Data: 4 settembre 2015 COMUNICATO STAMPA NERO DI TROIA

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Data: 4 settembre 2015 COMUNICATO STAMPA NERO DI TROIA
 Data: 4 settembre 2015
COMUNICATO STAMPA
NERO DI TROIA, ECCO IL FILE ROUGE DEL NORD DELLA PUGLIA
E CHE E’ STATO IL VINO PIU’ VOTATO NEL WINE CHALLENGE
Vito Sante Cecere (presidente AIS Puglia): in arrivo un libro che verrà presentato al Vinitaly 2016
C’è un file rouge che lega il foggiano e il nord barese, collegandolo al mondo gourmet: si chiama Nero di Troia. E,
all’indomani del wine challenge di Barletta, ecco che l’attenzione su questo vitigno continua a intensificarsi. Da grande
assente, come spesso è proprio a tavola nelle zone di sua produzione, ora potrebbe diventare uno dei cavalli di battaglia
di un territorio – quello del Tavoliere e della Murgia del nord barese – ricchissimo da un punto di vista
enogastronomico.
E, allora, seguiamo il presidente dell’AIS Puglia Vito Sante Cecere che ha coordinato la numerosa squadra di
sommeliers del wine challenge svoltosi a Barletta nei giorni scorsi, e con lui andiamo alla scoperta del Nero di Troia.
“Autoctono, antichissimo e ancora da valorizzare come meriterebbe”, afferma Cecere. Le sue origini si perdono nei
millenni. Potrebbe essere originario dell’Asia Minore (Troia) e giunto in Puglia durante la colonizzazione ellenica,
oppure il suo nome potrebbe derivare dal paese in provincia di Foggia (Troia) o dalla città albanese di Cruja,
vernacolizzato in Troia. Proprio per questo vitigno, come già fatto per il Primitivo e il Negroamaro, stiamo preparando
- edito da AIS Puglia e scritto dal dott. Giuseppe Baldassare – un libro che svelerà i segreti del Nero di Troia, che
presenteremo al Vinitaly 2016. “Dei tre vitigni rossi principali di Puglia, il Nero è quello con la maggiore importanza
tannica – precisa Cecere – e che lo rende più longevo”.
“Nel calice è decisamente riconoscibile, perché i vini da uva di Troia sono caratterizzati da un colore rosso rubino, con
riflessi violacei abbastanza evidenti ma che dal secondo anno di invecchiamento cominciano ad evolversi in un rosso
rubino che tende ad intensificarsi con l’aumentare dell’invecchiamento. Mediamente i suoi profumi ricordano – spiega
Vito Sante Cecere, presidente AIS Puglia - i frutti rossi maturi, la ciliegia sotto spirito nei primi anni, la viola come
fiore, l’amarena e la mostarda con l’avanzare degli anni. Al palato si presenta dotato di buona acidità, gradevole e con
una nota tannica evidente, con retrogusto fruttato e persistente. L’abbinamento a tavola può spaziare da piatti
mediamente strutturati fino ai formaggi stagionati per il rosso, oppure piatti di mare e delicati, se il Nero di Troia è
vinificato in rosato”. “Il wine challenge non è stato una gara, ma un evento che ha messo in risalto la Puglia a confronto
con altri vini, il tutto fatto con grande cura a casa nostra”, commenta Sante Cecere.
Sveliamo allora, a grande richiesta, il menu che lo chef Peppe Zullo di Orsara di Puglia (che fa parte del territorio Doc
del Nero) ha preparato per il wine challenge di Barletta. Al via con gli antipasti freddi con “ostriche” di montagna
ovvero borragine in tempura, la pugliese e cioè cacioricotta rucola e pomodoro, capocollo e riduzione di mosto cotto.
Poi gli antipasti caldi con fiori di zucca e caciocavallo al profumo di basilico, parmigiana di borragine, il cardoncello
incontra il mare. Piccoli assaggi, quindi, di zuppa di salicornia e gamberi rosa, strascinati di grano arso germogli di
zucca e ricotta dura, paccheri al forno con burrata guanciale e ragout di melanzane. Con i 26 calici di vino del wine
challenge, in cui il Nero di Troia è stato il grande protagonista nonché il più votato dalla giuria dei non addetti ai lavori,
ecco la seconda parte del menu di assaggi preparato a Barletta dallo chef Peppe Zullo: pollo campese ai sapori dell’orto,
ravioli di dietrocoscia di vitello con zucca e caciocavallo, agnello dei monti dauni con medaglioni di patate al timo
serpiglio, come dolce il cestino di mandorle con crema agli agrumi e more selvatiche. Il vino più votato dalla giuria
non tecnica, nel wine challenge di Barletta, è stato proprio il Nero di Troia. Ma in che vini Doc e Igt possiamo
trovare il Nero di Troia? E’ il vitigno le cui uve si utilizzano nel Cacc’e Mmitte di Lucera Doc dal 1975, Castel del
Monte Doc dal 1971, Ortanova Doc dal 1984, Rosso Barletta dal 1977, Rosso Barletta dal 1977, Rosso di
Cerignola Doc dal 1974, Tavoliere delle Puglie Doc dal 2011. Dal 1995 il vitigno è impiegato anche per la
produzione del vino IGT Daunia e IGT Puglia.
Il progetto wine challenge – la disfida rientra nel Programma di Sviluppo Rurale 2007-2013 - Asse I Avviso per la
selezione di Progetti Integrati di Filiera - Filiera: Vitivinicola - PIF: Filiera Vitivinicola Pugliese del Nero di Troia
Misura 133 - “Attività di Informazione e Promozione”. Info www.uvaditroia.it, www.ladisfida.it,
www.thewinechallenge.it, www.nerodisera-ladisfida.com. FRA LEGGENDA E MITO - Si tramanda che la coltivazione dell’uva di Troia nel nord barese debba la sua
origine a Diomede, figlio di Tideo, re di Argo, che a detta di Omero fu condottiero degli Argivi durante l’assedio di Troia.
Nella Daunia, ma anche nel resto della regione, costui fondò diverse città, ragion per cui il suo nome si diffuse a tal punto che
le popolazioni indigene gli consacrarono non solo città, templi e santuari, ma anche le “ isole Diomedee” (attuali isole
Tremiti) ed i “ Campi Diomedei”.
Diomede, una volta giunto presso l’amata Argo, trovò una moglie infedele, il regno in rivolta e una terribile congiura
di palazzo. Stanco di combattere ed infuriato con uomini e dèi, decise di salpare alla ricerca di una nuova terra: secondo una
prima tradizione egli si stabilì nella Daunia, dove sposò la principessa Evippe, ma fu ucciso dal fratello di lei e sepolto nelle
isole Diomedee.
C’è chi, invece, sostiene che l’eroe, navigando, approdò su uno splendido arcipelago, dove decise di stabilirsi con i
suoi compagni. Proprio qui fu sepolto, mentre i suoi compagni, per intercessione di Venere, vennero trasformati in uccelli
“ves diomedeae“ o procellarie, che ancora oggi percorrono le coste delle isole, piangendo il loro sovrano.
Secondo la leggenda l’eroe greco, dopo aver navigato il mare Adriatico, trovò il posto per lui ideale, quindi risalì il fiume
Ofanto e ancorò la nave con alcune pietre della cinta muraria dell’antica Troia, portate con se come zavorra assieme a dei
tralci di uva come ricordo della sua terra, che piantati sulle rive dell’Ofanto diedero origine all’uva di Troia. La leggenda fin
qui riecheggia i lavori ampelografi ( ad es., S. Del Gaudio e L. Ciasca, “ Principali vitigni da vino coltivati in Italia”, 1960)
che descrivono l’Uva di Troia come “originaria dell’Asia Minore (Troia) ed importata da antichi Greci in Puglia”.
OMERO, ILIADE - A sostegno di questa tesi figurano i versi 783-786 del libro XVIII dell’Iliade, nel quale Omero
descrive un vitigno che assomiglia proprio all’Uva di Troia:
‘Seguìa quindi un vigneto oppresso e curvo sotto il carco dell'uva. Il tralcio è d'oro,
nero il racemo, ed un filar prolisso d'argentei pali sostenea le viti.’ (Traduzione di V. Monti)
IL NERO DALL’ALBANIA O DALLA SPAGNA? - Un’ altra ipotesi vuole la città albanese di Cruja come terra
d’origine dell’Uva di Troia; più veritiera, invece, risulta la tesi secondo cui il vitigno sia nato proprio nel territorio limitrofo
alla città pugliese di Troia, e per l’appunto in provincia di Foggia: quest’ultima ipotesi fa riferimento al periodo della
dominazione spagnola della città, in particolare al Governatorato della giurisdizione di Troia di Don Alfonso d’Avalos,
originario della regione gallizio-catalana della Rioja. Costui ritenne che i suoi nuovi possedimenti avevano le caratteristiche
idonee alla coltivazione della vite, per cui decise di impiantarvi dei vigneti, ed in particolare una varietà di vite proveniente
dal suo paese di origine, che acquistò in breve tempo la fama di Nero di Troia. Quest’ultima ipotesi, però, non trova conferma
nell’attuale panorama ampelografico della Rioja, infatti il Tempranillo, che più di altri ci ricorda che l’Uva di Troia presenta
foglie e grappoli diversi, più somiglianti al Montepulciano.
LA SCIENZA E IL NERO DI TROIA - Le prime informazioni relative a questa cultivar risalgono al XIX secolo.
La coltivazione dell’Uva di Troia prese piede nella metà dell’800 e nel 1882 la Rivista di Viticoltura ed Enologia pubblicò la
prima descrizione scientifica del Nero di Troia. La forma di allevamento diffusa a quel tempo era quella antica ad alberello
pugliese con sesto d’impianto 1x1m: veniva effettuata una potatura a speroni con due gemme, che comportava una
produzione media e costante nel tempo di circa 50/70 q/ha. Nella seconda metà del XIX secolo nella provincia di Capitanata,
Cerignola era il centro vitivinicolo più importante: a prova di ciò la famiglia Pavoncelli sin dal 1854 coltivò 60 ha di vigneto
e tra i vitigni coltivati allora in quella zona fu scelto il Nero di Troia come “varietà robusta e resistente alla siccità e di
abbondante produttività, che dà un vino da taglio di forte alcolicità ed aspro al gusto”; dunque fu proprio in questo periodo
che il vitigno di diffuse nelle zone nel Nord barese.
NERO DI TROIA, ecco qui di seguito una sintetica presentazione delle Denominazioni di origine – in ordine
alfabetico – nelle quali è presente questo nobile vitigno a bacca rossa.
- CACC’E MMITTE DI LUCERA Doc dal 1975
Caratteristico di: nella provincia di Foggia a Lucera, Troia e Biccari.
Da uve di: dal 35 al 60% di Uva di Troia, dal 25 al 35% di Montepulciano, Sangiovese, Malvasia Nera di Brindisi, dal 15 al
30% di Trebbiano Toscano, Bombino Bianco e Malvasia del Chianti.
”Togli e metti”, questa la traduzione dal dialetto in italiano del nome piuttosto bizzarro di un vino rosso della
provincia di Foggia, che ha conquistato il gusto dei consumatori. Quasi un paradosso della storia anche la cura con la quale i
suoi vigneti, nei secoli, sono stati allevati proprio in una zona per un lungo periodo abitata da mussulmani, ai quali l’alcool è
negato per motivi religiosi. E’, infatti, a Lucera che l’imperatore Federico II nel XIII secolo portò dalla Sicilia i saraceni che
erano nelle sue armate.
Si ritiene che la sua denominazione sia legata all’usanza di spillare il vino dalla botte e versarlo in un bicchiere, per poi berlo
e ricominciare il giro dalla botte.
Il territorio individuato è nei Comuni di. Strano ma vero anche nel severo disciplinare di produzione il vitigno caratterizzante
(dal 35 al 60%) è indicato sia in italiano e cioè “Uva di Troia” che in dialetto e cioè “Sumarello”.
- CASTEL DEL MONTE Doc dal 1971
Caratteristico di: Minervino Murge, Andria, Corato, Trani, Ruvo, Terlizzi, Bitonto, Palo del Colle, Toritto e Binetto
(provincia di Bari).
Da uve di: Uva di Troia, Aglianico o Montepulciano prevalgono nel rosso; per il rosato si può arrivare al 100% di Bombino
Nero, Aglianico o Uva di Troia; Pampanuto, Chardonnay o Bombino Bianco nel bianco.
Fra i primi a varcare i confini della Puglia nella sua bottiglia e con etichetta. E di questi suoi viaggi di prestigio
troviamo traccia già nel 1895, come vincitore della mostra enologica di Milano, e premiato nel 1910 all’expo internazionale
agricola di Buenos Aires. E da allora si può dire che non abbia mai smesso di andare avanti.
Indissolubilmente legato al nome del Castello ottogonale voluto dall’imperatore Federico II, i vigneti cingono il maniero
come una corona.
A differenza di molti altri Doc, il Castel del Monte non utilizza lo stesso vitigno per rossi e rosati. Sono previste, inoltre, 10
specificazioni legate al vitigno. Il disciplinare, infine, dà la possibilità di produrre Castel del Monte frizzante, novello o
riserva. In questa Doc, nel 2011, è stata inglobata la Doc Rosso Canosa.
- ORTANOVA Doc dal 1984
Caratteristico di: per intero il Comune di Orta Nova e di Ordina; parte di Ascoli Satriano, Carapelle, Foggia e Manfredonia
(Foggia).
Da uve di: Sangiovese (minimo 60%) e poi Uva di Troia, Montepulciano, Lambrusco Maestri e Trebbiano Toscano, da soli o
insieme fino a un massimo del 40% (ma Lambrusco e Trebbiano non oltre il 10% del totale).
Tanta fatica per ottenere il riconoscimento e, inaspettatamente, un calo di interesse sembrava aver relegato nel
dimenticatoio la Doc Ortanova. Ma un produttore, andando controcorrente, si è dedicato a questo vino che pare stia dando
soddisfacenti risultati in termini di gradimento.
Questa vino è frutto della sapiente unione del Sangiovese (minimo 60%) che è originario del Chianti, con il tipico vitigno
pugliese Uva di Troia oppure (o anche) con Montepulciano, Lambrusco Maestri e Trebbiano Toscano, da soli o insieme fino
a un massimo del 40%. Ma Lambrusco e Trebbiano, singolarmente, non possono superare il 10% del totale. Il disciplinare
fissa una resa massima di uva di 150 quintali per ettaro, ed una doppia tipologia: rosso o rosato.
- ROSSO BARLETTA dal 1977
Caratteristico di: in provincia di Bari a Barletta, Andria e Trani; in provincia di Foggia a San Ferdinando di Puglia e
Trinitapoli.
Da uve di: Uva di Troia (70%) e poi Montepulciano e Sangiovese (30%) oppure Malbech (massimo il 10%).
Alla fine del 1800 i francesi hanno bevuto a lungo il vino di Barletta. Erano gli anni dell’invasione della filossera e,
dalla Puglia, l’export fu fiorente. Ma questa città è stata anche sede, fino al 1970, di una cantina per la sperimentazione
agraria poi diventata sezione dell’Istituto per l’enologia di Asti.
Ben più nota, invece, è la storia della disfida di Barletta del 13 febbraio 1503 che – secondo antichi documenti – sarebbe stata
provocata da qualche bicchiere di troppo del buon vino rosso locale. Lo scontro fra cavalieri italiani e francesi è entrata nella
leggenda, la “Cantina della Disfida” è visitabile nel centro storico medievale. Tramandato e affinato nei secoli, il Rosso
Barletta Doc è prodotto per lo più da vino che ha riposato per almeno due anni (di cui 1 in botte di legno), in etichetta può
avere la dicitura di “invecchiato”.
- ROSSO DI CERIGNOLA Doc dal 1974
Caratteristico di: Cerignola, Stornara e Stornarella, in alcune isole amministrative di Ascoli Satriano (Foggia).
Da uve di: 55% Uva di Troia, Negro Amaro fra il 15 e il 30%, e un massimo del 15% di Sangiovese, Barbera,
Montepulciano, Malbech, Trebbiano Toscano.
Siamo ancora nel foggiano, e in questa Doc ritroviamo la preziosa Uva di Troia che deve il nome ad un piccolo
paese della zona. Gli esperti ritengono che questa uva contribuisca a dare ai vini in invecchiamento qualità di pregio.
Sull’etichetta è consentita la qualifica aggiuntiva “riserva” se il vino ha subito un invecchiamento in botti legno di almeno
due anni.
- TAVOLIERE DELLE PUGLIE Doc dal 2011
Caratteristico di: Apricena, Ascoli Satriano, Bovino, Cerignola, Foggia, Lucera, Manfredonia, Ordona, Orsara di Puglia,
Orta Nova, S. Paolo di Civitate, San Severo, Stornara, Stornarella, Torremaggiore e Troia in provincia di Foggia; a Barletta,
San Ferdinando di Puglia e Trinitapoli nella Provincia Barletta-Andria-Trani.
Da uve di: 65% Nero di Troia, che sale a 90% con la menzione del vitigno rosso.
La nascita del nuovo marchio a Denominazione di origine ha rilanciato la curiosità verso questo territorio già noto
per le sue bellezze architettoniche come appunto la cattedrale di Troia, per lo straordinario scrigno di biodiversità che la
salina di Margherita di Savoia, ed anche per i suoi vitigni di qualità. Le tipologie previste sono il rosso (anche riserva) e il
rosato.