de Il corpo, l`arte e Io

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de Il corpo, l`arte e Io
 A cura di: Ilaria Cislaghi Stampato nel novembre 2009 Risguardo: Kazuo Shiraga, Untitled, 1974 (particolare) Pagg. 10‐11: Malcolm Kirk, Uomo della tribù Samo dal villaggio Sokabi, 1972 Pagg. 38‐39 Shirin Neshat, Soliloquio, 1999 Prefazione
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Presentazione
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Arnulf Rainer
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Identità Personale
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Laboratorio Carte d’identità ideali
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Laboratorio Corpi astratti
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Verifica
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Giuseppe Penone
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Laboratorio Con-tatto senza vista
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Verifica
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Identità sociale
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Shirin Neshat
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Laboratorio Il corpo racconta
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Verifica
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Caccia alla parola (glossario)
PREFAZIONE
L’uomo, fin dalla preistoria, non ha mai smesso di giocare con il proprio corpo, nel tentativo di
superarne i confini, trasformarlo, adornarlo, con gioielli, abiti, fori nelle labbra, nelle orecchie o nel
naso.
Anche gli artisti, soprattutto quelli contemporanei, pongono il corpo al centro delle loro opere d’arte, e
lo sfruttano sia come soggetto delle loro rappresentazioni, sia come strumento per esprimere o
nascondere le loro identità.
L’attività di molti artisti, fin dagli inizi del ‘900, esalta la traccia lasciata dalla presenza umana come
testimonianza di gesti e di movimenti, allo scopo di fondere l’arte con la vita. È questo il momento in cui
nasce il fascino per le culture extraoccidentali, in cui si sperimentano nuove tecniche d’espressione,
ottenute mescolando collage, fotomontaggio, performance, Land art e installazioni, al fine di
coinvolgere, nell’arte, gli aspetti della quotidianità.
Negli anni Sessanta e Settanta, il crescente interesse verso il corpo contamina tutte le tendenze culturali,
dando origine alla Body Art. Il corpo, allora, diviene esso stesso opera d’arte. Si mette in gioco
attraverso i sensi che lo caratterizzano, si mostra energico, mutante, capace di infinite possibilità: un
corpo travestito, mascherato, dipinto, perfezionato tecnologicamente e chirurgicamente, per essere
universale e manifestare identità irripetibili.
Il corpo, infatti, siamo noi. Esso è luogo della nostra identità, personale e sociale. Mediante il nostro
corpo, ciò che siamo e ciò che mostriamo di essere coincidono. Quando restiamo in silenzio, il corpo
diventa il luogo del linguaggio; grazie ad esso esprimiamo il nostro stato d’animo, comunichiamo
messaggi, raccontiamo la nostra storia. Parlare di corpi, quindi, significa parlare delle proprie vite.
Sono proprio questi i temi e i concetti affrontati dal piccolo Giacomo, il protagonista di questo libro. I
tre artisti da lui proposti nel corso della narrazione – presenti, con le loro opere, alla mostra Skin-deep.
Il corpo come luogo del segno al museo del Mart di Rovereto - sono uniti dal comune interesse verso
l’impiego del corpo come strumento espressivo e comunicativo. Nelle pagine si trovano, inoltre, alcuni
piacevoli laboratori creativi, da realizzare da soli o in compagnia, a casa e a scuola, per avvicinarsi all’arte
contemporanea attraverso il gioco e scoprire le sue potenzialità multidisciplinari.
Agnese, un po’ più grande di
me. Andare a scuola mi piace,
perché ho tanti amici e non mi
annoio mai… Tranne quando
arriva la professoressa di storia e
comincia a leggere pagine e
pagine, che sembrano essere
interminabili! Scommetto che
anche voi avete qualche
insegnante noioso, vero? Ma non parliamo più di cose
brutte, siamo qui per divertirci
insieme!
Per cominciare, non vi sembra
di aver notato qualcosa di strano
in me? Ho un ombrello, sì…
Sono vestito come tutti i miei
coetanei… sì… Ma cos’altro c’è?
Sì! Ti ho sentito che lo hai detto!
Esatto: sto volando! Sono
sospeso nel cielo.
Buongiorno! Che giornata grigia
oggi! Sono uscito da scuola con
l’ombrello, ma la strada verso
casa è lunga senza compagnia,
soprattutto quando piove... Che
ne dite se facciamo amicizia?
Io sono Giacomo, ho undici
anni e vivo a Milano con
mamma, papà e mia sorella
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È proprio questo che faccio quando le giornate sono piovose come oggi
e il tempo non passa mai. Anziché giocare sempre con la Play Station o
guardare la TV, a volte volo... con la fantasia, naturalmente! Verso
nuovi universi costruiti dagli artisti. Sono persone come noi, è vero,
però fanno un lavoro molto speciale e divertente e secondo me alcuni
di loro sono davvero geniali!
Forse avrete capito che la mia materia preferita a scuola è l’educazione
artistica… Beh, è proprio così, e mi piace così tanto, che, quando i miei
genitori non lavorano, chiedo loro di portarmi nei musei della mia città
per giocare con l’arte insieme ad altri bambini come me.
Sì, sì, GIOCARE a fare l’artista!
Se mi seguite fino a casa vi insegno come si fa.
Io ho già imparato un sacco di cose nuove al museo.
Dai, venite con me!
Ho proprio voglia di mostrarvi alcuni artisti che parlano
d’arte con i loro corpi; curioso eh? Allora voltate pagina!
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1. Arnulf Rainer, Body poses, 1971
2. Shozo Shimamoto, Performance di dripping,
2006
3. Orlan, Re-figurazione/self-ibridazione n. 12-n.6n.27-n.1, 1998
4. Luigi Ontani, Pinocchio, 1970
5. Gilbert&George, Underneath the Arches, 1972
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La frase che avete appena letto descrive bene ciò che ha spinto gli artisti
che vi presenterò a realizzare alcune opere d’arte. Tutti loro hanno in
comune la voglia di conoscere e di vedere, non solo il mondo e gli altri,
ma anche se stessi. Usano tantissime tecniche, dal dipinto, alla
fotografia, al video, alla chirurgia estetica! Perché desiderano scoprire
un’infinità di aspetti della loro... IDENTITÁ!
Lo so, anche per me è un pensiero difficile da capire, infatti, me lo ha
spiegato a lungo la mamma e dato che ora sta lavorando, convinco
Agnese a parlarvene nelle prossime pagine. Nel frattempo, diamo la
mano al primo artista.
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1. Arnulf Rainer, Face Farces 1969-1973
2. Arnulf Rainer, Body Poses 1969-1973
3. Arnulf Rainer, Paura 1969-1973
Biografia
Arnuf Rainer nasce in Austria nel 1929, in una cittadina di nome Baden, vicino a Vienna. Qui frequenta
la Scuola Superiore di Arti Applicate, che però lascerà presto, per cominciare, negli anni Quaranta, a
dipingere da autodidatta. Le sue prime opere sono influenzate dal Surrealismo e dall’Espressionismo
astratto americano. Negli anni Cinquanta, sperimenta, inoltre, tecniche artistiche come: la litografia, la
serigrafia, l’incisione. A partire da questo momento, Rainer introduce nelle sue opere il linguaggio del
corpo. Utilizzando l’incisione, ad esempio, registra la traccia che la sua mano lascia ad occhi chiusi.
Successivamente, crea alcune fotografie in bianco e nero su cui interviene con il mezzo pittorico. Il suo
più ampio ciclo di opere, tuttavia, è costituito dalle pitture sovrapposte (Ubermalungen) e dai disegni
sovrapposti (Uberzeichnungen) monocromi, realizzati, cioè, utilizzando un solo colore. Intorno alla
metà del 1960, l’artista inizia a dare forma a disegni di profili e maschere, ritornando sul tema del corpo
e sull’immagine dell’uomo. Avendo notato che, mentre disegnava, accennava smorfie con il volto, poco
prima degli anni Settanta Rainer comincia a documentarne le deformazioni in fotografia, producendo la
serie delle Face Farces. Il mezzo creativo utilizzato, però, a parere dell’artista, non documenta
interamente il suo stato d’animo; dunque, egli cerca di suggerirlo con modifiche manuali. La stessa
operazione viene eseguita, più avanti, agendo con tutto il corpo e la sua gestualità (Body poses).
Infine, negli anni Ottanta, l’artista prosegue con la stessa tipologia di attività, ricorrendo anche all’uso del
video per approfondire alcuni aspetti delle espressioni emotive.
Arnulf Reiner è un artista di grande importanza, infatti, ha esposto le sue opere ad alcune grandi mostre
internazionali, come: la Biennale di Venezia, la Biennale di San Paolo, in Brasile, e Documenta di
Kassel, in Germania.
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Ciao! Io sono Agnese!
So che avete già conosciuto Giacomo.
Io e lui non andiamo molto d’accordo,
spesso bisticciamo, però, la passione
per l’arte ci unisce sempre: lui ha
molta fantasia e mi spinge ad essere
creativa; io, invece, gli spiego le idee
un po’ complesse di alcuni artisti.
A Giacomo, per esempio, ho
parlato dell’IDENTITÁ.
Voi sapete di cosa si tratta?
Avete mai sentito questa parola?
Mio fratello ha seguito attentamente la mia spiegazione e ne è rimasto
così affascinato che mi ha chiesto di aiutarlo a parlarvi dell’argomento.
Siete pronti?
Per iniziare a familiarizzare con questo concetto importante vi consiglio
di leggere con attenzione le parole di Rainer.
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“La tensione facciale e lo sforzo fisiognomico
dell’espressione implicano non solo un cambiamento
formale di carattere, l’assuefazione da comunicazione
e una tensione nervosa, ma anche un risveglio di
energie nascoste, addirittura psicopatiche.
Queste pose tragicomiche, antitetiche allo yoga,
leziosamente buffe o stanche e prive di grazia,
eleganza e fascino non richiedono al fisico di
esprimersi armoniosamente, ma di far emergere le
infinite possibilità e gli strani individui che ognuno
nasconde dentro di sé”
Arnulf Rainer
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Avete letto la frase di Arnulf? Che originale, vero? E che strana l’idea di
cercare tanti esseri dentro di sé!
Quando, per la prima volta, ho raccontato a Giacomo l’attività di
questo artista, credeva che fosse completamente matto! Mio fratello si
guardava allo specchio, nella bocca, negli occhi, nelle orecchie, come se
fosse alla ricerca di qualcuno che non riusciva a trovare. C’era solo lui,
a guardarmi sconcertato. Poi le insegnanti lo hanno portato in gita al
museo del Mart di Rovereto e lì ha capito finalmente con chiarezza il
contenuto delle opere di Arnulf Rainer e il suo pensiero.
I lavori dell’artista austriaco, infatti, combinano sempre elementi mimici
e ginnici, come i gesti, le posture
del corpo o il movimento.
Arnulf ritiene che si tratti di
fondamentali forme di
comunicazione e che,
lavorando sulle emozioni
dentro di noi, esse si possano
trasportare all’esterno per
esprimere stati d’animo e
aspetti del nostro essere.
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State cominciando a capire cos’è questa IDENTITÁ che stiamo tanto
nominando? Siete ancora un po’ confusi, vero? È giunto allora il momento
di farvi alcuni esempi. Ci sono tanti modi per definire l’IDENTITÁ,
partiamo dal più semplice: IDENTITÁ significa che due cose sono
perfettamente uguali, come si dice… IDENTICHE.
L’IDENTITÁ è anche
l’insieme delle
caratteristiche che ci
permettono di distinguerci
dagli altri, non parlo solo dell’aspetto fisico (occhi azzurri o capelli castani),
ma del nostro bagaglio interiore: i nostri pensieri, i nostri desideri, i modi di
vedere la realtà. Immagina che il mondo sia un gigantesco aeroporto e tu
una valigia colorata in mezzo ad altri milioni di bagagli altrettanto variopinti,
ma simili. Dentro ad ognuno ci sono abiti diversi, che distinguono
le valigie l’una dall’altra. Ecco, gli abiti rappresentano
la tua IDENTITÁ PERSONALE. Nessuno li può
vedere senza guardare nella valigia, ma sono ciò
che ti differenzia dagli altri bagagli. Tornando
all’essere umano, si può dire che il suo corpo sia
un contenitore, mentre l’IDENTITÁ il contenuto.
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1. Leonardo da Vinci, La Gioconda, 1503‐1506
Sapevate che l’IDENTITÁ si può manifestare all’esterno in tanti modi?
A volte lo facciamo senza rendercene conto. Non ci credete?
Ad esempio, siete mai andati con la vostra famiglia ad acquistare degli
abiti nuovi?
Qualcuno sceglie per voi un indumento che non vi piace, così fate una
smorfia di disappunto e decidete di non indossarlo. Vi è mai successo?
A me, Giacomo, è successo, ma questo è solo un esempio per farvi
capire che, attraverso l’espressione del volto, avete manifestato la vostra
personalità, la vostra IDENTITÁ, costituita dal vostro modo di essere e
dai vostri sentimenti.
Non è un caso se, come esempio, ho utilizzato proprio quello dell’abito.
Infatti, esso è uno strumento molto utile ad esprimere noi stessi,
soprattutto quando saremo più grandi, come Agnese o come le ragazze
di seconda e terza media che vedo nella mia scuola.
Mia sorella, un giorno, mi ha raccontato che quando aveva tredici anni si
metteva d’accordo con le amiche perché si vestissero tutte allo stesso
modo. Così facendo, esprimevano la personalità del gruppo, ed erano
proprio i loro abiti a manifestarla. Questo perché gli indumenti hanno il
potere di avvolgerci, nasconderci, proteggerci, metterci in mostra e
trasformare i nostri corpi per dire qualcosa senza le parole, proprio
come fanno alcuni artisti contemporanei. Molti di loro, però, soprattutto
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quelli appartenenti alla Body Art, oltre ad amare il travestimento,
impiegano un sacco di altri modi per mostrare o, addirittura, negare la
propria identità, perché vorrebbero averne una differente. Un esempio
è quello dell’artista francese Orlan. Ispirandosi ad opere d’arte famose,
come La Gioconda, alle quali vorrebbe assomigliare, Orlan elabora la
propria immagine al computer e, in un secondo tempo, si sottopone ad
interventi di chirurgia estetica per mutare il proprio aspetto. La sua arte
rappresenta un modo estremo per esprimersi e per questo viene
duramente criticata da molte persone. A me inquieta un pochino, ma
se l’approvo oppure no non lo so ancora, ci penserò quando sarò
cresciuto. Ricordate che anche il nostro artista, Rainer, ama esprimere
se stesso ed esibire le sue multiple identità? E avete osservato bene in
che modo lo fa?Ricordiamolo insieme:
‐ Realizza degli autoscatti eseguendo naturali deformazioni
del viso o del corpo;
‐ Accentua le sue espressioni aggiungendo rapide pennellate di
colore alle fotografie ottenute, solitamente in bianco e nero;
‐ Offre ai suoi spettatori i molteplici aspetti della sua personalità.
Siete pronti a divertirvi anche voi come Arnulf? Allora possiamo
cominciare i nostri laboratori creativi.
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Carte d’identità
ideali
Materiali
In questo laboratorio cercheremo di
realizzare un documento di
o Una foto del tuo volto
riconoscimento molto particolare.
Infatti, dovrà rappresentare la nostra
identità immaginaria, ovvero: dovrà
o Forbici
o Colla stick
descrivere, innanzitutto, il nostro
stato d’animo attuale, poi, raccontare
ciò che siamo nei nostri sogni e
desideri più nascosti.
Capita a volte di vivere in un luogo che non amiamo, di avere un nome
che non apprezziamo, di sentirci tristi improvvisamente, oppure,
entusiasti perché abbiamo ricevuto una piacevole notizia etc.
Bene, il nostro laboratorio ci permetterà di soffermarci su tutti questi
aspetti e, per un attimo, fissarli sulla carta, per divertirci nel
presente e, magari un giorno, verificare se alcuni dei
nostri sogni saranno divenuti realtà,
osservando, inoltre, quale emozione
o lato della nostra personalità sia
predominante rispetto ad
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altri.
L’attività è molto semplice:
A. Compila la prima carta d’identità che trovi nella pagina
seguente, inserendo i tuoi dati reali e incollando la tua vera
fotografia nell’apposito spazio, proprio come se si trattasse di
creare un documento nuovo. In questo modo, potrai riflettere
meglio su tutti i particolari di cui abbiamo parlato sopra e
decidere cosa modificare nel prossimo passo. Una volta
terminato questo lavoro, se lo desideri potrai ritagliare la carta
d’identità lungo i tratteggi.
B. Come ti senti? Sei felice, sei arrabbiato, sei annoiato? Scegli,
tra le faccine riportate nella pagina, quella che meglio descrive
il tuo stato d’animo in questo momento. Ritagliane il contorno
e mettila da parte.
C. Compila, ora, la tua seconda carta d’identità, quella ideale,
incollando nello spazio riservato alla fotografia lo smiley che
avevi messo da parte. Successivamente, riempi tutti gli altri
campi con una parola che descriva ciò che vorresti essere,
dove vorresti abitare e così via. Ad esempio, se volessi
diventare un vigile del fuoco non devi fare altro che scriverlo
sulla riga corrispondente al campo “professione”. Anche
questa volta, se ne hai voglia, potrai ritagliare il documento
ottenuto.
È tutto chiaro? Facile vero? Ti do un consiglio: se l’attività ti è
piaciuta, ripetila fra un po’ di tempo, anche fra un anno. Potrai
scoprire se qualcosa in te, crescendo, è cambiato, e riflettere di
nuovo sulle variazioni della tua personalità.
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Materiali
− Un cartellone bianco molto grande corrispondente alla tua altezza. (120x120 cm. ad esempio); oppure, un vecchio lenzuolo bianco. − Se userai il cartellone: pennarelli colorati a punta grossa o tempere colorate; se userai il lenzuolo: colori acrilici o per tessuto nei colori primari. − Pennelli di varie dimensioni − Carta da giornale − Puntine o nastro adesivo (facoltativi) Corpi Astratti Adesso che avete creato la vostra carta d’identità ideale potete
provare a giocare con i gesti del corpo e scoprire, come Arnulf Rainer,
le infinite espressioni date dai movimenti ginnici. Per questa
operazione, vi propongo un laboratorio che vi mostrerà la dinamicità
e il ritmo del corpo attraverso il colore e vi permetterà di osservare
quanti siano i movimenti del corpo e quante le posizioni che siamo
in grado di assumere.
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Ti premetto che per realizzare quest’attività avrai bisogno di un
aiutante.
A. Prendi il cartellone bianco, come quelli dei rotoli che usi sicuramente a
scuola, oppure, il lenzuolo, che saranno le tue tavole pittoriche. Decidi
se preferisci lavorare su una parete (se a casa ne hai la possibilità senza
rovinare nulla) o sdraiato a terra. Ora, in base alla tua scelta, fatti aiutare
ad appendere il cartellone/lenzuolo al muro, utilizzando puntine o nastro
adesivo; altrimenti stendi la tua “tavola pittorica” sul pavimento ed
eventualmente fissala con dello scotch.
B. A questo punto dovrai farti aiutare da un amico o da un familiare a
disegnare, più volte, il profilo del tuo corpo, utilizzando un solo colore,
meglio se scuro. Potrai assumere svariate posizioni che ti permetteranno
di ottenere un risultato apparentemente movimentato.
Puoi fingere, ad esempio, di essere una stella, spalancando gambe e
braccia; oppure mantenerti dritto dritto come un soldato sull’attenti.
Altrimenti, puoi provare a sdraiarti in posizione diagonale rispetto alla
superficie, piegare una gamba e tendere il braccio opposto. Insomma,
potrai scegliere 3 posizioni che più ti piacciono e chiedere al tuo
collaboratore di eseguirne il contorno. Mi raccomando, puoi
sperimentare tante posizioni, ma non sceglierne più di tre. Te lo dico
perché io ci ho provato, ma il risultato, purtroppo, è stato una grande
confusione e non mi è davvero piaciuto, non c’era più spazio nemmeno
per il colore!
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C. Una volta terminato il disegno della tua sagoma, alzati da terra o
allontanati dalla parete per osservare gli incastri delle forme generate dal
tuo corpo. Se il risultato non ti soddisfa, perché ci sono spazi troppo
ampi, potrai aggiungere una posizione in più.
D. Ora sei pronto per colorare. Se userai dei pennelli, prima di procedere
con il colore stendi sul pavimento alcuni fogli di giornale, così eviterai di
sporcare. Riempi dei colori che preferisci gli spazi vuoti all’interno dei
contorni disegnati. Probabilmente noterai delle forme simili a quelle
geometriche, come: semicerchi, triangoli smussati, trapezi imperfetti etc.
Colorando tutte le forme bianche con tante tonalità differenti, realizzerai
un dipinto astratto di te stesso, ovvero: un’immagine scomposta del tuo
corpo, in cui, la presenza di linee, forme geometriche e colori, ti
suggerirà un’idea di ritmo e movimento. Se, come me, sei un
appassionato d’arte, il risultato ti ricorderà i quadri futuristi, come quello
sullo sfondo della pagina, del pittore Umberto Boccioni (Dinamismo di
un corpo umano, 1913-1914).
E. Se non hai a disposizione ampie superfici su cui lavorare e non hai un
aiutante, ti suggerisco un esercizio altrettanto divertente e dallo splendido
effetto visivo.
Prendi un foglio bianco di formato A4, meglio se di cartoncino. Scegli
una piccola parte del corpo, oppure due, come le mani o i piedi. Metti il
foglio sul pavimento e ripassa il contorno delle parti scelte. Riempi gli
spazi bianchi con del colore, come ti ho descritto nelle fasi del
laboratorio. Con un solo colore, potrai riempire anche gli spazi bianchi
esterni al tuo profilo, così otterrai un foglio completamente colorato che
potrai incorniciare.
Potrai ripetere il laboratorio ogni volta che vorrai, sperimentando anche l’effetto
ottenuto servendoti di un solo colore nelle sue diverse tonalità.
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Ben trovati amici,
come vi sono sembrati i laboratori?
Divertenti? Siete riusciti tutti a creare la
vostra opera d’arte?
Quelle che ho realizzato con i miei
compagni sono una più bella dell’altra;
avvicinandole, si assiste ad un tripudio di
colori ed energia!
Sono sicuro che i vostri lavori siano ancora
più belli!
Per fissare bene nella memoria ciò che abbiamo imparato propongo
una piccola verifica.
Non spaventatevi! Non intendo una verifica come a scuola, ma una
piccola lista delle nozioni apprese:
− identificare i nostri stati d’animo;
− riconoscere le identità e personalità che manifestiamo agli altri;
− osservare le infinite possibilità di movimento dei
nostri corpi.
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Sapete una cosa amici?
Agnese si è dimenticata un particolare importante. Riuscite a
indovinarlo?
Secondo me, se ci pensate bene e seguite le mie indicazioni, potete
farcela!
Vi aiuto con qualche domanda:
- Oltre al movimento e all’espressione, cos’altro produce il nostro
corpo?
- Quale altra parte del corpo, insieme a quelle già viste, ci permette
di esternare le nostre sensazioni e metterci in contatto con il
mondo?
- Cosa riveste i nostri muscoli?
Esiste qualcosa nel corpo che non si vede, ma
ci consente di “vedere” la realtà in tanti modi,
anche senza usare gli occhi.
Sono sicuro che qualcuno di voi sa già a
cosa mi riferisco.
Comunque, ve lo suggerisco con una
frase di Giuseppe Penone, l’artista che voglio
farvi conoscere.
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“Avverto lo scorrere dell'albero
attorno alla mia mano appoggiata
al suo tronco.
Albero diapason; l'orecchio
appoggiato al tronco di un albero
per udire i suoi anni di crescita,
per udire il rumore del vento che
scorre nei rami, nel tronco, nelle
radici fin dentro la terra”
Giuseppe Penone
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Ora avete trovato tutti una risposta al mio quesito?
Si tratta dei cinque sensi e della pelle!
Questi elementi del corpo, secondo Giuseppe Penone, sono necessari
all’uomo per rapportarsi con la realtà e, soprattutto, con la natura.
La pelle, dice l’artista, è il nostro involucro, ossia qualcosa che ci riveste
e ci protegge; essa è il limite tra noi e il mondo, un confine fra il nostro
essere, la nostra interiorità, e ciò che ci circonda.
Spesso, infatti, proprio attraverso la pelle comunichiamo le nostre
sensazioni.
Ad esempio: quando mi spavento mi viene “la pelle d’oca”, a voi no?
Oppure, quando sono agitato, ho notato che le mie mani si
raffreddano; invece, se mi arrabbio o mi vergogno, la pelle del mio viso
cambia colore.
Per questo motivo credo che Giuseppe abbia ragione a pensare che i
sensi e l’epidermide ci mettano in dialogo con le altre persone, con
l’ambiente e la natura!
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1. Giuseppe Penone, Soffio di foglie, 1979
2. Giuseppe Penone, Svolgere la propria pelle,
1971 (particolare)
3. Giuseppe Penone, Ombra di terra, 2000-2003
Biografia
Giuseppe Penone nasce nel 1947 a Garessio, in provincia di Cuneo.
Protagonista del gruppo Arte Povera intorno alla metà degli anni ’60, l'artista realizza opere d’arte
fondate sull’impiego di materiali poveri e naturali, solitamente non utilizzati nell’arte tradizionale.
Diversamente dalla maggior parte degli artisti del periodo, Penone ama eseguire sculture imponenti,
spesso in bronzo, da esporre in spazi aperti.
Affascinato dalle modalità di sviluppo degli alberi, nel 1968 dà avvio ad un lavoro sulla loro crescita,
affiancandola a quella del corpo umano (Lavorare sugli alberi). L'uomo, secondo Penone, è parte
integrante della natura e si rapporta con essa attraverso il corpo, in particolare con i sensi, che diventano,
così, uno strumento di conoscenza e di espressione artistica.
Giuseppe Penone è molto attento alla relazione fra il corpo umano e il mondo esterno, tanto da
proseguirne lo studio, negli anni Settanta, con le opere Rovesciare gli occhi e Svolgere la propria pelle.
Con la prima, l’artista vuole indagare fin dove può arrivare il nostro sguardo prima di giungere al
contatto fisico con l’oggetto o l’elemento naturale osservato. Con la seconda, invece, compie
un’esplorazione molto affascinante della pelle: premendo una lastrina di vetro trasparente su tutte le
parti nude del suo corpo, ne esegue una sorta di lettura fotografica, con la quale “srotola” l’epidermide,
cioè la parte più esterna della sua pelle, e la osserva da vicino, come al microscopio. Come Arnulf
Rainer, anche Giuseppe Penone ha partecipato, nel 1972, alla rassegna Documenta di Kassel. Oggi vive
e lavora tra Torino e Parigi.
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Se avete letto la storia del nostro artista e avete osservato le immagini
delle sue opere, avrete capito che il nostro corpo è uno strumento
fondamentale per relazionarci con la realtà. Dovete sapere, però, che la
nostra presenza fisica nell’ambiente ci permette anche di trasformarlo,
talvolta inconsapevolmente. Sapete come?
Attraverso le tracce lasciate dal nostro passaggio.
Infatti, quando ci rechiamo in un luogo, posiamo una mano su una
superficie, emettiamo un soffio o un movimento, lasciamo nel mondo
una parte di noi, a volte in modo incancellabile, altre meno duraturo.
Giuseppe, ad esempio, dice che possiamo influenzare la crescita di un
albero toccandolo semplicemente con le mani; oppure, attraverso un
piccolo respiro, possiamo creare invisibili sculture d’aria! Ci avevate
mai pensato?
L’uomo, tuttavia, non si accosta solamente alla natura tramite i sensi.
Bensì, interagisce con tutti gli oggetti inanimati che lo circondano.
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Annette Messager, un’artista di cui mi ha parlato mia sorella Agnese,
mette in risalto questa nostra caratteristica attraverso la sua arte.
È convinta, infatti, che gli abiti, i peluche, i giocattoli, etc., conservino
una parte delle nostre identità; una traccia di noi che ci distingue dalle
altre persone. Ad esempio: il profumo della pelle che rimane sulla lana
di un maglione, il calore del nostro corpo trasferito su una sedia, le
impronte delle dita sul vetro della finestra.
Come Giuseppe crede che una pietra si consumi a forza di calpestarla,
così Annette pensa che un abito si consumi indossandolo
continuamente.
Insomma, ovunque, attraverso il contatto e la nostra presenza,
trasformiamo lo spazio, lasciando una traccia di noi.
Chissà quante volte vi sarà capitato, come a me, di correre nella neve e
lasciarvi l’orma degli scarponcini, oppure, andare al mare ed imprimere
nella sabbia la sagoma dei vostri piedi o delle vostre mani, che dopo
un’onda vengono cancellate. Pensate, un mio compagno, un giorno,
camminando ha affondato un piede nel cemento fresco e quando passa
per quella strada ne trova ancora oggi la traccia indelebile.
Guardate quanti artisti hanno voluto fissare nella memoria il loro
passaggio! Le impronte realizzate sono vere opere d’arte.
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1. Ana Mendieta, Senza titolo (serie di sagome), 1978
2. Yves Klein, Antropometria senza titolo, 1960
3. Richard Long, Linea fatta camminando, 1967
4. Alighiero Boetti, Io che prendo il sole a Torino 19 gennaio 1969, 1969
5. Piero Manzoni, Uovo con impronta, 1960
6-7. Andy Goldsworthy, Rain Shadow, 1984
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CON-TATTO SENZA VISTA
“Si immagina meglio ad occhi chiusi […]. Con gli occhi chiusi si proiettano le immagini del
nostro pensiero […] sull’interno della pelle, che diventa confine, divisione, definizione del
corpo e contenitore del nostro pensiero” (Giuseppe Penone)
Questa volta, amici, lavoreremo con i sensi; in particolare
con il tatto, che diventerà lo strumento privilegiato per
comunicare,
comprendere
e
memorizzare
i
dati
appartenenti al nostro ambiente domestico.
Il corpo, infatti, possiede delle cellule che ricevono segnali
e stimoli dall’ambiente esterno e ci permettono di
elaborare le sensazioni del gusto, dell’olfatto, della vista,
dell’udito
e
del
tatto.
Quest’ultimo,
che
meglio
sviluppiamo fin da bambini, sarà il protagonista del nostro
laboratorio.
Utilizzeremo i sensi per approfondire la conoscenza della
realtà e ci serviremo di essi per esprimere pensieri e per
comunicare messaggi.
Materiali
- Una biro
- Oggetti della tua casa
- Una benda per coprire gli occhi
- Una macchina fotografica
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Per questa attività ti occorrerà un collaboratore adulto.
A. Chiedi al tuo aiutante di bendarti gli occhi, in modo che tu non
riesca a vedere.
Facendoti tenere per mano, lasciati guidare attraverso le stanze
della tua casa.
B. Tocca alcuni oggetti a piacere che incontri lungo il percorso;
annusali, “ascoltali”, soffermati sulle loro superfici, sulle sensazioni
che ti provocano, sui materiali, sulle consistenze (cioè: morbidezza,
durezza, elasticità, ruvidità etc.), le forme e i volumi (tondo,
quadrato; concavo, convesso etc.). Sarà divertente sperimentare il
tatto con tutto il corpo, non solo con le mani, ma anche con le
braccia, il naso, i piedi scalzi etc.
Suggerisco al tuo aiutante di avvicinarti ad oggetti come cuscini,
pentole, spugne, tappeti, bicchieri, candele e così via.
C. Nelle pagine dedicate al laboratorio troverai una tabella. Ogni volta
che entrerai in contatto con un oggetto, gioca ad identificarlo e, una
volta indovinato, di’ a chi ti aiuta di inserirne il nome nello schema,
abbinandolo alla consistenza, al materiale e alla sensazione tattile
(percezione) che gli indicherai.
Ti faccio un esempio: se riconosci un peluche, scriverai:
OGGETTO: peluche; MATERIALE: tessuto; CONSISTENZA:
morbido; PERCEZIONE: caldo/liscio.
Ricorda che durante tutta l’attività non dovrai mai togliere la fascia
dagli occhi! Analizzare il tuo universo domestico senza l’uso della
vista ti aiuterà, infatti, ad amplificare la percezione degli elementi
che ti circondano.
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D. Dopo aver compilato lo schema con un minimo di cinque oggetti,
potrai scoprirti gli occhi. A questo punto, scegli un messaggio o un
pensiero che vuoi comunicare a una persona che conosci, facendo
in modo che contenga almeno uno dei sentimenti o delle
sensazioni che trovi nel riquadro sottostante la tabella.
E. Osserva, nello schema compilato, il risultato del tuo gioco e scegli
2 oggetti che, per le loro caratteristiche, ti rimandano all’emozione
da esprimere nel tuo messaggio.
Ad esempio: se voglio dire ad Agnese che le voglio bene, ma che
ogni tanto mi fa arrabbiare, sceglierò un cuscino e un bicchiere,
che avevo abbinato, rispettivamente, all’affetto e al nervoso.
F. Ecco l’ultimo passo del laboratorio.
Scatta una fotografia ai due oggetti che hai scelto, avvicinandoli,
allontanandoli o sovrapponendoli, per dare maggior senso al tuo
pensiero e per rendere il tuo lavoro più creativo. Quando
stamperai l’immagine, potrai concludere l’opera aggiungendo sul
retro della fotografia la tua impronta digitale, ottenuta colorandoti il
polpastrello del dito indice con una biro. In questo modo
personalizzerai il tuo messaggio con una firma inimitabile e
comunicherai il tuo pensiero senza usare le parole.
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Oggetto
Materiale
Consistenza
Percezione
Bene ragazzi, siamo giunti al nostro
momento di verifica.
Ammirate bene il prodotto del nostro
laboratorio: cosa ci ha insegnato? E
dall’opera di Giuseppe Penone, cosa
abbiamo imparato?
Vediamolo insieme:
− il corpo, costituito dalla nostra struttura fisica e
dalla nostra capacità di cogliere la realtà attraverso
i sensi, ci consente di rapportarci con il mondo e
di comunicare con esso;
− il nostro passaggio nel mondo non risulta mai inosservato, poiché
ovunque lasciamo una traccia di noi, che può essere indelebile,
transitoria, oppure, influenzare, inconsapevolmente, il corso della
natura;
− i cinque sensi vengono accentuati se ci soffermiamo sul singolo
utilizzo di uno di essi, come è accaduto nel nostro laboratorio
“tattile”, nel quale, privandoci della vista, abbiamo dato risalto al
tatto, all'udito, al gusto e all'olfatto.
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Eccomi di nuovo ragazzi, Giacomo mi ha passato
la parola per presentarvi l’ultima artista: Shirin
Neshat. Prima di descrivervi la sua attività, però,
voglio fare un salto indietro e tornare sul tema
dell’identità.
Ricordate bene cosa avevamo detto?
Vi ho spiegato che esiste un’IDENTITÀ
PERSONALE, che rappresenta il patrimonio
più importante di ciascuno di noi e ci permette
di riconoscere noi stessi e di essere riconosciuti
dagli altri. Ora vi dico anche che esiste
un’IDENTITÀ SOCIALE. Quest’ultima, non è
data dai nostri gusti o dal nostro carattere, ma
dall’ambiente in cui viviamo, che, con le sue
caratteristiche legate alla cultura e alla società,
influisce sulle nostre scelte, i nostri pensieri e il
nostro modo di vivere.
Per farvi un esempio semplice, posso dirvi che l’identità sociale di
un abitante dell’oriente sarà diversa da quella di un occidentale, a
causa dell’ambiente nel quale i due cittadini crescono e delle idee a
cui essi si rapportano. Anche l’IDENTITÀ SOCIALE di un
abitante dei paesi meno sviluppati sarà differente da quella di un
cittadino dei paesi industrializzati.
Ai giorni nostri, tuttavia, è in atto il processo della globalizzazione, un
fenomeno molto complesso, che, tra gli altri fattori, comprende
anche l’uniformarsi delle popolazioni mondiali e, in parte, delle loro
identità.
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Avrete senz’altro sentito parlare al telegiornale di emigrazione, mi
sbaglio? Sapete cosa significa?
Emigrare significa lasciare il proprio paese per raggiungerne un altro
dove, solitamente, si cerca un cambiamento dal punto di vista lavorativo
e sociale.
Le persone che cambiano nazione o continente si trovano, spesso,
immerse in una cultura completamente diversa da quella di
appartenenza.
Ciò comporta la perdita di alcuni
punti di riferimento importanti per la
propria IDENTITÀ SOCIALE, che
va ricostruita su basi nuove.
Nelle numerose tradizioni culturali del
mondo emerge la condizione delle donne, che
hanno posizioni sociali diverse a seconda del
paese in cui vivono.
L'artista che vi farò conoscere, Shirin Neshat, lavora soprattutto su
questo aspetto, ovvero, sull'identità delle donne della sua nazione,
l'Iran, e sulla costruzione di nuove identità in continua evoluzione.
Ciò che l'accomuna agli altri artisti che
avete conosciuto è l'uso del corpo quale
strumento espressivo.
Shirin utilizza il corpo fotografato per raccontare la propria storia e la
storia della sua cultura. Leggete la biografia dell'artista per iniziare a
conoscere la sua vita e la sua attività, poi osservate le opere di chi, come
lei, ha utilizzato il corpo come “tavola di scrittura”.
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1. Shirin Neshat, Senza parole, 1996
2. Shirin Neshat, Senza titolo, 1996
3. Shirin Neshat, Occhi offerti, 1993
Biografia
Shirin Neshat nasce nel 1957 a Qazvin, in Iran, paese che lascerà nel 1974 per trasferirsi negli
Stati Uniti a studiare arte. A causa di alcuni problemi politici, Shirin torna in Iran solo nel 1990.
Nel suo paese, nel frattempo, sono avvenuti molti cambiamenti, che spingono l’artista a tornarvi
frequentemente per riflettere sulle differenze fra la cultura occidentale, nella quale vive da anni,
e quella islamico-orientale, da cui proviene. Questi concetti compaiono nelle sue opere, come
nella serie di fotografie Women of Allah (1993-1997), nelle quali Shirin Neshat si ritrae con il
tipico abito islamico, riportando sulle parti del corpo visibili i versi d’amore di alcuni poeti
persiani. Interessata anche al linguaggio cinematografico l’artista realizza, negli anni successivi,
alcuni video come: Anchorage (1996) e Pulse (2001), che presentano, rispettivamente,
l’estensione del lavoro fotografico e la vita domestica della donna musulmana; e l’ultimo,
Women without Men (2009), vincitore del Leone d’Argento alla Biennale di Venezia. Anche
Shirin, infatti, come gli artisti già conosciuti, ha partecipato a numerose mostre di livello
internazionale e ha esposto le sue opere nei musei di tutto il mondo.
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1. Dennis
Oppenheim, Stage
Transfer Drowing,
1971
2. Claudio
Parmiggiani,
Deiscrizione, 1972
3. Giovanni
Anselmo,
Invisibile, 1971
4. Annette
Messager, Mes
Trophées, 19861988
5. Letizia Cariello,
Attesa, 2001
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Alcuni artisti, come avrete notato, dipingono direttamente sulla pelle o
vi proiettano scritte e immagini; altri, invece, scrivono e disegnano sulle
parti del corpo solo in un secondo tempo, dopo averne scattato una
fotografia, che, un po' come nelle opere di Arnulf Rainer, viene
ritoccata con inchiostro e colori.
Shirin Neshat, per un determinato periodo, segue questa via creativa.
Come nel nostro laboratorio Con-tatto senza vista, essa impiega il
corpo, in particolare quello femminile, per comunicare messaggi,
emozioni e pensieri attraverso la grafia. Il suo è un lavoro di interazione
fra immagini e poesia. Nell'opera Women of Allah, l’artista indossa il
tipico velo musulmano, il chador, che mostra solamente poche parti del
corpo scoperte, come le mani e il viso. Successivamente, nel suo studio,
realizza numerosi ritratti, studiando il set sulla base di alcune poesie che
le ispirano la scelta delle luci, dei costumi e degli oggetti da mettere in
scena. Infine, sviluppa le fotografie ottenute e, con penna e inchiostro
di china, traccia a mano, su alcune delle parti del corpo visibili, le
parole contenute nella poesia che era stata scelta per organizzare
l’ambiente e creare le atmosfere. L'effetto delle immagini risulta molto
poetico, grazie alla scelta del bianco e nero e all’elegante calligrafia
persiana Farsi. Ogni scatto eseguito da Shirin è sempre legato a
un’emozione o a un messaggio, ma anche a ideologie più complesse di
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tipo culturale, sociale e religioso. Ad esempio, l’artista ricorda la
rivoluzione avvenuta nel suo paese e cerca di riflettere sul problema
della convivenza fra diverse culture, come quella occidentale e
mediorientale. Forse vi starete chiedendo: «Perché Neshat usa proprio
il corpo per esprimere tutti questi pensieri?».
Secondo alcuni studiosi islamici esistono due tipi di corpo: il corpo
fisico, che possiamo toccare e che rappresenta il nostro abito, il nostro
“astuccio”; il corpo spirituale, che ospita l'anima e la protegge. Shirin
Neshat crede in questa teoria e, dato che nella società iraniana da cui lei
proviene, il corpo fisico viene nascosto da un velo, sceglie di
“mostrare”, con la sua arte, l'anima del corpo: qualcosa che vive in noi,
ma che agli occhi è invisibile e non si può toccare. Così, l’artista sceglie
la pelle come superficie di scrittura, perché ritiene che essa sia il
rivestimento della nostra anima e della nostra identità, l'abito primario
che ci contraddistingue gli uni dagli altri.
È tutto chiaro? Che ne dite di approfondire l'argomento con un
divertente laboratorio?
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Il corpo racconta
Nelle usanze del popolo a cui appartiene la nostra artista e al quale
probabilmente è legato anche qualcuno di voi, la pratica di indossare il
chador porta le donne a nascondere molte parti del loro corpo. Le
mani diventano impacciate; parlare, talvolta, risulta difficile, poiché
capita che il velo copra anche il viso; persino i movimenti delle gambe
non sono semplici quando si indossano abiti pesanti e lunghi fino alle
caviglie.
Nel mondo occidentale, invece, accade il processo contrario. Le parti
del corpo che in Iran sono nascoste, qui vengono, spesso, mostrate
(come l’ombelico e la scollatura). Ma c’è di più: quando ci troviamo a
casa davanti alla TV con il telecomando, oppure, utilizziamo il
computer, le parti del corpo che amiamo tanto mettere in mostra
vengono quasi dimenticate. Rimaniamo fermi di fronte agli schermi
senza dare importanza alle mani, agli occhi o ai piedi, come se fossero
solo un prolungamento di noi stessi, un optional che ci aiuta ad
interagire con il mondo, senza che noi vi diamo peso. In questo
laboratorio, vi propongo proprio di mettere in risalto le parti del
corpo che, per l’uso costante che ne facciamo, vengono dimenticate.
Poi, come nell’opera di Shirin Neshat, ognuno di voi potrà cercare di
trovare un legame con la propria provenienza e la propria cultura.
Materiali ‐
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Forbici Colla stick Riviste e giornali Un foglio A4 (bianco o colorato) Uno o più tubetti di gel colorato per decorazioni ‐ Macchina fotocopiatrice A. Pensando a quanto si è detto nell’introduzione al laboratorio,
scegli una parte del tuo corpo, o al massimo due (mani, piedi,
occhi, orecchie etc.), che ti piacerebbe evidenziare o che pensi ti
contraddistingua per una sua particolarità.
B. Fotocopia la parte del corpo scelta posandola sul vetro della
macchina; oppure, se si tratta di una zona che non puoi
fotocopiare dal vivo, come gli occhi, fotocopiane una fotografia.
Se da solo non sai come fare, chiedi aiuto ad un adulto. Potrai
anche realizzare una fotocopia ingrandita e decidere il formato
della tua piccola opera d’arte. Ti consiglio di non superare il
foglio A3. Infine, ritaglia il prodotto ottenuto e mettilo da parte.
C. Prendi una o più riviste e cerca alcune fotografie della tua città
natale, della città o del paese in cui vivi attualmente e delle
tradizioni legate a questi luoghi, considerandone aspetti
molteplici, da quello culinario (che riguarda il cibo) a quello
culturale o religioso. Per la quantità di immagini, regolati in modo
da non creare confusione sul foglio. Ritaglia monumenti, paesaggi,
piatti tipici, immagini di feste popolari e così via. Successivamente,
incolla queste fotografie su un foglio A3 o A4. Se vuoi essere più
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creativo, cerca di dare profondità al collage, scegliendo immagini
di grandezze differenti e studiandone gli accostamenti.
D. Ora che hai ottenuto uno sfondo colorato che raccoglie i dati
della tua identità sociale, potrai incollarvi sopra la fotocopia della
tua parte del corpo. Se vuoi ottenere una sorta di ritratto a più
dimensioni, cerca del cartoncino abbastanza spesso, come quello
degli scatoloni, oppure, sovrapponi più strati di cartoncino
leggero; incollaci sopra la tua parte del corpo e chiedi a qualcuno
di aiutarti a ritagliare (perché probabilmente sarà un po’
difficoltoso), poi attaccala sullo sfondo.
E. A questo punto, con un tubetto di gel decorativo (come quelli per
i biglietti di auguri), realizza sulla parte del corpo fotocopiata delle
scritte in rilievo. Potrai scegliere una poesia che ti piace, come ha
fatto Shirin Neshat, dei proverbi che senti spesso dalle persone
più grandi (“rosso di sera, bel tempo si spera”, ad esempio),
oppure, tante parole e aggettivi che raccontano come vivi e cosa ti
piace fare nella tua città.
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Ciao ragazzi, eccomi tornato! È stata brava
Agnese a spiegarvi il concetto di identità
sociale? E l’artista che le ho chiesto di
presentarvi, come vi è sembrata?
Io sono rimasto molto affascinato dalle sue
opere quando le ho viste alla mostra Skindeep. Il corpo come luogo del segno.
Sintetizziamo insieme i punti forti
dell’attività di Shirin e verifichiamo ciò che
abbiamo appreso dal suo lavoro:
Il mondo in cui viviamo è formato da un insieme di culture
diverse, che si intrecciano, si scontrano e si influenzano fra loro.
Esistono tanti aspetti che differenziano le società del mondo; uno
di questi è il ruolo della donna.
Ci sono culture che prediligono un corpo coperto e culture che lo
lasciano libero di mostrarsi.
La nostra identità sociale si sviluppa e si modifica a seconda del
contesto sociale e culturale in cui viviamo. Esso, infatti, con le sue
caratteristiche, condiziona le nostre idee e il nostro modo di
vivere.
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Amici, il tempo insieme è volato e io sono arrivato a casa. Vorrei
raccontarvi ancora tantissime esperienze vissute nei musei e farvi
conoscere altri artisti, però è il momento di tornare con i piedi per
terra!
Spero che il nostro piccolo viaggio vi sia piaciuto, e che ci incontreremo
di nuovo per scoprire i mille aspetti nascosti dell’arte, che, come avrete
ben compreso, non è solo fatta di quadri e sculture, ma anche di opere
molto speciali, che ci insegnano a guardare la realtà da tutti i possibili
punti di vista.
Un saluto a tutti voi e...
Arrivederci al prossimo volo!!
Giacomo e Agnese
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Surrealismo:
Il Surrealismo è un movimento culturale nato negli anni Venti a Parigi, che si è diffuso presto in tutto il mondo.
Esso non ha coinvolto solo l’arte, ma anche la letteratura e il cinema. Il suo fondatore, il poeta André Breton,
decise che era il momento di dare importanza al sogno, che nella sua epoca non veniva molto considerato.
Nacque, così, una modalità espressiva che permetteva di associare liberamente pensieri, immagini e parole, senza
preoccuparsi della razionalità.
Espressionismo astratto americano:
Nato in seguito alla seconda guerra mondiale, l’Espressionismo astratto fu un movimento artistico tipicamente
americano che influenzò il resto del mondo, portando New York ad essere la città artistica per eccellenza. La sua
caratteristica principale è la creazione di immagini astratte, riprese da alcuni movimenti artistici europei, attraverso
un’intensa azione espressiva. Gli espressionisti astratti propongono stili differenti, ma si può dire che la
maggioranza di essi prediliga ampie tele e superfici piatte su cui lavorare.
Litografia:
La litografia è l’arte di riprodurre su carta testi o disegni incisi, precedentemente, sulla pietra.
Serigrafia:
La serigrafia è una tecnica di stampa di immagini su qualsiasi superficie, ottenuta grazie all’uso di un tessuto su cui
porre l’inchiostro.
Body art:
La Body Art è una corrente artistica nata in Europa e negli Stati Uniti negli anni Sessanta. Come mai era accaduto
in precedenza, gli artisti producono opere che sfruttano la combinazione umana fra corpo e mente, fra il potere di
quest’ultima e l’impronta fisica lasciata dall’uomo. La Body Art fonde linguaggi espressivi, quali la danza, il teatro,
la fotografia, il video e il film.
Arte Povera:
Arte Povera è un movimento artistico sorto in Italia negli anni '60. Gli artisti ad esso legati rifiutano le tecniche
artistiche tradizionali, per ricorrere all’uso di materiali poveri come: gli scarti industriali, la terra, il legno, la plastica
riciclata e così via. Il movimento mostra relazioni con altri fenomeni artistici; ad esempio la Land art.
Globalizzazione:
La globalizzazione è un complesso fenomeno di crescita dei rapporti internazionali in ambito sociale, economico,
tecnologico e politico. Il termine si utilizza anche in ambito culturale ed è riferito al fatto che, ai nostri giorni, ci
relazioniamo frequentemente con altre culture, sia per motivi di piacere, come il turismo, che di necessità, come
nel caso dell’emigrazione.
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