la vista verso l'interno.
Quando andavo a spiare Bebèl non riuscivo a vedere nulla da li, per questo lo so.
Quindi l'arrivo è coperto.
Quando ho deviato dalla statale per immettermi nel viale d'ingresso, davanti e dietro di me non c'era nessuno. Nessuno che io conosca o che mi conosca. Poi avevo la
macchina piccola, e quella ce l’hanno milioni d'italiani. Ed erano quasi le quattordici.
Il gruppo delle ville è circondato dai campi, e i due chilometri di strada privata che
porta all'ingresso comune sono coperti da platani. Fino all'ingresso sono a posto. Dall'ingresso esterno a quello interno idem.
All'ingresso c'era Bebèl la bella, quindi non sono neanche entrato in casa, siamo
andati direttamente in piscina.
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Ci siamo seduti sotto il gazebo bianco.
Ho toccato: il bicchiere, i braccioli della poltrona, ma quelli sono in stoffa e non
trattengono impronte digitali. Sarà vero? Cosi ho visto nei film. Meglio informarsi.
Ma tanto ormai è fatta, duemila chilometri più a nord, impossibile cancellare
qualsiasi cosa si possa cancellare. Come dentro di me. Ho toccato poi il bordo del tavolino?
Ma è un tavolino da giardino, le impronte dureranno meno, spero.
Poi ho toccato Bebèl, le ho sfiorato i capelli, le ho preso una mano, l'ho stretta a me,
in piedi, ai bordi della piscina. Lei si è seduta sul corrimano d'acciaio. Io parlavo piano,
seriamente, lei non voleva sentire, perché, le dicevo, perché cosi?
Lei non voleva dirmi dell'altro, era lontana, troppo gentile, o ben educata, per negarmi un “ultimo incontro”. “Sapevo che ti saresti fatto vivo”, dice, rassegnata dall'evento.
Ma ora è forte, l'incontro non la fa tremare, né piangere, né sperare.
E' cosi lontana che sono io ad avvicinarmi a lei, ma d’altronde è solo a me che la
cosa, il nostro continuare a stare insieme, interessa.
Questo mi rende debole, vorrei piangere, pensa!, e mi sembra, lei, poiché si nega,
molto desiderabile. La desidero con tutto il corpo e tutta la mente.
Ora, pensandoci, ma forse anche per quel che è successo poi, non riesco a spiegarmi
che cosa mi stesse accadendo. Era da molto che non la desideravo, al punto da chiedermi
se non fossi affetto da qualche problema..
Altro che disturbi della libidine! Ora ero più che mai libidinoso, e più lei mi si
negava più mi eccitava.
Eppure, visibilmente, non si vedeva nulla di quanto ci stava accadendo un piano
sotto la coscienza: io parlavo di altre cose, del passato, di qualsiasi cosa mi rendesse ben
accetto per poter ristabilire il contatto con lei. Bebèl faceva altrettanto, ma nella direzione
opposta.
Ecco cos'altro ho toccato! Il corrimano d'acciaio.
Com'era bella quel giorno.
Le prendo la mano, lei si ritrae.
Dice altre cose, poi si tende verso di me ed appoggia le labbra sulle mie “buona
fortuna “ dice e si gira per rientrare in casa, via da me. Chiuso. Finito. La prendo per il
braccio, si divincola.
L'apprendista Assassino non ha molta pazienza. Capisce solo che quanto vuole,
quel che sia, gli viene negato dalla bella in azzurro. .on si chiede, egli, se sia ragionevole quanto chiede o se sia ragionevole quanto gli viene risposto o fatto capire; ormai la
Ragione sta per essere abbandonata, e sentimenti ben più forti e sonori stanno per prevalere.
Cosi la prende per il braccio e forse le fa male, lei si ritrae ancor più ed ancor più
lui l'assale. .on ci sono più parole, si guardano negli occhi, le facce tirate, lui vuole la di
lei sottomissione, in qualche modo. Lei pensa quanto ciò sia inaudito, dopo quanto è
successo, dopo tutto quel tempo, dopo l'altro: oh! quando l'altro lo saprà! Respingendolo
ormai con forza, lui scivola e batte lo stinco contro il bordo della piscina, si aggrappa
istintivamente alla gonna di lei mentre il dolore allo stinco lancia segnali imperiosi.
La gonna si lacera in parte e scopre le belle gambe abbronzate, anche questo lui fa
in tempo a percepire mentre il dolore fisico, il dolore del rifiuto e dell'abbandono si
sommano ed assediano con potenti stimoli il cervello.
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Ora cadono in acqua.
Il prato curato e la bella casa, le tende che sussurrano ai venti, l'acqua limpida ed
azzurra della piscina, tutte queste cose senza vita fanno da cornice al dramma che velocemente si compie.
In acqua, avvinghiati, lei tende ad uscire, colma di rabbia per questa cosa impossibile ad accaderle, la gonna strappata, la scena spiacevole, gesù è tardi e mi devo
cambiare, il cloro nel naso, i lunghi capelli neri sciolti nell'acqua. Lui è molto vicino,
ormai, a compiere la trasformazione delle loro due vite, infastidito dai capelli sul viso,
stravolto dall'indifferenza di lei che più di tanto non aveva mai considerata, il fiato corto
dallo sforzo, le si aggrappa alle spalle, poi la stringe a sé, la stringe “non lasciarmi
Bebèl, non lasciarmi, non lasciarmi..” e la stringe la stringe sott’acqua, lui è di venti
centimetri più alto, lei si dibatte cerca l'aria, per quanto tempo, per quanto infinito
tempo. Tempo.
Poi torna lentamente la quiete nella piscina. Lui ha in braccio una grande bambola
di pezza che stringe piangendo. Tutto è compiuto. Bebèl, la bella dal morbido seno, è
morta. E lui è diventato l'Assassino.
Uscito dal portone, poi a destra, poi a sinistra, visto nessuno, poi il Terraglio fino a
Mestre, macchine molte, fila fino all'aeroporto, caldo molto, macchina al garage scoperto
senza orario d'ingresso segnato sulla ricevuta, banco Alitalia primo aereo per l'estero
troppo tardi, meglio Roma e poi decidere. Fortunata abitudine di portare sempre passaporto addosso come documento d'identità.
Anche all'aeroporto non ho incontrato nessuno, aspettato solo 40 minuti. Pagato
con carta di credito. Trovato sportello Bancomat e prelevato contante, purtroppo sulla
ricevuta è segnata l'ora. D’altronde non ho denaro, a parte le due carte di credito. Possono
arrivare alla Banca? Non posso non rischiare, molto peggio se fossi andato a casa, troppo
tempo.
Non ho lasciato segni di violenza su Bebèl.
Né d'amore.
Penseranno ad una disgrazia. Forse un suicidio. Meglio essere lontani, in ogni caso.
Fino all'aereo tutto a posto, mi pare. A Roma ancora meglio, uno tra i mille della folla
turistica in transito.
Il primo posto lontano, economico, pieno di turisti tra i quali potersi nascondere
era in bella evidenza sul grande cartellone delle partenze.
Diceva Djerba, via Tunisi. Anche Tunisi forse non andava male, ma é posto di
frontiera, frequentato da maggior quantità di polizia, maggiori problemi.
Per ora sono a posto, fin'ora nessun errore grave. .on mi resta che attendere, che
tutto torni come prima, come prima del fatto.
L'Assasino ha trent'anni, capelli corti chiari ed un inizio di calvizie sulla nuca.
Baffi rossicci ne coprono la bocca ed indossa quasi sempre occhiali a specchio.
E' alto un metro e ottanta, corporatura robusta, inizio di pinguedine.
Quando si vedono, ha gli occhi, neri, penetranti, mani corte.
Veste con cura, come tutti gli italiani. E' architetto, anzi lo era nella vita precedente, aveva anche una moglie, una casa, due auto, due banche. Uno stimato professionista, come si dice, sui duecento milioni l'anno di reddito. Uno studio a Treviso, ed
uno a Venezia per prestigio e per i contatti importanti.
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Aveva anche un amore, oltre la moglie, o un'amante, secondo la morale comune:
Bebèl, appunto.
Benedetta Fiorella, cioè Bebèl, aveva sedici anni un po' usati, alta un metro e
sessantacinque, capelli nero ebano che scendevano a riccioli fino al centro della schiena,
gli occhi azzurri del padre, ed un modo tipico dei bambini di arrotolare in continuazione
con due dita un ricciolo sulla tempia.
Infatti Bebèl, nonostante il levigato corpo da donna in cui era rinchiusa e che lei
usava per giocare, Bebèl ERA una bambina, nonostante il primo uomo a tredici anni e le
corse pazze sulla moto rossa e giapponese.
Bebèl ora è avvolta in un lenzuolo di plastica bianca. E lei ed il lenzuolo sono in un
parallelepipedo in acciaio inossidabile alla morgue dell'ospedale degli “Innocenti” (non
poteva essere altrimenti) a S. Giovanni e Paolo, a Venezia.
Il ghiaccio, pietoso, ha formato delle minuscole perline di vetro che ha fissato alla
peluria che le adorna il labbro superiore, le morbide labbra esangui e socchiuse, il capo
reclinato su una spalla, i capelli raccolti in un'unica massa nera dalla quale qualche filo
riesce a sfuggire e disegnare arabesche preghiere sul viso chiaro.
Arabeschi che anche Allah, come tutti gli altri unici dei, ha ignorato, distratto,
permettendo che tutto ciò accadesse.
Purtroppo non conosco bene il francese, è l'inglese la mia lingua estera.
Questo è un problema: in Tunisia si parla arabo o francese, tedesco per i turisti.
Ordino la colazione ed arriva. Baghette burro marmellata cafè noir.
Non si trovano giornali italiani, che succede a Venezia? Sui giornali francesi, da
quel che capisco, non c'è notizia del fatto, ma non vuol dire.
L'albergo è immenso. Più che un albergo è un residence fatto di tanti bungalow
sparsi su una superficie di quasi due chilometri per due. Qualche palma, tanta sabbia, il
mare non l'ho visto.
Al duty-shop di Fiumicino ho comprato la valigia e del vestiario. Quanta gente in
vacanza! Questo è bene. Molti tedeschi: cercano il sole che vedono ben poco lassù al
nord. Non mi sembra che mi abbiano guardato in modo particolare alla frontiera e
nemmeno alla reception, anche se viaggio solo. Il servizio è mediocre, come l'albergo che
pure è di categoria, locale, “lusso”.
E' caldo ma c'è vento, il cielo è azzurro intenso con qualche nuvoletta da fotografia.
Nel pezzetto di cielo ritagliato dal muro si vedono volteggiare due aquiloni rossi, del tipo
cinese. Come in Sardegna, l'anno scorso, con Bebèl.
Se penso a lei non provo nulla, forse un po' di pietà.
E' stata una disgrazia, lo capirebbe chiunque. Ciò non toglie che non ho voluto star
li a spiegare, poi lo scandalo, i giornali e tutte le cose spiacevoli che seguono. Me ne sto
qui tranquillo una quindicina di giorni, poi torno, non so della disgrazia, leggo i giornali,
forse dovrei telefonare in studio.
Posso essere partito per stanchezza, avevo bisogno di un po' di riposo. Proprio.
Mentre pensa ai fatti suoi, alla strategia quotidiana che gli permetterà di sopravvivere, l'Assassino si muove normalmente. .on è dissimile, esteriormente, dall'altra
gente che vaga per l'albergo.
L'essere assassini, ed altre simili forme deviate (deviate?) dell'umanità, non provocano infatti nessuna trasformazione esterna.
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Egli conserva in forma chimico-elettrica, in qualche decimillimetro cubo di cervello, la memoria del fatto, il segno del suo nuovo stato. Se cosi non fosse la gente d'intorno lo rifuggirebbe come un appestato, incuterebbe terrore ai deboli e sdegno al forte.
.on gli sarebbe concesso di sedere alla tavola comune e di sorridere e di colloquiare amabilmente, come ora fa, in parte costretto dalle circostanze.
Cosi la cena scorre, che bella giornata lei di cosa si occupa è meglio l'Italia il mare
è stupendo questa è nostra figlia.
KIRYE ELEISON. SIGNORE PIETA'. CRISTO PIETA'
Questa Tunisia mi ricorda in assoluto la Jugoslavia. Stesso mare, bello, stesso servizio scalcinato, statale, stessi mobili che sembrano appena usciti dal magazzino scene di
Cinecittà. Credo sia impossibile trovare, infatti, nel 1982, autentici mobili degli anni
cinquanta, con le gambe dei tavoli e delle poltrone in tubo di ferro e le superfici in teck,
anche finto. Qui è tutto anni cinquanta, e lo sono anche la maggior parte dei villeggianti.
Come questi seduti al mio stesso tavolo, presumibilmente tedeschi, lui impiegato lei casalinga, la figlia commessa o studentessa. Non si capisce più oggi, lo stato sociale della
gente. “Ancora pollo? Pulet?” Si, valli a capire. Cibo pessimo, albergo pessimo vita
pessima. Che cosa ci faccio qui? Avrò sbagliato?
Com'è facile perdere la vita.
Non ci è voluto molto, è facile davvero. Povera Bebèl, povera Bebèl, povera Bebèl.
Com'eri bella Bebèl.
Lungo l'asse .ord/Sud, l'albergo ha un corridoio che funge da spina dorsale del
complesso. In alto la testa dov'è l'ingresso effettivo, con cancelli e corpo di guardia.
A metà la reception centrale con i sei ristoranti, l'ufficio postale, la banca ecc.
In fondo gli ingressi al mare. Dalla testa al mare si muovono orizzontalmente innumerevoli vialetti che portano ai bungalow. Questa è la scena. Tutt'intorno sabbia.
A qualche chilometro sul litorale, altri alberghi. A sud il mare. A nord il paesino El
Souk, l'aeroporto, poi ancora sabbia e sabbia, fino all'orizzonte.
Niente giornali, maledetto paese. Eccomi allora a far la fila con altri turisti imbecilli, imbecilli perché sono italiani. Pensare che abbiamo la Sicilia e tutto il resto. Ieri
niente giornali, questa mattina coda dalle otto, sono al secondo posto, ma alle nove ancora
nessuno, maledetto paese, paesani e me che ci son venuto.
Questa ragazza ha un buon odore, familiare, olio solare che porta pezzetti di passato. Maglietta bianca con un piccolo quadrifoglio nero all'altezza del seno, a sinistra;
capelli lunghi legati con una strisciolina di stoffa azzurra. Gradevole. Guarda rassegnata
la porta chiusa dell'edicola (!), appoggiata con la spalla al muro, bianco, accecante di
calore e di luce. Per il riflesso del muro, il viso è luminoso e senza nessun difetto, con una
nota di leggera tristezza o, se vuoi, di noia. Quasi sicuramente noia. Ora mi guarda,
guarda la porta, mi sorride, fa le spallucce. Sorrido anch'io. Poi guardo da un'altra parte,
ho ben altri problemi.
Son qui da tre giorni e mi sembrano i classici tre anni. Telefono in studio. Non risponde nessuno. Ho dovuto fare un'altra ora di coda. Sento che non resisterò per molto.
Ma il primo volo in cui c'è posto é fra dieci giorni. Dieci giorni! Ora son pentito d'esser
venuto qui. Il giornale non dice, nulla. Possibile? Allora vuol dire che è passata la tesi del
suicidio.
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Dopo un'altra ora di coda riesco a telefonare allo studio. Daria parla velocemente, lo
studio è a posto, il lavoro di Londra prosegue autonomamente, è successa una disgrazia,
dottore, la signorina, quale signorina? il cuore batte veloce, la signorina Fiorella, è stata
trovata morta, morta? morta come? In piscina, dicono si sia sentita male. Per me è difficile telefonare, informati meglio, prima di dieci giorni non ho aerei che tornino, mi metto
comunque in lista d’attesa.
E' fatta! Il cuore batte ancora veloce. Il più è fatto. Credo.
L'Assassino si rilassa, è contento. Cammina più diritto lungo il bianco corridoio,
gira a destra nel vialetto, si ferma alla camera. Il garcon de chambre sta lavando a terra
con acqua sporca. Le feritoie del condizionatore vibrano, emettendo fresco vitale, e sono
coperte di muffa grigia. L'abaut-jour ha il cappello che cade di lato. L'angolo dell'armadio, in basso, ha il colore tipico dell'unto umano, dove anni di turisti hanno toccato
per aprirne l'anta, ché in altro modo non s’apre.
L'Assassino giace sul letto, in calzoncini bianchi e a torso nudo, guarda il soffitto a
cupola. Il ragazzo continua a lavare, a suo modo diligentemente; passa, ed ogni volta lo
osserva di sottecchi.
Questo bianco venuto con la sua ciccia e i suoi soldi dalle città che si vedono nelle
riviste abbandonate nei cestini. Le riviste e le lattine vuote di birra e le bottigliette mignon di liquore e gli assorbenti usati delle bianche profumate. E tutte le altre loro porcherie.
Ci vengono apposta, le bianche, con i loro grassi sederi, qui, a farsi fare da noi. E
come ci godono, come impazziscono nelle nostre camere, della “servitù”, sopra le cucine, tra l’odore di peperoncino ed olio fritto. Ci vanno via di matto quelle porche,
porche.
Quelli che non sono sposati, la sera la passano sulla spiaggia, a “raccogliere”.
.on ti ringraziano nemmeno. Le più fanno finta di non conoscerti, dopo, al sole, o
quando le servi al ristorante. Quando fanno le “signore”, con i loro uomini. Uomini?
Così pensa il ragazzo, troppo magro come i suoi colleghi, nelle loro divise nere, di
lusso, cori i bottoni d'oro. I baffetti di primo pelo gli sporcano il labbro superiore, come a
tutti, irriconoscibile, fra tutti, all'occhio distratto del turista.
Così pensa, e si consola dell'umiltà del suo lavoro. La rivincita viene alla sera, tra
le braccia delle bianche, quando si pensa si loro ricchi mariti gabbati che non vedono
nulla.
Che non riconoscono, poi, l'odore dell'adulterio sulla pelle delle loro donne, né
l'odore del sudore nel cibo.
Apro gli occhi e sono le nove di sera. Il condizionatore ronza emettendo un forte
rumore di acqua che scorre. Sarà aumentata l'umidità. Mi alzo, mi vesto, scendo in uno
dei giardini attorno alle piscine.
Una piscina d'acqua azzurra, potrebbe essere altrimenti?
Una ragazzina è in acqua, avrà quindici anni, forse meno. La pelle dorata, le gambe
lunghe, incapace a star ferma. Ti guarda appena, ora che è uscita dall'acqua, il corpo
appena infreddolito, i capelli biondi raccolti sulla nuca.
Non ha freddo?
Lontano, si sente il flauto di canna del complesso folcloristico emettere le sue note
stridenti, più a destra arriva l'abbaiare di una cane, poi altre voci giungono, attutite, eppure sembrano tanto vicine da potersi prendere con la mano.
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Sale il vento ad increspare l'acqua calma, la ragazzina si siede su una sedia bianca di
metallo smaltato. Accendo la trentaduesima sigaretta, ne aspiro la prima boccata, la migliore. Intanto, automaticamente, immagino il corpo della donna fanciulla. Sarà tedesca,
lo si vede dal bel viso su un bel corpo ma dalla contemporanea mancanza di grazia, dal
muoversi quasi scoordinato, l'espressione dura del volto. Si chiamerà Ingrid? Mi guarda
curiosa, forse perché ho gli occhiali da sole, ed è notte. Una notte profumata da spezie.
Tutto è a posto, per ora: l'Europa, e quel che vuol dire, lontana. Ho mangiato bene,
una piacevole sensazione di sazietà corroborata dall'aroma del tabacco. La luce dei lampioncini seminati tra le Palme disegna le sagome dei tronchi e si perde sulla sabbia chiara.
Chissà perché mi viene in mente un presidente della repubblica che fa la cacca sulla tazza
Presidenziale con la scritta “presidenza della repubblica”.
La musica è cambiata, l'America scivola sulla superficie dell'acqua. La ragazzina
Ingrid si è avvicinata e chiede qualcosa. Cosa ? Non so, parla tedesco, ma indica le sigarette, le mio “Mars” tunisine, sorrido. Che belle gambe piene ed abbronzate.
Il costume è teso all'inguine, che è poco più su del mio sguardo di persona seduta.
Qualche commovente delicato amabile pelucco biondo esce dalla mutandina.
Sorrido ancor di più scoprendomi simili libertini pensieri. Sto proprio bene, allora,
tutto si sistemerà. Ingrid mi provoca una forma pressante e da tempo dimenticata di eccitazione. Lei si accorge della mia mano che trema leggermente mentre le avvicino
l'accendino al volto. E' veramente molto bella, sono stordito, tiene la sigaretta con la
punta delle dita, come chi ha iniziato da poco a fumare. L'aria mi porta altri odori, molto
forti.
E' tutto tremendamente eccitante. Cosi mi dico e penso alla banalità della frase che
si è formata nella mia mente, assieme alla visione di carni morbide e piene e leggermente
sudate e profumate. Ed ancor più cresce l'eccitazione, se poteva ancora crescere. Ingrid, o
come diavolo si chiama, si siede al bordo di un lettino prendisole, all'ombra lunare del
gruppo di palme, quasi non la vedo, se non fosse per il punto rosso della sigaretta che
segnala ad intervalli la sua posizione.
Mi dice ancora qualcosa, poi ridacchia, non capisco, tento una frase in inglese tipo
bella serata vero? E' assurdo, penso, è assurda questa cosa della ragazzina pazza e sola,
che fa il bagno in piscina alle dieci di sera. E' assurdo che sia cosi bella, che mi chieda la
sigaretta, che voglia parlarmi eccetera. Eppure è li, fuma la mia sigaretta, mi guarda,
sorride? e se ne sta seduta sul lettino, le gambe leggermente divaricate.
Mi alzo, vado fino alla piscina, mi siedo in posizione migliore: sta seduta con gli
occhi socchiusi, a godersi la sigaretta, il piccolo seno tende appena la maglietta di cotone.
Mi accendo la trentatreesima ed aspetto. Cosa? Non oso confessarlo, ma anche solo cosi
la situazione è eccitante, piacevole, e mi basta. Sento pulsare il sangue alle tempie, ed
anche più giù, proprio lì. Maledette mutande piccole strette ridicole: con un movimento
impercettibile, credo, mi aggiusto, e va meglio.
Ingrid si gira verso di me e parla. Non capisco niente, ma il tono è amichevole, parla
ed indica la piscina, annuisco per compiacerla, sì bella piscina.
Si alza un vento fresco, lei fa un gesto di difesa. Lucine lontane, lungo la costa
ammiccano. Mi guardo attorno, non c'è nessuno nel vialetto che porta qui, nessuno alle
finestre dell'albergo, nessuno intorno.
Per una serie di coincidenze, chissà da dove siamo partiti, io e lei, nella vita, per
incontrarci oggi, in quest'ora in questo posto ed a questo modo, io e lei, dicevo, per queste
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coincidenze sembriamo soli in questa parte del mondo. Ancora parla, Ingrid, ma ho occhi
solo per le sue labbra che si muovono veloci articolando le tedesche parole.
Ancora non capisco, Ingrid fa le spallucce, mi volta la schiena e si toglie, meraviglia, la maglietta bagnata. Involontariamente distolgo lo sguardo, imbarazzato, mi guardo
attorno, non c'è nessuno. Andrebbe meglio se arrivassimo fin sotto quel cespuglio, allora
forse oserei. Ingrid continua a parlarmi, con le dita sottili si aggiusta i capelli. Il gesto è
cosi bello e naturale, ora che il busto è nudo a sorreggere la testa delicata.
Si volta appena ed aspetta una risposta. Allora mi avvicino e raccolgo la minuscola
maglietta bianca; gliela porgo, e questo, non capisco perché, le provoca una risata a stento
trattenuta, e penso che i tedeschi ridono come noi. E mentre penso questo penso pure
l'assurdità della situazione ed a me che penso mentre penso cose sciocche.
Frrrrir! Fiuuu! Il cervello è in pappa. Il seno di Ingrid è scosso dal suo ridere, poi si
gira verso di me e torna seria. Io non riesco a non guardare la macchia chiara che il costume ha lasciato sulla sua pelle, i capezzoli insolitamente piccoli, non sviluppati: che
abbia meno di 15 anni? Che cosa fai qui sola? Oggi non l'ho vista mai, con chi sarà?
Tutto questo mi chiedo velocemente, perché sento che un pensiero irrealizzabile sta
diventando realtà. Forse è in cerca, maliziosamente o meno, di un uomo. Mi tolgo gli
occhiali da sole che tenevo sulla punta del naso, e mi siedo accanto a lei. Ora che la vedo
meglio, il respiro mi si è fatto più corto, ed anche il leggero tremore che mi aveva preso,
ora mi è più chiaro, è dovuto alle immagini che si accavallano dietro ai miei occhi.
Lei si siede sulle ginocchia, il seno nudo, la mutandina del costume ha lacci cedevoli, s'intravede l'attaccatura dei glutei, ed è là che vorrei mettere la mano. E' seduta di
spalle a me, si sistema i capelli, le ginocchia appena divaricato, ogni natica appoggiata sul
rispettivo calcagno che appare, rosato, sotto di esso. Ecco, è cosi che la vedo, preso dalla
voglia e dall'eccezionalità dell'evento. Anch'io parlo, ora, dico cose ovvie e senza senso,
solo per vedere le sue reazioni: ride, si volta appena, parla ancora. Cosi m'inginocchio
anch'io alle sue spalle, fingo d'aiutarla a sistemarsi i capelli, la sua pelle è fredda e bagnata.
Al suo contatto rabbrividisco, poso le mani sulle sue spalle, come sono piccole, lei
ride ma non si ritrae. Le tolgo delle gocce d'acqua dal collo, dalla schiena, dalle cosce, lei
si appoggia a me, sento che ha un brivido, hai freddo? dico, e prendo a massaggiarla
piano, passo dalle spalle al, seno, le piccole punte protese, continuo, la sento sciogliersi, si
dice cosi?, s'appoggia con intenzione. Allora la bacio alla nuca, la mordo delicatamente,
come il gatto mammone. Lei spinge verso di me, e spinge bene, con intenzione; scendo
con la mano fino al suo inguine. E' umida, bagnata, tutti i pelucchi formano una massa
compatta che mi impediscono di raggiungere quel punto di lei che più di ogni altro
sembra ora reclamare attenzioni. Spingo anch'io verso di lei che s'inchina, sembra, verso
terra, il volto al materassino di plastica, ne sento l'odore, gli occhi socchiusi, un sorriso le
segna il viso persa nelle sue fantasticherie. Sciolgo facilmente i nodi che fermano la
mutandina, resta nuda, allora spingo verso di lei, con i miei pantaloncini corti calati a
metà.
Per un attimo, con l'occhio di fuori, ho il tempo di vedermici, ridicolo un bel po', ma
non importa, ora ho da fare. Cerco di essere gentile, poiché è questo il sentimento che lei
mi suscita, oltre ad un compiacimento estetico per la sua posizione, prostrata, vinta. Lei
sorride sempre, la cosa le piace, non parla più. Mi spinge piano a coricarmi su un fianco,
sempre allacciati. Sto per finire, vorrei ritirarmi, ma lei mi stringe ancor più ed ora s'agita
lei pure, con veloci movimenti continui, istintivi. Mi lascio andare, lei respira veloce, si
morde le labbra, io la osservo, fa tutto da sola.
REQUIEM -
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Resto là e non penso a nulla. Per subito pensare che è stato bello.
Come finisce la voglia la guardo con occhio più critico, la mia seduttrice, così
penso, ma la trovo sempre bella. Mi copro. Mi rendo conto del luogo, mi guardo attorno,
non c'è nessuno. Estate tunisina. Osservo, anzi, fisso, senza vederlo, un piccolo tavolino
in metallo bianco smaltato che sta lì, in mezzo alla sabbia, che non avevo notato, con un
portacenere MARTINI, e del quale non m'importa nulla.
Mi sveglio all'improvviso. Dopo poco riesco a vedere la stanza, è illuminata dalla
luce che filtra dalla persiana abbassata. Devo andare al gabinetto, pipì, ecco che cosa mi
ha svegliato. Resto ancora ad ascoltare l'alba. Sono ben sveglio ora. Alla luce grigia del
giorno che arriva resto immobile, non sento il mio corpo, e solo la mente vaga. Infine mi
decido: 3, 2, 1, in piedi. Mi osservo allo specchio, dalle gambe in giù, gambe autunnali,
poi al bagno. Alza il coperchio, guarda la tazza, trova l'apposito, dirigi al centro, appoggiati al muro con la mano libera, è più comodo, leggero sforzo e via all'esercizio.
Guarda al soffitto in cerca di zanzare, la carta igienica sta per finire ed altre idee
inutili e sempre uguali. D’altronde, son le cinque del mattino. Dal frigo della stanza
prendo una Coca, stappo bevo buona. Poi mi siedo sul letto e mi guardo allo specchio,
senza emozione, prosit!, mi fisso, non mi lascio un attimo con lo sguardo, stanco e fatalista.
Ieri sera, Venezia, la Tunisia, il sole, il caldo, Bebè1, Ingrid.
Vado al balcone e guardo l'alba ormai fatta, l'orizzonte rosa, gli alberi neri, i lampioncini nel giardino. la luce subacquea nella piscina. L'acqua è azzurra ed invitante. Ed é
cosi che dal mio balcone la vedo galleggiare: ferma, la testa all'ingiù, i lunghi capelli
sciolti che tendono al fondo come i tentacoli di una medusa, Ingrid, perché non può essere
che lei, Ingrid sta rappresentando un incubo, un dramma di morte, nell'assoluta non
drammaticità della scena, la bella sta rappresentando “La Morte nella piscina”, all'alba.
Ed è un'idea talmente surreale che continuo a guardare soggiogato dall'immagine e
da quel che significa, fino a sedermi sullo sdraio aperto sulla terrazza e sento che, lo
sdraio, è freddo di rugiada. Ed è forse per questo freddo impostomi dallo sdraio che,
involontariamente, rabbrividisco. Una potente scossa elettrica mi scuote dalle spalle alla
nuca. Cosa è successo? Non ricordo nulla. I capelli ritti, il respiro affannoso, cerco di
capire come sia scattata la trappola dove abbia commesso l'errore, che cosa sia successo:
ma non ricordo nulla, non son più così convinto di ciò che realmente è o realmente
sembra. Ricordo la schiena un po' sudata della ragazza, qualche carezza.
Poi sono quasi sicuro di essermene semplicemente venuto a letto.
L'Assassino ha cambiato volto, le narici dilatate, come un animale in gabbia. Infila
veloce i pantaloncini e scende le scale che lo portano al vialetto interno, poi alla spiaggia. Corre. Poi rallenta, sa che non deve correre, che non deve attirare su di sé la minima
attenzione. E' solo l'istinto a guidarlo, perché ancora una volta la ragione lo ha abbandonato, capisce solo di doversi allontanare dalla piscina e dal corpo che contiene.
Incontra due inservienti che raccolgono bottiglie vuote sulla spiaggia, i loro cappelli di
paglia lasciano appena intravedere gli occhi, il sole, nonostante l'ora, è già alto, caldo,
ed illumina impietoso l'uomo che corre sulla spiaggia fingendo esercizi respiratori,
fingendo la pratica dello jogging, fingendo di non essere su questa spiaggia, invocando
aiuto perfino a qualunque dio disposto ad ascoltarlo.
Pietà oh dio, cristo pietà, fatemi svegliare, per pietà, pietà.
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Mentre il cervello umano, disperato, chiede aiuto al cielo, l'altra parte del cervello,
quella del rettile, guarda freddamente le immagini che gli occhi percepiscono. Calcola
distanze, il cervello-rettile, calcola eventuali uscite dalla spiaggia, dall'albergo. Guarda
le barche dei pescatori e ne valuta la possibile tenuta in mare; controlla, dai dati in
memoria, la posizione dell'albergo, dell'isola, delle vie di comunicazione. Rispolvera
addirittura una vecchia lettura distratta tipo “manuale di sopravvivenza”, e ne riguarda
le illustrazioni: coltello fiammiferi, come accendere il fuoco, come procurarsi l'acqua
ecc. Il tutto in non più di due-tre secondi. Contemporaneamente controlla la velocità dei
battiti cardiaci, la profondità del respiro, dosa l'adrenalina e l'endorfina affinché il
corpo affidatogli, e di cui fa parte, sopravviva alla situazione di pericolo che si è creata.
L'Assassino è arrivato alla fine della spiaggia, verso ovest. Più in là, a circa
quattro chilometri fatti di sabbia e palme, si distingue un altro albergo, poi sabbia ed un
altro ancora; oltre questo si vede ben poco poiché l'aria rovente mescola terra e cielo
creando, con le palme e le abitazioni, una sorta di ectoplasmi che si capisce da qui non
avere sostanza, né offrire salvezza.
Allora, sempre di corsa, l’uomo-che-fa-jogging torna disinvoltamente sui suoi
passi, così sembra a chi lo osservasse correre, ora controvento. Più da vicino si vedrebbe
il sudore colare freddo dal viso, dalle tempie, sugli occhi. Verso Est c'è un faro a strisce
bianche e rosse, che si erge a sovrastare la pianura di ombrelloni in juta. Da lassù si vede
il mare fino in all'orizzonte, la sabbia fino all'orizzonte, la Piccola macchia dell’uomo e
la sua ombra che corrono verso Est..
Al piccolo promontorio che chiude la spiaggia da questa parte, l'uomo si ferma, in
stato confusionale, un terribile calore che sembra emanarsi da sotto le orecchie; si deterge il sudore, guarda l'albergo, il mare azzurro, una montagna di alghe che si seccano
tradite dal mare, una sagoma all'orizzonte di una motovedetta tunisina.
Il cervello-rettile emana ordini quasi inascoltati, tanti sono gli stimoli che arrivano
al sistema centrale, infine riesce comunque a mettere un po' d'ordine. L'ordine.
Dopo quasi un'ora, l'uomo era rimasto seduto schiena ad un muro, dopo questo
tempo, la tempesta sembra essersi calmata. Tutte le manifestazioni esterne sono cessate,
l'Assassino sembra, e forse per ora lo è, un normale turista che pensa ai fatti suoi che
ama la natura ed a cui piace stare così, in riva al mare, a contemplare il miracolo del
creato.
Invece l'Assassino non pensa a nulla, è rapito, in una sorta di ipnosi- caritatevole, a
curarsi con attenzione alcuni brufoli a metà del polpaccio. Poi si alza e va verso l'albergo, sufficientemente intontito da risultare appena alzato dal letto, da non destare ad
occhio inquisitore alcun sospetto. Questa è la strategia elementare che ha elaborato il
cervello rettile ed a cui le altre parti più evolute del cervello non hanno, per ora, saputo
opporre soluzioni migliori: non è successo niente, stavo dormendo, non la conosco, non
so nulla.
Passa per il corridoio centrale, deserto, è ancora molto presto, passa per la reccption, qui c'è un po' d'animazione, dietro il bancone sono in tre quando di solito c'è ne è
uno solo; e parlano sottovoce, intenti, non fingono nemmeno il solito sorriso finto.
Appena fuori dalla porta vede, l'Assassino, la forma ed il colore inconfondibile di
n'auto della Polizía. Qui il cervello-rettile ha dovuto imporre tutta la sua forza per
bloccare gli stimoli inconsulti: fuga-finto sorriso-finta indifferenza, che, tutti assieme,
volevano dirigere il corpo dell'uomo. L'uomo, fu stabilito, doveva solo passare diritto con
uno sguardo noncurante di curiosità, alla giusta velocità, nella giusta traiettoria, al
passo definito. E così stava facendo, ed aveva già raggiunto il corridoio che immetteva al
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corpo centrale dell'albergo, quando senti che stavano chiamando “monsieur.. monsieur?.. monsieur!!..”. Ma continuava disperatamente, finché sarebbe durata, nella sua
recita del turista appena svegliato, e non voleva sentire, non voleva che esistesse la voce
che ormai, indubbiamente, si rivolgeva proprio a lui.
Allora si ferma: è accaduto, aspetta.
Uno del banco, quello con la camicia bianca, ma hanno tutti la camicia bianca, si
sporge dal bancone ed agita un foglietto.
Un messaggio! Cretino! Un messaggio! Per poco mi mettevo a correre, scappavo,
l'avrei combinata bella.
“Merci”
“Perchè non telefoni me? 54” tutto qui quel che c'era scritto.
Non capisco, ma intanto sorrido ancora e mi allontano. E' scritto con una matita
grassa azzurra sul retro di metà del biglietto che si usa per ordinare la colazione. Cerco di
capire chi sia il mittente, è scritto in italiano approssimativo, ma non vuol dire. Penso alla
ragazza all'edicola, poi un colpo di gong mi fulmina, quando realizzo che può esser stata
LEI, Ingrid, il cadavere nella piscina.
L'Assassino sente per l'ennesima volta l'odore della trappola, non gli resta che restituire il foglietto negando che sia indirizzato a lui. Si volta e vede, in fondo al corridoio,
due gendarmi che vengono verso di lui, mentre lui sta andando loro incontro. Nel lungo
corridoio illuminato dalla porta lasciata aperta là in fondo, il tragitto è breve, non saranno
più di cinquanta metri, e camminando lui pensa nel modo più veloce possibile che cosa
poter fare, quale strategia usare, guarda a terra, guarda in fondo, guarda anche ai due
gendarmi di cui ora distingue i soliti baffetti. Ma intanto “la cosa” avviene: loro si fermano e danno chiaramente ad intendere che proprio lui stanno aspettando, lui non sa cosa
fare ed è la voce leggermente nasale di uno dei due a metter fine alla prima parte dell'evento ed a scandire la seconda:
“monsieur”
“si?”
“italiano ?”
“ Si ?”
“le passeport s'il vous plait.”
Mi accorgo subito di essere stupendamente calmo, e questo mi dà gioia e forza,
sono arrivato all'angolo, mi giro e combatto.
“Parlez vous francais ? »
« no »
« Do you speak english?”
Faccio gesto di non capire, aggiungo un sorriso imbarazzato per la mia ignoranza,
sembri che funzioni.
“Je suis afflito ma conosco poco poco l'italien” dice quello più basso e ben nutrito.
Da parte mia lascio trasparire la mia migliore buona volontà e comprensione, ma guardo
l'orologio con impazienza, sbrighiamoci, insomma. “Vado a prendere il passaporto, c'è
qualche problema?” e mi avvio. I due mi seguono mettendosi, spiacevolmente, uno per
lato, come si vede nelle foto sui giornali. Conosci signorina Ingrid? Non conosco signorina Ingrid, quale Ingrid? Ma cosa è successo? Sarei pronto a ribattere. Ma quelli tacciono, poi parlano in arabo o quello che è, tra di loro. Camminiamo e cerco di anticipare
quello che succederà, ma mi accorgo che è uno sforzo in più, forse per niente, lasciamo
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che le cose vadano, finché vanno bene, per il loro corso. Arriviamo alla camera, cerco la
chiave, entro, il più alto resta alla porta, il basso entra con me, capisco, una forma di ispezione, infatti guarda dappertutto, e mi compiaccio che tutto sia in ordine, trovo il
passaporto che gli porgo. Lo guarda, lo gira, controlla in quali altri stati sono passato,
quasi lo annusa, chiama il lungo e gli porge il passaporto, altri ordini brevi e secchi, l'altro
si siede e copia diligentemente, con una matita, i dati del passaporto.
E' un esercizio che lo impegna molto, non credo che lo scrivere sia la sua attività
preferita, mi aspetto addirittura che ogni tanto ravvivi la forza del lapis arrotondandone la
punta tra le labbra.
“Les billets, i biglietti prego, i tickets”
“Quali biglietti?”
“Les billets de l'avion”
« Ma posso sapere che succede?” mi scaldo un po', una reazione normale “credo di
aver diritto a sapere che cosa volete, entrate in camera mia, volete il passaporto, il biglietto, insomma!!” mi sorprendo per la realtà dell'interpretazione, ma è anche un vero
sfogo alla tensione.
Il bassotto mi guarda e sorride: “Pas de problem, monsieur, solamente un controllo”. Ho notato la falsità del sorriso, ma non ne sono preoccupato, resto sulle mie e porgo
i1 biglietto che il bassotto guarda a lungo. Mi sembra di essere, anzi di assistere ad una
commedia: il basso, che ormai ho capito essere il capo, va alla finestra, apre, lo seguo,
pronto ad emettere segni di stupore per quanto si trova giù, nella piscina. Esco sul terrazzino, guardo il cielo, vado verso il parapetto, guardi giù e vedo un bel giardino tropicale, curato, con le palme, ed il rettangolo azzurro, splendente, e vuoto, della piscina.
DIES IRAE DIES ILLA. SARANNO, QUELLI, I GIORNI DELL'IRA.
La formica è lunga un centimetro e mezzo, nera e lucida. Corre veloce tenendo
l'addome sollevato tanto da sembrare a prima vista una qualche razza di ragno. Si ferma
ed agita con impazienza le antenne, si erge sulle zampe posteriori, si guarda attorno.
I suoi occhi d'insetto vedono spazi dilatati, in particolari frequenze luminose, ed il
tutto, ad occhio umano , apparirebbe come un acquerello in seppia e bistro di qualche
bottega rinascimentale.
Ma, a guardar meglio, superato lo stupore di vedere attraverso l'occhio della
formica, vedremmo allora un grosso ventilatore da soffitto agitare lentamente l'aria di
una stanza bianca e non molto grande.
Da una parete la luce entra filtrata da una persiana della quale non si riesce più ad
indovinare il colore originale; sotto a questa finestra s'intravede un mobile basso, coperto di fascicoli per un buon mezzometro. Più in qua una scrivania, ma è più giusto dire
tavolo, anch'esso oberato di carte e fascicoli.. Il resto della stanza è nascosto nell'ombra,
tranne la zona del tavolo che è letteralmente tagliata dalla luce che entra e che per tutto il
suo tragitto fino a terra è resa evidente da una spessa cortina di fumo.
L'origine del fumo è un sigaro corto e nero che il gendarme seduto al tavolo ogni
tanto raccoglie dal coperchio di latta che funge da portacenere, ne aspira una boccata
con personale piacere, quindi espira con volute azzurre verso il ventilatore.
E' in questo momento, ed in questa stanza, che l'Assassino viene fatto entrare e
sedere; lo segue un tunisino in giacca e cravatta, le scarpe consunte, è l'interprete. Tutti e
tre siedono e si ignorano a vicenda, poi entra un quarto personaggio che si siede in un
angolo ad una vecchia Remington con il tasto della “S” che s'inceppa sempre, e sempre,
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quando batterà questa lettera, lo scrivano porterà la mano in mezzo alle lettere per liberare la “S” dal nodo dei tasti..
Sul tavolo il passaporto e sopra di esso il biglietto consegnato nella mattina dal
portiere, poi le onnipresenti mosche che fungono, assieme allo splat splat del ventilatore,
da colonna sonora del rito. Si, poiché di rituale si tratta, si ripete la rappresentazione di
uno degli atti dell'amministrazione della giustizia, qualunque essa sia.
Il sacerdote è il gendarme nella sua divisa grigioazzurra abbottonata, nonostante il
caldo, fino al collo. L'oggetto del rito l'Assassino, sebbene ancora nessuno lo abbia definito come tale; ciò nonostante egli è di fronte all'officiante che indagherà nelle parole,
nei fatti, per pesare quest'uomo che gli è stato affidato a capo scoperto.
Già solo per questo fatto l'officiante si crede di essere la Giustizia. Concelebrano lo
Scrivano, che ha il compito non secondario di scrivere, e cioè portare a futura testimonianza quanto sarà fatto e detto. Infine l'interprete che tradurrà le parole delle due lingue: solo uno strumento del rito ma, pensando al suo ruolo, probabile protagonista dell'atto.
“Netsanít, sono il suo interprete inviato dall'ambasciata italiana a Tunisi, è la
prassi”
“Di che cosa mi si accusa? E' il modo di fare con un turista straniero? Cosa dicono
all'ambasciata? Che intenzioni hanno”
“Il problema è grosso, per quanto è successo. Formalmente lei non è accusato di
nulla. Stanno solo indagando, per il passaporto è la prassi, ma non vuol dire niente. Le
preoccupazioni inizierebbero se avessero convocato un avvocato d'ufficio per istruire un
processo”
“È veramente assurdo quanto sta accadendo, non ho la possibilità di sentire il mio
avvocato, la mia famiglia, di avvisare quanto mi sta accadendo”
“Non si preoccupi, se dovesse servire sarà l'ambasciata stessa a muoversi. Per ora
siamo riusciti ad ottenere che la trattenessero qui, in cella di sicurezza.. l'alternativa è fi
carcere, e qui non è come in Europa”
“Paese di merda!”
“Meglio che si tenga le sue osservazioni. Molti capiscono, senza darlo troppo ad
intendere, anche l'italiano, ricordo poco onorevole di guerra”
Intanto lo scrivano ha iniziato a battere a macchina.
“Quando ha conosciuto la ragazza?”
“Ieri sera. Era caldo, sono sceso a far due passi in giardino, lì ho incontrato la ragazza ed abbiamo scambiato due chiacchiere”
“Cosa intende per chiacchiere?”
“Cosa vuol dire chiacchierare in italiano?”
“Lo chiedono a lei!”
“E lei faccia una traduzione letterale: chiacchierato!”
“L’aveva già incontrata?”
“No, mai, son appena tre giorni che son qui”
“Fino a che ora si è intrattenuto con la vittima?”
“Esattamente non lo so, avevo lasciato l’orologio in camera perché il sudore mi
infastidiva il polso”
“Ma più o meno?”
“Mezzanotte circa”
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“Ha avuto dei diverbi, ha litigato con la vittima?”
“Ma buon dio perché mai? L'avevo appena conosciuta, carina e simpatica, perché
litigare?”
“E' stato raggiunto dalla vittima nella sua camera?”
“Ma certamente no, che senso avrebbe?”
“Un senso.. intimo”
“Assolutamente no”
“Il biglietto era nella casella della sua chiave, in portineria, il portiere di notte non
l'ha visto mettere e quindi non si può sapere l'ora, a che ora la vittima era ancora sicuramente viva. L'autopsia verrà fatta in giornata, ad un primo esame sembra comunque che
abbia avuto uno o più rapporti sessuali prima di.. del decesso. Sarebbe contrario ad un
piccolo prelievo di sangue per un esame comparativo?”
“Sono contrario si, ma insomma!”
“forse le converrebbe mostrarsi più accondiscendente, infondo è lei, a quanto sappiamo, l'ultima persona che ha visto viva la ragazza, e fino ad ora, questo lo dico io
s'intende, fino ad ora lei è anche l'unico probabile Assassino, perché, signore, è di omicidio che si tratta.”
Catatrak!! Il rumore della tagliola rimbomba nella testa dell'Assassino.
Omicidio! E neanche per Bebèl, che pure è stata una disgrazia, ma per una sconosciuta, per dieci minuti di sesso e nulla più. Pensava di scontare, di espiare per quanto
era successo a Bebè1, ma molto più in là nel tempo, quando fosse stato pronto. Invece no,
“ora” è la resa dei conti. Ma non così, si dispera l'Assassino, e forse non pensa nemmeno
ad una resa dei conti. Come la malattia implacabile che tocca sempre a qualcun altro.
TUBA MIRUM SPARGENS SONUM. LE TROMBE DEL GIUDIZIO, FIN
NELLA REGIONE DEI SEPOLCRI.
Penso ad Ingrid nella cornice della piscina. Poi a Bebèl. Com'è tutto simile. Due
rettangoli di acqua azzurra. Tutto maledettamente vero. Ebbene sì, abbiamo fatto l'amore,
non so come si chiami, come sarebbe a dire “impossibile” signor commissario? La signorina Traud? Gertraud? Cioè Geltrude? Cosi si chiamava la poverina? Poi mi siedo sul
letto. Solo ora, lentamente, sale l'idea che la giovane e bella Ingrid-Traud è morta, che ieri
sera per qualche minuto ci siamo amati. Che era dolce e morbida, fino alla fine.
Quest'immagine si è sovrapposta a Bebè1 che sento ora con un certo distacco.
E' sommamente riprovevole, ma non so che farci. Riprovevole! Non ci sono parole
per quanto ho visto in quest'ultima settimana. Resto sulla branda sdraiato, faccia all'aria, e
non ci crederebbe nessuno, eppure piango, senza rumore.
Oh! E' una giornata dolcissima, che inviterebbe a pensieri leggeri e pieni di bontà.
I pettini delle gondole annuiscono instancabili al loro riflesso nell'acqua, i gabbiani
volteggiano a pelo dei palazzi splendenti, con lunghe urla che sembrano d'agonia.
L'orologio della piazza scandisce le sette del mattino e, come ad un segnale, dalla
curva del rio appare il motoscafo nero.
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Tende nere nascondono, al di là degli ampi vetri, lo spazio per ora vuoto riservato
alla bara. Le tende nere bordate in oro sono volate, da questa parte, fuori bordo, ed ora
sono trascinate in acqua nella stessa scia pigra dell'imbarcazione.
Ancora, ai lati, i simboli della morte. La trista nave accosta. Ne scendono due dei
quattro necrofori. Hanno la loro divisa di panno consunto, nero, lucido ai gomiti ed alle
ginocchia, le mani grandi e arrossate, gli occhi che sanno tutto, fino in fondo, la cicca
all'angolo della bocca. Per loro, questo è solo un “trasporto”, a tariffa ridotta, si tratta solo
di portare la bara all'isola degli Armeni, per la cerimonia funebre, poi sarà una gondola la
barca di Caronte verso S. Michele, l'isola dei morti.
Quindi l'impegno è minimo, quasi un capriccio dei “clienti”. I due ricordano, per i
loro visi, le loro movenze ed il loro compito, i “monattí” raccoglitori di cadaveri durante
la peste, e nello stesso modo, senza molto garbo, discutono, guardano un foglietto che uno
dei due agita, strappato in parte.
Trovano la casa del dolore e salgono le scale di pietra, rampa per rampa, girando
sempre verso sinistra.
Una vecchia, in silenzio, li guida per la casa deserta fino alla stanza dove troneggia,
al centro, una bara in legno chiaro; controllano le viti che fissano il coperchio, le due
fettucce in acciaio che sigillano la chiusura. Ora sono arrivati anche gli altri due, non si
guardano nemmeno attorno nella bella e ricca e muta casa: hanno il problema della discesa, e di questo discutono, poiché le scale sono strette per la bara, bisognerà trasportarla
in piedi, e cosi si fa. Sudando, imprecando sottovoce per il caldo, i quattro monatti fungono da Cavalieri dell'Apocalisse per la piccola Bebèl, ora ancora più piccola, rattrappita
verso il fondo della bara trasportata quasi all'in piedi, le mani non più disgiungibili raccolte attorno ad un fiore.
MORS STUPEBIT ET NATURA, CUM RESURGET CREATURA, JUDICANTI
RESPONSURA.
All'isola degli Armeni esiste una piattaforma rotonda, con balaustre, larga forse
quindici metri, che è la punta dell'isola verso Venezia.
Sotto di essa, tre o quattro metri sopra il livello dell'acqua, è stato ricavato un approdo coperto per motoscafi.
Qui hanno attraccato, infatti, i due lucenti motoscafi giunti dalla terra ferma. I potenti motori rombano quieti sputando acqua e fumo azzurro dai due tubi di scarico.
I piloti aiutano a scendere le persone, non molte per la verità, discrete, disorientate
dalla corsa sull'acqua e dall'orario. Dal fatto che tutti vanno a stringere la mano ad una
figura di donna, si può supporre che lei sia la Madre. E' una figura nera, l'unica, avvolta in
un ampio velo, alla maniera araba, dal quale fuoriescono i piedi in calze e scarpe basse
anch'esse nere. Lo sguardo vacuo, si direbbe sotto l’influsso di tranquillanti, le mani,
ormai vecchie, sono coperte da grossi anelli d'oro, le unghie laccate in rosso, lunghe,
danno una nota stridente nel tutto; ma è la testa che è un capolavoro, la testa emerge su un
collo esile e disadorno, abbronzato, dalla massa informe delle vesti; anche il viso è abbronzato, eccessivamente, la bozza si è allora ritratta e profonde rughe verticali ne segnano le labbra. Altre rughe, disordinate, dal carattere indefinibile, coprono un viso imbronciato impreparato all’evento. La Madre ha preso sulle sue spalle il fardello
dell’immagine di questo dolore e lo rappresenta magnificamente, stillandone addirittura
l’essenza in una sola lacrima appoggiata come una perla all’analogo esterno dell’occhio
che si vede.
REQUIEM -
pag. 17
Ora tutti sono inconsapevolmente schierati sulla piattaforma sul mare, gli occhi
verso Venezia, da dove arriverà Bebèl nella sua barca nera con i quattro angeli neri della
sua privata Apocalisse.
Cessati i convenevoli. Le pie donne presso la Madre, ripropongono antichi quadri
liturgici. Tutti aspettano in silenzio che le tutto quanto va fatto sia fatto.
Quest’atmosfera di ineluttabilità, che permea ogni azione, oggi, accompagna
l’arrivo di Bebèl, la cerimonia funebre, la semplice omelia fatta di scarne parole simili a
quelle che l’accolsero, Bebèl, vent’anni fa, per il battesimo.
Ci s’incomincia a rendere conto della cosa solo quando il carrello cromato su cui è
adagiata la bara inizia ad andare verso l'uscita della chiesa, trascinato da uno dei monatti.
Gli altri son rimasti a parlare con il gondoliere fuori, sotto un salice sull'acqua.
Perché, oltretutto, il carrello cigola, così possono contare i singoli giri di ruota
mentre percorre la navata centrale, si ferma un attimo alla porta che viene spalancata
rompendo, quasi con urlo, la fresca oscurità del sacro.
Poi i quattro monatti sollevano carrello e bara e scendono i quattro gradini, seguiti
dal prete, i chierici, e la gente che, tutta, strabuzza gli occhi alla gran luce e si protegge dal
sole con la mano messa a visiera.
Il carrello cigola poi per il viale in cemento fino alla gondola.
La barca dondola piano, i due gondolieri in nero ed oro la tengono attaccata alla riva
mentre si carica la bara, i due cuscini di fiori, senza scritte, altri mazzi sparsi , il telo nero
con la scritta PAX, il prete benedice ancora.
Poi la gondola si stacca dalla terra e prende il mare, sbilenca come un'enorme
virgola capovolta scritta su questo mare grigio, stupito. Ora tutti si muovono assieme, si
torna ai motoscafi, si segue la gondola verso S. Michele.
LIBER SCRIPTUS PROFERETUR IN QUO TOTUM CONTINETUR, UNDE
MUNDUS JUDICETUR
Il taxi di ritorno verso l'albergo è di quelli gialli, dovrebbe essere di lusso, il conducente indossa un barracano grigio scuro ed il tipico fez rosso scuro, pulito. E' questa la
cosa che più mi colpisce e mi dà da pensare. Anche se ben altri pensieri affollano la
mente, cosa fare, soprattutto, che cosa stanno facendo a mia, insaputa; sembravano gentili, nei loro limiti, ma non mi fido più di tanto, anzi.. non mi fido per niente, e il passaporto? Chissà se potevano tenerlo, ma a chi chiedere? Dove il sole tocca, sul sedile ricoperto in vinilpelle, il caldo è intollerabile, eppure mi era sembrata una buona idea
quella di venir qui, se non ci fosse stata quell'altra stupida, ma proprio tutte a me devono
capitare? Guarda come prende le curve! quest'animale! Beduino di merda. Non sono mai
stato razzista ma proprio non se ne può fare a meno, basta viverci un po' assieme. Bebèl,
mi sembra mille anni fa, in un'altra vita. Spero non ci siano problemi per il passaporto,
ancora pochi giorni e via a casa, tutto è meglio di qua.
Con il mare il sole la sabbia, nient’altro, in una sorta di stupida vita primitiva.
Chissà cosa direbbe Aalto della pianta aperta delle abitazioni. locali. Più tuguri che abitazioni.. le pecore, le donne velate che, per quel che si vede, è meglio restino velate;
sembrano case e persone del nostro profondo sud, ma è insopportabile l'aria di sfottò che
hanno, quel chiamarti “spaghetti”, beduini di merda, ve li sognate gli spaghetti, ed anche
tutto il resto.
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Guarda sto tassista, sarà uno dei boss locali, le unghie nere .. l'alito da cipolla che lo
sento perfino io che non ho olfatto. Ecco un caso in cui non mi sento menomato ad essere
senza olfatto, o quasi. Una dimensione importante e negatami, come altre cose, come
l'essere nato ricco e senza problemi, quello che ho me lo sono guadagnato. Poco o tanto
che sia. Guarda due uccelli, i primi che vedo, sembrano rondini, ma sono bianchi. Gli
odori. Quando avevo tredici anni mi presi una cotta tremenda per quella biondina con la
frangetta, due banchi più avanti a sinistra, che cotta! Quell'anno mi bocciarono, ma poco
importava ché avevo gli ormoni che mi battevano in testa e principalmente, al centro del
corpo da poco scoperto e talmente esperimentato che temevo, come diceva il prete a
dottrina, ne sarei rimasto cieco. Lei, il mio primo amore, come lo classificai per molto
tempo, era quieta, invitava alla meditazione alla musica classica che mi fece scoprire, ed
al mondo segreto del femminino del quale fino allora avevo solo parlato con gli amici di
scuola.
L'immagine femminile che più andava tra noi ragazzi era quella di un'enorme sesso,
insaziabile come il nostro desiderio e colmo di piaceri dei quali sghignazzavamo, per
nascondere il pudore che mal si confaceva ad “uomini” della nostra sorta.
Lei, un giorno di settembre, mi invitò a casa sua. Rubai dei soldi dalla tasca di mio
padre e comperai un piccolo gatto di peluche con l'aria furbetta, mi misi l’abito della
domenica e le scarpe, terribili, di camoscio. Così andai incontro al mio destino di uomo.
Dopo una corriera e due chilometri a piedi, suonai il campanello con un sorriso di sufficienza sul viso imberbe. Lei apri e mi sembrò bellissima, aveva un maglioncino blu su
gonna stretta blu su due gambe diritte fasciate in calze blu, probabilmente anche le scarpe
erano blu. Galleggiando, sali i gradini e mi sedetti nel soggiorno di cui ricordo solo che
aveva un televisore in un angolo, eravamo soli in casa. Come stai eccetera, che cosa bevi?, io volevo dimostrare di essere un ragazzo morigerato, al quale potersi affidare, come
i miei genitori e le istituzioni fino ad allora frequentate mi avevano insegnato, dissi, di
conseguenza, latte, che chissà perché mi sembrava anche una bevanda sportiva, oltre che
morigerata.
Ben altri erano i miei pensieri. Giunse il latte che risultò freddissimo e che io bevvi,
sempre con la mia maschile noncuranza, tutto d'un fiato. Poi lei mi raccontò non ricordo
cosa, poi accese il giradischi e alle mie rimostranze sul fatto che non sapevo ballare
perché era occupazione poco “maschia” - pensate come avevano cresciuto il povero stupido - si offrì d'insegnarmi, e, lei, mi strinse e si strinse a me, e solo dopo molto tempo
capii che anche lei era in piena tempesta ormonale, poi disse che sì, si poteva ballare
anche con la dama di schiena e guidava le mie mani dalla sua vita su ai piccoli seni.
Fu allora che il caldo, il cuore che andava a mille, l'erezione che mi metteva in
enorme imbarazzo, lei, ma soprattutto il suo maschio latte gelido, tutti assieme fecero
effetto e lo stomaco si bloccò in uno spasmo doloroso mentre un conato di vomito saliva
alla gola. Feci appena a tempo a scendere le scale fino al giardino e lì, presso una pianta di
rosmarino, vuotare il mio stomaco ed il mio maschio orgoglio.
Per molti anni che seguirono, all’odore del rosmarino associavo quel settembre, e la
mia prima sconfitta.
Così pensava l'Assassino, avendo anche pensieri umani, commiserando se stesso e
la sorte, insaccato nel sedile posteriore del giallo taxi che andava incontro al sole che
tramontava, così sembrava, dentro l'albergo. 7on lasciatevi ingannare dai suoi ricordi
nella vita precedente: anche il più terribile mostro è stato neonato ed ha suscitato tenerezza. Anzi, questi pensieri innocenti sono deleteri poiché egli, l'Assassino, si convince di
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avere un'anima e dei sentimenti, e che qualcuno in qualche momento della sua vita ha
approfittato di lui, distruggendone l'anima e l’innocenza e trasformandolo in quell'essere
vituperato dalle genti che egli sa ormai di essere, senza scampo, né per lui, né per chi lo
ha reso tale.
JUDEX ERGO CUM SEDEBIT
Per arrivare ad oggi, l'Assassino ha impiegato trent'anni, e per innumerevoli volte,
ad ogni bivio che la vita gli ha fatto trovare, ha scelto la sinistra, notoriamente la via dei
male. E' nato nella Lombardia nelle nebbie, in pieno inverno, dopo gli anni della guerra,
nella prima ricostruzione. La madre ha vissuto in una casa umida e fredda, portando la
sua pancia gravida vicino alla stufa per riscaldarsi mentre il marito, il padre dell'assassino, partiva con il buio e con il buio tornava.
La madre era sposata da poco e subito incinta; dalle sofferenze della guerra al
matrimonio con l'abito a prestito, alla notte di nozze che in poche ore la trasformò da
vergine a donna e madre senza che nessuna di queste parole, a parte forse la prima,
avessero per lei un significato apprezzabile.
La madre non ha amiche, poiché non è di queste parti, passa le lunghe giornate
vicino alla finestra, dove c'è più luce, confeziona piccoli abiti all'uncinetto ed ascolta
crescere dentro di lei la nuova vita. 7on è contenta né scontenta perché non conosce
altro modo di vivere che questo, e tutto sommato si ritiene fortunata di aver trovato marito, che il marito abbia lavoro che non la picchi. Tutto il resto è vita di ogni giorno. Fino
al 22 dicembre quando il bambino decide di nascere.
La camera viene addobbata a sala parto dalla figlia della portinaia che ha pure
provveduto a chiamare la levatrice. Quando arriva, le doglie son già iniziate da molto, e
la madre ha cambiato volto, nei suoi occhi si legge la paura di un animale ferito, il dolore
è nuovo ed imprevisto, insopportabile, s’irradia dal bacino alla spina dorsale e per ogni
nervo, in potenti palpitazioni che non hanno però la forza, pietosa, di stordirla.
Cosi continuò per due giorni, ora per ora, in cui la madre pregò urlò e maledisse
iddio, in cui voleva togliersi con le mani le proprie viscere, soffocata dal dolore, nell'acre
odore di stufato che saliva dalle scale, o delle erbe che ogni tanto le lasciavano respirare
per calmarla un po'. Il bambino aveva la testa troppo grossa, non passava, aveva forzato
le ossa del bacino con il viso schiacciato contro i tessuti materni, ma più in là non riusciva ad andare. Il bambino aveva il viso, il naso la bocca, premuti contro la parete uterina e questa vi si applicava come una ventosa e i sussulti, delle doglie non riuscivano a
far progredire il parto che di millimetri. Comunque, come dio volle, anche questo finì, il
bambino nacque, la testa oblunga. le ossa del cranio adattatesi al difficile percorso,
ematomi sul viso, cianotico, senza segni di vita. La cosa che era fu trascurata,
data per cosa morta e lì appoggiata su un tavolo, mentre le attenzioni erano tutte
per rianimare la povera madre. Alla fine urlò, la cosa-bambino, urlò per essere ammesso
al mondo, decidendo per la prima volta di vivere.
I primi mesi passarono al chiuso, vicino al caldo soffocante della stufa, coperto di
lana per paura si ammalasse, e continuava, nella mente del bambino
l’assimilazione dolorosa di vita-uguale-dolore, buio, soffocamento. 7é l'ambiente familiare tendeva a diminuire questa impressione. II padre fu sempre un rumore ruvido,
lontano, al contrario della madre che risultava onnipresente e soffocante, manteneva
insomma un equilibrio e questo senz'altro influì sulla giovane psiche.
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Poiché rimase gracile, fu coperto d'affetto e contemporaneamente isolato dal resto
del mondo, per cui il suo mondo fu la cucina dal pavimento in mattoni ed il piccolo cortile
interno dal quale si vedeva lassù un rettangolo di cielo rotto, una volta alla settimana,
dal bucato steso ad asciugare.
Ma fu anche straordinariamente precoce, e presto imparò a leggere e a scrivere,
così che alle elementari dovette faticare poco per stare a galla. Qui conobbe il resto del
genere umano, fatto di bambini e, più interessanti, bambine. Con i primi non seppe
intrattenere che un rapporto o di rifiuto o di preminenza. Le bambine invece, lo incuriosirono subito, per la loro diversità e per il loro odore, buono: un leggero sentore di
pipì e borotalco.
Fino ad oggi aveva imparato ad avere paura del buio e di soffocare. 7on aveva
figure maschili preminenti alle quali fare riferimento: il padre era inesistente, qualcuno
che non premiava ne' puniva direttamente, ma solo con l'aizzare la madre fino a farle
avere delle crisi di nervi che lei scaricava sull'unico figlio. Aveva imparato quindi ad
odiare il maschio ed a preferire la compagnia della femmina, aveva anche imparato ad
usare l'intelligenza per migliorare il proprio stato. Più tardi le doti naturali che aveva gli
permisero di ottenere lusinghieri successi nello studio, e benché non fosse quel che si
dice un bello, anche con le donne.
Tenne sempre la mano sinistra e, anche se fragile e timido all'apparenza, conteneva una forza di rivalsa così forte da tramutarla in cinico disprezzo per sé e gli altri.
Una
donna bambina gli insegnò ad ascoltare la musica classica, un'altra ne raffinò il gusto,
un’altra ancora le pause che punteggiano un discorso. Ognuna di esse, ed altre ancora,
lo resero uomo, tradendolo, umiliandolo, facendogli provare l'abbandono, la solitudine,
l'eternità del silenzio. Così metà del genere umano era già stata abbandonata per mancanza di affinità, ora l'altra metà, la femminile, lo attraeva e lo respingeva con uguale
forza, fino a creargli l'angoscia del vivere.
QUID SUM MISER TUNC DICTURUS, QUEM PATRONUM ROGATURUS,
CUM VIX JUSTUS SIT SECURUS?
Finalmente Riccardo!
“Ti costerà un patrimonio questa telefonata!”
“Tu non pensarci ché tanto pago io, sono in un casino, hanno trovato una ragazza
morta nella piscina dell'albergo, sospettano di me, mi hanno ritirato il passaporto, non si
capisce niente paesedimerda”
“Ma tu c'entri?”
“Ma sei scemo?”
“Il ritiro del passaporto è cosa grave, telefono subito all'ambasciata, ma in che guai
ti cacci? Non sapevo nemmeno fossi partito”
“È stato un momento di pazzia, non ne potevo più dell'affare Londinese, sono
scappato qualche giorno per non soffocare”
“Hai saputo di Bebèl”
“Si, povera Bebèl, che disgrazia!”
“Non sono sicuri, pensano a suicidio”
“Si? e perché mai? era felice, doveva sposarsi a settembre con il cretino”
“Me 'ha detto un amico della mobile, fanno una piccola indagine, proforma, non è
escluso che vogliano parlare anche con te”
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“E io che c'entro? erano mesi che non la vedevo, dalla lite al “Muretto”
“Hanno voluto parlare anche con me che c'entro ancora meno”
“Eri anche il loro avvocato”
“E basta”
“E allora secondo te perché lo fanno?”
“È stato uno strano incidente, Bebél sapeva nuotare, benissimo.. e non sembrava
volesse suicidarsi, e come poi? autoannegandosí? Solo la forte influenza della famiglia é
riuscita ad evitare un’autopsia, hanno voluto che tutto tacesse in fretta, che non venisse
fuori quella vecchia storia di droga. Ma è, proprio da quella parte, se ho ben capito, che
stanno movendosi”
“Ma che la lascino in pace! ormai”
“Sai com'è la legge, lenta ma testarda, specialmente se si chiama Imposimano”
“Ci dovrebbe pur essere un limite!”
“Non per la magistratura”
“Tirami fuori di qua, al più presto, ho un aereo tra due giorni, poi ci sono problemi e
non vorrei prendere il traghetto”
“So che odi il mare, ma se fosse necessario..”
“Vengo a piedi, piuttosto”
“Sii cauto, intanto, chiamami verso te quattro”
“Se necessario vieni giù”
“Speriamo di no”
Finisce il giorno.
“Finalmente, quattro giorni! Riccardo non sai come si stia qui! Allora?”
“Grane! sembra vogliano incriminarti. M'avevi detto che non c'entravi e ora salta
fuori che c'è addirittura un testimone oculare!”
“Oculare di cosa?”
“Che ti scopavi la ragazza, intanto, vero o no?”
“Ma da questo ad ucciderla”
“Però m'avevi detto che non ne sapevi niente?”
“Insomma che cosa succede?”
“Più di tanto non sono riuscito a farmi dire, forse non ne sanno di più nemmeno
all'ambasciata”
“E allora?”
“E' meglio che vengo giù, se riesco a trovare un posto in aereo”
“Caso mai gira per il Cairo”
“Allegria!”
“Sei il mio avvocato per cosa?”
“Te lo ricorderò al momento della parcella”
“Come vuoi ma fai presto!”
“L'importante è tenerti fuori dal carcere, li mi dicono che non scherzano”
“Fai presto; non puoi avocare all'Italia il diritto del giudizio? Che ne so un foglio di
via che mi spedisca in patria come indesiderato?”
“Troppo facile amico, il delitto è loro e loro se lo vogliono giudicare, e sono islamici, poi bisogna in ogni caso attendere l'incriminazione formale, fino ad allora non hai
nemmeno i diritti dell'imputato”
“Porcaputtana!!”
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“Senti… devo dirtelo. Sei messo molto male…”
Sopra le cucine del corpo centrale, nella sua cameretta, il giovane Alì Saied cerca di
togliere, senza risultato apparente la cinquantesima macchia d'unto dalla giacca della
divisa.
Alì è uno dei centotrenta inservienti dell'albergo, quasi uno ogni 15 clienti; egli
appartiene alla penultima classe, quella dei garcon de chambre e si riconosce dai pantaloni neri con l'antiquata zampa d’elefante, maglietta di cotone bianca e giacca a strisce
verticali rosse e nere. Più sotto, in categoria, ci sono gli addetti alla pulizia dei viali e degli
spazi aperti, hanno una divisa completamente color sabbia. Ci sarebbero, ancora più
sotto, i giardinieri, in pantaloni blu e grande cappello di paglia, ma questi non contano
perché non fanno parte del personale fisso dell'albergo. Più su, invece, ci sono i camerieri
generici, pantaloni neri e casacca azzurra, poi, ancora salendo la scala delle responsabilità
e degli annessi onori e stipendi, ci sono i camerieri di sala, pantaloni neri, giacca bordeaux, camicia bianca, papillon nero; a pari merito i camerieri del night, in giacca verde o
rossa.
Nell’Olimpo si trovano i capo camerieri e i máitre, i quali svolgono una loro funzione di controllo e comando che impongono con impercettibili movimenti degli occhi. E'
lunga la strada, per Alì, specialmente per il fatto che non ha studiato e non ha potuto
frequentare, la scuola alberghiera.
Ma intanto si arrangia, qualche mancia, qualche furtarello discreto, qualche fregatura ai turisti babbei, cioè quasi tutti. Si guarda nel piccolo specchio attaccato alla porta,
il corpo magro, i maledetti capelli ricci e l'inequivocabile carnagione scura, i baffetti radi.
Si guarda, con un po' più di preoccupazione, ma neanche tanta, le ferita sulla schiena, due
lunghe strisce rosse a destra e quattro a sinistra: chiaramente unghiate.
Aveva il diavolo in corpo quella ragazza alla piscina, l'altra notte, ma perché tanto
ostinata a rifiutarsi? C'era pur stata con l'italien, poco prima, e poi lo sanno tutti che, alle
bianche, piace.
REX TREMENDAE MAJESTATIS, QUI SALVANDO SALVAS GRATIS,
SALVA ME, FONS PIETATIS.