Medesime opinioni sembra fossero in seno alla Banca
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Medesime opinioni sembra fossero in seno alla Banca
Il processo di integrazione monetaria europea: un confronto tra gli approcci belga e italiano * IVO MAES e LUCIA QUAGLIA 1. Introduzione Il presente articolo analizza il ruolo svolto da Belgio e Italia nel processo di integrazione monetaria europea. Nel processo dell’Unione Economica e Monetaria (UEM) gli attori dominanti sono stati certamente Francia e Germania;1 l’UEM, tuttavia, ha rappresentato una conquista collettiva e multilaterale. Nel mettere in evidenza il contributo offerto da Belgio e Italia, questo articolo mira a illustrare e ad analizzare la dimensione multilaterale del processo UEM. Nel percorso verso l’integrazione monetaria europea, Belgio e Italia hanno rivestito un ruolo attivo e di pace-setting, attraverso proposte creative e sforzi diplomatici.2 La differenza principale risiede nel fatto che il Belgio ha svolto tale ruolo nel corso di tutto il processo UEM, mentre l’Italia è stata attiva soprattutto negli anni ’80. –––––––––– National Bank of Belgium, Research Department, University of Leuven and ICHEC, Bruxelles (Belgio); e-mail: [email protected]; University of Limerick, Department of Politics and Public Administration, Limerick (Irlanda); e-mail: [email protected]. * Lucia Quaglia desidera ringraziare lo ESRC per il sostegno finanziario (Award R00429834634) e il Robert Schuman Centre dell’Istituto Universitario Europeo per la borsa Jean Monnet nell’anno accademico 2002-03. Gli autori ringraziano tutti coloro che hanno contribuito al presente progetto, soprattutto le numerose persone con le quali hanno avuto discussioni stimolanti e illuminanti, e coloro che hanno fornito commenti su precedenti versioni del lavoro. Valgono i caveat consueti. 1 Alcune sintesi del processo di integrazione monetaria europea possono essere rinvenute in Dyson e Featherstone (1999), Gros e Thygesen (1998), Issing (1996), Maes (2002), Papadia e Saccomanni (1994), Szàsz (1999) e van Ypersele e Koeune (1989). Maes (2004) si concentra sul rapporto franco-tedesco. 2 Per un’analisi del concetto di pace-setting si veda Börzel (2002). Moneta e Credito, n. 224, dicembre 2003. Moneta e Credito 424 Un confronto tra Belgio e Italia risulta di particolare interesse poiché entrambi i paesi sono stati membri fondatori della Comunità Europea e hanno condiviso un atteggiamento decisamente europeista. Essi, inoltre, sono stati accomunati da numerose debolezze economiche e politiche. Tuttavia, differenze rilevanti nelle politiche del tasso di cambio ne hanno condizionato l’influenza sulla scena monetaria europea. In generale, si deve riconoscere che è difficile valutare l’influenza esercitata da un paese nel sistema dell’Unione Europea. Una ragione importante è che nel processo decisionale europeo la costruzione del consenso è molto pervasiva, e di conseguenza le strategie cooperative rappresentano la procedura tipica. Ciò rende arduo isolare i contributi individuali. Inoltre, spesso gli stati membri esercitano il proprio potere in modo indiretto. Non è quindi facile valutare l’influenza di un paese. Il presente articolo si soffermerà sulla partecipazione di Belgio e Italia agli accordi dei tassi di cambio, e sulle loro opinioni su, e il loro contributo a, l’integrazione monetaria europea, determinanti cruciali dell’influenza nel processo UEM.3 L’articolo si apre con un’analisi degli atteggiamenti belga e italiano nei confronti dell’integrazione europea e dell’UEM. In seguito passa a considerare le loro politiche del tasso di cambio. Infine, esamina i concetti fondamentali di entrambi i paesi per la creazione dell’UEM e i loro contributi al processo di integrazione monetaria europea. La ricerca si basa su un insieme variegato di fonti, che comprende documentazioni primarie, una rassegna della letteratura secondaria, fonti di archivio e un vasto programma di interviste. Il nucleo principale è rappresentato dalle posizioni ufficiali, sebbene a volte vengano riportate anche le opinioni di alcune influenti personalità belghe e italiane.4 L’articolo prende in esame il periodo compreso tra il vertice –––––––––– Wallace (2001) individua sette fonti di influenza nel processo decisionale UE: il peso politico, la prassi politica, il peso economico, la prassi sociale ed economica, le idee persuasive, le richieste irrifiutabili e la credibilità e coerenza. 4 Un fattore di complicazione è che gli individui si spostano tra le istituzioni nazionali ed europee, soprattutto la Commissione. Inoltre, i funzionari nazionali sono spesso membri di comitati europei e gruppi di studio. Oltre tutto, persino la stessa questione di cosa sia una posizione ufficiale non è del tutto chiara (si veda Wallace 2001, che si concentra sui governi). Nel presente articolo la denominazione di “posizioni ufficiali” si riferisce prevalentemente a quelle governative (soprattutto del Ministero delle finanze), ma anche a quelle delle banche centrali. 3 Il processo di integrazione monetaria europea: un confronto tra gli approcci belga e italiano 425 de L’Aia del dicembre 1969, allorché l’UEM venne inserita nell’agenda, e la selezione dei partecipanti avvenuta nel 1998. 2. Atteggiamenti nei confronti dell’integrazione europea e dell’UEM 2.1. Belgio In Belgio vi è stato un altissimo grado di consenso a favore dell’integrazione europea. L’UEM ha costituito un importante obiettivo della politica europea belga, in quanto si trattava di un elemento essenziale di integrazione politica (Franck 1998, p. 207). Tale consenso di fondo a favore dell’integrazione europea e dell’UEM si basava sulle caratteristiche strutturali del Belgio in quanto piccola economia aperta, sulla sua collocazione geografica e su atteggiamenti fondamentali favorevoli all’integrazione europea, profondamente condizionati dall’esperienza delle due guerre mondiali. Il consenso coinvolgeva i principali partiti politici e le più importanti parti sociali (sindacati, organizzazioni dei datori di lavoro e così via). Inoltre, i Cristianodemocratici, ovvero la forza predominante nel panorama politico del dopoguerra, si identificavano fortemente con l’unificazione europea. Come ha sottolineato Mark Eyskens, un ex primo ministro, «l’Europa è come una patria da amare» (Beyers e Kerremans 2001, p. 16).5 Per il Belgio, paese di media grandezza, l’integrazione europea ha comportato un guadagno di influenza. L’integrazione europea ha istituito la norma di diritto europeo, che circoscrive il potere dei paesi più grandi. Sono stati inoltre creati nuovi attori sovranazionali, quali la Commissione e la Corte di Giustizia, limitando ulteriormente il potere dei paesi maggiori. In tale contesto istituzionale, il Belgio e la Commissione sono stati solitamente alleati naturali, condividendo lo stesso fondamentale obiettivo di un’Europa più federale. Inoltre, poiché la Commissione fu istituita a Bruxelles, ne sono risultati agevolati i contatti informali. Peraltro, il Commissario incaricato degli affari monetari è stato tradi–––––––––– 5 Cristiano-democratici (e la Chiesa) hanno adottato tradizionalmente un approccio “universalista” (in contrasto con un approccio più “nazionalista”). 426 Moneta e Credito zionalmente francese, e ciò ha favorito ulteriormente i contatti con le autorità belghe.6 2.2. Italia In generale, le posizioni italiane nei riguardi dell’integrazione europea sono risultate più complesse rispetto a quelle belghe: si è osservato un consenso inferiore e gli orientamenti sono mutati con il passare del tempo. Tuttavia, per la maggior parte del periodo considerato in questo articolo, le élite politiche, economiche e culturali italiane, al pari dell’opinione pubblica, hanno appoggiato il processo di integrazione europea. I governi italiani si sono rivelati tradizionalmente tra i più europeisti e i più favorevoli al trasferimento della sovranità nazionale al livello europeo. Un ruolo importante è stato ricoperto dalla Democrazia Cristiana, che ha dominato la scena politica fino alle elezioni politiche del 1992 ed è stata fortemente europeista. Inoltre, vi era un forte orientamento europeista anche tra gli altri partiti delle coalizioni di governo, soprattutto il piccolo ma influente Partito Repubblicano.7 La “vocazione” europea costituiva anche l’ethos prevalente della diplomazia italiana, che sottolineava come l’Italia dovesse rimanere al centro del processo di integrazione. L’appartenenza alla Comunità Europea era considerata un modo per riabilitare l’Italia nel consesso internazionale dopo il 1945, e come uno strumento per assicurare la democrazia e la libertà in una più ampia struttura europea, soprattutto in previsione di una possibile minaccia comunista. Inoltre, gli esponenti dell’élite italiana più orientati verso l’esterno consideravano tale partecipazione come essenziale per sviluppare l’economia nazionale e per modernizzare il paese. Si trattava di una strada per realizzare le riforme interne, ovvero un “vincolo esterno” (Sbragia 2001 e Quaglia 2002). Il Partito Socialista Italiano (PSI), inizialmente prudente in materia di integrazione europea, divenne più europeista, soprattutto dopo –––––––––– 6 Di conseguenza, sul finire degli anni ’60, vi sono stati buoni contatti tra Barre e Snoy, il ministro delle finanze belga. Essi si sono persino scambiati le proprie originarie proposte per il vertice de L’Aia su basi personali e confidenziali (Archivi Snoy, Carte 5.3.12.4 e 5.3.12.8.1). Anche Delors e Maystadt hanno intrattenuto buoni rapporti (Dyson e Featherstone 1999, p. 707). 7 In Italia, il movimento repubblicano è stato profondamente influenzato dalla rivoluzione francese, traendone un orientamento “universalista”. Il processo di integrazione monetaria europea: un confronto tra gli approcci belga e italiano 427 la repressione operata a Budapest da parte dei sovietici nel 1956. Inoltre, fino agli inizi degli anni ’70, il Partito Comunista Italiano (PCI), allora sostenuto da circa un terzo dell’elettorato, si oppose all’integrazione europea e all’adesione italiana alla CEE (Vannicelli 1974). Nel corso degli anni ’70 il PCI adottò una visione dei rapporti internazionali più indipendente, sviluppando idee “eurocomuniste”, in concomitanza con l’avvicinamento verso posizioni governative grazie al cosiddetto “compromesso storico”.8 In tal modo, la politica europea dell’Italia divenne condivisa tra gli schieramenti politici, almeno fino a un certo punto.9 In Italia l’integrazione monetaria europea ha costituito un argomento di accesi dibattiti.10 I responsabili della politica estera erano tipicamente europeisti, laddove le autorità di politica economica erano più divise al loro interno.11 In occasione del vertice de L’Aia e del Rapporto Werner, Emilio Colombo, prima ministro delle finanze e poi presidente del consiglio, adottò un atteggiamento favorevole al progetto UEM, mentre Carli, il governatore della Banca d’Italia, rimaneva su posizioni più prudenti. Nel 1972, l’Italia aderì al cosiddetto “serpente monetario”, principalmente per ragioni (geo)politiche. Tuttavia, a seguito di un peggioramento della situazione inflazionistica e di bilancia dei pagamenti, la lira dovette ritirarsi dagli accordi agli inizi del 1973. Un momento cruciale, e una scelta spartiacque nella politica relativa all’integrazione monetaria europea, fu la decisione di aderire allo SME (Spaventa 1990, p. 17). Le ragioni di leadership politica e una chiara visione politica secondo la quale l’Italia doveva appartenere al nucleo dell’Europa rappresentarono i fattori decisivi che fecero pende–––––––––– 8 Il PCI e il PSI votarono contro il trattato sulla Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio. Il PCI votò anche contro il trattato sulla CEE, mentre il PSI si astenne. 9 È qui necessario un invito alla cautela. Ad esempio, nel 1978 il PCI votò contro l’adesione dell’Italia allo SME e il PSI si astenne. Nel 1992, i partiti Rifondazione Comunista e Movimento Sociale Italiano votarono contro la ratifica del trattato sull’Unione Europea. Anche le esperienze del primo e del secondo governo Berlusconi nel 1994 e nel 2001 hanno sollevato interrogativi sul tradizionale sostegno dell’Italia all’integrazione europea. È opportuno anche osservare che, nei primi anni della CEE, alcuni settori della comunità imprenditoriale erano contrari alla partecipazione italiana (Carli 1993). 10 Anche se nei primi anni ’40 Luigi Einaudi si era già espresso in favore di una moneta unica europea. 11 Emergono qui alcune similarità con la Germania. È il caso, soprattutto, della presenza di responsabili di politica estera tendenzialmente favorevoli a un’UEM sovranazionale, a fronte di responsabili della politica economica più riluttanti. 428 Moneta e Credito re la bilancia a favore dell’adesione. È interessante osservare che, nel dibattito che lo ha preceduto, lo SME era ritenuto come un sinonimo dei concetti “Europa” e “integrazione europea”. La partecipazione allo SME venne discussa per lo più in termini (geo)politici, e meno sulla base di considerazioni economiche. I responsabili più “tecnici” della politica economica, come la Banca d’Italia, e molti esperti economici italiani erano riluttanti ad aderire al sistema. Le opinioni divergevano anche all’interno del governo. La visione “pessimista” era sostenuta, tra gli altri, dal ministro del commercio estero Rinaldo Ossola, un ex direttore generale della Banca d’Italia. Ossola (1978) sosteneva che lo SME avrebbe comportato per l’Italia problemi radicali, e riteneva che il sistema si sarebbe semplicemente rivelato una seconda versione del “serpente”. Inoltre, a livello interno, Ossola dubitava che i partiti politici e le parti sociali possedessero l’impegno e la coesione necessari ad adottare le restrittive misure di politica economica richieste per rimanere nello SME. Questa linea di pensiero era condivisa dal governatore della Banca d’Italia Paolo Baffi e da altri membri del governo.12 Al contrario, la visione “ottimista”, rappresentata dal ministro del tesoro Filippo Pandolfi, era favorevole all’adesione dell’Italia al sistema, anche sulla base del fatto che la partecipazione allo SME avrebbe sostenuto il suo piano di aggiustamento economico.13 Dopo una pausa di riflessione di una settimana il governo italiano, guidato da Andreotti, decise di aderire al meccanismo dei tassi di cambio (ERM – Exchange Rate Mechanism), ma con una banda di oscillazione più ampia, pari al 6%. Nel corso degli anni ’80, l’Italia svolse in misura sempre maggiore una funzione di pace-setting nel processo dell’UEM, raggiungendo un momento di eccellenza in occasione del Consiglio europeo di Roma del 1990. Tuttavia, dopo l’uscita dall’ERM nel settembre 1992, l’Italia ha assunto una posizione di basso profilo in merito alle que–––––––––– 12 Per ragioni puramente “economiche” riguardanti la sostenibilità della partecipazione italiana, Baffi era scettico nei confronti dell’adesione all’ERM, poiché era un convinto europeista e un membro del Movimento europeo. 13 Nel 1978, Pandolfi presentò un piano dal titolo “Una proposta per lo sviluppo, una scelta per l’Europa”. Alla stesura del documento presero parte numerosi economisti italiani. Il contributo principale fu quello di Tommaso Padoa-Schioppa, che fu distaccato dalla Banca d’Italia per due mesi. Vi furono contributi anche da parte di Luigi Spaventa, Mario Monti e Paolo Baffi. Il Piano Pandolfi rappresenta uno spostamento nella struttura di riferimento per i responsabili della politica economica italiana, poiché si originò in parte da richieste del FMI (in relazione a un ingente prestito del Fondo), mentre dovette divenire un importante argomento a sostegno dell’impegno dell’Italia durante i negoziati sullo SME. Il processo di integrazione monetaria europea: un confronto tra gli approcci belga e italiano 429 stioni dell’UEM. Nell’avvicinarsi della fase finale dell’UEM, la decisione italiana di tentare comunque di far parte del primo nucleo di paesi a dispetto dei pronostici negativi fu il risultato di una scelta di rischio calcolato, e costruita sul consenso dell’opinione politica, secondo cui l’Italia doveva rimanere nel cuore dell’Europa. 2.3. Un confronto Tra gli orientamenti belga e italiano nei confronti dell’integrazione europea possono essere individuate numerose similarità. In primo luogo, entrambi i paesi sono stati membri fondatori della CEE, e atteggiamenti europeisti sono stati tradizionalmente manifestati dall’opinione pubblica e dalle élite politiche, economiche e culturali. In secondo luogo, ambedue i paesi sono stati caratterizzati, sebbene in misura diversa, da divisioni sociali e politiche, da governi deboli e da sistemi partitici frammentati, che hanno favorito vistosi disavanzi di bilancio.14 Per entrambi i paesi, l’integrazione europea rappresentava un modo di compensare le tendenze centrifughe e di “ancorare” le politiche macroeconomiche nazionali a un contesto europeo. Per quanto riguarda l’integrazione monetaria europea, la principale differenza è consistita nel fatto che in Italia la coalizione a favore dell’integrazione era più frammentata e instabile di quanto avvenisse in Belgio. L’approccio belga era più o meno incondizionato, nonostante la situazione economica e politica. Il Belgio fu un membro del serpente monetario. Aderì allo SME sin dall’inizio e rimase all’interno del meccanismo dei tassi di cambio per tutti gli anni ’90. Il Belgio, inoltre, ha ricoperto stabilmente un ruolo di pace-setting nel processo di integrazione monetaria europea. Al contrario, l’approccio italiano è mutato nel tempo e ha risentito profondamente delle circostanze economiche e politiche. Nel complesso, l’Italia ha fatto parte degli accordi di cambio europei solo per circa la metà del periodo considerato. I suoi contributi principali al processo dell’UEM si sono avuti tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90. –––––––––– 14 In tutti e due i paesi, nella conduzione della politica economica ha svolto un ruolo di rilievo anche la banca centrale. Ciò vale soprattutto per l’Italia, dove diversi alti dirigenti della Banca d’Italia sono poi divenuti leader politici. In Belgio l’influenza della banca centrale è rimasta in maggior misura dietro le quinte. 430 Moneta e Credito 3. Le politiche del tasso di cambio I sistemi economici di Belgio e Italia sono stati, in una certa misura, appesantiti dagli stessi problemi di inflazione e di disavanzi di bilancio. Tuttavia, per la maggior parte del periodo preso in considerazione vi è stata una significativa differenza in relazione al ruolo del tasso di cambio nelle strategie macroeconomiche, rispetto alle quali il Belgio ha privilegiato una politica di tasso di cambio stabile, mentre la lira italiana, per la maggior parte del periodo, non ha partecipato ai meccanismi europei dei tassi di cambio. 3.1. Belgio Nel corso dell’intero periodo considerato, il Belgio ha fatto parte degli accordi di cambio europei, dapprima del serpente monetario e in seguito del meccanismo dei tassi di cambio previsto dallo SME.15 Sostanzialmente il Belgio ha perseguito una politica di tasso di cambio stabile, nell’ottica della quale il cambio rappresentava un vincolo esterno per l’economia belga (si veda il grafico 1). Naturalmente, nella politica belga del tasso di cambio vi sono stati mutamenti di enfasi. Così, all’inizio degli anni ’80 un cambio “stabile” veniva interpretato come una posizione centrale all’interno dello SME, mentre in seguito il franco belga fu “ancorato” al marco tedesco. Nella politica belga del tasso di cambio vi sono stati due momenti di crisi: i primi anni ’80 e la crisi dell’ERM del 1993. Gli irrimediabili squilibri dei primi anni ’80 costrinsero le autorità belghe a svalutare il franco (si veda il grafico 2). Tuttavia, è importante sottolineare che la svalutazione del franco belga del 1982 fu concepita come un’operazione una tantum. In occasione della crisi dell’ERM, le autorità belghe difesero con successo il tasso di cambio della propria moneta. In generale, gli accordi europei dei tassi di cambio e l’UME sono stati utilizzati dalle autorità belghe come argomenti decisivi per l’adozione e la realizzazione di importanti riforme, ad esempio nei –––––––––– 15 Quando il 21 agosto 1971 crollò il sistema di Bretton Woods, il Belgio arrivò persino a stipulare un accordo speciale con i Paesi Bassi per limitare all’1,5% i margini di oscillazione tra il fiorino e il franco. Si è trattato dell’unico meccanismo di parità fissa ma modificabile, all’interno della Comunità Europea, fino al varo del serpente monetario nell’aprile 1972. Il processo di integrazione monetaria europea: un confronto tra gli approcci belga e italiano 431 GRAFICO 1 TASSI DI CAMBIO NOMINALI DEL FRANCO BELGA E DELLA LIRA ITALIANA NEI CONFRONTI DEL MARCO TEDESCO (LOGARITMI, 1970=100) Fonte: National Bank of Belgium. campi della finanza pubblica, dei mercati finanziari e del mercato del lavoro. Tali riforme si resero necessarie soprattutto per correggere i gravi squilibri emersi nell’economia belga sul finire degli anni ’70 e all’inizio degli anni ’80. Sebbene le riforme fossero di vitale importanza per il futuro dell’economia belga e per la società nel suo complesso, la loro giustificazione europea è servita a raccogliere il necessario sostegno politico. In Belgio la situazione più seria si verificò all’inizio degli anni ’80, quando l’economia toccò i livelli minimi: nel 1981 il disavanzo di bilancio pubblico ammontava al 16% del Pil e quello di parte corrente al 4% del Pil. Nel 1982, con un nuovo governo composto da Cristianodemocratici e liberali, vi fu un drastico rivolgimento della politica economica. Al centro di essa furono posti una svalutazione del franco belga dell’8,5%, un taglio dei salari reali (grazie a una temporanea sospensione del meccanismo di indicizzazione salariale) e, in una fase successiva, un inasprimento della politica di bilancio. Ciò condusse a un miglioramento dei fondamentali economici, che permise alle autorità belghe di perseguire una politica del tasso di cambio sempre più ambiziosa (Lamfalussy 2000). 432 Moneta e Credito GRAFICO 2 INDICATORI ECONOMICI DI BELGIO, ITALIA E GERMANIA Inflazione (variazione percentuale dell’indice dei prezzi al consumo) Bilancio della Pubblica Amministrazione (in percentuale del Pil) Saldo corrente della bilancia dei pagamenti (in percentuale del Pil) UEBL = Unione economica belgo-lussemburghese. Fonte: Commission of the European Community, European Economy, vari numeri. Il processo di integrazione monetaria europea: un confronto tra gli approcci belga e italiano 433 Nel corso delle discussioni sul riallineamento alla metà degli anni ’80, le autorità belghe avrebbero acconsentito solo a deprezzamenti quanto mai minimi nei confronti del marco tedesco (si veda la tabella 1). Nel gennaio 1987, la posizione del franco belga fu l’argomento di discussioni assai vivaci nelle sedi europee, poiché il Belgio insisteva nel voler mantenere la parità nei confronti del marco, mentre la Francia non intendeva restare isolata nella svalutazione rispetto alla valuta tedesca. Inoltre, le autorità belghe si sono progressivamente spostate verso una strategia diretta a mantenere il franco decisamente all’interno della banda di oscillazione e più vicino al marco tedesco, soprattutto al fine di condizionare l’opinione del mercato (Godeaux 1989). Tale progressivo rafforzamento della politica del tasso di cambio culminò, nel giugno 1990, in una decisione ufficiale, da parte delle autorità belghe, di fissare il franco belga in prossimità della parità con il marco, e di non utilizzare più i margini di oscillazione stabiliti dagli accordi dell’ERM.16 TABELLA 1 UNA SINTESI DEL FUNZIONAMENTO DEL MECCANISMO DEI TASSI DI CAMBIO PREVISTO DALLO SME (dall’inizio al gennaio 1987, margini di oscillazione normali pari al 2,25%) Data 24.09.1979 30.11.1979 23.03.1981 05.10.1981 23.02.1982 14.06.1982 21.03.1983 22.07.1985 06.04.1986 04.08.1986 12.01.1987 1 Marco Fiorino Franco tedesco olandese francese +2. 05 Corona danese Franco Sterlina Lira belga/franco irlandese italiana1 lussemburghese –2.9 –4.8 +5.55 +5.55 –3.05 +4.25 +5.55 +2.05 +3.05 +4.25 +3.55 +2.05 +3.05 –5.75 –2.5 +2.05 –3.05 +3.05 +3.05 –3.0 –8.5 +2.5 +2.0 +1.0 +1.5 +2.0 +1.0 +2.0 –6.05 –3.05 –3.5 +2.0 –2.75 –2.55 –6.05 –8.0 Margine di oscillazione del 6%. –––––––––– 16 Per raggiungere questo obiettivo, le autorità belghe erano pronte a intervenire sui mercati di cambi esteri e ad aumentare i tassi d’interesse. Tuttavia, poiché i mercati percepirono tale obiettivo come credibile, il tasso di cambio del franco belga si spostò rapidamente verso la propria parità nei confronti del marco e i differenziali d’interesse si assottigliarono. Dopo tale decisione, la politica belga del tasso d’interesse consistette, persino più che in passato, nel seguire come un’ombra le mosse della Bundesbank (fino alla crisi dell’ERM). 434 Moneta e Credito Una politica del tasso di cambio siffatta, con il franco belga ancorato al marco tedesco, è stata anche al centro della strategia belga per il soddisfacimento dei requisiti richiesti per partecipare all’UEM. Con tale politica, accompagnata peraltro da coerenti politiche dei redditi e di bilancio, i criteri relativi alla stabilità dei prezzi e ai tassi d’interesse di lungo periodo sarebbero stati soddisfatti senza gravi difficoltà. Il criterio del bilancio rimaneva il tallone d’Achille del Belgio (Brouhns 1992). La crisi dell’ERM del 1993, in occasione della quale il franco belga è stato sottoposto a una forte pressione speculativa, colpì al cuore la strategia belga. La tempesta scatenatasi sui mercati dei cambi esteri raggiunse l’apice nell’ottobre 1993, quando il franco belga fu quotato al 7% in meno rispetto al suo tasso centrale nei confronti del marco. La Nationale Bank van België difese strenuamente il tasso di cambio, utilizzando tutti gli strumenti possibili, innalzando il tasso ufficiale di sconto dal 6,7% dell’inizio di luglio al 10,5% all’inizio di settembre. La banca interveniva massicciamente anche sui mercati dei cambi esteri (con operazioni dell’ordine di oltre 580 miliardi di franchi, ovvero più dell’8,5% del Pil). Inoltre, il governo rinvigorì le politiche di restrizione del bilancio e di moderazione salariale con l’adozione, nel novembre 1993, del “Piano globale per l’occupazione, la competitività e la previdenza”. Il piano modificava il meccanismo di indicizzazione salariale, attraverso l’introduzione del cosiddetto “indice di salute”. Comprendeva anche misure di bilancio per un ammontare complessivo pari a circa l’1% del Pil.17 Il franco belga recuperava il terreno perduto e tornava alla propria parità centrale nei confronti del marco tedesco nel gennaio 1994. 3.2. Italia La storia della partecipazione dell’Italia al meccanismo europeo dei tassi di cambio è stata piuttosto movimentata (si veda la tabella 2). L’Italia prese parte alla creazione del serpente monetario nell’aprile 1972, ma la lira dovette presto uscirne nel febbraio 1973. La lira aderì anche all’ERM sin dall’avvio nel marzo 1979, ma con uno speciale margine di oscillazione del 6%. Nel gennaio 1990 l’Italia entrò nella normale banda di oscillazione del 2,25%. Nel settembre 1992, a seguito della crisi del–––––––––– 17 Ciò può non sembrare molto, ma il Belgio essenzialmente perseguiva una strategia di graduale risanamento del bilancio, che era stata avviata molto prima che in Italia (si veda Cabral 1996). Il processo di integrazione monetaria europea: un confronto tra gli approcci belga e italiano 435 l’ERM, la lira ha dovuto abbandonare il meccanismo dei cambi, rientrandovi poi nel novembre 1996. In simili circostanze non sorprende che il ruolo del tasso di cambio come strumento di politica economica abbia costituito un argomento di intense discussioni in Italia.18 Un problema fondamentale, in Italia, è stato rappresentato dalle frequenti divergenze e incoerenze tra le varie politiche macroeconomiche: fiscale, dei redditi, monetaria e di cambio (si vedano Onofri e Tommasini 1992 e Rossi 1998). TABELLA 2 LA PARTECIPAZIONE ITALIANA AI MECCANISMI EUROPEI DEI TASSI DI CAMBIO Aprile 1972 Febbraio 1973 Marzo 1979 Gennaio 1990 Settembre 1992 Novembre 1996 Creazione del serpente monetario: l’Italia partecipa La lira abbandona il serpente Creazione dello SME: la lira aderisce all’ERM con un margine speciale di oscillazione del 6% Il margine di oscillazione della lira è ridotto dal 6 al 2,25% La lira abbandona l’ERM La lira rientra nell’ERM Inoltre, la situazione economica dell’Italia andava evolvendo. Nella seconda metà degli anni ’60 la lira era considerata una moneta forte, e nel 1969 le autorità italiane presero in considerazione la possibilità di rivalutare la lira, insieme al marco tedesco. Tuttavia, con l’“autunno caldo” del 1969 il clima sociale e quello politico in Italia cambiarono, anche più che in altri paesi.19 Ciò contribuì alle pressioni inflazionistiche e a una cronica debolezza della bilancia dei pagamenti, che minarono alla base la solidità della lira. Negli anni ’70, le autorità italiane reagirono allo shock petrolifero lasciando che l’inflazione crescesse e consentendo al tasso di cambio di svalutarsi (Giavazzi e Spaventa 1989). L’indebolimento della lira fu superiore ai differenziali d’inflazione, e portò quindi a un deprezzamento della lira in termini reali (si veda il grafico 3). Nel 1978, quando lo SME e la partecipazione dell’Italia entrarono nell’agenda politica, la discussione si animò. Sebbene accettassero che si trattasse di una decisione politica, le massime autorità della –––––––––– 18 (1993). Per una rassegna dei dibatti sulla moneta e il credito in Italia si veda Nardozzi 19 In Italia i mutamenti furono non solo più ampi e profondi che altrove (si pensi al terrorismo delle Brigate rosse), ma durano anche molto più a lungo (Allum 2000, p. 27). 436 Moneta e Credito Banca d’Italia, insieme a molti economisti italiani, sostenevano come l’ERM dovesse essere “realistico” e quindi dovesse essere dotato di una “flessibilità intrinseca” (Masera 1987a, Baffi 1989). Si intendeva raggiungere un sistema di tassi di cambio che potesse essere adattato alle “particolari condizioni” italiane e che potesse contribuire alla “convergenza” dell’economia italiana senza imporre oneri insopportabili. In effetti, le autorità della Banca d’Italia temevano che il sistema dei tassi di cambio non sarebbe stato sostenuto da politiche economiche sufficientemente convergenti. Ciò avrebbe potuto costituire una minaccia per la credibilità della Banca d’Italia. Così Baffi dichiarò pubblicamente che «i fondamentali sono troppo divergenti e, pertanto, lo SME non può godere di credibilità» (La Repubblica, 7 ottobre 1978, p. 21). InolGRAFICO 3 TASSI DI CAMBIO EFFETTIVI IN TERMINI REALI DEL FRANCO BELGA, DELLA LIRA ITALIANA E DEL MARCO TEDESCO (in base all’indice dei prezzi al consumo, 1970 = 100, nei confronti di 26 paesi) Fonte: Banca dei Regolamenti Internazionali. Il processo di integrazione monetaria europea: un confronto tra gli approcci belga e italiano 437 tre, nel chiarire la propria opinione sulla partecipazione dell’Italia allo SME, Baffi era solito sottolineare quanto fosse instabile la situazione italiana, ricordando spesso ai propri colleghi la presenza delle Brigate rosse in Italia.20 Con la partecipazione allo SME nel 1979, e con il governatorato di Ciampi alla Banca d’Italia, si verificò un mutamento rilevante nelle politiche monetaria e del tasso di cambio in Italia. Tale cambiamento venne ulteriormente favorito dalle trasformazioni intervenute nella struttura della politica monetaria interna, che rafforzarono la posizione della Banca d’Italia.21 A partire dalla prima metà degli anni ’80, i riallineamenti della lira non compensarono mai del tutto i differenziali d’inflazione tra l’Italia e i paesi a bassa inflazione appartenenti all’ERM (Bini-Smaghi e Vona 1988). Inoltre, tra il 1987 e il 1992 non vi fu alcun riallineamento. Ciò condusse a un apprezzamento della lira in termini reali, ribaltando la politica dei cambi perseguita negli anni ’70 (Gaiotti e Rossi 2003). La cosiddetta politica del tasso di cambio “forte” consistette nel dispiegamento del tasso di cambio come un “vincolo esterno” in ambito domestico, dove fu utilizzato per combattere l’inflazione attraverso la disciplina imposta ai sindacati e la promozione della ristrutturazione industriale. L’intenzione era anche di ottenere una politica fiscale più restrittiva. Successivamente all’accordo sul Trattato di Maastricht, le autorità italiane posero in essere misure significative per contrastare l’inflazione e migliorare la situazione di bilancio. Nel luglio 1992, il governo Amato riuscì ad abolire completamente il meccanismo di indicizzazione salariale (Sarcinelli 1995, p. 503). Per quanto riguarda la politica fiscale, il bilancio iniziale, presentato nel giugno 1992, prevedeva misure considerevoli, che ammontavano a quasi il 2% del Pil. Il quadro mutò radicalmente con l’uscita della lira dall’ERM nel settembre 1992. Tuttavia, cinque giorni dopo tale decisione, furono poste in essere iniziative ancora più drastiche, con l’approvazione di misure di bilancio per un ammontare del 5,8% del Pil. Da allora in poi, il processo di risanamento del bilancio si è assestato. –––––––––– 20 Inoltre, alcuni negoziatori italiani, specialmente all’interno della Banca d’Italia, speravano nell’adesione della Gran Bretagna, in modo che la lira fosse meno isolata. 21 Ad esempio, nel 1981 la Banca d’Italia venne sollevata dall’obbligo di acquistare i titoli di stato rimasti invenduti. Si trattò del cosiddetto “divorzio” tra la banca centrale e il Tesoro. Tale disposizione accentuò l’autonomia della Banca nella conduzione delle politiche monetaria e del tasso di cambio. Per una sintesi dell’evoluzione del contesto istituzionale della politica monetaria, si veda Passacantando (1996). 438 Moneta e Credito Il ritiro della lira dall’ERM nel settembre 1992, simile all’uscita dell’Italia dal serpente monetario all’inizio del 1973, rappresentò un passo indietro per la politica italiana nei confronti dell’UEM, cambiando radicalmente la politica del tasso di cambio perseguita dalle autorità italiane nel corso degli anni ’80. Tuttavia, nonostante il brusco deprezzamento della lira, la situazione inflazionistica e le aspettative di inflazione furono tenute sotto controllo, grazie alla politica dei redditi antinflazionistica introdotta a partire dal 1992 (Baldassarri, Castiglionesi e Modigliani 1996). Dopo il 1992 la fluttuazione della lira divenne un elemento importante della strategia italiana, stimolando un boom guidato dalle esportazioni che, a sua volta, sosteneva la crescita economica italiana in una fase di inasprimento fiscale e di crescita contenuta nell’Unione Europea. Tuttavia, tale scelta dipese da una serie di ragioni, tra le quali l’indifferenza di alcuni paesi nei confronti del rientro della lira nell’ERM. La lira rientrava nell’ERM nel novembre 1996 al fine di rispettare uno dei criteri di convergenza. Vi furono intense discussioni circa la nuova parità della lira, in occasione delle quali Ciampi, allora ministro delle finanze, e Tietmeyer ricoprirono un ruolo di primo piano. 3.3. Un confronto Per la maggior parte del periodo considerato nel presente lavoro, in Belgio e in Italia il tasso di cambio ha svolto una differente funzione nell’ambito della politica macroeconomica. Nell’arco dell’intero periodo, il Belgio ha partecipato agli accordi di cambio europei e ha sostanzialmente perseguito una politica del tasso di cambio stabile. Agli inizi degli anni ’80, quando la posizione competitiva dell’economia belga era divenuta insostenibile, le autorità belghe decretarono una svalutazione una tantum sostenuta da opportune politiche di accompagnamento. L’Italia ha partecipato agli accordi di cambio europei solo per circa la metà del periodo considerato. Diversi elementi possono spiegare tali differenze nelle politiche del tasso di cambio. Nei termini della teoria dell’area valutaria ottimale, numerosi fattori hanno favorito un legame monetario tra Belgio e Germania.22 Il Belgio può essere ritenuto un esempio di “piccola eco–––––––––– 22 Per una sintesi della teoria dell’area valutaria ottimale si vedano Maes (2002, capitolo 2) e Mongelli (2002). Il processo di integrazione monetaria europea: un confronto tra gli approcci belga e italiano 439 nomia aperta”, con esportazioni di beni e servizi che raggiungono il 70% del Pil. Inoltre, la Germania costituisce un importante interlocutore commerciale e il ciclo economico belga è molto simile a quello tedesco. Al contrario, l’Italia ha un’economia molto più grande e più chiusa, nella quale il valore delle esportazioni di beni e servizi è prossimo al 30% del Pil. Inoltre, per l’Italia la Germania rappresenta una controparte commerciale meno rilevante, e nel periodo considerato il ciclo economico italiano mostrava una corrispondenza molto meno accentuata con quello tedesco. Inoltre, in Belgio e in Italia hanno avuto una notevole influenza diversi paradigmi macroeconomici, soprattutto nei confronti del tasso di cambio. In Belgio, nel dopoguerra, la concezione di piccola economia aperta dominava il pensiero economico e la conduzione della politica economica. Sia tra i politici sia tra gli accademici vi era ampio consenso sull’opportunità di una politica del tasso di cambio stabile. Tale tasso costituiva anche un importante elemento per disciplinare l’economia.23 In Italia, nella seconda metà del XX secolo, dominavano le idee anglosassoni, che consideravano il tasso di cambio per lo più come uno strumento di aggiustamento economico. Analogamente, presso gli economisti accademici esercitavano una profonda influenza le tendenze neoricardiane e neomarxiane, grazie agli stretti legami intessuti con l’Università di Cambridge, dove Piero Sraffa era in esilio. La tradizione “neoclassica” era più forte al nord, specialmente nell’università Bocconi di Milano, e presso la Banca d’Italia (Porta 2000, p. 161). Quest’ultima intratteneva solidi rapporti accademici internazionali, soprattutto presso le maggiori università americane, quali il MIT (Modigliani) e l’Università di Pennsylvania (Ando).24 In tal modo in Italia, coerentemente con il pensiero anglosassone, gli –––––––––– 23 In un pionieristico e influente articolo, Dehem (1946) si espresse in favore di un tasso di cambio stabile. Egli aveva già sviluppato una teoria della “disinflazione concorrenziale” basata su un modello di equilibrio economico generale a tre settori. 24 È interessante osservare che sia in Belgio sia in Italia l’“internazionalizzazione” della professione economica fu stimolata dall’esistenza di fellowships. In Belgio, a partire dai primi anni ’20, il programma “C.R.B. – fellowships” consentì a giovani economisti belgi di studiare negli Stati Uniti (si veda Maes, Buyst e Bouchet 2000). In Italia vi erano le borse “Bonaldo Stringher”, assegnate dalla Banca d’Italia dagli anni ’30 in poi. Inizialmente, i borsisti italiani si recarono per lo più in Gran Bretagna, soprattutto a Cambridge (Sraffa), a Oxford e alla London School of Economics. A partire dagli anni ’60 e ’70 si diressero sempre più negli Stati Uniti, in particolare al MIT (Modigliani). 440 Moneta e Credito economisti tendevano a concepire il tasso di cambio principalmente come uno strumento di aggiustamento economico. Belgio e Italia hanno condiviso numerosi fattori di debolezza economici e politici, sia pure in diversa misura. Entrambi presentavano una tradizione di debole finanza pubblica. Per la maggior parte del periodo considerato, ambedue i paesi avevano sistemi di rappresentanza politica basati su un meccanismo proporzionale, che favorì un sistema partitico più frammentato, governi di coalizione e instabilità di governo, tutti fattori sottostanti ai cronici disavanzi di bilancio (si veda l’Appendice). Inoltre, durante gli anni ’70 e ’80 Belgio e Italia figuravano tra i paesi meno flessibili della Comunità Europea, a causa di rigidità che si rafforzavano reciprocamente e che condizionavano i mercati dei prodotti e del lavoro. Erano due dei paesi con i meccanismi di indicizzazione salariale più accentuati, che esponevano le economie alle spirali salari-prezzi. Nei primi anni ’90, tali meccanismi furono smantellati o modificati in entrambi i paesi. Tuttavia, per tutto il periodo considerato l’inflazione si è mantenuta significativamente più elevata in Italia che in Belgio, e ciò ha costituito un fattore di rilievo nello spiegare le differenze osservabili nelle politiche del tasso di cambio (si veda il grafico 1). TABELLA 3 INDICATORI DELLA REGOLAMENTAZIONE NEL MERCATO DEL LAVORO (RML) E NEL MERCATO DEI PRODOTTI (RMP), 1998 Irlanda Austria Paesi Bassi Finlandia Germania Belgio Spagna Area dell’euro Portogallo Francia Italia Grecia RML RMP Regolazione complessiva del mercato (RML + RMP) 0,6 1,5 1,5 1,3 1,7 1,3 2,0 1,8 2,3 1,9 2,0 2,2 0,8 1,4 1,4 1,7 1,4 1,9 1,6 1,8 1,7 2,1 2,3 2,2 1,4 2,9 2,9 3,0 3,1 3,2 3,6 3,6 4,0 4,0 4,3 4,4 Fonte: Buti e Sapir (2002, p. 19). Per entrambi i paesi, il rispetto dei requisiti per la partecipazione all’UEM ha rappresentato una conquista importante. Tuttavia, nella Il processo di integrazione monetaria europea: un confronto tra gli approcci belga e italiano 441 loro agenda macroeconomica sono rimasti due elementi: l’accelerazione delle riforme strutturali nei mercati dei prodotti e del lavoro e il proseguimento del processo di consolidamento fiscale, per ragioni connesse sia al tranquillo funzionamento dell’UEM sia a un rafforzamento della performance economica. In Italia, sin dall’avvio della terza fase dell’UEM, l’inflazione è risultata sistematicamente più elevata che negli altri paesi dell’area dell’euro, a testimonianza della persistenza di debolezze strutturali (Council of the EU 2003; si veda anche la tabella 3). In entrambi i paesi, inoltre, a causa dell’elevato rapporto debito/Pil e in previsione dell’invecchiamento della popolazione, la sostenibilità di lungo periodo delle finanze pubbliche continua a costituire una questione politica di rilievo. 4. Concetti chiave e contributi In questa sezione si presterà attenzione alla sostanziale considerazione che Belgio e Italia hanno avuto dell’UEM, al modo in cui l’hanno perseguita e ai principali contributi concreti da essi offerti al processo di costituzione dell’UEM.25 4.1. Belgio Nei confronti dell’integrazione monetaria europea, il Belgio ha rappresentato un “richiedente coerente” e ha ricoperto un ruolo di pacesetting. Come in molti altri campi, è stato solitamente uno stretto alleato della Commissione europea, contribuendo a mantenere l’UEM nell’agenda europea. 4.1.1. Un’UEM sovranazionale e simmetrica La schema di base delle autorità belghe in materia di struttura e funzionamento dell’UEM può essere rinvenuto nel piano belga per –––––––––– 25 I contributi al processo di integrazione monetaria europea possono essere esaminati anche alla luce dei tre ruoli fondamentali assunti dai rappresentanti dei vari paesi: 1) “fornitori” di opinioni e concetti influenti in merito al disegno complessivo del progetto UEM, che sono serviti a portare avanti il progetto; 2) “imprenditori del progetto”, nell’avanzare proposte concrete per dare nuovo impeto al processo; 3) “abili negoziatori”, nel contribuire a raggiungere i risultati desiderati in momenti cruciali del processo. 442 Moneta e Credito l’UEM del gennaio 1970, “Un piano di solidarietà monetaria europea in tre tappe, 1971-1977”.26 Il fine ultimo, adottato in occasione del vertice de L’Aia del dicembre 1969, era la creazione di una “Comunità monetaria europea”. A tale scopo, andavano soddisfatte due condizioni: l’unificazione delle politiche economiche e un determinato grado di omogeneità tra le economie degli stati membri. Quest’ultimo requisito si riferiva non solo a un certo grado di omogeneità istituzionale, ma anche all’assenza di vistose differenze nei sistemi economici e sociali. Per la fase finale si rendevano necessarie importanti riforme istituzionali. Di primaria importanza era la creazione di nuove istituzioni comunitarie sovranazionali, che richiedeva a sua volta una revisione del Trattato di Roma.27 L’UEM ruotava intorno a due assi: in primo luogo, un “sistema monetario comunitario”, simile al Federal Reserve System degli Stati Uniti; in secondo luogo, una sorta di governo economico, «di istituzioni comunitarie dotate dei poteri necessari al perseguimento di una politica economica unica».28 La politica economica era concepita come comprensiva delle politiche dei redditi e di bilancio. Con riferimento alla politica di bilancio, le nuove istituzioni comunitarie avrebbero determinato la struttura generale all’interno della quale gli stati membri avrebbero dovuto condurre le proprie politiche di bilancio. Inoltre, il bilancio comunitario avrebbe dovuto progressivamente acquisire importanza. Quando in seguito, durante i negoziati per il Trattato di Maastricht, la Francia e la Commissione europea avanzarono l’idea di un “governo economico” (gouvernement économique), il governo belga diede il proprio appoggio incondizionato (Maystadt 1998). Il conferimento di un maggiore potere decisionale al Consiglio Ecofin era considerato un elemento importante sia per rafforzare il versante economico, sia per bilanciare quello monetario, che era basato su una politica monetaria unificata. Tuttavia, il concetto non fu inserito nel Trattato. La politica economica è rimasta in sostanza una questione –––––––––– 26 “Un plan de solidarité monétaire européenne en trois étapes 1971-1977” (Ministère des Finances Belgique 1970). 27 In proposito vi era una chiara differenza rispetto alla posizione francese del 1970, poiché Pompidou era contrario alla creazione di istituzioni europee sovranazionali. 28 «[D]’organes communautaires dotés des pouvoirs requis pour la poursuite d’une politique économique unique». Il processo di integrazione monetaria europea: un confronto tra gli approcci belga e italiano 443 nazionale, favorendo quindi l’emergere di un’UEM asimmetrica.29 Tale dibattito, tuttavia, ha favorito l’inserimento dell’articolo 99 (già 103) del Trattato, che annualmente provvede alle Broad Economic Policy Guidelines degli stati membri e della Comunità Europea. Inoltre, le autorità belghe erano favorevoli a un trattato di Maastricht che contenesse una più decisa dimensione sociale e, al fine di correggere il deficit democratico, a un ruolo più forte del Parlamento europeo. 4.1.2. Parallelismo con un’enfasi monetarista30 Nella strategia belga verso l’integrazione non può negarsi la presenza dell’“enfasi monetarista”, nella misura in cui ciò significa che la cooperazione e l’integrazione monetaria possono agire come catalizzatori della convergenza economica, e che di conseguenza non vi è alcun bisogno di attendere il compiersi spontaneo di una piena convergenza, come al contrario avrebbero preferito gli “economisti” (si vedano, ad esempio, Ansiaux 1970, Smets, Maes e Michielsen 2000, Ungerer 1997). La stabilità del tasso di cambio ha mantenuto una posizione di centralità nelle strategie belghe finalizzate alla promozione della cooperazione monetaria europea. Il piano belga del 1970 proponeva che, nella prima tappa, i margini di oscillazione andassero progressivamente ridotti e che i cambiamenti di parità potessero essere decisi solo di comune accordo. Un secondo ambito nel quale il Belgio è stato attivo – e che è strettamente legato alla cooperazione sul tasso di cambio – attiene ai meccanismi di solidarietà monetaria (credito ufficiale e servizi di liquidazione). L’idea di fondo era che tali meccanismi non solo promuoves–––––––––– 29 Importanti autorità tedesche ammettono che nella posizione negoziale della Germania vi è stata qualche contraddizione, poiché il paese si è dichiarato contrario a un gouvernement économique ma favorevole a limitare le politiche di bilancio nazionali. I problemi politici incontrati da Waigel in Baviera vengono spesso indicati come una spiegazione di tale fenomeno. 30 Il dibattito tra i “monetaristi” e gli “economisti” è emerso chiaramente nel Comitato Werner, all’interno della quale si è assistito ad animate discussioni sulle priorità del percorso verso l’UEM. I “monetaristi”, guidati dalla Francia, erano favorevoli a elaborare piani per una maggiore stabilità del tasso di cambio e meccanismi più incisivi di sostegno al tasso di cambio. Essi riconoscevano un ruolo prevalente all’integrazione monetaria nel processo di integrazione europea. Gli “economisti”, guidati dalla Germania, sottolineavano la necessità di imporre il coordinamento delle politiche economiche e la convergenza delle performances economiche, soprattutto l’inflazione, come prerequisito per l’UEM. Secondo la visione di questi ultimi, denominata “teoria dell’incoronazione”, l’unione monetaria poteva costituire solo l’ultima e suprema fase del processo di integrazione economica. 444 Moneta e Credito sero la reciproca cooperazione monetaria, ma – mostrando una posizione collettiva – costituissero anche un modo più efficace, rispetto alle isolate misure nazionali, per prevenire le speculazioni valutarie. In qualità di membro del gruppo Werner, l’allora governatore della banca centrale del Belgio e presidente del Comitato dei governatori, Hubert Ansiaux, lasciò la propria impronta sulle proposte finalizzate a elaborare meccanismi di sostegno reciproco (Werner 1991, p. 24).31 In seguito, il Belgio appoggiò l’iniziativa di conferire al Fondo europeo per la cooperazione monetaria (FECM) i poteri e le risorse sufficienti a consentire, sin dall’inizio, un vero coordinamento della politica monetaria (Vlerick 1974, p. 13).32 Al momento del varo dello SME, la delegazione belga continuò a insistere sull’opportunità del rafforzamento dei meccanismi di credito comunitari. L’orientamento “monetarista” del Belgio venne alla luce anche durante i negoziati per il Trattato di Maastricht, quando il governo belga fece pressioni per includere nel Trattato precise scadenze, al fine non solo di assicurare un’azione definita nel processo decisionale circa l’avvio dell’UEM, ma anche di fornire un elemento catalizzatore per soddisfare i criteri di convergenza. Nonostante tale visione “monetarista”, il Belgio concordò sull’esigenza di progredire parallelamente sui versanti economico e monetario (de Strycker 1970, p. 21). Indipendentemente dal fatto se il parallelismo costituisse una soluzione di compromesso, le autorità belghe erano convinte che la cooperazione monetaria non fosse sostenibile in assenza di sani fondamentali economici e di una buona convergenza economica. Il coordinamento della politica economica doveva contribuire a tale aspetto, non solo raccomandando agli stati membri appropriate misure di politica economica, ma anche aumentandone l’efficacia attraverso il reciproco coordinamento delle misure nazionali. Quando nel novembre 1995 la Germania propose un “patto di stabilità per l’Europa”, il Belgio reagì da subito positivamente. Tuttavia, il ministro delle finanze belga, Philippe Maystadt, evidenziava anche la necessità di accompagnare il patto di stabilità di bilancio con –––––––––– 31 Nel Comitato dei governatori, Ansiaux fornì puntuali resoconti del lavoro del gruppo Werner. Dopo la sua presentazione dell’11 maggio 1970, Clappier, anch’egli membro del gruppo Werner, riconobbe di poter aggiungere solo poche sfumature, limitandosi a dichiararsi meno ottimista di Ansiaux (Verbali del trentanovesimo incontro del Comitato dei governatori, 11 maggio 1970). 32 Il Fondo europeo per la cooperazione monetaria fu istituito nel 1973. Il processo di integrazione monetaria europea: un confronto tra gli approcci belga e italiano 445 un “patto di stabilità monetaria”. Quest’ultimo avrebbe riguardato soprattutto i tassi di cambio tra l’area a moneta unica e gli altri stati membri dell’UE (Maystadt 1996, p. 10). In questo senso Maystadt stava riprendendo un’antica e fondamentale idea belga, ovvero che in un mercato unico la stabilità del tasso di cambio è essenziale. Inoltre, ciò avrebbe anche agevolato il processo di convergenza presso gli altri paesi membri. Le discussioni che fecero seguito alla proposta portarono alla creazione di un nuovo meccanismo dei tassi di cambio, il cosiddetto ERM 2 (Brouhns 1997, p. 53). 4.1.3. L’opportunità di un’Europa a più velocità Il concetto di Europa a più velocità è stato controverso e molto delicato. Il dibattito ufficiale intorno a tale strategia venne sollevato dal Rapporto Tindemans, presentato al Consiglio europeo del dicembre 1975. Il Rapporto Tindemans fu scritto in un periodo nel quale, con la prospettiva di crescenti divergenze economiche e monetarie all’interno della Comunità Europea, l’atmosfera non era favorevole a un rilancio dell’UEM. Esso definiva per la prima volta gli elementi di un’integrazione a più velocità. Gli stati membri che erano in grado di progredire dovevano poterlo fare senza attendere quelli che restavano indietro (Tindemans 1976, p. 27). Questi ultimi avrebbero ricevuto l’assistenza necessaria e sarebbero stati giudicati in merito alla loro performance da parte delle competenti istituzioni comunitarie, con un orientamento finalizzato al recupero del divario. In tale occasione il serpente doveva fornire la struttura fondamentale, diventando il perno della nuova strategia subordinatamente a un maggiore coordinamento delle politiche economica e monetaria (Rey 1994, p. 32). Una simile strategia a due o a più velocità non va confusa con un’Europa à la carte, nella quale diversi paesi perseguirebbero diversi obiettivi. I traguardi rimanevano gli stessi per ciascun paese, ma potevano essere raggiunti con velocità variabili. Al fine di salvaguardare l’unicità degli obiettivi, il processo avrebbe dovuto proseguire nell’ambito della struttura normativa comunitaria. Ciò comportava anche che le istituzioni comunitarie non avrebbero dovuto essere lasciate fuori dal processo (come era avvenuto per la Commissione nel caso del serpente monetario), ma avrebbero dovuto continuare a essere coinvolte e a esercitare i propri poteri. 446 Moneta e Credito Inizialmente, l’idea di una strategia di più velocità venne accolta da uno scetticismo piuttosto diffuso, poiché si temeva che la Comunità Europea ne sarebbe uscita disintegrata. Gradualmente, tuttavia, essa ottenne sempre più consensi e venne applicata con successo in occasione dell’avvio dello SME e del Trattato di Maastricht (de Schoutheete 1997, p. 105). 4.1.4. Contributi concreti Al processo dell’UEM il Belgio ha offerto anche numerosi contributi concreti. Le negoziazioni sulla dimensione monetaria dell’Atto Unico europeo del 1985 costituirono un momento importante. Si trattava della prima grande revisione del Trattato di Roma. Sebbene l’UEM non potesse rappresentare un obiettivo immediato, era fondamentale che i trattati contenessero un riferimento all’acquis communautaire nelle questioni monetarie (l’UEM come finalità della Comunità Europea, dello SME e dell’ecu). Il Belgio preparò le proprie proposte con grande cura, manovrò per evitare che la Commissione rimanesse isolata e negoziò su tale questione con fermezza e tenacia (de Ruyt 1989). In occasione del Rapporto Delors, questo argomento sarebbe divenuto un gradino fondamentale per l’ulteriore progresso dell’UEM. I funzionari belgi svolsero un ruolo rilevante anche nel mediare i compromessi e nel promuovere il consenso.33 La diplomazia monetaria belga, spesso in compagnia di quella lussemburghese, si concentrò molto nel favorire un’intesa franco-tedesca che promuovesse il processo di integrazione europea. Nel corso dei negoziati per il Trattato di Roma, il tasso di cambio costituiva già una materia per accesi dibattiti. Secondo il delegato belga van Tichelen (1981, p. 340), uno dei punti di maggiore disaccordo riguardava il fatto se il tasso di cambio dovesse essere di competenza nazionale o comunitaria. La delegazione belga, ispirandosi a una formula di tipo Commonwealth, propose che «ciascuno stato membro [trattasse] la propria politica di tassi di cambio come una questione di interesse comune». Si trattava di una formula ambigua, ma che riuscì a collocare il tasso di cambio nell’area di competenza della Comunità Europea. Un ulteriore esempio è fornito dal –––––––––– 33 Provenendo da un paese piccolo, le autorità belghe erano costrette a tenere in grande considerazione il punto di vista degli altri negoziatori. Inoltre, vivendo in un paese multiculturale e multilingue, esse erano anche più abituate a negoziare con persone provenienti da un retroterra culturale diverso. Il processo di integrazione monetaria europea: un confronto tra gli approcci belga e italiano 447 contributo belga ai preparativi dello SME, in occasione dei quali il Belgio si trovava a presiedere sia il Comitato monetario sia il Comitato dei governatori delle banche centrali (Ludlow 1982, p. 165). L’idea belga dell’“indicatore di divergenza” aprì la strada per un accordo sulla deliberazione dello SME nel dicembre 1978, anche se in seguito tale strumento non venne quasi mai utilizzato. Un altro esempio è la proposta belga, in occasione della conferenza intergovernativa sul Trattato di Maastricht, di denominare la nuova istituzione della seconda fase come “Istituto Monetario Europeo” (Schönfelder e Thiel 1996, p. 132). La proposta serviva ad appianare le differenze tra la Francia, che proponeva la creazione della Banca Centrale Europea, e la Germania, che propendeva per un “Consiglio dei presidenti delle banche centrali”. In seguito, in sede di applicazione del Trattato di Maastricht, il Belgio ha ricoperto un ruolo creativo e di pace-setting nella predisposizione dello scenario dell’euro, approvato al vertice di Madrid del dicembre 1995 (Smets, Michielsen e Maes 2003). Nell’estate 1996, il Belgio ha inoltre adottato uno Schéma national de la place, che conteneva le linee fondamentali per la transizione all’euro per il settore finanziario. Si è deciso anche di creare una “Commissione generale per l’euro”, incaricata di stimolare e coordinare il passaggio all’euro. Ciò ha consentito al Belgio di svolgere una funzione creativa e di pacesetting nei preparativi del cosiddetto changeover, come risulta evidente nel “Rapporto sui preparativi per l’introduzione delle banconote e delle monete in euro” stilato dalla Commissione (CEC 2001). 4.2. Italia Sebbene l’Italia sia stata sempre favorevole a un’UEM sovranazionale, il suo ruolo sulla scena monetaria europea è mutato nel tempo. Il culmine si è avuto sul finire degli anni ’80 e nei primi anni ’90, quando le autorità politiche italiane svolsero un’importante funzione di guida nel processo UEM. 4.2.1. Un’UEM sovranazionale Una caratteristica dell’approccio italiano all’integrazione monetaria europea – e all’integrazione europea in generale – è stata rappresentata da una visione sovranazionale. Già al tempo del Rapporto Werner, 448 Moneta e Credito Colombo, ministro del tesoro italiano e convinto federalista europeo, era a favore di un deciso progresso verso l’UEM.34 Al vertice Ecofin del 23 e 24 febbraio 1970, il contributo di Colombo era in accordo con il piano belga. In generale, egli era d’accordo con tale piano: «[N]oi concordiamo largamente con l’analisi e la valutazione in detto piano» (Colombo 1970, p. 236).35 In particolare, egli concordava con la creazione di istituzioni comunitarie che avrebbero dovuto avere la responsabilità di una politica monetaria unica e di un Federal Reserve System europeo, e rimarcò che tale scelta presupponeva un avanzamento nell’organizzazione politica della Comunità Europea. 4.2.2. Da un approccio “economista” a uno “monetarista” Per quanto riguarda il percorso verso l’UEM, secondo diversi osservatori l’Italia inizialmente tendeva verso una posizione “economista”. Ad esempio, Tsoukalis (1977, pp. 97 e 109) colloca l’Italia insieme alla Germania e ai Paesi Bassi, ricordando che le autorità italiane si opposero all’introduzione del Fondo Europeo per la Cooperazione Monetaria (FECM). Werner, al contrario, considerava Stammati, direttore generale del tesoro italiano e membro italiano della sua commissione, come un esponente del gruppo monetarista (Werner 1991, p. 124).36 Guido Carli, il governatore della Banca d’Italia, assunse una posizione chiaramente economista. In un articolo pubblicato su Euromoney nel 1970, egli espose la teoria dell’incoronazione, sostenendo che la creazione di una valuta europea avrebbe dovuto costituire «l’atto culminante di una sequenza attraverso la quale raggiungere l’unificazione politica ed economica».37 Inoltre, nella Relazione annuale presen–––––––––– 34 Colombo era vicino a Monnet. Sulla base di ricerche condotte negli Archivi Monnet a Losanna, Perron (2001, p. 363) sostiene che Colombo riferì a Monnet in merito a un incontro Ecofin a Rotterdam nell’autunno 1968. Colombo accennò anche alla riluttanza dei presidenti delle banche centrali nei confronti di un rafforzamento della cooperazione monetaria europea. 35 Il testo dell’intervento di Colombo fu pubblicato in Bancaria (Colombo 1970). 36 Naturalmente ci si può chiedere se fosse una coincidenza che Stammati, che era vicino a Colombo e decisamente favorevole all’integrazione europea, fosse divenuto il membro italiano del Comitato Werner. 37 Già in precedenza, nel dicembre 1968, quando Barre presentò le proposte della Commissione per creare un meccanismo comunitario per la cooperazione monetaria, Carli, pur riconoscendo che si trattava di una decisione politica, si dichiarò «perplesso» nei confronti delle possibilità di una più stretta cooperazione monetaria all’interno della Comunità Europea. Sostenne che la Comunità era troppo piccola, e che rappresentava solo un’unione doganale e non un’unione economica e politica. Blessing e Il processo di integrazione monetaria europea: un confronto tra gli approcci belga e italiano 449 tata nel maggio 1969, la Banca d’Italia discusse un sistema di “parità scorrevole” (crawling peg).38 Anche in un articolo preparato per il Comitato di azione Jean Monnet per gli Stati Uniti d’Europa, Carli assunse nei confronti dell’integrazione monetaria europea un approccio prudente, evidenziando la necessità di una convergenza economica e suggerendo un approccio graduale, fondato su una “parità scorrevole” (Carli 1969).39 Al vertice Ecofin del 23 e 24 febbraio 1970, secondo i verbali belgi, la posizione dell’Italia fu “piena di sfumature” e tendeva a porsi in una posizione centralista, intermedia tra quelle di Belgio, Lussemburgo e Francia, cioè gli “incorreggibili ottimisti”, e quelle di Germania e Paesi Bassi, caratterizzate da una “convinta prudenza” (Kadoc, Archivi Snoy, Carta 5.3.12.8.2, nota X/CEE/620/34160, 26/2/1970). La posizione italiana fu certamente complessa e sottile (si veda anche Segreto 2002). Parte della spiegazione è che l’Italia, al pari di Belgio e Lussemburgo, era favorevole a un’unione economica e monetaria con forti istituzioni sovranazionali, secondo un orientamento coerente con la tradizionale posizione italiana nei confronti dell’integrazione europea. Allo stesso tempo, tuttavia, l’Italia, e soprattutto il governatore della Banca d’Italia Carli, al pari dei governatori di Germania e Paesi Bassi, erano più cauti e nutrivano maggiori riserve nei riguardi di iniziative concrete e immediate (si veda la tabella 4).40 Al vertice Ecofin del 23 e 24 febbraio 1970, il ministro del tesoro italiano Colombo si mostrò cauto nei confronti delle fasi di transizio–––––––––– Zylstra concordarono con Carli (ECB, Verbali del 27° incontro del Comitato dei governatori, dicembre 1968). Per una valutazione più dettagliata delle opinioni di Carli si veda Barucci (2003). 38 In occasione di un successivo incontro del Comitato dei governatori, Ansiaux ricordò che, sebbene un sistema di parità scorrevole potesse apparire come il male minore, era pericoloso parlarne senza prima discuterne a livello comunitario (ECB, Verbali del 31° incontro del Comitato dei governatori dell’8 giugno 1969). 39 Carli (1993, p. 227) ha illustrato il proprio articolo come «assai diverso» dal Piano Werner. Egli intendeva anche evitare che il Regno Unito non fosse in grado di aderire al progetto UEM o che il rafforzamento dell’integrazione europea avvenisse a spese dei rapporti con gli Stati Uniti (Carli 1993, pp. 228 e 230). L’importanza dell’adesione del Regno Unito alla Comunità Economica Europea costituì un tema ricorrente anche negli incontri di Carli con le autorità politiche italiane (si vedano gli Archivi Banca d’Italia, Direttorio Carli). 40 Un articolo del Servizio Studi della Banca d’Italia apparso il 7 gennaio 1970 sosteneva che, nel breve periodo, in Europa fosse opportuna una maggiore flessibilità dei tassi di cambio, a causa delle divergenze presenti nelle politiche economiche, al fine di agevolare l’integrazione dei paesi candidati all’accesso (Banca d’Italia, Archivi, Carte Baffi, Pratt. B. 286). Moneta e Credito 450 ne. Egli era assai restio all’idea di restringere i margini di oscillazione del tasso di cambio, a causa delle differenze esistenti tra le politiche economiche. Tuttavia, ammonì anche che un ampliamento di tali margini non avrebbe potuto essere compatibile con il funzionamento della Comunità Europea, e soprattutto con la politica agricola comune (Colombo 1970, p. 237). Si disse inoltre molto favorevole a considerare un sistema di parità scorrevole, secondo una precedente proposta di Carli. Non si può escludere che Colombo prefigurasse un Fondo di riserva europeo, soprattutto per le operazioni a medio termine. TABELLA 4 POSIZIONI AL MOMENTO DEL VERTICE DE L’AIA Cooperazione monetaria nella prima fase Un’UEM sovranazionale Riluttante Riluttante Favorevole Francia Prudentemente convinto Favorevole Germania Paesi Bassi Italia Belgio Lussemburgo In Italia, le dispute sull’integrazione monetaria europea si riaccesero nel 1978, quando si trattò di discutere la creazione dello SME. Alcune autorità di politica economica, in particolare presso la Banca d’Italia, temevano che il sistema di tassi di cambio non sarebbe stato sostenuto da politiche economiche sufficientemente convergenti. In tal caso, la lira avrebbe dovuto abbandonare l’ERM, come era avvenuto con il serpente monetario. Essi enfatizzavano il fatto che lo SME esigeva una certa flessibilità intrinseca per tenere conto delle particolari condizioni dell’Italia (Baffi 1989). Dopo l’esperienza italiana del serpente “asimmetrico”, le autorità italiane si batterono per uno SME più “simmetrico” e per introdurre un certo grado di flessibilità nel sistema (Masera 1987a). Nel corso dei negoziati, essi suggerirono tre punti principali: 1) bande di oscillazione più ampie; 2) l’indicatore di divergenza; 3) misure parallele per le economie meno floride, sebbene quest’ultimo punto fosse considerato meno importante degli altri. A partire dai primi anni ’80, le autorità di politica economica italiane si schierarono decisamente con il gruppo monetarista, insieme alla Francia, al Belgio e alla Commissione europea. La partecipazione al meccanismo dei tassi di cambio dello SME nel 1979 segnò un punto Il processo di integrazione monetaria europea: un confronto tra gli approcci belga e italiano 451 di svolta. Inoltre, il governatore Ciampi41 e alcuni dei suoi più stretti collaboratori, come Padoa-Schioppa, erano fortemente favorevoli alla cooperazione in tema di tassi di cambio all’interno dell’UE e caldeggiavano uno sviluppo istituzionale dello SME, con la creazione, in una seconda fase, di un Fondo monetario europeo. Il memorandum di Amato ripropose il tema del funzionamento asimmetrico dell’ERM,42 sostenendo che il problema fondamentale dello SME era la mancanza di un “motore di crescita” (ibid., p. 5). Lo SME possedeva un’intrinseca inclinazione deflazionistica, poiché il marco tedesco, la moneta àncora del sistema, era sottovalutato e la domanda interna tedesca era più bassa della media UE. Ciò creava un avanzo nelle partite correnti tedesche e riduceva il potenziale di crescita degli altri paesi aderenti allo SME. Secondo il memorandum, il sistema avrebbe dovuto individuare i paesi che divergevano in entrambe le direzioni, e tutti i paesi avrebbero dovuto condividere l’onere dell’aggiustamento. Il memorandum Amato invocava inoltre una «fase istituzionale» (ivi) dello SME. La proposta consisteva nel rafforzamento delle funzioni del FECM, attraverso la creazione di un meccanismo di raccolta e riutilizzo di fondi finanziari nel mercato, al fine di compensare i movimenti di capitali derivanti dalla liberalizzazione dei capitali all’interno dell’UE. Si proponeva inoltre una politica comune nei confronti delle valute dei paesi terzi, e un ruolo più rilevante per l’ecu negli interventi sul tasso di cambio. In definitiva, l’UEM era considerata come un modo per intervenire sul funzionamento asimmetrico dello SME e per avere voce in capitolo nella politica monetaria europea (Amato 1988). L’approccio monetarista italiano emerse anche nel contributo di Ciampi al Rapporto Delors, attraverso la proposta di uno schema istituzionale per una politica monetaria comune (Ciampi 1989). Lo scopo consisteva nell’istituire una struttura finalizzata ad assicurare che sul piano operativo le differenti politiche monetarie nazionali sarebbero state condotte in maniera congiunta. –––––––––– 41 Per un confronto tra le politiche monetarie di Carli, Baffi e Ciampi si veda Panico (1998, p. 155). 42 Nel febbraio 1988 Giuliano Amato, ministro del tesoro, inviò un memorandum ai propri colleghi dell’Ecofin, con il titolo “Un motore di crescita per lo SME” (Amato 1988). Moneta e Credito 452 In seguito, nel corso dei negoziati per il trattato di Maastricht, l’adeguatezza degli accordi istituzionali per la fase di transizione all’UEM, e in particolare per la seconda fase, furono causa di costante preoccupazione per la delegazione italiana. Pertanto, la Banca d’Italia pubblicò un articolo dal titolo “Le funzioni della banca centrale europea nella seconda fase dell’UEM”, mentre un lavoro congiunto della Banca d’Italia e del Ministero delle finanze illustrava un “Programma per la fase due dell’UEM”.43 4.2.3. Contributi concreti I contributi delle autorità italiane di politica economica ai negoziati UE si sono concentrati per lo più negli anni ’80 e nei primi anni ’90, ovvero nel periodo in cui l’Italia ha partecipato all’ERM. Inizialmente, i rappresentanti italiane tentarono di migliorare il funzionamento dello SME, appoggiando i tentativi in tal senso operati dalla Commissione all’inizio degli anni ’80.44 Analogamente, nella misura in cui l’unione monetaria appariva impraticabile a livello ufficiale, le autorità italiane si rivolsero al mercato nel tentativo di stimolare il processo di integrazione monetaria, e proposero di accrescere il ruolo dell’ecu, in particolare di quello privato (Padoa-Schioppa 1992, Masera 1987b, Amato 1988).45 I negoziatori italiani ricoprirono un ruolo di rilievo nel rilancio del processo UEM nella seconda metà degli anni ’80 e nei negoziati riguardanti il Trattato di Maastricht. Un esempio fu il ruolo di PadoaSchioppa come co-relatore della Commissione Delors, che tracciò lo schema per i negoziati sull’UEM. Padoa-Schioppa svolse una funzione importante nella stesura del rapporto (Dyson e Featherstone 1999, p. 502). Un secondo esempio è dato dalla presidenza italiana della Comunità Europea nel 1990, e da come vennero utilizzati, da parte dei rappresentanti italiani, i poteri di fissare l’ordine del giorno e altre prerogative della presidenza. Le conclusioni del Consiglio europeo di Roma dell’ottobre 1990, che prepararono la strada per la Conferenza –––––––––– Documenti citati da Dyson e Featherstone (1999, pp. 506 e 520). In quel periodo il Direttore generale della DG II (Affari economici e finanziari) era Padoa-Schioppa. È interessante notare che, fino a tempi recenti, a capo della DG II è sempre stato posto un italiano (Maes 1996). 45 I rappresentanti belgi erano molto più restii ad appoggiare l’idea di un più rilevante ruolo dell’ecu privato, poiché temevano che ciò potesse minare la credibilità della politica del tasso di cambio belga (Michielsen 1986). 43 44 Il processo di integrazione monetaria europea: un confronto tra gli approcci belga e italiano 453 Intergovernativa (CIG), furono in larghissima misura il risultato delle manovre diplomatiche italiane (Marshall 1999, pp. 354-55). Un terzo esempio consistette nella proposta di fissare nel Trattato una data ultima per l’avvio dell’UEM. Su tale disposizione si trovò un accordo solo all’ultimo momento nel Consiglio europeo di Maastricht del dicembre 1991, e i negoziatori italiani vengono spesso indicati come gli ideatori della proposta (Dyson e Featherstone 1999, pp. 517-18). 4.3. Un confronto Belgio e Italia hanno entrambi svolto un ruolo attivo nel dibattito sull’integrazione monetaria europea nell’ambito dei circoli politici, sia pure in gradi diversi. Essi hanno proposto un’UEM sovranazionale, adottando tipicamente un approccio monetarista. Una differenza non trascurabile tra i due paesi è che la posizione del Belgio è stata sviluppata molto più in dettaglio. Inoltre, tale posizione è rimasta sostanzialmente invariata dagli anni ’70 – quando venne sottoposto il primo piano belga per l’UEM – fino agli anni ’90. In Italia non si è avuta una visione tanto uniforme e coerente per tutto il periodo. Le autorità italiane sono state attive soprattutto negli anni ’80 e nei primi anni ’90, e si sono mostrate tendenzialmente più critiche nei riguardi della predominanza tedesca nello SME, come sostenuto nel memorandum Amato.46 5. Conclusioni Il presente articolo esamina e confronta il ruolo che Belgio e Italia hanno svolto nel processo UEM. Entrambi i paesi sono stati membri fondatori della Comunità Europea e hanno condiviso un orientamento fortemente europeista. Nelle questioni legate all’UEM essi erano favorevoli a un’UEM sovranazionale. Inoltre, entrambi facevano tipicamente parte dello schieramento “monetarista”, premendo per una più –––––––––– 46 Le autorità belghe avevano meno motivi per essere critiche, poiché l’economia e il ciclo economico belgi erano molto più affini a quelli della Germania. Inoltre, esse erano ben consapevoli che criticare la Bundesbank si sarebbe rivelato dannoso per la credibilità della politica belga del tasso di cambio. 454 Moneta e Credito stretta cooperazione monetaria e del tasso di cambio. Per ambedue i paesi, la stabilità del tasso di cambio era rilevante per una serie di ragioni: per incoraggiare il processo di integrazione europea, come vincolo esterno per politiche interne e come condizione fondamentale per esercitare la propria influenza sulla scena monetaria europea. Nel complesso, nel processo UEM Belgio e Italia hanno rivestito un ruolo di pace-setting. I rappresentanti dei due paesi hanno contribuito allo sviluppo di numerosi concetti e idee che si sarebbero rivelati influenti nel processo di integrazione monetaria. Il “piano Snoy”, che conteneva uno schema molto dettagliato per l’UEM e per il percorso di avvicinamento a essa, fu molto influente in occasione del vertice de L’Aia e nel Comitato Werner. Il concetto di Europa a più velocità, introdotto dal Rapporto Tindemans, negli anni ’70 si rivelò importante per mantenere l’integrazione monetaria nell’agenda europea, ed ebbe una posizione di primo piano nel Trattato di Maastricht. L’Italia presentò proposte dirette a estendere il ruolo dell’ecu, contribuendo allo sviluppo del mercato dell’ecu privato. Le autorità belghe e italiane hanno agito anche come “imprenditori del progetto”, avanzando proposte concrete. Un tipico esempio è rappresentato dall’idea belga dell’“indicatore di divergenza”, che ha aperto la strada a un accordo sullo SME. Ciampi, nel suo contributo al Rapporto Delors, ha sviluppato una proposta di schema istituzionale per una politica monetaria comune. Il Belgio ha svolto un ruolo creativo nel preparare lo scenario dell’euro, poi adottato al Consiglio europeo di Madrid nel dicembre 1995 e nella predisposizione del cosiddetto changeover. Infine, sia i belgi sia gli italiani si sono rivelati, in diverse occasioni, abili negoziatori. Con la sua proposta di dare una dimensione monetaria all’Atto unico europeo, il Belgio ha impedito che la Commissione rimanesse isolata e quindi costretta alla resa su tale materia. Il Belgio ha proposto anche il nome “Istituto Monetario Europeo”, ovvero una denominazione di compromesso per la seconda fase che risultasse accettabile per Francia e Germania. La presidenza italiana è riuscita ad avviare la CIG sull’UEM e a offrirle un’agenda ampia, vincendo in astuzia la Thatcher nel Consiglio europeo di Roma. Tuttavia, tra Belgio e Italia vi sono state anche differenze significative. Il Belgio ha rappresentato un costante e coerente pace-setter nelle varie questioni monetarie, dalla preparazione del vertice de L’Aia alla progettazione dello SME, al capitolo monetario nell’Atto unico europeo e alla realizzazione dell’UEM. Il più stretto alleato delle Il processo di integrazione monetaria europea: un confronto tra gli approcci belga e italiano 455 autorità belghe è stato la Commissione, data la condivisione della finalità fondamentale di un’Europa più integrata e federale. Le autorità italiane hanno svolto un ruolo nel processo UEM soprattutto negli anni ’80, raggiungendo l’apice nel Consiglio europeo di Roma del 1990. In larga misura, queste divergenze negli approcci di Belgio e Italia possono essere spiegate da differenze esistenti nelle situazioni e nelle idee politiche, sociali ed economiche. In Belgio è difficile trovare una divergenza significativa dal consenso all’integrazione europea e all’UEM. L’obiettivo di una politica del tasso di cambio stabile non è mai stato messo seriamente in discussione. In Italia, nei confronti dell’integrazione europea vi sono stati a volte atteggiamenti ambivalenti. Ad esempio, prima del “compromesso storico” degli anni ’70, il Partito Comunista, all’epoca il secondo maggiore partito, era riluttante nei confronti dell’integrazione europea. Inoltre, l’economia italiana era meno stabile e la situazione era spesso peggiorata da gravi tensioni sociali. Per di più, in Italia l’obiettivo della stabilità del tasso di cambio è stato spesso messo in dubbio, originando animate discussioni sull’opportunità di partecipare ai meccanismi di cambio europei, dato che l’economia italiana presentava difficoltà ricorrenti in termini di inflazione elevata e disavanzi di bilancia dei pagamenti. Lo studio illustra inoltre che, sia in Belgio che in Italia, la dimensione politica è stata molto rilevante nel processo di integrazione monetaria europea. Al di là degli argomenti economici, la volontà di sostenere il processo di integrazione europea ha costituito una ragione importante per il Belgio ai fini di un tasso di cambio stabile. Nel 1996, la decisione del governo italiano di intraprendere drastiche misure di politica economica per soddisfare i criteri di convergenza aveva anche forti connotati politici, ed era guidata dall’idea che l’Italia dovesse collocarsi nel cuore dell’Europa.47 –––––––––– 47 Negli ultimi decenni la letteratura economica è divenuta più favorevole nei confronti delle unioni valutarie. Oggi viene maggiormente enfatizzato che i costi, in termini di perdita di autonomia nelle politiche macroeconomiche interne, sono relativamente contenuti, mentre si evidenziano i benefici di una moneta unica (si veda Mongelli 2002). Inoltre, l’“endogenità” delle aree valutarie ottimali, secondo la quale l’integrazione monetaria renderà i paesi più adatti a un’unione valutaria, è divenuta un importante argomento di discussione. Si dovrebbe rammentare anche che numerosi studi, nel verificare la teoria delle aree valutarie ottimali, collocano il Belgio al centro e l’Italia in periferia. Tuttavia, la composizione del centro e della periferia varia da uno studio all’altro. Inoltre, tali lavori si fondano su dati storici e sono quindi essenzialmente rivolti al passato. Moneta e Credito 456 A un livello più generale, lo studio mostra l’importanza di un tasso di cambio stabile nel corso del processo di integrazione monetaria europea. Sul piano interno, la stabilità del cambio ha svolto un ruolo cruciale come strumento di disciplina, cioè come “vincolo esterno”. Inoltre, sul piano esterno, un tasso di cambio stabile era essenziale al fine di poter esercitare una certa influenza sulla scena monetaria europea UEM. Con la sua politica del tasso di cambio stabile, il Belgio ha rappresentato quindi un continuo pace-setter nelle questioni UEM, mentre l’Italia è stata influente soprattutto negli anni ’80 e all’inizio degli anni ’90, quando la lira era nell’ERM. Ciò mostra anche quali mutamenti radicali l’UEM comporti. Il tasso di cambio come strumento di disciplina è stato sostituito da un nuovo regime di politica economica fondato sullo stretto coordinamento delle politiche economiche. Inoltre, la sparizione dei tassi di cambio nell’area dell’euro segna un rilevante mutamento nelle determinanti dell’influenza sulla scena monetaria europea. APPENDICE CARATTERISTICHE DEI GOVERNI NELL’UNIONE EUROPEA Paesi Austria Belgio Danimarca Francia Germania Grecia d Irlanda Italia Paesi Bassi Portogallo e Regno Unito Spagna f a b c d e f Tipo di governo a Magg. Coal. Min. 39.0 9.8 0.0 41.5 9.6 91.2 65.9 0.0 0.0 26.7 50.0 92.7 58.5 90.2 34.1 39.0 90.0 5.9 24.4 95.1 100.0 53.3 35.7 0.0 2.4 0.0 65.9 19.5 0.0 2.9 9.8 4.9 0.0 20.0 14.3 7.3 Durata del governo b 2.67 1.43 2.11 1.29 2.00 0.97 1.90 0.95 3.33 1.48 2.00 4.00 Stabilità politica c 40.0 10.0 5.7 2.5 20.0 4.0 5.0 10.0 6.7 5.0 20.0 8.0 Magg. = maggioranza monocolore; Coal. = maggioranza di coalizione; Min = minoranza (monocolore o coalizione). In ciascuna colonna il numero indica la percentuale di anni in cui il governo è rientrato in una delle tre categorie, negli anni di regime democratico tra il 1950 e il 1990. La categoria è definita con riferimento alla Camera più bassa. Durata dell’esecutivo tra il 1950 e il 1990 (numero medio di anni). Numero medio di anni tra mutamenti “significativi” di governo nel periodo 1950-89. Regime dittatoriale tra il 1967 e il 1973. Regime dittatoriale fino al 1973. Nuova Costituzione democratica nel 1976. Regime dittatoriale fino al 1974. Prime elezioni democratiche nel 1977. Fonte: Grilli, Masciandaro e Tabellini (1991, p. 365). Il processo di integrazione monetaria europea: un confronto tra gli approcci belga e italiano 457 BIBLIOGRAFIA ALLUM, P. (2000), “Italian society transformed”, in P. McCarthy ed., Italy Since 1945, Oxford University Press, Oxford, pp. 10-41. AMATO, G. (1988), “Un motore per lo SME”, Il Sole 24 Ore, 25 febbraio, p. 5. ANSIAUX, H. 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