Carta Archeologica del Comune di Calenzano

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Carta Archeologica del Comune di Calenzano
Carta Archeologica
del Comune di Calenzano
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Indice
COLOPHON
Presentazione/saluto Biagioli (sindaco) e M. Barbera (soprintendente)
Premessa Poggesi, Sarti, Vannini
Caratteri geomorfologici e risorse naturali del territorio
Pasquino Pallecchi
La redazione della carta archeologica: rilievo topografico, criteri di rappresentazione e costruzione del
sistema informativo geografico Giovanna Pizziolo, Paolo Machetti
Il territorio di Calenzano nella Preistoria Omar Filippi
Il territorio di Calenzano in età etrusca Giacomo Baldini
Il territorio di Calenzano in età romana Andrea Magno
Calenzano medievale Laura Torsellini
Schede
1 – Areale I. Cupo
2 – Areale II. Le Muricce
3 – Areale III. Fisciano Alto
4 – Areale IV. Poggio Castellare-La Querciola
5 – Areale V. Legri, castello
6 – Areale VI. Legri, pieve (3060-3069, 3121-3122, 3135-3136, 3138, 3140)
7 – Areale VII. Cantagrilli (1144-1149, 1156-1157)
8 – Areale VIII. Collina
9 – Areale IX. Casa al Piano
10 – Areale X. Loiano
11 – Areale XI. Collina, Torraccio
12 – Areale XII. Collina Piano, chiesa di Santa Lucia (3085-3086)
13 – Areale XIII. Vezzano
14 – Areale XIV. Podere La Strada
15 – Areale XV. Collina, torre
16 – Areale XVI. Volmiano, riparo (1174-1181)
17 – Areale XVII. Torri
18 – Areale XVII. Torri (2139)
19 – Areale XVIII. Ciarlico
20 – Areale XIX. Carraia, lottizzazione 1982 (1158-1166, 1168-1169; 3134)
21 – Areale XIX. Carraia, via Barberinese
22 – Areale XX. Carraia, chiesa di S. Maria
23 – Areale XX. Carraia, lottizzazione 2007 (2131-2138)
24 – Areale XXI. Leccio, Casone
25 – Areale XXII. Leccio, Pratale (3127-3132)
26 – Areale XXII. Leccio, Vignale (3087-3092)
27 – Areale XXI. Leccio, casa torre
28 – Areale XXI. Leccio, Castellare
29 – Areale XXIII. Case Palaia
30 – Areale XXIII. San Martino Vecchio o San Martino a Leccio
31 – Areale XXIV. Leccio, Palaia
32 – Areale XXV. Leccio, San Romolo
33 – Areale XXVI. Travalle, Podere Castellaccio (3124-3126, 3036, 3038-3039)
34 – Areale XXVI. Travalle, Podere Castelluccio (2105-2107)
35 – Areale XXVII. Villa di Morello
36 – Areale XXVIII. Montedomini, La Chiusa (2109-2130)
37 – Areale XXIX. Travalle, Podere Fornello (1002-1003, 1006-1009, 1011, 1132-1134; 3051-3059,
3116)
38 – Areale XXX. Case Pecchiolo
39 – Areale XXIX. Travalle, Podere Chiudente (1012-1017, 1020-1023, 1026-1034, 1036-1038, 10401043, 1046-1047, 1135-1137; 3108-3115)
40 – Areale XXXI. Travalle, Villa Ganucci Cancellieri (2108)
41 – Areale XXXI. Poggio all’Aia, Monte Morello
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C
onoscere la storia del territorio in cui si vive è importante per l’identità di
una comunità, perché ci fa sentire parte di un percorso, che ha radici antiche. Ci fa capire i processi storici, culturali, economici, artistici che ci hanno
portato fin qui. Ed è ancora più importante per noi Amministratori, che siamo
chiamati a governare questo territorio, attraverso scelte strategiche che non possono
prescindere dal nostro passato. Sapere che Calenzano è stato nella storia un punto
nevralgico di collegamento tra il Centro e il Nord Italia, per esempio, ci permette
di capire meglio il nostro sviluppo attuale, le caratteristiche del nostro tessuto economico, commerciale ed industriale. E ci consente quindi di pianificare meglio le
prossime mosse, i passi futuri della nostra comunità.
È per questo che giudichiamo prioritaria la tutela dei siti rilevati nel corso delle
ricerche per la Carta archeologica. Questo strumento di lavoro ci offre un quadro
conoscitivo che consente a chi si trova ad operare sul territorio di effettuare verifiche
preliminari prima di intervenire. Questo costituisce una tutela sia per i siti archeologici che per gli operatori stessi: è noto infatti che bloccare un cantiere già aperto
per un ritrovamento archeologico comporta, oltre che un rischio per i reperti, un
consistente dispendio di risorse.
Non è da sottovalutare inoltre il grande valore culturale della carta che, insieme a
questo volume, è un prezioso mezzo di conoscenza della nostra storia, da quella più
antica che affonda le radici nella Preistoria, fino alla più conosciuta era medievale,
che tuttora caratterizza i borghi storici e le colline di Calenzano. Da questo punto di
vista il lavoro si presta ad essere costantemente aggiornato con nuovi ritrovamenti,
studi o emergenze archeologiche.
Appendice
Descrizione macroscopica dei principali impasti ceramici Pasquino Pallecchi
Classificazione macroscopica degli impasti ceramici e dei rivestimenti di età classica Giacomo Baldini,
Sofia Ragazzini
Bibliografia
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Alessio Biagioli
Sindaco di Calenzano
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
42 – Areale XXXII. La Chiusa
43 – Areale XXXIII. La Chiusa
44 – Areale XXIX. Travalle
45 – Areale XXIX. Travalle, Podere Montisi (1049-1050, 1131; 2101-2104; 3123)
46 – Areale XXXIV. La Chiusa, via Barberinese
47 – Areale XXXV. Valigari (3093-3094)
48 – Areale XXXVI. Poggio Uccellaia
49 – Areale XXIX. Travalle, Case Fontanelli
50 – Areale XXXVII. Poggio Nucchiale
51 – Areale XXXVIII. Il Pratello, villa (2099-2100)
52 – Areale XXXIX. Podere Fornace di Sopra
53 – Areale XL. Il Boscaccio
54 – Areale XLI. Strada di Poggio Castiglioncello
55 – Areale XLII. Il Chiuso
56 – Areale XLIII. Casa La Gora
57 – Areale XLIV. Colle di Sotto
58 – Areale XLV. Sommaia, Collicello
59 – Areale XLVI. Macia di Sotto
60 – Areale XLVII. Casa Zerino (3040-3044)
61 – Areale XLVIII. Galleria Colle
62 – Areale XLIX. San Donato, pieve
63 – Areale L. Casa Cafaggiolo, via delle Vigne
64 – Areale LI. Sommaia, mulino
65 – Areale LI. Sommaia, castello (2092-2098; 3033-3035)
66 – Areale L. Colle Sotto – San Donato (1093-1095)
67 – Areale LII. Sant’Angelo
68 – Areale L. Casa Cafaggiolo, Fosso Garillino (2054-2072; 3048-3050)
69 – Areale L. Casa Cafaggiolo, areale Est (1102-1111, 1138-1140; 2073-2091; 3045-3047)
70 – Areale LIII. Calenzano, castello (3000-3023, 3039, 3117-3120, 3133, 3137)
71 – Areale LIV. Baroncoli, torre
72 – Areale L. Casa Cafaggiolo, Vigna Chiosina (1099-1101, 1182)
73 – Areale LV. Calenzano, via Larga
74 – Areale LVI. Calenzano, via A. Volta
75 – Areale LVII. Calenzano, via dei Tigli (1096-1098; 2053)
76 – Areale LVIII. Calenzano, via G. Puccini
77 – Areale LIX. Villa Bartolini, area de Le Carpognane-Casa Pantanino-Cascina Trabanchi
78 – Areale LX. Villa Bartolini (1052, 1055-1061, 1141-1143; 2038-2049; 3095-3101, 3103-3104,
3106-3107)
79 – Areale LIX. Villa Bartolini, Casa Garzola (2050-2052)
80 – Areale LXI. Loc. Perfetti Ricasoli, via del Pratignone (1010, 1018, 1024-1025, 1035, 1039,
1044-1045, 1048, 1053-1054, 1062; 2032-2037)
81 – Areale LXII. Settimello, chiesa di S. Lucia (2027-2031; 3070-3072)
82 – Areale LXIII. Il Neto, via di Settimello-viale Pratese-bosco del Neto
83 – Areale LXIII. Settimello, Condomini Cooperativa Appenino – Scuola Media Statale (2005-2026;
3024-3032)
84 – Areale LXIV. Villa Gamba, stele
85 – Areale LXIV. Scopino, Vigna Villa Gamba (1001, 1004-1005, 1051, 1063-1092, 1112-1130;
2001-2002; 3073-3084)
86 – Areale LXIV. Villa Gamba, giardino (2003)
87 – Areale LXV. Il Neto, stele (2004)
Testo Soprintendente
Testo Vannini Poggesi Sarti
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Testo Vannini Poggesi Sarti
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Testo Vannini Poggesi Sarti
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Caratteri geomorfologici
e risorse naturali del territorio
Testo Vannini Poggesi Sarti
Le caratteristiche fisiche del territorio hanno da sempre influenzato la distribuzione e
la localizzazione degli insediamenti umani.
Sulla base di queste caratteristiche si sono
sviluppate le scelte delle antiche comunità,
in termini di pianificazione e uso del territorio, con particolare attenzione alle risorse naturali di cui esso disponeva. Da una
attenta lettura dei caratteri attuali del territorio compreso nel Comune di Calenzano
si possono quindi ottenere informazioni
utili alla ricostruzione delle sue fasi evolutive, sia geologiche – responsabili dell’attuale
assetto geomorfologico a scala generale – sia
antropiche, riconducibili alla localizzazione
e all’evoluzione degli insediamenti umani e
delle relative infrastrutture. La geomorfologia e la geolitologia possono inoltre fornirci
indicazioni sulle risorse naturali e sul loro
sfruttamento da parte dell’uomo, che ha
popolato l’area nei diversi periodi storici.
Inquadramento geomorfologico
Dal punto di vista geomorfologico il territorio di Calenzano può essere suddiviso in
tre unità: i rilievi collinari, le valli fluviali e
la piana alluvionale. I rilievi collinari rappresentano la maggior parte del territorio di
cui ci occupiamo: essi comprendono l’area a
Nord di Calenzano e in particolare i versanti Est della dorsale della Calvana, i versanti
Ovest dei rilievi di poggio dell’Aia (934,7 m
slm), poggio Casoli (611,6 m slm) e poggio
le Pozze (546,7 m slm), i rilievi compresi
nell’allineamento poggio Montrioli (519,7
m slm)-poggio delle Valli (524,0 m slm)poggio del Tesoro (477,1 m slm). I rilievi
collinari sono separati dalle valli alluvionali
dei torrenti Marinella, Marina, Marinella di
Legri e Chiusina che scorrono in direzione
antiappennininca da Nord-Est a Sud-Ovest
verso la piana per poi confluire nel Bisenzio,
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Il versante orientale della dorsale della Calvana è interessato da forme carsiche superficiali e ipogee. Le prime sono
riconducibili alle tipiche microforme di dissoluzione, quali
solchi e scanalature, e alle macroforme quali le doline. Le
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ad esclusione del torrente Marinella di Legri
che confluisce nel Marina presso la località
La Chiusa. Il territorio pianeggiante a SudOvest interessa le conoidi alluvionali dei
corsi d’acqua principali ed il margine NordEst del Bacino Firenze-Prato-Pistoia.
Tra i rilievi più importanti è da citare il versante orientale della dorsale della Calvana
con quote che raggiungono 916 m slm
in corrispondenza del Monte Maggiore e
818 m slm in corrispondenza del Monte
Cantagrilli. Si tratta di un rilievo calcareo
brullo e sassoso (da qui il suo nome), con
crinale suborizzontale arrotondato e fianchi ripidi, caratterizzato dalla presenza di
forme carsiche1 e inciso da brevi e ripide
valli. Il rilievo è costituito da strati di rocce appartenenti alla formazione del Monte
Morello, costituite in gran parte da calcari
grigi, compatti, a frattura concoide (calcare “Alberese”), intercalati da livelli arenacei. Anche i versanti occidentali del Monte
Morello sono costituiti dalle stesse rocce
che caratterizzano la dorsale della Calvana,
ma questi si presentano meno brulli e con
una fitta copertura arborea. In questo caso,
rispetto alla dorsale della Calvana, i rilievi non sono allineati, ma presentano una
distribuzione irregolare con morfologia
poco arrotondata, e sono scarsamente interessati da morfologie carsiche. La presenza
nel Monte Morello di una maggiore copertura boschiva è dovuta al rimboschimento
di questa area avvenuto all’inizio del secolo
scorso, mentre risulta più complesso dare
una spiegazione alla mancanza di evidenti
morfologie carsiche. La teoria che ad oggi
sembra meglio giustificare questo fenomeno è quella formulata da Cicali e Pranzini2,
che ipotizza l’identificazione del crinale della Calvana con un tratto del paleocorso del
Bisenzio pliocenico, che, in quel periodo,
andava a sfociare in mare presso Montelupo
Fiorentino (fig. 1). Secondo questa teoria,
il paleoalveo può avviare i processi di carsi-
seconde sono costituite da cavità sotterranee a sviluppo sia
orizzontale sia verticale.
2
Cicali, Pranzini 1984.
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Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Pasquino Pallecchi
Figura 1. Schema paleogeografico
della Toscana nel Pliocene
medio (da Bartolini Pranzini
1981, modificato). La linea di
costa del mare pliocenico arriva
in corrispondenza dell’attuale
allineamento S. Casciano-Altopascio
e i fiumi, che scendono dai versanti
della giovane dorsale appenninica,
sboccano direttamente in mare
formando spesse conoidi.
smo anche in un substrato poco favorevole
come quello costituito da calcari marnosi quali l’Alberese. Nelle fasi successive di
innalzamento del Monte Morello le morfologie carsiche presenti lungo il paleoalveo
sono state interessate da un elevato tasso di
infiltrazione, accompagnata da un minor
ruscellamento superficiale, con conseguente minore erosione rispetto ai fianchi scarsamente carsificati. Si arriva così ad una
inversione di rilievo che potrebbe spiegare
le differenze tra la dorsale della Calvana e
i rilievi del Monte Morello. Per quanto
riguarda la formazione del versante orientale
della dorsale, un contributo non trascurabile
è dovuto ad una importante faglia su cui si è
impostato il corso del torrente Marina, i cui
processi erosivi hanno formato la valle in cui
attualmente scorre il torrente.
I rilievi collinari sono costituiti anche da
Il piano dei mosaici pavimentali della villa romana di
Travalle è stato osservato fino ad una profondità di 80 cm
3
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Origine geologica
La formazione del territorio compreso nel
Comune di Calenzano è connessa con gli
eventi che hanno portato alla formazione
dell’Appennino settentrionale, il cui inizio
si può ricondurre a circa 200 milioni di
anni fa. In questo periodo l’area toscana si
trova completamente sommersa dal mare
e interessata dalla deposizione di sedimenti detritici di origine marina (attualmen-
dall’attuale piano di campagna (dato rilevato dall’autore).
Tuci 2008.
4
te identificabili nelle Marne di S. Polo e
nel Macigno). Nello stesso periodo, in un
bacino marino adiacente a quello toscano
(Bacino ligure), localizzabile tra le attuali
isole Baleari e la costa ligure, inizia la deposizione dei complessi sedimentari costituenti le attuali Formazione di Sillano e
Formazione di Monte Morello e Pietraforte.
La deposizione, nel Bacino ligure, di questi
sedimenti in strati orizzontali continua fino
all’Eocene medio (circa 40 milioni di anni
fa). Successivamente, a seguito di intensi
fenomeni tettonici di tipo compressivo che
interessano tutta l’area ligure, gli strati orizzontali depositati in questa area subiscono
importanti piegamenti, accompagnati da
un progressivo spostamento verso Est, che
li porta a sovrapporsi (nel Miocene medio,
circa 20 milioni di anni fa) ai sedimenti depositati nell’attiguo Bacino toscano.
Questi eventi danno inizio alla formazione
delle principali dorsali appenniniche con
direzione NO-SE.
Nel Neogene l’area appenninica è ancora interessata da una intensa attività tettonica che porta alla formazione di bacini
intermontani (Bacino del Mugello, Bacino
Firenze-Prato-Pistoia, Bacino di Altopascio,
Bacino del Valdarno superiore), costituiti da
depressioni pressoché ellittiche con orientamento appenninico (NO-SE) delimitate da
fratture e spostamento reciproco delle rocce
del substrato (faglie), sul bordo orientale, e
da piegamenti di raccordo su quello occidentale. Nel caso del Bacino Firenze-PratoPistoia, la faglia principale (master fault di
Fiesole), che si estende da Fiesole a Pistoia,
produce una scarpata tettonica digradante
verso il centro del bacino.
Nello stesso tempo l’inizio del sollevamento della dorsale sud-occidentale del
Montalbano va a completare la formazione
del bacino. La successiva fase di attività tettonica, iniziata alla fine del Miocene e continuata fino al Pliocene inferiore (5,1-3,2
milioni di anni fa), porta all’attuale configurazione geologica, definendo l’assetto della
faglia di Fiesole-Prato.
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Nel Pliocene superiore (3,2-1,7 milioni di
anni fa) la ripresa del sollevamento appenninico provoca la riattivazione della faglia di
Fiesole-Prato e il conseguente sollevamento
del bordo orientale di circa 200 m. Con il
relativo abbassamento del bacino, si instaura
nello stesso un ambiente lacustre con deposizione di sedimenti limo-argillosi. I movimenti relativi, conseguenti all’attività tettonica che interessa la dorsale appenninica,
determinano fenomeni erosivi da parte dei
torrenti che, provenienti dai rilievi a NordEst (Marinella, Marina, Chiusina), vanno
ad interessare la piana di Calenzano con la
formazione di spessi depositi di conoide ai
margini settentrionali del bacino.
Nel Pleistocene inferiore (1,7-1,2 milioni
di anni fa) il Bacino Firenze-Prato-Pistoia
è ancora interessato da condizioni lacustri
e dalla desposizione di sedimenti argillosi.
Queste condizioni variano nel Pleistocene
superiore (0,5-0,01 milioni di anni fa), quando il bacino viene progressivamente colmato
dai depositi fluvio-lacustri e si instaurano le
condizioni di piana alluvionale. In questo
periodo l’Ombrone raccoglie la confluenza
del Bisenzio e quella dei torrenti provenienti
dalla zona di Calenzano5, prima di confluire
nell’Arno, che scorre ai margini Est del bacino, mentre i corsi d’acqua dell’area fiorentina
sfociano direttamente in Arno.
L’area a Nord dell’Arno viene così ad assumere una morfologia pianeggiante caratterizzata dalla presenza di numerosi corsi
d’acqua, a regime torrentizio, che scendono
dalle colline depositando spessi strati di sedimenti grossolani in corrispondenza del loro
sbocco nella piana. A causa delle frequenti
variazioni del corso di questi torrenti la piana è interessata da limitate aree lacustri, che
cambiavano estensione a seconda di queste
variazioni. Intanto il Bisenzio sposta il suo
corso verso Est, andando a intercettare i torrenti provenienti dalla zona di Calenzano
(Marinella e Marina, a cui affluisce il torrente Chiosina).
Si arriva così al momento della comparsa dei
primi insediamenti umani in Toscana, avve-
Conedera, Ercoli 1973.
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Cartografia archeologica del comune di Calenzano
modesti affioramenti di terreni in prevalenza argillosi, appartenenti alla Formazione
di Sillano. Questi terreni sono interessati
da frequenti fenomeni franosi, particolarmente evidenti nella zona montana intorno
alle Croci. Ai piedi dei rilievi minori sono
frequenti invece coperture detritiche limosabbiose (depositi eluvio-colluviali), mentre
la base delle pareti rocciose è interessata da
falde e coni detritici grossolani.
Le valli alluvionali si presentano strette,
con fianchi ripidi nei tratti a monte. I tratti
più ampi sono quelli del torrente Marina a
valle della località La Cassiana, del torrente
Marinella e del torrente Chiosina. Questi
torrenti hanno dato luogo a spessi depositi detritici costituiti da limi e limi argillosi
con intercalazioni di livelli argillosi, livelli sabbiosi e ghiaie. Lo spessore di questi
depositi di fondovalle negli ultimi due millenni arriva fino ad un metro in corrispondenza dell’area di Travalle3 e nella zona di
Carraia4.
La piana a Sud è costituita da terreni di
conoide alluvionale depositati dai torrenti
nelle ultime fasi di riempimento del bacino
lacustre Firenze-Prato. Questi sono costituiti da sabbie e ghiaie con lenti argillose.
Attualmente la zona pianeggiante è percorsa
da una fitta rete di canali artificiali, in parte
pensili, realizzati in occasione delle recenti
opere di bonifica.
Figura 3. Area immediatamente
a Nord dell’abitato di Legri: si
riconoscono i versanti calcarei
coperti da bosco e un terreno
coltivato, al limite dell’abitato,
impostato su affioramenti
appartenenti alla Formazione di
Sillano.
Figura 4. Blocchi di calcare
“Alberese” utilizzati per la
costruzione delle mura del Castello
di Calenzano.
Figura 2. Travalle. La piana
alluvionale delimita il rilievo
calcareo nella sommità del quale si
trova il Podere Galluzzo.
nuta nel Paleolitico inferiore, circa 100.000
anni dal presente6. Nel primo Olocene (108000 anni fa) le aree perimetrali al bacino
e vicine allo sbocco dei torrenti provenienti
dai rilievi sono così interessate dalla presenza di sedimenti grossolani, trasportati dai
torrenti che scendono dalle colline e caratterizzati da quote relativamente più elevate
(nell’area di cui ci occupiamo sono identificabili le conoidi di Prato, del Marinella e del
Marina, e del Chiosina).
In queste aree – leggermente rialzate rispetto ai corsi d’acqua a regime torrentizio, che
solcano la piana al sicuro dalle esondazioni degli stessi corsi d’acqua nei periodi di
intensa piovosità – alla fine del V millennio
a.C. si assiste alla prima comparsa dell’uomo, che vi stabilisce i primi insediamenti.
L’antropizzazione
I primi insediamenti umani che hanno
interessato il territorio del Comune di
Calenzano sono localizzati nella fascia marginale della piana alluvionale, per lo più in
corrispondenza delle conoidi dei torrenti
Marina e Chiosina, a quote leggermente più
elevate e in terreni sabbiosi maggiormente
drenati – e quindi più asciutti – rispetto alla
piana, caratterizzata dalla presenza di terreni
limo-argillosi con scarso drenaggio e spesso
interessati dall’esondazione dei corsi d’acqua e da limitate zone palustri. La presenza
dell’uomo preistorico è nota anche nell’area
di Travalle, il cui particolare assetto geomorfologico è riconducibile alla presenza di
un complesso sistema di fratture del substrato calcareo (faglie) su cui si sono impostati i
corsi d’acqua, responsabili del modellamento dei versanti per erosione e della presenza di uno spesso strato alluvionale di fondovalle. I diversi caratteri geolitologici che
circondano l’area di Travalle hanno dato
luogo ad una particolare morfologia ad anfiteatro, riparata dai venti e ricca d’acqua, con
i versanti delle colline, a Est caratterizzati da
minor pendenza, ad Ovest scoscesi e interessati da torrenti. Questi circondano anche
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
la propaggine calcarea, al limite Sud della
quale si trova il Podere Galluzzo (fig. 2). Il
fondovalle è invece caratterizzato da depositi alluvionali, costituiti prevalentemente da
sabbie e limi dovuti all’apporto di sedimenti
da parte dei torrenti che scendono dai versanti dei maggiori rilievi. In considerazione
della scarsa portata dei torrenti, la velocità
di sedimentazione nel fondovalle è lenta,
valutabile intorno a 30-80 cm dal periodo
romano ad oggi7.
Tracce di utilizzazione del territorio da parte dell’uomo preistorico si trovano anche
nell’ultimo tratto delle valli fluviali e nei
versanti della Calvana, interessati da evidenti morfologie carsiche.
Nel periodo classico si intensifica l’occupazione del territorio compreso nella fascia
perimetrale della piana alluvionale e nell’area
di Travalle, ma si sviluppa anche la sistemazione idraulica della piana perfezionata con
la centuriazione romana e la realizzazione di importanti tracciati stradali. Proprio
grazie alla configurazione geomorfologica,
l’area pianeggiante compresa nel Comune
di Calezano diviene un importante punto
di incontro tra la direttrice transappennica, che sfruttava la valle del Bisenzio, e la
viabilità locale in direzione del Mugello. Si
arriva così all’occupazione del territorio nella parte alta delle valli fluviali e nei versanti.
Gli insediamenti vanno ad interessare anche
le aree con morfologie meno accentuate,
costituite da terreni argillosi adatti alle coltivazioni agricole. In corrispondenza dell’affioramento di questi terreni, appartenti per
lo più alla Formazione di Sillano, si trovano anche oggi le aree più popolate dopo il
capoluogo: Le Croci di Calenzano, Legri
(fig. 3), la zona di Corliano. Le alture calcaree sono interessate da insediamenti utili
al controllo del territorio. Lo sviluppo degli
insediamenti di fondovalle è anche da ricondursi alla disponibilità dell’argilla, dell’acqua e del legname, materie prime necessarie
per la fabbricazione di manufatti ceramici.
La presenza di fornaci per la cottura degli
Tale valutazione deriva dalla profondità di ritrovamento
dei piani della fattoria romana di Travalle, situati appunto a
30-80 cm dall’attuale piano di campagna.
7
6
Sarti, Martini 1993.
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La redazione della carta archeologica: rilievo
topografico, criteri di rappresentazione e
costruzione del sistema informativo geografico
impasti ceramici lungo la valle del Marina è
testimoniata sin dal periodo etrusco. La possibilità di sfruttamento delle risorse idriche
era utile anche per altre attività produttive
che utilizzavano la forza motrice dell’acqua,
come i mulini. Dai versanti calcarei venivano anche estratti i materiali lapidei utili alla
costruzione delle strutture abitative (fig. 4).
La particolare configurazione del reticolo
idrografico vede la presenza, in località La
Chiusa, di un rilievo calcareo che produce
una strettoia della valle con la conseguente
confluenza dei torrenti Marinella di Legri e
Le Torri con il torrente Marina. La presenza
della strettoia è stata utilizzata in età romana
per la realizzazione di un bacino di raccolta
dell’acqua, poi utilizzata, mediante opere di
captazione (non più esistenti), per alimentare un acquedotto in pressione – del quale si
conservano alcune chiare tracce – che, sfruttando le lievi differenze di quota, confluiva
nelle terme della città di Florentia.
Nella piana alluvionale si sviluppa l’abitato,
sorto su un modesto rilievo calcareo posto
ad una quota più elevata di poche decine di
metri (102,1-112,6 m slm) rispetto a quella della piana alluvionale circostante (55,067,0 m slm).
Anche la viabilità segue l’assetto geomorfologico dell’area, interessando la piana in
direzione NE-SO e i fondovalle dei principali fiumi con direzione appenninica
NO-SE.
Lungo le valli alluvionali sono ubicate le
antiche strutture produttive che sfruttavano la forza motrice dell’acqua, ma anche le
fornaci utili per la produzione di materiali
ceramici. In questo caso la presenza dell’acqua è accompagnata dalla disponibilità delle
necessarie materie prime e dal facile reperimento del legname necessario alla cottura
dei manufatti.
Bibliografia
Bartolini C., Pranzini G. 1981, Plyo-quaternary evolution of the Arno basin drainage,
“Zeitschrift für Geomorphologie”, Suppl. BD, 40, pp. 77-91.
Bernetti G. 1956, Su alcuni terreni del crinale dei Monti della Calvana (Firenze), “L’Italia
forestale e Montana”, XI, pp. 274-279.
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Geologia del sottosuolo e ricostruzione evolutiva, “Bollettino della Società Geologica Italiana”,
XCVI, 4, pp. 637-660.
Cicali F., Pranzini G. 1984, Idrologia e carsismo dei Monti della Calvana (Firenze),
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Tuci D. 2008, Calenzano (FI). Località Carraia: area con forni etruschi e strutture di età
classica, “Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana”, 3/2007,
pp. 149-152.
16
Introduzione
A livello tecnico-progettuale la Carta
Archeologica di Calenzano è stata pensata come uno strumento utile alla gestione
complessa delle evidenze archeologiche a
scala territoriale. In fase di programmazione
è stato infatti esplicitato che la Carta doveva
rispecchiare le necessità espresse dalle istituzioni che a diverso titolo si impegnano
nella tutela, studio e valorizzazione dei beni
archeologici, nonché essere uno strumento
utile per le attività di programmazione territoriale svolte dal Comune di Calenzano. Gli
Enti coinvolti nella realizzazione della Carta
hanno manifestato infatti la convinzione
che nella gestione del bene archeologico il
rapporto con il contesto di rinvenimento è
senza dubbio un elemento fondamentale per
comprendere meglio la realtà storica delle
evidenze archeologiche, per la progettazione
della loro tutela e, non ultimo, per interagire correttamente con chi si occupa della
pianificazione del territorio ovvero delle sue
trasformazioni in ambito urbano e rurale.
Date queste premesse, gli strumenti e i criteri adottati per la realizzazione della Carta
hanno cercato di rispondere alle esigenze
di archiviazione, gestione ed analisi delle
evidenze archeologiche, mettendole in relazione con le caratteristiche del territorio di
Calenzano e con la storia del suo paesaggio.
Il progetto, nella sua prima fase, si è articolato attraverso un censimento delle informazioni strutturato all’interno di un database
idoneo agli standard di catalogazione previsti dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la
Documentazione (ICCD), accompagnato
da una campagna di rilievo che ha previsto
il posizionamento attraverso GPS delle evidenze schedate.
Queste informazioni hanno costituito la base
di partenza per la costruzione di un Sistema
Informativo Geografico (GIS) funzionale alla
visualizzazione su base cartografica dei dati
raccolti, alla successiva realizzazione delle carte di fase relative ai tre macrointervalli cronologici considerati (Preistoria, età classica, età
post-classica) ed infine alla gestione delle attività di ricerca orientate all’approfondimento
tematico e culturale.
La gestione dei dati all’interno del GIS ha
consentito di analizzare le informazioni
archeologiche e del loro contesto di rinvenimento in modo articolato, di produrre
nuove cartografie tematiche e di restituire,
in accordo con il Comune di Calenzano,
le elaborazioni in un formato utile per la
programmazione territoriale direttamente
acquisibile all’interno della banca dati del
Sistema Informativo del Comune.
Le carte tematiche in scala 1:25.000, in cui
le evidenze archeologiche sono state posizionate in forma di punto, hanno costituito
la base di partenza per lo sviluppo di carte
tematiche di dettaglio che hanno restituito
le informazioni archeologiche ad una scala
1:10.000 e hanno permesso di analizzare
con maggior accuratezza il contesto di rinvenimento di ciascun bene schedato. Il passaggio di scala, oltre a consentire lo sviluppo
di ulteriori elaborazioni interpretative, ha
permesso di predisporre la base informativa
utile per la definizione degli areali di rischio
archeologico.
[G.P., P.M.]
La prima fase: censimento e campagna
di rilievo.
Nella strutturazione della Carta Archeologica
di Calenzano la prima fase del lavoro è costituita dall’acquisizione di tutte le informazioni archeologiche emerse dalle attività di
ricerca sul territorio svolte in precedenza,
ovvero le informazioni edite in letteratura o
presenti negli archivi della Soprintendenza
per i Beni Archeologici della Toscana
(SBAT). In parallelo a questa attività si
è svolta un’accurata analisi dei materiali
archeologici raccolti nel territorio in questi
ultimi decenni in varie occasioni.
Le informazioni provenienti da queste
due attività sono confluite all’interno di
un database organizzato in schede “sito”1
ed in schede relative ai materiali. Queste
schede costituiscono il primo elemento di
riferimento per la realizzazione della carta
archeologica e sono collegate da un identificativo comune alle schede dei materiali,
17
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Giovanna Pizziolo
Paolo Machetti
che offrono fondamentali informazioni utili per interpretare l’evidenza archeologica e
per analizzarne il contesto di riferimento.
A ciascuna raccolta di materiale corrisponde dunque un’evidenza archeologica che in
senso generale possiamo assimilare al concetto di “sito” in quanto evidenza posizionata in uno spazio geografico. Tuttavia sarà
nella seconda fase di approfondimento che
si vaglieranno le informazioni per definire e
classificare le evidenze archeologiche in base
alla loro consistenza, coerenza e tipologia.
In alcuni casi, in precedenza alla realizzazione di questo progetto, le ricognizioni sono
state svolte dai vari gruppi archeologici in
periodi diversi ma nella stessa località, classificando talvolta con sigle diverse materiali
che probabilmente appartenevano alla stessa fase di frequentazione storica. Per evitare
ambiguità ed imprecisioni la catalogazione
dei materiali è stata strutturata secondo le
schede di precatalogazione (a cassetta), ma
ha previsto la creazione di “cassette virtuali”
corrispondenti ciascuna a ogni singola sigla
di “sito”. Questo sistema ha consentito di
mantenere le sigle delle ricognizioni, conservando le informazioni, acquisite durante
la ricognizione, utili alla contestualizzazione
del materiale archeologico.
Il database, sviluppato per questo progetto,
ha una struttura relazionale ed utilizza formati in uso presso la Soprintendenza idonei
con gli standard di catalogazione previsti
dall’ICCD.
In questa prima fase le schede mantengono la
denominazione del “sito” data in precedenza
dagli Autori o da chi ha raccolto il materiale;
tale denominazione verrà poi accompagnata
da una nuova numerazione frutto di un lavoro di standardizzazione del dato.
Per quanto riguarda il posizionamento dei
dati raccolti e censiti, si sono sviluppate
procedure ed analisi diverse in relazione alla
tipologia delle informazioni. Per i dati editi si è cercato in primo luogo un riscontro
con le fonti cartografiche, sia topografiche
che tematiche, analizzate alle diverse scale.
Questa prassi ha consentito di posizionare
le evidenze secondo diversi gradi di accuratezza in relazione alla precisione con cui
è stata descritta l’area di rinvenimento del
materiale.
Per l’acquisizione dei dati emersi durante le
ricognizioni sul campo sono stati utilizzati
strumenti GPS (Global Positioning System),
necessari per rilevare le coordinate geografiche delle evidenze archeologiche. In questa
prima fase la registrazione delle coordinate
geografiche relative ad aree di materiali o
di emergenze archeologiche è stata eseguita
cercando di posizionarsi al centro dell’area
suddetta o individuando il centroide relativo al supposto ingombro delle emergenze
archeologiche. In taluni casi il riconoscimento dell’evidenza archeologica è stato accurato
ed affidabile, in altre situazioni è risultato più
difficile individuare gli elementi di riferimento. In alcuni casi è stato necessario acquisire
più punti relativi alla stessa evidenza.
Già durante questa fase di censimento, in
occasione di scavi in estensione o di sondaggi esplorativi, sono stati effettuati rilievi plano-altimetrici georeferenziati eseguiti
con metodo celerimetrico mediante stazione totale laser motorizzata con lettore ottico privo di riflettore. I dati di rilievo sono
stati integrati nella Cartografia Tecnica
Regionale, e confrontati con la documentazione grafica eventualmente già esistente.
[P.M.]
1 Con il termine di schede “sito” – che non vuol essere in
alcun modo una valutazione sull’entità delle presenze archeologiche – si indicano le schede nel presente volume l’insieme dei dati archeologici e delle fonti archivistiche e bibliografiche di un determinato luogo geografico all’interno del
territorio comunale di Calenzano o, in alcuni casi, di singoli
reperti mobili. Il termine di scheda “sito”, talvolta improprio
dal punto di vista archeologico, è stato comunque adottato
per la realizzazione della struttura GIS al fine di semplificare
il lavoro di compilazione e di lettura dei dati.
18
Fig 2. Visualizzazione
tridimensionale in direzione SudEst delle evidenze archeologiche
relative alla fascia pedecollinare e
alla piana di Calenzano.
La strutturazione del GIS
Tutte le informazioni raccolte sono state
organizzate all’interno di un sistema GIS
la cui strutturazione, nella scelta dei formati e nei criteri di archiviazione dei dati, ha
seguito gli standard adottati dal Comune di
Calenzano e dalla Soprintendenza per i Beni
Archeologici della Toscana. Si è pertanto
utilizzato il sistema di riferimento “Roma
40” (coordinate metriche in Gauss-Boaga)
ed espresso le geometrie dei livelli vettoriali
(punti, linee e poligoni) con il formato shape (Esri®). Come è noto, il GIS è uno strumento che permette di gestire, visualizzare ed
analizzare dati distribuiti nello spazio e che
basa la sua potenzialità di elaborazione sulla
relazione biunivoca fra elementi grafici georeferenziati e dati alfanumerici, archiviati in
tabelle, che ne descrivono le caratteristiche.
Nel nostro caso ad ogni geometria relativa
a tematismi archeologici è stata correlata
una tabella nella quale sono contenuti i dati
anagrafici di ciascun elemento vettoriale ed
una sintesi delle informazioni archeologiche
finalizzata ad una rapida visualizzazione delle loro caratteristiche.
Nella costruzione del GIS, dopo aver organizzato i dati cartografici disponibili alle diverse
scale, è stato inserito il primo livello vettoriale relativo alla distribuzione delle evidenze archeologiche espresse in forma di punto,
ovvero ciascuna segnalazione è rappresentata
da una singola coppia di coordinate.
Fra le informazioni di corredo per questo
tematismo ricordiamo ad esempio il campo “cronologia”, nel quale sono sintetizzate
le informazioni riguardanti le attestazioni di frequentazione espresse in termini di
“macroperiodi” (Preistoria, età classica, età
post-classica) relative a ciascun sito. Tali
informazioni sono riproposte anche in forma analitica e più dettagliata in altri campi,
in cui per ciascuna fase cronologica si indica
la funzione del sito relativa a quel periodo.
All’interno della tabella sono altresì verificabili le modalità e la precisione con cui è
stato posizionato ciascun punto mediante il
riferimento alle acquisizioni effettuate con
lo strumento GPS durante le ricognizioni.
Sono inoltre disponibili le informazioni sulle
fonti ulteriori utilizzate per il posizionamento delle evidenze archeologiche, siano esse il
frutto di analisi bibliografiche, cartografiche
o il risultato di una verifica eseguita con chi
ha segnalato il sito o raccolto il materiale sul
campo. In questo modo è possibile visualizzare la distribuzione delle evidenze archeologiche sul territorio di Calenzano in base alla
loro cronologia, funzione, affidabilità e alla
precisione del posizionamento.
Per un’analisi e consultazione a livello più
approfondito è possibile collegarsi al database esterno, in formato mdb, nel quale risiedono in forma completa tutti i dati archiviati relativi ai siti ed alla analisi dei materiali.
Le informazioni raccolte e strutturate nel
modo suddetto consentono pertanto di fare
un primo inquadramento generale della
dislocazione dei “siti” e di caratterizzare il
censimento attraverso la creazione di carte
tematiche ad hoc.
Le basi di appoggio utilizzate per la realizzazione degli elaborati topografici sono state la
cartografia dell’Istituto Geografico Militare
Italiano in scala 1:25.000 e 1:100.000 e la
Carta Tecnica Regionale in scala 1:2.000 e
1:10.000.
Date le premesse, i punti indicati in cartografia siano essi provenienti da ricerca
bibliografica, analisi cartografica o ricognizione diretta sul campo sono da ritenersi la
base informativa per la successiva elaborazione spaziale dei dati.
[G.P.]
La seconda fase: dai punti alle aree
Rispetto al censimento condotto per la prima fase del lavoro, durante la quale il posizionamento delle evidenze archeologiche è
stato eseguito in forma puntuale cercando
di individuare il centro delle aree di materiali ed emergenze archeologiche, in questa
seconda fase i punti riferiti alle segnalazioni
sono stati ricondotti a geometrie poligonali,
ovvero a superfici corrispondenti ad unità
topografiche riferibili alle evidenze archeologiche. Per svolgere tale operazione si è
tenuto necessariamente conto del carattere
19
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Fig 1. Distribuzione delle
evidenze archeologiche nella fascia
pedecollinare e nella piana di
Calenzano visualizzate sulla base
del Modello Digitale del Terreno.
zioni raccolte durante il censimento, evitando di attribuire pari importanza a rinvenimenti sporadici rispetto ad aree che hanno
restituito consistenti testimonianze in una o
più fasi di frequentazione dalla Preistoria al
Medioevo. Si è pertanto proceduto ad una
visualizzazione tematica dei dati che ha suggerito diverse letture interpretative focalizzando la nostra attenzione su alcune aree del
territorio di Calenzano che nelle varie fasi
del popolamento hanno esercitato una particolare attrazione, diventando centri insediativi o punti nodali per la gestione delle
vie di comunicazione, del controllo territoriale o delle risorse.
Si sono successivamente indagate le relazioni topografiche fra i punti presenti in
carta, cercando di capire i rapporti spaziali
reciproci e classificando ogni evidenza come
primaria o associata ad altre evidenze. Tali
definizioni sono state intese come prima
forma di messa in relazione tra evidenze
che sul terreno risultano, almeno per alcuni
aspetti e fatti salvi gli sviluppi della ricerca,
apparentabili.
In taluni casi il processo di accorpamento
fra evidenze primarie e secondarie ha visto
l’inclusione di più evidenze primarie all’interno di un unico areale. Questa condizione, seguendo gli spunti operativi propri
dell’archeologia del paesaggio2, si è verificata
quando l’analisi della geomorfologia, della
forma delle particelle colturali, del microrilievo o delle indicazioni storiche ha reso
possibile identificare un’unica unità topografica di riferimento.
Appare dunque evidente che in un processo
ricompositivo di questo tipo sia necessario
appoggiarsi a fonti ausiliarie che permettano di ricostruire con la maggior accuratezza
possibile il contesto territoriale del passato.
A questo fine, applicando criteri di ricerca
propri della geografia storica3, si è scelto di
lavorare a fonti e scale integrate.
Fra i documenti cartografici è stata dedicata
particolare attenzione alla cartografia storica che come è noto restituisce eccellenti
informazioni sugli assetti territoriali del passato, una volta analizzati e contestualizzati
come documenti storici. Per il territorio di
Calenzano sono disponibili numerose fonti
cartografiche pregeodetiche4 già a partire dal
XVI secolo. Documento di eccellenza risulta il prezioso corpus cartografico delle Piante
dei Capitani di Parte Guelfa, che descrivono
viabilità, idrografia ed assetti amministrativi del territorio. Altre informazioni relative
all’uso del suolo, alla sistemazione colturale
e più in generale alla gestione fondiaria sono
desumibili dai cabrei delle proprietà, che, ad
una scala di maggior dettaglio, hanno restituito importanti quadri informativi della
organizzazione produttiva del nostro territorio eseguita dagli Enti religiosi o dalle ricche
famiglie fiorentine sui propri possedimenti
fin dal XVI secolo. Passando alla cartografia ottocentesca, una fonte di grande interesse per la ricostruzione del paesaggio del
passato è costituita dal Catasto Leopoldino
realizzato fra il 1817 e il 1835 per conto del
granduca Leopoldo II. Il catasto è costituito dal Quadro di Unione e dalle singole
Mappe catastali che riportano per l’intero
territorio della Comunità di Calenzano le
informazioni relative alla forma e numerazione delle particelle colturali, alla viabilità, alla toponomastica e all’idrografia. Le
mappe rappresentano un’eccellente “istantanea” degli aspetti antropici e naturali che
caratterizzano il paesaggio di Calenzano del
primo Ottocento, descrivendo con estrema
precisione ogni singolo elemento presente
sul territorio. Per le sue caratteristiche geometriche il Catasto Leopoldino può essere
inserito all’interno del Sistema GIS, previo un processo di georeferenziazione che
riconduce la scansione delle mappe ad un
sistema di riferimento cartografico attuale.
Il potenziale informativo di questa fonte in
ambito archeologico, già testato in altre aree
della Toscana5, si sviluppa sia attraverso la
ricostruzione dell’uso del suolo, ma anche
attraverso l’individuazione di quelle tracce
relitte degli assetti del passato ancora leggibili all’interno dei documenti ottocenteschi che disegnano in carta quelle preziose
testimonianze con grande precisione geometrica. Nel caso di Calenzano le informazioni del catasto storico sono state riportate
all’interno del nostro sistema GIS6 attraverso l’analisi e la restituzione vettoriale di
particelle colturali, assetti idrografici e della
viabilità relativamente ad aree di particolare
interesse.
L’osservazione dell’uso del suolo e dell’organizzazione delle particelle agrarie, nonché delle loro dinamiche di trasformazione,
svolta grazie all’analisi della cartografia storica, è stata approfondita attraverso l’esame
delle fotografie aeree, che possiamo scegliere
come fonti utilissime per lo studio del paesaggio archeologico. Per la realizzazione della Carta Archeologica di Calenzano gli assetti
recenti del territorio sono stati osservati sulle ortofoto AIMA (1997) e su fotogrammi
recenti scattati a bassa quota. Questo tipo
di indagine è risultata di grande utilità per
controllare alcuni contesti archeologici. Per
quanto riguarda l’analisi delle fotografie
aeree storiche l’attenzione si è concentrata sul volo GAI, una ripresa a media scala
effettuata nel 1954 che copre in modo omogeneo tutto il territorio in esame. Le fotografie degli anni Cinquanta restituiscono
un’immagine del paesaggio di Calenzano
precedente alle grandi trasformazioni e,
soprattutto per quanto riguarda l’area della
Piana, offrono un quadro sugli assetti agrari che diviene fondamentale per la corretta
collocazione delle evidenze archeologiche.
Per alcune aree campione si sono inoltre
consultate riprese effettuate nel 1948, rese
disponibili dagli archivi del Comune di
Calenzano.
L’utilizzo di queste fonti storiche ausilia-
Lamberini 1987.
De Silva, Pizziolo 2004.
6 In questa occasione si sono utilizzate le immagini dispo-
nibili attraverso il Progetto CASTORE (CATasti STOrici
REgionali), consultabile attraverso il Servizio Geografico
Regionale della Regione Toscana.
4
5
2
Bernardi 1992.
3
20
20
Rombai 2002.
21
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
eterogeneo delle informazioni a disposizione
che provengono sia da ricerche sistematiche
che da raccolte occasionali o da segnalazioni
accidentali.
La definizione dell’areale di pertinenza di
ogni evidenza schedata ha rispettato per
quanto possibile le eventuali indicazioni
fornite dagli Autori in letteratura o presenti
negli archivi della Soprintendenza. Tuttavia
nel caso in cui le evidenze non siano più
riconoscibili sul terreno o non siano stati
esplicitati i riferimenti ad elementi topografici noti o ai limiti di dispersione dei
manufatti raccolti, per delineare l’areale
di riferimento è stato necessario procedere
attraverso un processo di tipo ricompositivo e per livelli di approssimazione progressivi. In particolare, occorre considerare che
sovente le informazioni acquisite anni fa si
riferiscono a contesti di rinvenimento che
possono essere mutati e quindi difficilmente ricostruibili; pertanto il processo di editing cartografico si è articolato in più fasi
che prevedono sia l’approfondimento delle
informazioni presenti nel database che l’acquisizione, l’analisi e l’elaborazione di fonti
ausiliarie all’interno del GIS, in taluni casi
accompagnate dalle verifiche in campagna
svolte tramite ulteriori ricognizioni ed attività di rilievo.
In primo luogo si sono visualizzati i punti
in funzione delle informazioni presenti nel
database. Per valutare il set di dati a nostra
disposizione è stato attribuito un valore a
ciascun punto in relazione alla consistenza
delle evidenze archeologiche che esso rappresenta secondo diverse classi:
– in termini di quantità e qualità delle evidenze riscontrate;
– in termini di interpretazione funzionale
del “sito”;
– in termini di continuità di occupazione
dell’area (sito con evidenze attribuibili a più
fasi di occupazione con o senza soluzione di
continuità).
Questa prima riclassificazione ha permesso
di leggere con maggior chiarezza le informa-
22
di riferimento per ogni evidenza archeologica. La lettura topografica ed il processo di
ricomposizione delle fonti sono stati integrati
con l’analisi dei materiali archeologici che,
confluita nel database correlato alle evidenze
archeologiche, ha permesso di valutare ipotesi di accorpamento fra singole segnalazioni in
base a cronologia e funzione. Il risultato complessivo di queste elaborazioni ha consentito
di delimitare per ciascuna evidenza archeologica le unità topografiche di riferimento
all’interno del contesto territoriale.
[G.P.]
Criteri di rappresentazione
I criteri di rappresentazione proposti per la
Carta Archeologica di Calenzano rispecchiano le scelte operative portate avanti durante
la realizzazione del lavoro. Le carte presenti nel volume infatti esprimono in qualche
misura l’iter della ricerca.
In primo luogo vorremmo descrivere le
geometrie puntuali che caratterizzano la
Carta. Le schede “sito”, ovvero delle evidenze archeologiche, presenti nel volume hanno
una loro corrispondenza con i punti presenti
in carta ed il numero che accompagna ciascun punto corrisponde all’identificativo
della scheda del database riportata anche
nel catalogo. Questi, a seconda dei casi,
sono stati visualizzati in modo omogeneo
o adottando simbologie diverse in base alle
scansioni cronologiche corrispondenti. Nel
caso di siti plurifase sono stati scelti simboli
diversi in base alla combinazione di periodi
individuati, volendo rendere in modo chiaro la consistenza e la durata della continuità
insediativa emersa attraverso lo studio dei
materiali.
Gli areali che definiscono le unità topografiche di riferimento delle evidenze archeologiche sono individuate da numeri romani. Le
geometrie rispondono ai criteri di analisi ed
identificazione espressi nel precedente paragrafo. Quindi si noterà ad esempio che alcune geometrie seguono i limiti di particelle
colturali mentre altre rispecchiano elementi
morfologici del terreno o altre forme ricon-
ducibili a criteri diversi, quali ad esempio
le fonti storiche. Nel caso in cui il rinvenimento archeologico sia un elemento isolato
e non sia stato possibile individuare riferimenti topografici di alcun tipo si è disegnato l’areale costruendo un cerchio di raggio
pari a 50 m intorno al singolo elemento.
Le Carte del Rischio Archeologico invece
rispondono a criteri di rappresentazione
diversi ed esprimono un valore, ovvero il
grado di intensità di rischio, che per semplificazione è suddiviso in due intervalli: il
rischio medio espresso in giallo ed il rischio
alto espresso in rosso. I limiti fra gli areali di
rischio medio ed alto sono netti, nonostante talvolta sia difficile tracciare demarcazioni precise in contesti che variano il livello
di rischio con molta gradualità. Solo in un
caso è stata adottata la rappresentazione “a
sfumo” che, senza soluzione di continuità,
indica il passaggio da rischio alto a rischio
medio.
Talvolta la delimitazione del rischio è dettata da un unico criterio di definizione quale
la morfologia, l’uso del suolo o il riferimento a fonti storiche. A titolo esemplificativo
ricordiamo che l’acquisizione della viabilità
storica all’interno del GIS ci ha permesso
di utilizzarla come elemento topografico di
appoggio per formulare ipotesi sui tracciati
più antichi quando essi trovano confronto
con altri dati acquisiti nel Sistema. In questo caso quindi gli areali di rischio sono stati definiti sull’andamento dei tracciati viari
storici. Per la maggioranza dei contesti invece la definizione del grado del rischio è il
frutto di una combinazione di criteri – ad
esempio la giacitura primaria o secondaria
dei manufatti archeologici e la loro consistenza, il rimando a fonti storiche, gli assetti
geomorfologici, l’uso del suolo attuale ecc.
–, il cui risultato va oltre la semplice sommatoria dei singoli fattori. In questi casi
quindi, a livello topografico, le geometrie
espresse in carta sono il risultato della fusione di più fattori, logici e spaziali, che non è
più possibile scindere in base alle loro singole caratteristiche. Anche per questo motivo,
dunque, la scelta di rappresentare il rischio
secondo solo due intervalli di grandezza è
dettata da una volontà di leggibilità e sintesi
che ci auguriamo essere efficace.
[G.P., P.M.]
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Rombai L. 2002, Geografia storica dell’Italia. Ambienti, territori, paesaggi, Firenze.
23
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
rie è fondamentale, infatti, per il processo
di ricomposizione che cerca di ricostruire
il contesto di rinvenimento e la possibile estensione dell’areale di pertinenza di
ogni evidenza archeologica. Ad un inquadramento del dato nel contesto storico fa
seguito un’analisi della geomorfologia e
micromorfologia che caratterizzano le aree
in esame. Gli studi geomorfologici effettuati dal Comune di Calenzano sono stati inseriti nel GIS e hanno contribuito ad
una visualizzazione tematica del territorio;
sono stati inoltre acquisiti i dati resi disponibili dalla Regione Toscana, relativi alla
Carta Geologica regionale (scala 1:10.000).
Di particolare interesse è stata l’assunzione delle informazioni emerse dallo studio
di Pasquino Pallecchi (si veda Pallecchi
supra) che restituisce una preziosa interpretazione in chiave archeologica degli assetti geomorfologici del territorio in esame.
Tutte queste informazioni sono state inserite nel GIS e hanno costituito importanti
elementi di valutazione nella definizione
degli areali.
Nella prospettiva di ricostruire il contesto di
rinvenimento ed i suoi eventuali processi di
trasformazione è stato realizzato un Modello
Digitale del Terreno partendo dalle informazioni altimetriche presenti nella Carta
Tecnica Regionale. Per zone di particolare
interesse o problematicità si sono sviluppati modelli digitali specifici individuando
l’algoritmo di interpolazione più efficace
per poter meglio analizzare la morfologia
locale. Dal Modello Digitale del Terreno
è stata estratta la carta delle pendenze. In
taluni casi, per esplorare con maggior dettaglio eventuali micromorfologie presenti in
superficie si sono scelte visualizzazioni con
classi di pendenza rappresentate ad intervalli ad hoc, utili ad evidenziare le anomalie
o le regolarità. Queste elaborazioni hanno
permesso di valutare con maggior approfondimento l’esistenza di eventuali processi
post-deposizionali o di disturbo legati alla
identificazione o conservazione delle evidenze archeologiche.
In sintesi l’approccio a scale e fonti integrate sviluppato all’interno del sistema GIS ha
permesso di proporre la definizione di areali
Il territorio di Calenzano
nella Preistorica
Introduzione
La più antica frequentazione del territorio di
Calenzano risale alla Preistoria. Con questo
termine, come è noto, ci si riferisce ad un
arco cronologico molto ampio, che include il
Paleolitico, il Mesolitico, il Neolitico e le età
dei Metalli, durante le quali inizia la cosiddetta Protostoria. Queste fasi sono indicativamente comprese, per l’Europa mediterranea,
tra circa un milione e circa 3000 anni fa (dal
Pleistocene inferiore all’Olocene avanzato).
Figura 1. Il sito di Cantagrilli, sul crinale della calvana. Al centro, il dilavamento com l’area
degli scavi.
24
La presenza dell’uomo nella zona di
Calenzano fin da età così remote trova una
prima giustificazione nelle stesse circostanze
che favorirono le frequentazioni delle epoche
successive: le risorse offerte dal territorio e
la sua posizione di contatto sia in direzione
Nord-Sud che tra Est ed Ovest. Il fatto che
tuttora la piana di Firenze sia attraversata da
grandi linee di collegamento in queste direzioni trova una base nella viabilità del mondo
antico, che a sua volta ricalca e ottimizza una
serie di percorsi noti fin dalla Preistoria.
Il bacino di Firenze-Prato-Pistoia è costituito da un’ampia zona pianeggiante, chiusa a Nord-Ovest dai rilievi della Calvana e
del Monte Morello e a Sud-Est da quelli
del monte Albano e delle Cerbaie, ed è collegato dall’Arno agli altri bacini limitrofi: il
Casentino, il Valdarno superiore, il Valdarno
inferiore. Proprio l’Arno, oltre a costituire
un’importante risorsa idrica, ha svolto, fin dal
Paleolitico, assieme ai suoi affluenti e alle valli
corrispondenti, la funzione di via di collegamento con le zone costiere a Ovest e con i percorsi verso il centro della penisola. Gli scambi
e i contatti lungo queste traiettorie sono attestati a partire soprattutto dal Neolitico.
La zona di Calenzano, in particolare, si trova
al limite settentrionale del bacino di Firenze,
all’ingresso delle valli che conducono al bacino del Mugello e quindi ai valichi transappenninici; per questo deve aver rappresentato l’accesso ad una delle vie di contatto
più dirette tra le popolazioni preistoriche
dell’Emilia e della Toscana. In effetti, entro
gli attuali confini del territorio comunale è
stata raccolta una quantità considerevole di
reperti preistorici. Si tratta soprattutto di rinvenimenti di superficie, effettuati in diverse
aree, ma sono stati individuati anche materiali e tracce di frequentazione nel corso di scavi
archeologici. I reperti nel complesso ammontano ad alcune migliaia. Un’attestazione
simile, senz’altro degna d’interesse, conferma
ed arricchisce le conoscenze di una zona della
Toscana, il bacino di Firenze, in cui le ricerche sono iniziate negli anni Settanta e sono
tuttora in corso. In particolare, nel territorio
di Sesto Fiorentino, nelle immediate vicinanze di Calenzano, sono stati effettuati numerosi scavi in estensione, dato che l’espansione
Figura 2. Cantagrilli: sezione di
scavo (campagna 2007).
edilizia è sistematicamente accompagnata
dalle indagini archeologiche (fig. 4); sul
Monte Albano, e in questi ultimi anni anche
sulla Calvana, sono stati condotti scavi stratigrafici. I ritrovamenti dimostrano che il bacino e i rilievi circostanti, così come gli altri
bacini della regione (Mugello, Casentino,
Valdarno superiore, Valdarno medio-inferiore), sono stati frequentati fin dal Paleolitico
e che nel Neolitico, e ancor di più con le età
dei Metalli, a partire dall’Eneolitico (ovvero
da circa 3500 a.C.), questa frequentazione
si intensificò e si fissò in abitati stabili. Gli
insediamenti messi in luce nella piana di
Sesto comprendono esempi di siti occupati
per secoli, tra l’Eneolitico e la prima età del
Bronzo (ad esempio, Volpaia, via Leopardi,
Semitella), o nel corso dell’età del Bronzo (ad
esempio, Lastruccia, Podere S. Antonio)1.
Nel caso del territorio di Calenzano, almeno
i reperti rinvenuti in strato sono in parte coe-
vi a quelli degli abitati sestesi, dal Neolitico
(Cantagrilli sulla Calvana) all’Eneolitico (riparo di Volmiano) al Bronzo finale-prima età del
Ferro (Carraia), e quindi vanno considerati
nella loro relazione con il territorio limitrofo,
nel quadro delle evidenze già riscontrate nella
piana. Inoltre, la grande quantità di ritrovamenti di superficie dimostra un popolamento
relativamente intenso, anche se i manufatti al
di fuori del loro originario contesto stratigrafico sono raramente attribuibili ad un preciso
orizzonte cronologico e culturale.
Per una visione d’insieme sulla Preistoria di Sesto
Fiorentino, si veda, ad esempio, Martini, Poggesi, Sarti
1999.
1
Le risorse
Oltre alla posizione del territorio calenzanese
in una zona ben nota alle popolazioni preistoriche, un fattore che può avere incoraggiato la sua frequentazione è probabilmente
25
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Omar Filippi
Sarti, Martini 1993.
Merla, Bortolotti, Passerini 1967; Conedera, Ercoli 1973;
Capecchi, Guazzoni, Pranzini 1975; Bartolini, Pranzini 1979.
4 Martini et alii 1996; Pallecchi, Sarti 2001.
5 Sarti 1985; Sarti et alii 1991; De Francesco et alii 2006.
circostanti, contribuendo all’alimentazione,
seppur in misura assai inferiore rispetto alle
specie allevate.
Dal territorio venivano inoltre raccolte diverse materie prime per le varie produzioni:
riguardo alla ceramica, l’analisi degli impasti
di Sesto ha permesso di constatare la presenza del diallagio, un minerale che garantiva
ai recipienti una maggiore resistenza al fuoco, la cui provenienza va attribuita al monte
Ferrato (Prato)4.
Le rocce sfruttate per la realizzazione delle
industrie litiche sono soprattutto di provenienza locale: a Calenzano, come in tutta la
piana, il diaspro e la selce venivano reperiti
sotto forma di ciottoli nei letti e sulle rive dei
corsi d’acqua. Oltre a queste, però, sono rappresentate, anche nel caso delle industrie di
Calenzano, rocce di provenienza non locale,
anche lontana: l’ossidiana, ad esempio, di origine liparota o sarda5, è presente soprattutto
nei contesti attribuibili al periodo compreso
tra il Neolitico e la prima età del Rame. Un
altro esempio di materiale alloctono utilizzato
per la scheggiatura è la selce fine di provenienza adriatica6. Anche altre produzioni contavano sull’apporto di materiali alloctoni, comprese quelle di oggetti d’uso meno comune, come
i vaghi di collana, che erano realizzati in steatite, una roccia assente nel territorio.
Le modalità insediative
Un altro aspetto della ricerca sulle comunità
preistoriche e protostoriche che abitarono la
zona di Firenze riguarda le modalità insediative, su cui è possibile ottenere dati esclusivamente quando si procede con metodi di scavo
scientifici. Se nel Paleolitico e nel Mesolitico
sono note soltanto tracce di occupazioni
temporanee probabilmente da ricondurre a
gruppi non grandi7, dal Neolitico in poi si
attestano gli abitati in villaggi, inizialmente di
Cipriani et alii 2001; Martini, Ghinassi, Moranduzzo 2006.
Martini 1981; Martini 1984; Martini, Gheser 1985-1986;
Martini 1989a; Martini 1989b; Martini 1991; Fenu 2005.
2
6
3
7
26
tipo stagionale, con occupazioni stabili, benché non molto prolungate. Ancora una volta,
la fonte primaria di informazioni è costituita
dagli scavi di Sesto. A Neto-via Verga si sono
rinvenute le tracce (fori di palo e battuti di
pietre e terreno) di piccole strutture abitative di forma ellissoidale8. Come è noto, già
dal Neolitico esistono insediamenti con aree
specializzate indirizzate a particolari attività.
A Sesto questo caso sembra testimoniato nel
sito di Mileto, dove si è individuata un’area
adibita alla cottura della ceramica9.
Ancora a Sesto, tra l’età del Rame avanzata
e il Bronzo antico si istaura un sistema insediativo tipico, basato sull’adattamento di
paleoalvei torrentizi (Querciola, Semitella,
Lastruccia), mentre nel Bronzo medio le aree
di abitazione tendono ad impiantarsi direttamente sul terreno (Petrosa, Val di Rose, Frilli
C)10. Un esempio di abitato del Bronzo finale
è quello di Cilea, in cui sono stati posti in
luce i resti di una struttura in pietre e ciottoli,
di probabile funzione delimitativa11.
I ritrovamenti preistorici di Calenzano
Modalità dei rinvenimenti
I ritrovamenti avvenuti sul territorio del
Comune di Calenzano si possono classificare
secondo tre categorie:
a) raccolte di superficie, condotte su aree di
diversa estensione. I campi che hanno restituito il materiale più abbondante si trovano a Travalle, ai piedi della Calvana, e tra
Scopino e Vigna Villa Gamba, nella zona
sud-orientale del territorio. Si tratta di aree
coltivate relativamente estese, entrambe in
leggero pendio, su cui è stata raccolta una
ragguardevole quantità di reperti: circa 4000
a Travalle e più di 1500 a Scopino. Altre aree
sono quella che include Casa CafaggioloMartini, Poggesi, Sarti 1999; Fenu et alii 2003; Volante
2003.
9 Sarti et alii 1991.
10 M artini , S arti 1991; S arti , M artini 1993; M artini ,
Poggesi, Sarti 1999; Sarti, Martini 2001; Sarti, Martini
8
Fosso Garillino-Vigna Chiosina (più di 200
reperti) e quella di Villa Bartolini (circa 400
reperti); si aggiungono poi i luoghi che hanno restituito reperti sporadici (poche decine
o poche unità): Colle Sopra, Colle Sotto-San
Donato e Sommaia-Castello. Una raccolta
di superficie è stata condotta anche nell’area
del sito di Cantagrilli, prima che questo fosse interessato da scavi stratigrafici. Tutti i
ritrovamenti di superficie si devono a cultori
e appassionati locali, in primo luogo appartenenti al Gruppo Archeologico Fiorentino
(GAF), ma anche al Gruppo Speleologico di
Calenzano (GSC) e al Gruppo Archeologico
l’Offerente di Prato (GAO);
b) raccolte in terreni smossi per sbancamenti nel corso di opere edilizie: Carraia (alcune centinaia di reperti); via dei Tigli (reperti
sporadici); Il Mulino (reperti sporadici);
Settimello-via delle Cappelle e via Squilloni
(reperti sporadici). Anche queste raccolte
sono state effettuate da membri del GAF.
La presenza di reperti all’interno di depositi sigillati può indicare che i lavori hanno
intercettato probabilmente sedimenti con
materiali in giacitura primaria, ossia orizzonti archeologici conservati in profondità; con
ogni probabilità questo è il caso di Carraia (si
veda infra);
c) scavi archeologici stratigrafici: Cantagrilli
(alcune centinaia di reperti); riparo di
Volmiano (alcune centinaia di reperti); saggi stratigrafici nell’area della Perfetti Ricasoli
(un centinaio di reperti); Chiesa di Settimello
(reperti sporadici dal terreno rimaneggiato
superficiale al di sopra del Ninfeo). Il materiale che proviene da scavi archeologici è stato recuperato dalla Soprintendenza per i Beni
Archeologici della Toscana operando direttamente o affidando le ricerche in concessione
alla Sezione di Preistoria del Dipartimento di
Archeologia e Storia delle Arti dell’Università di Siena, che ha collaborato con il Museo
Fiorentino di Preistoria.
Complessivamente, i ritrovamenti costitui2005.
11 Paterna, Poggiani Keller, Rossi 2001.
27
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
da identificare nell’aspetto geomorfologico
vario, favorevole alla formazione di assetti
floristici e faunistici differenti in un’area relativamente concentrata. Sono infatti compresenti ambienti di pianura, vallivi, collinari e
di montagna, con un’altezza massima di circa
900 m: è un contesto che può aver favorito tanto il sostentamento dei gruppi di cacciatori e raccoglitori nomadi del Paleolitico,
che potevano contare su un approvvigionamento vario e diversificato di specie animali
e vegetali, quanto la presenza delle comunità
seminomadi o sedentarie, dal Neolitico fino
all’età del Bronzo e del Ferro, la cui economia di sussistenza si basava principalmente
sull’allevamento e sull’agricoltura. In epoca
olocenica l’area era infatti salubre e ricca di
acqua2, quindi favorevole all’attività agricola
e all’impianto di abitati stabili.
Gli scavi archeologici di Sesto Fiorentino
costituiscono la fonte principale per la conoscenza dell’ambiente e delle risorse della piana in epoca preistorica: i terreni indagati hanno restituito pollini antichi che confermano
che il bacino di Firenze era interessato da
laghi e corsi d’acqua; la flora prevalente comprendeva Querceto misto, Caprifogliacee,
Ranuncolacee e Primulacee. In corrispondenza degli abitati preistorici, è stata rilevata la presenza di specie arbustive ed erbacee
(Ericacee, Asteracee, Apiacee) che potrebbero indicare l’inizio di un’attività di disboscamento dovuta all’uomo3.
In epoca olocenica, le comunità che abitavano la piana trovavano la principale strategia
di sussistenza nell’allevamento. I resti faunistici recuperati (sempre a Sesto Fiorentino)
comprendono bovini, ovini, caprini e suini,
in percentuali che variano nel corso del tempo. Il ritrovamento di colini, fusaiole e pesi
da telaio attesta il trattamento di prodotti
come il latte, i formaggi e la lana. Inoltre,
sono stati rinvenuti resti di fauna selvatica:
il cervo, il capriolo, il cinghiale e la lepre
venivano cacciati nella piana e nei rilievi
scono un insieme abbondante e ben distribuito, con una maggiore concentrazione
nella zona meridionale pianeggiante del territorio comunale, dove le arature moderne e
gli sbancamenti per le opere edilizie hanno
intaccato sedimenti che contenevano materiale archeologico.
L’abbondanza dei reperti raccolti in siti
come Travalle e Scopino può già essere
sufficiente ad indicare una presenza umana
ben radicata nel territorio in epoca preistorica, anche se nelle due aree di raccolta non
è dato di riconoscere dei siti direttamente
frequentati o abitati; il materiale raccolto in
superficie potrebbe infatti aver raggiunto la
giacitura di rinvenimento in seguito ad uno
spostamento del terreno che lo conteneva
per smottamento o rotolamento dalle vicine
pendici dei rilievi circostanti. Come si dirà
oltre, molti manufatti litici presentano spigoli relativamente freschi, che non farebbero pensare ad un trasporto particolarmente
prolungato; d’altra parte i dati geo-morfologici attribuiscono ai sedimenti di vallata,
sulla superficie dei quali sono stati prelevati
i pezzi, una formazione piuttosto giovane,
forse difficilmente ascrivibile alla Preistoria
(si veda Pallecchi supra). Una più chiara
comprensione delle condizioni di giacitura
dei materiali può provenire soltanto da futuri interventi di scavo stratigrafico.
Tipologia dei reperti e attribuzioni cronologiche e culturali
I manufatti litici costituiscono la componente principale del complesso dei reperti
preistorici del territorio di Calenzano. Si
tratta di utensili di vario tipo e funzione,
comprendenti schegge, ritoccate e non,
nuclei per l’estrazione delle schegge, residui pertinenti all’attività di scheggiatura.
In generale, si nota, in quasi tutti gli insiemi provenienti dalle diverse aree, una certa varietà di materie prime utilizzate: sono
rappresentate la selce di diversi litotipi, il
diaspro, la quarzite, l’ossidiana ed altre rocce, il cui approvvigionamento rimanda ad
affioramenti noti del territorio (ad esempio,
selce del Monte Morello, diaspro e quarzi-
28
te locali), ma anche ad origini alloctone, in
alcuni casi anche molto lontane. Come si è
già accennato, l’ossidiana è una roccia che
nell’Europa mediterranea è presente esclusivamente su alcune isole (Pontine, Sardegna,
Eolie, Pantelleria). Il suo rinvenimento in
continente implica l’esistenza della navigazione e di un ampio sistema di circolazione e scambio, sia di materie prime che di
prodotti finiti, che non si avviò prima del
Neolitico.
Si sono rinvenuti anche frammenti di recipienti in terracotta, ma, dato che la ceramica
si conserva difficilmente in contesti di superficie (che costituiscono, si ricorda, il tipo di
rinvenimento più frequente a Calenzano),
essi sono assai più rari rispetto ai manufatti
litici. I siti più ricchi di reperti fittili sono in
effetti quelli portati alla luce attraverso scavi: è
il caso del riparo di Volmiano, indagato dalla
Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, dei saggi compiuti dalla Società
SACI per conto della stessa Soprintendenza
nell’area della Perfetti Ricasoli e di Carraia,
dove le evidenze archeologiche sono state
intercettate da lavori di sbancamento ed erano sigillate dal terreno sovrastante.
Per l’attribuzione cronologica e culturale
delle varie industrie, il problema delle evidenze provenienti da indagini di superficie
e di quelle prelevate durante gli sbancamenti è la mancanza del dato stratigrafico, che
non permette di confermare con dati di
supporto le attribuzioni condotte sulle qualità tecnologiche e tipologiche dei singoli
reperti: queste attribuzioni dunque costituiscono la sola via interpretativa. Inoltre, non
è possibile raggiungere la certezza riguardo
all’omogeneità dei vari insiemi, che possono essere il risultato del mescolamento di
materiali di diversa età, avvenuto in seguito
all’erosione dei sedimenti d’origine e al trasporto da parte di agenti naturali. Riguardo
a quest’ultimo problema, nel corso dell’analisi delle industrie litiche di superficie si è
tenuto conto della presenza di differenti
gradi di abrasione delle superfici e degli spigoli dei singoli pezzi, e si sono talora costituiti dei sottogruppi, che in più di un caso
sono apparsi caratterizzati anche dal punto
di vista tecno–tipometrico e tipologico, ad
indicare che si tratterebbe effettivamente di
industrie (almeno in parte) non omogenee,
composte di elementi di diversa epoca (si
veda infra).
Pur rimanendo a un livello di analisi preliminare, in previsione di studi approfonditi sulle singole industrie litiche e fittili,
si è tentato di attribuire alle varie fasi della
Preistoria e della Protostoria gli insiemi di
manufatti provenienti dai siti individuati fino a questo momento12. Per i gruppi
quantitativamente più scarsi e costituiti da
elementi non diagnostici, è possibile indicare soltanto un’attribuzione generica alla
Preistoria o alla Protostoria.
Malgrado queste difficoltà interpretative, si
può affermare che in generale la maggior parte delle evidenze calenzanesi è da attribuire
all’epoca olocenica, tra il Neolitico e l’età del
Bronzo. Nel caso degli insiemi che comprendono materiali con differenti gradi di alterazione (spigoli più o meno abrasi e arrotondati, superfici fresche o patinate), la maggioranza dei pezzi più freschi sembra ascrivibile
all’Olocene, mentre i rari elementi più frusti,
a giudicare dai caratteri tecno-tipometrici e
tipologici, potrebbero avere un’età più antica
(perlopiù collocabile tra il Paleolitico inferiore e il Paleolitico medio).
Il Paleolitico
12 Il deposito comunale di Settimello a Calenzano conserva la massima parte dei reperti di interesse preistorico del
territorio; una quantità piccola ma significativa è esposta
al pubblico nella mostra permanente dedicata all’archeologia del territorio che è allestita nelle sale del Castello di
Calenzano. Altri piccoli lotti si trovano nelle sedi del GSC e
del GAO. A Firenze, nei magazzini della Soprintendenza per
i Beni Archeologici della Toscana, sono custoditi i materiali
degli scavi di Volmiano e quelli di Carraia. Tutto il materiale
in giacenza presso le sedi dette è stato esaminato. Marco
Giachetti del GAF ha messo a disposizione, oltre ai materiali, la documentazione collegata alle varie raccolte; ha inoltre
acconsentito ad accompagnarci in ricognizione per posizionare con il GPS i siti di rinvenimento dei vari insiemi.
I dati a favore di un popolamento del territorio di Calenzano nel Paleolitico risultano per
il momento molto scarsi: i ritrovamenti sono
limitati ad un esiguo campione di reperti di
superficie, attribuibili solo in via ipotetica a
questo ampio filone cronologico e culturale.
È forse opportuno ricordare che, per l’Europa
mediterranea, le datazioni convenzionali sono
così fissate: il Paleolitico inferiore è compreso
tra circa 1 milione e circa 120.000 anni fa;
il Paleolitico medio tra circa 120.000 e circa
35.000 anni fa; il Paleolitico superiore tra circa 35.000 e circa 10.000 anni fa. L’ambiente,
nel corso delle centinaia di migliaia di anni di
svolgimento di queste antiche fasi, ha conosciuto grandi trasformazioni, a cominciare
dai forti raffreddamenti delle fasi glaciali, che
si alternarono ai periodi interglaciali, caldi e
umidi. Durante questi eventi, le associazioni
floristiche e faunistiche conobbero notevolissimi mutamenti, condizionando fortemente
il sostentamento e i modi di vita dell’uomo.
L’Acheuleano, il Clactoniano e il Tayaziano
sono i tecno-complessi (o le culture) del
Paleolitico inferiore, e sono paralleli alla diffusione in Europa dell’Homo heidelbergensis,
una specie che abitò anche la nostra penisola, benché con minore densità rispetto alle
29
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Figura 3. Veduta dell’area di
Travalle, Podere Chiudente.
popolazioni umane delle fasi successive. Nel
Paleolitico medio si impianta invece la cultura musteriana, che si diffonde in tutta l’Europa e nel Vicino Oriente, su un’area che corrisponde alla diffusione dell’Homo neanderthalensis. Le industrie musteriane presentano
una maggiore variabilità spaziale e cronologica rispetto a quelle precedenti, ad indicare
forse una maggiore versatilità tecnologica e
comportamentale dei Neandertaliani rispetto alle precedenti popolazioni. Il Paleolitico
superiore vede la diffusione nel nostro continente dell’Uomo anatomicamente moderno
e l’affermazione di nuovi tecno-complessi
litici, che si attestano nelle varie regioni e
si sviluppano in ben distinte culture materiali, a partire da quella aurignaziana fino a
quelle cronologicamente più avanzate del
Gravettiano e dell’Epigravettiano.
Quadro delle conoscenze nel bacino di
Firenze e nei territori limitrofi
Il più antico popolamento della porzione
settentrionale della piana di Firenze è attualmente attestato a partire dal Mesolitico, sulla
base dei materiali prelevati in strato nel sito di
Olmicino, a Sesto Fiorentino13, mentre per
il Paleolitico mancano testimonianze certe,
anche se su scala territoriale più ampia la documentazione non è scarsa. Nel corso della lunga
durata di questo stadio, infatti, l’uomo ha frequentato in diverse fasi i rilievi che delimitano
la piana, sia a Nord che a Sud. Manufatti ascriMartini 1989a.
Martini, Salvini 1985.
15
Martini 1984; Fenu 2005.
vibili al Paleolitico inferiore sono stati rinvenuti presso Scandicci sul Monte Lepri14 e nella
zona di Montelupo a Bricoli, Malmantile,
Turbone, Poggio Carbone, Petrognano ed
altri siti15. Si tratta di siti di superficie in cui
si sono raccolti manufatti attribuibili alla fase
inferiore del Paleolitico, comprendenti elementi come i bifacciali, strumenti caratteristici
dell’Acheuleano.
Al Paleolitico medio sono attribuite industrie di superficie raccolte in un’ampia zona
circostante la piana: a Galceti (Prato) e a
Poggio Piazza Calda (Scandicci), nei rilievi di
Impruneta, delle Cerbaie e nei siti della zona
di Montelupo: Poggio Pini, Villa Somelli,
Scopeti ed altri16. Altre attestazioni sono state
individuate nel Mugello a Galliano, Scarperia,
sulle Apuane, nel Livornese e nel Senese.
Benché si tratti quasi sempre di complessi non
databili con precisione, è chiaramente osservabile una variabilità nella presenza o assenza di
certi tipi di strumenti e anche nella presenza di
differenti tecniche di scheggiatura, il cui significato parrebbe essere indicativo di dinamiche
diacroniche, stando a quanto è noto dell’evoluzione del Musteriano in altre regioni (a partire dalla vicina Liguria).
In Toscana i ritrovamenti del Paleolitico
superiore indicano un popolamento diffuso
e continuativo a partire dalla più antica fase,
quella dell’Aurignaziano, che è in parte contemporanea a quella uluzziana (che viene considerata l’ultima produzione neandertaliana tra
35.000-30.000 anni fa circa). Nella zona di
Firenze, un’industria uluzziana è stata indiviGambassini 1975; Martini 1979; Cuda, Sarti 1991; Martini
1984; Martini, Salvini 1985; Fenu 2000; Fenu 2005; Carta
Archeologica 2011, pp. 168-169, PO21.
13
16
14
30
duata in superficie a San Leonardo (Empoli)17
e in altre località presso Montelupo18; all’Aurignaziano sono attribuiti i complessi provenienti dagli scavi di Turbone-Campino, sempre a
Montelupo, e di alcuni siti di superficie nella
stessa zona19; la successiva fase del Paleolitico
superiore, cioè il Gravettiano, ha il suo sito più
importante nel Mugello (Bilancino, datato a
circa 24.000 anni fa)20; ad una fase più avanzata, cioè tra circa 20.000 e circa 10.000 anni
fa, risalgono i siti epigravettiani di Poggio alla
Malva e di Pianali sul Monte Albano21.
Reperti dal territorio di Calenzano
Il fatto che nel complesso rende problematica l’attribuzione al Paleolitico di una parte del
materiale di Calenzano è essenzialmente l’assenza dei dati stratigrafici; le caratteristiche tecnologiche, tipologiche e tipometriche rilevate
su alcuni manufatti raccolti in superficie sono
infatti tipiche ma non esclusive del Paleolitico
(a parte forse il solo caso – si veda infra – di
un nucleo con un motivo inciso sul cortice). È importante tenere conto del fatto che
non mancano esempi noti di industrie litiche
oloceniche, databili tra il Neolitico e l’età del
Bronzo, rinvenute in contesti anche prossimi
al territorio di cui qui si parla (a cominciare da
Sesto Fiorentino), che presentano strumenti
standardizzati e diagnostici, tipicamente olocenici, accompagnati da un Substrato, anche
abbondante, costituito da strumenti generici
che non si allontanano dallo stile delle precedenti produzioni paleolitiche.
Al Paleolitico inferiore o medio potrebbe
risalire un totale di poche decine di manufatti litici che presentano, pur in grado variabile,
uno stato fisico caratteristico: i margini sono
smussati e arrotondati, con pseudoritocchi
talora abbondanti e profondi, e le superfici
appaiono lisciate e alterate da una patina opaca, più o meno spessa. Due piccoli gruppi di
questi elementi provengono da Scopino e da
Dani 1984.
Martini 1984; Fenu 2005.
19 Ibidem.
20
Aranguren 1994; Aranguren, Revedin 2001.
21
M artini 1984; M artini 2001b; F enu 2005; Carta
Archeologica 2011, pp. 501-502, CR35.
17
18
Travalle, poche unità da Villa Bartolini e da
Colle Sotto-S. Donato. Nei primi tre casi, i
pezzi erano mescolati, in giacitura secondaria,
con altri sicuramente più recenti, attribuibili
a fasi preistoriche oloceniche.
Tutti questi esigui insiemi citati hanno caratteristiche tecno-tipologiche che potrebbero,
dunque, richiamare il Paleolitico inferiore
o medio e che si possono così sintetizzare:
la materia prima è costituita da rocce locali
(selce grigio-giallastra di qualità non ottima,
diaspro e quarzite fine); i supporti sono schegge di sagoma irregolare e dimensioni medie e
grandi; si osservano talloni faccettati e negativi dorsali centripeti o sub-paralleli, tecnologicamente coerenti con l’attestazione di
alcuni nuclei a lavorazione centripeta; gli elementi ritoccati, benché rari, appartengono al
Substrato (sensu Laplace 1964): Raschiatoi,
Lame e Denticolati.
Per quanto riguarda il Paleolitico superiore,
diverse raccolte di superficie comprendono
elementi che potrebbero darne testimonianza;
tuttavia non si può né trovare sostegno in particolari differenze di stato fisico né basarsi su
presenze di elementi diagnostici sicuramente
distinguibili, a livello tecno-tipologico, dal
complesso delle testimonianze di età olocenica, che, come verrà di seguito esposto, costituiscono di gran lunga la documentazione più
importante per la Preistoria del territorio.
Un oggetto interessante che probabilmente è
in effetti da attribuire al Paleolitico superiore è una piccola porzione di nucleo in selce
da Scopino, che reca, su un resto del cortice superficiale risparmiato dalla scheggiatura, un motivo grafico inciso: una “scaletta”,
ossia una stretta banda tratteggiata (Scheda
85-1076). È questo un motivo che può
richiamare esempi dell’arte mobiliare mediterranea del tardo Paleolitico superiore che
in Italia sono attestati da Nord a Sud, sia sul
versante orientale (Veneto, Abruzzo, Puglia)
che su quello occidentale (Liguria, Lazio)22.
22 Riparo Tagliente: Guerreschi, Leonardi 1984; Barma
Grande: Graziosi 1973; Grotta Polesini: Radmilli 1974;
Grotta Maritza: Grifoni, Radmilli 1964; Grotta Paglicci:
Palma di Cesnola 1993, p. 467; Grotta Romanelli: Acanfora
1967.
31
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Figura 4. Veduta della piana con
Calenzano e Sesto Fiorentino.
Nel Mesolitico (10.000-8000 anni fa circa) i gruppi umani tendono, anche grazie al
miglioramento climatico che si avvia tra la
fine del Pleistocene e l’inizio dell’Olocene, a
popolare nuove zone e a sviluppare un maggior numero di attività di sussistenza. A questo orizzonte cronologico va attribuito il primo stanziamento umano indagato stratificamente nella piana fiorentina, quello già ricordato di Olmicino a Sesto Fiorentino. Nella
piana, la presenza di specchi e corsi d’acqua
offriva la possibilità di pescare a fianco di
quella di cacciare. Anche nel Valdarno inferiore sono state rinvenute industrie mesolitiche, come a Sammartina (Fucecchio)23. Nel
Valdarno superiore è stato pochi anni orsono
oggetto di scavo il sito di facies sauveterriana
di Levane-Bandella (Comune di TerranuovaBracciolini)24 ed è noto il sito castelnoviano
di Fontanelle (Arezzo)25.
I siti citati di Olmicino, Sammartina e
Fontanelle sono tutti di pianura, ma anche in
Toscana, come accade in molte altre regioni
italiane ed europee, si assiste alla conquista
degli ambienti lasciati liberi dai ghiacci alla
fine dell’ultima glaciazione. È così che per
la prima volta si hanno esempi di frequentazioni (essenzialmente bivacchi di cacciatori) a quote anche superiori ai mille metri,
nell’Appennino tosco-emiliano, sui rilievi in
provincia di Pistoia e di Arezzo, su quelli della Garfagnana (Isola Santa)26.
Dal territorio di Calenzano non provengono manufatti ascrivibili sicuramente al
Mesolitico, ma, come si dirà più in dettaglio
oltre, il sito di Cantagrilli, localizzato a circa
800 m di altitudine sul crinale della Calvana,
che è stato oggetto di scavo durante la redazione della Carta Archeologica, è per tipologia
insediativa assimilabile ai siti d’altura mesolitici e ha restituito un’industria litica neolitica
in cui è osservabile una forte permanenza di
caratteristiche mesolitiche .
La tendenza ad occupare sia le pianure che
Martini 1989a.
Magi et alii 2008.
25 Bachechi 1995-1996.
i rilievi, sfruttando le diverse risorse di un
ambiente ampliato e più differenziato rispetto a quello del Paleolitico, si afferma nel
Mesolitico e si affianca poi, nel corso del
Neolitico, ad una sempre maggiore capacità
di contatto tra le diverse regioni.
Il Neolitico
I materiali rinvenuti sul territorio di
Calenzano sono di più chiara attribuzione e
di gran lunga più abbondanti solo a partire
dalle fasi preistoriche appartenenti all’epoca
olocenica, cioè dal Neolitico in poi. In queste
fasi, in effetti, si assiste ad un’intensificazione della presenza umana anche nei territori
circostanti.
Come è ben noto, il Neolitico vede l’introduzione di nuove forme di sussistenza, essenzialmente basate sull’allevamento e l’agricoltura,
che si instaurano grazie ad un tipo di vita
sedentario che sostituisce quello nomade tipico dei cacciatori paleolitici. A livello di produzione materiale, una delle più importanti
novità è l’introduzione della ceramica. Le prime fasi di formazione di questi grandi cambiamenti si sono svolte nel Vicino Oriente; in
Europa il processo di neolitizzazione si afferma con datazioni differenti, tra circa il 6000
a.C. (coste e isole del Mediterraneo orientale) e circa il 3000 a.C. (Penisola Iberica,
Inghilterra), a suggerire una diffusione da Est
ad Ovest delle innovazioni ad esso collegate.
I limiti cronologici del Neolitico italiano
possono convenzionalmente essere fissati tra
il 6100 e il 3500 a.C. circa, ricordando che,
soprattutto per queste datazioni che indicano
i limiti estremi, ci sono differenze notevoli
tra le varie regioni: ad esempio, il Sud della
penisola e le coste conoscono una neolitizzazione assai precoce rispetto al Nord e alle aree
interne.
Tozzi 1995; Tozzi, Zamagni 2000; Grifoni, Radi, Sarti
2001.
23
26
24
32
Il quadro regionale
La Toscana neolitica è coinvolta, con la
costa tirrenica e le isole, con il Nord e, in un
momento più avanzato, anche con l’Adriatico, in una rete di rapporti di cui sono testimonianza sia la diffusione delle tecniche e dei
tipi nella produzione dei manufatti (ceramica
e litica) sia la stessa presenza di materie prime
alloctone, assenti o sporadiche nel Paleolitico,
come l’ossidiana (proveniente dalla Sardegna
o dalle Eolie), la pietra verde alpina, le selci
fini e compatte originarie dei monti Lessini e
dell’area marchigiana.
Nella valle dell’Arno le prime testimonianze
neolitiche appartengono alla cultura “della ceramica a linee incise”27, mentre nella
Toscana costiera e centro-meridionale si
afferma la ceramica impressa28.
Gli scavi archeologici di Sesto Fiorentino
hanno interessato livelli di frequentazione
risalenti a diverse fasi: le più antiche sono
quelle di Mileto29, Podere della Gora 2 e di
Spazzavento30; le datazioni sono comprese
tra la fine del VI e l’inizio del V millennio
a.C. in cronologia calibrata. La ceramica
di questi siti dimostra l’esistenza di rapporti con l’Italia settentrionale, e in particolare
con la cultura dei Vasi a Bocca Quadrata
(VBQ), oltre che con quella della ceramica
a linee incise. Si tratta di culture continentali
di origine settentrionale ed orientale, che in
Italia si attestano, all’inizio del Neolitico, nel
Nord e in Emilia Romagna. La cultura VBQ
in Toscana è diffusa: ritrovamenti sono stati effettuati sulla costa tirrenica (La Romita
di Asciano, Massaciuccoli), nell’Aretino (La
Consuma 1)31 e nel Senese (Chiarentana,
Cava Barbieri)32.
Benché nel Neolitico antico appaiano prevalenti in Toscana i contatti con il Settentrione,
esistono dati che indicano l’esistenza di rapporti anche con le regioni meridionali: nei
contesti VBQ sono stati rinvenuti frammenSi veda, ad esempio, Martini, Poggesi, Sarti 1999.
Grifoni, Radi, Sarti 2001; Fugazzola Delpino, Pessina, Tinè
2004.
29 Sarti et alii 1991.
30 Sarti, Martini 1993; Sarti, Renna, Viti 2001.
31 Grifoni, Radi, Sarti 2001.
ti di vasellame di impasto fine simile alla
ceramica figulina. La presenza dell’ossidiana
avvalora senz’altro l’ipotesi di contatti con il
Sud.
I più recenti insediamenti neolitici della piana sono quelli di Neto di Bolasse33 e di Netovia Verga34, siti del Neolitico recente e finale.
Il materiale ceramico e litico, ben connotato,
rispetta uno stile che è diffuso in Toscana e in
Italia centrale, recentemente definito “toscoemiliano-romagnolo”35, che si mostra imparentato con lo Chasseano francese e con la
facies Lagozza, con un contributo di sporadici
elementi di origine adriatica (gruppi di Santa
Maria in Selva e di Fossacesia)36 e settentrionali (Vasi a Bocca Quadrata).
Reperti dal territorio di Calenzano
Il sito attribuibile al Neolitico più importante
del territorio è quello già citato di Cantagrilli
sulla Calvana, uno dei pochissimi ad essere stato indagato scientificamente con un
intervento di scavo mirato. Una serie non
nutrita di frammenti fittili ed un’altra, più
ricca, di manufatti litici, raccolte in superficie in diverse località, sono forse attribuibili
al Neolitico, ma non in via esclusiva: i materiali di Travalle, Scopino e Cafaggiolo, che
vengono descritti oltre, comprendono infatti
elementi che potrebbero essere attribuiti al
periodo in questione, ma anche al successivo
Eneolitico.
La ceramica è sicuramente il materiale più
importante per le attribuzioni alle diverse
facies neolitiche, ma a Calenzano è poco indicativa: i pezzi, provenendo perlopiù da campi
arati, sono rari e in pessimo stato di conservazione. La ceramica è sfortunatamente non
diagnostica e assai rara anche a Cantagrilli.
Cantagrilli
Sul crinale della Calvana è stato indagato un
Calvi Rezia 1972; Calvi Rezia 1980; Calvi Rezia et alii 2007.
Sarti 1985; Martini, Sarti 1991.
Sarti, Volante 2001.
35 Ibidem; Sarti, Silvestrini, Volante 2005.
36 Pessina, Radi 2003; Manfredini, Sarti, Silvestrini 2005;
Martini et alii 2005; Sarti, Silvestrini, Volante 2005.
27
32
28
33
34
33
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Il Mesolitico
37
38
Carta Archeologica 2011, pp. 256-258, PO60.
Baglioni et alii c.s.
34
la cui posizione potrebbe suggerire collegamenti con le vie di comunicazione verso l’interno. Come si è già detto, nell’Alto Mugello,
a Cialdino (Firenzuola) è stato individuato
un sito attribuibile ad un momento molto
iniziale del Neolitico, la cui industria litica,
per ora oggetto di uno studio preliminare38
sembrerebbe comprendere elementi mesolitici e neolitici.
Il ruolo dei siti d’altura interessa sia la sfera
della sussistenza che quella degli scambi. Se
i crinali erano ben noti, tanto più noto era
il fondovalle, come percorso verso il valico
appenninico. L’attribuzione di Cantagrilli ad
un momento iniziale del Neolitico, e la sua
posizione sul monte all’ingresso del percorso che dalla Val di Marina conduce al valico transappenninico, legano questo sito a
quello di Cialdino nell’Alto Mugello39, zona
anch’essa collocata lungo una delle vie più
agevoli tra la Toscana e l’Emilia Romagna.
Cialdino (Firenzuola) ha restituito un’industria litica associata a ceramica del primo
Neolitico, in cui si conservano tipi e tecniche
di derivazione mesolitica.
L’Eneolitico e l’età del Bronzo
La metallurgia è un’innovazione che, provenendo ancora una volta dall’Oriente, interessa gradualmente l’intera Europa e, affermandosi, provoca una serie di profondi cambiamenti nel rapporto tra le diverse comunità,
tra queste e il territorio e all’interno di esse
nel tessuto sociale. Il metallo è infatti da subito considerato un bene prezioso, per le sue
caratteristiche, la sua rarità e per le difficoltà
tecniche che la sua estrazione e lavorazione
implicano, per le quali si rende necessaria
la formazione di una categoria di artigiani
competenti ed esperti, e quindi una precisa divisione degli incarichi. I territori in cui
sono presenti le cave vengono controllati; le
attività di scambio conoscono un incremento
importante.
Sulla base dei diversi metalli impiegati nel
39
Ibidem.
corso del tempo, si distinguono tre fasi principali, molto diverse tra loro: l’età del Rame o
Eneolitico, l’età del Bronzo e l’età del Ferro.
In Italia l’Eneolitico inizia nella seconda metà
del IV millennio ed occupa praticamente
l’intero III millennio a.C. Il rame è utilizzato
soprattutto come bene di scambio e serve alla
fabbricazione di oggetti di prestigio: gli utensili, le armi e gli oggetti d’uso continuano ad
essere realizzati in pietra e in altri materiali.
La tecnica di lavorazione del metallo inizia
in un primo momento con la martellatura a
freddo, e solo in un secondo tempo si introduce la fusione. A livello regionale, esiste una
notevole diversità di culture, che si riscontra sia nelle produzioni, in particolare nella
ceramica, che nelle modalità insediative e
funerarie. Intorno alla fine del III millennio,
invece, si assiste alla diffusione in gran parte della penisola (Centro-Nord e isole) della
Cultura del vaso campaniforme, che interessa anche una vasta porzione del continente
europeo (dalle regioni atlantiche alla Polonia
e all’Ungheria), e che è caratterizzata da ben
riconoscibili manufatti ed usi simbolici, pur
adattandosi di volta in volta ai substrati locali
ed integrandoli.
L’età del Bronzo si fa convenzionalmente
iniziare (sempre in Italia) tra la fine del III e
l’inizio del II millennio, con datazioni diverse
a seconda delle varie regioni. Questo stadio
è caratterizzato dalla lavorazione del bronzo,
la lega di rame e stagno, molto più resistente ed efficace del rame puro. Le suddivisioni
sociali si fanno sempre più marcate: il bronzo
è oggetto di commercio e di tesaurizzazione, e da bene di prestigio assume un vero
significato di potere economico sia a livello
individuale che di comunità. L’allevamento
e l’agricoltura sono ancora i mezzi principali
di sussistenza; l’invenzione dell’aratro, risalente all’Eneolitico, si afferma e si diffonde.
Riguardo al rito funerario, viene introdotta
la pratica dell’incinerazione. Anche l’età del
Bronzo è caratterizzata da una grande varietà
di aspetti culturali, sia in senso cronologico
che geografico. Al suo interno si distinguo-
La Toscana è ricca di documentazione sia
per l’età del Rame che per l’età del Bronzo su
buona parte del suo territorio, e l’area fiorentina rappresenta la fonte più cospicua di dati,
visto che fu occupata con continuità durante
queste fasi e che è oggetto di ricerca praticamente ininterrotta da ormai tre decenni.
L’Eneolitico è un periodo ben documentato
nella piana di Sesto, tanto che è lecito ipotizzare che essa conobbe un certo incremento
demografico in questa fase40. L’introduzione
della metallurgia vi è già attestata piuttosto
presto, cioè durante la prima metà del IV
millennio: a Neto-via Verga, nell’orizzonte 5, datato al 3708-3486 a.C. (datazione
calibrata), sono stati rinvenuti crogioli per
la fusione e una lesina in rame. Anche da
Podere Pietrino, in provincia di Prato, sono
noti esemplari di crogiolo41. Durante la prima età del Rame, sia la ceramica che la litica
conservano molti aspetti ancora neolitici, ma
nella ceramica si affermano anche usi decorativi nuovi: le pareti vascolari sono trattate
a crudo con apporti di argilla a squame e a
scaglie o rigate con la spazzolatura. Vengono
applicati cordoni ed elementi come bugnette
coniche o a linguetta; gli orli e i cordoni possono essere interessati da impressioni, realizzate con bacchette di legno, con unghiate o
con pigiature digitali. Molti di questi aspetti
innovativi, che avranno una lunga attestazione anche nel corso dell’età del Bronzo,
sembrano indicare che, rispetto al precedente
periodo Neolitico, i contatti privilegiati della
regione si siano spostati dall’Italia centro-settentrionale in favore dell’Emilia, del versante
adriatico e del Meridione.
Sarti 1998; Sarti, Martini 2000a.
Volante 2003; Martini, Poggesi, Sarti 1999; Giachi,
Pallecchi, Sarti 2001; Carta Archeologica 2011, pp. 293297, PO73 ed inoltre pp. 298-299.
40
41
no convenzionalmente queste fasi, delle quali
si indicano di seguito le datazioni (calibrate)
riguardanti l’Italia centrale. Bronzo antico: 2300-1700 a.C.; Bronzo medio: 17001350 a.C.; Bronzo recente: 1350-1200 a.C.;
Bronzo finale 1200-1020 a.C.
Il quadro regionale
35
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
orizzonte archeologico ricco di manufatti
litici attribuibile ad un momento iniziale del
Neolitico (figg. 1-2)37. Il sito (Scheda 7) si
trova ai limiti del territorio comunale, tra il
Poggio Cocolla e il Monte Cantagrilli, ad una
quota di circa 770 m slm. Il luogo si contraddistingue per la presenza di una dolina poco
depressa, originatasi per un episodico sprofondamento dei depositi dovuto al carsismo
locale, e riempita in antico dalla sedimentazione di limi ed argille. In epoca moderna, un
dilavamento profondo tra uno e due metri ha
aperto un varco in tale sedimentazione, permettendo una prima raccolta di materiale
dalle sezioni e dal fondo del dilavamento, che
fu eseguita e segnalata dal GAO, e l’individuazione di una sequenza stratigrafica che è
stata oggetto di diversi sondaggi archeologici.
Le indagini sono state affidate in concessione dalla SBAT alla Sezione di Preistoria del
Dipartimento di Archeologia e Storia delle
Arti dell’Università di Siena, in collaborazione con il Museo Fiorentino di Preistoria.
Finora sono state condotte due campagne
(nelle estati del 2007 e del 2008). Lo scavo ha
attraversato quattro livelli con materiale litico
e fittile, piccoli frammenti di ossa bruciate e
piccoli frustoli di carbone.
Tra i manufatti recuperati, la litica è abbondante e per stato fisico molto fresca; la ceramica, come si è già ricordato, è rara, molto
mal conservata e perlopiù costituita da frammenti molto ridotti.
L’industria litica comprende nuclei a lamelle
(1146, 1147, 1148), lame e lamelle ritoccate
e non, e strumenti geometrici, tra cui trapezi
(1145) e triangoli (1156); la materia prima è
costituita da selci di diverso tipo e colore, e
da più raro diaspro. La presenza di elementi
di tradizione mesolitica sembra interpretabile come una persistenza che, assieme ad altri
elementi e al ritrovamento di pur rara ceramica, potrebbe far attribuire il materiale, in
via provvisoria e suscettibile di approfondimenti, ad una fase iniziale del Neolitico.
È difficile per il momento identificare con
precisione la funzione del sito; sembrerebbe
trattarsi di un’occupazione di piccola entità,
litica campaniforme a Sesto è scarsamente
laminare e comprende foliati, segmenti di
cerchio, punte a dorso bilaterale; le industrie
più simili sono quelle del Nord Italia e del
Sud della Francia53.
La conservazione nella cultura del Bronzo
antico iniziale di usi produttivi e insediativi
precedenti (Epicampaniforme) è una tendenza che presto si affievolisce: nella ceramica
aumentano le decorazioni plastiche e compaiono forme che saranno caratteristiche del
Bronzo medio. Da questo momento, collegamenti con le zone transappenniniche sono
ipotizzabili dietro ai primi esempi di solcature sulle pareti dei recipienti, un uso anch’esso
più tipico del Bronzo medio; inoltre sono ben
attestate le scodelle con orlo a tesa e le anse a
gomito, elementi diffusi in Italia centrale e
settentrionale. Con il tempo, entrando nel
Bronzo medio, il rapporto con il Nord sembra intensificarsi, ma non tanto da escludere
collegamenti anche verso il Senese e verso il
Sud54. Nella litica si assiste, rispetto all’Eneolitico, alla graduale rarefazione dei foliati e
delle cuspidi e alla scomparsa dei geometrici.
Nel corso dell’età del Bronzo i siti della piana appaiono più grandi e stabili: aumentano
i casi di siti pluristratificati, occupati con
continuità anche per più secoli. Inoltre, nel
Bronzo medio, intorno alla metà del II millennio, accanto ai siti di pianura si diffondono anche gli insediamenti collinari, assenti
nell’Eneolitico e nel Bronzo antico. Esempi
di insediamenti nella piana sono Petrosa55;
Termine Est 256; Frilli C57; Dogaia58. Sui
rilievi sono stati individuati invece i siti di
Filettole59, Cava Rossa di Figline60, Stabbia61
e Caprona62. La comparsa degli insediamen-
Brilli, Fenu, Leonini 2005.
43 Leonini 2005; Balducci, Leonini 2005.
44 Calattini 1990; Perazzi 1993; Sarti 1999.
45 Sarti 1995-1996; Cresci, Zannoni 2001.
46 Martini, Poggesi, Sarti 1999; Sarti, Martini 2000a.
47 Leonini, Sarti 2008.
48 Sarti 1997.
49 Sarti 1995-1996; Sarti, Leonini 2000; Sarti, Martini
2000b
50 Sarti et alii 1987-1988.
51 Sarti 1995-1996; Sarti 1997a; Sarti 1997b; Leonini 2004.
52 Sarti 1995-1996; Sarti, Martini 2000a; Sarti, Martini
2000b.
Sarti, Martini 2000b; Martini 2001a.
54 Grifoni Cremonesi 1968; Bermond Montanari et alii 1996;
Cuda, Sarti 1996; Sarti, Martini 2000a.
55 Sarti 1994.
56 Sarti, Martini 2000b.
57 Sarti et alii 2001.
58 Sarti, Martini 1993.
59 Sarti, Guidi 1999; Carta Archeologica 2011, pp.288-290,
PO70 (Roberta Guidi).
60 Sarti, Martini 1993; Carta Archeologica 2011, p.145,
PO11 (Roberta Guidi).
61 Dani 1966.
62 Manfredini, Panicucci 1982.
42
36
53
ti sui rilievi indica forse esigenze difensive,
che compaiono tendenzialmente nel Bronzo
medio anche in altre regioni, ma non è da
escludere che costituiscano una scelta conseguente ad un momento di impaludamento
della piana.
L’uso insediativo dei paleolavei scompare; si
tende a realizzare singole capanne in leggeri
avvallamenti, a volte sommariamente pavimentate. La ceramica suggerisce collegamenti con l’Italia centrale, e in particolare con la
facies di Grotta Nuova (sensu lato): si osservano tazze e scodelle troncoconiche, forme
carenate, anse a rocchetto, prese a linguetta
forate, cordoni applicati. Al perdurare della
tradizione locale più antica sono invece da
attribuire le decorazioni a punzonature, a tacche, ad unghia, e quelle incise e a solcature,
già presenti nel Bronzo antico.
Le fasi più avanzate dell’età del Bronzo
(Bronzo recente e finale) hanno restituito
tracce meno abbondanti nella piana rispetto a quelle precedenti, ad indicare forse un
periodo di spopolamento. Per quanto riguarda l’età del Bronzo finale, un sito sestese
importante è quello di Cilea63. In Val di Pesa
si trova invece l’abitato su collina di Bibbiani,
presso Limite64. La produzione ceramica suggerisce che anche nel Bronzo finale la regione appare connessa con l’ambiente culturale dell’Italia centrale, in particolare con il
“gruppo Cetona-Chiusi”, in cui tra l’altro si
constatano influssi da parte dell’ambito terramaricolo che devono essere stati possibili
proprio grazie al collegamento offerto dai siti
della provincia di Firenze65.
Anche a Calenzano, l’età dei Metalli pare
essere rappresentata in modo più abbondante
nelle sue fasi più antiche: anche se le attribuzioni non sono precise, sia per la litica che
per la ceramica gli elementi più diagnostici
sembrano rimandare ad orizzonti cronologici
e culturali compresi tra l’Eneolitico e l’età del
Bronzo antico.
Ceramica eneolitica è stata rinvenuta nel
riparo di Volmiano66; uno dei saggi dell’area
della Perfetti Ricasoli ha restituito litica e
ceramica probabilmente anch’esse eneolitiche; da Scopino provengono alcuni utensili
microlitici tecnicamente indicati con il termine “semilune” o con la già citata definizione
di “segmenti di cerchio”. Questi strumenti,
pur trovando riscontro in diversi contesti culturali preistorici, conoscono un certo
sviluppo nell’Eneolitico, e in particolare nel
Campaniforme, di cui a Sesto Fiorentino,
come si è detto, sono ben documentate le
fasi avanzata e terminale, collocabili tra la
fine dell’età del Rame e l’inizio di quella del
Bronzo.
Nel corso dell’intera età del Bronzo, è probabile che il territorio di Calenzano sia stato
frequentato in maniera continuata, come nel
caso di Sesto, ma è difficile trovare conferme nel dato archeologico attualmente disponibile, perché non si individuano elementi
abbastanza connotati da costituire un valido
riferimento in tal senso. La litica dal Bronzo
medio in poi è in genere povera di tipi standardizzati e la ceramica, come si è già detto, è
poco rappresentata a Calenzano.
Il sito che ha restituito i materiali diagnostici più recenti nel quadro della Preistoria,
o meglio della Protostoria territoriale, è
Carraia, dove sono stati raccolti, nel terreno
smosso e nelle sezioni di uno sbancamento,
diversi frammenti di recipienti con decorazioni impresse e una fibula in bronzo attribuibili al Villanoviano, cultura che si sviluppa
in Etruria nella prima età del Ferro, tra il X
63 Sarti, Martini 1993; Paterna, Poggiani Keller, Rossi
2001.
64 Balducci, Fenu 2005.
65 Zanini 1997; Bermond Montanari 2001; Bietti Sestieri et
alii 2001; Peroni 2001.
66 Ceccanti 1980.
Reperti da Calenzano
37
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Oltre ai siti sestesi, sono noti nel Valdarno
medio-inferiore l’abitato dell’Ambrogiana a
Montelupo42 e la tomba a fossa di S. Quirico
a Montespertoli43, oltre ad altre attestazioni
in Val d’Elsa (Le Lellere, Podere Cucule)44
e nel Chianti (Poggio la Croce a Radda in
Chianti)45.
Per quanto riguarda la fase terminale
dell’Eneolitico, è ancora la zona di Sesto
Fiorentino a fornire le più ricche informazioni sulla cultura del vaso campaniforme46, e
su i suoi rapporti con i substrati locali47. I siti
campaniformi sestesi noti ad oggi ammontano a circa quindici (la maggiore concentrazione in Italia) e si datano tra la metà e la fine
del III millennio; si tratta perlopiù di abitati o di singole capanne. I villaggi più estesi
risultano quelli di Querciola48, Semitella,
Lastruccia49. A via Bruschi è invece stato
individuato un tumulo, che ci informa sugli
aspetti del rito50.
Con il Campaniforme, la piana prende parte ad un fenomeno culturale internazionale,
che, come è noto, interessa una vasta parte dell’Europa, e che, pur permettendo la
conservazione di aspetti originali connotati
regionalmente51, costituisce un’importante
cesura sotto molti aspetti: si instaurano una
nuova economia, nuove modalità insediative, nuove produzioni e trasformazioni nel
rito funerario.
Al cosiddetto “stile internazionale” appartengono le più antiche attestazioni sestesi di
ceramica campaniforme, mentre, alla fine del
III millennio, la produzione fittile si evolve in
una regionalizzazione che nel Bronzo antico
si stabilizza in un fenomeno terminale molto standardizzato (Epicampaniforme)52. La
Il riparo di Volmiano
Il riparo di Volmiano (Scheda 16), a 350 m
slm, è stato indagato alcuni decenni orsono da parte della Soprintendenza per i Beni
Archeologici della Toscana, che vi ha realizzato alcuni saggi68. Il materiale recuperato
comprende ceramica e litica, proveniente da
due livelli principali. Nel livello superiore
sono stati recuperati frammenti fittili attribuibili all’Eneolitico, con decorazioni plastiche, bugnette, cuppelle e spazzolature (ad
esempio, (1179, 1180); nel livello inferiore,
distinto in due sotto-livelli, sono stati individuati elementi forse riferibili al Neolitico.
Travalle
Passando ai reperti di superficie, ad un orizzonte compreso tra il Neolitico e l’Eneolitico sembrano rimandare, almeno per alcune
caratteristiche tipologiche, le componenti
principali delle industrie litiche di Travalle,
Scopino e Casa Cafaggiolo.
L’area di Travalle è costituita da una piana,
attualmente coltivata, in leggera pendenza,
ai piedi dei monti della Calvana. Si tratta
dell’area più ricca di ritrovamenti preistorici del territorio comunale; le raccolte sono
state effettuate a partire dagli anni Settanta,
dal GAF. I manufatti sono in grandissima
parte litici; molto più esigua è la componente ceramica. In quest’ultima categoria,
l’unico elemento indicativo è un’ansa a rocchetto69, che per tipologia pare assimilabile a
quelle del Neolitico finale e che in un primo
momento è stata per questo ritenuta avvicinabile alla cosiddetta cultura di Diana, anche
se ormai molti dati sembrano indicare che in
Italia centrale si è impiegato il tipo di ansa a
rocchetto, su tazze e scodelle aperte, in una
fase, precedente a quella di Diana, collocabile
intorno alla metà del V millennio.
Gli altri frammenti fittili rinvenuti, generici,
sono pareti e qualche orlo di tipo non diagnostico; molti di questi sono stati considerati risalenti al periodo preistorico o protostorico sulla sola base della qualità dell’impasto
e delle superfici, anche se in alcuni casi con
qualche dubbio, visto che sul sito sono documentate anche frequentazioni successive.
La litica comprende circa quattromila pezzi
in totale, di cui più di due terzi provengono dall’area di Podere Chiudente (fig. 3). Lo
stato fisico dei pezzi è relativamente fresco e
quasi del tutto omogeneo, se si eccettuano
pochissimi elementi a spigoli abrasi (di cui
si è già detto). La materia prima è costituita
soprattutto da diaspro e selce, locale e non,
seguita da calcare siliceo, quarzite, quarzo e
ossidiana. Da un punto di vista tipologico e
tecnologico, si individuano sicuri elementi
che indicano una cronologia olocenica: prima di tutto la presenza di ossidana, in schegge e in lamelle di piccolo formato, ritoccate e
non (39 – 1038, 1042, 1043, 1046), e quella
delle punte di freccia, in selce e diaspro; sono
poi riscontrabili, sempre a favore di un’attribuzione olocenica, elementi quali la presenza di non pochi nuclei a lamelle, molto
sfruttati (ad esempio, 39 – 1023, 1135), e di
strumenti microlitici, a ritocco semplice ed
erto. Tra gli strumenti a ritocco semplice si
nota la presenza di grattatoi corti microlitici, anche di forma circolare e sub-circolare
(Scheda Calenzano 39 – 1137); tra quelli a
ritocco erto si segnalano un trapezio (Scheda
39 – 1131), troncature (Scheda 37 – 1008;
Scheda 39 – 1042) e lamelle a dorso, realizzate soprattutto su supporti di dimensioni piccole e molto piccole. Gli strumenti a ritocco
piatto sono meno frequenti e sono rappresentati da punte peduncolate (punte di freccia) e
da alcuni raschiatoi foliati. Le punte di freccia sono realizzate in modo ora più ora meno
accurato e hanno sagome abbastanza diversificate, con elementi più allungati (mai molto
slanciati) o più tozzi, e spessori variabili, dai
pezzi massicci a quelli più piatti.
Nel complesso, gli elementi ritoccati possono
suggerire, in via provvisoria, una collocazione
dell’industria tra il Neolitico finale e l’Eneolitico: le lamelle ritoccate sono ben rappresentate nel Neolitico locale, ad esempio a NetoBolasse70; sia i grattatoi corti che il trapezio
e i foliati possono trovare un confronto con
alcune industrie sestesi dell’Eneolitico, come
quella di Querciola71 (si veda anche infra, a
proposito di Scopino). Ad un ambito eneolitico potrebbe anche rimandare un manufatto
in pietra levigata, frammentario (Scheda 37 –
1006), probabilmente pertinente ad un’asciamartello72.
Si osserva inoltre la presenza di alcuni manufatti sbozzati, piccoli nuclei e schegge con
ampi distacchi scagliati e piatti, che tendono ad appiattire il supporto, apparentemente
abbandonati in corso di lavorazione, talvolta
forse per rottura incidentale. Questi pezzi
paiono attribuibili (seppure con riserve, dato
che occorrerebbe uno studio approfondito)
alla catena operativa che porta alla realizzazione delle punte di freccia foliate. Il dato
indicherebbe una lavorazione in loco della
materia prima, che pare confermata d’altronde dalla frequenza dei nuclei, a lamelle
e d’altro tipo. Questo tipo di ritrovamenti,
insieme al fatto che l’industria, come si è detto, è quantitativamente molto ricca, permette
di ipotizzare che l’occupazione della zona (o
delle sue immediate vicinanze) non sia stata
occasionale e sporadica, ma che abbia avuto
una certa stabilità e durata, forse anche assumendo i connotati di un vero e proprio abitato. In questo caso, questi materiali, anche
se in giacitura secondaria, potrebbero essere
la traccia di un insediamento assimilabile a
quelli rinvenuti nel limitrofo territorio di
Sesto (si veda infra).
Va ricordato il fatto che i pochi elementi a
stato fisico non fresco, che come si è detto
mostrano una certa caratterizzazione (e possono forse rimandare al Paleolitico, si veda
infra), potrebbero essere alloctoni ed essersi mescolati agli altri dopo aver subito uno
spostamento da una o più zone del versante
Martini, Sarti 1991.
Sarti 1997a; Sarti, Martini 2000b.
72 Cocchi Genick, Grifoni Cremonesi 1989.
70
67 de Marinis, Salvini
68 Ceccanti 1980.
1999a; pp. 75-78.
38
69
Martini, Sarti 1991; Sarti, Martini 1993, pp. 30-31.
71
che sovrasta l’area pianeggiante di Travalle;
anche i pezzi più freschi devono aver subito uno spostamento, ma probabilmente in
modo meno intenso e per un periodo meno
prolungato.
Scopino
A Scopino-Vigna Villa Gamba (Scheda 85)
sono stati raccolti dal GAF, in un’ampia area
leggermente degradante, coltivata a vigneti,
più di 1600 manufatti litici, comprendenti
nuclei, schegge non ritoccate e strumenti,
oltre ad una sessantina di frammenti fittili di
impasto grossolano. La raccolta, una delle più
ricche del territorio, è numericamente inferiore solo a quella di Travalle73.
Nel complesso, la maggior parte dei manufatti litici presenta spigoli abbastanza freschi;
spesso si nota una leggera patina lucida. La
materia prima più utilizzata è la selce, rappresentata da diversi litotipi; seguono il diaspro,
una quarzite fine di colore scuro, e infine, più
rara, l’ossidiana.
Tra i nuclei si osservano elementi per la produzione di lamelle di piccole e medie dimensioni, generalmente a un solo piano di percussione, a lavorazione accurata, spesso molto sfruttati (ad esempio, 1087, 1088, 1115).
Tra i supporti scheggiati prevalgono le schegge di piccole dimensioni; si nota la presenza
di elementi allungati (lame, lamelle e microlamelle), molto spesso in condizioni frammentarie, che perlopiù non sembrano essere
ritoccati (ad esempio, 1077, 1085). Gli elementi ritoccati sono in gran parte di tipometria medio-piccola; si notano grattatoi (1092,
1081), strumenti a ritocco erto, come troncature (1078), lamelle a dorso (1118, 1086)
e a dorso e troncatura (1117); Geometrici,
tra cui due trapezi (ad esempio, 1051) e due
segmenti di cerchio o semilune (ad esempio,
1116); sono presenti anche i pezzi foliati e,
in particolare, alcune punte foliate peduncolate (punte di freccia), che mostrano sagome
sia slanciate (1079, 1119) che corte e larghe
(1120) e sezioni piatte o massicce. I tipi attri-
La raccolta è stata condotta su due zone principali adiacenti, a cui corrispondono le sigle SC e SE II, con cui è stato
marcato il materiale. Il lotto più abbondante è siglato SE II.
73
39
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
e l’VIII secolo a.C. Anche questa evidenza
non è isolata all’interno della regione: a Sesto
Fiorentino sono state individuate tombe “a
pozzetto” nei siti di Val di Rose e Madonna
del Piano67.
Martini, Di Lernia 1989; Martini 2001a.
Neto-via Verga, orizzonte 7: Sarti 1985; Sarti 1997b;
Sarti, Volante 2001.
76 Si veda, ad esempio, il sito sestese di via Leopardi, orizzonte inferiore: Sarti, Arrighi 2001.
77 Il gruppo più consistente di reperti, cioè circa 200 (cera74
75
40
traddice l’ipotesi di un inquadramento del
sito in epoca neo-eneolitica; la scodella composta, pur non appartenendo ad un tipo molto standardizzato e cronologicamente ben
delimitabile, trova confronti nel Neolitico
finale di Sesto75 e nell’Eneolitico dell’Italia
centrale; le forme basse composte, quali le
tazze e le scodelle carenate, sono infatti caratteristiche della tradizione neolitica ChasseyLagozza, diffusa in Francia meridionale e
in Liguria, il cui influsso perdura nell’area
peninsulare centro-settentrionale anche nella successiva età del Rame. Anche il cordone
a impressioni sottili e la parete decorata con
le impressioni ad unghia possono essere di
ambito eneolitico76.
Casa Cafaggiolo
In tre aree adiacenti, indicate con le denominazioni di riferimento Casa Cafaggiolo
(Scheda 69), Fosso Garillino (Scheda 68) e
Vigna Chiosina (Scheda 72), il GAF ha raccolto, in campi coltivati, una serie di materiali litici e fittili attribuibili ad epoca preistorica77. Nel loro complesso, questi nuclei di
materiale, oltre a provenire dalla stessa area,
sembrano, in via generale, omogenei dal
punto di vista tecno-tipologico; essi vengono
quindi trattati insieme.
La litica comprende nuclei, schegge e lame,
in selce di diverse qualità, diaspro e altre
materie prime. Tra i nuclei si notano diversi
elementi per l’estrazione di piccole schegge e
lamelle (Scheda 69 – 1108). La pezzatura dei
supporti scheggiati è tendenzialmente mediopiccola. I ritoccati, presenti in poche decine,
comprendono rari Grattatoi, lunghi (Scheda
69 – 1105) e corti, questi anche molto piccoli (Scheda 69 – 1140), pochi Foliati, tra cui
punte di freccia (Scheda 69 – 1110; Scheda
72 – 1182), alcuni strumenti a ritocco erto,
tra cui una semiluna, anche se piuttosto “rozza” (Scheda 69 – 1104). Ben rappresentato
è il Substrato, con Raschiatoi e Denticolati,
mica e litica), proviene da Casa Cafaggiolo (sigle CCFSE,
CCFSE II e CCF); gli altri insiemi invece sono costituiti da
poche decine di pezzi (sigle CA, CF II, VICH). Al materiale di
Vigna Chiosina affianchiamo qui anche i pochi pezzi siglati
VIOR, raccolti nelle immediate vicinanze.
di dimensioni più grandi rispetto alla media
dell’industria.
L’insieme litico è sicuramente di epoca olocenica, ma è difficile tentare un’attribuzione più
precisa; si ricorda la presenza delle semilune,
considerata indicativa di un periodo compreso tra il Neolitico avanzato e l’età del Rame;
anche altri elementi, come la presenza del tipo
di grattatoio corto di piccole dimensioni, non
contrasterebbero con questa ipotesi.
La ceramica proveniente dai tre siti non raggiunge il centinaio di pezzi ed è quasi esclusivamente costituita da frammenti di pareti
di forme non determinabili. Due soli sono
gli elementi da notare: un frammento di
orlo diritto con impressioni digitali subito al
di sotto del bordo (Scheda 72 – 1100), e un
frammento di parete carenata spessa (Scheda
69 – 1109). Entrambi gli elementi possono
contribuire all’ipotesi di una collocazione
dell’insieme nell’Eneolitico.
Un momento più avanzato del popolamento
olocenico della piana di Calenzano sembra
testimoniato dai materiali rinvenuti durante
il sondaggio dell’area della Perfetti Ricasoli e
in superficie a Villa Bartolini.
Perfetti Ricasoli
Nell’area interessata dai lavori pertinenti alla Perfetti Ricasoli (Scheda 80), la
Soprintendenza per i Beni Archeologici della
Toscana ha condotto un’indagine archeologica tramite sondaggi. In uno di questi,
il Saggio 5, è stato raccolto materiale di età
preistorica, consistente in una ventina di
manufatti litici, circa 200 frammenti di ceramica e una trentina di reperti faunistici.
La litica è quasi esclusivamente costituita da
schegge non ritoccate di aspetto generico; i
rari ritoccati sono anch’essi perlopiù poco
indicativi, ma va sottolineata la presenza di
una semiluna frammentaria (1053).
La ceramica, benché relativamente abbondante, è quasi tutta non diagnostica, dato
che prevalgono i frammenti – e in gran parte
piccoli – di pareti. Degni di rilievo appaio-
78
Sarti, Carlini, Martini 2000.
no tuttavia due frammenti con decorazioni
impresse: una parete che conserva un’impressione ad unghia (1062) e un orlo con una
serie di piccole impressioni disposte in due
file parallele, che corrono immediatamente al
di sotto di esso (1039). Si notano anche due
frammenti con cordoni digitati, su uno dei
quali si conserva l’attacco di un’ansa o di una
presa (1010). Su un altro frammento si può
osservare una bugnetta conica poco rilevata
(1035).
Il materiale, troppo esiguo per prestarsi a
considerazioni di carattere storico, può soltanto in via ipotetica essere assegnato ad un
periodo compreso tra l’Eneolitico e il Bronzo
antico, quando sono ben attestati i tipi di
decorazione ad unghia e punzone, le pareti
con bugnette e, per quanto riguarda la litica,
le semilune. Dal sito sestese di Volpaia, Strato
578, collocabile nella seconda fase dell’Eneolitico locale, all’incirca alla metà del III millennio a.C., proviene un orlo con impressioni
simile a quello dell’insieme qui descritto.
Villa Bartolini
In località Villa Bartolini (Scheda Calenzano
78), in campi arati, sono state raccolte dal
GAF alcune centinaia di manufatti litici e
fittili79.
La litica comprende circa 200 pezzi, in selce
e diaspro, quasi tutti a spigoli abbastanza freschi e raramente interessati da pseudoritocchi. Si notano nuclei a un piano con distacchi
paralleli, per l’estrazione di schegge e lame di
piccolo formato (1058); le dimensioni degli
elementi scheggiati sono perlopiù medio-piccole. Appaiono frequenti i supporti allungati
di piccole dimensioni, con negativi dorsali
paralleli, spesso frammentari, ad indicare
un’abbondante produzione laminare. Tra i
ritoccati, che contano poche decine di pezzi,
sono frequenti i tipi del Substrato, in particolare Lame, Raschiatoi e più rari Denticolati,
in molti casi realizzati con ritocco parziale e
sommario. Ben attestati appaiono gli Erti differenziati, con lame e lamelle a dorso, troncature (1055) e una semiluna (1143).
79
Sigle VB, VA, SEG.
41
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
buibili al Substrato sono perlopiù Raschiatoi
corti e Lame; più rari appaiono i Denticolati.
L’industria litica è nel complesso ascrivibile
all’epoca olocenica, per l’uso dell’ossidiana,
la produzione di lamelle, la tipometria ridotta degli strumenti, l’attestazione delle punte
di freccia. Va probabilmente distinto l’elemento con il motivo a scaletta menzionato
nel capitolo sul Paleolitico del territorio (si
veda p. 31). Si rilevano poi alcuni caratteri
che potrebbero incoraggiare una collocazione
tra una fase avanzata del Neolitico e l’Eneolitico: i segmenti di cerchio, già presenti
assieme ai trapezi in alcuni contesti della fine
del Neolitico, si affermano infatti in tutta la
penisola con l’età del Rame74. Nel già citato
sito di Querciola, la litica comprende geometrici, tra cui trapezi e segmenti di cerchio,
punte foliate peduncolate, lamelle e microlamelle a dorso.
Per quanto riguarda la ceramica rinvenuta,
è tutta di impasto grossolano ed è costituita
perlopiù da pareti di forme non identificabili, a parte un frammento (1114) di scodella composta (sensu Sarti 1989). Questo
esemplare presenta un fondo a calotta e una
breve parete superiore cilindrica, il cui profilo
leggermente concavo rende l’orlo quasi estroflesso; il bordo è arrotondato; la carena non è
molto evidenziata e ha un profilo non molto
regolare. Ad una forma simile doveva appartenere anche un altro frammento, ospitante
una carena poco evidenziata. Si osserva poi la
presenza di un’ansa a rocchetto, a profilo leggermente insellato (1064). Altri elementi che
possono essere indicativi, seppur in via generale, sono tre frammenti di pareti decorate
con cordoni plastici, uno dei quali è ornato con impressioni sottili verticali (1082),
mentre gli altri sono lisci. Un altro piccolo
frammento di parete ospita due impressioni a
unghia (1113). Un ultimo pezzo identificabile è una fusaiola troncoconica frammentaria.
Nessuno degli esemplari fittili descritti con-
Evidenze databili tra la fine dell’età del
Bronzo e l’età del Ferro
Ad un momento terminale dell’età del
Bronzo, al passaggio con l’età del Ferro, può
essere attribuito il materiale di Carraia, che è
stato recuperato dal GAF in occasione di uno
scavo edilizio condotto all’inizio degli anni
Ottanta (Scheda 20). Si tratta di una ventina
di manufatti litici e di circa 300 frammenti
ceramici, probabilmente pertinenti a tombe
di epoca villanoviana. Sono presenti infatti
vari pezzi di una o più lastre di copertura in
calcare, oltre a diversi frammenti di forme
vascolari decorate con i tipici motivi villa-
80 de
noviani, probabilmente anche appartenenti
a forme biconiche, che, come è noto, sono
normalmente utilizzate nella cultura villanoviana per custodire le ceneri dei defunti.
La litica comprende circa una ventina di
manufatti, a spigoli freschi, quasi tutti in
selce di diversi tipi e in raro diaspro. Sono
presenti due nuclei, entrambi di dimensioni
non grandi, uno poliedrico per l’estrazione
di schegge, uno piatto bifacciale a distacchi
centripeti, ricavato su scheggia, frammentario (potrebbe trattarsi anche di uno sbozzo
di strumento foliato) (1158). Gli elementi scheggiati sono perlopiù schegge e lame
di piccole dimensioni; c’è anche qualche
lama di dimensioni più sviluppate. I pochi
elementi ritoccati, tutti frammentari, comprendono una lamella a dorso (1159), un
dorso troncato (1160), una lama a ritocco
parziale (1161) e una lama a ritocco denticolato bilaterale (1162).
La ceramica, più abbondante della litica,
comprende, tra gli elementi diagnostici, che
non sono numerosi, alcune pareti, appartenenti almeno a due forme (1164, 1165),
decorate con impressioni lineari, a metope
campite a reticolo, con bugnette circolari
poco rilevate e leggere punzonature circolari. Un piccolo frammento ospita una decorazione impressa a cerchi campiti con segni
cruciformi. Altri elementi da notare sono
una parete con ansa verticale a nastro tendente a bastoncello (1168), e alcune pareti decorate con cordoni lisci (ad esempio,
1169) e digitati (ad esempio, 1168).
È presente anche una fibula in bronzo ad
arco ingrossato e ribassato (1163), decorata con linee profondamente incise, con un
motivo di difficile lettura per le cattive condizioni di conservazione.
La fibula, come anche le decorazioni sulle
pareti vascolari, trovano confronti con il
materiale di epoca villanoviana individuato
nel territorio di Sesto Fiorentino. Esso proviene sia da rinvenimenti sporadici che da
scavi stratigrafici, come nel caso di Val di
Rose e Madonna del Piano80.
Altre evidenze
A conclusione di questa esposizione si citano alcuni altri siti del territorio che hanno
restituito materiale di epoca preistorica e
protostorica, scarso quantitativamente e
generico qualitativamente, per cui in questa
fase preliminare di studio non si è giunti ad
indicare una possibile appartenenza cronoculturale.
In via dei Tigli (Scheda 75) è stato prelevato dal GAF, all’interno del terreno smosso
in occasione di uno sbancamento per lavori
edilizi, materiale che comprende poco più di
una decina di pezzi di età preistorica, appartenenti ad una fase non precisabile dell’Olocene; la scarsissima litica comprende una
lamella non ritoccata ed una troncatura in
selce, mentre tra i pochi frammenti fittili si
notano una parete sottile di impasto semidepurato, concava, con il bordo rastremato
(1096), una parete con piccola presa a linguetta rialzata (1097) e una fusaiola a disco,
larga e piatta (1098).
Nello scavo del ninfeo presso la Chiesa di
Settimello, condotto dalla Soprintendenza
per i Beni Archeologici della Toscana nel
1980, sono stati raccolti alcuni manufatti
litici nel terreno in giacitura secondaria che
riempiva la struttura romana (Scheda 81).
Presso il Castello di Sommaia, il GAF ha
raccolto pochi frammenti di ceramica che
potrebbe essere, data la qualità dell’impasto,
di epoca preistorica (Scheda 65); uno di essi
potrebbe appartenere ad una forma carenata.
Nel sito indicato con la denominazione
il Mulino, in occasione dei lavori per la
costruzione della Scuola Media, il GAF ha
recuperato nel terreno rimosso pochi manu-
fatti litici, tra cui una lamella non ritoccata in ossidiana e rari frammenti ceramici
(Scheda 64).
Anche durante due sbancamenti a
Settimello, in via delle Cappelle e in via
Squilloni, il GAF ha raccolto sporadici
manufatti, forse preistorici: nel primo caso
poca ceramica, tra cui un frammento di forma carenata, nel secondo ancora rara ceramica e qualche manufatto litico generico.
Prospettive
Un limite importante per le conoscenze sulla Preistoria calenzanese è costituito, come
si è più volte ricordato, dalla carenza delle
ricerche di tipo stratigrafico: gli scavi scientifici hanno fino a questo momento indagato zone molto circoscritte di un territorio che, in base alle raccolte effettuate dagli
appassionati locali nel corso di ricognizioni
sui campi, risulta molto promettente.
L’eventualità che nei depositi sottostanti ad
alcune delle evidenze di superficie si conservi materiale in giacitura primaria può essere
appurata solamente attraverso operazioni di
scavo sistematiche, eventualmente praticando, a partire dai punti in cui le raccolte di
reperti sono state più fruttuose, piccoli sondaggi che possano verificare la presenza di
strati e materiali antichi, prima di affrontare
i più impegnativi scavi in estensione; su un
raggio più ampio, non sono mai state condotte ricognizioni secondo metodi scientifici, che consentirebbero di precisare e di
arricchire le conoscenze sulla distribuzione
dei materiali, oltre che portare a nuove possibili scoperte.
Marinis, Salvini 1999a.
42
43
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
La ceramica conta poco meno di 200 elementi, quasi esclusivamente frammenti di
pareti non diagnostici. Un solo frammento
(1060) appartiene ad una forma ricostruibile: una scodella composta carenata, con
vasca a calotta e parete superiore cilindrica;
l’orlo è diritto e il bordo è piatto, ingrossato internamente ed esternamente; la carena presenta uno spigolo ben marcato. Altri
frammenti di parete ospitano cordoni plastici, lisci e digitati (1061); si conserva anche
un frammento con un attacco d’ansa, su cui
si nota, alla base dell’ansa, una probabile
impressione ad unghia (1141).
Il materiale si può attribuire, in via ipotetica, ad un periodo compreso tra l’Eneolitico
e una fase non avanzata dell’età del Bronzo,
in base alla presenza di elementi quali la
semiluna, la scodella carenata e le decorazioni plastiche.
Va ancora detto che alcuni pezzi presentano
uno stato fisico differente dal resto dell’industria, caratterizzato da spigoli abrasi e
pseudoritocchi profondi. Potrebbe trattarsi
di materiale di origine diversa, mescolatosi all’altro per trasporto. Si tratta di pochi
manufatti di aspetto generico; tra i ritoccati,
un denticolato su scheggia larga a sagoma
irregolare (1059).
Territorio1 di Calenzano in età etrusca
Il periodo villanoviano
Se molte e sparse per un ampio territorio
del Comune di Calenzano risultano le testimonianze e le presenze per la Preistoria e la
Protostoria, tali da permettere di delineare
le linee essenziali del popolamento2, molto
più complessa risulta la lettura per il periodo
etrusco, non tanto per la indecifrabilità delle
fonti archeologiche, quanto piuttosto per la
loro discontinuità.
Accanto ai frammenti raccolti, che consentono una comprensione solo in filigrana degli
sviluppi storici dell’area, esistono monumenti straordinari, come il cippo di Settimello
(Scheda 86 – 2003) – che si impone come
pietra di paragone per lo studio della scultura
arcaica del bacino dell’Arno, da Pisa a Fiesole
– o il cippo sferico di Travalle (Scheda 40 –
2108), reso noto solo di recente, che obbliga
a gettare uno sguardo sulla scultura funeraria transappenninica, nel suo sviluppo con le
coeve tradizioni valdarnesi.
È necessario dunque premettere che solo un
confronto continuo e dialettico con le realtà
limitrofe, e del bacino dell’Arno più in generale, può aiutare a decifrare meglio alcune
realtà, che altrimenti resterebbero completamente mute.
Per quanto concerne il periodo villanoviano3,
con particolare riferimento ai decenni compresi tra il IX secolo e la fine dell’VIII-inizi del
VII secolo a.C., al momento non sono state
recuperate presenze significative nell’area del
territorio di Calenzano, se escludiamo alcuni
esigui frammenti ceramici reperiti assieme a
materiale dell’età del Bronzo e di età etruscoarcaica provenienti da un recupero non controllato a seguito di escavazioni per una lot-
1
Il presente contributo propone una rielaborazione semplificata dei capitoli III, “Analisi e distribuzione cronologica
dei ritrovamenti”, e IV, “Sintesi del popolamento in periodo etrusco”, della tesi di laurea Alle origini della Flaminia
“minor”. Presenze etrusche in Val di Marina (= Baldini
2007-2008).
2
Si veda Filippi supra.
3
Nell’analisi dei ritrovamenti e nel susseguente studio, il
periodo villanoviano è stato analizzato da Omar Filippi, al
cui contributo si rimanda per gli approfondimenti specifici.
In questa sede il riferimento al suddetto periodo è funzionale solo all’inquadramento delle dinamiche politico-sociali
44
tizzazione edile nella zona di Carraia (Scheda
20). Tuttavia, dando uno sguardo al territorio dell’Etruria settentrionale, con particolare
riferimento alla piana fiorentina, possiamo
ipotizzare che, probabilmente, la scarsità di
documentazione non sia dovuta ad un reale
iato nel processo di occupazione del territorio, quanto piuttosto ad una difficoltà ricognitiva4. Stando anche ai dati recentemente
resi noti sulle indagini nella piana di Sesto,
sembra infatti che il quadro sia notevolmente
più ricco e variegato rispetto ai dati ad oggi
disponibili per il territorio di Calenzano.
Per la piana fiorentina infatti, nonostante il
numero di sepolture recuperate sia piuttosto
esiguo, è possibile tentare un inquadramento
storico, soprattutto per l’aspetto di omogeneità che le contraddistingue5.
Se escludiamo le testimonianze provenienti
da Fiesole, che le circostanze dei vecchi recuperi non permettono di contestualizzare, ma
che sembrerebbero documentare una continuità di vita nell’area accertata senza dubbio
dal Bronzo finale fino all’epoca della città
murata etrusca6, le aree di necropoli del centro di Firenze e del territorio sestese evidenziano, almeno per il periodo compreso tra la
prima metà dell’VIII e gli inizi del VII secolo
a.C., un comune aspetto. Allo stato attuale
delle ricerche si può affermare che nella piana dell’Arno vivessero delle piccole comunità
che occupavano aree poco rilevate o le alture
che costituiscono i margini del bacino7; le
attività principali dovevano essere legate allo
sfruttamento delle risorse agricole e pastorali
del territorio e al controllo delle importanti
vie di comunicazione8, che collegavano da
una parte la comunità volterrana e la costa
tirrenica con la vivace realtà transappenninica
della facies orientalizzante.
Alle stesse conclusioni si giunge anche in Salvini 2007,
p. 23, dove l’Autrice, con riferimenti ad aree finitime, nota
come il quadro cambi notevolmente quando gli scavi e le
ricognizioni siano fatti in modo sistematico e non episodico.
5
Salvini 2007, p. 68.
6
Salvini 1990, p. 87.
7
Salvini 2007, p. 80.
8 de Marinis, Salvini 1999, pp. 75-76.
9 Salvini 2007, p. 78.
4
(l’area bolognese rappresenta infatti uno dei
maggiori partners), dall’altra questa regione
con le realtà dell’Etruria meridionale che,
in questo periodo, andavano definendo in
maniera sempre più decisa un carattere aggregativo. A tal proposito è interessante notare
come le comunità della Piana dell’Arno, pur
evidenziando notevoli punti di contatto con
le altre realtà, non sembrino mai completamente dipendenti da queste, ma rielaborino
le varie sollecitazioni per arrivare alla formulazione di un linguaggio decorativo personale, che, successivamente, troverà le espressioni più qualificate nelle soluzioni formali
e decorative del bucchero di area valdarnese
o nella ricchezza e qualità artistica della scultura fiesolana. In tal senso la catena dell’Appennino, facilmente valicabile, non doveva
essere percepita dalle comunità stanziate sui
due versanti come una barriera, ma come una
cerniera9.
In tale ottica sarà interessante notare la disposizione delle necropoli per cercare di capire
il tipo di società che abitava questi territori.
In particolare, in assenza di strutture abitative che indichino, all’interno di una comunità, i rapporti tra i vari nuclei, è significativo
rimarcare che sia nella necropoli del centro
di Firenze10 sia in quelle della piana di Sesto
un elemento comune sembra la presenza di
contesti multipli, ovvero fosse o pozzetti al
cui interno venivano deposti più individui.
Questo aspetto è particolarmente significativo, in quanto preannuncia, all’interno di una
comunità che non sembra mostrare in base ai
corredi particolari segni di differenziazione o
di divisione, una distinzione per gruppi familiari: mentre infatti i corredi non presentano
mai particolari segni di ricchezza o simboli
che facciano pensare ad attività specificatamente eminenti nell’ambito di uno stesso
raggruppamento, l’idea stessa che nuclei di
cinerari siano riuniti tra di loro all’interno di
un’unica fossa, ben distinti dagli altri, scardi-
na l’idea di una comunità monoliticamente
indivisa ed indifferenziata, suggerendo una
distinzione che vede il passaggio dallo spazio
indiviso “comune” allo spazio diviso, “separato”.
È quanto si verifica nel caso della tomba a
pozzo del Tumulo B della necropoli di Prato
Rosello, dove la sepoltura più antica è costituita da una tomba a fossa molto profonda
delimitata nella parte alta da una struttura
circolare di pietre di arenaria; in questo caso
il muretto di delimitazione non svolge semplicemente il ruolo di contenimento o individuazione dell’area occupata dal pozzetto, ma
separa, consacrandolo, lo spazio della sepoltura dal resto.
La tomba è databile tra la fine dell’VIII e gli
inizi del VII a.C. e trova numerosi confronti
con contesti del primo Orientalizzante volterrano e con le realtà poste al di là dell’Appennino11.
Se tentiamo di mettere in correlazione i dati
recuperati, ci accorgiamo che, se nel tardo
Villanoviano il popolamento sembra caratterizzato da piccoli nuclei a carattere familiare
sparsi sul territorio a cui, nel corso dell’VIII
secolo a.C., si affiancano nuclei disposti sulle pendici collinari limitrofe12, con il primo
Orientalizzante la situazione non sembra
cambiare in maniera sostanziale13: la società che occupava la valle dell’Arno e i rilievi
circostanti si configura come una compagine
organizzata, la cui economia si basava eminentemente sullo sfruttamento delle risorse
agricole e sul controllo delle vie di comunicazione, culturalmente ricettiva nei confronti
degli stimoli esterni ma capace di strutturare
un proprio linguaggio. Tale società si articolava probabilmente in ristretti gruppi familiari, che abitavano in strutture capannicole
poco complesse e si facevano seppellire a
gruppi parentali in piccole necropoli adiacenti ai nuclei abitativi. Al momento, purtroppo,
non sono note strutture abitative riferibili a
Per il quadro generale delle attestazioni, si veda Salvini
2007, p. 20; per una approfondita disamina dei “sepolcreti”
fiorentini, si veda Salvini 1996, pp. 65-67, 117-121, 138.
11 Poggesi 1999, pp. 42-43; Bruni 2002, p. 276, in particolare nota 11.
12 Sul tumulo B di Prato Rosello, si veda da ultimo Carta
Archeologica 2011, pp. 470-476 con biografia a p. 490.
Carmignano 1997, pp. 49 ss (F. Nicosia).
13 Settesoldi 2000, p. 209; Zannoni 2000, p. 219.
10
45
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Giacomo Baldini
Il periodo orientalizzante
Ancora più avaro è il quadro delle testimonianze calenzanesi per tutto il periodo orientalizzante e per il primo Arcaismo. Dalle
ricerche sul campo e dallo spoglio dei dati
bibliografici non sono infatti emersi ritrovamenti riferibili agli anni compresi tra il VII e
la prima metà del VI secolo a.C.; al momento
l’unica testimonianza, purtroppo non verificabile, è limitata ad una punta di lancia di
bronzo, ora dispersa, proveniente genericamente dal territorio di Calenzano e riferita
al VII-VI secolo a.C. da Francesco Nicosia,
che la mette in relazione a gruppi di armati
nella zona18. La notizia, se confermata, acquisterebbe una importanza decisiva, soprattutto
per l’affermazione e la definizione del potere gentilizio, che, evidentemente, si basava
anche su piccoli nuclei di armati a difesa del
territorio e dei percorsi di traffico.
In questo periodo il quadro del popolamento e della società nella piana dell’Arno appare notevolmente mutato, soprattutto per
l’emergere di numerosi oikoi che occupano il
territorio in modo stabile.
Le testimonianze archeologiche per quanto
riguarda il centro di Fiesole sono ancora scarse, al punto che la città sembra sbocciare dal
nulla già strutturata nella seconda metà del
VI secolo a.C.19. Tuttavia, anche in questo
caso, non mancano documenti sporadici che
attestano una continuità di vita ed una centralità nella rete di traffici e di commerci che
univano i vari comparti dell’Etruria propria e
dell’Etruria padana20.
Ma è sempre il territorio che offre le testimonianze più significative e non solo perché la città murata ha cancellato e ricoperto
tutti i precedenti passaggi, ma, forse, perché
proprio è nella gestione del territorio, intesa
sia nel senso dello sfruttamento delle risorse
agricole sia del controllo delle vie di comuni-
cazione, che si manifestano le maggiori possibilità economiche e, di conseguenza, i più
evidenti “segni” monumentali.
Analizzando le testimonianze monumentali,
affidate per lo più alle necropoli, ci accorgiamo che il VII secolo è caratterizzato, sia sulle pendici del Monte Albano sia nella piana
di Sesto, dalla presenza di strutture tombali
che con la loro evidenza non solo testimoniano un benessere economico ed una capacità costruttiva nuova, ma marcano il territorio sotto l’aspetto politico, intendendo con
questo termine la volontà di manifestare e
far rispettare una auctoritas che si basa non
più “solo” sulla figura del singolo capo di un
gruppo, ma sull’appartenenza ad una gens
aristocratica erede di quei capi21, che, come
tale, si configura come nucleo di potere sul
territorio, in questa fase, fuori dal contesto
urbano22.
È lecito dunque supporre che in questa parte
della valle dell’Arno, così importante per le
direttrici viarie tra l’Etruria centro-settentrionale e i centri transappenninici, anche grazie
alla progressiva importanza acquisita da Pisa
come epineion sulla foce dell’Arno per i commerci nel Mediterraneo23, nel corso del VII
secolo a.C. si siano avvicendate gentes che di
volta in volta hanno marcato il territorio24
e manifestato il proprio potere con tombe
monumentali25; in quegli stessi anni anche
nella zona tra Quinto e Sesto, nella zona
pedemontana delle estreme propaggini del
Mugello, altri oikoi, grazie allo sfruttamento
delle risorse agricole della piana e alle direttri-
ci di traffico, riuscirono ad imporsi nella compagine sociale del tempo come rappresentanti
dell’auctoritas civile e religiosa, testimoniata
dalle tombe monumentali della Mula e della
Montagnola e di Villa Torrigiani; uno stesso
processo probabilmente ha portato alla costituzione di potentati locali a controllo delle vie
verso il Chianti, come dimostrano i Tumuli
del Calzaiolo e di Sant’Angelo a Bibbione e
quello recentemente reso noto di Poggio la
Croce a Mercatale Val di Pesa26.
Bisogna pensare che questi signori traessero
legittimazione del loro potere dalla ricchezza
legata anche alla tradizione. In tal senso un
caso esemplare è rappresentato dal già citato
Tumulo B di Prato Rosello, dove tale fenomeno di legittimazione sembra trovare una
testimonianza concreta, poiché non solo la
crepidine del tumulo racchiude la vecchia
sepoltura a pozzo, ma la tomba a camera
va coscientemente a toccare la precedente
deposizione27, con l’intento “dichiarato” di
collegarsi alla tradizione, di mostrare le radici
stesse della potestas, che si legittima come auctoritas28. Inoltre, la tomba, come spazio fisico di passaggio tra il mondo dei vivi e quello
dei morti29, rappresenta anche il luogo dove
il potere si estrinseca riconoscendosi nella
dimensione del rito, acquistando dunque un
duplice significato: cioè un segno visivamente
concreto sul territorio e riconosciuto in una
“comunità del potere” e il centro dove la sfera
del privato diventa pubblica. In questo senso
vanno lette probabilmente le strutture rettangolari legate alla crepidine del Tumulo C di
Menichetti 1994, p. 36.
Assai suggestiva, anche se meritevole di ulteriori specifici approfondimenti, appare l’ipotesi avanzata da Nicosia
(Nicosia 2000, pp. 16-17) circa lo stretto legame tra la
valenza pubblica dei tumuli artiminesi e la completa definizione del nucleo di Artimino come polo urbano.
23 Bruni 1998; Bruni 2002, pp. 299, 324-344.
24 Su questo tema si veda Rendeli 2002, con ampia bibliografia precedente. Bisogna tuttavia sgombrare il campo da
ipotetici schemi che ripropongano in area settentrionale
quanto l’Autore espone nell’intervento, specificatamente all’Etruria meridionale. Non si tratta in questo caso di
relazione tra un centro ed una periferia, ma di un territorio
diviso e controllato da diversi ghenoi che segnano il territorio, certificano la presenza e il potere con un “segno”
carico di valenze.
25 Bruni 2002, pp. 275-281.
26 Cianferoni, Baroncelli 2007, pp. 137-138. La tomba, di
cui è in corso lo studio del contesto e dei materiali, è datata, in base al corredo più antico, all’ultimo quarto del VII
secolo a.C. È possibile che tale potere trovasse eco non
solo nella sfera funeraria, ma anche nel modo di rapportarsi
alla comunità dei vivi, se il frammento di terracotta architettonica proveniente da “L’Olmicino” deve essere interpretato
come elemento del partito decorativo di una regia, piuttosto
che come la decorazione del tetto di un luogo di culto (de
Marinis, Salvini 1999, pp. 79-80; Bruni 2002, p. 290).
27 Poggesi 1999, pp. 30-34, dove l’Autrice nota che la
costruzione della tomba a camera ha parzialmente tagliato la precedente struttura. Ad ulteriore conferma di questa
interpretazione si veda anche Bruni 2002, pp. 276-278.
28 Salvini 2007, p. 22, con bibliografia.
29 Torelli 1997b, p. 131; Zifferero 2006a, p. 210.
21
22
Settesoldi 2000, pp. 207-209, fig. 64.
Le capanne di questo tipo sono note in ambiente centroitalico già dall’età del Bronzo e, in base ai confronti, solitamente presentavano copertura conica, senza distinzione tra
parete e copertura (Bartoloni 2002, pp. 74-75, 124-125).
16
Questa ipotesi molto suggestiva porterebbe, se confermata, una novità nell’ambito della gestione dello spazio
abitativo, poiché non sembrano attestati, in una fase così
antica, né fortificazioni né sistemi difensivi (Bartoloni 2002,
p. 129). A tale proposito è interessante il confronto con il
sito di Campassini, in Valdelsa, dove lo scavo di un insediamento capannicolo, in uso tra l’ultimo quarto dell’VIII
e gli ultimi anni del VII secolo a.C., ha evidenziato, nella
sua fase più antica, coincidente cronologicamente con l’ap14
15
46
prestamento sestese, un sistema di recinzione intorno alla
struttura più importante (Bartoloni 2004, pp. 17-18), forse
la sede di pratiche cultuali (Bruni 2002, p. 289).
17 Salvini 2007, p. 81.
18
Archivio SBAT, pos. 9 Firenze 7, 1961-1970, prot. 2475,
segnalazione di Francesco Nicosia del 26 agosto 1965.
19
Bruni 1995-1996, p. 128.
20
Ci riferiamo in particolare alla piccola phiale con decorazione italo-geometrica di importazione ed ai frammenti
di coppe carenate di impasto grezzo e semidepurato, che
trovano confronti stringenti con i centri della valle dell’Arno,
in particolare con Pisa, Volterra, e con Felsina (Bruni 19951996, pp. 128, 133-135).
47
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
questo periodo: l’unica attestazione è quella nella piana sestese di Madonna del Piano
che, limitatamente alla fase di occupazione
più antica (fine VIII-inizi VII secolo a.C.),
rappresenta il solo elemento di confronto.
Si tratta con ogni probabilità di parte di un
insediamento capannicolo, di forma ellittica
o sub-rettangolare, più ampio di quanto finora indagato14, con strutture che non presentavano elevati alloggiati in fosse di fondazione,
ma che, se la copertura non appoggiava direttamente sul piano di vita15, si doveva configurare come una struttura realizzata in pietre
ed argilla poggiata direttamente sul terreno.
Le strutture abitative erano probabilmente
circondate da una canaletta e da una palificazione, i cui resti sono ben visibili nelle buche
di palo documentate16.
Dobbiamo pensare dunque che la società
che viveva nella valle dell’Arno tra la seconda
metà dell’VIII e gli inizi del VII secolo a.C.
fosse complessa, cioè articolata dal punto
di vista sociale, con “capi” che detenevano
il potere e lo ostentavano nei propri riti di
sepoltura, un potere derivato in gran parte dal
controllo di importanti vie di comunicazione che univano diversi comparti dell’Etruria
settentrionale con le comunità transappenniniche, subalterni ai quali si trovavano nuclei
umani dediti alle attività sul territorio17.
come spesso strutture tombali di tipo gentilizio si trovino in contesti rurali lungo le vie di
penetrazione o lungo le direttrici di maggior
flusso36: questo fenomeno si riscontra anche
in Etruria settentrionale, come dimostrano, per limitarsi all’area in esame, i tumuli
del distretto del Monte Albano, posti lungo
l’Ombrone, quelli della piana dell’Arno o i
già citati tumuli della Valdipesa, sentinelle
per le maggiori direttrici verso il Chianti.
Una conseguenza a cui dobbiamo necessariamente arrivare è che, se la dinamica sociale
del periodo orientalizzante si configurava
sotto questa forma, è difficile immaginare
un istituto politico forte, una polis organizzata con alla base un potere aristocratico che
ordina i momenti e gli eventi della collettività: tali apprestamenti vanno letti assolutamente sotto l’ottica gentilizia37, di un potere
che necessita di segni evidenti sul territorio
con altissimo valore evocativo e di una ritualità che è la base stessa del potere su cui si
fondano le relazioni sociali tra i livelli della
comunità. Solo l’emergere di un forte istituto centrale, di una polis organizzata su altri
valori, scardinerà il tessuto sociale di natura
gentilizia di tipo tradizionale.
30
Nel novero di tali testimonianze bisogna aggiungere anche il circolo di Poggio al Bello a Vetulonia, dove la
crepidine è interrotta da una costruzione in lastre di pietra
che sembra funzionale all’accesso alla sommità (Zifferero
2006a, p. 193) ed il noto cenotafio di via S. Jacopo a Pisa,
dove il passaggio alla sommità era realizzato tramite una
gradinata lignea (Bruni 2002, 341-342; Floriani, Bruni 2006,
p. 21, figg. pp. 14-15). Sul tumulo di Montefortinie su quelli
della necropoli di Prato Rosello, si veda da ultimo, Carta
Archeologica 2011, pp. 411-424, CR15; 468-491, CR31.
31 Da ultimo, con ampia bibliografia specifica sull’argomento, si veda Zamarchi Grassi 2006.
32 Zifferero 2006a, pp. 210-211.
33 Su questa tematica si veda Menichetti 1994, p. 38.
48
Con la seconda metà del VI secolo a.C., in
pieno periodo arcaico, la base documentaria
relativa al territorio di Calenzano si fa decisamente più interessante, anche se le testimonianze risultano spesso prive di uno specifico
contesto di ritrovamento38. In particolare, si
evidenziano anche in questa piccola porzione del territorio della piana dell’Arno una
serie di modifiche e di cambiamenti spiegabili con una effettiva diversità di tipologia di
occupazione del territorio. Infatti, dopo la
fiorente stagione della costruzione dei grandi tumuli, che sembra esaurirsi nella prima
metà del VI secolo a.C., con la seconda metà
del secolo la situazione muta radicalmente:
sul territorio si trovano le testimonianze di
piccoli insediamenti, probabilmente fattorie o nuclei sparsi dediti ad attività di tipo
agricolo e al controllo dei percorsi viari39; le
tombe monumentali perdono la loro centralità nell’ottica del “paesaggio del potere”
e sembrano essere progressivamente sostituite, lungo le principali vie di penetrazione,
da marcatori di tipo diverso, segnatamente
cippi o stele, latori ancora di un messaggio
di tipo aristocratico, ma privati della monumentalità principesca. Tale mutamento, più
che a cambiamenti nella composizione della
compagine sociale, sarà verosimilmente legato ad una sempre maggiore definizione dello
spazio urbano – quindi pubblico – di Fiesole,
senza la necessità di attribuire questa “involuzione monumentale” alla presenza di leggi suntuarie. Verosimilmente la tomba, che
per tutto il periodo precedente aveva assunto
caratteri di monumentalità “pubblica” in cui
si estrinsecava e si celebrava l’auctoritas potestatis di marca gentilizia, perde tale valore per
acquisire, progressivamente, una dimensione
eminentemente “privata”. Dalla metà del VI
secolo a.C. in poi la volontà di autoaffermazione non è più confinata dunque ai monumenti sepolcrali40, ma si estrinseca o nei più
modesti semata funerari41 o, parallelamente,
nell’esecuzione e nella realizzazione di opere
destinate all’arricchimento degli spazi pubblici, come il tempio o il santuario42.
Tali considerazioni nascono dalla constatazione che se da una parte il paesaggio non
sembra più segnato da “marcatori monumentali” di stampo aristocratico, dall’altra si
definisce in maniera sempre più netta, dalla
seconda metà del VI secolo a.C., lo spazio
urbano di Fiesole, anche a livello archeologico43.
Tuttavia, nell’ampio quadro delineato, alcune questioni acquistano un interesse specifico. In particolare, parlando della definizione
dello spazio urbano, viene fatto riferimento
alla demarcazione dello spazio necropolare
lungo i margini di quello che sarà il circuito
delle mura con particolare interesse e concentrazione nell’area meridionale lungo la
direttrice per l’epineion sull’Arno44, al tipo di
insediamento, realizzato in modo sparso con
piccoli nuclei localizzati in luoghi fondamentali per le direttrici viarie45 e, infine, al dispiegamento di piccoli luoghi di culto, indiziati
sul territorio dal ritrovamento di alcune stipi
votive46. Analizzando singolarmente i vari
elementi, si capisce come tutti convergano
nell’indicazione di una struttura politica in
grado di gestire questi fenomeni. Se fino alla
metà del VI secolo a.C. si può affermare che
la struttura sociale del territorio della valle
dell’Arno, almeno nello spazio tra le ultime
propaggini del Chianti e il Monte Albano, è
ancora fortemente permeata di caratteristiche
di stampo aristocratico, con forte connotazione a carattere militare e religioso, con tutto
ciò che comporta anche a livello di gestione
del territorio47, nella seconda metà del seco-
Nell’ottica delle cerimonie di natura aristocratica che si
dovevano svolgere nell’ambito del sepolcro gentilizio si
veda anche Colonna 1993.
34
Zifferero 1991, p. 109.
35 Ibidem, p. 110.
36 Ibidem, p. 125.
37 Per una ipotesi contraria, si veda Nicosia 2000, pp. 13-15,
il quale individua proprio in un’area di “autorità” strutturata
(polis o santuario) il termine di riferimento e di confronto
della struttura tombale, nonché una manifestazione dell’indebolimento del potere del princeps nei confronti di un
controllo aristocratico.
38 La maggior parte dei materiali è stata raccolta, nel corso del
tempo, e segnalata alle autorità di tutela dai volontari del GAF.
Bruni 2002, p. 312.
Tali monumenti non cessano tuttavia di essere utilizzati,
almeno in certi casi, fino al tardo Ellenismo: ad esempio, si
possono citare il Tumulo A di Prato Rosello – che ha restituito un’anfora con coperchio relativa ad una deposizione di
incinerato databile tra la fine del VI e gli inizi del V secolo
a.C. –, la tomba a tumulo di Poggio La Croce, con un utilizzo
ininterrotto datato fino almeno al III secolo a.C. (Cianferoni,
Baroncelli 2007, p. 137) e la tomba tardo-arcaica del Melone
II di Camucia a Cortona (Zamarchi Grassi 2006).
41 Per la distribuzione ed il significato delle pietre fiesolane nella definizione del territorio e nel contesto sociale del
tempo, si vedano Capecchi 1996, p. 154 e passim; Bruni
2002, pp. 313-324; Maggiani 2008, p. 365.
Capecchi 1996, p. 156.
Per la disamina di queste tematiche, si veda Bruni 2002.
Alle necropoli citate in Bruni 2002, pp. 310-312 bisogna
aggiungere i resti di una necropoli nell’area di Vincigliata,
al momento costituita da dodici tombe di diversa tipologia
databili genericamente tra l’Orientalizzante ed il periodo
arcaico (Rastrelli 2006a, pp. 145-147).
45 Bruni 2002, p. 312.
46 Ibidem, pp. 293-294, 312-313.
47 Scontato, forse, il riferimento alla stele di Larth Ninie,
rappresentato ancora nella sua dimensione socio-politica di
rex. Sul tema si veda Bruni 2002, p. 316, con ampia bibliografia a nota 143; sull’inquadramento del monumento, si
veda Maggiani 2004a, p. 162.
Il periodo arcaico e classico
39
40
42
43
44
49
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Prato Rosello e del Tumulo di Montefortini
a Comeana, generalmente interpretate come
terrazze-altari, e il lastricato messo in opera
all’esterno del Tumulo B di Prato Rosello30.
Anche grazie alle fortunate scoperte di
Cortona31, possiamo affermare con maggior
sicurezza che tali strutture dovessero rappresentare i luoghi di un rito che vedeva come
primo interlocutore chi vi partecipava, cioè
la comunità. In questo senso si può parlare
di una legittimazione del potere: l’oikos del
princeps, che in vita era detentore di un potere civile e religioso, perpetua tale autorità con
una ritualità pubblica, di cui oggi cogliamo
solo una pallida eco in queste strutture32, ma
che doveva prevedere riti, pratiche e “messaggi visivi” più complessi33.
Proprio per questo il tumulo ha anche il significato di “marcatore” sul territorio, nel senso
che nel corso dell’Orientalizzante, a seguito di
forti mutamenti della società che hanno permesso ad alcuni nuclei di alienare parti di terra comunitaria per farla diventare ops privata,
le famiglie aristocratiche vogliono rafforzare
il legame con la terra attraverso la sepoltura in loco34 con una straordinaria proiezione
sul paesaggio del fondamento stesso del loro
potere. Pur nella non assoluta certezza della
corrispondenza tra terra posseduta ed edificazione della sepoltura, è del tutto evidente che
il tumulo monumentale, di per sé, è espressione di un valore evocativo forte all’interno di
una società che vede nell’ordinamento gentilizio la propria struttura portante35.
Sempre con uno sguardo ai fenomeni
dell’Etruria meridionale che, evidentemente, non possono essere trasferiti stricto sensu
in area settentrionale, è interessante notare
posizione sul territorio delle “pietre fiesolane”49, e dall’altra dallo sviluppo di aree sacre o
stipi votive fuori dalla polis, in luoghi significativi lungo vie di percorrenza, quasi a segnare
i limiti del territorio di pertinenza50. Questo
fenomeno, già in parte riscontrato nell’Etruria meridionale51, se verificato e corroborato
da nuovi dati, sarebbe una ulteriore conferma del mutato linguaggio nella definizione
del “paesaggio del potere”, dove a marcatori
di tipo gentilizio, cioè le regiae e le tombe a
tumulo monumentali in cui, con ritualità e
modalità diverse, la sacralità era fortemente
connessa alle pratiche gentilizie, si sostituiscono semata pubblici che segnano non più
una zona di influenza principesca o i possedimenti di una gens, ma i confini territoriali o
di influenza di una polis, cioè una chora intesa
non solo in senso territoriale ma anche politico52. In questo senso è molto interessante
quanto sostiene Colonna nella disamina sui
tipi di strutture sacre etrusche: con particolare riferimento ai santuari di campagna del
distretto settentrionale, non solo fa notare la
mancanza di strutture connotate di una certa importanza architettonica, ma sottolinea
come siano indiziati quasi sempre soltanto
da depositi votivi o stipi. Inoltre, nell’ottica di occupazione del territorio, viene posto
giustamente l’accento sul carattere conservativo del sacro, con particolare riferimento al
carattere diffuso delle aree sacre53. Tali con-
siderazioni assumono una valenza pregnante
nel contesto che ci troviamo ad analizzare:
senza entrare nello specifico dei singoli ritrovamenti54, assistiamo dalla seconda metà del
VI secolo a.C. ad un incremento di ritrovamenti di stipi o depositi votivi – soprattutto
lungo percorsi viari importanti che dalla città
vanno nel territorio, anche piuttosto distanti
dal centro –, che, pur perpetuando una ritualità già attestata nelle precedenti generazioni,
denunciano una rinata vitalità non scevra di
collegamenti con il fenomeno urbano. Senza
pensare necessariamente a nuove installazioni
cultuali55, è possibile che l’“indebolirsi” delle
manifestazioni del potere gentilizio, a cui era
legata anche la sfera religiosa, abbia favorito,
soprattutto in quei contesti più marcatamente
politici, come le aree liminari o le principali
arterie di comunicazione56, la riappropriazione a spazio e funzione comunitaria di culti o
porzioni di territorio ab antiquo alienati alla
comunità57. Non è un caso infatti che sia
l’articolazione politica dei villaggi dell’età del
Ferro58 sia il ruolo comunitario dei santuari
siano stati paragonati, in un contesto non
urbano, alle curiae latine. Con l’affermarsi di
un potere collettivo di tipo verosimilmente
oligarchico, abbiamo visto come muti il sistema di valori su cui si basa la società arcaica di
stampo aristocratico, investendo anche la sfera
religiosa. In quest’ottica la distribuzione delle
stipi, assieme alla diffusione delle “pietre fiesolane”59, può aiutare nella definizione dell’area
influenza della comunità (śpura) fiesolana60.
Un maggiore controllo sul territorio si sostanzia, sul finire del VI secolo a.C. anche con un
riassetto delle strutture rurali61 e dei centri più
strutturati, tra i quali spicca, per peculiarità,
il sito recentemente scoperto a Gonfienti,
nel qual caso è difficile non pensare ad una
precisa volontà di tipo pubblico nell’atto di
organizzare uno spazio con una nuova fondazione, operazione che, chiaramente, acquista
ancora maggior valore se ne consideriamo
l’ubicazione nell’ambito delle direttrici tra
l’Etruria tirrenica e l’Etruria padana. Allo stato delle ricerche62 infatti possiamo solo pensare che il sito, così come si presenta, sia una
sorta di testa di ponte organizzata lungo la
direttrice principale che univa la valle dell’Arno con la valle del Reno, quindi con Felsina.
Anche il sito di Gonfienti, che molti elementi accomunano a Marzabotto, non ultime le
soluzioni urbanistico-architettoniche dell’impianto urbano e dei singoli edifici63, sembra
l’emanazione di un istituto forte che fonda
nel luogo più adatto un avamposto a carattere, probabilmente, non solo redistributivo
ma anche produttivo64. Questo discorso si
comprende appieno solo se confrontiamo
Un conciso quadro dei maggiori ritrovamenti in Bruni
2002, pp. 312-313. A questi bisogna aggiungere i numerosi
ritrovamenti effettuati nell’area della Calvana-Pizzidimonte
(Bocci, Poggesi 2000, p. 63) e di Prato (Millemaci 1999, p.
134). Tra gli altri merita una menzione particolare il recente rinvenimento di un’area sacra caratterizzata da stipi
a Sant’Angelo a Bibbione, a San Casciano in Val di Pesa,
significativamente «situato nei pressi del noto tumulo etrusco» (Rastrelli 2008, p. 176).
55 Come sono del resto attestate in questo periodo nel territorio dell’ager Volaterranus (Bonamici 2007, p. 203)
56 Per la dislocazione di aree sacre lungo una importante
direttrice tra Pisa e i distretti dell’Etruria padana si veda
Ciampoltrini 2007d, p. 72.
57 Guidati nota come, a differenza degli abitati, i luoghi di
culto siano più conservativi (Guidati 1998, p. 36).
58 Zifferero 2006a, p. 184.
59 Pur considerando la classe ancora espressione dell’aristocrazia arcaica, la Capecchi definisce le “pietre fiesolane”
il «fossile guida privilegiato per la lettura della tipologia del
popolamento» (Capecchi 1996, p. 156). Tra i vari aspetti
rimarcati dall’Autrice, quello che meriterebbe una particolare attenzione ed uno studio approfondito, soprattutto nella
dinamica della definizione di una chora, è la mancanza di
“pietre fiesolane” a Sud dell’Arno.
60 Senza entrare troppo nello specifico, è importante richiamare la distinzione formulata da Colonna (Colonna 2005,
p. 1873) tra śpura, nel senso di comunità, e meθlum, nel
senso di urbs.
61 Sulla base delle più recenti proposte interpretative, possiamo dire che simili “processi di controllo” sono comuni a
tutti i centri dell’Etruria settentrionale tirrenica: per il caso di
Volterra, si veda Maggiani 2007b, p. 54; per la chora pisana,
Ciampoltrini 2007d, pp. 70-71, 92; per Gonfienti, Poggesi
2006, pp. 81-82.
62 In attesa di una prima edizione dei dati di scavo, si veda
da ultimo Carta Archeologica 2011, pp. 317 ss., PO80.
63 Per l’impianto urbanistico “ippodameo”, si veda Poggesi
et alii 2007, con ampia bibliografia. È inoltre molto interessante notare che i medesimi apparati decorativi sono presenti a Marzabotto e a Gonfienti, dove tuttavia tali soluzioni
non risultano isolate, come dimostra il ritrovamento di un
frammento di antefissa a placca decorata con palmetta a
Casa Cafaggiolo, Fosso Garillino (Scheda 68 – 2072).
64 Sulla presenza di attività produttive a Marzabotto, in particolare la lavorazione dei metalli, si vedano Sassatelli 1990,
pp. 74-75, 88; Locatelli 2005; Malnati, Locatelli 2006.
54
48 Fanno eccezione le indagini svolte nel Comune di Sesto
dall’Istituto Fiorentino di Preistoria e dall’Università degli
Studi di Siena, sotto la direzione di Fabio Martini e Lucia
Sarti, e i sondaggi che hanno portato all’identificazione
dell’abitato etrusco nell’area di Gonfienti, promossi dalla
Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, sotto
la direzione di Gabriella Poggesi.
49 Sull’argomento si vedano Capecchi 1996 e Bruni 2002,
p. 312. Il significato iconologico attribuito alla classe non è
univoco: se la Capecchi ritiene che tali manifestazioni siano
espressione ancora di una ideologia gentilizia legata al territorio e al concetto di gens (Capecchi 1996), Bruni evidenzia
invece come le immagini vadano «valutate sullo sfondo della progressiva strutturazione ed organizzazione della forma
urbana di Fiesole» (Bruni 2002, pp. 315-317).
50 Bruni 2002, pp. 312-313. La tematica è stata oggetto
di alcuni interventi nell’ambito della mostra “Etruschi di
Volterra” (Maggiani 2007b; Esposito 2007; Bonamici 2007, pp.
202-204), con particolare riguardo all’ager Volaterranus. In
tutti viene evidenziata la stretta correlazione tra vie di comunicazione, luoghi sacri e “zone di confine”.
51 Zifferero 1995, pp. 333-350. Recentemente, lo stesso
50
Autore, nel suo intervento – rimasto inedito – Ipotesi per
la definizione del ”proastion” nella città murata al XXV
Convegno di Studi Etruschi ed Italici ”La città murata in
Etruria”, ha applicato questo metodo di analisi interpretativa anche all’Etruria settentrionale, con interessanti spunti
anche di carattere toponomastico.
52 Il tema delle aree sacre come fines publici è molto complesso e meriterebbe specifiche indagini. In particolare,
Colonna ha cercato di classificare le varie tipologie di santuari o strutture sacre, evidenziando non solo le differenze tra il distretto meridionale e settentrionale dell’Etruria,
ma “classificando” le diverse strutture in base al rapporto con il territorio (Colonna 1985, pp. 98-99, 149). Molto
complessa è la questione per quanto concerne i santuari
di campagna dell’Etruria settentrionale ed appenninica, che
Colonna definisce territoriali o “paganici” (Ididem, p. 160).
Recentemente sul tema delle aree sacre ad indicare i confini delle chorai di influenza delle città etrusche in Etruria
settentrionale, con particolare riferimento al contesto cortonese, cenni in Fortunelli 2005, p. 258.
53 Colonna 1985, pp. 160-161.
51
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
lo il quadro sembra cambiare, il contesto di
riferimento non è più limitato alla dialettica gentilizia, ma si fa progressivamente spazio una comunità più allargata, il cui teatro
di riferimento, lo scenario della dialettica
tra i principes – la cui auctoritas è sancita e
sostenuta dalla tradizione – e i nuovi gruppi
emergenti, diviene lo spazio pubblico della
città. In tal senso si può asserire che muta
profondamente il “paesaggio del potere”, in
cui si assiste ad un passaggio da una monumentalità nata in ambito privato ma rivolta
ad un pubblico per sancire uno status ad una
“depauperata monumentalità”, che si sostanzia in una società che confina i valori aristocratici in una dimensione privata: ma anche
in questa limitatezza è evidente una volontà
precisa. Infatti se i segni privati acquistano
forma sempre meno suntuosa, il “pubblico”
irrompe in maniera dirompente sul territorio
in un modo del tutto nuovo, con un linguaggio diverso: la gestione diretta dello spazio,
quindi la definizione di una chora.
Non potendo al momento usufruire di ricerche approfondite né sull’ambiente urbano né
sul territorio in oggetto, dove l’attività edilizia
degli ultimi cinquant’anni ha profondamente mutato il quadro di indagine48, dobbiamo
necessariamente appoggiarsi a pochi e sporadici dati che sembrano indicare nella seconda
metà del VI secolo a.C. una definizione della
chora di Fiesole, indiziata da una parte dalla
Il territorio di Calenzano
Questo quadro, nel territorio del Comune
di Calenzano, si evidenzia in pochi ma
significativi elementi, sia di carattere funerario69 sia a livello abitativo o produttivo.
A livello di cultura materiale legata alla vita
quotidiana, vanno segnalati i ritrovamenti,
purtroppo non controllati, avvenuti durante i lavori di edificazione dei condomini da
parte della Cooperativa “Appennino” e della
Scuola Media Statale, a Settimello (Scheda
83), e le raccolte di superficie nella zona di
Casa Cafaggiolo (Schede 63, 68, 69, 72). In
entrambi i casi, pur nell’esiguità delle testimonianze, si tratta di materiali ceramici
da mensa (ceramica acroma depurata) e da
dispensa e cottura (ceramica di impasto semidepurato e di impasto grezzo) che richiama-
Sassatelli 1990, p. 63.
Il fatto che il sito fosse occupato già in età protostorica
non implica una continuità ininterrotta: dai pochi dati pubblicati, sembra che dopo una notevole frequentazione nell’età
del Bronzo (Perazzi, Pagnini 2007; Carta Archeologica 2011,
pp. 343-351) il sito venga “rifondato” attorno agli ultimi
anni del VI secolo a.C. Del resto anche a Marzabotto, prima
dell’assetto monumentale (Marzabotto II), è stata accertata una occupazione più antica (Marzabotto I) dai caratteri
meno definiti (Sassatelli 1990, pp. 58-59).
67 Per questa realtà è preferibile non parlare di città nel sen65
66
52
no sia nelle forme sia nelle paste ceramiche
modelli di riferimento e produzioni tipiche
sia di area pisana-valdarnese (impasti a scisti)70 sia la ceramica c.d. etrusco-padana (in
particolare la ceramica depurata). Infatti se
quest’ultima produzione trova confronti
con esemplari provenienti dai territori vicini, come Artimino, Gonfienti o della bassa
val d’Arno come Coltano e Pisa, ma chiaramente soprattutto con produzioni tipiche
di importanti siti oltre l’Appennino, come
Marzabotto, la ceramica d’impasto, presente
in quantità senz’altro più rilevante, dimostra
la presenza di collegamenti con i territori
limitrofi già citati, puntando l’accento anche
sull’esistenza di produzioni locali, sicuramente derivanti da modelli comuni: in questo
contesto, tra gli altri, un carattere peculiare
sembra svolgerlo il frammento di coperchio
a calotta con presa ad anello di impasto a
scisti microclastici (Scheda 69 – 2073), per
la presenza di elementi analoghi in un’area
piuttosto ampia, compresa tra la Garfagnana
e l’isola d’Elba.
Anche se da contesti molto diversi, le segnalazioni di questa tipologia di coperchio,
diffusa sia lungo la valle del Serchio sia in
Valdarno, ma anche nel territorio di Pisa ed
in area transappenninica, evidenziano le stesse dinamiche di natura politico-commerciale
che stanno dietro allo sviluppo dell’Etruria
settentrionale tirrenica in periodo arcaico.
Senza bisogno di vedere volontà di controllo
da parte del centro alla foce dell’Arno, questi
ritrovamenti testimoniano la formulazione in
area tirrenica settentrionale di una comune
cultura materiale che vede tra i maggiori protagonisti i centri nella valle dell’Arno e Pisa in
particolare, in riferimento non solo ai traffici
so classico del termine, non ultimo per la vicinanza con
Faesulae.
68 Carta Archeologica 2011, p. 44 s. con bibliografia.
69 Tra i pochi elementi di corredo recuperati va segnalata
una fibula di tipo Certosa, purtroppo molto frammentaria,
di un tipo diffuso in Etruria in tutto il V secolo a.C. (Scheda
78 – 2038).
70 Per la particolare coloritura “pisana” delle forme ceramiche dell’impasto a scisti e per la diffusione in Etruria settentrionale si veda da ultimo Ciampoltrini 2007c, pp. 63-64.
marittimi ma anche ai transiti transappenninici: tramite l’epineion di Pisa e la capacità di
redistribuzione nell’entroterra attraverso il
corso dell’Arno e dei suoi affluenti, non solo
arrivano prodotti derivati dal commercio nel
Mediterraneo anche in centri situati nell’interno71, ma, probabilmente, circolano maestranze ed idee che permeano tutta la società
etrusca di periodo tardo-arcaico al punto da
parlare di una vera e propria koinè anche di
carattere culturale. Tra i prodotti più significativi vanno segnalate le anfore da trasporto
etrusche e greche che segnano le rotte interne del commercio lungo il Valdarno, spesso
accompagnate da prodotti di maggior prestigio come la ceramica attica: se a Calenzano
mancano al momento ritrovamenti di ceramica attica72, il fondo di un’anfora da trasporto etrusca arcaica (tipo Py 4), rinvenuto
a Casa Cafaggiolo (Scheda 68 – 2054), rende
testimonianza di tali relazioni, con particolare
riferimento ai rapporti con Caere. Dagli scali
pisani tali contenitori erano diffusi nell’interno, in particolare lungo le valli del Serchio e
dell’Arno: dalle “vie d’acqua”, attraverso alcuni vici o oppida d’altura73 come Montereggi74
o Pietramarina75, questi materiali, così come
gli altri materiali di importazione, venivano
distribuiti attraverso un percorso di crinale,
per giungere nelle zone più interne.
Tuttavia ancora una volta sono i monumenti
funerari che evidenziano in maniera più netta questa sorta di koiné etrusco settentrionale
capace di elaborare un linguaggio iconografico comune. Tra i monumenti che fin dall’inizio del secolo scorso hanno rivestito un ruolo di primaria importanza per la definizione
dell’arte etrusca, un posto di primo piano
è stato riconosciuto al cippo di Settimello
(Scheda 86 – 2003): infatti se da tempo il
carattere di unicità76 aveva attirato l’attenzione per l’eclettismo che portava seco, recenti
studi hanno dimostrato come alla base della
formazione del “maestro”77 o della “bottega”
che ha prodotto questo monumento, il cippo
“maggiore” del Palazzo dei Vescovi di Pistoia
e il probabile altare arcaico di Fiesole78, ci sia
l’esperienza di un maestro greco-orientale
(chiota), arrivato a Pisa intorno al 530 a.C.
e autore del noto cippo in marmo da “La
Figuretta”79.
Questa constatazione dimostra come alla
base di una classe di monumenti considerata
esclusiva di uno specifico territorio ci siano
una formulazione ed un mondo di rapporti
che vanno ben oltre i “confini” della chora
Per quanto concerne la piana di Lucca, si veda
Ciampoltrini 2007d, pp. 88-91; per Montereggi, Alderighi
1985, p. 66 e Berti 2007; sul sito di Pietramarina si vedano Bettini 2000, p. 43, Bettini 2006, Bettini 2007, Bettini
2008. Una brevissima nota sul ruolo degli insediamenti di
Montereggi e Pietramarina nella più complessa rete di vie
di comunicazione tra la valle dell’Arno, il Monte Albano e gli
itinerari transappenninici in Bettini 2006, p. 363, Perazzi,
Poggesi 2006, pp. 69-70, e Bettini 2008, pp. 421-423.
72Nel territorio del Comune di Calenzano, al momento, non
è stato recuperato nessun frammento di ceramica attica,
anche se una conferma del notevole flusso di merci frutto
del commercio transmarino che dall’epineion pisano risaliva il corso dell’Arno possiamo ricavarla dal frammento di
kylix attica a figure rosse proveniente da via Bresci, al confine tra i Comuni di Calenzano e Prato (Perazzi, Poggesi 2006,
p. 70; Carta Archeologica 2011, p.315, fig. 13) e, soprattutto, dal consistente nucleo di ceramica attica, recentemente
edito, proveniente da Gonfienti (Millemaci, Poggesi 2004,
pp. 46-52; Poggesi 2006, p. 82).
73 Ciampoltrini 2007f, p. 70.
74 Alderighi 1985, p. 66 e, in Appendice, pp. 75-76.
75 L’importante ruolo di Pietramarina nello scacchiere delle
reti commerciali nel medio Valdarno è ormai ampiamente
attestato per il periodo post-arcaico, periodo di erezione
delle mura, ma i numerosi materiali e gli edifici precedenti,
databili tra la fine del VII secolo a.C. e tutto il periodo arcai-
co, portano a ipotizzare che il motore della nascita e dello
sviluppo dell’insediamento siano da ricercare proprio nella
posizione privilegiata lungo le principali arterie di comunicazione (Bettini 2006, p. 363; Bettini 2008).
76 In realtà l’impressione di unicità del monumento è stata
recentemente ridimensionata alla luce di ulteriori rinvenimenti, che hanno evidenziato come alla base della “scuola
fiesolana” vadano ricercate esperienze di provenienza allotria, in particolare modelli derivati da artisti greco-orientali
attivi a Pisa (Maggiani 2004a, pp. 161-162).
77 L’ipotesi che alla base della realizzazione del cippo di
Settimello e di altri monumenti ci sia l’esperienza di un
Maestro è stata proposta per la prima volta in maniera
strutturata in Bruni 1994, pp. 66-67, passim, e poi ripresa
in Capecchi 1996, p. 161, dove l’Autrice identifica proprio
nelle opere di maggiore impegno, caratterizzate da una
minore adesione alla normalizzazione iconografica, quelle
realizzate dal “Maestro di Fiesole”.
78 Bruni, partendo dalla considerazione che il cippo di
Settimello e i frammenti dell’altare di Fiesole, pur nella
loro apparente unicità, rappresentano il primo nucleo di un
nutrito numero di cippi e stelai, elenca i monumenti che in
base a considerazioni di carattere stilistico e formale possono essere attribuiti allo stesso Maestro o alla stessa bottega
(Bruni 1994, pp. 75-79).
79 Maggiani 2004a, pp. 161-162.
71
53
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
in modo specularmente sincretico le realtà
ai piedi dell’Appennino, dove si assiste, nel
VI secolo a.C., ad una riorganizzazione del
territorio e delle vie di comunicazione per
scopi commerciali, operazione possibile solo
in presenza dell’istituto cittadino65.
Del resto l’importanza dell’organizzazione
territoriale della nuova66 comunità67 si evidenzia ancora di più se confrontiamo l’orientamento astronomico del centro etrusco
con le tracce della centuriazione romana di
Florentia: questa infatti, se risulta spostata di
circa 35 gradi rispetto all’orientamento della
colonia romana, è coerente con gli assi della città arcaica, testimoniando un più antico
assetto del territorio su cui si sarebbe attestato
il nuovo impianto coloniale68.
Legenda
tipo “A”
=cippo
cippo
tipo “A”;
per Barberino del Mugello
= cippo tipo “B”;
= cippo a clava marmoreo di tipo pisano.
Figura 1: Carta di distribuzione dei cippi etruschi di facies arcaica in Val di Marina.
= cippo tipo “A”;
cippo tipo “B”
= cippo tipo “B”;
= cippo a clava marmoreo di tipo pisano.
Figura 1: Carta di distribuzione dei cippi etruschi di facies arcaica in Val di Marina.
= cippo tipo “A”;
= cippo tipo “B”; cippo a clava marmoreo
tipo pisano
=dicippo
a clava marmoreo di tipo pisano.
Figura 1: Carta di distribuzione dei cippi etruschi di facies arcaica in Val di Marina.
che dietro a tale scelta ci sia la precisa volontà
di ricollegarsi all’attività della mercatura, quasi un trait d’union tra Pisa, il suo epineion e le
vie del commercio transappenninico88: infatti
il sito da cui provengono i due cippi è posto
lungo la Val di Marina, una delle direttrici
per il Mugello89, caratterizzato, anche in epoca romana, da una sviluppata ed importante
viabilità e dalla presenza di sepolcreti90. Tale
considerazione, oltre che dalla segnalazione di
un cippo sferoidale travato a Carraia (Scheda
21), sembra confermata anche da un ulteriore importante rinvenimento, un inedito cippo sferoidale del tipo A della classificazione
Magi-Nicosia (Scheda 40 – 2108) che, per
quanto riguarda la sintassi decorativa, trova
confronti nei noti cippi di Papiniano e di
Barberino del Mugello, mentre per il motivo
ad onde, piuttosto insolito tra le decorazioni
delle “pietre fiesolane”, ha i riferimenti più
prossimi nella decorazione accessoria della
stele di Traviglioli e nel frammento di altare
da Fiesole della Collezione Bacci, ma trova
ampi e ben strutturati rimandi nella tradizione delle stele felsinee di pieno V secolo a.C.
Se includiamo nella nostra disamina anche
il già citato cippo di Barberino di Mugello,
80
In totale al momento conosciamo solo cinque esemplari
marmorei di questa tipologia di monumento funebre: un
cippo conico di marmo da Artimino (Nicosia 1966b, pp.
281-282; Carta Archeologica 2011, p.425, c); il “Cippo
Antinori”, che Ciampoltrini ha identificato con il cippo trovato sul finire del Cinquecento a Capalle e citato dal Gori
(Ciampoltrini 1980, pp. 76, 81, nota 39; Maggiani 1985, pp.
248-249); il cippo da Palastreto (Magi 1932, Appendice,
p. 19, n. 2; Bruni 2002, p. 292); i due cippi de Il Pratello
(Scheda 51 – 2099-2100).
81 Per una bibliografia essenziale sul tipo, si veda Scheda
51 – 2099.
82 Bonamici 1990b, p. 165.
83 Ci riferiamo in particolare alla tomba ritrovata in località
Ripa, che la Paribeni collega ad imprenditori del marmo
di probabile origine pisana che, attraverso le columellae
marmoree segnalavano con ostentazione il proprio status
(Paribeni 1999, p. 43) e al cippo della tomba 2/1984 di
Monteriggioni, caratterizzato da dimensioni inusitate per la
zona e da un contesto in cui la marca aristocratica è manifestata anche dalla scena di caccia rappresentata sulla base
di un altro cippo a pigna pure esso di marmo (Cianferoni
2002, pp. 107-109; Maggiani 2007b, p. 55).
84 Lo sfruttamento dei giacimenti apuani doveva consistere non solo nella ricerca delle vene e nella “cavatura”, ma
anche nella raccolta e lavorazione dei massi e dei blocchi
già staccati e disponibili ad esempio nei greti dei fiumi
(Bonamici 1990b, p. 164).
Tra i rinvenimenti più distanti si segnalano il già citato cippo di Monteriggioni (si veda nota 83) e il cippo di
Montalcino, da poco reso noto (Cappuccini 2008, con bibliografia).
86 Maggiani 2004a, pp. 154-155, con bibliografia.
87 Bruni 1998, p. 146.
88 Del resto il collegamento columella-Pisa è già stato considerato un legame molto stretto, al punto da definire “pisani”, in senso politico, sia il defunto della tomba in località
Ripa, in Versilia (Paribeni 1999, p. 43), sia il detentore del
cippo ritrovato nella necropoli della Cannicella di Orvieto
(Bruni 1998, p. 147).
89 Per la viabilità in periodo etrusco, si veda Millemaci 1999.
A tal proposito si ricorda, a conferma dell’importanza della
rete dei valichi appenninici, lo scavo di un piccolo sepolcreto in Podere Ca’ Nove degli Ortali a Palazzuolo sul Senio,
che – tra le altre – ha restituito una sepoltura maschile datata nei primi anni del VI secolo a.C., in cui al defunto, data la
presenza di tre lance, si riconosceva lo status di guerriero,
probabilmente a difesa dei transiti lungo le vie transappenniniche (Fedeli, Paci 2006, pp. 115-117).
90 Ad oggi possiamo affermare che nella Val di Marina,
proprio lungo una direttrice viaria importante, si trovava
un’area sepolcrale piuttosto estesa, della quale possiamo
avere una pallida eco dai numerosi cippi lapidei recuperati,
purtroppo privi di contesto di riferimento ma tutti di singolare importanza.
54
85
il cippo di Settimello (Scheda 86 – 2003),
la stele arcaica di Villa Gamba (Scheda 84)
e il Cippo Antinori, ritrovato nell’area dove,
anticamente, il torrente Marina si gettava
in Arno91, possiamo ricostruire una possibile linea di penetrazione tra il medio corso
dell’Arno e l’area appenninica, compiutamente segnata da marcatori archeologici, ad indicare la via di percorrenza, sul modello attestato, ad esempio, anche nel centro di Pisa92
(fig. 1). Se questa lettura corrisponde al vero,
coglie nel giusto chi93 ha ipotizzato di individuare proprio nella val di Marina il tratto
iniziale del tracciato che, in epoca romana, in
un periodo di particolare difficoltà di rapporti, dovuta alle intemperanze celto-liguri verificatesi in periodo post-annibalico94, metterà
in comunicazione l’area di Arretium-Faesulae
con Bononia: tale strada, nota anche dalle fonti95 e denominata Flamina “minor” per distin- no due piccole fornaci, i cui livelli di riempi- Figura 1. Carta di distribuzione
= cippo
tipo
“A”; materiali
= cippo tipo
a clava
marmoreo
di tipo
dei cippi
etruschi
di età arcaica
in pisano.
hanno
restituito
che“B”;
trovano= cippo
guerla dalla più nota Flaminia che collegava mento
Val
di
Marina.
Roma ad Ariminum, con il tempo perderà la confronti precisi tra l’instrumentum domesti1: Carta
di distribuzione
cippi
etruschi di facies arcaica in Val di Marina.
cum del
tempo,
per quanto èdei
dato
conoscere
funzione militare per cui era nata, (ri)conqui- Figura
97 sia per la più
96
stando la dimensione “civile” in relazione sia per l’esperienza calenzanese
allo sviluppo di Florentia. Sembra tuttavia sicura attestazione di Gonfienti.
chiaro che il tracciato ripropone probabil- Purtroppo poco o niente sappiamo delmente un più antico percorso, i cui termini la situazione che si è venuta a creare con la
fine del V secolo a.C.: tuttavia, in base ai
archeologici abbiamo cercato di delineare.
Su questa via di comunicazione, ad ulterio- pochi dati provenienti da Gonfienti e da
re conferma del ruolo di importanza strate- Marzabotto, possiamo affermare che da una
gica della Val di Marina anche in periodo parte la discesa delle popolazioni galliche98 e
etrusco-arcaico, bisogna segnalare il recente dall’altra le notevoli variazioni climatiche99
ritrovamento di un’area di insediamento in mutarono profondamente il quadro del
località Carraia (Scheda 23), da interpretare popolamento ed il modo di occupazione del
probabilmente come un piccolo villaggio, del territorio, influendo in maniera decisa anche
tipo diffuso nel territorio rurale, probabile sul tipo di contatti, che senza dubbio sono
modello alla base del tessuto economico della continuati come dimostrano i materiali ellechora. Tra le attività presenti in questo pic- nistici arrivati in Etruria padana, ma oramai
colo agglomerato non secondaria sarà stata la svincolati dal ruolo determinante svolto dalle
produzione ceramica, testimoniata da alme- due “colonie”, alle quali si andarono sostiCartografia archeologica del comune di Calenzano
fiesolana. E non sarà senza dubbio un caso
che da questo comparto del territorio valdarnese provengono alcuni cippi di marmo del
tipo a clava80, tipici dell’ager Pisanus81, due
dei quali proprio da Il Pratello, nel Comune
di Calenzano. Se la lettura qui proposta
risponde a verità, non bisogna stupirsi che
alcuni elementi della società decidano di proporsi alla collettività in modo diverso, con
un linguaggio preciso, che evidentemente si
vuole ricollegare nella forma (il cippo a clava)
e nel materiale (il marmo) a quelle esperienze tipiche del centro maggiormente legato
all’attività commerciale, cioè Pisa. Se infatti
alcuni cippi, spesso caratterizzati da un gigantismo accentuato, spiegabile o con l’attività
di scalpellini locali82 o con un provincialismo
ancora di marca aristocratica83, provengono
dai margini della chora pisana, nelle zone di
estrazione della materia prima84, o da regioni
anche piuttosto distanti85, è indubbio che tali
monumenti si ricolleghino ad una tradizione
antichissima attestata proprio a Pisa86. E poiché, ad eccezione del Cippo Antinori, senza
dubbio uno dei capofila della produzione87,
gli esemplari in questione sono coevi alla diffusione delle “pietre fiesolane”, è possibile
Lamberini 1987, p. 35.
Bruni 1998, pp. 233-234.
93
Uggeri 1984; Uggeri 1992; Capecchi 1996, p. 157.
94
Uggeri 1984, p. 578.
95
Liv. XXXIX, 2, 6: «et quia a bello quieta ut esset provincia
effecerat, ne in otio militem haberet, viam a Bononia perduxit Arretium».
96
Uggeri 1992, p. 192.
97
Una zona produttiva per la realizzazione della ceramica
è stata scavata nel 1991 nel Comune di Sesto Fiorentino in
91
92
via Morese, quasi sul confine con il Comune di Calenzano.
Il contesto, datato al secondo quarto del VI secolo a.C., può
dare utili indicazioni per cogliere quei caratteri tradizionali
che troveranno, con la fine del VI secolo a.C., ampia risonanza nelle produzioni attestate nel sito di Gonfienti (Settesoldi,
Zannoni 2000, p. 206, con bibliografia precedente).
98
Sassatelli 1990, pp. 96-97.
99
Per la piana di Lucca, si veda da ultimo Ciampoltrini
2007d, pp. 106-108; per Gonfienti, Perazzi, Poggesi 2006,
pp. 70-71.
55
Legenda
area sepolcrale
area abitativa (tipo fattoria)
area abitativa (tipo pagus)
area produttiva
area sacra
Figura 2. Carta della
distribuzione dei siti di età etrusco
arcaica territorio del Comune di
Calenzano.
tuendo altre realtà meno strutturate100. Al
contrario, almeno per quanto è possibile stabilire dai ritrovamenti pisani e dal successivo
floruit di Fiesole101, la via dell’Arno non perde importanza, anzi sarà proprio l’asse EstOvest ad acquisire nuova forza.
Abbiamo fatto riferimento, in sintesi, ai rinvenimenti di periodo arcaico: premesso che
si tratta, nella quasi totalità dei casi, di siti
di nuova occupazione, bisogna evidenziare
due elementi che ci sembrano interessanti: la
diffusione delle testimonianze in prevalenza
lungo la valle del torrente Marina e nel territorio pianeggiante ai piedi del rilievo della
Calvana e del massiccio del Monte Morello,
e la completezza della documentazione, rappresentata sia da siti di tipo abitativo sia da
strutture sepolcrali. L’osservazione della carta
di distribuzione (fig. 2) infatti mostra come
quasi tutti i rinvenimenti (13 attestazioni) si
trovino lungo il torrente Marina o, comun-
que, nella porzione della piana di Sesto che si
incunea tra i rilievi della Calvana e del Monte
Morello .
Per quanto concerne il tipo di occupazione
dello spazio, dobbiamo constatare che il tipo
di documentazione di cui disponiamo offre,
al momento, solo una pallida eco del tipo di
ambiente in età etrusco-arcaica: infatti per
quel che concerne le aree cimiteriali disponiamo soltanto di alcuni arredi sepolcrali (6
esemplari), anche di notevoli dimensioni ed
importanza documentaria, rinvenuti in giacitura secondaria e di piccoli lacerti di possibili tombe (una punta di lancia enea associata ad una fibula dello stesso materiale da
Poggio Castellare – Scheda 4), mentre, per
quanto riguarda la documentazione di tipo
abitativo, bisogna lamentare la manifesta
incompletezza della documentazione, trattandosi nella totalità dei casi di attestazioni
poco consistenti, provenienti esclusivamente
da scassi per la messa in opera di fondamenta
per opere di edilizia privata o da ricognizioni di superficie. Nel solo caso in cui è stato
possibile realizzare uno scavo archeologico
scientificamente corretto (Carraia, lottizzazione 2007 – Scheda 23), la situazione stratigrafica, benché fortemente compromessa
dai passati lavori agricoli e dalle opere di
urbanizzazione precedenti all’intervento di
assistenza archeologica102, ha evidenziato una
interessante continuità di vita e di utilizzo del
territorio, con l’impianto anche di strutture
a carattere produttivo103. Negli altri casi è
decisamente più difficile stabilire il tipo di
occupazione: sono state rinvenute situazioni
e contesti come quello di Settimello (Scheda
83), in cui la continuità ininterrotta di attestazione dall’età protostorica fino al periodo
tardo-romano da una parte e la consistenza
quantitativa del materiale recuperato dall’altra porterebbero ad ipotizzare l’esistenza di
È il caso ad esempio del centro di Monte Bibele, che
vede, dopo un periodo di assestamento in cui la componente
maschile a capo della comunità è per lo più gallica e si caratterizza per possesso e detenzione delle armi, una fase in cui
anche frange di maschi non guerrieri, probabilmente etruschi, conquistano importanti livelli di potere, forse in relazione al commercio e alla riorganizzazione degli scambi tra
il territorio padano e l’Etruria (Sassatelli 1990, pp. 98-99).
Bruni 1998.
Per la ricostruzione delle principali vicende che hanno
interessato il sito in oggetto, si veda inoltre Tuci 2008.
103
Anche in questo caso, così come per gli esempi riportati
subito di seguito, sia per la consistenza del ritrovamento,
caratterizzato da strutture a carattere abitativo e a carattere
produttivo, sia per la continuità di vita, si può parlare di
piccolo nucleo abitativo (pagus).
100
56
Nuvola di punti
un piccolo nucleo abitativo (fattoria?) posto
una via di comunicazione rimasta in uso per
tutta l’età antica. Considerazioni diverse probabilmente portano ad individuare un pagus
nell’area di Casa Cafaggiolo (si vedano Scheda
68 e 69), ubicata ai piedi del massiccio di
Monte Morello, lungo una via di percorrenza e di penetrazione verso il Mugello e verso
Felsina104. In via dubitativa dunque possiamo ipotizzare che questi siti abitativi dovessero rappresentare sul territorio piccoli nuclei
isolati (fattorie), nel caso delle testimonianze
meno consistenti, o piccoli villaggi con più
complessi raggruppati a supporto dell’economia agricola dei centri maggiori (Fiesole e
Gonfienti) e sulle vie di penetrazione principali (la via d’acqua rappresentata dall’Arno e
le vie di comunicazione transappenniniche).
Al momento rimane di difficile definizione
la natura del sito di monte Morello (Scheda
41), ma la posizione sulla sommità del rilievo
più alto della regione e la lunga continuità di
occupazione105 suggeriscono l’ipotesi di localizzarvi una possibile area sacra, almeno per la
fase più antica. Nel quadro delineato acquisiscono particolare rilievo le testimonianze delle aree sepolcrali, che, anche in questo caso,
sembrano segnare una precisa via di penetrazione dalla piana di Sesto verso l’interno;
tuttavia non è possibile formulare ipotesi sul
tipo di strutture tombali, delle quali non è
stata trovata traccia106.
Sezione
Per il periodo ellenistico i dati a nostra disposizione si rarefanno, soprattutto per quel che
concerne il primo Ellenismo, non tanto forse
per una effettiva crisi di natura demografica,
quanto piuttosto per un diverso modo di
occupare e sfruttare lo spazio che la ricerca ad
oggi impostata non è in grado di valorizzare.
Anche in questo caso, come per i periodi precedenti, è necessario cercare conferme e linee
interpretative nelle zone finitime o, comunque, nel Valdarno più in generale, perché le
testimonianze recuperate nel territorio del
Comune di Calenzano, seppure relative a siti
numericamente non inferiori al precedente periodo, si caratterizzano tuttavia per un
minor indice quantitativo, con la conseguenza che risultano difficilmente collegabili in un
unico quadro d’insieme.
Nel corso della trattazione delle testimonianze di periodo arcaico abbiamo accennato alla
crisi che ha investito l’Etruria tra la fine del
V secolo a.C. e gli inizi del secolo successivo107. In particolare, in riferimento a questo
periodo, gli studiosi, anche sulla scorta delle
fonti antiche, tendono ad individuare nella
discesa delle popolazioni gallo-celtiche un
fattore determinante per spiegare la “recessione”. In Livio infatti, nel noto passo che tratta
della discesa dei Galli108, si legge che «Clusini
novo bello exterriti, cum multitudinem, cum
formas hominum invisitatas cernerent et genus
armorum, audirentque saepe ab iis cis Padum
ultraque legiones Etruscorum fusas […] legatos Romam qui auxilium ab senatu peterent
misere»109. Le fonti dunque attestano che
all’inizio del IV secolo a.C, quando orde di
Galli discesero nella Tuscia, i centri etruschi
oltre l’Appennino avevano già subito attacchi
che ne avevano decretato la pesante sconfitta
(«legiones Etruscorum fusas»). Tale situazione
trova un riscontro archeologico in Etruria
padana, dove l’abitato di Marzabotto, da
centro politico-commerciale di rilievo nello
scacchiere dei rapporti tra l’Etruria tirrenica
e le popolazioni transappenniniche, si trova
a ricoprire la funzione di semplice avamposto militare, perdendo progressivamente, con
l’arrivo dei “nuovi signori”, l’identità urbana110; una situazione analoga è documenta-
104 Uggeri 1984, pp. 584-586, 589-591; Uggeri 1992, p.
192; Millemaci 1999, pp. 134-135.
105 I frammenti raccolti testimoniano tracce di occupazione
ininterrotta per tutto il periodo etrusco, dalla facies arcaica
fino al tardo Ellenismo.
106 Strutture costruite in pietra ed interpretate come tombe
sono state recentemente individuate sulla Calvana (Poggesi,
Magno 2006a; Carta Archeologica 2011, pp. 266-269,
PO65.), anche se i pesanti rimaneggiamenti impediscono
di verificare l’effettiva consistenza della segnalazione.
107 Si vedano le note 97-98.
108 Liv. V, 33-36.
109 Liv. V, 35, 4.
110 Sassatelli 1990, pp. 96-97.
Il periodo ellenistico
101
102
57
Figura 3. Carraia, lottizzazione
2007. Fornaci, restituzione con il
laser-scanner (Tecsette):
1. sacnsioni; 2. nuvola di punti;
3. sezione
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scansioni
transmarini119, come nel caso di Pisa. Questo
centro, alla fine del IV secolo a.C., mostra
evidenti segni di vitalità e ricchezza, testimoniata sia dalle importanti opere legate alla vita
della polis120 sia dalla ridefinizione delle strutture politiche e produttive dell’ager121. Anche
recentemente, tra le cause scatenanti che hanno condotto ad un riassetto dello spazio
antropizzato, oltre a naturali movimenti di
riorganizzazione interni alla società122, è stata
posta l’attenzione sulla necessità di difesa nei
confronti dei Galli prima e dei Liguri
dopo123. In realtà, se è vero che i Liguri
all’inizio del II secolo a.C. si pongono in netta contrapposizione a Pisa124, la documentazione archeologica evidenzia che tra la fine
del V e l’inizio del IV secolo a.C. gruppi tribali della Liguria centrale occupano i territori
intorno alle Apuane non per sete di conquista, ma perché pressati dalle popolazioni celtiche, inserendosi in spazi abbandonati dagli
Etruschi padani, su linee commerciali oramai
in forte crisi125. Dunque, nel periodo compreso tra il IV secolo e l’inizio del II secolo
a.C. (nel 193 a.C. i Liguri attaccano Pisae e
Lunae), la convivenza tra le popolazioni liguri e gli Etruschi della valle dell’Arno e del
Serchio dovette essere pacifica, legata a scambi commerciali126 e rafforzata anche da vincoli matrimoniali127. Alla base del bisogno di
sicurezza, per cui viene nominata prima la
questione celto-gallica, poi quella ligure, c’è
la nascita sul territorio dell’Etruria settentrionale di strutture, definite oppida, fenomeno
piuttosto diffuso in Etruria settentrionale in
periodo ellenistico. La caratteristica di questi
insediamenti è rappresentata da un circuito
di mura, in certi casi conservato anche per
un’altezza considerevole128, che racchiude
edifici civili129 o semplici apprestamenti militari130. Queste costruzioni, piuttosto diffuse
in territorio fiesolano, sono nate anche in
realtà finitime, come ad esempio nell’ager
Pisanus, dove tali apprestamenti si trovano sia
a corona della città131 sia sulla costa, a
Nord132 e a Sud133 dell’epineion. Accanto a
questi apprestamenti esistevano piccole fattorie, legate allo sfruttamento del suburbio134.
La situazione sembra essere la stessa riscontrata in area fiesolana, dove la chora appare
caratterizzata, almeno fino al II secolo a.C.,
da una corona di fortezze d’altura a controllo
del territorio e delle vie di comunicazione135.
L’aristocrazia, probabilmente, abitava all’interno dei centri maggiori, racchiusi da poderose mura. Tuttavia non bisogna pensare che
le mura avessero solo la funzione di difendere. Se per quanto riguarda Pisa non è ancora
chiaro se la città ne fosse o meno munita136,
tutte le città etrusche più importanti ne sono
dotate, e non solo per la minaccia di nemici,
ma soprattutto perché tali strutture servono a
definire lo spazio ideale della polis, tra lo spazio fisico del me lum (città) e quello
dell’ager137: non secondario nell’economia
delle nostre considerazioni il ritrovamento
dei cippi di confine, da datarsi probabilmente
nel II secolo a.C. proprio dalla s´pura di
Faesulae138. Cercando di riassumere i termini
della questione, noteremo che l’invasione
gallo-celtica ha senza dubbio rappresentato,
per il periodo immediatamente successivo
alla caduta di Veio, un elemento destabilizzante per l’Etruria propria, causando, probabilmente, fenomeni migratori “di ritorno”139
e necessità di riassetto interno, soprattutto
per quel che riguarda le vecchie vie di comunicazione che perdono la loro centralità e
finiscono sotto il controllo dei “nuovi signori”; anche la presenza ligure può aver significato, soprattutto per le regioni più settentrionali, un fattore di notevole instabilità, ma
anche una ricchezza, soprattutto in termini di
approvvigionamento di legname e di prodotti legati all’attività silvo-pastorale140; senza
dubbio la regione è stata soggetta a imprevedibili eventi climatici che hanno notevolmente modificato il quadro insediativo,
costringendo le realtà più organizzate, come i
centri urbani, ad un riassetto delle vecchie
strutture di carattere pubblico danneggiate
dalle inondazioni141, e cancellando o impoverendo le piccole realtà locali legate ad una
economia di sussistenza142 già fortemente
provate dal riassetto a cui il Mediterraneo e
l’Etruria nello specifico sono sottoposte dalla
seconda metà del V secolo a.C. fino agli inizi
del successivo. Ma un elemento da non sottovalutare, che ha rappresentato un indice di
forte insicurezza sul territorio, è la presenza
sulla scena centro-italica della potenza di
Roma, la quale, dopo essere riuscita a stringere una alleanza politica con Pisa, utilizzerà il
porto come scalo militare143 e commerciale144, laddove altre città dell’Etruria setten-
Bettini 2000, p. 39; Bettini 2008, pp. 412-416.
Come accade, oltre che a Pietramarina (Bettini 2008,
pp. 416-420; Carta Archeologica 2011, pp.382-392, CR5),
anche a Poggio la Croce a Radda in Chianti, Cetamura a
Gaiole in Chianti o a poggio La Croce a San Casciano in Val
di Pesa (Cianferoni, Baroncelli 2007).
130 Un esempio è rappresentato dalla fortezza d’altura di
Poggio Civitella a Montalcino (si veda da ultimo Donati,
Cappuccini 2008).
131 Bruni 1998, p. 231.
132 Maggiani 2007a, p. 181; Maggiani 2008, pp. 355-360.
133 Palladino, Regoli 2007.
134 Bruni 1998, p. 228.
135 Maggiani 2008, pp. 365-366.
136 Bruni 1998, pp. 228-232.
137 Bruni 1998, p. 232; Zifferero 2006b, p. 404, con bibliografia.
Lambrecht 1984, pp. 325-326. Si veda da ultimo
Maggiani 2007c, p. 166, con bibliografia.
139 Maggiani 2007b, p. 138.
140 Ciampoltrini 1998, pp. 206-207.
141 Si data agli anni attorno al 300 a.C. una potente esondazione dell’Auser che, nel cuore di Pisa, ha riportato
uno strato di limo che ha cancellato le strutture templari
di Sant’Apollonia e di piazza Duomo, a cui è seguita una
repentina ricostruzione (Bruni 1998, p. 221).
142 Ciampoltrini 2007b, pp. 106-108; Perazzi, Poggesi 2006,
pp. 70-71.
143 In Polyb. II, 27,1, 28,1 si legge che il console C. Attilio
cercò di raggiungere un gruppo di Galli diretto verso Roma;
ancora da Polibio (III, 56, 5) e da Livio (XXI, 39) sappiamo
che il porto fu eletto sede dell’esercito romano guidato da
P. Cornelio Scipione.
128
129
111 Ibidem, p. 97. Da tale desolante quadro sembrano emergere solo alcuni centri che o per posizione lungo rotte commerciali a lungo raggio (Mantova) o perché naturalmente
difesi (Spina e Adria), mantengono il loro ruolo (ibidem,
pp. 98-100).
112 Ibidem, p. 98.
113 Tra le maggiori conseguenze è interessante notare il tracollo delle importazioni di materiali dai mercati transmarini,
a fronte dei numerosi esemplari importanti tra il VI e la prima metà del V secolo a.C.
114 Cristofani 1977, p. 76.
115 Maggiani 2007b, p. 138.
116 Cristofani 1977, p. 79.
117 Boldrini 1991, p. 261.
58
Bruni 1997, p. 154.
Bruni 1998, p. 236.
120 Degne di nota le ristrutturazioni delle aree sacre di via S.
Apollonia e di piazza del Duomo (Bruni 1998, pp. 221-225).
121 Bruni 1997, p. 154.
122 Solitamente, per quanto riguarda i movimenti e le problematiche di tipo sociale, un elemento indispensabile per
la discussione è quello di natura epigrafica e prosopografica, che per l’area in esame è assolutamente inconsistente.
123 Bettini 2000, p. 46.
124 Strab. V, 2, 5.
125 Maggiani 2004b, p. 371.
126 Ciampoltrini 1998, pp. 206-208.
127 Bruni 1998, pp. 234-235.
118
119
138
59
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
ta a Felsina, dove si assiste alla rioccupazione delle vecchie sedi necropolari, non tanto
per mancanza di spazi da utilizzare, quanto
piuttosto per una probabile contrazione del
centro abitato111.
I Galli, interessati ad assumere il ruolo di
intermediari tra Mediterraneo e continente
europeo, operarono in modo da riorganizzare
una vasta rete di traffici con l’Etruria e l’Italia
centrale, sfruttando in particolar modo gli
insediamenti di montagna, a controllo dei
valichi appenninici112. Si assiste quindi in
tutta l’Etruria centro-settentrionale ad una
evidente contrazione, non tanto della popolazione, quanto degli interessi di più ampio
respiro (commerciali)113 con un evidente
ripiegamento su politiche agricole tese alla
produzione di beni di consumo primario.
Tale fenomeno non sembra senza conseguenze anche dal punto di vista del tipo di popolamento, che in certe realtà, come Chiusi,
corrisponde ad una occupazione capillare
dell’ager114. Per Volterra invece la situazione
sembra diversa, in quanto nel IV secolo a.C.
si dota di un circuito murario che racchiude
una porzione di territorio molto ampia, evidenziando un notevole inurbamento115; a
questo fa riscontro un territorio finitimo
poco popolato116, mentre si sviluppano piccoli centri sui bassi rilievi della Valdelsa117 e
della Valdera118, popolati da una classe
media, accanto ai quali vecchie e nuove aristocrazie rurali consolidano il proprio potere.
In alcuni casi, tuttavia, assistiamo anche a
fenomeni che evidenziano non solo un notevole fermento edilizio, ma anche importanti
attività legate al commercio e ai rapporti
popolazione rurale aveva cercato, soprattutto
nell’incipiente IV secolo a.C., rifugio tra le
mura cittadine? Oppure le città protette da
un sistema difensivo già solido, costituito o
dalla posizione favorevole149 naturalmente
difesa o dalle poderose mura150? Se ri-consideriamo quanto detto a proposito dei santuari di frontiera e della valenza politica che
alcune di queste strutture potevano avere,
possiamo pensare che in un periodo di instabilità, con le vie di comunicazione private in
gran parte del loro ruolo di raccordo collegato alla “mercatura” (più che a fini bellici), e le
città rese più insicure dalla posizione “di
frontiera” rispetto alle popolazioni più riottose provenienti da Nord (gallo celtiche e liguri) e dall’incipiente pericolo della potenza di
Roma da Sud e da Est (il mare), i centri più
importanti abbiano “sostituito” la “corona
sacra” in posizione liminare con una “corona
murata”, realizzata attraverso piccoli centri
fortificati151. Questi, una volta persa la funzione di controllo in un territorio reso ormai
sicuro dall’assoggettamento alla politica
romana e, anche grazie a questa, dalla sconfitta dei popoli transappenninici, con il tempo
vengono depauperati della loro ragione,
finendo così, nella maggior parte dei casi, per
essere abbandonati o per trasformarsi in piccoli nuclei abitativi, la cui fine sarà decretata
proprio da quel fattore che era stato motore
dell’incipiente favore: la “lontananza” dalle
zone meglio raggiungibili e più favorevoli agli
spostamenti veloci. Con l’avvenuta romanizzazione gli oppida cessano di esistere, mentre
144 Bruni 1998, p. 238. È interessante notare la presenza di
latini attestati da iscrizioni graffite su utensili, sia nel centro
cittadino (Bruni 1998, p. 239), sia nell’ager (Bruni 1997,
p. 167).
145 Liv. X, 12, 4; Maggiani 2007b, p. 138.
146 Per quanto riguarda Populonia, di recente, è stata avanzata l’ipotesi, suggestiva anche se da dimostrare con dati
più certi, che in realtà l’edificazione del circuito murario
sia stata «favorita o addirittura incoraggiata» dagli interessi romani, sul tipo delle fortificazioni di Cosa, nell’ambito
della realizzazione di un sistema di fortificazioni sulla costa
anticartaginese (Benvenuti 2006, pp. 430-433).
147 A Chiusi, nel II secolo a.C. gli insediamenti rurali sono
l’80% in più rispetto al periodo arcaico (Cristofani 1977,
p. 76), mentre a Volterra si assiste tra la fine del III ed il
II secolo a.C. allo sviluppo dei piccoli centri nel territorio
(castella) che, nati già nel precedente periodo, acquistano nuova forza e nuovo impulso (Cristofani 1977, p. 79;
Bonamici 1985, pp. 136-137; Boldrini 1991, p. 262).
148 Per il caso emblematico del sacello di Poggio Civitella, si
veda Donati, Cappuccini 2008, pp. 235-240.
149 È il caso ad esempio di Pisa, posta all’interno di una
zona lagunare.
150 Come nel caso di Volterra o di Fiesole.
151 Abbiamo già fatto riferimento al singolare caso di
Pietramarina; tuttavia più emblematica appare al momento
la situazione di Poggio La Croce, a Mercatale Val di Pesa:
anche in questo caso è possibile ricostruire l’avvicendarsi
diacronico del potere gentilizio (tumulo), area sacra (frammenti di bronzetti, V secolo a.C.?) e oppidum da datarsi ad
epoca ellenistica (Cianferoni, Baroncelli 2007).
60
continuano la loro esistenza i piccoli centri o
le fattorie che avevano resistito alla crisi del
primo Ellenismo.
Il territorio di Calenzano
In questo contesto vanno collocati i rinvenimenti del territorio del Comune di
Calenzano che, se pure in numero quantitativamente ridotto, sembrano confermare
l’ipotesi di popolamento avanzata per tutto il
territorio fiesolano. Accanto a piccoli nuclei
d’altura o oppida (non abbiamo reperito
tracce di fortificazioni), come quelli che si
trovavano a Poggio all’Aia (Scheda 41) e al
Boscaccio (Scheda 53), quasi una cornice a
difesa del territorio e delle vie di comunicazione, si dovevano trovare nella piana e nel
paesaggio pedecollinare piccoli insediamenti a carattere agricolo, che sostenevano, con
i loro prodotti, l’economia del territorio e
che saranno la base per lo sviluppo delle ville e delle fattorie in periodo romano. Questi
insediamenti sfruttavano i canali e le opere
di bonifica realizzate già in periodo arcaico,
vera e propria base gromatica per l’impianto
della centuriazione della piana, che risulterà,
proprio in virtù di questa preesistenza, spostata rispetto a quella della colonia di “nuova fondazione”, Florentia. Tra i reperti più
significativi si segnala un frammento di tegola iscritta, trovata in località Torri (Scheda 17
– 2139), che testimonia la presenza in loco
di un piccolo gruppo familiare. È necessario soffermarsi sul caso di Travalle, Podere
Castellaccio-Poggio Castelluccio (Schede
33-34), anche recentemente definito “castelliere” con riferimento al sistema di cui abbiamo precedentemente parlato152, ma che in
realtà i dati ricavati da uno scavo diagnostico
mostrano sotto tutt’altra luce. Le indagini
compiute per conto della SBAT hanno infat-
Maggiani 2008, p. 366.
Wentkowska 2007.
154 A tal riguardo andrà notato che la ceramica da fuoco,
così come quella da dispensa, valutata essenzialmente
per la propria funzionalità, veniva spesso prodotta per il
152
153
ti evidenziato la presenza di un insediamento
romano, a carattere probabilmente agricolo e
di natura stabile, sulla sommità della collina,
con scarsi ma significativi segni di precedenti
occupazioni.
Le preesistenze riferibili sicuramente al periodo ellenistico sono poche e consistono in
pochi frammenti rinvenuti dal GAF nel 1979
(fra cui frustoli di ceramica a vernice nera e
una moneta in bronzo, un asse repubblicano del tipo con la prora di nave sul verso), e
comunque non tali da presupporre un abitato d’altura strutturato tipo oppidum. L’unico
elemento che, con margine piuttosto ampio,
può essere definito tardo-etrusco è un frammento di piatto in ceramica grigia (Scheda 34
– 2105 ), che nella forma richiama la ceramica presigillata volterrana, e nel tipo di impasto la ceramica grigia diffusa lungo il bacino
dell’Arno tra III e II secolo a.C., rinvenuto
come materiale residuale, in uno strato che
conteneva materiali della prima età imperiale.
Sempre nell’ambito dei piccoli centri/fattorie a carattere produttivo bisogna segnalare
anche il sito individuato nell’area del Castello
di Sommaia (Scheda 65), recentemente pubblicato153, che alla luce dei frammenti esaminati dimostra un’importante continuità
abitativa a partire dal IV secolo a.C. fino al
periodo medievale. I materiali, rinvenuti
sicuramente in giacitura secondaria, datano
al momento la prima fase di vita del sito al
periodo ellenistico, con una occupazione
verosimilmente ininterrotta fino al II secolo
d.C., a sostegno dell’ipotesi di insediamenti
pedecollinari a carattere produttivo.
Alla tipologia dei piccoli centri tipo pagus,
già ricordata per la sua importanza nel periodo arcaico, va ascritta invece l’area di Casa
Cafaggiolo (si vedano le Schede 68 e 69). Il
sito ha restituito non solo numerosi frammenti di vasi di ceramica comune, di forme
piuttosto diffuse in tutto il periodo ellenistico seppure di chiara produzione locale154, ma
mercato interno da artigiani locali e, proprio per il tipo di
utilizzo, non era sottoposta ai “cambiamenti di moda” che
permettono di seguire lo sviluppo formale in una diacronia
di lungo periodo.
61
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
trionale si scontreranno sul proprio territorio
con truppe romane145 o costruiranno mura
in funzione antiromana146. Fino all’ultimo
quarto del III secolo a.C., quando gran parte
delle città d’Etruria parteciperanno alla spedizione romana contro Annibale, anche Roma
ha rappresentato un pericolo: e non sarà forse
un caso che gli oppida d’altura sembrino
esaurirsi alla fine del III secolo a.C., che città
come Velathri non emettano più la propria
moneta e che il territorio torni a popolarsi in
modo diffuso e capillare147. Senza addentrarsi dunque nel problema della romanizzazione, che, oggi, viene affrontato in termini di
acculturazione, dove non si tratti di invasioni
o scontri bellici, né delle reali motivazioni che
portarono alla creazione di strutture d’altura
che, evidentemente, dovevano svolgere un
ruolo difensivo rispetto alla chora dei singoli
centri urbani, ma anche funzione di controllo
rispetto alle principali vie di penetrazione, ci
limiteremo a constatare che in molti dei siti
d’altura nominati si riscontra una doppia fase
di occupazione, con strutture diverse corrispondenti a funzioni diversificate: se infatti
per il periodo arcaico è documentato un utilizzo di tipo sacro, caratterizzato dalla presenza di piccole stipi o sacelli148, in periodo ellenistico, a partire da IV secolo a.C., le alture
tendono a perdere la connotazione del
“sacro”, caratterizzandosi sempre più come
piccoli centri racchiusi da mura con spiccata
valenza profilattica. Ma che cosa si doveva
difendere? Un territorio in gran parte caratterizzato da un popolamento diffuso, la cui
periodo ellenistico, al pari di quanto abbiamo
già notato per i siti di facies arcaica, statisticamente sono pochi quelli in cui è evidente
una continuità di vita dal periodo precedente. Tra questi solo il sito di Monte Morellopoggio all’Aia (Scheda 41) affonda le proprie
radici nella piena classicità per esaurirsi sicuramente con il periodo ellenistico, mentre
quelli di Carraia, lottizzazione 2007 (Scheda
23) e Casa Cafaggiolo, areale Est (Scheda 69)
mostrano una continuità di occupazione sia
con il periodo etrusco di facies arcaica sia con
il periodo romano imperiale157.
Tutte le altre attestazioni sembrano di nuova
occupazione, anche se la maggior parte non
avrà soluzione nel periodo ellenistico, ma
proseguirà fino alla seconda metà del II secolo d.C., quando nuove forme di occupazione
del territorio ridisegneranno il quadro del
popolamento nel territorio a Nord dell’Arno
in questo particolare settore.
L’esame della distribuzione dei ritrovamenti
(fig. 4) mostra non solo una diversa dislocazione degli stessi, ma anche quello che
potremmo definire un modo diverso di occupare lo spazio: la creazione del sito d’altura, il
c.d. oppidum. Per la facies ellenistica dunque
non dobbiamo parlare di calo demografico158, ma di diversa modalità di occupazione e sfruttamento del territorio. Anche per
quel che riguarda i riti di sepoltura, a fronte
di monumenti che evidenziano lo status ed
il rango della gens, in periodo ellenistico le
sepolture perdono l’importanza e la monumentalità della precedente fase, per restare,
anche quando si tratti di personalità legate
Bianchini 1998.
Sempre da Casa Cafaggiolo proviene un frammento di
coppa in ceramica valdarnese (Scheda 69 – 2080), tecnicamente molto vicina alla produzione di Luni, ulteriore testimonianza del pieno inserimento del sito nella rete di diffusione dei commerci tra l’area del medio Valdarno e la costa.
157 In entrambi i casi si tratta di realtà per le quali è possibile ipotizzare una sorta di piccolo villaggio o nucleo di
occupazione con una durata ininterrotta dal periodo arcaico
fino al tardo-antico.
158 I siti attestati per la facies ellenistica sono al momento
12 rispetto ai 13 di facies arcaica. Tuttavia, è giusto sottolineare che il quadro proposto per il periodo ellenistico
potrebbe subire notevoli modifiche: infatti le maggiori attestazioni di periodo ellenistico – nella maggior parte dei casi
bibliografiche – si collocano topograficamente sui rilievi o
comunque in zone non vallive, in contesti che, tra l’altro,
sono caratterizzati attualmente da scarsa visibilità superficiale in quanto coperti da bosco, mentre la campionatura
del territorio ha nettamente privilegiato le zone vallive e/o
coltivate, tralasciando ampie porzioni di bosco.
155
156
62
all’aristocrazia rurale159, nell’ambito “intimo” della res privata: se infatti in periodo
arcaico i monumenti sepolcrali, con il loro
messaggio ideologico, si collocavano lungo le
vie di comunicazione principali, in periodo
ellenistico si assiste, così come per i nuclei
abitativi, ad una loro apparente decentralizzazione. Solo i pagi, i piccoli nuclei a carattere
produttivo nella piana, sembrano mantenere il precedente ruolo ed una loro centralità
all’interno del tessuto del popolamento rurale, mentre nuovi nuclei nascono sui rilievi.
Anche in questo caso non è semplice riuscire
a definire il ruolo del sito di Monte MorelloPoggio all’Aia, poiché le indagini di superficie
non hanno evidenziato tracce di fortificazioni
(riferibili dunque ad un oppidum) o strutture
riferibili ad una’area sacra. Nel complesso i
materiali recuperati attribuibili al periodo
ellenistico sono pochi, anche se significativi
per riuscire a delineare le linee di sviluppo e
di presa di possesso del territorio.
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
anche due frammenti di ceramica a vernice
nera cd. “aretina”, databili intorno alla prima metà del I secolo a.C. Tale attestazione
risulta piuttosto significativa nell’economia
del nostro discorso: se infatti fino al II secolo a.C. si trovano in tutta l’area dell’Etruria
tirrenica settentrionale prodotti importati da Volterra, per tramite dei centri della Valdelsa-Valdipesa da una parte e della
Valdera dall’altra, con il II secolo a.C. si assiste prima alla nascita di figlinae nella zona del
Valdarno inferiore (Pisae, Luca155 e Lunae156)
che irradiano i loro prodotti anche nell’interno, e successivamente, nel corso dell’incipiente I secolo a.C., al passaggio lungo il
corso dell’Arno di prodotti a vernice nera
di produzione aretina, nobile antecedente
del più massiccio flusso di ceramiche sigillate Arretino modo confectae che dalla seconda
metà del I secolo a.C. percorreranno il corso
del fiume fino al Portus Pisanus.
Del tutto diverso quindi risulta il quadro
rispetto al periodo precedente: infatti, pur
non mutando di molto il dato numerico (12
siti attestati, rispetto ai 13 del periodo precedente), ciò che sembra totalmente diverso
è il modo di occupazione del territorio. Se
infatti nella facies arcaica abbiamo notato la
presenza di testimonianze sia abitative sia
sepolcrali nella valle del torrente Marina, e
più in generale nella parte pianeggiante della regione, con il periodo successivo sembra
di assistere ad una sorta di risalita verso le
zone più elevate. È necessario a questo punto
notare che, anche in virtù della diversa dislocazione topografica, tra i siti frequentati in
Legenda
area sepolcrale
area abitativa (tipo fattoria)
area abitativa (tipo pagus)
area abitativa (tipo oppidum)
area sacra
Come sembra il caso attestato a Torri (Scheda 17). Tale
considerazione, ovviamente, non è sempre valida, come
dimostra il caso del contesto di San Martino alla Palma,
a Scandicci, dove, nella prima metà del XVI secolo, furono
rinvenuti una statua femminile acefala ed un cippo a colonnetta decorata, due eccezionali monumenti della scuola
159
scultorea etrusco tirrenica settentrionale di periodo ellenistico, in cui la preziosità del materiale (marmo apuano) si
sposa ad una ricercatezza monumentale di tipo eminentemente aristocratico (Bonamici 1985, pp. 130-132; Benelli
2007, p. 172).
63
Figura 4. Carta della distribuzione
dei siti di età ellenistica nel
territorio del Comune di
Calenzano.
Il territorio di Calenzano
in età romana
A partire dal 180 a.C., con la deduzione della colonia di Luca (Lucca), iniziò lo stanziamento romano nell’Etruria settentrionale1
in coordinamento con le truppe impegnate
nelle operazioni militari contro le popolazioni liguri stanziate sulle dorsali montuose
dell’Appennino pistoiese e lucchese tra il
Mugello e la Versilia2. La strategia dell’insediamento romano nel Valdarno e nella
Lucchesia, dettata inizialmente da una politica espansionistica che molti storici hanno
definito “imperialismo difensivo”3, trovava
il suo fulcro nella costruzione della via consolare Cassia e, successivamente come sua
continuazione, nella realizzazione della via
Clodia4. Dal territorio di Faesulae la Cassia
arrivava fino a Lunae passando per Pistoriae5
e Luca6; fu, inizialmente, soprattutto via militare7. Durante gli ultimi anni della repubblica
romana, quelli a cavallo tra l’esperienza sillana e la definitiva affermazione di Augusto, la
Tuscia è stata teatro delle sanguinose vicende
di Catilina, che tra Fiesole e Pistoia ebbero gli
scenari più cruenti8, e del collasso definitivo
della compagine etrusca. Per la storia regionale e la riorganizzazione del tessuto insediativo, particolare rilievo assunse la definizione del centro abitato di Florentia, all’inizio
probabilmente come castrum, incentivata poi
con la centuriazione dell’agro (fig.2) e l’assegnazione di terreni ai veterani delle legioni di
Cesare (legge agraria cesariana del 59 a.C.)9.
Recenti scavi archeologici hanno chiarito
che fu con Augusto, tra il 30 e il 5 a.C., che
Florentia e il suo territorio acquisirono un
nuovo e decisivo impulso10. La deduzione
della colonia fiorentina offrì un punto di riferimento al nuovo assetto dell’Etruria settentrionale11 e lo stanziamento di nuovi coloni
e veterani, avvenuto secondo una rigorosa e
razionale pianificazione, favorì la nascita di
centinaia di insediamenti agricoli nelle pianure del Valdarno12: ville, fattorie, piccoli
centri rurali occuparono tutto il territorio13
seguendo, nelle pianure, l’organizzazione della centuriazione tracciata nelle aree circostanti le principali città14. La via Cassia-Clodia
divenne parte integrante della centuriazione
della nuova colonia. La strada seguiva un percorso pedecollinare scandito da mansiones e
stationes che prendevano il nome dal numero
del miglio di distanza dal foro di Florentia.
Ancora oggi, partendo da Firenze, sono presenti i toponimi di Terzolle, Quarto, Quinto,
Sesto e Settimello.
In quest’ultima località, l’antica Ad Septimum
(?)15, situata nel territorio comunale di
Calenzano nei pressi del suo confine orientale, si sviluppò un centro abitato importante, testimoniato dalle monumentali rovine
di un ninfeo ottagonale (fig.1), riferibile
ad una villa o ad una statio posta lungo la
direttrice viaria, e dall’abbondanza di frammenti ceramici e scultorei che testimoniano
l’ampia durata del sito, dal I secolo d.C. al
tardo Impero16. Nelle vicinanze, in località il
Lopes Pegna 1974, p. 36.
Rauty 1988, p. 14; sulla romanizzazione della Lucchesia,
si veda Ciampoltrini 2003, pp. 45-50.
3
Gambaro 1999, p. 16. Il problema della romanizzazione dei
territori italici e provinciali alimenta il dibattito storiografico
circa l’esistenza o meno di una precisa politica “imperialista” da parte di Roma nella sua espansione in Etruria e
nella Gallia Cisalpina. A riguardo si vedano Gabba 1988;
pp. 27-44, Clemente 1990, pp. 375-376, 380-381; Bandelli
1998, anche nota 7, passim.
4
Sommella 2006, pp. 70, 201.
5 Nell’area dell’attuale città non sono documentate frequentazioni precedenti il II secolo a.C., si veda Vannini 1985,.pp.
20-21 e nota 46.
6 Sulla via Cassia-Clodia, si vedano Miller 1941, p. 290;
Ciampoltrini 2006b, pp. 63 ss.; Giannoni 2006, pp. 31-34.
7 Rauty 1988, p. 14; sulle strategie romane per i territori
conquistati, si veda Bandelli 1998, pp. 148-150.
8 Lopes Pegna 1974, pp. 38-40; Rauty 1988, pp. 16-18.
9 Lopes Pegna 1974, pp. 48-49.
10 de Marinis 1996, pp. 36 ss.
Ciampoltrini 2007a, p. 13.
Ciampoltrini 1981b, p. 46; si veda, ad esempio, l’alto numero di insediamenti romani individuati nella piana
di Lucca, in Ciampoltrini 2004a, pp. 15 ss.; Ciampoltrini
2004b, pp. 29-32.
13
Per l’area pistoiese, si veda Ciampoltrini et alii 2000, pp.
255 ss., in particolare p. 260 ss.
14
Per la centuriazione dei territori pistoiese e fiorentino,
si vedano Castagnoli 1948, passim; Lopes Pegna 1974, pp.
46, 49; Ciampoltrini 1981b, p. 46; per il popolamento romano nella Lucchesia, si vedano Ciampoltrini 2004b, pp. 15
ss.; Berti 1985, pp. 9 ss; Ciampoltrini 2007c, pp. 14-17;
si vedano in proposito anche i dati raccolti dai sepolcreti in Ciampoltrini, Bigagli, Palchetti 2005, pp. 101-103;
Ciampoltrini 2006a, pp. 21-22; per il Casentino, si veda
Ducci 1999, pp. 74-76.
15 Sommella 2006, p. 163, scheda 810.
16 Si vedano Scheda 81 – 2029, 2030; Repetti 1833-1846,
p. 258; de Marinis 1982, pp. 357-358; Carta Archeologica
1995, pp. 34, 37-39.
1
2
64
11
12
Neto, fu rinvenuta anche una stele funeraria
integra caratterizzata da un frontone sommitale con cornice modanata e datata all’età
imperiale17. Sul reperto sono scolpiti un kantharos da cui fuoriescono due tralci d’edera
con corimbi. Sotto il frontone, sostenuto da
due paraste scanalate sormontate da capitelli
corinzi, è visibile un festone, decorato con
elementi vegetali, appeso a due borchie. Al di
sotto, una tabella con iscrizione C.SALFEIO.
CLEMENTI.FESTVS.LIB sostenuta da una
colonna al cui fianco sono scolpiti due delfini. Vista l’area di rinvenimento, si può ipotizzare l’attribuzione del reperto ad un sepolcreto posto, lungo la via Cassia-Clodia18,
vicino all’incrocio con la vallata del torrente Marina. Molti studiosi indicano il luogo come importante nodo stradale almeno
fin dall’età etrusca19. Qui immagine AUT
Dopo Settimello, procedendo verso Ovest, la
Tabula Peutingeriana20 colloca sulla CassiaClodia il toponimo Ad Solaria. Il vocabolo
è da alcuni collocato in località Le Querce
di Pizzodimonte21, da altri posizionato più a
Est presso il ponte sul torrente Marina22. Se
sulla localizzazione precisa mancano dati definitivi, non vi è incertezza nell’affermare che
in questo tratto di via consolare vi fosse un
importante incrocio con la via transappenninica che, lungo la valle dei torrenti Marina
e Marinella, collegava la pianura fiorentina
con il Mugello (Ad Vicesimum-Barberino23)
e quindi con Bologna24. Secondo una recente ipotesi, nella strada della Val di Marina
si potrebbe riconoscere un tratto della Via
(Flaminia) a Bononia Arretium, costruita nel
187 a.C. dal console C. Flaminio. Tale strada attraverserebbe il territorio di Calenzano
fiancheggiando i limiti orientali della valle,
dirigendo da Settimello subito verso Nord
Minto 1914, p. 229; Ciampoltrini 1981a, pp. 47-52;
Ciampoltrini 1982, pp. 2-12.
18 Si veda Scheda 87 – 2004.
19 Per il periodo etrusco si veda Baldini, supra.
20 Bosio 1983, Segmentum III, 2.
21 Magi 1929, Tavolette III-IV; Miller 1941, p. 290; Carta
Archeologica 2011, p. 315.
22 Lopes Pegna 1974, pp. 220-221; Sommella 2006, p. 9,
scheda 34; per quanto riguarda la viabilità di quest’area in
età etrusca, si veda Poggesi 2000, pp. 61-64.
17
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Andrea Magno
senza toccare Ad Solaria25. Giova ricordare
che proprio sulle colline che dominano da
Est la valle di Calenzano si trova l’importante
sito archeologico di Casa Cafaggiolo (Scheda
68), che ha restituito abbondanti reperti ceramici riferibili ad un contesto insediativo sviluppatosi in età tiberiana e durato fino alla
metà del II secolo d.C.
Sebbene attualmente non sia ancora conosciuta l’esatta posizione della statio Ad Solaria,
l’abbondanza di reperti e di siti archeologici
censiti negli ultimi anni consente di definire l’importanza del tratto della via consolare
in quest’area del territorio di Calenzano così
strategica per la viabilità antica. Si ricordano
la necropoli con tombe ad incinerazione in
località Casa al Piano26 (Scheda 9) e l’impor-
Sommella 2006, p. 10, scheda 39.
Sulla strada romana si vedano Sterpos 1961, p. 14; Lopes
Pegna 1974, pp. 220-221; Plesner 1979, pp. 30-32; Rauty
1988, p. 16; Uggeri 1992, pp. 191-196; Carta Archeologica
1995, I.3, pp. 7, 23, 25-26, 28-29; Sommella 2006, p. 9,
scheda 34.
25 Uggeri 1984, pp. 577-593; Gottarelli 1986, pp. 128-129;
Caselli 1992, p. 106.
26 Sommella 2006, p. 9, scheda 34.
23
24
65
Settimello, chiesa di Santa Lucia,
vasca ottagonale.
Figura 2. La centuriazione
nel territorio dei Comuni di
Calenzano, Sesto Fiorentino,
Campi Bisenzio e Prato.
tante sito che doveva sorgere all’VIII miglio
nella zona dell’odierna Villa Bartolini (Scheda
78) – e nella vicina località Casa Garzola
(Scheda 79) – , nel quale sono stati recuperati
molti reperti che fanno pensare all’impianto di una villa o di una fattoria databile fra
il I secolo d.C. e il tardo Impero. Maggiori
elementi sono stati raccolti nello scavo stratigrafico condotto in località Perfetti Ricasoli
(Scheda 80), vicino al casello autostradale di
Calenzano. Le indagini hanno evidenziato
i resti, ormai poco leggibili, di una fattoria,
obliterata dal limo alluvionale di un vicino
canale (stratigraficamente documentato), che
ha restituito pregevoli frammenti di suppellettile domestica in ceramica sigillata italica e
in vetro, e una piccola porzione di skyphos di
ceramica invetriata. Tali reperti attribuirebbero le emergenze al periodo compreso tra la
prima metà del I secolo d.C. e la piena età
flavia.
Nel sito è stato raccolto anche un tubulo da parete che
riferirebbe i reperti raccolti ad una villa rustica di periodo
imperiale.
28 Poggesi, Magno 2006, pp. 137-138.
29 Le murature sono realizzate in opus incertum con pietre
27
66
Anche lungo la già descritta via transappenninica che, lungo la valle dei torrenti Marina
e Marinella, collegava la pianura fiorentina
con il Mugello, sono stati individuati molti
siti archeologici. Si devono segnalare il sito
di Casa Zerino (Scheda 60), in cui sono stati
censiti materiali databili tra la fine del I secolo d.C. e la fine del IV-inizi del V secolo27,
e le emergenze in località Montedomini-La
Chiusa28 (Scheda 36), scoperte durante i
lavori per la costruzione delle casse di espansione del torrente Marina. Il contesto si è
rivelato subito di notevole interesse poiché
le ricerche hanno evidenziato un edificio a
pianta rettangolare (fig. 3), probabilmente una fattoria, caratterizzato da un grande
ambiente centrale coperto e “pavimentato”
con ciottoli di piccole dimensioni. Adiacente
ad esso sono stati trovati una piccola stanza
deputata all’immagazzinamento (fig. 4) e due
alae laterali, una delle quali solo ricostruibile
perché fortemente lacunosa29. Sotto lo strato di obliterazione dell’area, che ha restituito
materiale tardo-imperiale, è stato rinvenuto
il crollo dei laterizi (fig. 2) da copertura che
ha sigillato l’area permettendo non solo di
recuperare notevole materiale, ma di stabilire
anche con assoluta precisione le cause della
distruzione e del conseguente abbandono.
Al di sotto del crollo sono stati infatti trovati
strati di bruciato, le travi della carpenteria e
relativi chiodi30, ma anche le architravi delle
aperture delle porte, in corrispondenza con
le soglie. I materiali recuperati, oltre alle cinque anfore ancora in situ che hanno permesso
l’identificazione certa del locale “magazzino”
– se ne segnala una del tipo Dressel 7-11 di
produzione betica e utilizzata per il trasporto
di garum –, contano anche numerose forme
vascolari di ceramica da cucina e da mensa,
tra cui un’olletta in pareti sottili e alcune coppe in sigillata italica. Una tra queste, grazie al
bollo rettangolare sul fondo e alla tipologia
ceramica, è databile con una certa precisio-
di alberese grossolanamente sbozzate e commesse a secco; per un confronto si veda Millemaci 2004, pp. 46, 51.
30 Per un confronto si veda la chioderia in Mariotti 2004,
pp. 289 ss.
Figura 4. Montedomini,
La Chiusa. L’ambiente
“magazzino” in corso di scavo.
ne entro il 20 d.C. La coppa in questione
è stata prodotta a Pisa nella bottega di Cn.
Ateius Euhodus, un liberto del noto produttore (2019)31. L’edificio può essere considerato una fattoria anche in virtù degli utensili
da lavoro trovati in notevole quantità sotto il
crollo32: un coltello, un falcetto, un’ascia, un
giavellotto, molti chiodi e numerose chiavi
in ferro. All’interno di un vano è stato scoperto anche un focolare addossato alla parete
Sud e costituito da embrici posati in piano
delimitati da pietre di piccole dimensioni. La
cenere e le tracce di annerimento indicano
che sul piano erano collocate le braci accese.
Il vasellame veniva appoggiato direttamente
sulle braci oppure tenuto sollevato con appositi treppiedi. Il muro del vano era protetto
dal fuoco del focolare con la messa in opera
di una grande lastra di calcare posta verticalmente33. Dopo l’incendio la zona è stata nuovamente frequentata, ma in modo sporadico,
in epoca tardo-imperiale, come documentano i materiali tardi e le monete basso imperiali rinvenuti negli strati superiori.
Lungo il percorso transappenninico, poco
più a Nord, è ipotizzabile la presenza di
Per la diffusione di sigillate di produzione pisana, si veda
anche Millemaci 2004, p. 54.
32 Analogie con le strutture scavate in via Martiri Lunatesi a
33
31
Capannori in Giannoni 2006, pp. 59-62.
Seppur più tardo, un confronto stringente per il focolare
è descritto in Lavazza, Vitali 1994, p. 21, fig. 3.
67
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Figura 3. Montedomini, La
Chiusa. L’edificio in corso di scavo.
della Cassia-Clodia provenienti da Ovest,
di raggiungere la zona di Carraia e la strada
del Mugello senza attraversare in larghezza
la Val di Marina al suo sbocco nella pianura
di Florentia40.
A conferma delle potenzialità strategiche del
territorio in esame giova annotare che nei
secoli successivi al crollo dell’impero romano
la rete viaria rimase praticamente immutata e
attiva. Durante il Medioevo, sul tracciato della via Cassia troviamo documentata la Strada
Maestra per Prato o Via Maestra Pratese,
mentre la strada che sale lungo la Marina verso Nord assunse il nome di Strada Maestra
Barberinese o Via Mugellese41.
I dati archeologici documentano dunque la
notevole densità insediativa di epoca romana in tutta l’area del territorio di Calenzano
manifestando forti analogie con i modelli interpretativi proposti per le altre aree
dell’Etruria settentrionale42. Un paragone
assai stringente è possibile delineare con
l’area lucchese. Appare evidente che l’occupazione anche di quella porzione di territorio toscano, secondo un progetto ben
definito, sia stata attuata proprio a partire
dall’età augustea43. Anche nell’area pratese e
in quella pistoiese i dati confermano la ricostruzione proposta con una più consistente
diffusione di reperti proprio nel periodo tra
la fine del I secolo a.C. e la prima metà del
I secolo d.C.44.
Diverso risulta il quadro di diffusione delle
emergenze archeologiche rispetto al periodo
ellenistico mutando di molto il dato numerico, ma soprattutto la scelta di posizionare
le aree abitate in luoghi non più d’altura.
L’esame della distribuzione dei ritrovamenti
di età romana mostra un modo diverso di
Lopes Pegna 1974, p. 314; Lamberini 1987, pp. 99-100.
Si veda Baldini, supra.
36 Sommella 2006, p. 41, scheda 200.
37 Si veda Baldini, supra.
38 Carta Archeologica 1995, I.3, p. 18; CIL XI, 1644, 1677.
39 Sommella 2006, p. 41, scheda 200. Dopo le indagini
archeologiche, le vestigia della villa sono state nuovamente
interrate, si veda Scheda 45, fonti di archivio.
40 P oggesi 2006, pp. 82-83: la viabilità etrusca tra
Calenzano-Travalle e Firenze-Sesto Fiorentino, Fiesole e
Artimino.
Lamberini 1987, pp. 29-30.
Per la Lucchesia, si vedano Ciampoltrini 2004b, pp. 15
ss; Zecchini 2006, pp. 351-355. Si veda, ad esempio, anche
la Valdinievole nel Pistoiese (Gambaro 1997, pp. 54-59;
Patera 1997a, pp. 85-96; Patera 1997b, pp. 48-49); per
l’insediamento in epoca romana nell’area fiorentina a Sud
dell’Arno, i confronti in Rastrelli 2006, pp. 285-287.
43 Zecchini 2005, pp. 55-74.
44 Per Pistoia si veda la nota 5; per l’area pratese, si veda De
Tommaso 2008, pp. 97-100.
34
35
68
41
42
occupare lo spazio. Il territorio fu fittamente
abitato sia nella fertile pianura che nel settore collinare, in particolare quello orientale
della Val di Marina, nel quale le caratteristiche geologiche e quelle dell’esposizione
solare favorivano l’agricoltura45. Il reticolo
abitativo di Calenzano romana raggiunse il
suo culmine nel periodo tra la fine dell’età
repubblicana e la prima età imperiale in
stretta relazione con lo sviluppo del tessuto centuriato di Florentia46. Considerando
quanto detto fin qui e sommando i dati della facies etrusca a quelli di epoca romana si
può confermare che, anche nell’area calenzanese, su alcuni contesti di età arcaica si
sono sovrapposte realtà abitative romane47:
ciò non sorprende se si considera che nelle
due fasi storiche si erano riproposte le stesse
condizioni politico-economiche che favorivano lo sfruttamento agricolo della valle del
torrente Marina e la parte pianeggiante della
regione.
Tale struttura insediativa proseguì quasi
immutata fino alla tarda antichità. È possibile rafforzare tale ricostruzione utilizzando
anche la mappa dei toponimi prediali quali
“Calenzano”, “Carpognana”, “Fabiano”,
“Fibbiana”, “Fisciano”, “Fondigliano”,
“Fulignano”, “Mignano”, “Salenzano”,
“Secciano”, “Volmiano”: tutti vocaboli di
origine latina che oggi sono la traccia di un
territorio densamente abitato in età romana
perché ricco da un punto di vista agricolo
e perché strategico per i flussi commerciali
che fluivano lungo le sue strade. A tal proposito giova evidenziare le analogie dei dati
archeologici e toponomastici di Calenzano
con quelli di alcune zone dell’agro fiorentino48.
A proposito dei traffici commerciali si devono ricordare le ceramiche sigillate di produzione pisana e l’anfora da garum rinvenute
nel sito di Montedomini-La Chiusa49. Quei
reperti certamente sono stati trasportati a
Calenzano dal porto di Pisae50 lungo l’antica
via fluviale dell’Arno utilizzata, anche in età
etrusca51, fino all’area fiorentina. Le merci
potevano percorrere, lungo l’Arno, la via
Quinctia52 attraversando l’area di Empoli53 e
quella di Montelupo54. Raggiunta Florentia,
il viaggio commerciale diretto verso il settentrione proseguiva sulla via Cassia-Clodia
fino al già menzionato diverticolo nel territorio di Calenzano, la Via (Flaminia) a
Bononia Arretium per il Mugello55.
Particolare importanza ha assunto il posizionamento tramite GPS delle tracce in superficie dell’acquedotto romano individuato in
Val di Marina e già ben documentato dal
Chiostri nella monografia del 200256. Le
fonti storiche hanno trasmesso abbondanti notizie dell’acquedotto di Florentia. Il
Villani, ad esempio, nella Cronica afferma
che l’antico acquedotto captava le acque
dalla Marina57. Sulle tracce del cronista
fiorentino, anche il Vasari ricorda «uno
acquedotto antico fatto da’ romani per condurre acque da Valdimarina a Firenze»58.
Si veda Pallecchii, supra.
Sull’organizzazione del territorio fiorentino in epoca
romana, si veda Shepherd 2006, pp. 15-26.
47 Si vedano le Schede 23 (Carraia, lottizzazione 2007) e 69
(Casa Cafaggiolo, areale Est): si tratta di due siti archeologici che documentano una frequentazione ininterrotta dal
periodo arcaico fino all’età tardo-antica.
48 Lopes Pegna 1974, pp. 390 ss.; Lamberini 1987, p. 26. Un
confronto per i toponimi prediali in Battisti 1943, p. 19; per
un confronto con la toponomastica dell’area fiorentina, si
vedano Granucci 2006, pp. 289-296.
49 Per la diffusione di sigillate di produzione pisana, si veda
Bacci, Fiaschi 2001, p. 83, n. 3; Millemaci 2004, p. 54.
50 Sull’importanza del porto di Pisa si vedano Pasquinucci
2001, pp. 93-97; Ducci, Pasquinucci, Genovesi 2005, pp.
29-44; Ducci 2006, pp. 234-236.
51 L’antichità del percorso è documentata dall’abitato etrusco di Montereggi posto a controllo del corso dell’Arno nella zona di Capraia e Limite; si veda Berti 2007, pp. 399-400,
con bibliografia precedente.
Sulla via Quinctia (strada Florentia-Pisae) si veda Lopes
Pegna 1974, p. 232; Mosca 1992, pp. 91-108; Mosca 1994,
p. 178; Sommella 2006, p. 203: la via prende il nome dal
miliario di T. Quinctius Flamininus ritrovato in località San
Michele a Luciana in Comune di Montelupo Fiorentino; si
veda anche in Shepherd 2006, p. 22.
53 Sulla statio di Empoli e sul suo porto fluviale, si vedano
Ristori 1980, pp. 911-928; Città di Empoli 1984, pp. 15-22.
54 L’importanza strategica di Montelupo Fiorentino nella
viabilità antica, oltre che dal miliario ricordato nella nota
52, è documentata dai reperti archeologici provenienti dagli
scavi nelle località Montereggi in Berti 2007, pp. 399-400 e
bibliografia precedente.
55 Sui flussi commerciali nell’Etruria settentrionale, si veda
Ciampoltrini 2007a, pp. 66-67.
56 Chiostri 2002, passim.
57 Villani, Nuova Cronica, Libro II, cap. I, pp. 45-46.
58 Vasari, Le vite, V, pp. 284-285.
45
46
52
69
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
un’altra area sepolcrale romana posta nella vicina località di Carraia. Murate nelle
pareti della Pieve di Santa Maria, sono state
documentate due stele funerarie di epoca
romana34. Come già detto, tale località ha
restituito anche reperti di epoca etrusca35.
I siti indagati consentono dunque di definire con una certa precisione il tracciato di
tutta la rete viaria antica del territorio di
Calenzano. A Sud dell’attuale centro urbano
si trovava il tracciato della Cassia-Clodia con
andamento pressappoco Est-Ovest e le stationes Ad Septimum e Ad Solaria. Da questa
direttrice si dipartiva il già descritto percorso transappeninico; al momento non è dato
sapere da dove si distaccasse la strada verso
Nord. Giova ricordare però anche un secondo tracciato viario verso Nord: esso lasciava la via consolare Cassia-Clodia all’altezza
della località La Querce di Pizzodimonte e
fiancheggiava i limiti occidentali della Val
di Marina in direzione di Macia di Sotto,
area ricca di frammenti ceramici e laterizi
relativi ad un insediamento di epoca romana36. Proseguendo verso settentrione, raggiungeva la fertile località di Travalle. Di
quest’ultima area devono essere ricordati i
siti di Castelluccio (Scheda 34), già attivo in
età repubblicana37 ma fiorito soprattutto in
età medio augustea e tiberiana, del Pratello,
relativo al ritrovamento di due cippi funerari di periodo etrusco-arcaico di cui uno
riutilizzato in epoca romana come segnacolo
sepolcrale38, e della località Podere Montisi
che ha restituito, durante varie indagini
archeologiche, imponenti resti murari di
una villa rustica pavimentata con mosaici39.
Il percorso descritto, di probabile origine
etrusca, consentiva dunque, ai viandanti
Successivamente Bartolomeo Scala, nella
seconda metà del XVII secolo, riporta alcune notizie dello speco e delle sue strutture
legate al territorio di Calenzano59.
In tempi più recenti, la scoperta dello speco, lungo la via Militare Barberinese che da
Calenzano conduce a Barberino, risale al
1969, quando, durante i lavori di manutenzione della strada, furono messe in evidenza ampie parti di muratura in calcestruzzo
ancorate al declivio collinare60. Sono ancora visibili, sopra la trafficata sede stradale,
i resti della volticciola di copertura realizzata con schegge di pietra locale immerse
nel calcestruzzo tenace di colore bianco.
All’interno è possibile osservare il condotto
rivestito di una malta idraulica fortemente
concrezionata che conserva ben nitide le
tracce del tavolame di armatura.
Gli studi del Chiostri hanno dimostrato che
l’acqua di Florentia proveniva tutta dalla
Marinella di Legri e che il condotto, datato
al II secolo d.C.61, si sviluppava lungo un
percorso tra la Val di Marina e Firenze di
circa 16 chilometri, oggi in gran parte ricostruito topograficamente62 (fig. 5).
Se è ancora difficile riuscire a capire l’effettivo tracciato nella zona di San Donato, le
ricognizioni nella zona de La Chiusa sembrano aver riscontrato, nei pressi dell’attuale
abitato, i resti del condotto, reso manifesto
nel bosco lungo i limiti orientali della valle
non solo dalla presenza di frammenti di opus
coementicium, ma anche dall’assenza di alberi di alto fusto in una stretta fascia di terreno
in cui sono sotterrate le strutture dell’antico condotto63. Lo speco procede accostato
al declivio collinare orientale della Val di
Marina, a monte della via Barberinese. Il
rilievo topografico del condotto ha anche
consentito di localizzare, con buona approssimazione, l’area in cui doveva trovarsi la
piscina limaria, lo sbarramento dell’invaso
artificiale riconoscibile forse nel rialzo arti-
59 Scala, Equitis Florentini, I, p. 6: l’acquedotto era alimentato con l’acqua «e Amarine flumine».
60
Sulle prime scoperte si veda Chiostri 2002, pp. IX-X.
61
Ididem, pp. 53, 59; secondo il Maetzke (Maetzke 1941, p.
67) e il Lopes Pegna (Lopes Pegna 1974, p. 138) l’acquedot-
70
ficiale su cui insistono gli edifici del piccolo
gruppo di case in vocabolo La Chiusa. In
tale località, in un piccolo terrazzamento
posto pochi metri a Est dell’abitato, è stato possibile, infatti, posizionare con il GPS
l’ultimo tratto archeologicamente riconoscibile della condotta che, per la posizione
e per l’altimetria, può essere interpretato
come relativo alla presa dell’acquedotto.
Le tracce dell’antica diga, secondo i dati altimetrici e l’analisi del territorio, potrebbero
essere conservate nell’improvviso salto di
quota – di oltre 4 m – che si riscontra procedendo da Nord a Sud, dall’area dell’abitato
de La Chiusa (con una quota di 93 m slm,
presso il ponte della Strada Provinciale 8
sulla Marina di Legri) verso un largo pianoro posto a meridione di esso (con una quota
di 88,50 m slm).
Tale salto di quota segue una linea retta
nel punto più stretto della valle e divide
i terreni pianeggianti posti a settentrione dell’abitato a circa 93 m slm dai campi sensibilmente più bassi localizzati a Sud
de La Chiusa. Chiudendo l’intera vallata
del Marina nel suo punto più stretto (solo
200 m di larghezza), gli ingegneri romani
avrebbero potuto appoggiare il terrapieno
della diga alle robuste pendici dei monti
e avrebbero potuto raccogliere le acque di
entrambi i torrenti, la Marinella di Legri e
la Marina, diminuendo, anche nei periodi
di siccità, i rischi di un quantitativo di acqua
insufficiente a soddisfare il fabbisogno di
Florentia. A tal proposito è necessario segnalare che esiste un piccolo corso d’acqua che
sgorga perennemente nella piccola valle che
discende lungo le pendici settentrionali del
Boscaccio, colle posto a Sud de La Chiusa,
e si immette nella Marinella di Legri a Nord
dell’abitato stesso, in prossimità del viadotto
omonimo dell’autostrada del Sole.
I territori pianeggianti posti alla quota superiore potrebbero essersi formati nei seco-
to dovrebbe essere datato alla metà del I secolo d.C.
Chiostri 2002, pp. 10-11.
63
Si ringrazia Mauro Bacci per aver indicato a chi scrive la
posizione di ampie porzioni di acquedotto.
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Didascalia img 304: La
ricostruzione del tracciato
dell’acquedotto nell’area de La
Chiusa secondo il Chiostri (da
Chiostri 2002)
li successivi all’abbandono degli impianti
dell’acquedotto con il lento accumulo di
materiali alluvionali.
Nel maggio del 2011, ai margini del bosco
posto a Sud-Est dell’abitato de La Chiusa,
durante i lavori per le opere infrastrutturali
relative all’ampliamento della vicina autostrada del Sole, è stato possibile realizzare un
sondaggio archeologico che ha interessato
un’area di circa 90 m² comprendente i resti
visibili di più strutture in opus coementicium.
Poiché i resti archeologici risultavano posti
lungo la direttrice dell’acquedotto romano di Florentia ricostruita dall’Ing. Frido
Chiostri64, la Soprintendenza ha ritenuto
necessario ispezionarla con somma cura.
Dopo l’indagine, è emerso che l’opus coe-
menticium non era parte di una struttura in
situ, ma era semplicemente un frammento
di muratura antica riutilizzata per sostenere,
a valle, una strada vicinale.
La prosecuzione delle ricerche ha tuttavia
consentito di scoprire altre due strutture
murarie in opera cementizia, parallele e a
poca distanza tra loro (solo 0,75 m), che
si sviluppavano poco più a Ovest del muro
precedentemente indagato, lungo un asse
approssimativamente Nord-Sud. Sono state riconosciute diverse Unità Stratigrafiche
Murarie, tutte caratterizzate dall’utilizzo di
un tenace conglomerato composto da malta
bianca e scaglie di calcare di piccole dimensioni uniformemente distribuite. Le strutture, demolite nella parte superiore dalle
62
64
Chiostri 2002.
71
Figura 6. Rilievo delle strutture
dell’acquedotto romano rinvenute
nei pressi della località La Chiusa.
Figura 7. Sezione dello speco.
attività agricole, si presentavano addossate,
verso Est, alle pendici della collina conservando un profilo piuttosto irregolare; verso
valle (a Ovest), invece, le murature mantenevano un limite a linea retta (figg. 6-7).
Nel settore meridionale dello scavo è stato
indagato, per circa 0,40 m, un altro breve
frammento di muro, il cui lato occidentale appariva perfettamente rettilineo. Esso
è risultato largo 0,55 m. Subito a Nord, è
emersa un’altra struttura muraria, di forma quadrangolare65, con un lato (Ovest)
rettilineo. Questa struttura quadrangolare,
benché rasata, si è conservata in altezza per
circa 0,20 m al di sopra delle altre murature
descritte, segno che, in origine, essa doveva
essere un pilastro sviluppato per una certa
altezza.
La porzione di terreno compresa tra i due
muri paralleli è stata accuratamente esplorata, rivelando i resti dello speco di Florentia. Il
fondo della conduttura conservava ancora il
rivestimento di intonaco idraulico, mentre le
pareti dello speco ne erano prive66. Per quanto riguarda il fondo del condotto è da segnalare che, lungo il suo lato Ovest, è conservata
una canaletta larga circa 0,20 m e profonda
circa 0,08 m. Tali piccoli canali avevano lo
scopo di favorire lo scorrimento dell’acqua
durante le operazioni di pulizia dello speco.
La struttura aveva le seguenti dimensioni: lato Ovest circa
1,50 m; lato Nord circa 1,25 m; lato Est circa 1,25 m; lato
Sud circa 1,50 m.
66 Parti del rivestimento, crollate dopo l’abbandono della
65
72
Le due strutture in opera cementizia, nonostante la totale assenza di materiali datanti,
possono essere ascritti all’epoca romana in
virtù dei materiali costruttivi impiegati e delle
tecniche edilizie utilizzate. Esse formano due
spallette, poste alla distanza di 0,75 m una
dall’altra, relative a un canale rivestito (sul
fondo e, anticamente, anche sulle pareti) di
cocciopesto/malta idraulica per impermeabilizzare la conduttura al suo interno; a seguito
del rinvenimento di un crollo all’interno dello speco, è possibile ipotizzare l’esistenza di
una copertura realizzata in materiale cementizio e pietre. Queste caratteristiche, analoghe a
quelle dei tratti già conosciuti dell’acquedotto unite alla perfetta linearità della struttura e
alla realistica possibilità che essa proseguisse
sia verso Nord che verso Sud, consente di
confermare, senza ombra di dubbio, di aver
intercettato con le indagini archeologiche
un segmento della conduttura romana. La
presenza di un contrafforte di sostegno del
muro-spalletta a valle (non altrimenti documentato in altri tratti dello speco rinvenuti
negli anni passati) può far pensare alla possibilità che in questo punto il monumento
fosse in parte seminterrato o completamente
fuori terra e quindi visibile dalla campagna67.
Per quanto riguarda la presenza delle fondazioni di due probabili pilastri, si è notato che
le due strutture sono legate allo speco, ma
non sembrano avere la funzione di sostegno
dell’acquedotto rinvenuto poiché sono situate a monte di esso. É possibile interpretarli
come piloni di sostegno di un monumento
che si sviluppava in elevato, forse caratterizzato da archi in muratura: ad esempio un
acquedotto su arcate.
Per una conferma definitiva dell’ipotesi proposta, sarebbe necessario verificare la presenza di altre fondazioni analoghe lungo il percorso dello speco.
Si è inoltre notato che la quota del fondo
dello speco rinvenuto sia corrispondente alla
quota del tratto di acquedotto già nota da
precedenti studi e visibile a poche centinaia
struttura, sono state rinvenute nel riempimento.
67 Il contrafforte US 17 presentava un paramento di buona
fattura e non sembrava costruito contro terra.
di metri più a Sud lungo la via Barberinese
(fig. 8). Essendo noto che la direzione dell’acqua trasportata segue una pendenza in discesa
dall’incile (Loc. La Chiusa) alla destinazione
finale (Firenze), è possibile sostenere che i due
tratti analizzati (quello oggetto della presente
relazione e quello lungo la via Barberinese)
facciano parte dello stesso monumento.
L’acquedotto di Florentia68, come supposto
anche dalla Lamberini69, partiva dunque
dall’area de La Chiusa e, mantenendo la
mensura declivitatis, raggiungeva il vocabolo Madonna del Facchino e proseguiva in
direzione Sud-Ovest, verso la collina di San
Donato. É ancora difficile riuscire a capire
l’effettivo percorso della condotta nella zona
di San Donato. In quest’area già il Chiostri
ipotizzava due possibili tracciati. Un’ipotesi
vedeva l’acquedotto aggirare la collina di
San Donato percorrendone i fianchi occidentali dopo aver attraversato, su pilastri, la
valle posta a Sud della località Madonna del
Facchino. L’altra ricostruzione del Chiostri
consisteva nel tracciare una possibile scorciatoia del condotto che attraversasse in sotterranea la collina di San Donato nella zona dove
oggi insiste la galleria del Colle dell’autostrada A1.
Una variante della prima “ipotesi Chiostri”,
potrebbe essere quella dello speco che percorresse fedelmente la curva di livello di una
quota prossima ai 90 m slm. sia a Nord che a
Sud di San Donato.
Per gli ingegneri romani era importante ottimizzare la costruzione dell’opera idraulica
controllando i costi di realizzazione e i criteri altimetrici necessari a conservare la giusta
pendenza dirigendo lo speco verso Firenze.
Ciò potrebbe far propendere per la seconda
ipotesi del Chiostri relativa all’attraversamento dell’altura di Colle nella dorsale che collega la collina di San Donato con le pendici
del Monte Morello, ma è altrettanto evidente
la difficoltà di realizzazione di uno scavo in
galleria all’interno di terreni arenacei a bassa compattezza. Inoltre, la quota della giusta
Sui bacini di raccolta e di regimazione, si veda Chiostri
2002, pp. 13-14.
68
mensura declivitatis ci informa che i costruttori avrebbero dovuto realizzare una lunga
galleria sotterranea di oltre 500 m perforando
la base della collina.
Attualmente nell’area sono in corso le attività edilizie per le nuove corsie autostradali e
i movimenti di terra sono sottoposti a sorveglianza archeologica. Sono stati eseguiti,
inoltre, 35 saggi archeologici preventivi nei
terreni a Sud del toponimo di Madonna
del Facchino. I risultati dei saggi sono stati
negativi, avendo accertato solo che la zona in
esame era già stata fortemente sconvolta dalla costruzione dell’autostrada agli inizi degli
anni Sessanta del XX secolo. Nessun saggio
archeologico ha restituito emergenze del condotto e dunque oggi non è possibile confermare nessuna delle due ipotesi del Chiostri in
merito al passaggio dell’acquedotto nell’area
della collina di San Donato.
Attraversata la vallecola del Chiosina, l’acquedotto proseguiva verso Firenze passando
a valle degli attuali impianti della cementeria Buzzi Unicem e raggiungendo poi i
margini dell’antico borgo di Settimello.
Qui si accostava nuovamente al fianco della collina, quasi sicuramente fiancheggiando
a monte il tracciato dell’antica via CassiaClodia, e, passando sopra il parco del Neto,
entrava nell’attuale territorio comunale di
Sesto Fiorentino nella zona dell’attuale Villa
Gamba-Ghiselli70.
Nel territorio di Calenzano, l’acquedotto fu
realizzato sotto forma di speco interrato sul
fianco orientale della vallata della Marina,
69
70
Lamberini 1987, pp. 26 ss.
Chiostri 2002, pp. 17-18.
73
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Figura 8. Sezione dell’acquedotto romano di Florentia
visibile presso la Strada Provinciale Barberinese.
Calenzano medievale1
Figura 9. La sezione dello speco
dell’acquedotto visibile dalla via
Barberinese.
Elementi di metodo
in leggera pendenza verso la piana. Nel caso
dell’acquedotto di Florentia, la mensura declivitatis è stata calcolata essere di 47 m di dislivello tra l’incile de La Chiusa e la quota di
calpestio presso lo sbocco in città71.
Osservando i manufatti visibili in località La
Chiusa, è stato possibile raccogliere alcuni
dati tecnici circa la metodologia utilizzata dai
costruttori dell’acquedotto fiorentino che,
per lunghezza e per portata, aveva un’importanza abbastanza limitata. Le prime operazioni furono caratterizzate dallo scavo della
lunga trincea di alloggiamento dello speco.
Sul fondo della trincea venne quindi realizzato un getto di calcestruzzo di base sul quale poté successivamente essere approntato il
tavolame di supporto per le colate di malta
idraulica, necessarie per formare il canale di
scorrimento dell’acqua, e per l’imposta della
volta.
All’interno del condotto risultano ancora
visibili le impronte in negativo delle tavole
lignee. Sopra le colate di malta della conduttura, sono ben conservate le schegge di pietra disposte a volticciola. Questa struttura,
ricoperta dal calcestruzzo costituente la parte
sommitale della struttura idrica, era protetta
superiormente da uno strato di argilla e da un
71
Ibidem 2002, pp. 106-117.
ammasso di pietre che avevano la funzione di
impermeabilizzare lo speco72.
Frantumandosi la civiltà romana e tutto il
suo sistema socio-economico, anche la distribuzione degli insediamenti nel territorio di
Calenzano si trasformò radicalmente. I resti
archeologici tardo-antichi ed altomedievali
diventano più rari e più difficili da interpretare. Probabilmente, in quel periodo, l’acquedotto di Florentia, pur mantenendo in certi
casi la propria monumentalità sul territorio,
perse la sua fruibilità e si riempì di detriti.
Contemporaneamente, il sistema delle ville
e delle fattorie subì una radicale riduzione
quantitativa e qualitativa. Tuttavia, a fronte
di molti luoghi abbandonati, altri sopravvissero subendo però notevoli cambiamenti d’uso, come nel caso della villa romana
di Podere Montisi a Travalle, i cui strati di
abbandono furono utilizzati, in epoca altomedievale, come area di sepoltura.
Altri insediamenti invece rimasero in vita,
senza soluzione di continuità e quasi indisturbati, ben oltre il periodo di passaggio dall’età
antica al medioevo: è un fenomeno riscontrato archeologicamente nei siti di Castelluccio,
di Baroncoli e del Castello di Calenzano.
72
74
Ibidem 2002, pp. 147-148.
Il territorio di Calenzano è stato a lungo al
centro delle vicende storiche che interessarono i dintorni di Firenze, svolgendo a più
riprese ruoli significativi quale parte rilevante di un medesimo contesto territoriale. La
stessa redazione della Carta Archeologica ha
permesso di constatare (e, più volte, confermare con ricchezza di elementi documentari
materiali) come si tratti di un ambiente che,
con una sostanziale continuità, è stato abitato fino da epoche remote. La posizione e
la conformazione altimetrica – un erto “scoglio” ben difendibile, ma addirittura contiguo ad una pianura fertile e nel contempo
più volte importante crocevia fra regioni e
importanti insediamenti di fondovalle, e tuttavia ben collegato alle vicine creste collinari
che discendono dalle “montagne” di Val di
Marina, in diverse epoche storiche – ne ha
reso strategicamente rilevante il controllo
(che, almeno nell’età di mezzo, coincideva
con il suo possesso); una condizione che, unitamente ad una peculiare produttività del suo
territorio, ne hanno costituito, fino dall’antichità, il motivo di una centralità sempre rinnovata e durata a lungo.
Dopo aver partecipato a pieno titolo della storia fiorentina dal XIII al XIV secolo,
Calenzano si è trovato a vivere ai margini del
grande palcoscenico della storia toscana e italiana: considerato ancora negli anni Sessanta
del secolo appena trascorso come “zona
depressa”, ha, magari proprio per questo,
potuto mantenere quasi inalterate le caratteristiche acquisite nei secoli del Medioevo
e della prima età moderna. In seguito, con
il grande sviluppo industriale degli anni
Sessanta del Novecento e dei decenni successivi, la piana di Calenzano ha cambiato
fisionomia; ma questo vasto, improvviso e,
a volte, tumultuoso sviluppo non ha tuttavia riguardato la parte più settentrionale del
territorio calenzanese e, in particolare, ha
1 I capitoli “Elementi di metodo” e “I reperti mobili” sono
stati realizzati rispettivamente con la supervisione scientifica di Guido vannini (G.V.) e con la collaborazione di
Sara Melosi (S.M.). Ringraziamo la dottoressa Angelica
risparmiato l’integrità della Val di Marina e
delle pendici collinari che la circondano; e lo
stesso Calenzano castello, ancora chiuso nelle
sue mura trecentesche, ha potuto conservare, ben leggibile, una straordinaria sequenza
stratigrafica nei suoi elevati, che ne fanno uno
dei castelli meglio “leggibili” dell’intero contado fiorentino, e nella vasta area suburbana
costituisce certamente un unicum. Questo
prolungato isolamento di una gran parte del
territorio che circonda Calenzano consente
oggi all’archeologo e allo storico di potervi
documentare piuttosto chiaramente le tracce
che la storia vi ha lasciato al suo passaggio.
Il programma di studi avviato qualche anno
fa, di cui la collaborazione per il settore postantico costituisce una organica “ricaduta”,
condotto su base archeoinformatica, ha già
prodotto una messe di documentazioni di
notevole articolazione e consistenza, e nel
contempo numerosi spunti per l’interpretazione dei fenomeni storici che interessarono
la Calenzano medievale. Per le analisi sono
stati impiegati i metodi dell’archeologia “leggera”, integrando i dati dell’archeologia degli
elevati e dell’archeologia dei paesaggi su base
informatica. L’indagine sulla viabilità medievale nella zona, basata sulle “linee di attraversamento”, ha quindi costituito la matrice
strutturale, e lo schema teorico, entro cui si
è inserita la ricerca archeologica territoriale.
Si è quindi anche sperimentato un approccio
di indagine per aree morfologicamente e culturalmente omogenee, in modo da ottenere
una documentazione di grande dettaglio per
settori del territorio che si erano configurati, nel Medioevo, come vere e proprie aree
subregionali, e in cui è stato possibile osservare (come in un microcosmo) le dinamiche
storiche che hanno più in generale interessato
l’intero comprensorio calenzanese.
Lo stesso castello di Calenzano, la cui analisi è partita dalla selezione di alcuni contesti
murari campione scelti in base alla loro rilevanza di fonti materiali per la ricostruzione
Degasperi per i preziosi consigli e le discussioni scientifico-metodologiche riguardo ai reperti ceramici, e il dottor
Alessandro Neri per i disegni dei materiali qui pubblicati.
75
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Guido Vannini,
Laura Torsellini
della storia del sito in rapporto al suo territorio, ha quindi costituito il primo “polo” della
ricerca, cui si è appunto affiancata l’analisi
territoriale e, infine, l’avvio dello scavo del
castello di Travalle.
Più in generale, e sotto il profilo dell’approccio di metodo, la gestione delle informazioni
e la contestualizzazione spaziale dei dati prodotti dalle indagini territoriali, così come la
struttura della comunicazione del Progetto
“Calenzano medievale”, sono affidate ad un
sistema informativo geografico correlabile a
quello specifico della Carta. Infatti l’informazione archeologica in ambiente GIS è uno
strumento facilmente consultabile anche dai
non addetti ai lavori, utile alle amministrazioni in funzione della pianificazione territoriale e della salvaguardia del patrimonio
archeologico-paesaggistico. La creazione di
una prima mappa interattiva collegata alla
banca dati delle schede archeologiche, dalla
quale si accede alle indagini più approfondite
(sito, letture stratigrafiche degli elevati, scavo)
fornisce la “porta” d’accesso all’impalcatura
del GIS, strutturata su più livelli di indagine
(fig. 1).
I siti sono classificati sia per tipologia che
per grado di “rischio archeologico”, potendo attuare in tal modo un’immediata identificazione sia dei siti che delle strutture che
76
più necessitano di un intervento di tutela. In
base ai criteri dell’archeologia del paesaggio e
alla strategia di ricerca del Progetto, il GIS è
orientato su tre livelli di scala e di analisi:
– indagini su “macro-scala” (livello inter-siti):
analisi dei siti nell’ambito del territorio subregionale, indirizzata a indagare i caratteri del
popolamento e le problematiche della tutela
e conservazione;
– indagini su scala “inter-media” (livello sitoambiente): analisi del singolo sito in rapporto con il territorio circostante, in funzione
(anche) di identificare i fattori ambientali che
potrebbero costituire un rischio di degrado al
sito/monumento;
– indagini su “micro-scala” (livello intrasito): le analisi delle evidenze archeologiche
del singolo sito (letture approfondite mediante le metodologie dell’“archeologia leggera” o
di scavo).
Il paesaggio viene, così, analizzato come un
contesto dinamico costituito da differenti
trasformazioni spazio-temporali in cui l’insediamento, in quanto luogo d’incontro di una
comunità, costituisce il punto chiave d’osservazione, da cui estrarre parametri oggettivi
per far emergere modelli insediativi.
Una selezione dei risultati scientifici ottenuti
nell’ambito del progetto sono poi confluiti nel progetto di tutela delle testimonianze
archeologiche del territorio di Calenzano,
e cioè nella redazione di questa carta archeologica. In altri termini, i “prodotti” delle
ricognizioni mirate – di conserva all’intero
gruppo di lavoro e sulla scorta degli elementi
relativi alla topografia medievale verificati o
ricostruiti nel corso del Progetto “Calenzano
medievale” – sono stati integrati, con qualche
tratto sperimentale, con le letture archeologiche “leggere”, in particolare derivate dalle
letture stratigrafiche e tipologiche degli elevati, ottenendo così di potere stabilire un vero
collegamento documentario “stratigrafico”
anche con le numerose fonti “non materiali” (scritte in particolare) di cui il territorio
medievale dispone. È ormai inequivocabile, infatti, che ogni aspetto di un territorio
antropizzato, dalle sue caratteristiche morfologiche ai resti di strutture in elevato o interrate, ai reperti mobili di ogni genere che al
suo interno vengono recuperati, partecipa
a ricostruirne la storia e fa parte della sua
“archeologia”.
[G.V., L.T.]
La viabilità
Il ruolo politico di Calenzano sembra essere
stato legato, anche nel Medioevo, alla viabilità a lunga percorrenza che attraversava il
territorio e che proprio qui aveva uno degli
snodi principali di comunicazione tra l’Italia
transappenninica e il Centro-Sud. Due gli
assi strategici di questo sistema di comunicazione internazionale: la Cassia/Francigena,
che collegava Lucca ad Arezzo e poi a
Roma, e la viabilità appenninica tra Firenze
e Bologna, il cui asse principale passava per
la Val di Marina. Si trattava di un crocevia
posto in una posizione strategicamente fondamentale: non solo dominava l’incrocio dei
due assi viari di primaria importanza, ma si
trovava vicino alla linea di confine tra la diocesi fiorentina e quella pistoiese. Il territorio
di Calenzano era inoltre il punto i cui venivano a contatto tra di loro le signorie di tre
potenti famiglie comitali: gli Alberti, signori
di Prato e della Val di Bisenzio, i conti Guidi,
potenti fra Romagna toscana, Casentino e,
appunto tramite la Val di Marina, il pistoiese,
e gli Ubaldini che dominavano il Mugello.
Calenzano venne così a rappresentare l’ultima roccaforte in territorio fiorentino, prima
di quella delicata zona di confine che era
l’area pratese.
Oltre alla viabilità di fondovalle, il territorio
di Calenzano ha sfruttato quella di mezza
costa, che collegava il castello, le grandi aree
urbane di Prato e Firenze, ma anche lo stesso Mugello e, oltre, il bolognese attraverso le
pendici della Calvana e del Monte Morello.
Gli insediamenti che ancora oggi ne punteggiano i versanti sorsero infatti lungo vie percorribili da uomini e muli ed è proprio grazie
alla dislocazione di questi insediamenti che
oggi è possibile ricostruirne i percorsi.
Il tragitto a Ovest della Marina saliva da
Filettole, sul versante pratese della Calvana,
fino sul crinale accanto al “chiesino”
di Cavagliano per ridiscenderne poi a
Cavagliano e proseguire a mezza costa fino
a Torri (Scheda 18) e, più avanti, a Vezzano
(Scheda 13), Valibona e Casaglia per arrivare al passo delle Croci. Su questo itinerario
principale si innestavano tutte le varianti che
provenivano dalla Val di Marina e salivano
in quota: da Travalle si poteva proseguire per
Ciarlico (Scheda 19) e arrivare direttamente
a Torri, mentre da Carraia si saliva a Torri
e a Vezzano, oppure si arrivava a Secciano e
di qui a Valibona o direttamente alle Croci
attraverso Lama e Casaglia. Lungo queste
strade si possono riconoscere ancora oggi le
chiese e una parte degli abitati caratterizzati
dalle murature a filaretto di alberese, con i
conci regolari e le aperture che conservano
le originarie forme medievali. La toponomastica sembra far risalire queste strade a una
viabilità minore già in uso in epoca romana
con i nomi di Cavagliano, Vezzano, Secciano
e Carraia ed è interessante notare quanti
toponimi “parlanti” si incontrino ancora
lungo queste direttrici. Torricella vicino a
Carraia, Poggio alle Macine tra Vezzano e
Valibona, Il Crocicchio lungo la strada che da
Carteano, in Val di Bisenzio, sale a Valibona
e Torrefrilli poco lontano da Casaglia invitano ad una indagine più approfondita da
svolgere sul territorio in questione, mentre
poggio Castellare e poggio Castellaro che
77
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Figura 1. Il sistema GIS e le sue
possibili applicazioni nel territorio
di Calenzano.
Figura 2. La viabilità medievale
nel territorio di Calenzano.
guardano a Nord e a Sud il passo delle Croci
suggeriscono due possibili siti per il castello
di Combiate, di cui per ora si hanno tracce
soltanto documentarie.
Lungo il torrente Marinella correva un’altra
strada che ebbe a lungo un’importanza maggiore di quella di fondovalle che attraverso il
castello di Calenzano raggiungeva Le Croci
attraverso La Chiusa e Carraia. Si trattava di
un percorso che, lasciata la Cassia/Francigena
nei pressi di Settimello, si dirigeva lungo le
pendici orientali del Monte Morello verso Sommaia e, di qui, verso Legri e Cupo
(Scheda 1) per arrivare in Mugello nel plebato
di San Giovanni in Petroio, vicino al ponte
sulla Sieve. L’importanza di questo itinerario
nei secoli del Medioevo è confermata dalla
fondazione antichissima della pieve di San
Severo a Legri (Scheda 6), nota fino dal X
secolo, e dal susseguirsi di torri e castelli che
ne guardavano il percorso. Si tratta, in questo
caso, di veri e propri siti fortificati, posti al
centro di signorie territoriali e a controllo dei
transiti da e verso Nord. Il primo, lungo il
tragitto, è il castello di Sommaia (Scheda 65);
apparteneva alla famiglia dei Da Sommaia
che esercitavano sulle loro terre una vera e
78
questo tratto della via di mezza costa che univa la Val di Marina alla valle della Marinella
di Legri. Da Legri, per Leccio (Schede 24-32)
e Volmiano, passava anche il secondo itinerario che, dominato dalla rocca di Loiano,
si ricongiungeva alla via di mezza costa che
oggi è conosciuta come via dei Colli Alti e
che portava a Firenze.
[L.T.]
L’insediamento
All’interno di questo quadro composto
di linee di attraversamento del territorio e
costruito sulla viabilità si inserisce lo studio
della maglia insediativa riscontrata sul territorio stesso. Le fonti documentarie sono avare
riguardo a Calenzano e alla Val di Marina,
almeno fino a tutto il XIV secolo, ma molti degli edifici risalenti ai secoli centrali del
Medioevo si conservano ancora in elevato e
hanno permesso di ricostruire le dinamiche
evolutive del territorio stesso per gran parte
delle zone prese in esame. La prima fonte
a dare notizia del territorio e del castello di
Calenzano (Scheda 70) è una bolla di papa
Innocenzo II del 1134, dove esso compare
come curtis: si trattava dunque di un distretto amministrativo che insisteva probabilmente su una struttura economica precedente, forse dipendente in origine dalla villa di
Travalle. Non possediamo documenti che ce
ne indichino i confini o che siano in qualche modo utili per determinarne l’estensione. I documenti successivi riguardano la fine
del XII secolo e sono costituiti dai diplomi
imperiali che confermano a Guido Guerra e
ai suoi discendenti il possesso della curtis di
Calenzano e dei diritti feudali su di essa:
«[…] Ut autem habundantioris gratie nostre
prerogativa letetur, concedimus ei suisque
legittimis heredibus et speciali largitate donamus omnia regalia nostra et omnem nostram
iurisdictionem, quam habemus in omnibus
terris et possessionibus suis, quas ipso modo
habet vel de quibuscumque patrem suum
investivimus, et in omnibus his, que ille qui
nunc est, acquisierit, videlicet bannum, pla-
citum, districtum, theloneum, pedagium,
ripaticum, mercata, molendina, aquas
aquarumque decursus, piscationes, venationes, paludes, argenti fodinas, ferri fodinas,
et quicquid metalli vel thesauri in terra sua
inveniri potest, alpes quoque, montes, valles
et omnia ea, quae ad nos et ad imperium
spectant. Quas utique terras et possessiones dignum duximus propriis exprimendis
vocabulis: […] Kalenzanum cum tota curte sua et quicquid habet in monte Morello,
Traualli cum sua curte, quarta pars castelli
de Ligri […]»
(Federico I, 1164)
Dal testo del diploma dovremmo ricavare
che i Guidi possedessero sull’intero territorio
della Val di Marina un incontrastato potere
testimoniato dal possesso di curtes e luoghi
fortificati.
Non è un caso però che i diplomi imperiali
facciano menzione di Calenzano per la prima
volta sul finire dell’XI secolo: durante tutto
questo secolo infatti il comune fiorentino
condusse una continua e quasi sistematica
azione di conquista, più o meno pacifica, di
molti dei castelli e dei possedimenti signorili
presenti nel suo contado, almeno nella fascia
più vicina alle mura cittadine. Molte delle
acquisizioni che andarono ad arricchire i possedimenti comunali furono fatte a spese delle
grandi famiglie i cui domini si trovavano alle
porte della città; quella dei conti Guidi era
tra queste e ben ne erano consapevoli, sia essi
che i fiorentini.
Il testo di questo diploma si mantiene invariato, almeno per quanto riguarda Calenzano,
anche nel diploma di Enrico VI, mentre nel
1220, nel diploma di Federico II, non si fa
più menzione di Travalle. Sembrerebbe dunque che i Guidi possedessero sull’intero territorio della Val di Marina un incontrastato
potere testimoniato dal possesso di curtes e
luoghi fortificati.
Nel terzo quarto del XII secolo Calenzano
costituiva uno dei possessi dei conti Guidi
che rispondeva a tali caratteristiche. La potente famiglia comitale di Modigliana approfittò
del progetto accentratore e di rafforzamento
dell’autorità imperiale, che Federico I andava
promuovendo, per riaffermare i suoi diritti
79
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
propria signoria feudale. Noto fin dal 1020
attraverso una carta di vendita, non venne
coinvolto nelle lotte che seguirono la sconfitta di Montaperti e nel 1343 è già ricordato
come castellare; nel secolo successivo, passato tra le proprietà dei Donati, perse definitivamente la denominazione di castello e fu
trasformato in casa da signore (Scheda 65). Il
castello di Legri (Scheda 5) invece appartenne
per un quarto ai conti Guidi, ai quali viene
confermato nei diplomi imperiali del 1164,
1191 e 1220 e, secondo il Repetti, anche nel
1240; nel 1260 però gli abitanti del popolo di San Piero, la chiesa del castello, devono contribuire al rifornimento dell’esercito
fiorentino. Nessuno dei due castelli è citato
dal Liber Extimationum e dalla fine del XIII
secolo entrambi devono aver progressivamente perso la loro importanza, mentre la
via che passava nel fondovalle cedeva la sua
preminenza alla strada parallela della Val di
Marina.
Numerosi poi sono gli itinerari minori che
percorrono le colline che si trovano tra il
Monte Morello e i monti della Calvana, sia
verso il Mugello che verso Firenze, attraverso
i dolci rilievi che caratterizzano le pendici del
Monte Morello che guardano la piana fiorentina. Tra questi quelli che tagliano le valli della Marina e dei suoi affluenti per mettere in
comunicazione diretta gli abitati che vi sorgevano sono particolarmente importanti per
comprendere l’evoluzione del sistema viario
e dell’organizzazione difensiva del territorio
calenzanese (fig. 2).
Il primo è quello che, venendo da Pizzi­
dimonte, attraversava Macia e continuava
verso Travalle; da qui saliva verso Torri e poi
scendeva di nuovo verso Carraia, dove passava la Marina sul ponte che scavalcava il fiume
nei pressi della pieve. Dopo Carraia la strada
proseguiva inerpicandosi sulle colline di fronte a partire dall’Osteria degli Alberi, giungeva
alla chiesa di Santa Lucia a Collina e scendeva dolcemente fino a Legri dove si riallacciava alla via che passava davanti alla pieve per
giungere in Mugello attraverso Cupo. Lungo
questo itinerario, oltre alle pievi di Carraia e
di Legri e alla chiesa di Santa Lucia a Collina
si trova ancora la torre (Scheda 15) che oggi
fa parte della tenuta di Collina, a dominare
Figura 3. La via fortificata di Legri
e la torre dei Guidi, nel castello.
su un possedimento che vedeva in pericolo
o che aveva in parte già perduto. Era questa
una prassi comune, tanto che spesso la menzione di un dato bene in un diploma che ne
conferma il possesso deve essere piuttosto
considerata come un segnale di significato
del tutto opposto.
È dunque possibile interpretare queste fonti documentarie come indizi significativi di
un progressivo indebolimento della presenza signorile nel territorio e nel castello di
Calenzano, a favore di una sempre maggiore influenza dei ceti dirigenti cittadini, sia
dal punto di vista economico sia da quello
politico. Il livello politico di questa progressiva aggressione alle autonomie signorili o ai
comuni rurali era però quello più peculiare;
e certo non separato da quello economico e
militare. Con l’inurbamento, incoraggiato
o forzoso che fosse, delle antiche famiglie
aristocratiche la città si assicurò la fedeltà, o almeno la non belligeranza, delle zone
del contado più lontane dal perimetro delle
mura, legate alle famiglie signorili da antichi
vincoli feudali o dalla tradizione di dominio
locale. Allo stesso tempo Firenze assunse il
controllo delle locali vie di comunicazione,
mentre lo stesso scopo veniva perseguito
anche ottenendo la fedeltà dei comuni rurali.
Calenzano vede l’epilogo di questa strategia
almeno dalla metà del XIII secolo: se ufficialmente è ancora proprietà della famiglia comi-
80
tale dei Guidi di Modigliana, i fertili poderi
della Val di Marina erano già numerosi nelle
mani di alcune delle più grandi famiglie del
vicino Comune di Firenze, mentre il castello
di Combiate era stato distrutto dall’esercito
fiorentino fino dal 1202. Oltre ai poderi,
appartenevano agli esponenti del ceto dirigente cittadino torri e abitazioni semifortificate sorte fin dai secoli precedenti in tutta la Val di Marina; e fu proprio attraverso
questi “capisaldi” acquisiti che la repubblica
fiorentina estese al territorio di Calenzano il
controllo della viabilità e delle risorse che esso
offriva (fig. 3).
Di proprietà cittadina divennero così le torri
della valle di Legri, costruite dai conti Guidi
per sorvegliare l’itinerario che conduceva a
Nord attraverso la valle della Marinella e il
castello di Legri (Scheda 5); da torri di guardia della viabilità divennero dimore fortificate
che controllavano un territorio “demilitarizzato”, ma ancora strategicamente fondamentale come serbatoio di rifornimenti di uomini e derrate alimentari. Questo passaggio è
testimoniato dai dati dell’analisi stratigrafica
eseguita sulle murature di questi edifici. Le
murature della prima fase hanno caratteristiche più simili a quelle delle murature del
castello di Calenzano, riconosciute come guidinghe, con conci in calcare alberese stretti
ed allungati, mentre quelle riferibili alla successiva fase “fiorentina” sono caratterizzate
da piccole bozze di alberese, molto più sottili dei conci della fase precedente.Sempre in
quest’ottica vanno interpretati gli interventi
che interessano le torri di Collina (Schede 11
e 15), tra le due valli della Marina che furono, di volta in volta, punti di controllo della
viabilità o edifici prevalentemente residenziali a seconda della variazione dell’importanza dell’itinerario viario di riferimento. Così
di volta in volta si aprono o si modificano
gli antichi portalini di accesso alla torre di
Collina nelle murature della quale vengono
aperte eleganti finestre dalla luce più ampia
e viene costruito il coronamento merlato del
Torraccio, che si trasforma da “casa-forte” in
vera e propria piccola fortezza (fig. 4).
Tra le proprietà che le élites cittadine utilizzarono per acquisire progressivamente il
controllo del territorio devono essere consi-
derate anche le abitazioni interne al castrum
di Calenzano; in questo modo si spiegherebbe perché, senza che ci sia noto alcun atto di
vendita del castello di Calenzano al Comune
di Firenze, i suoi uomini vennero chiamati
nel 1260 ad appoggiare la città e l’esercito fiorentino nella guerra che si concluse lo
stesso anno con la sconfitta di Montaperti.
Gli eventi seguiti alla sconfitta di Montaperti
ed al rovesciamento del governo guelfo della
città videro anche la sistematica distruzione,
da parte dei vincitori, dei beni immobili dei
notabili della parte uscita sconfitta. L’elenco
dei beni danneggiati, noto come Liber
Extimationum, è una delle fonti principali
per la storia di Calenzano e ne offre l’immagine di un castrum ben popolato e ben difeso:
organizzato con un casserum vetere, interno al
castrum vero e proprio e già provvisto di un
“burgo de subto”. In ognuna di queste zone
si trovavano numerose costruzioni; molte di
queste costruzioni inoltre, vengono ricordate
come domus e dovevano essere quindi costruite in muratura, almeno in parte. Il casserum
si fregiava addirittura di un palatium e di una
torre, segno evidente dell’importanza che
i suoi proprietari, gli Scali, avevano assunto nel corso del tempo all’interno di questa
comunità. Sappiamo poi che l’assemblea
degli uomini di Calenzano si riuniva sotto
una loggia, che era anch’essa probabilmente
in muratura. Si trattava di una comunità già
legata alla vita politica fiorentina tramite la
presenza nella élite locale della famiglia degli
Scali e di alcuni dei membri della consorteria dei Della Tosa. Una comunità rurale di
una certa ricchezza, dovuta alla fertilità della Val di Marina e forse anche alla vicinanza
delle vie di comunicazione per Prato e per il
Mugello. Sulla collina del castello lo spazio
della sommità doveva quindi già essere occupato in buona parte dalle abitazioni dei residenti e dalla chiesa di San Niccolò.
Questi eventi storici, sempre legati alle politiche della vicina Firenze e di portata ben più
che locale, trovano un preciso, straordinario
riscontro nelle testimonianze materiali del
castello e del suo territorio, fino a “produrre” alcuni dei più importanti “fossili guida”
murari dell’intera area periurbana fiorentina.
L’analisi stratigrafica condotta sulle mura del
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Figura 4. Le torri di Collina in rapporto con la
viabilità di fondovalle e di crinale.
castello ha infatti potuto rivelare importanti
informazioni riguardanti l’aspetto e la forza
difensiva del sito di Calenzano dal XII secolo fino al momento dell’arrivo delle truppe
nemiche durante le incursioni trecentesche
(fig. 5).
È stato così possibile ritrovare le tracce dell’evoluzione delle fortificazioni del
castello a seconda delle necessità militari e
politiche: la porta al Serraglio e la Portaccia
nascono entrambe come semplici accessi
monumentali e vengono trasformate successivamente in torri durante la dominazione fiorentina. La Portaccia poi reca anche le
81
Figura 5. Le incursioni castrucciane
nel territorio fiorentino.
Figura 8. L’analisi stratigrafica
della fiancata di San Niccolò.
Figura 7. La Porta al Serraglio e i
risultati dell’analisi stratigrafica.
tracce della distruzione operata nell’ottobre
del 1325 da Castruccio Castracani e delle
successive riedificazioni, fino alla trasformazione in parte della villa rurale dei Ginori,
nell’età moderna (fig. 6).
La porta al Serraglio costituisce anche
l’esempio dei risultati ottenuti dall’integrazione tra analisi archeologiche degli elevati
e interventi di restauro: durante l’intervento di rimozione dell’intonaco dell’ambiente
voltato della porta è stato, infatti, possibile approfondire l’analisi stratigrafica delle murature del complesso architettonico
di cui la porta fa parte. I dati ottenuti da
questa analisi hanno consentito di identificare il “serraglio” di cui rimaneva memoria
nel toponimo, oggi parzialmente integrato
all’interno dei locali del Museo del Figurino
Storico (fig. 7).
82
Parimenti, l’evoluzione del nucleo urbano
centrale del castello riserva testimonianze significative degli eventi storici occorsi.
Mediante lettura stratigrafica sono già state
rilevate tracce delle dinamiche di sviluppo
urbano nel sito della chiesa di San Niccolò,
modificato e aggregato ad edifici di funzione
non strettamente ecclesiastica, e del cosiddetto “Palazzetto Pretorio”, anch’esso coinvolto nelle modificazioni urbanistiche legate
all’evoluzione storica del nucleo abitato. Le
analisi di archeologia dell’architettura hanno infatti evidenziato la presenza di più prospetti, appartenenti in origine a corpi di fabbrica diversi, e di molte fasi costruttive sulla
fiancata della chiesa di San Niccolò (fig. 8).
In particolare la parte centrale della fiancata si presenta dotata di caratteristiche
diverse: un tipo murario caratterizzato da
conci squadrati e spianati accuratamente, di dimensioni molto grandi nella parte
inferiore, più piccoli e di forma allungata
nella parte superiore, che presenta anche
tre piccole feritoie (USM 58, USM 68, 71
e USM 70, 72) ed è separata dalla muratura
della fase precedente da una breccia risarcita in muratura mista. Durante la campagna di quest’anno è stato possibile notare
come queste caratteristiche trovassero una
parziale corrispondenza sulle murature del
prospetto laterale del “Palazzetto Pretorio”:
anche in quest’ultimo infatti è stata risarcita una breccia, poco più in basso di quella
corrispondente sulla fiancata della chiesa.
Inoltre, la finestra tamponata in alto, vicino
al prospetto con archi che dà sulla piazzetta, sembra essere stata in origine una feritoia
poi rimaneggiata, esattamente di fronte al
punto in cui, sulla fiancata della chiesa, si
notano i due livelli sovrapposti di feritoie.
L’osservazione di questi rapporti stratigrafici
ha fatto sorgere nuovi interrogativi sull’organizzazione topografica del castello di
Calenzano nel Medioevo: potrebbe infatti
trattarsi delle tracce lasciate da un circuito
murario preesistente all’attuale, che avesse
nella chiesa di San Niccolò un suo punto
di forza (forse il circuito del casserum vetere
citato dal Liber Extimationum) e che si sia
allargato fino a comprendere anche la fase
più antica del “Palazzetto Pretorio”.
L’età moderna riservò al territorio di
Calenzano il destino di zona a vocazione
agricola e rurale, contraddistinta dalla fitta
rete di poderi appartenenti alla “borghesia” cittadina e dalla presenza delle ville,
residenze di campagna dei ceti dirigenti
della città, secondo una struttura insediativa che affondava le sue radici nei secoli
precedenti e che ha resistito almeno fino
al secondo dopoguerra, soppiantata solo
dalla riconversione industriale della piana.
L’insediamento poderale, diffuso in tutto
il territorio di Calenzano e caratterizzato da
una fitta maglia di costruzione di case coloniche ancora oggi visibili e conservate, ha
lasciato tracce consistenti nella distribuzione
delle colture e nei numerosi ritrovamenti di
materiali ceramici provenienti dalle ricognizioni del Gruppo Archeologico Fiorentino
sui cantieri degli edifici che hanno lentamente ricoperto la piana e nei campi che
ancora coprono le zone di Travalle e le altre
“isole” rurali del territorio comunale.
[L.T.].
I reperti mobili
I manufatti mobili, in particolare ceramici,
riferibili al territorio di Calenzano provengono per lo più da ricognizioni di superficie
effettuate dai volontari del GAF negli anni
Ottanta e Novanta. Le aree interessate dalle
raccolte sono state prevalentemente quella
di Travalle, già nota come sede di insediamenti romani, e le zone in cui si svolgevano
di volta in volta attività edilizie che comportavano movimenti terra, escludendo quindi,
quasi del tutto, le zone collinari e più lontane dalla piana.
Fin da un primo approccio è stato inoltre
evidente come le diverse raccolte avessero tutte restituito ceramica in proporzioni
poco probabili tra le varie tipologie: l’acroma è, generalmente, presente in quantità
equivalente o addirittura inferiore alle tipologie smaltate o ingubbiate. Numerosi sono
i frammenti di maculate e marmorizzate e,
anche quando i materiali presentano una
notevole eterogeneità diacronica, la presenza
di frammenti “tardi” non cresce, come ci si
aspetterebbe, proporzionalmente all’avanzare della cronologia dei reperti. Tutto questo
suggerisce che le ricognizioni e le conseguenti raccolte di reperti siano avvenute secondo
criteri selettivi, su base estetica, senza intenti propri della metodologia archeologica. Si
tratta dunque di attestazioni significative
dal punto di vista di indizi di frequentazioni nelle aree approssimativamente (in linea
di larga massima) di rinvenimento e per le
epoche suggerite dai tipi ceramici stessi, ma
senza potere disporre di un ulteriore elemento circa natura, estensione cronologica
e condizioni materiali dei gruppi umani cui
pure si fa riferimento. Tuttavia, la presenza
di una notevole quantità di reperti ceramici
ha consentito, in vari casi, alcune valutazioni generali che contribuiscono a dettagliare
83
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Figura 6. La Portaccia: analisi
stratigrafica e fasizzazione.
84
italo-moresca, provenienti per lo più dagli
sterri eseguiti in concomitanza con i restauri
della pieve di Legri. I frammenti di maiolica arcaica appartengono prevalentemente a
forme aperte, per lo più piccoli catini, con
l’eccezione di qualche frammento di boccale. Anche in questo caso gli impasti sono di
buona qualità, rosa o arancio, ben depurati,
ma le decorazioni sono difficilmente ricostruibili a causa delle ridotte dimensioni
dei frammenti sui quali spesso si conservano soltanto parti di campiture e di trecce
in verde ramina, con accenni di graticcio
in bruno manganese; si possono comunque
attribuire quasi interamente al XIV secolo,
e cioè alle produzioni più tarde.La maiolica
italo-moresca invece è rappresentata sia da
forme chiuse, in particolare boccali, sia da
ciotole o scodelle. Dei boccali si conservano
o l’attacco dell’ansa oppure parte della parete, con decorazione a foglie di brionia intorno ad una decorazione centrale, mai conservata. Le forme aperte sono rappresentate per
lo più da frammenti di tese, troppo piccoli
per ricostruire la decorazione complessiva. In un caso comunque l’associazione tra
decorazione e forma ha consentito di riconoscere una ciotola di tipo “Bacchereto”.
La ceramica acroma comprende forme e
impasti vari, tutti attribuibili genericamente
ai secoli del pieno o tardo Medioevo; ma le
forme più rappresentate sono paioli, olle e
testi, cioè le forme normalmente più diffuse
in questo orizzonte cronologico. Altre forme
rappresentate sono gli orci, che però sono
difficilmente attribuibili ad un orizzonte
cronologico preciso (se non genericamente
post-medievale/post-rinascimentale), se si
escludono i pochi frammenti di ceramica a
matrice del tipo “figlinese”, entrambi attribuibili alla fine del XIV-XV secolo. Sono
anche presenti alcuni frammenti di pipe in
ceramica depurata.In generale quindi possiamo dire che i materiali rinvenuti confermano gli stretti rapporti che sono sempre intercorsi tra il territorio calenzanese e
le vicine città di Firenze e Prato, sia come
diffusione sia come produzione vera e propria dei manufatti. Gli impasti riscontrati a
Calenzano sembrano, infatti, quasi interamente realizzati con argilla proveniente dal
territorio pratese (come emerso da discussioni informali con Pasquino Pallecchi) e
i frequenti confronti riscontrabili sia nelle
forme che nei decori con reperti dall’area
pratese e, in misura minore, pistoiese che
dimostrano anche una uniformità nella rete
di distribuzione e diffusione in tutto il contado fiorentino. Viene inoltre confermata
l’ipotesi di un interscambio frequente e profondo tra l’area di influenza pratese e la Val
di Marina, formulata sulla base dei confronti tra tipologie murarie durante le analisi di
archeologia “leggera”.
[L.T.-S.M.]
Conclusioni
Il quadro generale offerto dal territorio
di Calenzano è dunque quello di un’area
densamente popolata e strettamente legata
alle vicende politiche ed economiche della
potente vicina, Firenze, ma anche alla realtà
produttiva ed economica della terra pratese,
sicuramente fin dall’inizio del XII secolo.
Per i secoli precedenti le fonti si limitano ad
indicare una forte presenza economica dei
grandi enti ecclesiastici cittadini, che possedevano in questo territorio estese proprie-
tà terriere. Gli insediamenti compaiono in
queste fonti per lo più come semplici nomi
e allo stato attuale non si conoscono strutture in elevato che conservino tessiture murarie risalenti ad un’epoca anteriore al XII
secolo. Anche gli insediamenti conosciuti
dalle fonti prima dell’anno Mille, infatti,
non conservano tracce visibili delle loro fasi
più antiche.
Alcuni frammenti di acroma grezza sono
riconducibili a forme ceramiche (quali
testi, paioli ed olle) tipiche anche dell’alto
Medioevo, ma la persistenza d’uso di quelle
stesse forme anche nei secoli successivi, unita alla decontestualizzazione stratigrafica di
rinvenimento dei materiali esaminati, non
fornisce indicazioni sufficienti a collocarle
cronologicamente prima dell’anno Mille.
Questo “vuoto” documentario, relativo
sia alle fonti scritte che a quelle materiali,
potrebbe essere almeno in parte colmato,
nei prossimi anni, dalla prosecuzione della
ricerca archeologica, da svolgersi con ricognizioni mirate ma estensive sulla totalità
del territorio della Val di Marina ed, eventualmente, con scavi stratigrafici mirati nei
siti che compaiono nelle fonti fino dall’ultimo scorcio del X secolo d.C.
[L.T.]
85
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
ulteriormente, sotto altro profilo, le interpretazioni avanzate sull’evoluzione dell’insediamento e sulle dinamiche sociopolitiche
fin qui esposte.
Le classi maggiormente rappresentate sono
le ceramiche ingubbiate, in particolare le
marmorizzate e le maculate, presenti quasi
esclusivamente con forme aperte. Queste
due tipologie però non sono state analizzate nel dettaglio poiché, non provenendo
da contesti stratigrafici, non sarebbe stato
possibile attribuirle a orizzonti cronologici
precisi. L’analisi si è quindi concentrata sulle ingubbiate e graffite, meglio attribuibili,
su base tipologica, ad orizzonti cronologici
e zone di produzione specifici. L’orizzonte
cronologico cui queste forme appartengono spazia, dato il modesto stato di conservazione, dal XV al XVII secolo, con una
particolare presenza di frammenti della fine
del XV-XVI secolo; appartengono tutte a
forme aperte, e la maggior parte di esse è
di produzione valdarnese. Gli impasti sono
di buona qualità, mentre i decori sono per
lo più approssimativi, almeno per quanto è
dato di capire dalle piccole dimensioni dei
frammenti.
Per quanto riguarda le smaltate rinascimentali e post-rinascimentali, la presenza
di numerose forme sia aperte che chiuse,
di produzione valdarnese e montelupina
in particolare, più che attestare una semplice frequenza di scambi tra il territorio
di Calenzano e il Valdarno fiorentino (già
riscontrata per la classe delle ingubbiate),
conferma in pieno l’appartenenza di tutto il
territorio ad un medesimo mercato di riferimento “fiorentino”, dotato di suoi centri
produttivi dedicati. Anche in questo caso le
piccole dimensioni dei frammenti ceramici
non consentono uno studio approfondito
dei decori, che appartengono prevalentemente al “gotico floreale” (per i boccali) e
alla decorazione “a spirali verdi” e “a ovali e
rombi” per quanto riguarda i piatti. Anche
in questo caso gli impasti sono mediamente
di buona qualità, mentre i decori appartengono a tipologie seriali e standardizzate, di
media e bassa qualità. Le classi più specificamente medievali contano pochi frammenti di maiolica, sia maiolica arcaica che
Schede
Legenda
Preistoria
Età classica
Età post-classica
86
87
88
Scheda Calenzano
1 – Areale I
Localizzazione
Cupo (CLP).
Contesto di ritrovamento
Strutture in elevato, boschivo.
Contesto attuale Strutture in elevato, boschivo.
Descrizione Si tratta di un agglomerato di edifici che costituivano l’abitato di Cupo, attualmente in totale
abbandono. Si conserva ancora la chiesa medievale di San Michele, che sorgeva lungo l’itinerario viario per San Giovanni in Petroio e il Mugello. Attualmente i paramenti originali della
chiesa si conservano ancora in elevato, ma l’apparato decorativo è continuamente depredato
dai vandali. Il terreno circostante è stato invaso dal bosco, per cui non è facile effettuare ricognizioni sistematiche.
Materiali
Non sono stati rinvenuti reperti mobili.
Grado affidabilità
-/-/4
Cronologia Periodo post-classico: XIII-XVII secolo.
Interpretazione
Periodo post-classico: abitato abbandonato, di origine medievale.
Fonti Cartografiche
Piante di Popoli e Strade, c. 444 (S.to Michele a Cupo).
Bibliografia
Lamberini 1987, I, pp. 128-130; Bellometti 2003-2004, pp. 18-23, 43-48.
89
2 – Areale II
Scheda
3 – Areale III
Localizzazione
Le Muricce.
Localizzazione
Fisciano Alto (CFA).
Contesto di ritrovamento
Boschivo.
Contesto di ritrovamento
Strutture in elevato.
Contesto attuale Boschivo.
Contesto attuale Strutture in elevato.
Descrizione Il toponimo Le Muricce indica un piccolo rilievo dalla forma circolare, superiormente appiattito e attualmente coperto da bosco, presso Le Croci di Calenzano.
Descrizione
Materiali
Periodo classico: «6 frammenti di laterizi di tipo romano».
Grado affidabilità
-/2/-
Il sito, lungo la strada che da Legri portava in Mugello, è composto da tre agglomerati di edifici, dei quali quello a quota più elevata, non ancora restaurato, mostra caratteri medievali. Si
tratta infatti di una torre a pianta rettangolare, con il lato lungo rivolto ad Est, che mantiene
intatte le angolate, pochi corsi della muratura originaria sul lato Sud, un portale e un portalino sul lato Est, dove sono visibili anche ampie porzioni del paramento murario originale e
della risega di fondazione. L’edificio sorge su un terrapieno che potrebbe essere stato spianato
artificialmente.
Cronologia Periodo classico: periodo romano non precisabile.
Materiali Non sono stati rinvenuti reperti mobili.
Grado affidabilità
-/-/4
Cronologia Periodo post-classico: le strutture murarie medievali individuate sono inserite all’interno di
edifici attribuibili ad un arco cronologico ben più ampio, compreso tra il XIII e il XIX secolo.
Interpretazione
Periodo post-classico: si tratta probabilmente di una torre con funzione militare-abitativa di
controllo della viabilità per il Mugello che attraversava la valle di Legri, poi trasformata in
una colonica e, ancora successivamente, in una semplice casa di abitazione.
Fonti Cartografiche
Piante di Popoli e Strade, c. 441 (S.to Severo a Legri).
Bibliografia
Bellometti 2003-2004, pp. 122-166.
InterpretazioneCome risulta evidente dalla lettura dei dati quantitativi dei reperti, il luogo non acquista
importanza per ciò che ha restituito – il terreno boschivo infatti non facilita le ricognizioni
–, ma per la posizione. Molti autori (si veda Bibliografia) sono concordi nel ritenere che dal
Passo Le Croci dovesse passare già in periodo etrusco, e soprattutto in periodo romano, una
importante via di comunicazione tra il Valdarno ed il Mugello, via che probabilmente andrebbe identificata con la Flaminia minor.
Fonti di archivio
Archivio GAF.
Bibliografia
Uggeri 1984, pp. 584-585; Carta Archeologica 1995, p. 5; Capecchi 1996, p. 157; Millemaci
1999, pp. 134-135; Baldini 2007-2008, pp. 281-282; Tuci 2008.
90
91
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda
4 – Areale IV
Scheda 5 – Areale V
Localizzazione
Poggio Castellare-La Querciola.
Localizzazione
Legri, castello di (CLC).
Contesto di ritrovamento
Boschivo.
Contesto di ritrovamento
Urbanizzato.
Contesto attuale Boschivo.
Contesto attuale Urbanizzato.
Descrizione Si tratta di un rilievo posto a cavallo tra la Val di Marina e la valle di Legri, caratterizzato da
un crinale che si sviluppa in direzione Nord-Sud, la cui sommità pianeggiante raggiunge una
larghezza massima di cento metri e dà il nome all’intero colle; la parte più bassa è parzialmente occupata dalle case de La Querciola.
Descrizione Materiali
Periodo classico: i materiali, rinvenuti da privati, al momento non sono rintracciabili. Si trattava di una punta di freccia bronzea, una parte di fibula bronzea e una moneta romana d’argento.
Il sito occupa l’intera parte superiore della collina, a mezza costa sui rilievi che sovrastano la
Marinella di Legri. Il complesso degli edifici è organizzato intorno alla torre, ancora conservata per circa trenta metri di altezza e che può essere fatta risalire al XII secolo. Gli edifici immediatamente adiacenti sono attribuibili ai secoli successivi, in particolare l’attuale oratorio
e l’edificio subito adiacente. Nel terreno circostante gli edifici, su due diverse curve di livello,
si conservano ancora le due porte castellane, che mantengono in parte i paramenti murari
originali.
Grado affidabilità
-/2 (segnalazione bibliografica)/2
Materiali
Non sono stati rinvenuti reperti mobili.
Cronologia Periodo classico: periodo etrusco (età arcaica?).
Periodo post-classico: probabilmente XII-XIV secolo.
Grado affidabilità
-/-/5
Cronologia Periodo post-classico: XII-XIX secolo.
Interpretazione Periodo classico: al momento si tratta solamente di una segnalazione bibliografica, non è
quindi possibile avanzare ipotesi sul tipo di utilizzazione dell’area. Se consideriamo tuttavia
il rinvenimento di connotazione guerriera della punta di lancia e della fibula, entrambe di
bronzo, potremmo ipotizzare una sepoltura maschile, mentre, per quanto riguarda la moneta
di periodo romano, non è possibile avanzare alcuna ipotesi, visto il carattere di mobilità che
caratterizza tali rinvenimenti. Il luogo, tuttavia, è interessante per la sua collocazione geografica: si trova infatti lungo un’importante e già citata via di comunicazione verso l’Etruria
padana, che conduceva dalla piana di Sesto, attraverso la Val di Marina, nel Mugello.
Periodo post-classico: fonti orali parlano della presenza di muri in conci di alberese legati con
malta. Poiché si tratta di una delle collocazioni suggerite da Francovich (Francovich 1973)
per il castello di Combiate, è possibile che si tratti di un sito fortificato anche nel Medioevo.
Interpretazione
Periodo post-classico: castrum medievale, in parte proprietà dei Guidi, che costituì a lungo
un caposaldo del controllo della viabilità per il Mugello che attraversava la valle di Legri,
riadattato in seguito come residenza privata con la costruzione di numerosi nuovi edifici addossati.
Fonti Cartografiche
Piante di Popoli e Strade, c. 443 (S.to Pietro a Legri).
Bibliografia
Lamberini 1987, I, pp. 120-122, 155-157; Bellometti 2003-2004, pp. 23-30, 43-49, 71121; Torsellini 2003-2004, pp. 26-27, 29-34; Torsellini 2007-2008, pp. 39-46, 62-65.
Fonti di archivio
Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano, prot. 2002 del 31 gennaio 2001.
Bibliografia
Francovich 1973, pp. 98; Lamberini 1987, I, pp. 152-153; Carta Archeologica 1995, p. 52;
Baldini 2007-2008, pp. 280-281.
2 Nel testo, per quanto concerne il ritrovamento di materiali medievali, si fa riferimento al perduto Castello di Combiate.
Tuttavia l’analisi condotta in Lamberini 1987, pp. 152-153, dimostra che il Castello non va posizionato sul Poggio Castellare,
ma sul passo de Le Croci di Calenzano.
92
93
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda 6 – Areale VI
Localizzazione
Legri, pieve (PDL).
Contesto di ritrovamento
Urbanizzato.
Contesto attuale Urbanizzato.
Descrizione La pieve di Legri sorge sotto il piano stradale, in posizione pianeggiante, vicino al fiume
Marinella, lungo l’itinerario per San Giovanni in Petroio e il Mugello. Attualmente è in parte
interrata. Durante i lavori di restauro, lungo il perimetro delle absidi, sono stati effettuati
scavi che hanno restituito numerosi frammenti ceramici relativi a diversi secoli, a partire dal
basso Medioevo. La pieve, in origine con tre absidi semicircolari di cui due sole superstiti,
nonostante i pesanti restauri subiti, conserva ancora visibili le tracce delle numerose vicende
che l’hanno interessata.
Materiali
Durante i lavori di restauro il GAF ha raccolto numerosissimi frammenti ceramici dal terreno di riporto dello scasso operato lungo le absidi della chiesa. La classe più rappresentata è,
come sempre, l’ingubbiata e graffita, ma sono numerosi anche i frammenti di invetriata, di
ingubbiata e dipinta. Dallo scavo provengono anche una scodella di ceramica italo-moresca
quasi interamente ricostruibile, alcuni frammenti di boccalini, sempre in italo-moresca, e
frammenti di zaffera a rilievo.
Periodo post-classico: 150 frr. ceramici, 2 frr. vitrei, 2 frr. metallici, 10 scorie.
Cfr. schede di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0008/09.
Grado affidabilità
-/-/4
Cronologia Periodo post-classico: XII-XVII secolo.
Interpretazione
La pieve di Legri è attestata fino dal IX secolo, ma le tessiture murarie e i frammenti ceramici rinvenuti durante i lavori di restauro appartengono tutti ai secoli posteriori al XII.
Certamente la pieve di San Severo ha avuto grande importanza durante tutti i secoli del
pieno Medioevo, in particolare tra il XII e il XIII secolo, quando fu al centro delle politiche
territoriali del vescovato fiorentino e della potente famiglia comitale dei Guidi.
Fonti Cartografiche
Piante di Popoli e Strade, c. 441 (S.to Severo a Legri).
Bibliografia
Lamberini 1987, I, pp. 116-120; Bellometti 2003-2004, pp. 43-70; Torsellini 20032004, pp. 26-27, 30-33; Torsellini 2007-2008, pp. 39-46, 62-65.
94
Ceramica acroma “figlinese”.
3060. Frammento di bordo di catino
realizzato a matrice.
Maiolica di Montelupo.
3061. Frammento di parete di
grosso piatto.
Maiolica rinascimentale.
3062. Frammento di fondo di
boccale.
L 8,8; l 6,5; S orlo 2; S parete 1; diam.
orlo ricostruito 36,5.
L 5; l 10; S 1,2.
L 9,4; l 4,5; S fondo 0,8; S parete 0,6;
diam. piede 9,3.
Bordo con orlo ingrossato a sezione
subrettangolare e margine esterno arrotondato, gola esterna. Decorazione a
piccole “foglie di palma” lanceolate, disposte su due fasce orizzontali.
Impasto duro con vacuoli (<3 mm) e
inclusi di calcite e chamotte (<3 mm).
Cfr. Uffizi 2007, pp. 371, 408, frr.
22.1.3, 22.1.6. Per la classe si veda
Boldrini, Grassi, Quirós Castillo
1999, pp. 395-409.
Parete con decorazione conservata soltanto per la parte terminale della zampa
di un leone rampante in arancio metallico bordato di blu, poggiata su un paesaggio in blu e giallo.
Impasto poroso, ben depurato, bianco.
Smalto bianco, spesso, coprente all’interno, più diluito all’esterno.
Per la classe si vedano Palazzo dei
Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II
1987.
Fondo con piede appena distinto.
Decorazione in blu, verde, bruno e
giallo, consistente in un motivo a scaletta in blu, alternato a linee verticali
verdi e gialle, campite da sottili tratti
obliqui in bruno.
Impasto duro, depurato, grigio chiaro.
Smalto sia interno sia esterno, bianco,
spesso e uniforme all’esterno, meno
uniforme all’interno.
Cfr. Palazzo Pretorio 1978, p. 188, fr.
997; Wentkoswska 2007, pp. 33, 36,
fr. 29. Per la classe si vedano Palazzo
dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi
II 1987.
XVI secolo.
Fine del XIV-XV secolo.
Probabile produzione montelupina, fine del XV-XVI secolo.
95
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda L 10,5; l 7,2; S fondo 0,9; S parete 0,5;
diam. bordo ricostruito 21,6; diam.
piede ricostruito 10.
Maiolica italo-moresca.
3064. Frammento di bordo e parete
di boccale.
Maiolica italo-moresca.
3065. Frammento di fondo di forma
aperta.
L 7; l 6,6; diam. bordo ricostruito 8,2.
L 6,7; l 7,5; S fondo e parete 0,7; diam.
fondo ricostruito 16,2.
Bordo e parete molto sottili, con attacco dell’ansa. Ai lati dell’ansa, linee verticali in blu, a gruppi di tre, nascenti in
alto da una fascia di tre linee orizzontali
concentriche; lateralmente, residui di
un graticcio.
Breve tesa confluente con bordo arrotondato e ingrossato; cavetto poco profondo; piede appena concavo. La decorazione presenta una estenuazione del
motivo montelupino “a ovali e rombi”
in arancio, blu, giallo, verde e bruno. Sul
fondo del cavetto, all’interno di una fascia circolare dipinta in azzurro, arancio
e giallo, motivo floreale stilizzato. La decorazione non distingue la tesa e il bordo
dal cavetto. All’esterno, tre linee orizzontali concentriche in bruno molto diluito.
Impasto poroso, ben depurato, di colore bianco. Smalto bianco, coprente,
uniforme e lucido, sia interno sia esterno.
Per la classe si vedano Palazzo Pretorio
1978; Palazzo dei Vescovi II 1985;
Palazzo dei Vescovi II 1987.
Impasto poroso, depurato, grigio.
Smalto bianco, sia interno sia esterno,
compatto, coprente e lucido.
XV secolo.
Cfr. Berti 1997, II, pp. 266-267, anche se in questo caso si tratta di un piattino, mentre quelli esemplificati sono
di grandi dimensioni; per la forma, cfr.
forma I.G.2. “piatti tardi”, p. 421. Per
la classe si vedano Palazzo dei Vescovi II
1985; Palazzo dei Vescovi II 1987.
Fondo apodo di una forma aperta, probabilmente un piccolo catino. Sul fondo, tracce di una decorazione eseguita a
rapide pennellate blu, raffigurante probabilmente una croce (monogramma
YHS), circondata da tre linee concentriche; tra le due linee inferiori, brevi
tratti verticali.
Impasto bianco duro, ben depurato,
rosato. Smalto, sia interno sia esterno,
bianco, coprente e uniforme all’esterno,
più diluito all’esterno.
Cfr. Berti 1997, I, p. 264, fig. 103. Per
la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978;
Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei
Vescovi II 1987.
Inizi del XV secolo.
Ceramica ingubbiata e graffita
policroma a punta.
3066. Frammento di fondo di
ciotola.
L 10,5; l 3,1; S fondo 1; S parete 0,4;
diam. piede 5,2.
Fondo con piede piano e distinto, decorato da linee orizzontali concentriche
a racchiudere uno spazio vuoto con al
centro irregolari graffiture concentriche ovoidali. Graffiture sovradipinte
con larghe e disordinate pennellate in
verde ramina e giallo ferraccia, spesso
degenerato in bruno. Sul fondo, segni
del divaricatore cosiddetto “a zampa di
gallo”.
Impasto rosa, duro, depurato, con millimetrici inclusi granulari di calcite.
Ingobbio, solo interno, color crema,
sottile ma uniforme e coprente. Vetrina
giallina, coprente e uniforme.
Per la classe si vedano Palazzo Pretorio
1978; Palazzo dei Vescovi II 1985;
Palazzo dei Vescovi II 1987; Berti 1997,
II; Uffizi 2007; Wentkoswska 2007.
XVI secolo.
Fine del XVI-XVIII secolo.
96
97
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Maiolica post-rinascimentale.
3063. Frammento di piccolo piatto.
L 13,2; l 9; S fondo 0,8-1,7; S parete
1,1; diam. piede ricostruito 11,8.
Fondo con piede concavo distinto. Tre
righe concentriche irregolari graffite a
punta a separare il fondo del cavetto dalla parete; sul fondo, motivi di tre archetti
decrescenti graffiti a stecca. Decorazione
dipinta ad ampie pennellate, in verde
ramina e giallo, molto diluiti, rappresentante una croce in giallo e ciuffi di
tre pennellate verdi negli spazi di risulta. Sulle graffiture concentriche a punta,
pennellate verdi, ampie e irregolari. Segni
del distacco di un divaricatore “a zampa
di gallo”.
Impasto duro, color avorio, depurato
con inclusi granulari di calcite (<3 mm)
e piccoli vacuoli (<3 mm). Ingobbio, solo interno, molto sottile, tanto da non
notarsi quando la vetrina si scheggia.
Vetrina trasparente, sottile e uniforme.
Per la classe si vedano Palazzo Pretorio
1978; Palazzo dei Vescovi II 1985;
Palazzo dei Vescovi II 1987; Berti 1997,
II; Uffizi 2007; Wentkoswska 2007.
Ceramica ingubbiata e graffita
policroma a punta.
3068. Frammento di parete di
scodellone.
L 9,2; l 10,5; S cavetto 1,2; S parete
0,9.
Parete e inizio del cavetto, poco distinto. Sulla parete, decorazione in verde
scuro e giallo ferraccia, costituita da
brevi linee curve sovrapposte, graffite a
punta e sovradipinte con larghe pennellate in verde, disposte con andamento
“a festone”, separate da due linee verticali graffite a punta e sovradipinte in
giallo ferraccia. Sul cavetto, pennellate
degli stessi colori.
Impasto duro, depurato, di colore rosa.
Ingobbio, solo interno, color avorio,
sottile e con piccoli accumuli sparsi sulla superficie. Vetrina solo interna, trasparente, coprente e uniforme.
Per la classe si vedano Palazzo Pretorio
1978; Palazzo dei Vescovi II 1985;
Palazzo dei Vescovi II 1987; Berti 1997,
II; Uffizi 2007; Wentkoswska 2007.
Maiolica italo-moresca.
3069. Frammento di parete di
boccale.
Maiolica di Montelupo.
3121. Frammento di fondo di
boccale.
L 6,5; l 4,7; S 0,4.
S fondo 0,9; S parete 0,6; diam. fondo
ricostruito 9,5.
Parete con decorazione, in blu leggermente in rilievo, compresa tra linee verticali e sottili,e consistente in un motivo floreale a grandi petali tondeggianti,
decorati all’interno con puntini e “foglie di brionia”, e separati da piccoli
petali campiti a graticcio. Negli spazi di
risulta della decorazione centrale, puntini e linee curve.
Impasto poroso, ben depurato, appena
rosato. Smalto bianco, uniforme e coprente, sia interno sia esterno.
Cfr. Berti 1997, I, p. 264, fig. 103. Per
la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978;
Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei
Vescovi II 1987.
XV secolo.
Fondo e parete con decorazione in
blu, verde e giallo, delimitata da una
fascia in blu; lungo il limite del piede
e dell’ansa, pennellate verticali di verde
e giallo con tratti trasversali in bruno e
giallo, più sottili. Sul retro, delimitato
da sottili pennellate in bruno, parte della lettera “S” in bruno e verde.
Impasto duro, depurato, bianco.
Smalto sottile, bianco, sia interno sia
esterno, fino a coprire il bordo esterno
del piede e parte del fondo.
Cfr. Scheda 81 – 3071; Palazzo dei
Vescovi II 1987, pp. 610 e 618, fr. 3328.
Per la classe si vedano Palazzo Pretorio
1978; Palazzo dei Vescovi II 1985;
Palazzo dei Vescovi II 1987.
Maiolica di Montelupo.
3122. Frammento di fondo di piatto.
L 10; l 2,2; S fondo 1,8; S parete 0,5;
diam. fondo ricostruito 10,8.
Fondo con decorazione di tipo compendiario della famiglia blu, conservata
per la parte centrale, con una abitazione
con tetto a piovente e un silos, secondo la tipologia del “motivo a paesi”.
Intorno s’intuisce anche la decorazione
a tralci fitomorfi.
Impasto duro, depurato, bianco.
Smalto piuttosto spesso, uniforme, con
ingiallimenti irregolari.
Cfr. Palazzo dei Vescovi II 1987, pp.
612, 628, fr. 3341; Berti 1997, II,
p. 326, n. 197. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Palazzo dei
Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II
1987.
XVI secolo.
Fine del XVI-XVIII secolo.
Fine del XVI-XVII secolo.
Fine del XVI-XVII secolo.
98
99
Maiolica italo-moresca.
3135. Scodella in maiolica italomoresca.
diam. 25,5; S 1.
Scodella ricomposta ed integrata, con
decorazione molto stilizzata e “trascurata” in monocromia blu, raffigurante
una sinusoide con rametti figurati e
piccoli punti negli spazi di risulta. Nel
cavetto, medaglioni circolari con fiori
stilizzati a sei petali sotto tre linee concentriche. Sul fondo, un medaglione
centrale con un motivo floreale simile a
quello del cavetto.
Impasto non determinabile: la ricostruzione, della forma non consente il controllo dell'impasto in corrispondenza
della sezione.
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Ceramica ingubbiata e graffita
policroma a punta e a stecca.
3067. Frammento di fondo di
scodellone.
Maiolica arcaica “blu”.
3138. Frammento di bordo di
boccale e frammento di parete
(due forme minime).
L 5,4: l 7,1; S 0,4.
L 6,8; l 8,4; S 0,4.
L 7,5; l 4,5; S bordo 0,3; S parete 0,5.
L 5,9: l 4,1; S 0,5.
Due frammenti di parete con decorazione del tipo “a foglie di quercia”.
Frammento di bordo con attacco dell’ansa e parte della parete. Decorazione in
blu e bruno conservata solo per le linee
verticali a sottolineare l’attacco dell’ansa;
sul bordo, treccia in blu sopra due linee
orizzontali in bruno.
Impasto rosa, ben depurato, con rare
irregolarità formatesi in cottura e polvere di degrassante. Smalto uniforme e
sottile, sia all’esterno sia all’interno, dove sono ben visibili le tracce della lavorazione al tornio.
Per la classe si vedano Palazzo Pretorio
1978; Palazzo dei Vescovi II 1985;
Palazzo dei Vescovi II 1987.
Fine del XIV-inizi del XV secolo.
Impasto di colore rosa molto chiaro,
depurato, con polvere di degrassante e
piccole irregolarità causate dalla cottura.
Smalto spesso e coprente, leggermente
rosato sia all’interno sia all’esterno.
Per la classe si vedano Palazzo dei Vescovi
II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987.
Fine del XIV secolo.
Maiolica arcaica.
3140. Profilo ricostruito
di rinfrescatoio.
3165
3062
3063
3121
3122
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Maiolica “zaffera a rilievo”.
3136.Due frammenti di parete
(uno con l’attacco del fondo)
di un boccale.
3140
L 9,6; l 5,5; S fondo 6; S parete 0,9; S
tesa 0,7.
Profilo ricostruito di piccolo rinfrescatoio a pareti verticali, con tesa leggermente confluente, dal bordo leggermente
ingrossato e arrotondato. Sulla parete,
treccia in verde ramina, tra strisce orizzontali in bruno; sulla tesa, tratti curvilinei in verde ramina e bruno manganese;
sul fondo, due tratti concentrici, una sinusoide in bruno e un motivo campito
in verde ramina.
3160
Impasto depurato, arancio; tra il corpo
del catino e la tesa, spaccatura creatasi
in cottura. Smalto sottile e rosato, solo
interno, probabilmente perché si tratta
di uno scarto di lavorazione.
3062
Per la classe si vedano Palazzo Pretorio
1978; Uffizi 2007.
Fine del XIV secolo.
[L.T.]
3067
100
101
7 – Areale VII
Localizzazione
Cantagrilli.
Contesto di ritrovamento Scavo archeologico.
Contesto attuale Incolto.
Descrizione Il sito si trova sul crinale della Calvana, ai limiti del territorio comunale, tra il poggio Cocolla
e il monte Cantagrilli, ad una quota di circa 770 m slm. Il luogo si contraddistingue per la
presenza di una dolina poco depressa, originatasi per uno sprofondamento dei depositi di
tipo carsico e riempita in antico dalla sedimentazione di limi ed argille. In epoca moderna,
un dilavamento ha aperto un varco profondo tra uno e due metri in tale sedimentazione, permettendo la raccolta di materiale in sezione e in superficie e l’individuazione di una sequenza
stratigrafica che è poi stata indagata con diversi sondaggi archeologici. Tutti i sondaggi stratigrafici (cinque) hanno attraversato una stratigrafia simile, all’interno della quale, nel solo
Saggio 1, è stato posto in luce un livello con materiale litico e fittile, piccoli frammenti di
ossa bruciate e carboni. Negli altri saggi è stato raccolto materiale litico sporadico in giacitura
secondaria.
Materiali Periodo preistorico: diverse centinaia di manufatti litici, sporadici frammenti ceramici.
Grado affidabilità
5/-/-
Cronologia Periodo preistorico: probabilmente Neolitico antico.
Interpretazione
Periodo preistorico: la litica è molto fresca e relativamente abbondante. Si notano nuclei a lamelle, lame e lamelle ritoccate e non e strumenti geometrici, tra cui trapezi e triangoli; la materia prima è costituita da selci di diverso tipo e colore e da più raro diaspro. Si può affermare
che l’insieme è di epoca olocenica e che l’industria litica potrebbe, per tipologia e tecnologia,
risalire ad un momento del Neolitico iniziale.
Responsabile
Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti – Sezione Preistoria, Università degli Studi di
Siena.
Anno di scavo
2007 e 2008.
Bibliografia
Carta Archeologica 2011, pp. 256-258, PO60.
102
Litica.
1144. Manufatto ritoccato.
Litica.
1145. Manufatto ritoccato.
Litica.
1146. Nucleo.
L 2,1; l 1; S 0,3.
L 1,9; l 1; S 0,2.
L 2,9; l 2,6; S 1,3.
Strumento geometrico: trapezio ottenuto con ritocco erto totale opposto a
piquant-trièdre.
Strumento geometrico: trapezio.
Ritocco accurato bitrasversale; distacchi
minuti; supporto piatto.
Selce.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Lo strumento è generalmente caratteristico del periodo compreso tra le fasi
finali del Paleolitico e il Neolitico antico. Nel contesto particolare del sito,
vista soprattutto la presenza di ceramica, esso contribuisce ad un’attribuzione dell’insieme all’inizio del Neolitico.
Quanto appena esposto vale anche per
i manufatti che seguono (1145-1157).
Selce.
Nucleo per l’estrazione di lamelle; fronte convesso, piano di percussione preparato con ampio distacco; distacchi
paralleli unidirezionali.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
103
Selce.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda Litica.
1148. Nucleo.
Litica.
1149. Manufatto ritoccato.
Litica.
1156. Manufatto ritoccato.
Ceramica.
1157. Frammento di parete.
L 3,5; l 2,1; S 1,4.
L 2,4; l 1,4; S 1,2.
L 3,1; l 1; S 0,2.
L 1; l 0,5; S 0,2.
L 5,2; l 4; S 0,7.
Nucleo per l’estrazione di lamelle; fronte convesso, piano di percussione preparato con due distacchi ampi; distacchi paralleli unidirezionali.
Nucleo per l’estrazione di lamelle; distacchi unipolari paralleli, fronte convesso, piano di percussione preparato.
Raschiatoio denticolato su lama; ritocco bilaterale totale.
Strumento geometrico: triangolo microlitico; ritocco accurato.
Parete di forma non determinabile.
Selce.
Selce.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Selce.
Selce.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
1157
1147
1156
104
1144
1148
1145
105
1149
Impasto grossolano.
1146
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Litica.
1147. Nucleo.
[O.F.]
8 – Areale VIII
Scheda
9 – Areale IX
Localizzazione
Collina.
Localizzazione
Casa al Piano.
Contesto di ritrovamento
Boschivo.
Contesto di ritrovamento
Campo arato.
Contesto attuale Boschivo.
Contesto attuale Campo arato.
Descrizione Il sito non è collocabile con sicurezza in quanto reperito soltanto come notizia bibliografica. L’area corrisponde ad un piccolo terrazzo naturale sulla riva meridionale del torrente
Marinella. Il rinvenimento fu effettuato in seguito a ricognizioni durante lavorazioni agricole
per colture specializzate come vite o olivo.
Materiali
Periodo classico: urne ovoidali in terracotta, alcune coperte da tegole (non reperibili).
Grado affidabilità
-/2 (segnalazione bibliografica)/-
Cronologia Periodo classico: probabile piccolo nucleo sepolcrale riferibile all’epoca romana; non si può
escludere che si tratti di un sito rurale di epoca tardo-ellenistica, vista la mancanza di corredo
funerario e la tipologia delle olle che corrispondono a quelle del sito di Torri.
Interpretazione
Periodo classico: sepolcreto di urne a cremazione.
Bibliografia
Nieri 1930, pp. 345-346; Piattoli 1934, p. 403; Spaterna 1992, p. 110; Carta Archeologica
1995, p. 7.
Descrizione
Al di sotto del viadotto autostradale Torraccia dell’A1, si trova un accumulo di frammenti di
calcestruzzo anche di grosse dimensioni, in parte ricoperti dal manto erboso. Alcuni di questi
frammenti sembrano conservare tracce delle casseforme.
Grado affidabilità
Cronologia
Interpretazione
-/4/
Indeterminabile.
Strutture non meglio identificabili.
106
107
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda Calenzano 10 – Areale X
Scheda 11 – Areale XI
Localizzazione
Loiano (CLO).
Localizzazione
Collina, Torraccia (CTO).
Contesto di ritrovamento
Strutture in elevato.
Contesto di ritrovamento
Strutture in elevato.
Contesto attuale Strutture in elevato.
Contesto attuale Strutture in elevato.
Descrizione Gruppo di abitazioni formanti un insediamento di tipo poderale, sulla sommità di un piccolo rilievo, raggruppato attorno a due edifici medievali: una torre è quella che sembra una casa
da signore. I due edifici più antichi presentano ancora portalini, aperture originali e una parte
della muratura medievale visibile nonostante il pesante restauro. Uno degli edifici più recenti
conserva comunque, libero dall’intonaco, un portale in conci di pietra serena.
Descrizione Materiali
Non sono stati rinvenuti reperti mobili.
Grado affidabilità
-/-/5
Si tratta di un complesso architettonico formato da quattro corpi di fabbrica, dei quali due
sono recenti, che sorge su uno sperone collinare che sporge sulla Val di Marina, in cima ad
un pendio coltivato ad olivi. Alle sue spalle si estende un vasto bosco, in parte della tenuta
di Collina. La torre è l’unico edificio realmente medievale, costruito in un’unica fase e rimaneggiato in seguito, sempre durante i secoli del Medioevo; conserva infatti l’aspetto di fortificazione merlata acquisito alla fine del XIV secolo. A Nord della torre, una ripida collinetta
di forma circolare e coperta da fitta vegetazione potrebbe nascondere il crollo di un edificio
precedentemente addossato alla torre da questo lato.
Cronologia Periodo post-classico: XIII-XVII secolo.
Materiali Non sono stati rinvenuti reperti mobili; non sono state effettuate ricognizioni nei campi circostanti.
Interpretazione
Periodo post-classico: struttura insediativa e di controllo della viabilità lungo un diverticolo
della strada per il Mugello che congiungeva la valle di Legri con gli itinerari di mezza costa
del Monte Morello, successivamente trasformata in edificio colonico e casa di abitazione.
Grado affidabilità
-/-/5
Cronologia Periodo post-classico: XIII-XV secolo.
Fonti Cartografiche
Piante di Popoli e Strade, c. 441 (S.to Severo a Legri).
Interpretazione
Bibliografia
Bellometti 2003-2004, pp. 122-166; Torsellini 2007-2008, pp. 46-50, 65-83.
Periodo post-classico: casa da signore con funzione di controllo della viabilità di fondovalle
per il Mugello, successivamente utilizzata come casa colonica al centro di uno dei poderi della
tenuta di Collina.
Fonti Cartografiche
Piante di Popoli e Strade, c. 449 (S.ta Lucia a Collina).
Bibliografia
Bellometti 2003-2004, pp. 18-22; Torsellini 2003-2004, pp. 121-127, 364-412;
Torsellini 2007-2008, pp. 122-130, 167-171, R 167-194.
108
109
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda 12 – Areale XII
Scheda 13 – Areale XIII
Localizzazione
Collina Piano, chiesa di Santa Lucia (CCP).
Localizzazione
Vezzano (VEZ).
Contesto di ritrovamento
Campo arato.
Contesto di ritrovamento
Incolto.
Contesto attuale Oliveto.
Contesto attuale Incolto.
Descrizione L’area si trova nei pressi della chiesa di Santa Lucia a Collina, in un leggero pendio coltivato
ad olivi su terrazzamenti. La raccolta dei materiali è stata eseguita dal GAF a seguito delle
lavorazioni agricole per la messa a coltura di tipo stagionale.
Descrizione Raccolta di superficie a seguito di lavori di manutenzione del piano stradale. L’area si trova in
un terreno incolto alle pendici orientali della Calvana, posto lungo un sentiero, ancora visibile, che da Carraia conduceva al Popolo di S. Lorenzo a Vezzano.
Materiali
Periodo classico: 6 frr. olle d’impasto, 2 frr. opus latericium.
Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0068.
Materiali Grado affidabilità
-/1/-
Cronologia Periodo classico: periodo romano.
Interpretazione
Periodo classico: la scarsità dei dati non consente di avanzare alcuna interpretazione.
La raccolta comprende scarsi frammenti di epoca romana e 13 frammenti di età medievale,
per lo più di ceramica invetriata appartenente a non meglio definibili forme aperte. Sono
presenti anche due frammenti di ciotole in maiolica arcaica e uno riferibile ad un piatto di
maiolica di Montelupo.
Periodo classico: 10 frr. ceramici, 3 frr. anforacei, 4 frr. opus latericium.
Periodo post-classico: 13 frr. ceramici.
Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0012.
Fonti di archivio
Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano prot. 22599 del 20041.
Grado affidabilità -/1/1
Bibliografia
Baldini 2007-2008, pp. 277-278.
Cronologia Periodo classico: periodo romano.
Periodo post-classico: XIV-XVIII secolo.
Interpretazione
Periodo classico: la scarsità delle attestazioni risalenti non permette un’identificazione puntuale. La presenza di laterizi può far ipotizzare un piccolo insediamento rurale.
Periodo post-classico: sono presenti case coloniche e poderi in età moderna.
Fonti Cartografiche
Piante di Popoli e Strade, c. 451 (S. Lorenzo a Vezzano).
Bibliografia
Lamberini 1987, I, p. 108; Baldini 2007-2008, pp. 276-277.
Comunicazione a firma di Lucia Sarti, in cui viene trasmessa «la documentazione relativa ai rinvenimenti archeologici nel
territorio in oggetto ai fini della tutela». Tale relazione, nella quale sono confluite le segnalazioni del GAF, un significativo
punto di riferimento per i ritrovamenti nel territorio del Comune di Calenzano.
1
110
111
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda 14 – Areale XIV
Localizzazione
Podere La Strada.
Contesto di ritrovamento
Campo arato.
Contesto attuale Campo arato.
Descrizione Campo in leggero pendio, sulla sponda sinistra del torrente Marina, a Sud-Ovest del rilievo
della Torraccia.
Materiali
Periodo preistorico: reperti sporadici (litica e ceramica forse preistorica).
Ceramica maiolica arcaica.
3085. Frammento di fondo di
catino.
Ceramica invetriata.
3086. Frammento di bordo di
coperchio.
Grado affidabilità
1/-/-
Cronologia Periodo preistorico: imprecisabile.
L 6,1; l 3,5; S fondo 0,8; S parete 0,6;
diam. fondo ricostruito 20,9.
L 4,9; l 3,7; S parete 0,7; S orlo 1,1;
diam. bordo ricostruito 21,3.
Interpretazione
Periodo preistorico: il materiale è generico e numericamente insufficiente ai fini dell’interpretazione cronologica e culturale.
Fondo e attacco di parete con, all’interno, una decorazione, molto sbiadita, a
bande di verde ramina e linee in bruno
manganese e, all’esterno, una smaltatura bianca. Lo spessore del fondo sembra
decorato con una steccatura poco profonda.
Bordo con orlo arrotondato, a sezione
circolare ed estroflesso; profonda gola
vicino al bordo.
Fonti d’archivio:
Impasto rosa, depurato, con tracce di
chamotte. Smalto bianco-rosato, sottile
ma uniforme.
Confronti generici per la forma in
Uffizi 2007, pp. 418 ss. Per la classe
si vedano Palazzo dei Vescovi II 1985;
Palazzo dei Vescovi II 1987.
Impasto arancio scuro, semidepurato, con frammenti di calcite piccoli (3
mm) e allungati. Vetrina di colore giallo chiaro, trasparente e spessa circa 0,5
mm, stesa su tutto il frammento in modo irregolare.
Bibliografia
Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano, prot. 25385 del 27 novembre
19961 (indicato come “Tavernaccia”).
Carta Archeologica 1995, p. 8 (indicato come “Tavernaccia”).
Per la classe si vedano Palazzo Pretorio
1978; Uffizi 2007.
XVIII-XIX secolo.
[L.T.]
Seconda metà del XIV secolo.
3085
3086
1 Relazione sulle potenzialità archeologiche del territorio del Comune di Calenzano redatta dalla Co.Idra s.c.r.l. (Archivio
Co.Idra prt. 2888).
112
113
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda 15 – Areale XV
Scheda 16 – Areale XVI
Localizzazione
Collina, torre (CTC).
Localizzazione
Volmiano, riparo.
Contesto di ritrovamento
Strutture in elevato, oliveto.
Contesto di ritrovamento
Scavo archeologico.
Contesto attuale Strutture in elevato, oliveto.
Contesto attuale Incolto.
Descrizione La torre, a pianta sub-quadrata di circa 8 m di lato, posta lungo la strada sterrata che porta a
S. Lucia a Collina, vicino all’incrocio della strada sterrata che conduce a Legri, sorge su terreno roccioso, di calcare marnoso (alberese), su un’area pianeggiante, probabilmente spianata
artificialmente, e si conserva integra nelle sue diverse fasi medievali per dieci metri di altezza.
Nota dalle fonti fino dal XIII secolo come proprietà della famiglia fiorentina degli Aliotti,
in seguito all’analisi archeologica dei suoi paramenti murari effettuata dalla Cattedra di
Archeologia Medievale di Firenze può essere fatta risalire alla fine del secolo precedente. Gli
edifici annessi costituiscono un recinto che già doveva essere edificato nel basso Medioevo.
Poco più a Nord della torre si conservano ancora i resti in muratura di un sistema di cisterne
per l’irrigazione, probabilmente costruite in età moderna e ancora funzionanti.
Descrizione Il riparo si trova in Val di Marina, a circa 350 m slm. Esso è stato indagato nel 1980 da parte
della SBAT, che vi ha realizzato alcuni saggi.
Materiali
Periodo preistorico: il materiale recuperato nello scavo comprende ceramica e litica, proveniente da due livelli principali.
Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) FRN1-FI 0066.
Grado affidabilità
5/-/-
Cronologia Periodo preistorico: Neolitico ed Eneolitico.
Materiali Non sono stati rinvenuti reperti mobili; non sono state effettuate ricognizioni nei campi circostanti.
Interpretazione
Grado affidabilità
-/-/5
Cronologia Periodo post-classico: le strutture originarie della torre risalgono alla fine del XII secolo; interventi successivi si sono succeduti fino al XVI-XVII secolo, senza comunque intaccare la
struttura vera e propria dell’edificio.
Periodo preistorico: la stratigrafia del deposito è stata interessata da uno scavo (Ceccanti
1980), in cui sono stati distinti due livelli principali: a quello inferiore furono attribuiti frammenti fittili depurati ascrivibili al Neolitico, mentre nel livello superiore furono recuperati
frammenti fittili con decorazioni plastiche, bugnette, cuppelle e spazzolature. I materiali del
livello superiore sono attribuibili all’Eneolitico.
Fonti di archivio
Interpretazione
Periodo post-classico: torre militare con funzione abitativa e di controllo della viabilità per
il Mugello, successivamente trasformata in infrastruttura di assistenza alla viabilità minore
tra Val di Marina e la valle di Legri e, ancora più tardi, in casa colonica al centro di uno dei
poderi della tenuta di Collina.
Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano, prot. 25385 del 27 novembre
1996 (si veda Scheda14, nota1); pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano, prot. 22559 del 3
novembre 2001.
Responsabile
SBAT.
Anno di scavo
1980.
Bibliografia
Ceccanti 1980, p. 382; Spaterna 1992, p. 110; n. 31, Carta Archeologica 1995, p. 8.
Fonti Cartografiche
Piante di Popoli e Strade, c. 449 (S.ta Lucia a Collina).
Bibliografia
Lamberini 1987, I, pp. 104-105, 165-166, 210-220; Bellometti 2003-2004, pp. 18-22;
Torsellini 2003-2004, pp. 107-116, 306-362; Torsellini 2007-2008, pp. 50-61, 116121, R 45-90.
114
115
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda Ceramica.
1175. Frammento di parete di forma
non determinabile.
Ceramica.
1176. Frammento di parete di forma
non determinabile.
Ceramica.
1177. Frammento di parete con orlo
di scodella a calotta.
Ceramica.
1178. Frammento di parete con
presa di forma non determinabile.
Ceramica.
1179. Frammento di parete e orlo di
tazza carenata.
L 8; l 6; S 0,7; diam. orlo ricostruito
10,7.
L 4,2; l 3,9; S 0,6.
L 3,4; l 3,2; S 1.
L 13,5; l 7,8; S 1,2.
Parete di con profonde impressioni digitali ravvicinate.
Impasto semidepurato.
Parete con decorazione impressa: linea
incisa affiancata da due file di impressioni puntiformi.
L 7; l 5,1; S 0,5; diam. orlo ricostruito
13,1.
L 11,4; l 6,1; S 0,7; diam. orlo ricostruito 15.
Parete con orlo appartenente a piccolo
vaso o tazza globulare, con presa a linguetta perforata. Spazzolatura sulla superficie esterna.
Impasto semidepurato.
Le forme globulari sono ben attestate nell’Eneolitico, così come le prese a
linguetta e l’uso della spazzolatura delle
pareti.
Il tipo decorazione presente sul frammento conosce un’importante attestazione durante l’Eneolitico.
116
Impasto semidepurato.
La decorazione può rimandare ad un
periodo compreso tra l’Eneolitico e il
Bronzo antico.
Orlo diritto, bordo arrotondato.
Parete con piccola presa a linguetta.
Spazzolatura esterna.
Impasto semidepurato.
Impasto semidepurato.
La forma, considerata all’interno del
contesto, non contraddice l’ipotesi di
un’attribuzione dell’insieme all’Eneolitico.
La spazzolatura è operazione tipica
dell’Eneolitico.
117
Parete con bugnetta sottile sull’orlo e
cuppelle circolari, sia isolate che disposte a gruppi.
Impasto semidepurato.
Il tipo di decorazione plastica (bugnetta e cuppelle) e di morfologia vascolare permettono di attribuire l’elemento
all’Eneolitico.
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Ceramica.
1174. Frammento di parete con orlo
e presa.
Ceramica.
1180. Frammento di parete di forma
non determinabile (globulare?).
Ceramica.
1181. Frammento di parete di forma
non determinabile.
L 8,1; l 6,5; S 0,7.
L 11,2; l 10,4; S 1,1.
Parete con ansa verticale a nastro e bugnette.
Parete con cordoni paralleli e adiacenti,
orizzontali. Spazzolatura esterna.
Impasto semidepurato.
Impasto semidepurato.
Sia il tipo di decorazione plastica a cuppelle che la forma ceramica permettono
di attribuire l’elemento all’Eneolitico.
La decorazione a cordoni paralleli e la
spazzolatura della parete sono tipiche
dell’Eneolitico.
1180
1174
1178
1177
[O.F.]
1181
118
1175
1176
119
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
1179
17 – Areale XVII
Localizzazione Torri.
Contesto di ritrovamento
Indeterminabile.
Contesto attuale
Indeterminabile.
Descrizione Rinvenimento sporadico di una tegola frammentaria iscritta.
Grado affidabilità
-/3/-
Cronologia
Periodo classico: periodo ellenistico.
Fonti di archivio
Bibliografia
Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 7, 1961-1970, Calenzano, prot. 2475 del 1965; pos. 9 Firenze
3, 2001-2010, Calenzano, prot. 22599 del 2004 (si veda Scheda 12 nota1) Archivio GAF.
Nicosia 1966c, p. 308; Spaterna 1992, p. 110; Carta Archeologica 1995, p. 7; Baldini 20072008, pp. 274-276.
Monumento funerario.
2139. Tegola frammentaria iscritta.
L 9; l 7,9.
Frammento di piastra di tegola piana.
Sulla superficie superiore, ben lisciata,
si conserva parte di una iscrizione graffita prima della cottura in caratteri etruschi, di cui restano solo due lettere in
ductus sinistrorso e una linea verticale.
Non rintracciata.
Bibliografia: Nicosia 1966c, p.
308; Spaterna 1992, p. 110; Carta
Archeologica 1995, p. 7; Baldini 20072008, pp. 274-276, n. 100.
Il manufatto, è di estremo interesse. Se infatti coglie nel segno la prima
interpretazione dell’iscrizione, [---]j. l
(Nicosia 1966c, p. 308), si tratterebbe
della parte conclusiva di un praenomen
terminante in –j, espresso in genitivo,
con chiaro riferimento ad ambito sepolcrale. È necessario notare l’alta valenza dal punto di vista documentario
di questo frammento, in quanto attesta
la volontà di riconoscimento del defunto: infatti non si tratta di una tegola riutilizzata e rifunzionalizzata, incidendoci
il nome della persona morta, ma di una
tegola commissionata per l’utilizzo funerario, poiché l’iscrizione, peraltro incisa in una tabula che definisce lo spazio
scrittorio – forse così va interpretata la
linea verticale più esterna, realizzata in-
120
sieme all’iscrizione stessa –, è stata incisa a crudo, prima della cottura. Sarebbe
interessante sapere dove fosse posta tale
tegola: infatti senza scomodare le più
note tegole iscritte di area chiusina che
venivano utilizzate per chiudere i nicchiotti aperti lungo i dromoi, non possiamo stabilire se chiudesse un piccolo
dolium, al cui interno era deposto il cinerario ed il corredo, o semplicemente
il cinerario stesso. A tal proposito, solo
per dovere di documentazione, bisogna
notare che la formula genitivale a cui
fa riferimento Nicosia(CIE 216=TLE
431) era apposta sulla porta di travertino della tomba gentilizia dei Cvenle
trovata presso Montaperti, nel territorio senese (Cristofani 1979, pp. 179180), soggetto della quale era la tomba
stessa (suji). Poiché dunque in periodo
ellenistico le epigrafi sepolcrali sono attestate prevalentemente con «la formula
onomastica pura e semplice» (Benelli
2007, pp. 165), bisogna ipotizzare una
formula del tipo sopra descritto o, più
semplicemente, pensare alla tegola come al frammento di un testo più esteso
in cui il defunto era definito anche con
altri titoli, come ad esempio un patronimico (figlio di Larj) o un gamonimico (moglie di Larj), qualora si trattasse
di una donna, anche se il gamonimico
viene indicato di regola dal gentilizio
e/o dal cognomen del marito (Rix 1977,
p. 66), mentre in questo caso deriverebbe dal praenomen. Tuttavia tale consuetudine poteva anche essere superata,
come testimonia il cippo di marmo
121
trovato sempre nel distretto fiesolano a
S. Martino alla Palma (CIE 15=ET Fs
7.1; si veda da ultimo Benelli 2007,
pp. 172-173).
Età ellenistica.
[G.B.]
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda 18 – Areale XVII
Scheda 19 – Areale XVIII
Localizzazione
Torri (CTO).
Localizzazione
Ciarlico (CCI).
Contesto di ritrovamento
Strutture in elevato.
Contesto di ritrovamento
Strutture in elevato.
Contesto attuale Strutture in elevato.
Contesto attuale Strutture in elevato.
Descrizione Agglomerato di case a mezza costa sul pendio orientale della Calvana, stretto intorno alla piccola chiesa di Santa Margherita, abbandonato e successivamente restaurato. Gli edifici civili e
la chiesa conservano ancora evidenti ampi tratti della muratura originaria.
Descrizione Materiali
Non sono stati rinvenuti reperti mobili.
Gruppo di case da signore in conci di alberese, disposte lungo la strada di mezza costa sul
fianco della Calvana, raccolte intorno all’aia. Nonostante il recente restauro, rimangono ancora evidenti i paramenti murari originali con le caratteristiche che li datano al XIII-primi del
XIV secolo. Ben conservata anche l’aia del paese.
Grado affidabilità
-/-/4
Materiali
Non sono stati rinvenuti reperti mobili.
Cronologia Periodo post-classico: XIV-XVIII secolo.
Grado affidabilità
-/-/4
Interpretazione
Periodo post-classico: si tratta di uno degli insediamenti sorti sulla via di crinale che percorreva la Calvana e metteva in comunicazione Prato con la Val di Marina e il Mugello; una volta
decaduta questa viabilità, il sito, così come Ciarlico (Scheda 19), sopravvisse grazie allo sfruttamento dei pascoli e delle poche aree a coltura della Calvana. Spopolato già alla fine dell’età
moderna, è stato recentemente restaurato ed è prevalentemente luogo di villeggiatura.
Cronologia Periodo post-classico: la vita del villaggio è inquadrabile in un ambito cronologico piuttosto ampio, XIII-XVI secolo; successivamente si è verificato un abbandono del sito a favore
dell’insediamento in fondovalle, mentre recentemente il borgo è nuovamente abitato, anche
se soprattutto come luogo di villeggiatura.
Interpretazione
Periodo post-classico: insediamento accentrato medievale, che doveva basarsi sulla messa
a coltura delle aree più protette della Calvana e sullo sfruttamento dei pascoli, sempre in
Calvana.
Bibliografia
Bardazzi 1981; Bellometti 2003-2004, pp. 10-29.
Fonti Cartografiche
Piante di Popoli e Strade, c. 450 (S.ta Margherita a Torri).
Bibliografia
Lamberini 1987, I, pp. 105-108; Torsellini 2007-2008, pp. 27-38, 46-48.
122
123
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda Scheda
20 – Areale XIX
Localizzazione
Carraia, lottizzazione 1982.
Contesto di ritrovamento
Urbanizzato.
Contesto attuale Urbanizzato.
Descrizione Materiale recuperato dal GAF al limite Nord-Ovest dell’abitato di Carraia, nel terreno rimosso e nelle sezioni di scavo nel corso di una serie di sbancamenti per opere edilizie nel
1982. I reperti furono poi in parte consegnati alla SBAT, dove sono tuttora in deposito.
Materiali
Abbondante materiale fittile protostorico. Scarse attestazioni per quanto riguarda il periodo classico, costituite soprattutto da ceramica depurata di periodo romano. Per il periodo
post-classico, si contano esclusivamente materiali di epoca moderna, per lo più ingubbiata e
graffita e maiolica di Montelupo per un totale di 17 pezzi. Interessante uno dei frammenti di
maiolica montelupina, che reca nella decorazione parte di uno stemma con aquila bicipite.
Periodo preistorico: più di 300 frr. ceramici, circa 20 manufatti litici, 1 fibula in bronzo, frr. di
una o più lastre sottili di calcare; dal terreno rimosso e dalle sezioni dello sbancamento.
Periodo classico: periodo etrusco, arcaico: 1 fr. ceramico; periodo romano: 6 frr. ceramici.
Periodo post-classico: 16 frr. ceramici, 1 moneta.
Cfr. schede di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0016/26/27.
Grado affidabilità
3/3/3
Cronologia Periodo preistorico: Protostoria (Proto-Villanoviano o Villanoviano); inoltre, sporadici elementi forse eneolitici.
Periodo classico: periodo etrusco arcaico e romano.
Periodo post-classico: XIV-XIX secolo.
Interpretazione
Litica.
1158. Nucleo.
Litica.
1159. Manufatto ritoccato.
Litica.
1160. Manufatto ritoccato.
L 3,4; l conservata 3,1; S 0,9.
L conservata 1,8; l 0,8; S 0,5.
L conservata 2,1; l 1,1; S 0,3.
Nucleo frammentario a distacchi centripeti coprenti sulle due facce opposte.
Lama-raschiatoio su lamella frammentaria di piccole dimensioni; ritocco unilaterale.
Piccola lama frammentaria con troncatura e dorso a profondi incavi.
Selce.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Selce.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Periodo preistorico: per il periodo protostorico, la maggior parte del materiale sembra di
contesto funebre, Villanoviano o Proto-Villanoviano (tra la fine dell’età del Bronzo e l’inizio
dell’età del Ferro, cioè tra l’XI e il X secolo a.C.). Sono presenti vari pezzi di una o più lastre
calcaree probabilmente utilizzate a copertura, oltre a diversi frammenti di forme vascolari decorate con i tipici motivi villanoviani, probabilmente anche appartenenti a forme biconiche,
che possono essere state utilizzate per custodire le ceneri dei defunti. La litica comprende
circa una ventina di manufatti, a spigoli freschi. È presente anche una fibula in bronzo ad
arco ingrossato e ribassato. In una porzione circoscritta dell’area delle escavazioni, il GAF ha
raccolto inoltre materiale apparentemente più antico, forse attribuibile all’Eneolitico.
Periodo classico: i materiali del periodo classico sono scarsamente inquadrabili a causa del
pessimo stato di conservazione, pertanto non è possibile avanzare una ulteriore determinazione della cronologia e del tipo di utilizzazione dell’area.
Periodo post-classico: la scarsità dei rinvenimenti post-classici non consente interpretazioni
più approfondite e conferma semplicemente che la zona era popolata in età moderna, con la
presenza di coloniche poderali, anche di una certa importanza.
Anno di scavo
1982.
Bibliografia
de Marinis, Salvini 1999, pp. 75-78; Baldini 2007-2008, p. 273.
124
125
Selce.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
2
Litica.
1162. Manufatto ritoccato.
Metallo.
1163. Fibula di bronzo.
L conservata 5,4; l 1,9; S 0,4.
L conservata 3,7; l 1,3; S 0,4.
L 2,3; l 0,8; S 0,5.
Lama frammentaria con ritocco marginale laterale parziale.
Lama frammentaria a ritocco bilaterale
totale denticolato.
Selce.
Selce.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Fibula ad arco ingrossato e ribassato,
decorata con linee profondamente incise a formare un motivo di difficile
lettura per le cattive condizioni di conservazione.
126
La fibula trova confronti con il materiale di epoca villanoviana individuato
anche nel territorio di Sesto Fiorentino
(de Marinis, Salvini 1999, pp. 7578).
Ceramica.
1164. Frammento di parete di forma
non determinabile.
Ceramica.
1165. Frammenti di tazza globulare
(?).
Ceramica.
1166. Frammento di parete di forma
non determinabile.
L 3; l 2,6; S 0,8.
Frammenti di varie dimensioni; S 0,4.
L 8,4; l 6; S 1,1.
Parete con decorazione impressa a segni
cruciformi inscritti in un cerchio.
Circa 20 frammenti di forma non determinabile, probabilmente tazza globulare, con decorazioni impresse lineari
e bugne con cuppelle.
Parete con cordone digitato.
Impasto semidepurato.
Lo stile decorativo può appartenere al
Proto-Villanoviano (XI-X secolo a.C.)
o al Villanoviano (IX-VIII secolo a.C.).
Impasto semidepurato.
Lo stile decorativo può appartenere al
Proto-Villanoviano (XI-X secolo a.C.)
o al Villanoviano (IX-VIII secolo a.C.).
127
Impasto semidepurato.
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Litica.
1161. Manufatto ritoccato.
Ceramica.
1169. Frammento di parete di forma
non determinabile.
Ceramica maiolica di Montelupo.
3134. Frammento di fondo di piatto
o alzata.
L 8,2; l 6,6; S 0,7.
L 11,5; l 7,7; S 1,4.
L 7; l 2,9; S 0,6.
Parete con ansa verticale a nastro tendente a bastoncello.
Frammento di parete con cordone liscio.
Impasto semidepurato.
Impasto semidepurato.
Fondo con decorazione in giallo, bruno e blu, consistente in un blasone con
stemma centrale conservato solo per il
capo bicipite e doppiamente coronato
di un’aquila in bruno.
1158
[O.F.]
Impasto ben depurato, di colore rosa
chiaro. Smalto bianco, spesso e coprente, sia esterno sia interno, con craquelures.
Per la classe si veda Berti 1997, I.
1165
1164
1166
1159
1160
1163
1168
Probabile produzione montelupina,
XVII-XVIII secolo.
[L.T.]
1162
1161
1169
128
129
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Ceramica.
1168. Frammento di parete e ansa
di forma non determinabile.
21 – Areale XIX
Scheda
22 – Areale XX
Localizzazione
Carraia, via Barberinese 56.
Localizzazione
Carraia, chiesa di Santa Maria.
Contesto di ritrovamento
Urbanizzato.
Contesto di ritrovamento
Campo arato.
Contesto attuale Urbanizzato.
Contesto attuale Urbanizzato.
Descrizione Cippo sferoidale di arenaria, rinvenuto interrato nel giardino di un’abitazione privata; in base
alle testimonianze sembra che sia stato recuperato non distante dall’abitazione. Fuori posto.
Descrizione Grado affidabilità
-/4/-
Durante lavori agricoli nell’area della chiesa furono rinvenute due lapidi con iscrizioni latine,
da riferire a due sepolture. Le stele documentano la presenza di un’area sepolcrale posizionata
lungo l’antica via di comunicazione verso il Mugello, sulla quale già in periodo etrusco erano
presenti necropoli o aree sepolcrali.
Cronologia Periodo classico: periodo etrusco, probabile età arcaica.
Interpretazione
Periodo classico: monumento funerario. Pur non essendone precisamente localizzabile la
provenienza, questo monumento rimane comunque importante, se consideriamo che possa
provenire da un’area non distante dall’odierna collocazione: si dispone infatti lungo una via
già nota per altri ritrovamenti di monumenti funerari, fatto che sembrerebbe confermare
l’importanza in periodo antico di quest’asse viario.
Materiali
Periodo classico: stele di arenaria (CIL XI, 1644): Q· ATTI(o) ATTIA Q· ATTIV(s);
stele di marmo (CIL XI, 1677): TERTVLLAE ALBRICIAE.
Grado affidabilità
-/2 (segnalazione bibliografica)/-
Cronologia Periodo classico: periodo romano.
Interpretazione
Periodo classico: stele funerarie.
Anno di scavo
1734, anno di rinvenimento.
Bibliografia
Gori 1734, 457, 81; CIL XI, 1644, 1677; Magi 1929, p. 25; Lopes Pegna 1974, p. 378, nn.
196-197. Lamberini 1987, I, p. 100; Spaterna 1992, p. 110; Carta Archeologica 1995, p. 10;
Baldini 2007-2008, pp. 272-273.
Fonti di archivio
Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano, prot. 22599 (si veda Scheda 12
nota1). Archivio GAF.
Bibliografia
Baldini 2007-2008, pp. 267-268.
1
Relazione prot. 22599 del 2004 (si veda nota 3).
130
131
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda
Scheda
23 – Areale XX
Localizzazione
Carraia, lottizzazione 2007.
Contesto di ritrovamento
Scavo archeologico.
Contesto attuale Urbanizzato.
Descrizione A seguito di una segnalazione, la SBAT ha imposto la realizzazione di saggi preventivi per
verificare la fattibilità dell’intervento edilizio progettato.
Materiali
Dal sito, in corso di studio, provengono materiali che vanno dal periodo etrusco, arcaico fino
all’età moderna.
Grado affidabilità
-/5/-
Cronologia Periodo classico: l’occupazione dell’area è attestata a partire dal periodo etrusco, facies arcaica,
per scopi abitativi e produttivi, come dimostrano i rinvenimenti, senza soluzione di continuità fino al periodo medio-imperiale. Di rilievo il ritrovamento di alcune strutture murarie e di
una fornace da ceramica riferibili all’epoca ellenistica. L’ultima fase dell’occupazione del sito
sembra essere, come dimostrato da alcuni frammenti recuperati negli strati di obliterazione
delle strutture, di periodo tardo-antico.
L’area poi sarà rioccupata in seguito con l’edificazione della chiesa di Santa Maria.
Carraia
Saggio 13
sezioni fornaci
Interpretazione
Periodo classico: area abitativa e produttiva in età etrusca arcaica ed ellenistica; frequentazione dal periodo romano imperiale fino al tardo-antico.
Responsabile
SBAT (impresa esecutrice SACI).
Anno di scavo
2007.
Bibliografia
Baldini 2007-2008, pp. 269-272; Tuci 2008, pp. 149-152.
132
Fornace Est - sezione a - a'
Carraia
Saggio 13 - fornace Ovest
US 3/4/12
Fornace Ovest - sezione b - b'
Carraia
Saggio 13
133
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Carraia
Saggio 13 - fornace Est
US 13/16/18
Ceramica da fuoco e/o da dispensa.
2132. Porzione di coperchio di
impasto grezzo.
L 3; l 6,6; S 0,7.
L presa 11; L orlo 2,74; l presa 1,4; l
orlo 11,5; S presa 0,9; S orlo 1,2.
Orlo estroflesso, a sezione ovale, arrotondato ed assottigliato, distinto dalla
parete e leggermente rivolto verso il basso; parete rastremata verso il basso, con
traccia di carenatura poco sotto l'orlo.
Impasto tipo CSE 1.
Stato di conservazione: superficie esterna
leggermente abrasa, fratture arrotondate.
Se per il tipo d’impasto la coppetta
sembra riferibile all’età arcaica, la forma
sembra piuttosto avvicinabile alla serie
1550 della classificazione Morel delle
ceramiche a vernice nera (Morel 1981,
pp. 123 ss., tav. 23), della quale è stato
rinvenuto un esemplare ad Artimino
(Alderighi 1987, p. 111, n. 102, fig.
83): la sua datazione si pone tra la fine del IV e gli inizi del III secolo a.C.
Tale tipologia è diffusa nell’area della
Toscana settentrionale soprattutto in
ceramica grigia: frammenti ad essa riconducibili sono stati trovati a Bagno a
Ripoli (Boldrini 1988, pp. 41, 45, n.
71), Fiesole (Boldrini 1990, p. 125, tav.
7.2), Artimino (Giachi 2006, pp. 146,
153, nn. 8-9) e Scandicci (Turchetti
2003, p. 50).
III-II secolo a.C.
Orlo indistinto all’esterno e distinto
all’interno, con bordo arrotondato ed
ingrossato; corpo troncoconico a pareti tese, fortemente rastremate verso
il basso, a profilo bombato; superficie
superiore del coperchio leggermente
schiacciata; ansa-maniglia orizzontale a
bastoncello leggermente compresso.
Impasto tipo IGE 3.
Stato di conservazione: due frammenti ricomponibili pertinenti alla presa e
cinque ricomponibili pertinenti all'orlo; superficie esterna leggermente abrasa, fratture piuttosto vive.
Il coperchio in esame è agevolmente
riconducibile al tipo San Rocchino.
Tale tipologia, che deve il suo nome ad
un sito etrusco in provincia di Lucca
(Fornaciari, Mencarini 1970, p.
155, fig. 16), è diffusa in tutta l’Etruria
settentrionale ed anche nell’Etruria padana in un periodo compreso tra il VI
secolo a.C. e gli inizi del secolo successivo: le attestazioni più meridionali sono
riferibili a Murlo (Bouloumié 1978,
p. 127, n. 1181, tav. IV; Nielsen,
Phillips 1985, p. 147, 3 655 – L.R.
Lacy), mentre quelle più settentriona-
134
li sembrano riferibili a San Claudio di
Reggio Emilia (Malnati, Losi 1990, p.
95, tav. XXXI.4). Orli che potrebbero
forse essere ricondotti a questo tipo di
coperchi, ma che in passato sono stati
interpretati come pertinenti a coppette
a corpo basso, sono stati trovati sia ad
Artimino (Giachi 1987, pp. 149 ss., tipo V) che a Marzabotto (Bouloumié
1976, p. 111, tav. III, 413114, tipo b2).
VI-inizi del V secolo a.C.
Ceramica da fuoco.
2133. Frammenti di orlo e parete di
grande olla di impasto grezzo.
L 7; l 19,9; S 2,6. Frammento maggiore di parete: L 10,2; l 21; S 1,8.
Orlo rientrante ad estroflesso, superiormente appiattito ed esternamente
espanso e arrotondato, a profilo continuo; parete rastremata verso l’alto con
cordonatura orizzontale.
Impasto tipo IGE 5.
Stato di conservazione: due frammenti, ricomponibili, pertinenti all'orlo e tre frammenti non contigui pertinenti alla parete;
superficie esterna abrasa, fratture vive.
I frammenti sono da ricondurre ad una
tipologia di grandi contenitori di impasto grezzo a orlo rientrante e parete
cordonata rastremata verso l’alto, piuttosto diffusa nell’Etruria padana; esemplari avvicinabili a questo sono attestati a
Marzabotto (Massa-Pairault 1997, pp.
185, 208, pl. VIII 6.a-b, tipo 1) e San
Claudio di Reggio Emilia (Malnati,
Losi 1990, p. 92, tav. XXIII.7); più
lontano sembra l’esemplare da Casale
di Rivalta (Macellari, Squadrini,
Bentini 1990, p. 178, tav. XLIII.4).
Forse pertinente ad un grande contenitore di questo tipo è un frammento proveniente da Artimino (Lenzi 2006, pp.
128-129, n. 20).
Ceramica da fuoco.
2134. Porzione di vaso
internamente partito (fornello?) di
impasto grezzo.
L 8,3; l 16,3; S 1,4.
Orlo indistinto e superiormente appiattito; basso corpo a profilo convesso;
parte interna divisa in tre lobi leggermente affossati di forma sub-circolare,
separati da costolature1 in leggero rilievo; fondo esterno non lavorato; presente sul fondo la piccola parte di un piede
o di un attacco, fortemente inclinato
verso l’esterno.
Impasto tipo IGE 1.
Stato di conservazione: ricomposto da
tre frammenti e conservato per oltre
metà; quasi del tutto perduto il piede;
superficie esterna leggermente abrasa,
fratture vive.
L’oggetto in esame trova scarsi confronti nella precedente letteratura archeologica: un vaso con avvallamenti interni
di forma circolare realizzato in ceramica attica a vernice nera, conservato
nella Collezione Archeologica di San
Martino delle Scale a Palermo, è stato
interpretato come un kernos. Secondo
la curatrice del catalogo esso sarebbe
l’esemplare di una forma vascolare realizzata dai ceramisti ateniesi esclusivamente per il mercato punico (Equizzi
2006, p. 477, n. 258 tavv. LXV e C).
135
È tuttavia necessario specificare che
il vaso di Palermo è molto lontano da
quello in esame per quel che riguarda il
materiale e la cronologia (età ellenistica). Confronti più convincenti possono
instaurarsi con frammenti provenienti
dal vicino abitato etrusco di Gonfienti,
caratterizzati dalla forma circolare e dalla presenza di piccoli avvallamenti sulla
parte interna del fondo. Gli esemplari
di Gonfienti si distinguono dal nostro
perché (tranne forse che in un caso)
sembrano privi del piede. Il dato più
interessante è costituito dalla presenza
di tracce di carbone sulla superficie interna, che rivela come in questa parte
dell’oggetto avvenisse una combustione. Si potrebbe ipotizzare che si tratti di
un vaso rituale atto a bruciare sostanze aromatiche tenute separate ciascuna
nel proprio alloggiamento. Non si può
neppure escludere che si tratti di un
piccolo fornello atto a cuocere cibi malleabili (focaccine?) o uova. Va però sottolineato come i fornelli con orlo superiormente appiattito siano attestati per
lo più nell’età del Bronzo (Scheffer
1981, p. 32, fig. 4).
VI secolo a.C.
1 È probabile che le partizioni interne dell’oggetto nella sua interezza fossero per lo meno quattro, ma più probabilmente sei.
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Ceramica da mensa.
2131. Frammento di orlo di
coppetta di impasto semidepurato.
Instrumentum domesticum.
2136. Frammento di orlo di bacile
(pelvis) di impasto grezzo.
orlo rinvenuto nel corso di ricerche di
superficie ad Artimino (Lenzi 2006, p.
122, n. 1, fig. p. 120).
Ceramica da mensa.
2137. Frammento di ansa di olpe di
ceramica grigia.
Ceramica da mensa.
2138. Frammento di orlo di ciotola
di ceramica grigia.
L 7,6; l 11; S 0,8.
L 11,4; l 24,5; S 2,6.
L 47,5; l 3,1; S 1,8.
L 3,8; l 5,9; S 0,9.
Orlo fortemente estroflesso con bordo
ingrossato e arrotondato, leggermente
inclinato verso il basso; parete a profilo
bombato, rastremata verso il basso.
Spesso orlo distinto di bacile, a sezione
trapezoidale, con spessore più ampio
nella parte inferiore che nella parte superiore; superficie schiacciata su tutti
e quattro i lati; conservato l’avvio della vasca, a profilo convesso, rastremata
molto nettamente verso il basso.
VI secolo a.C. o inizi del secolo successivo.
Frammento di ansa verticale a bastoncello leggermente compressa.
Orlo ingrossato a profilo ovale, esternamente appiattito, inclinato verso il basso
e distinto internamente dalla parete da
un accenno di carenatura; parete a profilo leggermente bombato, rastremata
verso il basso.
Impasto molto tenero e di colore grigioverdastro sia all’esterno che nell’anima,
con numerosi inclusi bianchi subcircolari di medie dimensioni.
Stato di conservazione: superficie esterna abrasa, con (numerosi) vacuoli; fratture vive.
Il frammento sembra avvicinabile al tipo IV delle olle in ceramica grezza della
Paggeria medicea di Artimino (Giachi
1987, p. 156, n. 244, fig. 110); forme simili si trovano anche negli impasti grezzi
di Murlo (Bouloumié Marique 1978, p.
94, n. 391, tav. XVIII). Il nostro esemplare può essere avvicinato per la forma
anche a tipi presenti nella classe di ceramiche d’impasto con inclusi bianchi diffusi tra Montalbano (Artimino: Lenzi
2006, pp. 107 ss.) e Valdelsa (Poggio
Carlotta: Alderighi 1994, pp. 64 ss., tav.
XI) tra VI e IV secolo a.C.
Nel nostro caso, anche in ragione del
contesto di rinvenimento, la datazione
non dovrebbe scendere oltre i primi anni del V secolo a.C.
Impasto tipo IGE 4.
Stato di conservazione: superficie esterna leggermente abrasa; fratture vive.
Riferibile all’età arcaica per il tipo di
impasto, il frammento in esame sembra
essere pertinente, per l'inclinazione della parete, a un bacile. Il notevolissimo
spessore e la forma trapezoidale rendono difficili confronti del tutto convincenti. Esso può essere avvicinato al tipo
C della classificazione di Bouloumié
dei bacili d’impasto di Marzabotto
(Bouloumié 1976, p. 123, nn. 41312 e
41313), che però presenta la gola meno
marcata e, con qualche difficoltà in più,
al tipo L2 della classificazione GoriPierini per i bacini di Gravisca (Gori,
Pierini 2001, pp. 54-55 tav. 13,135)
ed, al tipo 5 della classificazione dei bacini di Caere (Nardi 1993, p. 374). In
ambito locale un confronto interessante
può essere fatto con un frammento di
136
Impasto avvicinabile al tipo Fisti 3 (duro e compatto con frattura netta e liscia;
rarissimi inclusi bianchi e distribuiti uniformemente).
Stato di conservazione: superficie esterna abrasa, fratture leggermente arrotondate.
L’ansa in esame è riconducibile al tipo
II della classificazione Fisti per le olpai
in ceramica grigia rinvenute nell’area
presso il tempio ellenistico di Fiesole
(Fisti 1993, pp. 43 ss., tav. III), datato
tra il III ed il II secolo a.C. Se questo
tipo non sembra diffuso nel territorio
fiesolano, un’ansa non dissimile a questa è stata rinvenuta nel sito versiliese di
Bora dei Frati (Storti 1990, p. 211, n.
97, fig. 116), sebbene in un contesto
leggermente più antico rispetto a quello
di Fiesole (IV-III secolo a.C.).
Età ellenistica.
Impasto avvicinabile al tipo Fisti 3
(duro e compatto con frattura netta e
liscia; rarissimi inclusi bianchi).
Stato di conservazione: superficie esterna abrasa, con tracce di vacuoli; fratture
leggermente arrotondate.
La ciotola è riconducibile al tipo VI
della classificazione Fisti delle ciotole
in ceramica grigia rinvenute nell’area
del tempio ellenistico a Fiesole, ed in
particolare alla variante B (parete con
leggera carenatura subito sotto l’orlo),
datata tra la seconda metà del III e la
fine del II secolo a.C. (Fisti 1993, pp.
20-21, tav. I). Esemplari di questo tipo
sono stati trovati anche nello scavo di
via Marini, sempre a Fiesole (Boldrini
1990, p. 125, n. 3, tav. VII) e a Bagno
a Ripoli (Boldrini 1988 pp. 41, 45,
nn. 73-75, classificati come baciletti),
in contesti che arrivano anche all’inizio
del I secolo a.C.
[D.T.]
137
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Ceramica da fuoco.
2135. Frammento di orlo di olla di
impasto grezzo.
24 – Areale XXI
Scheda
25 – Areale XXII
Localizzazione
Leccio, Casone (CCS).
Localizzazione
Leccio, Pratale (LEP).
Contesto di ritrovamento
Strutture in elevato.
Contesto di ritrovamento
Oliveto, strutture in elevato.
Contesto attuale Strutture in elevato.
Contesto attuale Oliveto, strutture in elevato tra oliveti.
Descrizione Si tratta di un complesso colonico, posto lungo la strada antica per San Martino di Leccio,
Vignale, Ripa e Volmiano, formato da due edifici, uno dei quali di chiara origine medievale.
L’edificio principale presenta residui del paramento originale in conci e bozzette di alberese e,
subito nei pressi, si conserva anche il muro di retta della strada sopra citata, particolarmente
ben curato e con evidenti buche pontaie, che potrebbe risalire al Medioevo o all’età moderna.
Descrizione Materiali
Non sono stati rinvenuti reperti mobili.
Il sito si presenta con una serie di terrazzamenti, situati alle pendici del Monte Morello e coltivati ad olivi e a maggese, a cui si accede dalla strada, ancora parzialmente lastricata, che da
Leccio porta a San Martino Vecchio e da lì prosegue per Pratale, Vignale, Ripa e Volmiano.
Sotto uno degli ultimi terrazzamenti, una colonica in restauro presenta ancora piccole porzioni di muratura in conci e bozzette, attribuibili al XIV secolo. I materiali sono stati raccolti
dal GAF nel 1979, a seguito degli scassi praticati per la piantumazione dell’oliveta realizzata
su un pianoro.
Grado affidabilità
-/-/4
Materiali
Cronologia Periodo post-classico: le strutture murarie del Casone sono inquadrabili interamente tra il
XIV e il XVII secolo.
Interpretazione
Periodo post-classico: casa da signore con funzioni anche di controllo della viabilità di mezza
costa, successivamente trasformata in casa colonica. Si tratta di uno dei siti che compongono
l’area omogenea della valletta di Leccio, area di strada, controllata dalla famiglia comitale dei
Guidi come itinerario verso il Mugello.
I materiali post-classici raccolti comprendono 13 frr. di piccole olle in acroma grezza, dalle
pareti molto sottili, con tracce di fuoco e una placchetta di bronzo di difficile attribuzione.
Periodo classico: periodo romano: 1 fr. ceramico; periodo tardo-antico: 229 frr. ceramici, per
la maggior parte anforacei e ceramica da mensa.
Periodo post-classico: 13 frr. ceramici, 1 fr. metallico.
Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0004.
Bibliografia
Bellometti 2003-2004, pp. 122-166, 170-179, 183-185; Torsellini 2007-2008, pp. 4650, 65-83.
Cronologia Periodo classico: occupazione in periodo tardo-antico, preceduta da una frequentazione in
periodo romano.
Periodo post-classico: XI-XIV secolo; la muratura riscontrabile sulla colonica può essere attribuita ai secoli centrali del Medioevo.
Grado affidabilità
-/2/3
Interpretazione
Periodo classico: non vi sono dati precisi per delineare il tipo di insediamento, ma è ragionevole supporre l’esistenza di una fattoria, secondo il tipico esito insediativo di età romana.
Periodo post-classico: forse insediamento sparso altomedievale, poi colonica. I materiali analizzati confermerebbero sia l’ipotesi della presenza di un insediamento sparso, a carattere agricolo, sia l’orizzonte cronologico compreso nei secoli del Medioevo, mentre la colonica segnalerebbe la sopravvivenza dell’insediamento anche in età moderna.
Fonti di archivio
Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 6, 1971-1980, Calenzano, prot. 6531 del 26 novembre 1979;
pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano, prot. 22599 del 2004 (si veda Scheda 12 nota 1).
Bibliografia
Carta Archeologica 1995, p. 91; Bellometti 2003-2004, pp. 43-49, 122-151; Baldini 20072008, pp. 261-264; Torsellini 2007-2008, pp. 27-38, 46-64.
1
138
La segnalazione bibliografica, relativa ad un «recupero di emergenza» del 1979, parla di area di frammenti medievali.
139
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda
Ceramica acroma grezza.
3128. Due frammenti di bordo di
olla.
L 6,5; l 5; S 0,5; diam. bordo ricostruito 18.
L 6; l 5; S 0,7; diam. bordo ricostruito
19.
Bordo estroflesso con orlo arrotondato
e gola esterna.
Bordo estroflesso e distinto con orlo arrotondato e gola esterna.
Impasto duro, compatto ma ricco d’inclusi di calcite (<3 mm) e micacei (<3
mm) e di colore grigio, molto annerito
dal fuoco, fino ad arrivare ad assumere
il colore nero.
Impasto di colore nero, probabilmente dovuto – almeno in parte – all’uso,
duro, compatto, con numerosi inclusi
micacei (<3 mm) e, in misura minore,
di calcite (<3 mm).
Cfr. Uffizi 2007, pp. 325, 382, fr.
20.6.14. Per la classe si vedano Palazzo
Pretorio 1978; Uffizi 2007. Cfr. Uffizi 2007, pp. 326, 382, fr.
20.6.25. Per la classe si vedano Palazzo
Pretorio 1978; Uffizi 2007. XIII secolo.
XIII secolo.
Ceramica acroma grezza.
3129.Frammento di bordo di olla.
Ceramica acroma grezza.
3130. Frammento di bordo di olla.
Ceramica acroma grezza.
Frammento di bordo di catino.
Metallo.
3132. Placchetta di bronzo.
L 7,7; l 4; S 0,7; diam. bordo ricostruito 22,4.
L 4,5; l 3,2; S 0,7; diam. bordo ricostruito 14,4.
L 10; l 7,5; S orlo 1,5; S parete 1; diam.
bordo ricostruito 21,6.
L 3; l 2; S 0,3.
Bordo estroflesso con orlo leggermente
sagomato e assottigliato e gola esterna.
Bordo estroflesso, leggermente arrotondato e assottigliato; gola esterna. Sul
bordo interno, leggera scanalatura parallela all’orlo.
Bordo di una forma aperta, probabilmente un catino con una piccola ansa.
Bordo leggermente defluente, a sezione
rettangolare; profonda gola esterna a separare l’orlo da una fascia leggermente
in rilievo, decorata da profonde incisioni eseguite a crudo.
Impasto rosso scuro, duro, compatto,
con numerosi inclusi, molto piccoli, di
calcite e micacei.
Cfr. Uffizi 2007, pp. 325, 382, fr.
20.6.23. Per la classe si vedano Palazzo
Pretorio 1978; Uffizi 2007. XIII secolo.
Impasto di colore arancio, duro, compatto, ricco di millimetrici inclusi di
calcite e micacei.
Cfr. Uffizi 2007, pp. 325, 382, fr.
20.6.20, per la forma dell’orlo. Per la
classe si vedano Palazzo Pretorio 1978;
Uffizi 2007. XIII secolo.
Impasto duro, compatto, ricco di millimetrici inclusi di calcite, mica e digrassante.
Cfr. Palazzo Pretorio 1978, pp. 193,194,
fr. 1029. Per la classe si vedano Palazzo
Pretorio 1978; Uffizi 2007. XVI secolo.
140
141
Placchetta, forse da cintura, piatta con
un punzone ad un’estremità e un piccolo gancio all’estremità opposta. Sul
lato superiore, decorazione non leggibile.
Cfr. Citter 2002, pp. 115-167.
[L.T.]
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Ceramica acroma grezza.
3127. Due frammenti di bordo di
olla.
26 – Areale XXII
Localizzazione
Leccio, Vignale (LER).
Contesto di ritrovamento
Strutture in elevato, oliveto.
Contesto attuale Strutture in elevato, oliveto.
Descrizione Il sito, lungo la strada che da San Martino Vecchio sale a Ripa per scollinare verso Volmiano,
si presenta come un declivio marcato, coltivato ad olivi su terrazzamenti e percorso da una
strada sterrata che conduce oltre il crinale, verso Nord, e attraversa anche l’aia di una colonica. Il nucleo più antico di questo complesso è costituito da una casa da signore in conci di
alberese e sporadica arenaria, sbozzati a squadro, che presenta ancora un portalino sul lato
meridionale e porzioni della risega originaria. Alla torre più antica si appoggiano annessi più
recenti, parzialmente intonacati. I frammenti ceramici pertinenti al sito sono stati rinvenuti
durante le ricognizioni del GAF.
Materiali La ceramica consiste per lo più in frammenti di ciotole e piatti di ingubbiata e graffita, due
frammenti di contenitori cilindrici nello stesso materiale (forse albarelli) e pochi frammenti
di forme aperte in maiolica arcaica. Attestata anche la maiolica di Montelupo.
Periodo post-classico: 18 frr. ceramici.
Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0002.
Grado affidabilità
-/-/5
Cronologia Periodo post-classico: XII-XVII secolo.
Interpretazione
Periodo post-classico: in generale il sito sembra configurarsi come una casa da signore del
XIII secolo, evolutasi successivamente in una colonica al centro di un podere, come accade
spesso in tutto il territorio di Calenzano, in particolar modo nella valle di Legri.
Bibliografia
Bellometti 2003-2004, pp. 43-49, 122-151; Torsellini 2007-2008, pp. 27-38, 46-48.
Maiolica arcaica.
3087. Frammento di bordo con tesa
di ciotola.
Maiolica arcaica.
3088. Frammento di bordo di
rinfrescatoio.
L 3,2; l 2; S 0,6.
S tesa 1; S parete 0,9; diam. bordo ricostruito 33.
L 4,1; l 2; S 1,1.
Bordo con tesa leggermente confluente e orlo arrotondato. Tracce di una
decorazione non riconoscibile con
campiture verde ramina e linee bruno
manganese (probabilmente una treccia
in verde ramina, tra linee orizzontali in
bruno manganese).
Parete con decorazione costituita da linee graffite a punta, spesso sovradipinte
in nero e marrone, e da pennellate di
verde ramina e giallo. All’esterno, tracce di una decorazione con una serie
continua di archetti. Sulla parete interna, segni lasciati dei divaricatori.
Impasto rosa chiaro, con minuscoli
frammenti di calcite e digrassante (0,2
mm). Smalto rosato, un poco diluito
ma uniforme, conservato in gran parte
nell’interno e nella faccia superiore della tesa, ma con tracce anche sulle superfici esterne.
Impasto arancio, depurato, con sporadici, piccoli vacuoli (1,6 mm).
Ingobbio piuttosto spesso (0,9 mm) e
di colore bianco giallastro.
Bordo con tesa decorato da righe bruno manganese non molto regolari. Il
frammento è in pessime condizioni di
conservazione, probabilmente fluitato.
Impasto depurato, di colore rosa chiaro.
Per la classe si vedano Palazzo Pretorio
1978; Uffizi 2007.
Inizi del XIV secolo.
Cfr. Palazzo dei Vescovi II 1985, tav. X,
fr. 2555. Per la classe si vedano Palazzo
Pretorio 1978; Uffizi 2007.
XIV secolo.
Ceramica ingubbiata e graffita
policroma a punta.
3089. Frammento di parete di
ciotola.
Il frammento è forse pertinente a una
ciotola a listello. Cfr. Scheda 37 – 3053;
Uffizi 2007, pp. 488, 498, frr. 31.1. Per
la forma “ciotola da impagliata” si veda
Berti 1997, II, forma I.D.4, 75. Per la
classe si vedano Palazzo Pretorio 1978;
Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei
Vescovi II 1987; Berti 1997, II; Uffizi
2007; Wentkoswska 2007.
Fine del XVI secolo.
142
143
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda L 7,9; l 6; S 0,9-1,1.
Parete con decorazione a pennellate semicircolari in verde ramina e giallo e righe di bruno manganese, pertinente al
tipo “a spirali verdi”.
Impasto bianco chiaro, depurato.
Cfr. Scheda 81 – 3070; Scheda 85 –
3073; Berti 1997, II, p. 399, n. 366.
Per la classe si vedano Palazzo dei
Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II
1987.
XVIII secolo.
Maiolica di Montelupo.
3091. Frammento di fondo di piatto.
L 5,2; l 5,6; S fondo 1,1; S parete 0,7;
diam. fondo ricostruito 13.
Fondo e attacco di parete con decorazione, non ricostruibile a causa delle
piccole dimensioni del frammento,
comprendente un motivo centrale in
azzurro su bianco, all’interno di una
fascia circolare in azzurro e arancio metallico; pareti probabilmente decorate in pennellate azzurre e righe bruno
manganese sempre su fondo bianco.
Forse lungo l’anello decorativo del fondo possono leggersi delle lettere (L). Sul
fondo, tracce del distacco a cordicella.
27 – Areale XXI
Localizzazione
Leccio, casa torre (CLT).
Contesto di ritrovamento
Strutture in elevato.
Contesto attuale Strutture in elevato.
Descrizione La casa da signore, della tipologia della casa-forte, sorge nel fondo della valletta di Leccio,
poco più in alto di una serie di risorgive. Si tratta di un complesso architettonico molto articolato, che in pianta ha una forma a “L”, per potersi estendere su due curve di livello. Le
murature sono ben conservate, nonostante il restauro, e le aperture sono ancora perfettamente conservate, come l’articolazione interna dei volumi. Da una lettura critica delle novelle
del Sacchetti è stato possibile avanzare l’ipotesi che si tratti della casa di messer Dolcibene a
Calenzano, mentre è da smentire la coincidenza con il sito del castello di Leccio, che ospitava
la guarnigione fiorentina alla metà del XIII secolo. Non ci sono infatti strutture con funzione
militare e attribuibili ad un periodo anteriore alla fine del XIII secolo (quest’ultimo sito è
forse da identificare nel poggio che sovrasta la casa da signore – Scheda 28).
Materiali
All’esterno il terreno è tenuto a giardino ed è stato pesantemente alterato, per cui non è facile
reperire materiali mobili. Ciò nonostante si conservano numerosissimi frammenti di ceramica, per lo più maiolica arcaica, di Montelupo e ingubbiata e graffita.
Grado affidabilità
-/-/5
Cronologia Periodo post-classico: la costruzione dell’edificio è attribuibile al XIV secolo, ma si tratta di
un edificio ad evidente continuità di vita, almeno fino al XVIII secolo.
Interpretazione
Periodo post-classico: l’edificio è identificabile con una casa-forte del XIV secolo, poi trasformata in casa di abitazione e recentemente restaurata. Si tratta di uno dei siti che compongono
l’area omogenea della valletta di Leccio, area di strada, controllata dalla famiglia comitale dei
Guidi come itinerario verso il Mugello. Le strutture in questione sono comunque attribuibili
ai secoli in cui tutta l’area era ormai stabilmente sotto il controllo fiorentino e destinata prevalentemente ad uso agricolo.
Fonti Cartografiche
Piante di Popoli e Strade, c. 441 (S.to Martino a Leccio).
Bibliografia
Lamberini 1987, I, pp. 153-155; Bellometti 2003-2004, pp. 43-48, 173-190; Torsellini
2007-2008, pp. 174-185, R 195-206.
Ceramica ingubbiata e graffita
policroma a punta.
3092. Frammento di parete di
“scodellone”.
L 7,2; l 4,8; S 0,5.
Parete con distinzione tra parete e cavetto decorata da sottili linee graffite a
punta oblique a “S” sovradipinte con
larghe pennellate in verde scuro. Tracce
del distacco dei divaricatori “a zampa di
gallo” sul confine tra parete e cavetto.
Impasto duro, depurato, rosa chiaro.
Ingobbio bianco, coprente, uniforme,
solo interno. Vetrina giallo chiaro, sottile, non uniforme, solo interna.
Impasto depurato, con sporadici piccoli
vacuoli (0,3 mm ca.), granuli di calcite e
di altro digrassante (0,2-0,3 mm) e piccole schegge di laterizi (0,4 mm). Smalto
bianco, coprente e uniforme, presente su
tutto l’esterno, compreso il fondo.
Cfr. Scheda 6 – 3068. Per la classe si
vedano Palazzo Pretorio 1978; Palazzo
dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi
II 1987; Berti 1997, II; Uffizi 2007;
Wentkoswska 2007.
Per la classe si vedano Palazzo dei Vescovi
II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987.
[L.T.]
Fine del XVI-XVII secolo.
XVI-XVII secolo.
3091
3088
144
145
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Maiolica di Montelupo.
3090. Frammento di parete di
piatto.
Scheda 28 – Areale XXI
Scheda 29 – Areale XXIII
Localizzazione
Leccio, Castellare (CLG).
Localizzazione
Case Palaia.
Contesto di ritrovamento
Campo arato, vigneto, oliveto.
Contesto di ritrovamento
Strutture in elevato.
Contesto attuale Campo arato, vigneto, oliveto.
Contesto attuale Strutture in elevato.
Descrizione Il sito si trova sulla sommità di uno sperone roccioso in travertino, sopra le risorgive del fosso
di Rimaggio nella valle di Leccio, dove attualmente, in un oliveto, si trovano i resti di una
doppia cinta muraria con la soglia di una porta. La sommità del colle è inoltre costellata di
avvallamenti che fanno pensare a crolli di ambienti interrati. Le risorgive sottostanti hanno
nel tempo eroso la collina, che è parzialmente franata scoprendo una serie di cisterne, utilizzate in tempi recenti come magazzino. Il sito, viste le sue caratteristiche orografiche, ben difendibili, potrebbe essere identificato con quello del castello di Leccio, sede della guarnigione
fiorentina all’epoca di Montaperti.
Descrizione Casa colonica situata immediatamente sotto la strada che porta da Leccio a San Martino
Vecchio, a poche decine di metri prima della chiesa omonima. All’interno delle strutture
della casa colonica si conservano ampi lacerti di muratura in conci e bozzette di alberese che
testimoniano la presenza di un’antica casa da signore, in origine forse una torre di sorveglianza della viabilità.
Materiali
Non sono stati rinvenuti reperti mobili.
Materiali
Molti materiali affiorano dalle radici degli olivi, ma non è stato possibile raccoglierli né esaminarli trattandosi di area privata recintata.
Grado affidabilità
-/-/4
Cronologia Periodo post-classico: XII-XVII secolo.
Grado affidabilità
-/-/4
Interpretazione
Cronologia Periodo post-classico: XIII-XIV secolo.
Periodo post-classico: torre di controllo della viabilità che attraversava la valle di Legri verso
San Giovanni in Petroio e il Mugello, poi trasformata in casa da signore, al centro di una
proprietà poderale. Attualmente è una casa di abitazione.
Interpretazione
Periodo post-classico: sito fortificato, forse sede della guarnigione fiorentina intorno alla metà del XIII secolo, attualmente a forte rischio di distruzione a causa dei frequenti lavori edilizi
e agricoli da parte del proprietario.
Fonti Cartografiche
Piante di Popoli e Strade, c. 441 (S.to Martino a Leccio).
Bibliografia
Bellometti 2003-2004, pp. 170-179, 181-182; Torsellini 2007-2008, pp. 62-77.
Fonti Cartografiche
Non reperite.
Bibliografia
Lamberini 1987, I, pp. 153-155; Bellometti 2003-2004, pp. 43-48, 173-190; Torsellini
2007-2008, pp. 174-185, R 195-206.
146
147
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda 30 – Areale XXIII
Scheda 31 – Areale XXIV
Localizzazione San Martino Vecchio o San Martino a Leccio (CSM).
Localizzazione
Leccio, Palaia (LE PAL).
Contesto di ritrovamento
Strutture in elevato.
Contesto di ritrovamento
Oliveto.
Contesto attuale Strutture in elevato.
Contesto attuale Oliveto.
Descrizione Resti della chiesa di San Martino a Leccio e dei suoi annessi, attualmente inseriti all’interno
di un complesso colonico. Il sito si trova lungo la via che porta da Leccio a Vignale, Ripa e
Volmiano, nei pressi dell’attraversamento di un ruscello, subito sotto il livello della strada. La
chiesa, di cui si hanno notizie a partire dal XIII secolo, si conserva quasi per intero, a parte
il tetto, ma è attualmente adibita a pollaio del complesso colonico. Proprio sulla curva, vi è
un edificio di forma quadrata che lascia intravedere sotto l’intonaco porzioni di paramenti
murari probabilmente medievali e una risega in alberese; si tratta probabilmente di una torre,
posta a controllo della strada. Non ci sono reperti provenienti da questo sito, ma da quelli
immediatamente adiacenti (Schede 25, Leccio Pratale, e 26, Leccio Vignale).
Descrizione L’area è posizionata nella piccola sella fra le colline di Leccio e Pratale, alle pendici di Monte
Morello. La raccolta dei materiali da parte del GAF è stata effettuata durante i lavori di manutenzione dell’oliveto, con una parziale lavorazione del terreno.
Materiali
Periodo classico: 19 frr. ceramici (ceramica d’impasto e ceramica depurata, un frammento di
sigillata italica), 1 osso animale.
Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0005.
Grado affidabilità
-/2/-
Grado affidabilità
-/-/5
Cronologia Periodo classico: periodo romano imperiale.
Cronologia
Periodo post-classico: le strutture murarie superstiti presentano tipologie murarie e costruttive attribuibili ai secoli compresi tra il XIII e il XVIII secolo.
Interpretazione
Interpretazione
Periodo post-classico: piccola struttura insediativa fortificata, pertinente probabilmente alla
chiesa, lungo la strada Leccio-Legri-Mugello. Si tratta di uno dei siti che compongono l’area
omogenea della valletta di Leccio, area di strada controllata dalla famiglia comitale dei Guidi
come itinerario verso il Mugello e successivamente trasformata in colonica.
Periodo classico: l’esiguità dei materiali non consente di precisare il tipo di utilizzazione
dell’area, ma si può ipotizzare che si tratti di una piccola fattoria situata lungo la direttrice
della Flaminia minor.
Fonti di archivio
Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano, prot. 22599 del 2004 (si veda
Scheda 12, nota 1).
Fonti cartografiche
Piante di Popoli e Strade, c. 441 (S.to Martino a Leccio).
Bibliografia
Baldini 2007-2008, pp. 260-261.
Bibliografia
Lamberini 1987, I, 122-124; Bellometti 2003-2004, pp. 43-49, 122-151; Torsellini
2007-2008, pp. 46-50, 65-66.
148
149
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda
32 – Areale XXV
Scheda
33 – Areale XXVI
Localizzazione
Leccio, San Romolo (CLR).
Localizzazione
Travalle, Podere Castellaccio (TR II).
Contesto di ritrovamento
Strutture in elevato.
Contesto di ritrovamento
Campo arato, scavo archeologico.
Contesto attuale Strutture in elevato.
Contesto attuale Campo arato.
Descrizione La chiesa di San Romolo è costruita su una selletta che domina la valle di Leccio dal versante
Sud. La chiesa è totalmente rimaneggiata ed è attualmente una casa di abitazione, ma gli
annessi lasciano scorgere, sotto l’intonaco cadente, porzioni abbastanza integre di murature
medievali.
Descrizione Materiali
Non sono stati rinvenuti reperti mobili.
Campo arato e tenuto parzialmente a vigneto e oliveto, che digrada dolcemente verso il fondovalle. Nella parte più alta, un piccolo rilievo al centro dell’area, si trova la grande colonica
di età moderna, con aia lastricata e due torrette per le piccionaie. Il podere è attraversato
longitudinalmente da due fossatelli di scolo delle acque piovane. L’area fu interessata da saggi
di scavo operati nel 1966 dalla SBAT, sotto la direzione di Francesco Nicosia, dai quali provengono materiali di epoca classica; è stata inoltre oggetto di raccolte effettuate dal GAF.
Grado affidabilità
-/-/4
Cronologia Periodo post-classico: le fonti attestano la presenza della chiesa tra il XIII e il XVII secolo.
Materiali
Periodo classico: 71 frr. ceramici.
Periodo post-classico: 51 frr. ceramici.
Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0003.
Interpretazione
Periodo post-classico: chiesa parrocchiale attestata dal XIII secolo, successivamente trasformata in casa colonica e di abitazione.
Grado affidabilità
-/4/1
Fonti Cartografiche
Piante di Popoli e Strade, c. 440 (S.to Romolo a Leccio).
Cronologia Periodo classico: età tardo ellenistica-periodo romano imperiale.
Periodo post-classico: XII-XVI secolo.
Bibliografia
Lamberini 1987, I, pp. 124-126; Bellometti 2003-2004, pp. 43-49, 122-152; Torsellini
2007-2008, pp. 27-46.
Interpretazione
Periodo classico: nella letteratura archeologica l’area è indicata come un probabile luogo fortificato di periodo ellenistico, ma i reperti visionati sono riferibili al periodo romano. In mancanza del riscontro con i materiali provenienti dai saggi di scavo del 1966 si deve ipotizzare,
solamente sulla base delle notizie bibliografiche, un insediamento di tipo rurale, forse una
fattoria, di periodo tardo ellenistico-romano.
Periodo post-classico: il consistente ritrovamento di ceramica post-classica sembra attestare la
frequentazione dell’area in epoca medievale.
Fonti di archivio Responsabile
Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 7, 1961-1970, Calenzano prot. 1531 del 1966 e prot. 2163;
pos. 9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano1 prot. 25385 del 27 novembre (si veda Scheda 12,
nota 1); pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano, prot. 22599 del 2004 (si veda Scheda 14,
nota 1). Archivio GAF.
SBAT.
Anno di scavo
1966.
Bibliografia
Nieri 1930, p. 346; Nicosia 1967, p. 483; Talocchini 1967, p. 256; Nicosia 1974, p. 12;
Archeologia e territorio 1979, p. 5; Lamberini 1987, I, pp. 149-152; Spaterna 1992, p. 1112;
Carta Archeologica 1995, pp. 10-12; Baldini et alii 2007, pp. 119-120; Baldini 2007-2008,
pp. 237-240; Maggiani 2008, p. 366.
Il sito è menzionato con una posizione geografica diversa da quella indicata dal GAF nel corso dei sopralluoghi.
Nell’indicazione bibliografica si trova s.v. Travalle, Podere Castiglione, con un toponimo diverso da quelli attestati nella
precedente lettura.
1
2
150
151
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda Ceramica acroma grezza.
3125. Frammento di bordo, parete e
fondo di testo.
Ceramica acroma grezza.
3126. Frammento di attacco di
manico di paiolo.
Ceramica acroma depurata.
3036. Frammento di ansa di
anforaceo.
Maiolica arcaica.
3038. Frammento di fondo di
boccale.
L 5; l 2; S fondo 0,9; S parete 0,9;
diam. bordo ricostruito 22.
L 5,5; l 3; S 1,4; diam. bordo ricostruito 21,4.
L 5,5; l 7,8; diam. 2,3.
L 4,4 ; l 7; S 0,8-1,1.
Orlo ingrossato a sezione troncoconica; parete a svasatura accentuata; fondo
piano, appena marcato.
Profilo ricostruito di testo apodo, a
fondo piano e parete appena svasata.
Orlo arrotondato e ingrossato, parete
appena svasata, fondo piano.
Attacco di manico di paiolo con,
sull’esterno dell’ansa, tracce di lisciatura
con paglia.
Ansa a nastro di anforaceo, con bordi
arrotondati e leggermente ingrossati.
L’inclinazione, appena accennata nel
frammento, non è determinabile.
L 4; l 3,3, S fondo 0,4; diam. fondo ricostruito 5.
Impasto arancio, duro, ricco d’inclusi
ovali, micacei e di calcite (<3 mm), con
numerosi piccoli vacuoli allungati (<3
mm).
Cfr. Palazzo Pretorio 1978, pp. 39, fig.
66; 109, fig. 211; Palazzo dei Vescovi
II 1987, pp. 346, 386, fr. 2062; Uffizi
2007, pp. 349, 393, fr. 21.6.1. Per la
classe si vedano Palazzo Pretorio 1978;
Uffizi 2007.
XIV secolo.
Impasto arancio, duro, con numerosi inclusi micacei e di calcite (<3 mm)
e rari vacuoli tondeggianti (<3 mm);
tracce d’inclusi vegetali.
Cfr. Palazzo Pretorio 1978, pp. 39, fig.
66; 109, fig. 211; Palazzo dei Vescovi
II 1987, pp. 343, 384, fr. 2032; Uffizi
2007, pp. 349, 393, fr. 21.6.1. Per la
classe si vedano Palazzo Pretorio 1978;
Uffizi 2007.
XIV secolo.
152
Impasto duro, con molti inclusi micacei e di calcite (3-5 mm) e sporadici vacuoli di piccolissime dimensioni.
Cfr. Palazzo Pretorio 1978, pp. 7172, fr. E26; Uffizi 2007 pp. 349, 393,
fr. 21.6.114. Per la classe si vedano
Palazzo Pretorio 1978; Uffizi 2007.
XIV secolo.
Impasto rosa chiaro con sottile anima
grigia, poroso, depurato, con inclusi
millimetrici (<3 mm) di calcite e digrassante.
Cfr. Amouric, Richez, Vallauri
1999, p. 127, fig. 255. Per la classe si
veda Amouric, Richez, Vallauri
1999.
XII-XIII secolo.
Fondo concavo con piede distinto.
Impasto rosa, duro, depurato con inclusi millimetrici di calcite e chamotte
arancio scuro (<3 mm). Vetrina trasparente, sia interna che esterna, tendente
al marroncino, sottile ma uniforme, fino all’orlo esterno del piede.
Per le caratteristiche dell’impasto il
frammento è stato interpretato come il
fondo di un boccale in maiolica arcaica
di cui non si conserva la parte smaltata.
Per la classe si vedano Palazzo Pretorio
1978; Uffizi 2007.
XIV secolo.
153
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Ceramica acroma grezza.
3124. Frammento di bordo, parete e
fondo di testo.
3126
Maiolica di Montelupo.
3037. Frammento di fondo di piatto.
L 5,6; l 5,9; S 1,2; diam. fondo ricostruito 5,5.
Fondo apodo con decorazione in verde,
giallo e bruno, caratterizzata da linee
concentriche gialle e verdi sul fondo e
tratti sottili in bruno che si sovrappongono alle linee sul fondo e a linee curve
in giallo sempre sulla parete.
Impasto rosa molto chiaro, poroso, depurato. Smalto esterno e interno bianco, sottile ma coprente e compatto.
Il frammento sembra riferibile alla ceramica “a spirali verdi”. Cfr. Berti 1997,
II, p. 399, n. 366; Amouric, Richez,
Vallauri 1999, p. 127, fig. 255; Uffizi
2007, pp. 475, 481, fr. 29.1.12. Per la
classe si vedano Palazzo dei Vescovi II
1985; Palazzo dei Vescovi II 1987.
Ceramica invetriata.
3039. Frammento di fondo di forma
chiusa.
L 6; l 5,4; S fondo 0,5; S parete 0,5;
diam. fondo ricostruito 9,3.
3036
3125
Fondo con piede a disco appena distinto.
Impasto duro, ben depurato, di colore
arancio scuro. Vetrina interna ed esterna trasparente, sottile ma uniforme.
Per la classe si vedano Palazzo Pretorio
1978; Uffizi 2007.
XVI-XVII secolo.
[L.T.]
3037
3038
XVIII secolo.
3039
154
155
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
3124
34 – Areale XXVI
Localizzazione Travalle, Podere Castelluccio.
Contesto di ritrovamento
Scavo archeologico.
Contesto attuale Urbanizzato.
Descrizione Si tratta della sommità pianeggiante di un piccolo poggio, piuttosto ripido, tra la Calvana e
i rilievi che dividono l’area di Travalle da Carraia e dalla Val di Marina. Sul lato meridionale
del poggio si trova una colonica di età moderna, mentre sul resto del pianoro c’erano, al momento delle ricognizioni del GAF, campi incolti; successivamente quest’area è stata indagata
in occasione di lavori di ristrutturazione edilizia legati all’utilizzo dell’area a scopo agrituristico.
Materiali Per il periodo classico sono stati recuperati materiali ceramici sufficienti a dare una connotazione cronologica al sito; per il periodo medievale sono stati individuati frammenti di ceramica acroma, grezza e depurata.
Periodo classico: 254 frr. ceramici.
Periodo post-classico: 19 frr. ceramici, 20 grr. laterizi.
Cfr. schede di precatalogazione (cassetta) GNF-PO 05 0036/37.
Grado affidabilità
-/5/ 4
Cronologia
Periodo classico: i materiali documentano un’occupazione del sito che va dal periodo ellenistico fino all’epoca tardo-repubblicana-primo imperiale (I secolo d.C.), senza soluzione di
continuità.
Periodo post-classico: i materiali hanno una cronologia di riferimento compresa tra il XIII e
il XV secolo.
Interpretazione
Periodo classico e post-classico: i materiali rinvenuti durante i saggi di verifica effettuati hanno mostrato come tutti i materiali precedenti al XVI secolo siano da interpretare come residuali nel riempimento di strutture di terrazzamento dell’area. Tali rinvenimenti sono comunque verosimilmente da attribuire ad una frequentazione della sommità della collina, che,
nel corso dei secoli, è stata spianata e livellata fino a portare allo scoperto la roccia naturale,
motivo per cui eventuali materiali residui si trovano soprattutto alle sue pendici. La totale
assenza di strutture murarie databili al Medioevo e la scarsa consistenza di forme ricostruibili
non consentono ipotesi più approfondite per quanto riguarda l’epoca post-classica, se non la
conferma di un insediamento sparso, fortemente attestato in tutta l’area di Travalle fino dal
Medioevo e proseguito poi per tutta l’età moderna attraverso l’insediamento poderale.
Fonti Cartografiche
Piante di Popoli e Strade, c. 443 (pop. S. Maria a Travalle).
Fonti di archivio
Archivio SACI.
Responsabile
SBAT (impresa esecutrice SACI).
Anno di scavo
Marzo 2003-aprile 2004.
Bibliografia
Filippi et alii 2006, pp. 134-135; Baldini et alii 2007, pp. 118-119; Baldini 2007-2008,
pp. 240-244.
156
Ceramica da mensa.
2105. Frammento di orlo e parete di
piatto di ceramica grigia.
L 5,2; l 6; S parete 0,8; S orlo 1.
Orlo a tesa, con inclinazione poco accentuata e bordo ingrossato e arrotondato, preceduto da una solcatura, separato esternamente mediante una lieve
gola dalla parete a profilo rettilineo,
leggermente concava,
Impasto tipo CGR 1.
Stato di conservazione: superficie originaria completamente perduta, fratture
antiche con margini arrotondati.
Bibliografia: Baldini et alii 2007, p. 119;
Baldini 2007-2008, pp. 241-242, n. 94.
Il frammento, nonostante il pessimo
stato di conservazione, è facilmente collocabile nella produzione di ceramica
grigia sviluppatasi in Etruria settentrionale tra III e I secolo a.C. In particolare
può essere attribuito al tipo I, variante
A dei piattelli della tipologia recentemente proposta dalla Fisti (Fisti 1993,
pp. 28-30, tav. II, inv. 284), nello studio sulla ceramica grigia fiesolana.
Tale classe sembra svilupparsi in ambito valdarnese in diversi centri, tra i
quali Fiesole, Pisa (Terre e paduli 1986,
p. 115) e la zona del medio Valdarno
inferiore (Fisti 1993, p. 57), con la peculiarità di riprodurre le forme tipiche
della vernice nera in ceramica locale per
un mercato interno. Secondo un’altra
ipotesi (Ciampoltrini 1993, p. 103), la
ceramica a pasta grigia avrebbe origine
nel bucchero, vedendone gli antecedenti nella c.d. ceramica ‘nella tradizione
del bucchero’ di periodo tardo-arcaico
e classico. Per una precisa puntualizzazione sullo status quaestionis e per una
registrazione capillare della diffusione e
delle attestazioni della classe nell’ambito dell’Etruria settentrionale e padana si
veda Giachi 2006, pp. 160-165.
Alla vernice nera, nella prima metà
del II secolo a.C., si è aggiunta anche
la “presigillata”, tipico prodotto delle
officine di Volterra e del territorio nel
periodo compreso tra il primo quarto e
la metà del II secolo a.C. (Cristofani,
Cristofani Martelli 1972, p. 510),
riprodotto in ceramica grigia senza rivestimento.
È proprio nell’ambito di tale “innovazione” formale, al momento attestata
solo a Fiesole (Fisti 1993, p. 30) ed in
aree culturalmente affini come Pieve a
Settimo a Scandicci (tipo II, variante
C (?): Turchetti 2003, p. 98 n. 20,
fig. 25,1) o in zone di transito come
a S. Martino ai Colli in Valdelsa (San
Martino ai Colli 1984, p. 86, n. 93 – S.
Goggioli), che andrà collocato il frammento in esame.
Metà del II secolo a.C.
157
[G.B.]
Ceramica da mensa.
2106. Frammento di fondo e piede
di piatto (catinus) di terra sigillata
italica.
L 8,9; l 6; S massimo fondo 1,3; S minimo fondo 0,7; S piede 1,8; S piano di
posa 1,3.
Fondo piatto; piede ad anello a sezione
subtrapezoidale, parzialmente rastremato, con la parete interna notevolmente
più alta di quella esterna, su cui sono
impressi due solchi. Sul fondo interno,
decorazione costituita da una rotellatura delimitata da due solchi concentrici.
Impasto tipo TSI 3; vernice tipo VeSI 3.
Stato di conservazione: vernice perfettamente conservata e fratture nette a
margini vivi.
Bibliografia: Baldini et alii 2007, p.
119; Baldini 2007-2008, p. 243, n. 95.
Il frammento, per la forma del piede
e il profilo del fondo, può essere avvicinato alla tipologia Conspectus B 1.9
proposta per i fondi di grandi piatti
(Conspectus 1990, pp. 154-155) e riferibili a recipienti sia di forma 3 sia di forma 11. Tali oggetti, diffusi soprattutto
nel periodo medio augusteo, venivano
prodotti sia in officine dell’Etruria sia
della Valle Padana e, per quanto riguarda la forma 3, anche in Campania. Tra
i numerosi confronti, saranno da citare
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda Periodo medio-augusteo e tiberiano.
[G.B.]
35 – Areale XXVII
Localizzazione Villa di Morello (CVM).
Contesto di ritrovamento
Strutture in elevato.
Contesto attuale Strutture in elevato.
Descrizione Complesso di edifici disposti lungo la strada di San Romolo a Leccio a formare un ferro di
cavallo, con un torrione a pianta rettangolare ad una delle estremità. La torre ha il lato maggiore di circa nove metri e presenta una risega, la muratura originale e parte della cornice di
un marcapiano esterno sui tre lati ancora visibili. Uno dei prospetti (quello Ovest) mostra
tracce di un dissesto antico. Sono visibili, per quanto tamponate, anche le buche pontaie, una
parte delle quali relative ad un apparato ligneo a sporgere. Vista l’attuale altezza della risega,
l’intero complesso è probabilmente interrato per circa un metro.
Materiali
Non sono stati rinvenuti reperti mobili.
Grado affidabilità
-/-/4
Cronologia Periodo post-classico: XIV-XVII secolo.
Interpretazione
Periodo post-classico: casa da signore con funzione anche di controllo della viabilità per il
Mugello.
Bibliografia
Bellometti 2003-2004, pp. 122-169; Torsellini 2007-2008, pp. 46-50, 65-83.
Anfora da trasporto.
2107. Frammento di puntale.
h massima conservata 18,3; diam. massimo conservato 13,4.
Puntale pieno di forma troncoconica e
parete solo in parte visibile ma probabilmente convessa.
Stato di conservazione: superfici abrase
e scheggiate.
Le ridotte dimensioni del frammento
rendono impossibile riuscire a identificare con sicurezza la forma di pertinenza. Tuttavia, in modo del tutto
dubitativo, si propone di inquadrare il
frammento in esame con la Forma A
40 di Lyding Will (Lyding will 1987,
fig. IX-43). Cfr. Lyding will 1987, pp.
171-220, fig. IX-43.
Fine del II-inizi del I secolo a.C.
158
[A.M.]
159
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
il frammento pubblicato recentemente
e proveniente da un recupero fortuito
effettuato a Pisa nel 1969 all’incrocio tra via A. Pisano e la via Vecchia
Barbaricina (Arbeid, Bruni, Ferretti
2006, p. 208), un fondo frammentario da Luni, attribuito alla forma
Goudineau 28 (Lavizzari Pedrazzini
1972, p. 125, CM 6264, tav. 94, 15),
ed un esemplare del tutto analogo recuperato a Pisa negli scavi di piazza
Dante (Pisano 1993, p. 389, n. 29); un
confronto cogente, trovato negli scavi
di Genova, è datato, in base al contesto stratigrafico, agli anni compresi tra
il 30 a.C. e il 15 d.C. (Milanese 1993,
p. 293, n. 1).
Non lontano poi, anche se non esattamente uguale nel profilo, il piatto 2109
(Scheda 36), datato agli anni 5 a.C.-15
d.C.
Scheda Scheda 36 – Areale XXVIII
Localizzazione
Montedomini, La Chiusa.
Contesto di ritrovamento
Scavo archeologico.
Contesto attuale Scavo archeologico.
Descrizione L’edificio romano è stato rinvenuto durante i lavori per la realizzazione della cassa di espansione del torrente Marina. L’area si trova lungo la piccola valle in cui scorre il torrente Marina
e prende il nome dalla Villa di Montedomini ubicata sulle pendici della collina che sovrasta il
sito.
Materiali
Periodo classico: 3640 reperti.
Cfr. schede di precatalogazione (cassetta) GNF-PO 05 0001-16.
Grado affidabilità
-/5/-
Cronologia Periodo classico: in base ai dati di scavo si può stabilire un sicuro periodo di occupazione che
va dall’età augustea fino alla tarda antichità.
Interpretazione
Periodo classico: al momento attuale dello scavo è stato rinvenuto un edificio, composto da
una parte centrale perfettamente rettangolare, divisa in due ambienti: quello più piccolo era
probabilmente utilizzato come magazzino, come sembra suggerire il rinvenimento, al suo
interno, di alcune anfore da trasporto ancora in situ; quello più grande, con una copertura in
laterizi e una pavimentazione realizzata con piccole pietre e argilla, era, con ogni probabilità,
un ambiente funzionale alla vita domestica. Ai lati della struttura rettangolare, due alae, una
delle quali quasi completamente asportata dalle lavorazioni agricole; nella seconda si evidenzia un piccolo focolare realizzato con laterizi murati a secco. Oltre ai vari reperti recuperati, ascrivibili alla ceramica comune e da mensa, interessante è il rinvenimento di numerosi
attrezzi in ferro legati al mondo della carpenteria. La presenza di questi materiali può far
interpretare il sito come una fattoria, forse non l’unica ubicata lungo questa valle nel periodo
augusteo e medio-imperiale. Le evidenti tracce di incendio consentono anche di ipotizzare le
cause che determinarono l’abbandono dell’edificio. Per quanto riguarda la notevole presenza
del materiale medio e tardo imperiale rinvenuto nelle vicinanze e al momento privo di contesto di riferimento, si può ipotizzare che nei dintorni della struttura possa esserci qualche
altro complesso gravitante intorno alla fattoria, solo in parte individuato nei saggi diagnostici
praticati nelle vicinanze del sito.
Fonti di archivio
Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano, prot. 22663 del 2003.
Responsabile
SBAT (impresa esecutrice SACI).
Anno di scavo
2003-2007.
Bibliografia
Filippi et alii 2006, p. 135; Poggesi, Magno 2006b; Poggesi 2007, p. 7; Baldini 20072008, pp. 251-259.
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Montedomini, La Chiusa,
ubicazione (1) e pianta (2)
dell'edificio di età romana.
1
2
160
161
h totale 6,7; h piede esterno 1,9; S
fondo 0,6; S parete 0,5; S piede 1,7; S
piano di posa 1; diam. orlo 34,6; diam.
piede 14,8; diam. piano di posa 13,8.
Orlo a sezione trapezoidale, distinto
dalla parete esterna da due solchi, da
quella interna da due scalini ravvicinati ma non consecutivi; vasca a parete
inclinata verso l’esterno, separata dal
fondo mediante uno scalino interno e
uno esterno; fondo piatto, leggermente all’attacco il piede; piede ad anello,
quasi trapezoidale, sagomato, con la parete interna verticale e quella esterna inclinata verso l’esterno, e rastremato ad
un quarto circa dell’altezza. Sul fondo,
circoscritto da una doppia serie di solchi concentrici impressi, bollo rettangolare a terminazioni concave con sigla
EVHODI, con le lettere “V” e “H” in
legatura e la “D” retrograda.
Impasto tipo TSI 3; vernice tipo VeSI
3.
Stato di conservazione: ricomposto da
numerosi frammenti e parzialmente
integrato; fratture nette a margini vivi;
vernice coprente e senza evidenti segni
di distacco. In alcuni punti la vernice e
l’argilla hanno assunto una diversa colorazione per il contatto con il fuoco a
seguito di un incendio.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp.
253-254, n. 97.
Il piatto è facilmente attribuibile alla forma Conspectus 3.1.1 (Conspectus
1990, pp. 56-57), che corrisponde alle
XIII, varietà 4 di Pucci (Pucci 1985,
p. 386, tav. CXXIII, 5) e alla 34 di
Goudineau (Goudineau 1968, pp.
308-309).
Per quanto concerne la datazione, in
attesa che la pubblicazione definitiva
dello scavo possa contribuire a precisare i termini cronologici di riferimento,
vanno presi in esame elementi diversi
che insieme propongano un quadro il
più preciso possibile. Goudineau, in
base a dati stratigrafici, propone per
questa forma ceramica, che considera “classica”, un periodo di diffusione
compreso tra il 12 a.C. e il 10-15 d.C.
(Goudineau 1968, pp. 295-296); in
particolare il piede ad anello rientra nel
tipo B-2B’-15, attribuibile al secondo
stadio dello sviluppo dei “pieds lourds”
di grandi piatti (Goudineau 1968, pp.
243-244); Pucci, con prudenza, data i
primi esemplari all’età tiberiana, dopo
il 20 d.C., e propone di considerare la
fine della produzione entro la metà del
I secolo d.C. (Pucci 1985, p. 387). Un
elemento di maggior precisione cronologica viene fornito dal cartiglio. Il
cartiglio è di tipo rettangolare a terminazioni concave, della variante n. 374
(CVArr2 2000, p. 531); è centrale, non
radiale, quindi posteriore al 10 a.C.;
Euhodus era il nome di un liberto di
162
Cn. Ateius, che compare spesso su prodotti degli ateliers pisani nel periodo
compreso tra il medio periodo augusteo
e il periodo tiberiano (5 a.C.-40 d.C.);
in particolare il nostro bollo è del tutto
simile al titulus n. 787 variante 21 della
serie edita (CVArr2 2000, p. 219). Sulla
base di tutte queste valutazioni, considerando che il cartiglio rettangolare
sembra scomparire in favore di quello
in planta pedis intorno al 15 d.C., è ragionevolmente possibile datare il nostro
piatto nel ventennio compreso tra il 5
a.C. e il 15 d.C.
La forma, per limitarci solo al territorio
in esame, è attestata in tutto il bacino
dell’Arno, nell’ager Pisanus, in particolar modo a Vecchiano (Menchelli,
Vaggioli 1988, pp. 105-107, figg.
10.31, 11.2) e a Coltano (Menchelli
1986, p. 143, fig. 21.2 p. 141), più
nell’interno lungo il corso del fiume
nella zona di S. Miniato (Maestrini
1983, p. 17, n. 8, fig. 2.8) e a Pistoriae,
nell’antico Palazzo dei Vescovi
(Degl’Innocenti 1987, p. 19, nn. 5657).
Produzione pisana, 5 a.C.-15 d.C.
[G.B.]
Ceramica da mensa.
2110. Coppa carenata (catillus)
di terra sigillata italica.
h totale 4,8; h piede esterno 1,5; S fondo 0,8; S parete 0,5; S piede 0,8; S piano di posa 0,3; diam. orlo 17,8; diam.
piede 9,2; diam. piano di posa 8,4.
Orlo leggermente pendente, arrotondato e superiormente appiattito, distinto
dalla parete esterna da un solco; vasca
a parete inclinata verso l’esterno, a profilo convesso distinta mediante scalino
interno dal fondo piatto, leggermente
convesso internamente; piede ad anello, inclinato e rastremato spigolo di
carena piuttosto addolcito; . Sul fondo,
circoscritto da tre solchi concentrici
impressi, di cui i due maggiori consecutivi, bollo in planta pedis con sigla
L·FAST, con “S” retrograda.
Impasto tipo TSI 2; vernice tipo VeSI 2.
Stato di conservazione: ricomposta da
numerosi frammenti e parzialmente integrata; vernice ben conservata; fratture
nette.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp.
254-255, n. 98.
La coppa è attribuibile alla forma
Conspectus 3.1.2 (Conspectus 1990, pp.
56-57), corrispondente alla XIX, varietà 9 di Pucci (Pucci 1985, p. 388, tav.
CXXIV, 16; in questo caso tuttavia il
bordo è appiattito, mentre nel nostro
esemplare è arrotondato) e alla 43 di
Goudineau (Goudineau 1968, pp.
308-309). Anche il piede può essere facilmente inquadrato nella varietà B 2.5
(Conspectus 1990, pp. 156-157).
La data di inizio della produzione di
questa forma, tra le più diffuse nel I secolo d.C., viene genericamente collocata tra il 20-25 d.C., con una diffusione,
anche tra i tardo-italici, fino agli inizi
del II secolo d.C.
La legenda all’interno del bollo in planta pedis, di un tipo piuttosto ben attestato (CVArr2 2000, p. 534, n. 603),
indica che si tratta di un prodotto uscito dall’officina di L. Fastidienus, di cui
non sappiamo tuttavia indicare con
precisione il luogo di produzione; dal
punto di vista cronologico la sua attività viene fatta generalmente iniziare
a partire dal 15 d.C. Resta singolare il
fatto che questa produzione non sia ancora attestata in area laziale, mentre un
bollo del tutto simile è stato recuperato
a Fiesole (CVArr 1968, pp. 192-193, n.
673).
In attesa che lo studio completo del
contesto stratigrafico in cui è stato trovato possa portare indicazioni utili per
un inquadramento più preciso del reperto, proponiamo di datare la coppa
al periodo tiberio-claudio, in considerazione del fatto che se gli elementi epigrafici porterebbero ad alzare la datazione, l’attestazione della forma fino al
II secolo d.C. con un periodo di maggiore diffusione nella seconda metà del
163
I secolo d.C. ed il tipo di vernice, che
si avvicina molto a quella riconosciuta
come tipica dei tardo-italici, inducono
una maggiore attenzione ed un prudenziale abbassamento fino alla metà del I
secolo d.C.
Età tiberio-claudia.
[G.B.]
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Ceramica da mensa.
2109. Piatto carenato (catinus)
di terra sigillata italica.
L 9,6; l 8,5; S fondo 0,9; S parete 0,6;
S piede 1.
Fondo piatto, leggermente concavo
internamente; fondo esterno ispessito a profilo marcatamente convesso;
piede ad anello, inclinato e rastremato. Sul fondo, circoscritto da un solco
impresso, bollo in planta pedis con sigla
L·NON·F[-].
Impasto tipo TSI 1; vernice tipo VeSI 2.
Stato di conservazione: porzione ricomposta da due frammenti e parzialmente
integrata; vernice quasi del tutto perduta; fratture arrotondate, con ampie
scheggiature.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp.
255-256, n. 99.
potremmo avvicinare la coppa in esame
al tipo 1.8.3.b (Medri 1992, p. 53), caratterizzato da un piede a sezione troncoconica, nel nostro caso poco percepibile, piuttosto alto e spesso nel punto
di attacco al fondo; sul fondo esterno
presenta spesso una apicatura centrale
variamente rilevata (ibidem, p. 49). Se
incerta è l’attribuzione alla produzione
decorata, certa è invece la pertinenza
alla fase tardo-italica della manifattura
pisana, grazie soprattutto al bollo presente sul fondo, dal quale sappiamo che
l’oggetto è uscito da una officina di L.
Nonius Fl[-orentinus/-orus], ultimo rappresentante della produzione di terra
sigillata nell’area del Valdarno. Il cartiglio, iscritto in un bollo in planta pedis
tipo 617, cioè costituito da un impressione oblunga senza indicazione di dettagli (CVArr2 2000, p. 534), conserva
la variante 6 del titulus.
Produzione pisana, primi decenni del
II secolo d.C.
[G.B.]
La porzione, a causa delle ridotte dimensioni in cui è giunta, è difficilmente inquadrabile in una precisa tipologia.
In base ad alcuni confronti, in particolare con una porzione di coppa da
Ostia (inv. A 2362: Pucci 1973, pp. 67,
n. 68, tav. XVIII; 315-321), si potrebbe attribuire ad una coppa di sigillata
tardo-italica decorata tipo Dragendorff
29, produzione recentemente analizzata dalla Medri. In base a tale tipologia
Anfora da trasporto.
2112. Anfora.
Anfora da trasporto.
2113. Anfora.
Anfora da trasporto.
2114. Anfora.
h massima 86,6; diam. orlo 15.
h massima 86,6; diam. orlo 12,6.
h 94; diam. orlo 12,3.
Orlo svasato a corolla, arrotondato superiormente, leggermente convesso nella
gola fra l’orlo e il gradino che separa il
bordo dal collo cilindrico. All’interno
dell’orlo, leggera solcatura. Corpo a profilo ovoidale con lungo puntale conico
vuoto. Anse a nastro ingrossato, con
profonda solcatura centrale, ripiegate a
gomito stretto, leggermente rimontanti
sul collo ed impostate sotto il bordo.
Orlo ingrossato dal profilo a mandorla,
collo cilindrico piuttosto corto non differenziato dalla spalla larga e arrotondata. Anse a bastone a sezione circolare,
leggermente rimontanti, impostate sul
collo e sulla spalla.
Orlo circolare ingrossato distinto dal
collo cilindrico. Anse a bastoncello a
sezione circolare impostate sotto l’orlo
e ripiegate sulla spalla. Corpo ovoide,
puntale corto a sezione conica.
Impasto tipo ANF 8; ingobbio color
crema.
Stato di conservazione: ricomposta da
numerosi frammenti.
L’anfora è riferibile alla forma Dressel
7/11, corrispondente alla forma Beltran I,
di produzione betica e destinata al trasporto di garum. Cfr. Panella 1973, p. 622
n. 8; Pontiroli 1974, p. 133, tav. XCV
n. 200; Luni II 1977, pp. 242-243, tav.
145, n. 10-12; Palazzo dei Vescovi II 1987,
pp. 236-243, tav. 1406-1411; 743, tav.
4362; Paolucci 1988, p. 165, fig. 66, 3-6;
Brecciaroli Taborelli 2000, p. 33, fig.
22.5 (seconda metà del I-II secolo d.C.);
Pesavento Mattioli, Mazzocchin,
Pavoni 2000, pp. 136-138, tav. 5b; Cibi
e sapori 2005, p. 159, n. 277.
I secolo d.C.
164
[A.M.]
Impasto tipo ANF 6.
Stato di conservazione: ricomposta da
numerosi frammenti.
L’anfora è riconducibile alla forma
Dressel 20 di produzione betica, riferibile alla forma Beltran V, prodotte
per il trasporto di olio. Cfr. Sanchez,
Adroher Auroux 2002, p. 98, fig.
23.7; Luni II 1977, pp. 247-248, tav.
146 n. 9; Facchini 1995, p. 366, tav.
110 n. 4.
I secolo d.C.
Anfora da trasporto.
2115. Frammenti di orlo e di
puntale.
Impasto tipo ANF 6.
Stato di conservazione: ricomposta da
numerosi frammenti.
L’anfora è riconducibile alla forma
Dressel 25, corrispondente alla forma Moltern 71, per trasporto di olio.
Cfr. Maffei, Nastasi 1990, p. 317,
fig. 422; Peacock, Williams 1991, pp.
134-135, fig. 64.
I secolo d.C.
[A.M.]
[A.M.]
h orlo 9,8; diam. orlo ricostruito 14,8;
h fondo 15,6.
Orlo ingrossato dal profilo a mandorla, collo cilindrico piuttosto corto non
differenziato dalla spalla larga e arrotondata. Anse a bastoncello con sezione circolare, leggermente rimontanti,
impostate sul collo e sulla spalla. Fondo
ampio e corto puntale pieno a sezione
conica.
Impasto grezzo, attribuibile al tipo
ANF 6.
Stato di conservazione: ricomposta da
numerosi frammenti.
L’anfora è riconducibile alla forma
Dressel 20, di produzione betica, per
il trasporto di olio. Cfr. Luni II 1977,
pp. 247-248, tav. 146 n. 9; Facchini
1995, p. 366, tav. 110 n. 4; Sanchez,
Adroher Auroux 2002, p. 98, fig.
23.7.
I secolo d.C.
165
[A.M.]
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Ceramica da mensa.
2111. Porzione di fondo di coppa
(parapsis?) di terra sigillata
tardo-italica.
Metallo.
2117. Coltello di ferro.
Metallo.
2118. Chiave di ferro.
Metallo.
2119. Falcetto di ferro.
Metallo.
2120. Ascia di ferro.
L 17,8.
L 12,7.
L 7,4; L ingegno 1; L cannello 6,5.
L 17,6; l lama 2,2.
L 17,4; l massima lama 3,5.
Chiave a scorrimento con presa ad
anello, cannello pieno allungato a sezione quadrata tendente a rastremarsi
verso la mappa. Mappa impostata su
stelo ortogonale con ingegno a tre denti
su corta lamina a sezione rettangolare
parallela al cannello.
Lama a un taglio con dorso leggermente curvo e corto tagliente di forma e
sezione subtriangolare. Codolo dell’immanicatura a sezione rettangolare.
Chiave a scorrimento con presa ad anello. Cannello pieno a sezione rettangolare che si riduce di spessore dall’anello alla mappa. Mappa liscia. Ingegno
perpendicolare al cannello, fortemente
ossidato.
Lama frammentaria di forma semilunata e lunga immanicatura con anello di
sospensione all’estremità.
Lama a taglio unico con foro per l’immanicatura a sezione ellittica. Nel foro
resti del manico in legno.
Stato di conservazione: superfici molto
ossidate.
Stato di conservazione: superfici molto
ossidate.
Stato di conservazione: superfici molto
ossidate.
Stato di conservazione: superfici molto
ossidate.
Cfr. Nothdurfter 1979, pp. 74-75;
Carta archeologica del territorio castiglionese 1993, pp. 7-8; Uglietti 1995, p.
234, tav. 85 n. 13; Raffaelli 1996, pp.
79, fig. 2; 87-89, schede II.4 e II.6.
Cfr. Pontiroli 1974, p. 200, n. 289,
tav. CXLVIII; Luni II 1977, tav. 314,
n. 5; Passi Pitcher 1987, pp. 74, 1,
tav. p. 75; 132-133; Scarpellini Testi
1996, pp. 11-33, 25, fig. 24; Acconcia
2000, pp. 103-104, L 10, fig. 34.b, tav.
XV.c; Becciaroli Taborelli 2000, p.
333, tav. 89.31.
Cfr. a Luni II 1977, p. 514, tav. 314,
fig.1; Settefinestre 1985, p. 52, tav. 7,2;
Maffei Nastasi 1990, pp. 259, 266,
tav. 342.2; Gallo 2001, p. 65, n.
8; Tamburini 2001, p. 202, n. 222;
Giannoni 2005, fig. 5, p. 60.
Si tratta con ogni probabilità di una falx
vinatoria utilizzata dal vignaiolo per la
vendemmia. Cfr. Fergola 1996, p.
264, scheda 575; Giardino Antico 2007,
p. 318, scheda 3.B.79 (A. Ciarallo).
Si tratta con ogni probabilità di una
securis, ascia da taglio di legname assai
diffusa anche in ambiente agricolo. Cfr.
White 1967, pp. 60-61; Pontiroli
1974, p. 200, n. 290, tav. CXLVIII;
Fergola 1996, p. 264, scheda 574.
I secolo d.C.
I secolo d.C.
Prima metà del I secolo d.C.
[A.M.]
Stato di conservazione: superfici molto
ossidate.
[A.M.]
166
Prima metà del I secolo d.C.
[A.M.]
I secolo d.C.
Metallo.
2121. Instrumentum domesticum
di piombo.
L 4,7; l 3,2; S 1,4.
[A.M.]
Peso da telaio anepigrafo di forma
pseudopiramidale con spigoli fortemente arrotondati e foro orizzontale
sulla parte alta. Su una delle facce maggiori, incisione di forma quadrangolare.
Stato di conservazione: macchie bianche sulla superficie. Su uno spigolo della base, irregolare appendice frastagliata
interpretabile come un difetto di fusione.
Cfr. Romualdi 1989, p. 162, n. 202 a;
Gallo 1994, p. 124, tav. 29g; Cibi e sapori 2005, p. 116, scheda 73.
Prima metà del I secolo d.C.
[A.M.]
167
[A.M.]
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Metallo.
2116. Chiave frammentaria di ferro.
Metallo.
2123. Chiodo di ferro da
carpenteria.
L 10,6; l massima 0,6; S 0,4.
L 11,8; l massima 6,9; S massimo 6,9.
L 16; diam. testa 4,2.
Stilo su stelo ad ingrossamento regolare
con massimo assottigliamento verso la
punta conica e appuntita e testa conformata a scalpello e appiattita per cancellare e levigare.
Stato di conservazione: integro.
Cfr. Ostia IV 1977, p. 66, tav. XLV, n.
313; Conta 1982, p. 333, fig. 201, n.
4; Romualdi 1989, p. 169, n. 208 b.
Prima metà del I secolo d.C.
Instrumentum domesticum.
2124. Peso da telaio di terracotta.
[A.M.]
Chiodo con testa di forma circolare e
stelo a sezione quadrata riferibile alla
tipologia da tetto: 1) chiodi di medie
dimensioni (8-10 cm) = impiegati per
fissare tra loro le orditure secondarie
dei tetti (assicelli e travicelli); 2) chiodi di grandi dimensioni (12-18 cm) =
impiegati probabilmente per fissare le
orditure secondarie a quelle principali
(i travicelli alle travi).
Stato di conservazione: superfici molto
ossidate.
Si conservano tre esemplari simili. Cfr.
Settefinestre 1985, pp. 43-44, tav. 4, n.
3; Paterno 2002, pp. 138-139, fig. 5,
n. 373.
Peso da telaio di forma troncopiramidale più o meno accentuata, con foro
orizzontale a circa due terzi dell’altezza
a partire dalla base; spigoli leggermente
smussati. Sulla faccia superiore, segno
inciso di significato sconosciuto.
Stato di conservazione: il reperto, lacunoso e abraso, presenta una deformazione dovuta forse all’esposizione alle
alte temperature dell’incendio che ha
distrutto l’edificio e permette di ipotizzarne una produzione originaria senza
cottura.
Cfr. Luni III 1977, tav. 178, n. 29;
Settefinestre 1985, p. 69, tav. 17.1;
Milanese 1993, fig. 111, n. 25;.
Prima metà del I secolo d.C.
I secolo d.C.
[A.M.]
168
Metallo.
2125. Punta di lancia o giavellotto
di ferro.
Metallo.
2126. Cuspide di giavellotto di
ferro.
L 13,8; l 2,1.
L 20,4; diam. cannone 1,9; l cuspide
2,3.
Lama appiattita a doppio taglio con
gorbia a cannone di forma conica e
sezione circolare per l’inserimento
dell’asta. Sono conservati resti lignei
dell’immanicatura.
Metallo.
2127. Accessorio di ferro.
L ardiglione 6,5; S ardiglione 0,6;
diam. 5,5.
Puntale o cuspide di giavellotto con
punta piramidale a sezione quadrangolare in pianta e codolo conico a cannone rotondo e incavato.
Fibbia di forma circolare e a sezione
rotonda con ardiglione a sezione subcircolare ripiegato ad anello diametralmente intorno alla fibbia e assottigliato
all’estremità opposta.
Stato di conservazione: superfici molto
ossidate.
Stato di conservazione: superfici molto
ossidate.
Stato di conservazione: superfici ossidate.
Si tratta probabilmente della punta di
una lancia leggera o di giavellotto da
caccia, dato il contesto di ritrovamento
prettamente rurale. Cfr. Angioni 1990,
pp. 263, tav. 337; 262, n. 6; Storti
1996, pp. 226, fig. 327; 227, scheda 15;
232, fig. 343.
Il reperto deve con ogni probabilità essere interpretato come puntale del giavellotto con cuspide in ferro 2125, assai
diffuso nella prima età imperiale. Cfr.
Galliazzo 1979, p. 210, nn. 2 e 4.
Cfr. Tesori della Postumia 1998, pp.
557-558, n. 5 (G.M. Sandrini). Per
il tipo di fibbia circolare cfr. anche
Angioni 1990, p. 253, n. 2, tav. 324.
I secolo d.C.
I secolo a.C.
I secolo d.C.
[A.M.]
[A.M.]
[A.M.]
169
[A.M.]
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Osso.
2122. Strumento.
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
2109
Metallo.
2128. Chiave a scorrimento di ferro.
Numismatica.
2129. Moneta di argento.
Metallo.
2130. Cardine di porta di ferro.
L 7,5; L cannello 6,7; l ingegno 3,1; S
1,3.
S 0,18; diam. 1,9.
L 12,3; l 4,8.
Sul dritto, ritratto barbato a destra – re
Tito Tazio entro bordo perlinato; sul
rovescio, due soldati intenti a seppellire
Tarpeia. In esergo, L. TITVRI.
Lamina rettangolare con almeno quattro fori per chiodo ed estremità arrotolata per creare l’incastro c.d. “femmina”
per il perno del cardine.
Stato di conservazione: superfici leggermente ossidate.
Stato di conservazione: superfici ossidate.
Denario repubblicano della famiglia
Tituria, riferibile a L. Titurius Sabinus
L.F. Confronti in RRC 344/2c; CRR
699a; RSC TITURIA 5.
Cfr. White 1967, pp. 60-61;
Pontiroli 1974, p. 200, n. 290, tav.
CXLVIII; Fergola 1996, p. 264, scheda 574.
Età tardo-repubblicana (89 a.C.).
[A.M.]
I secolo d.C.
Chiave integra con presa ad anello
poggiante su cannello pieno a sezione
rettangolare rastremato verso l’ingegno. Prima dell’ingegno, brusco restringimento della lamina del cannello.
Mappa perpendicolare all’asse longitudinale e disassata con ingegno a quattro
denti.
Stato di conservazione: superfici ossidate.
Chiavi di questo tipo servivano per
aprire piccoli mobili quali armaria ed
arcae. Cfr. Romualdi 1989, p. 154, n.
196 a; Angera Romana 1995, tav. 85, n.
14; Tesori della Postumia 1998, p. 521,
scheda V. 39 n. 5 (A. Giovannini);
Gallo 2001, p. 65, n. 8.
I secolo d.C.
2110
[A.M.]
[A.M.]
2111
170
171
37 – Areale XXIX
Localizzazione
Travalle, Podere Fornello (TR III).
Contesto di ritrovamento
Campo arato, scavo archeologico.
Contesto attuale Campo arato, vigneto.
Descrizione Campo arato quasi pianeggiante, diviso sia orizzontalmente sia longitudinalmente da piccoli fossati, e posto alle pendici della Calvana, a Nord della strada che conduce alla colonica del Podere Fornello. La zona è costituita essenzialmente da terreni dilavati (Pallecchi,
Caporali 2007, pp. 122-123) ed è stata percorsa intensamente dal GAF negli anni precedenti l’impianto del vigneto che vi sorge attualmente. L’area è stata oggetto di saggi archeologici eseguiti nel giugno del 2005 per conto della SBAT a scopo preventivo, prima di
autorizzare la piantagione del vigneto. In precedenza le ricognizioni del GAF hanno fruttato
la raccolta di numerosi reperti a partire dall’epoca preistorica fino ai secoli più recenti.
Materiali
Il materiale preistorico è abbondante e comprende manufatti litici e fittili. Per il periodo
classico sono state rinvenuti pochissimi frammenti di ceramica depurata e ceramica grigia,
riferibili genericamente al periodo romano; si segnala anche una moneta di bronzo, purtroppo in pessimo stato di conservazione. Per il periodo post-classico, sono presenti quasi cento
frammenti, principalmente di età moderna e contemporanea. Sono stati raccolti anche sei
frammenti di maiolica arcaica e uno di zaffera a rilievo. Interessanti una fusaiola e una fibbietta di bronzo.
Periodo preistorico: più di 500 manufatti litici e un centinaio di frr. ceramici.
Periodo classico: 4 frr. ceramici.
Periodo post-classico: 93 frr. ceramici, 1 fr. metallico.
Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0018.
Grado affidabilità
3/5/3
Cronologia Periodo preistorico: inquadrabile nell’Olocene, forse Neolitico-Eneolitico.
Periodo classico: periodo romano.
Periodo post-classico: i materiali possono essere ricondotti ad un intervallo cronologico compreso tra il XIV e il XVII secolo.
Interpretazione
Periodo preistorico: la litica comprende manufatti relativamente freschi, tra cui nuclei a lamelle, grattatoi corti di piccole dimensioni, lamelle ritoccate, punte di freccia; è presente
anche un manufatto in pietra levigata, frammentario, probabilmente pertinente ad un’asciamartello. L’insieme è da considerare di epoca olocenica per la presenza della ceramica, delle
punte di freccia, dei nuclei a lamelle; ad un ambito eneolitico potrebbe rimandare il frammento di ascia-martello.
Periodo classico: il materiale classico si limita ad una presenza sporadica nel terreno arativo.
Data l’abbondanza dei ritrovamenti (soprattutto preistorici e medievali) effettuati in superficie, la SBAT, attraverso la SACI, ha provveduto ad indagare l’area in profondità realizzando
149 saggi ravvicinati, allo scopo di verificare la presenza di strati archeologici, anche in previsione di lavori agricoli che avrebbero potuto mettere in pericolo eventuali stratigrafie sepolte.
L’esito dei saggi è risultato negativo, non portando all’individuazione di livelli archeologici
in strato. La documentazione di una frequentazione antica del sito (o delle sue vicinanze) si
limita dunque a quanto restituito dal terreno rimaneggiato superficiale.
Periodo post-classico: nei dintorni, nonostante la consistente mole di materiali rinvenuti,
172
173
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda Fonti di archivio Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 6, 1971-1980, Calenzano1; pos. 9 Firenze 3, 1991-2000,
Calenzano, prot. 25385 del 27 novembre 1996 (si veda Scheda 14, nota 1); pos. 9 Firenze 3,
2001-2010, Calenzano, prot. 22599 del 2004 (si veda Scheda 12, nota 1) .
Responsabile
SBAT (impresa esecutrice SACI).
Anno di scavo
2004.
Bibliografia Carta Archeologica 1995, pp. 11-132; Baldini 2007-2008, pp. 236-237.
È la segnalazione su cui si basa Carta Archeologica 1995, pp. 11-13, dove non viene fatto alcun riferimento al ritrovamento
di ceramica di età “classica”.
2 Nelle tre schede di sito (nn. 14-15, 17) viene fatto sempre riferimento ad una raccolta di superficie effettuata nel 1979,
che restituì materiale preistorico, protostorico e qualche frustulo di periodo post-medievale.
1
Litica.
1002. Manufatto ritoccato.
Litica.
1003. Manufatto ritoccato.
Litica.
1006. Manufatto in pietra levigata.
L 3,1; l 1,8; S 0,9.
L 3,3; l 1,4; S 0,8.
Pezzo foliato bifacciale a ritocco coprente su entrambe le facce; forma allungata simmetrica.
Pezzo foliato peduncolato ad apice tondeggiante, con peduncolo poco evidenziato; sagoma stretta, sezione massiccia.
L conservata 3,4; l conservata 3,4; S
conservato 3,3.
Selce.
Diaspro.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Spigoli leggermente abrasi, pseudoritocchi assenti.
L’elemento è riferibile genericamente ad una fase compresa tra la fine del
Paleolitico e l’Olocene.
174
L’elemento è riferibile genericamente ad una fase compresa tra la fine del
Paleolitico e l’Olocene.
175
Testa di mazza frammentaria.
Pietra verde.
Il reperto, benché molto frammentario, potrebbe essere accostato al tipo di
ascia-martello noto nell’Eneolitico della
Toscana (Cocchi Genick, Grifoni
Cremonesi 1989).
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
non vi sono edifici che presentino visibili paramenti murari riconducibili al Medioevo, ma
numerose coloniche che potrebbero risalire ai primi secoli dell’età moderna, come, ad esempio, tutte le coloniche che si appoggiano alle falde meridionali del Poggio Uccellaia. È dunque l’ennesima conferma dell’importanza dell’insediamento poderale che caratterizzò il territorio di Calenzano.
Litica.
1008. Manufatto ritoccato.
Litica.
1009. Nucleo.
Litica.
1011. Manufatto ritoccato.
Litica.
1132. Manufatto ritoccato.
Litica.
1133. Manufatto ritoccato.
L 3; l 1,8; S 0,8.
L conservata 4,5; l 1,3; S 0,5.
L 2,6; l 2; S 2.
L 7; l 3,5; S 1.
L conservata 3,3; l 1,8; S 0,7.
L 2,0; l 2,2; S 0,8.
Punta di freccia. Punta foliata peduncolata; ritocco piatto bifacciale coprente su una faccia e invadente sull’altra.
Strumento composto (Troncatura e
Lama): troncatura su lama ritoccata
frammentaria; ritocco bilaterale totale;
supporto molto stretto.
Nucleo per l’estrazione di lamelle; un
piano di percussione, preparato; fronte
leggermente convesso; distacchi unipolari paralleli; pezzo molto sfruttato.
Incavo inverso laterale su supporto laminare a margini divergenti.
Grattatoio frontale corto subcircolare.
Selce.
Diaspro.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Punta di freccia frammentaria. Punta
foliata peduncolata; apice e peduncolo
fratturati; ritocco bifacciale coprente;
lavorazione molto accurata, sagoma
slanciata.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Diaspro.
L’elemento è riferibile genericamente ad una fase compresa tra la fine del
Paleolitico e l’Olocene.
L’elemento è riferibile genericamente ad una fase compresa tra la fine del
Paleolitico e l’Olocene.
L’elemento è riferibile genericamente ad una fase compresa tra la fine del
Paleolitico e l’Olocene.
Diaspro.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Epoca olocenica.
176
Quarzite fine.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Epoca olocenica.
177
Selce.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Litica.
1007. Manufatto ritoccato.
1134
1133
1008
Litica.
1134. Manufatto ritoccato.
L 2,1; l 1,6; S 0,6.
Grattatoio frontale corto con ritocco
su un margine laterale; sagoma leggermente allungata, fronte ampio.
Selce.
1007
1003
1132
1002
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Maiolica arcaica.
3051. Frammento di parete di
boccale.
Maiolica arcaica.
3052. Frammento di parete di forma
aperta.
L 2,3; l 1,3; S 0,3.
L 4,3; l 4,8; S 0,6.
Parete sottile con decorazione non ricostruibile a causa delle minute dimensioni del frammento, consistente in un
fitto graticcio molto regolare di sottili
linee in bruno manganese, tipico della
prima maiolica arcaica.
Parete di forma aperta, probabilmente
un catino troncoconico. Decorazione
in bruno manganese e verde ramina
consistente in un’ampia zona campita
a graticcio in verde ramina e bordata
in bruno manganese; altre linee curve
in bruno manganese. Si tratta probabilmente di una decorazione figurata a
motivi fitomorfi o zoomorfi.
Impasto duro, ben depurato, di colore
arancio. Smalto grigio chiaro, esterno,
molto deteriorato.
L’elemento è riferibile genericamente ad una fase compresa tra la fine del
Paleolitico e l’Olocene.
[O.F.]
Per la classe si vedano Palazzo Pretorio
1978; Uffizi 2007.
Fine del XIII secolo.
Impasto duro, depurato, di colore arancio chiaro. Smalto grigio chiaro, solo
interno, piuttosto diluito.
Per la classe si vedano Palazzo Pretorio
1978; Uffizi 2007.
178
L 3,2; l 5; S 0,6-1; diam. bordo ricostruito 16,9; diam. carenatura ricostruito 18,3.
Bordo con orlo arrotondato. All’interno,
decorazione a gruppi di tre foglioline
lanceolate, contornate da fasce orizzontali, con pennellate di giallo ferraccia. All’esterno, serie di archetti in serie
continua al di sotto del listello; sopra il
listello, linee concentriche orizzontali;
in entrambe le aree, pennellate di verde
ramina.
Impasto duro, depurato, di colore rosso.
Ingobbio bianco, uniforme e coprente,
interno ed esterno. Vetrina giallina, interna ed esterna.
Cfr. Scheda 70 – 3011; Uffizi 2007, pp.
488, 498, fr. 31.1. Per la forma “ciotola da impagliata”, cfr. Berti 1997, II,
p. 425, forma I.C.1, 75. Per la classe si
vedano Palazzo Pretorio 1978; Palazzo
dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi
II 1987; Berti 1997, II; Uffizi 2007;
Wentkoswska 2007.
XIV secolo.
1011
Ceramica ingubbiata e graffita
policroma a punta.
3053. Frammento di bordo di
ciotola con listello.
Produzione di area fiorentina, fine del
XVI-inizi del XVII secolo.
1006
179
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
1009
Ceramica ingubbiata e graffita
monocroma a punta.
3055. Frammento di fondo di
ciotola emisferica.
L 6,2; l 4; S 0,8; diam. piede ricostruito
8,3.
L 5; l 4; S fondo 1,1; S parete 0,6;
diam. piede 4,8.
Fondo concavo di forma aperta, probabilmente un piatto. Decorazione
conservata per la parte centrale di un
elemento zoomorfo, probabilmente un
uccellino, di cui è visibile l’ala, sovradipinta in giallo ferraccia e verde ramina.
Fondo decorato con graffiture “a cerchietti”.
Impasto duro, depurato, di colore rosso. Ingobbio bianco, coprente, solo interno. Vetrina, interna ed esterna (anche sotto il piede), giallina, coprente.
Per la decorazione cfr. Varaldo 1997,
p. 446, fig. 6a. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Palazzo dei
Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi
II 1987; Berti 1997, II; Uffizi 2007;
Wentkoswska 2007.
XV secolo.
Impasto duro, ben depurato, di colore
arancio. Ingobbio bianco, sottile, non
molto uniforme, sia esterno sia interno.
Vetrina trasparente, sottile, sia interna
sia esterna.
Cfr. Palazzo dei Vescovi II 1987,
pp. 597-598, 609, frr. 3242, 3254;
Wentkoswska 2007, pp. 41, 43, fr.
34. Per la classe si vedano Palazzo
Pretorio 1978; Palazzo dei Vescovi II
1985; Palazzo dei Vescovi II 1987; Berti
1997, II; Uffizi 2007; Wentkoswska
2007.
Maiolica post-rinascimentale.
3056. Frammento di bordo di piatto.
L 3; l 1,8; S 0,5; diam. bordo ricostruito 20,6.
Bordo con piccola tesa confluente ed
orlo arrotondato. Sull’orlo, due fasce
dipinte in giallo ferraccia; inizio di decorazione in verde ramina (cfr. decorazione “a vortice”).
Impasto duro, depurato, di colore rosa
chiaro. Smalto sia interno che esterno,
bianco, compatto e lucido.
Cfr. Palazzo dei Vescovi II 1985, tav. 13,
fr. 3332. Per la classe si vedano Palazzo
dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi
II 1987.
Maiolica post-rinascimentale.
3057. Frammento di parete di
grosso catino/conca.
Ceramica ingubbiata e dipinta.
3058. Frammento di bordo di piatto.
L 5,5; l 8,6; S 1.
L 2,8; l 2,3; S 0,5; diam. bordo ricostruito 16,9.
Parete con decorazione a pennellate
concentriche verde ramina, giallo ferraccia vicino al fondo.
Bordo decorato da semplici pennellate
verdi, molto diluite.
Impasto duro, depurato, di colore rosso. Smalto bianco, solo interno, spesso
ma non uniforme. All’esterno, leggera
ingubbiatura.
Impasto duro, depurato, di colore rosso
chiaro. Ingobbio bianco e vetrina trasparente, sia interni sia esterni.
Per la classe si vedano Palazzo dei
Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II
1987.
Per il tono del colore, molto diluito,
e la semplicità della decorazione cfr.
Wentkoswska 2007, pp. 45-46, fr.
41. Per la classe si veda Wentkoswska
2007.
Produzione montelupina, XVII secolo.
Età moderna.
Produzione di area montelupina, fine
del XVI-inizi del XVII secolo.
L 3,5; l 4; S 0,4.
Parete con decorazione in blu a girali
e piccoli punti disposti intorno a una
fascia in azzurro, bordata in blu, probabilmente a delimitare in origine un
medaglione centrale. Sulla fascia, decorazioni “a bocciolo” in blu.
Impasto duro, ben depurato, di colore
rosa. Smalto bianco, sottile, non più lucido e molto deteriorato, solo esterno.
Cfr. Berti 1997, I, pp. 172-200. Per la
classe si vedano Palazzo Pretorio 1978;
Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei
Vescovi II 1987.
XV secolo.
Fine del XVI-inizi del XVII secolo.
180
Maiolica italo-moresca.
3059. Frammento di parete di
boccale.
181
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Ceramica ingubbiata e graffita
policroma a punta.
3054. Frammento di fondo di forma
aperta.
3054
L 11,5; l 13,8; S 1,3-2,4.
Parete di forma chiusa (probabilmente
un orcio), decorata con incisioni. La
decorazione ha un’ingrossatura a fascia,
(l 4,5; S 2,2) ornata con incisioni a stecca, disposte a spina di pesce, e impressioni digitali tondeggianti, tra una sinusoide incisa a pettine fitto e una treccia
incisa con lo stesso pettine.
3055
3056
38 – Areale XXX
Localizzazione Case Pecchiolo (CPC).
Contesto di ritrovamento
Strutture in elevato.
Contesto attuale Strutture in elevato.
Descrizione Si tratta di una colonica poderale nata attorno a una torre, di cui rimangono evidenti il paramento e le angolate originali nel prospetto Sud. Rimane anche un tratto di muratura piuttosto consistente, in connessione con la torre, ma di non facile interpretazione, a causa dei
numerosi interventi subiti. Sorge lungo la strada per Legri, proveniente dalla Chiusa.
Materiali
Non sono stati rinvenuti reperti mobili.
Grado affidabilità
-/-/4
Cronologia Periodo post-classico: le strutture murarie medievali individuate sono inserite all’interno di
edifici attribuibili ad un lungo arco cronologico, compreso tra il XIII e il XVII secolo.
Interpretazione
Periodo post-classico: casa da signore utilizzata anche per il controllo della viabilità che attraversava la piccola dorsale di Collina, tra la Val di Marina e la valle di Legri.
Fonti Cartografiche
Piante di Popoli e Strade, c. 536 (S.to Ruffigniano a Somaia).
Bibliografia
Bellometti 2003-2004, pp. 122-166.
Impasto rosso chiaro, duro, con sporadici inclusi di calcite (<3 mm).
Cfr. Uffizi 2007, pp. 368, 405, frr.
21.13.5. Per la classe si vedano Palazzo
Pretorio 1978; Uffizi 2007.
XVII secolo.
[L.T.]
3058
182
183
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Ceramica acroma grezza.
3116. Frammento di parete di orcio.
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
3053
Scheda 39 – Areale XXIX
Localizzazione
Travalle, Podere Chiudente (TRPC).
Contesto di ritrovamento
Campo arato.
Contesto attuale Campo arato.
Descrizione Campo arato e parzialmente tenuto ad oliveto che digrada in leggera pendenza verso il fondovalle; in alto sono presenti le coloniche di Podere Chiudente e Podere Fornello. Il GAF ha
raccolto in superficie abbondanti reperti litici e numerosi frammenti di ceramica di diversi
periodi. Per tutte le fasi di frequentazione documentate, è difficile individuare l’insediamento
dal quale possano provenire i materiali; negli immediati dintorni non vi sono tracce di eventuali strutture murarie medievali conservate in elevato.
Materiali
Periodo preistorico: più di 2500 manufatti litici, un centinaio di frr. ceramici.
Periodo classico: 47 frr. ceramici, 1 fr. opus latericium, 1 fr. piombo.
Periodo post-classico: 39 frr. ceramici, 1 fr. metallico.
Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0007A.
Grado affidabilità
3/2/2
Cronologia Periodo preistorico: Neolitico o Eneolitico; qualche elemento forse riferibile al Paleolitico.
Periodo classico: periodo romano.
Periodo post-classico: XIV-XVIII secolo.
Interpretazione
Periodo preistorico: il materiale preistorico è per lo più di epoca olocenica; la componente ceramica è poco diagnostica: l’unico elemento indicativo è un’ansa a rocchetto, edita (si veda
Bibliografia), ipoteticamente collocabile in un momento avanzato del Neolitico. Tra i reperti
litici, si può distinguere un gruppo principale, con spigoli relativamente freschi, da un piccolo
insieme a stato fisico più frusto (spigoli abrasi, pseudoritocchi, patine). Tra i pezzi più freschi
si individuano elementi che indicano una cronologia sicuramente olocenica (presenza di ossidiana e di altre rocce alloctone, di schegge e lamelle di piccolo formato e di punte di freccia).
Più precisamente, gli elementi ritoccati possono suggerire una collocazione dell’industria tra il
Neolitico finale e l’Eneolitico. I manufatti del gruppo a spigoli più abrasi sono generici per tipologia, ma mostrano una certa omogeneità per l’apparente assenza di materie prime alloctone,
la tipometria variabile, i talloni lisci, i bulbi prominenti, le sagome irregolari; essi potrebbero
testimoniare una frequentazione paleolitica. Pochi pezzi presentano uno stato fisico più abraso
(rispetto alla maggior parte dell’industria) e profondi pseudoritocchi. Tra questi, si nota una
grande scheggia piatta con ampi negativi dorsali, in quarzite, pesantemente patinata.
Periodo classico: probabile sito abitativo rurale.
Periodo post-classico: si tratta della sicura conferma della presenza di un forte insediamento
poderale nella zona, a partire già del basso Medioevo, ma non è possibile proporre ipotesi di
maggiori dettaglio.
Fonti d’archivio:
Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano, prot. 25385 del 27 novembre 1996 (si veda Scheda 14, nota 1); pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano, prot. 22559 del 3 novembre 2001.
Bibliografia Nieri 1930, pp. 345-346; Gambassini 1974, pp. 10-13; Archeologia e territorio 1979, pp. 6-10;
Giachetti 1989, p. 396; Martini 1989b, pp. 5-9; Martini, Sarti 1991, p. 19; Spaterna 1992,
p. 111, n. 37; Sarti, Martini 1993, pp. 30-31; Carta Archeologica 1995, pp. 11, 13.
184
Litica.
1012. Manufatto ritoccato.
Litica.
1013. Nucleo.
Litica.
1014. Nucleo.
L 6,6; l 4,2; S 1,6.
L 7,1; l 3,5; S 2,3.
L 5,4; l 4,4; S 2,1.
Denticolato. Scheggia allungata a lati
divergenti con tre margini ritoccati; sui
due margini laterali sono presenti due
incavi profondi e un ritocco totale su
un lato e parziale sull’altro; il margine
trasversale è ritoccato in modo semierto, con delineazione denticolata.
Nucleo a sfruttamento opportunistico, su blocchetto, per l’ottenimento di
schegge; un piano di percussione; pochi
distacchi.
Nucleo a sfruttamento centripeto, per
l’estrazione di schegge, con due piani
di scheggiatura tendenzialmente gerarchizzati, per la preparazione e lo sfruttamento.
Diaspro.
Diaspro.
Spigoli abrasi, pseudoritocchi presenti.
Spigoli poco abrasi, rari pseudoritocchi.
Selce.
Spigoli freschi, pseudoritocchi presenti.
L’elemento è di incerta attribuzione,
anche se lo sfruttamento centripeto dei
nuclei è in genere indicativo del periodo compreso tra il Paleolitico inferiore
e il Paleolitico medio.
185
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda Litica.
1016. Manufatto non ritoccato.
Litica.
1019. Nucleo.
Litica.
1020. Nucleo.
Litica.
1021. Nucleo.
L 8,1; l 5,1; S 1,8.
Litica.
1017. Nucleo.
L 2,4; l 2,2; S 1,1.
L conservata 1,1; l 1; S 0,2.
L 5,2; l 5; S 1.
L 2,2; l 2; S 1,8.
L 2,5; l 1,8; S 1,5.
Strumento a ritocco erto laterale convesso; ritocco marginale a distacchi
molto minuti; supporto piatto.
Scheggia allungata con ampi negativi
dorsali, tallone liscio parzialmente scagliato, bulbo prominente.
Piccolo nucleo a distacchi centripeti
unifacciali, con distacchi di preparazione sulla faccia opposta.
Nucleo per l’ottenimento di lamelle
e piccole schegge, molto sfruttato; un
piano di percussione.
Nucleo per l’ottenimento di lamelle e
piccole schegge, molto sfruttato. Due
piani di percussione opposti; distacchi
paralleli bipolari.
Selce.
Quarzite fine.
Selce.
Nucleo a sfruttamento centripeto per
l’ottenimento di schegge. Scheggiatura
bifacciale gerarchizzata: distacchi centripeti coprenti su una faccia; distacchi
di preparazione sulla faccia opposta.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Patina pesante; spigoli abrasi, molti
pseudoritocchi, profondi.
Spigoli poco abrasi, pseudoritocchi assenti.
Selce.
Spigoli poco abrasi, pseudoritocchi assenti.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Elemento attribuibile genericamente
ad un periodo compreso tra la fine del
Paleolitico e l’Olocene.
Elemento attribuibile genericamente
ad un periodo compreso tra la fine del
Paleolitico e l’Olocene.
Elemento attribuibile genericamente
ad un periodo compreso tra la fine del
Paleolitico e l’Olocene.
Il reperto, che pare differenziarsi dal
complesso per qualità tecnologiche, tipometriche e per lo stato fisico, potrebbe rimandare al Paleolitico inferiore o
medio.
186
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Selce.
Selce.
187
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Litica.
1015. Manufatto ritoccato.
Litica.
1023. Nucleo.
Litica.
1026. Nucleo.
Litica.
1027. Nucleo.
Litica.
1028. Manufatto ritoccato.
Litica.
1029. Manufatto ritoccato.
L 2,7; l 2; S 0,8.
L 3; l 2,3; S 1,6.
L 1,5; l 1,4; S 0,9.
L 2,5; l 1,6; S 1,7.
L 3,5; l 2,1; S 0,6.
L 2,4; l 2,3; S 0,7.
Foliato. Raschiatoio o punta foliata
frammentaria; ritocco piatto bifacciale
coprente.
Nucleo per l’estrazione di lamelle; distacchi paralleli unipolari, fronte leggermente convesso, piano di percussione preparato.
Nucleo per l’ottenimento di lamelle
e piccole schegge, molto sfruttato; un
piano di percussione; distacchi paralleli
unipolari.
Nucleo per l’ottenimento di lamelle e
piccole schegge, molto sfruttato; due
piani di percussione adiacenti.
Punta di freccia. Punta foliata peduncolata; ritocco piatto bifacciale coprente.
Raschiatoio marginale. Ritocco semplice tendente a piatto, trasversale, convesso.
Diaspro.
Selce.
Selce.
Selce.
Selce.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Spigoli poco abrasi, pseudoritocchi assenti.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Elemento attribuibile genericamente
ad un periodo compreso tra la fine del
Paleolitico e l’Olocene.
Epoca olocenica.
Diaspro.
Spigoli poco abrasi, rari pseudoritocchi.
Elemento attribuibile con maggiori
probabilità ad un periodo compreso tra
la fine del Paleolitico e l’Olocene.
Elemento attribuibile genericamente
ad un periodo compreso tra la fine del
Paleolitico e l’Olocene.
188
Elemento attribuibile genericamente
ad un periodo compreso tra la fine del
Paleolitico e l’Olocene.
189
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Litica.
1022. Manufatto ritoccato.
Litica.
1031. Nucleo.
Litica.
1032. Manufatto ritoccato.
Litica.
1033. Manufatto ritoccato.
Litica.
1034. Manufatto ritoccato.
Litica.
1036. Manufatto ritoccato.
L 2; l 1,5; S 0,8.
L 1,7; l 1,9; S 1,4.
L 2,4; l 1,5; S 0,4.
L 2,1; l 1,4; S 0,5.
L 2,9; l 1,2; S 0,5.
Grattatoio frontale leggermente allungato con ritocco laterale.
Punta di freccia. Punta foliata peduncolata; ritocco piatto diretto coprente e
inverso invadente.
Grattatoio frontale leggermente allungato.
Punta; ritocco parziale distale.
Quarzite fine.
Nucleo per l’ottenimento di lamelle
e piccole schegge, molto sfruttato; un
piano di percussione; distacchi paralleli
unipolari.
L conservata 3,7; l conservata 1,7;
S 0,7.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Selce.
Quarzite fine.
Elemento attribuibile genericamente ad
un periodo compreso tra il Paleolitico
superiore e l’Olocene.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Elemento attribuibile genericamente
ad un periodo compreso tra la fine del
Paleolitico e l’Olocene.
Epoca olocenica.
190
Punta di freccia. Punta foliata peduncolata; ritocco piatto bifacciale coprente.
Selce.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Epoca olocenica.
Selce.
Spigoli poco abrasi, pseudoritocchi assenti.
Elemento attribuibile genericamente ad
un periodo compreso tra il Paleolitico
superiore e l’Olocene.
191
Selce.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Litica.
1030. Manufatto ritoccato.
Litica.
1038. Manufatto ritoccato.
Litica.
1040. Manufatto ritoccato.
Litica.
1041. Manufatto ritoccato.
Litica.
1042. Manufatto ritoccato.
L 2,7; l 1,6; S 0,4.
L conservata 1,6; l 1; S 0,3.
L 2; l 1,7; S 0,6.
L 2,1; l 1,4; S 0,5.
L 1,5; l 0,9; S 0,2.
Punta di freccia. Punta foliata peduncolata; ritocco piatto bifacciale coprente.
Lama. Raschiatoio lungo su lamella
frammentaria di piccole dimensioni; ritocco unilaterale.
Punta di freccia. Punta foliata peduncolata; ritocco piatto bifacciale coprente.
Punta di freccia. Punta foliata peduncolata; ritocco piatto bifacciale coprente.
Troncatura obliqua sommaria su lamella frammentaria.
Selce.
Ossidiana.
Diaspro.
Selce.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Epoca olocenica.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Epoca olocenica.
Epoca olocenica.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Il pezzo è stato esposto al fuoco.
192
Epoca olocenica.
193
Ossidiana.
Spigoli poco abrasi, pseudoritocchi assenti.
Epoca olocenica.
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Litica.
1037. Manufatto ritoccato.
Litica.
1046. Manufatto ritoccato.
Litica.
1047. Manufatto non ritoccato.
Litica.
1135. Nucleo.
Litica.
1136. Manufatto ritoccato.
Litica.
1137. Manufatto ritoccato.
L 1; l 0,7; S 0,2.
L 1,5; l 0,8; S 0,2.
L 1,6; l 1; S 0,3.
L 2,5; l 1,7; S 1,6.
L 2,7; l 2,1; S 0,3.
L 1; l 1,2; S 0,6.
Raschiatoio laterale parziale su lamella
frammentaria.
Troncatura marginale su lamella.
Scheggia di piccole dimensioni.
Ossidiana.
Selce.
Spigoli poco abrasi, pseudoritocchi assenti.
Punta di freccia. Punta foliata peduncolata; ritocco coprente su una faccia,
con ampi distacchi e distacchi corti
sovrapposti; ritocco corto sulla faccia
opposta; supporto piatto, sagoma corta.
Grattatoio frontale corto a fronte molto convesso, tendente a circolare; supporto molto piccolo.
Spigoli poco abrasi, pseudoritocchi assenti.
Nucleo per l’estrazione di lamelle,
molto sfruttato; distacchi unipolari su
tutto il perimetro; piano di percussione liscio; l’ultimo ordine di distacchi si
arresta a tre quarti del pezzo, mentre i
distacchi precedenti ne interessano tutta la lunghezza.
Selce.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Diaspro.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Spigoli poco abrasi, pseudoritocchi assenti.
Epoca olocenica.
Elemento attribuibile genericamente ad
un periodo compreso tra il Paleolitico
superiore e l’Olocene.
[O.F.]
Ossidiana.
Spigoli poco abrasi, pseudoritocchi assenti.
Epoca olocenica.
Epoca olocenica.
Manufatto ascrivibile ad un periodo
compreso tra la fine del Paleolitico e
l’epoca olocenica.
194
195
Selce.
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Litica.
1043. Manufatto ritoccato.
1042
1034
1046
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
1137
1015
1030
1031
1135
1019
1033
1136
1028
1037
1041
1038
1020
1014
1040
1032
1036
1022
1026
1021
1029
1027
1013
1043
1023
1017
1047
1012
196
1016
197
L 10; l 6; S 0,8.
Parete di orcio con decorazione composta da due sinusoidi incise a pettine,
separate da una sagomatura in rilievo.
Maiolica arcaica.
3109. Frammento di tesa di catino.
L 4,4; l 3; S 1.
Tesa con orlo arrotondato e decorazione a tratti in bruno manganese verticali
e paralleli.
Impasto di colore arancio chiaro, duro,
poco depurato.
Impasto duro, depurato, di colore rosa. Smalto bianco, liscio e coprente sia
all’interno sia all’esterno.
Cfr. Uffizi 2007, pp. 368, 405, fr.
21.13.5. Per la classe si veda Amouric,
Richez, Vallauri 1999.
Cfr. Uffizi 2007, pp. 420, 423, fr.
22.2.4. Per la classe si vedano Palazzo
Pretorio 1978; Uffizi 2007.
XVII secolo.
Fine XIV secolo.
Ceramica ingubbiata e graffita
policroma a punta.
3110. Frammento di fondo di
scodella.
L 6,6; l 6,5; S 0,9-1,1; diam. piede 6.
Fondo concavo, decorato da larghe
pennellate gialle e brevi tratti verde
ramina, tra gli spazi di risulta di una
raggiera, all’interno di piccole “V” graffite. Cavetto distinto da tre graffiture
concentriche; sulla parete, linee curve
graffite.
Impasto duro, ben depurato, di colore
rosa scuro. Ingobbio giallo, interno ed
esterno, con vetrina trasparente interna
ed esterna.
Cfr. Wentkoswska 2007, p. 42, fr.
32, dove la datazione è più tarda per la
maggiore approssimazione nella decorazione. Per la classe si vedano Palazzo
Pretorio 1978; Palazzo dei Vescovi II
1985; Palazzo dei Vescovi II 1987; Berti
1997, II; Uffizi 2007; Wentkoswska
2007.
Maiolica arcaica.
3111. Frammento di ansa a
bastoncello.
l 6,4; S 1,7.
Ansa a bastoncello con decorazione superstite, molto deteriorata, comprendente campiture in verde ramina e righe in bruno manganese.
Impasto duro, ben depurato, di colore
rosa. Smalto sottile, coprente, di colore
grigiastro.
Cfr. Scheda 70 – 3001; Scheda 83 –
3024. Per la classe si vedano Palazzo
Pretorio 1978; Uffizi 2007.
XIV secolo.
Ceramica ingubbiata e dipinta.
3112. Frammento di bordo di piatto.
Ceramica invetriata.
3113. Presa a pomello di coperchio.
L 4,5; l 4; S 0,6; diam. bordo ricostruito 19.
l 1,5; S 0,5; diam. 3,5.
Bordo con orlo arrotondato e leggermente ingrossato; cavetto indistinto.
Decorazione in giallo ferraccia e verde scuro a cerchi concentrici in verde
sull’orlo e piccole tracce in giallo nel
cavetto.
Impasto di colore arancio, duro, depurato con sporadica polvere di calcite.
Ingobbio bianco, sottile e uniforme, sia
interno sia esterno. Vetrina giallina, interna ed esterna.
Cfr. Wentkoswska 2007, p. 47, fr.
42. Per la classe si vedano Palazzo
Pretorio 1978; Palazzo dei Vescovi II
1985; Palazzo dei Vescovi II 1987; Berti
1997, II; Uffizi 2007; Wentkoswska
2007.
XVIII-XIX secolo.
Metà del XV-XVI secolo.
198
199
Presa a pomello sagomato.
Impasto di colore arancio, duro, semidepurato con inclusi (<3 mm) e chamotte (<3 mm). Ingobbio chiaro sotto
vetrina scura, granulosa e coprente.
Cfr. Wentkoswska 2007, p. 25, fr. 10.
Per la classe si vedano Palazzo Pretorio
1978; Uffizi 2007.
XVIII-XIX secolo.
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Ceramica acroma semidepurata.
3108. Frammento di parete di orcio
lavorato a mano.
Maiolica alla porcellana.
3115. Frammento di parete di
piatto.
L 3; l 2,8; S 0,5; diam. bordo ricostruito 14,8.
L 4,3; l 3,3; S 0,8.
Bordo ad orlo arrotondato e rialzato di
un coperchio a disco schiacciato.
Impasto duro, depurato, con millimetrici inclusi di calcite (<3 mm). Vetrina
spessa, lucida, coprente ma granulosa.
Cfr. Uffizi 2007, p. 535, fr. 38.7.1.
Per la classe si vedano Palazzo Pretorio
1978; Uffizi 2007.
XVIII-XIX secolo.
Parete con tracce di decorazione consistente in una fascia dipinta in blu, con
punti in blu più scuro, attraversata da
linee ondulate blu; più in basso, due
sottili linee concentriche sempre in blu.
40 – Areale XXIX
Localizzazione Travalle, Villa Ganucci Cancellieri.
Contesto di ritrovamento
Fuori posto.
Contesto attuale Custodito all’interno della villa.
Descrizione Con una segnalazione effettuata alla SBAT da parte della famiglia Ganucci Cancellieri, è stata resa nota la presenza di un cippo sferoidale di arenaria, che si trovava all’interno della villa
da tempo immemorabile ed era stato utilizzato in passato come contrappeso per un bilanciere
per il travaso della piante di limoni (a conferma di ciò l’anello in ferro che è stato inserito
nella parte superiore del monumento).
Materiali
Periodo classico: cippo sferoidale di arenaria.
Grado affidabilità
-/3/-
Cronologia Periodo classico: anni finali del VI secolo a.C.
Interpretazione
Periodo classico: monumento sepolcrale.
Bibliografia
Filippi et alii 2006, p. 134; Baldini et alii 2007, p. 120; Baldini 2007-2008, pp. 244-248.
Impasto bianco, poroso, ben depurato.
Smalto bianco, coprente e lucido, conservato solo all’interno.
Cfr. Berti 1997, I, p. 277, fig. 12. Per
la classe si vedano Palazzo dei Vescovi II
1985; Palazzo dei Vescovi II 1987.
Fine del XV-inizi del XVI secolo.
[L.T.]
3112
3110
3114
200
201
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Ceramica invetriata.
3114. Frammento di bordo di
coperchio.
Scheda h 48,4; diam. base 46,1; diam. massimo 58.
Cippo sferoidale, con superficie inferiore piatta, priva di zeppa. Sulla parte sommitale, decorazione piuttosto
complessa, solo parzialmente leggibile a
causa del pessimo stato di conservazione: tra due listelli a rilievo concentrici,
fascia decorata con motivo ad onde con
la base rivolta in alto; nella parte apicale, tratti a rilievo riferibili o ad una serie
di baccellature o, più probabilmente,
ad una serie continua di palmette.
Stato di conservazione: nessun segno evidente di distacchi o fessurazioni tipiche
dei monumenti di arenaria locale sulla superficie. Sulla parte sommitale, interessata
dal partito decorativo, gravi e profonde
lesioni a causa della recente inserzione di
un perno con anello di ferro in sospensione, servito, fino ad anni recenti, a sollevare il cippo in funzione di contrappeso per
spostare i grandi vasi di limone nella serra
della Villa Ganucci-Cancellieri.
Bibliografia: Filippi et alii 2006, p. 134;
Baldini et alii 2007, p. 120; Baldini
2007-2008, pp. 245-248, n. 96.
Da un punto di vista tipologico, il monumento in esame rientra pienamente
nel tipo A della classificazione Magi-
Nicosia, trattandosi di un cippo sferoidale (Nicosia 1966a, p. 159). Questo
particolare tipo di cippo sembra piuttosto diffuso tra le produzioni delle “pietre
fiesolane”, sia nella redazione inornata
(Nicosia 1966a, p. 162, tav. XXII, d;
Curri, Nicosia, Marzi 1967, p. 275,
tav. XLIX, b) sia con decorazione a rilievo, limitata alla semplice sommità
(Magi 1932, p. 18, tav. XI, 3-5; Nicosia
1966a, p. 159) o su gran parte del supporto litico (Curri, Nicosia, Marzi
1967, pp. 274-275, fig. 3, p. 275, tav.
XLIX, a; Bruni 1998, p. 145, tav. 58;
Millemaci 1998-1999, pp. 156-157).
Bisogna tuttavia notare che questo tipo
di segnacolo sepolcrale non è esclusivo dell’area in esame, anzi le redazioni
più antiche sembrano quelle attestate
in area volterrana già nel Villanoviano,
come dimostrano i recuperi nelle necropoli della Guerruccia (Ghirardini
1898, col. 155) e delle Ripaie (Cateni
1981, p. 194, tav. LII, d; Millemaci
1998-1999, p. 158, tav. LXVII, 1-2). Da
quest’ultima necropoli, ma purtroppo privo del contesto di ritrovamento,
proviene l’esemplare iscritto di Velθur
Tusnutina, ritenuto il più antico documento epigrafico di Volterra (600 a.C.
circa) (Cristofani 1973b, pp. 282-284;
Cristofani, Maggiani 1975) e che mostra, nell’impianto formale e della tettonica decorativa, notevoli vicinanze con
il cippo in esame (Cateni 2005, p. 66,
n. 5). Recenti studi hanno proposto di
vedere, tra la fine del VII e i primi anni
del VI secolo a.C., il passaggio del tipo
202
dalle necropoli volterrane al territorio pisano, probabilmente con la mediazione
della Valdera (Bruni 1998, p. 145, tav.
56), e alla zona di Vetulonia, per conoscere successivamente una certa fortuna
anche in ambiente populoniese e orvietano. Per quanto concerne la zona transappenninica il tipo al momento è attestato tra la fine del VI e i primi anni del
V secolo a.C. a Marzabotto e a Felsina,
anche se, in questo caso, la mediazione
sembra quella dei centri dell’Etruria costiera centro-settentrionale, Vetulonia
e, in particolar modo, Pisa (Millemaci
1998-1999, pp. 160-161).
Complessa è la lettura della decorazione:
infatti, mentre la fascia inferiore è occupata interamente da una serie di onde
con la base rivolta in alto, motivo piuttosto insolito tra le pietre fiesolane, ma già
attestato sulla stele di Travignoli (Magi
1932, pp. 17-18, tav. XI, 1; Pizzirani
2005, p. 263, fig. 15 p. 262) e sul frammento di altare proveniente da Fiesole,
già della Collezione Bacci (Bruni 2002,
p. 305, nota 110, fig. 7 p. 306), la decorazione della parte apicale non è assolutamente definita: in particolar modo
non è chiaro se si tratti di baccellature
o di una serie di palmette capovolte. Se
è frequente la presenza di palmette sulle
stele fiesolane, soprattutto sugli anthemia (Magi 1932, pp. 29-30), più rara è
sui cippi di tipo sferoidale, laddove si può
trovare anche la decorazione a rosone a
sei petali realizzata a compasso con archi
di circonferenza isoradiali due a due convergenti (cippo di Papiniano: ibidem, p.
33, tav. XI, 3), la guilloche o i fiori di loto
aperti dritti e capovolti alternativamente
(cippo di Barberino di Mugello: Curri,
Nicosia, Marzi 1967, p. 275), anche se
più spesso il supporto litico è inornato.
Decisamente interessante è la ricorrenza
della palmetta sul cippo di Barberino di
Mugello, soprattutto perché si trova nella
stessa posizione sommitale come nel monumento in esame. Tuttavia la recente
pubblicazione di un ritrovamento degli
anni Ottanta del secolo scorso permette
di guardare, per il nostro pezzo, anche
in una diversa direzione. In un articolo
sui cinerari di marmo di periodo arcaico
ritrovati a Pisa, Maggiani ha pubblicato
un cinerario frammentario, con relativo
coperchio, al centro del quale si legge,
anche se la superficie è fortemente abrasa, una decorazione costituta da un rosone, una Blütenknospenkreuz, «motivo
tipicamente sud-ionico, corrente nella
ornamentazione soprattutto di superfici
circolari» (Maggiani 1993, p. 35, fig. 1;
Maggiani 2004a, p. 156, fig. 6 p. 175).
Il confronto risulta interessante non tanto per l’identità della decorazione (nel
coperchio da La Figuretta costituito da
bocci e fiori di loto, sul cippo da palmette), quanto per la posizione, in entrambi
i casi sulla parte sommitale racchiuso da
un listello a rilievo, così come del resto
accade anche sul cippo da Barberino di
Mugello (palmetta) e sul coperchio marmoreo di pozzo, o, più probabilmente,
di cinerario, recuperato nella necropoli
di San Cerbone, in cui al posto delle palmette o dei fiori di loto è presente una
ricca decorazione di fiori di loto bilobati
alternati ad una melograna, chiaro simbolo di rinascita (Romualdi 2004, pp.
190-191, fig. 13 p. 204, in particolare
nota 51).
A questo punto forse si può tentare di
inquadrare il pezzo, recuperando il significato più profondo sotteso alla rappresentazione. La decorazione ad onde correnti, sconosciuta in ambito greco come
rappresentazione mimetica del mare,
acquista sul finire del terzo quarto del VI
secolo a.C. una propria valenza semantica, rappresentando «la condizione ontologica dell’alterità della morte», non il
luogo geografico in cui viene effettuato
il viaggio (Pizzirani 2005, p. 264). Tale
valenza, ancora non codificata nelle “pietre fiesolane”, troverà ampia decodificazione nelle stele felsinee di V secolo a.C.,
dove il significato soterico sarà rafforzato
anche dalla presenza dionisiaca di edera e vite (ibidem, p. 264) e dalle scene
più specificatamente legate al mondo
catactonio, influenzate dalla presenza e
dall’ideologia escatologica greca mediata da Spina (Sassatelli 1989, p. 935).
A questo riguardo particolare interesse
riveste la presenza di una porta scolpita
su una stele proveniente dalla tomba 57
del sepolcreto De Luca (cat. 16: ibidem,
p. 935), dove la porta può rappresentare
sia il momento liminare di passaggio tra
il mondo dei vivi e quello dei morti sia
la rappresentazione ex absentia del morto
stesso, come avviene nelle tombe tarquiniesi (D’Agostino 1999, p. 29). Questa
stele, un unicum nell’ambito delle ste-
203
le felsinee, è databile tra il 480 e il 460
a.C. ed è ancora legata alla tradizione
etrusca tardo-arcaica, così come si trova
nelle tombe dipinte tarquiniesi, mentre
la prima rappresentazione di “spirali ad
onde” si trova sulla stele Ducati 182 ed
è databile alla metà del V secolo a.C.
(Sassatelli 1989, p. 935).
In questa ottica si può pensare che il
cippo in esame non esibisca semplicemente una decorazione accessoria, ma
utilizzi il linguaggio delle immagini per
veicolare un messaggio: il cippo rappresenta il sema nella sua accezione più
profonda, identificandosi con il morto
stesso, indicando il passaggio tra le due
sfere, quella dei vivi e quella dei morti,
in maniera non dissimile dal più recente cippo a clava marmoreo proveniente
dall’area di via Gello (Bruni 1998, pp.
150-151; Fabiani 1999, p. 14).
In base a queste considerazioni, al fatto
che il cippo in esame sembra risentire di
modelli decorativi diffusi nell’Etruria costiera centro-settentrionale nel terzo venticinquennio del VI secolo a.C. e attesta
un tipo di linguaggio semantico poco
diffuso in ambiente funerario dell’Etruria settentrionale in periodo tardo-arcaico – ma che troverà ampia eco in ambiente felsineo dalla metà del V secolo
a.C. –, il monumento sepolcrale si può
datare agli anni finali del VI secolo a.C.
Produzione locale, anni finali del VI secolo a.C.
[G.B.]
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Monumento sepolcrale.
2108. Cippo sferoidale di arenaria
(pietra serena).
41 – Areale XXXI
Scheda 42 – Areale XXXII
Localizzazione Poggio all’Aia, Monte Morello.
Localizzazione
La Chiusa.
Contesto di ritrovamento
Boschivo.
Contesto di ritrovamento
Urbanizzato.
Contesto attuale
Boschivo.
Contesto attuale Urbanizzato.
Descrizione
La raccolta dei materiali è avvenuta in due diversi punti: sia sulla sommità sia sulle pendici
circostanti, in località Poggio all’Aia, corrispondente ad una delle tre vette del massiccio di
Monte Morello.
Descrizione
Materiali
Periodo classico: 74 frr. ceramici, 8 frr. laterizi, 1 fr. osseo non id.
Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0054.
Grado affidabilità
-/3/-
Cronologia Periodo classico: periodo ellenistico.
Interpretazione
Periodo classico: grazie alla sua posizione, su un’altura dominante la piana, il sito doveva avere sicuramente una funzione importante per il territorio. Se analizziamo i rinvenimenti ceramici e le notizie bibliografiche, possiamo ipotizzare una sua frequentazione come oppidum
in periodo ellenistico, ma con probabile frequentazione anche nella facies arcaica. Valutando
piuttosto la sua posizione geografica, dominante sulla piana e sul limes di confine del territorio fiesolano, non si esclude neanche l’ipotesi che possa trattarsi di un luogo di culto.
Fonti di archivio
Archivio GAF1.
Bibliografia
Carta Archeologica 1995, p. 14; Filippi et alii 2006, p. 134; Baldini et alii 2007, p. 119;
Baldini 2007-2008, pp. 264-267.
204
Nel borgo de La Chiusa, lungo la strada provinciale diretta a Davanzanello, si trovava un elemento architettonico di marmo interpretato come mensola e caratterizzato da una massiccia
voluta stilizzata, sormontata da un semplice piano di posa. Rinvenuto murato come paracarro in un edificio moderno, il manufatto è stato rimosso ed ora si trova conservato all’interno
del Museo del Figurino Storico, nel castello di Calenzano.
Grado affidabilità
-/5/-
Cronologia Incerta.
Interpretazione
Mensola architettonica.
205
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda 43 – Areale XXXIII
Scheda 44 – Areale XXIX
Localizzazione La Chiusa.
Localizzazione Travalle (SEPMED).
Contesto di ritrovamento
Boschivo.
Contesto di ritrovamento
Campo arato.
Contesto attuale Boschivo (sponda fluviale).
Contesto attuale Campo arato.
Descrizione Durante gli scavi della villa romana di Travalle (Scheda 45) sono venuti alla luce i resti di un
sepolcreto medievale. Sono stati rinvenuti moltissimi reperti di inumati e anche alcuni reperti
ceramici.
Materiali
I resti ossei sono attualmente conservati presso il Laboratorio di Archeoantropologia della
SBAT. Dall’elenco consegnato alla Soprintendenza, però, i reperti sembrano appartenere a
periodi diversi e la presenza di maiolica, invetriata e figlinese non sembra concordare con una
cronologia altomedievale del sito.
Periodo post-classico: 33 frr. ceramici, 4 frr. vitrei, 58 contenitori con reperti ossei, 408 frr.
ossei.
Cfr. schede di precatalogazione (cassetta) GNF-PO 05 0025/35.
Grado affidabilità
-/-/4
Cronologia Periodo post-classico: imprecisabile.
Interpretazione
Periodo post-classico: sicuramente era presente un sepolcreto, ma, data la mancanza di foto,
piante e materiali, non è possibile attribuire con certezza né le strutture murarie rinvenute né
i materiali recuperati ad un preciso arco cronologico.
Responsabile
SBAT (impresa esecutrice Cooperativa Archeologia).
Anno di scavo
1988.
Bibliografia
Lamberini 1987, I, p. 81; Carta Archeologica 1995, pp. 15-16.
Descrizione
Lungo l’argine destro del torrente Marina, a Sud del sito di Montedomini, La Chiusa (Scheda
36), in corrispondenza del punto in cui nel torrente confluisce il Marinella, sono visibili i
resti di una struttura muraria, visibile in sezione e in parte collassata su sé stessa, costituita da
pietre calcaree legate a malta e con uno spessore ipotetico di circa 80 cm.
Grado affidabilità
Cronologia
Interpretazione
-/4/
Indeterminabile.
Struttura muraria non meglio identificabile.
206
207
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda 45 – Areale XXIX
Localizzazione Travalle, Podere Montisi (TR IV) (villa romana).
Contesto di ritrovamento
Campo arato.
Contesto attuale Campo arato, vigneto.
Descrizione L’area si trova in una zona pianeggiante, coltivata a seminativo e vigneto, tra il Poggio
Uccellaia e il giardino della villa di Travalle. Il campo oggetto delle ricerche si trova nei possedimenti della chiesa di S. Maria a Travalle, a Sud-Est rispetto alla villa di Travalle, oggi di
proprietà della famiglia Ganucci Cancellieri. A seguito di lavori per la messa in opera di tubature lungo la via di Travalle, furono rinvenuti materiali e alcune strutture in muratura, tra cui
una vasca in cocciopesto. In un’altra porzione dello scavo furono rinvenute della sepolture a
fossa semplice o rivestita, da mettere in relazione con la chiesa di S. Bartolo (Scheda 44). Al
di sotto del sepolcreto emersero alcuni resti di murature di periodo romano, con pavimenti
realizzati in opus caementicium. Le ricognizioni del GAF, ripetute durante gli anni, hanno restituito numerosissimi frammenti di ceramica e litica attribuibili a un vastissimo arco cronologico, dalla Preistoria ai secoli dell’età moderna, ma attualmente non sono visibili strutture
in elevato di alcun tipo, se non quelle che appartengono ad una casa colonica di età moderna.
Materiali
Durante le ricognizioni del GAF sono stati recuperati materiali preistorici e una quarantina
di frammenti ceramici attribuibili al basso Medioevo e ai secoli successivi: dieci frammenti
di maiolica arcaica tarda, per lo più forme aperte, numerosi frammenti di orci, tre soli frammenti di maiolica di Montelupo, anch’essi attribuibili a forme aperte, quattro frammenti di
italo-moresca, uno di zaffera a rilievo e uno di un piatto di maiolica decorata in azzurro con
la raffigurazione di quella che sembra una chiesetta. Ci sono poi diversi frammenti di ingubbiata e graffita e di invetriata.
Periodo preistorico: circa 150 manufatti litici, sporadici frr. ceramici raccolti in superficie.
Periodo classico: periodo ellenistico: 3 frr. ceramici; periodo romano imperiale: 266 frr. ceramici, 6 frr. metallici, 21 frr. opus latericium, 24 frr. altro; periodo tardo-antico: 7 frr. ceramici.
Periodo post-classico: 41 frr. ceramici.
Cfr. schede di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0028, GNF-PO 05 0025/35.
Grado affidabilità
3/4/3
Cronologia Periodo preistorico: Olocene, forse Neo-Eneolitico.
Periodo classico: occupazione ininterrotta dal periodo tardo-ellenistico fino alla tarda antichità.
Periodo post-classico: il materiale è riferibile ad un arco cronologico compreso tra il XIV e il
XVII secolo.
Interpretazione
Periodo preistorico: l’industria litica comprende pezzi perlopiù generici, ma molti sono di dimensioni medio-piccole e frequentemente laminari o tendenti a laminari; tra i pochi ritoccati, da notare è un trapezio. I frammenti ceramici sono ridotti a poche unità non diagnostiche.
Un’attribuzione più cauta si potrebbe limitare ad indicare genericamente l’epoca olocenica,
ma forse è possibile restringere, ipoteticamente, il segmento cronologico al Neo-Eneolitico,
anche per la vicinanza all’area di Podere Chiudente (Scheda 39), molto più ricca di ritrovamenti.
Periodo classico: il sito, dal punto di vista interpretativo, si presenta come una delle realtà
208
più complesse della zona, perché si tratta di un’area abitata senza soluzione di continuità dal
periodo preistorico fino al Medioevo. Sembra chiaro che, per il periodo romano, si possa
trattare di una villa composta da una pars urbana, a cui andranno riferiti gli ambienti pavimentati e decorati con tessere in pasta vitrea e gli ambienti riscaldati, di cui restano come
testimonianza i frammenti di tubuli, e una pars rustica, produttiva, come sembra suggerire la
presenza della vasca rivestita di cocciopesto, interpretata dagli archeologi come una fullonica.
La presenza delle ceramiche di produzione africana testimonia che la villa fu abitata anche
in periodo medio e tardo-imperiale, fino al tardo-antico, come testimoniano i rinvenimenti
ceramici. Dei resti trovati nella parte Nord-Est del campo purtroppo non è possibile dare una
lettura precisa, ma ragionevolmente vanno messi in relazione con le strutture sopra elencate.
Periodo post-classico: la presenza di numerose coloniche di epoca medievale non può che
confermare l’intensa frequentazione di questa zona agricola per tutta l’epoca moderna.
Fonti di archivio
Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 7, 1961-1970, Calenzano, prot. 1470 del 1970; pos. 9 Firenze
3, 1991-2000, Calenzano, prot. 18095 del 1998; pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano
prot. 500 del 2002. Archivio Cooperativa Archeologia1. Archivio GAF.
Responsabile
SBAT (impresa esecutrice Cooperativa Archeologia).
Anno di scavo
1988.
Bibliografia
Lamberini 1987, I, p. 81; Carta Archeologica 1995, pp. 15-16 (Travalle – nn. 22 e 23 – e
Podere Montisi); Baldini et alii 2007, p. 119; Baldini 2007-2008, pp. 225-235.
1
Relazione dello scavo effettuato nel 1988. I materiali corrispondono alle cassette GNF-PO-050025/35.
209
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda
L conservata 2,8; l 2,9; S 0,6.
Frammento di manufatto in pietra levigata di difficile interpretazione; forma
piatta e apparentemente allungata.
Ceramica.
1050. Frammento di parete di forma
non determinabile.
L 3,5; l 2,9; S 2,1.
Litica.
1131. Manufatto ritoccato.
L 1,8; l 0,9; S 0,3.
Ceramica da mensa.
2101. Frammento di orlo di coppa
di terra sigillata italica.
L 2,9; l 2,7; S orlo 0,4; S parete 0,6.
Pietra verde.
Frammento di parete con orlo e attacco
d’ansa (o presa) impostata immediatamente al di sotto dell’orlo; orlo diritto
con bordo rastremato.
Strumento geometrico: trapezio con ritocco accurato bitrasversale erto e ritocco complementare semplice tendente a
piatto sui due margini laterali; lavorazione accurata.
Orlo verticale, appena rientrante, superiormente assottigliato e appiattito;
carena arrotondata; all’interno, sotto
l’orlo, una solcatura.
Epoca olocenica.
Impasto grossolano.
Selce.
Epoca olocenica.
Impasto tipo TSI 1; vernice tipo VeSI
1.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
L’elemento potrebbe indicare un periodo compreso tra il Mesolitico e il
Neolitico.
[O.F.]
1049
1050
210
1131
Stato di conservazione: vernice ben
aderente e uniforme; fratture antiche a
spigoli netti.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, p.
229, n. 90.
Il frammento, pur essendo di dimensioni ridotte, può essere avvicinato alla forma Conspectus 4.6.2 (Conspectus
1990, p. 58), che in base alle concordanze corrisponde alla forma VI, varietà 12 di Pucci (Pucci 1985, p. 381,
tav. CXVI, 12) e alla 30 di Goudineau
(Goudineau 1968, pp. 300-301),
molto diffusa e prodotta dalle officine d’Etruria, Campania e della Valle
Padana per un periodo piuttosto lungo.
Il nostro esemplare non presenta decorazioni applicate à la barbotine.
La forma, piuttosto comune in periodo
tiberio-claudio, trova confronti stringenti sia in ambito regionale, come
ad Isola di Migliarino (Menchelli,
Vaggioli 1988, p. 100, n. 9.2), a
Pistoia, nell’antico Palazzo dei Vescovi
(Degl’Innocenti 1987, p. 146, n.
629) o Torrita di Siena (Mascione
1992, p. 106, n. 51, tav. XXXVIII),
dove è attestata in contesti della prima età imperiale in centri distanti,
come nell’Etruria interna a Bolsena,
lungo la costa tirrenica sia a Nord, a
Luni (Lavizzari Pedrazzini 1977,
p. 134, CM 5835/2, tav. 96, 8), sia a
Sud, a Cosa (Marabini Moevs 2007,
p. 55, AB25.11, tav. 24), o in centri
del versante adriatico, come a Ordona
(Vanderhoeven 1988, p. 152, n. 191),
ad ulteriore dimostrazione della fortuna e della diffusione di questa forma in
ambito italico.
Tra i molteplici confronti, non sarà
inutile citare anche il frammento recuperato nella vicina Fiesole nello scavo di
via Marini-via Portigiani (Squarzanti
1990, p. 145, n. 33, p. 359 tav. 14: in
questa sede il frammento, identico al
nostro, è avvicinato dubitativamente
alla forma Goudineau 19. L’incertezza,
che data l’esiguità dei frammenti non è
superabile, è solo apparente, in quanto sia la Goudineau 19 sia la 30 sono
comprese nella Conspectus 4).
Probabile produzione pisana, età tiberio-claudia.
211
Ceramica da mensa.
2102. Frammento di orlo di piattovassoio di terra sigillata chiara.
L 5,3; l 3,2; S orlo 0,7; S parete 0,4;
diam. orlo ricostruito 20,6.
Orlo sagomato e pendente, caratterizzato da due gradini, con bordo ingrossato
e arrotondato, percorso superiormente
da un profonda solcatura.
Impasto tipo TSC 4.
Stato di conservazione: vernice quasi del
tutto perduta, fratture a margini piuttosto arrotondati; ampie scheggiature.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp.
230-231, n. 91.
È possibile attribuire il frammento alla produzione della terra sigillata chiara, tipo D1, ed in particolare alla forma
Atlante I tav. XLVIII, 14, corrispondente alla 67 di Hayes (Hayes 1972,
pp. 112-116), e alla 42 di Lamboglia
(Lamboglia 1963, pp. 192-193). Tutte
queste classificazioni sono state recentemente rivisitate da Bonifay che ha ridefinito ateliers e produzioni e ha proposto
una nuova classificazione, in base alla
quale la forma Hayes 67 corrisponde alla “sigillata tipo 42” (Bonifay 2004, pp.
171-173). In particolare, la porzione del
piatto in esame dovrebbe appartenere
alla variante C, datata, sulla base del profilo dell’orlo, a partire dalla metà del V
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Litica.
1049. Manufatto in pietra levigata.
Metà del V secolo d.C.
Ceramica da fuoco.
2103. Porzione di orlo e parete di
casseruola di ceramica africana da
cucina “a patina cenerognola”.
L 5,9; l 3,9; S orlo 1,2; S parete 0,6;
diam. orlo ricostruito 20,6.
Orlo ingrossato, attaccato alla parete,
con bordo esternamente segnato da
una leggera profilatura e internamente
caratterizzato da una profonda scanalatura tesa a creare l’alloggio per il coperchio. Sulla superficie interna, segni
lasciati dal tornio; all’esterno caratteristica colorazione grigio-fumo.
Impasto tipo CAC 2.
Stato di conservazione: porzione ricomposta da due frammenti; fratture a margini netti e vivi.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp.
231-233, n. 92.
Il frammento è da inserire nell’ampia
casistica della forma Hayes 197 (Hayes
1972, p. 209, n. 24), e, più nello specifico e con leggere differenze morfologiche, trova corrispondenze con Ostia
(Carandini 1973, p. 412, tav. XXXVII,
fig. 267), corrispondente alla forma
Atlante I, tav. CVII, 6 (Carandini et
alii 1981, pp. 218-219). Anche il recente riesame della forma proposto
da Bonifay, che inserisce la casseruola in esame tra la “ceramica da cucina
212
(C/A)” come tipo 10, non sembra portare sostanziali modifiche cronologiche
e tipologiche (Bonifay 2004, p. 225,
fig. 120, 7).
La forma è tra le più diffuse in ambito italico nel periodo compreso tra la
prima metà del II secolo d.C. e gli anni
compresi tra la fine del IV e gli inizi del
V secolo d.C.
Anche il territorio lungo il corso
dell’Arno era interessato dall’afflusso di
tali merci, come testimoniano Fiesole
(Bianchi 1990, p. 220, n. 5, tav. 50
p. 395), Florentia, Calenzano e, più
nell’interno, Larciano (Fabbri 1997,
p. 59, n. 10, fig. 6) e Monsummano
Terme, località Pozzarello (Fabbri
2000, p. 292, nota 160, fig. 16, 7). Di
particolare rilievo i ritrovamenti nel
centro di Volterra (Cristofani 1973a,
p. 45, n. 34, fig. 36) e di Siena (inv.
SA200, tipo 3. 21: Cantini 2005, p.
66, tav. 4 p. 71).
Seconda metà del IV secolo d.C.
Ceramica da fuoco.
2104. Frammento di orlo e parete
di piatto-coperchio di ceramica
africana da cucina “ad orli anneriti”.
L 4,7; l 4,5; S orlo 1; S parete 0,7;
diam. orlo ricostruito 41.
Parete emisferica, fortemente ribassata;
orlo pendente e ripiegato, vistosamente
ingrossato. Sulla superficie interna, in
corrispondenza dell’orlo, la pigmentazione arancio acquista un colore grigio,
tipico della ceramica africana da cucina
“ad orli anneriti”.
Impasto tipo CAC 1.
Stato di conservazione: superficie originaria in buona parte conservata, fratture
antiche con margini netti, anche se con
ampie scheggiature.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp.
233-234, n. 93.
Il frammento, anche in base alle dimensioni del diametro, è vicino alla forma
I degli orli anneriti della tipologia di
Carandini (Carandini 1968, p. 87, tav.
XII, fig. 262), considerata un tipico prodotto della ceramica da cucina africana
attestato dalla fine del I secolo d.C. fino agli inizi del V secolo d.C.; nel suo
lungo sviluppo, è caratterizzato da un
progressivo ispessimento dell’orlo. La
doppia funzione di piatto-coperchio è
evidenziata dal piede ad anello, ma spesso il fondo è semplicemente a profilo
concavo. In rarissimi casi si può trovare
la presa a disco o a bottone che, evidentemente, ne esclude la funzione di piatto
(Gandolfi 1994, p. 151). Recentemente
i coperchi “ad orli anneriti” e le casseruole “a patina cenerognola” sono stati
raggruppati in una unica produzione,
vicina alla sigillata chiara A, cioè la “ceramica da cucina C/A”, produzione localizzata nel Nord della Tunisia (Bonifay
2004, pp. 221-225).
Il tipo è tra le forme più prodotte ed
esportate insieme alle casseruole “a patina cenerognola”: tra i centri gravitanti
nel bacino dell’Arno, vanno menzionati i ritrovamenti nel centro di Florentia
(inv. 38, tipo 8. 3. 6: Cantini 2007, p.
214, tav. X p. 273, considerato come
residuale in uno strato di VI secolo d.C.
ma datato tra l’età severiana e la fine del
IV-inizi del V secolo d.C.), e a Pistoia
(Degl’Innocenti 1987, n. 992 p. 187);
nella Valdinievole a Monsummano
Terme, loc. Pozzarello (Fabbri 2000,
p. 292, fig. 16, 9). Pur essendo presenti
frammenti di piatto-coperchio, il tipo
Ostia I fig. 262 non è attestato a Fiesole
tra i materiali noti.
In base ai materiali “contestuali” recuperati nelle ricognizioni, al notevole
spessore dell’orlo e alle datazioni generalmente proposte per gli altri esemplari
trovati in regione, il frammento in esame può essere verosimilmente collocato
nella seconda metà del IV secolo d.C.
[G.B.]
213
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
secolo d.C. (ibidem, p. 173).
I centri di produzione della sigillata chiara D vanno individuati nella Tunisia
settentrionale (Pheradi Maiu, Oudna,
Enchir el-Biar) da cui, attraverso il porto di Cartagine, venivano distribuiti nel
Mediterraneo, sulla costa atlantica e sul
Mar Nero (Gandolfi 1994, p. 137). Per
ciò che concerne la forma in esame, la
zona di produzione è senza dubbio la
parte Nord della Tunisia, con il centro
di El Mahrine tra i principali protagonisti (Bonifay 2004, p. 171).
In ambito regionale tale piatto, nelle
tre varianti, è attestato, in particolar
modo, nei centri della costa e anche
nei centri dell’interno. Tra i centri lungo il corso dell’Arno andrà ricordata
Fiesole (Palermo 1990, p. 155, nn. 22,
23, tavv. 17-18), e, sul percorso della
Cassia, Pistoia (Degl’Innocenti 1987,
pp. 43, n. 222; 183, n. 971, trovato
come residuale in strati tardi); più problematiche le attestazioni nel centro di
Siena (Cantini 2005, pp. 63-65).
Il rinvenimento di Travalle-Podere
Montisi, proprio in virtù della sua posizione nella valle dell’Arno lungo la
Cassia, dimostra come, ancora nella
prima metà del V secolo d.C., questo
territorio fosse ricettivo nei confronti
di un commercio transmarino, evidenziando ancora una certa vivacità.
46 – Areale XXXIV
Localizzazione La Chiusa, via Barberinese.
Contesto di ritrovamento
Urbanizzato, scavo archeologico.
Contesto attuale Urbanizzato.
Descrizione Ceramica invetriata “slip ware”.
3123. Frammento di ansa di
boccale.
2101
l 10,2; diam. 2.
Ansa con decorazione ottenuta con
schizzi d’ingobbio giallino sotto l’invetriatura.
2102
Impasto arancio, duro, depurato.
Vetrina spessa, trasparente e uniforme.
Per la classe si veda Uffizi 2007, pp.
539-543.
XIX secolo.
2103
2104
Lungo la via Barberinese emergono diverse tracce del condotto dell’acquedotto romano,
localizzato sia al di sotto dell’attuale percorso dell’autostrada A1 che nella frazione de La
Chiusa. Una parte del tratto è visibile in un taglio del banco roccioso direttamente sovrastante l’attuale percorso viario; un secondo tratto del tracciato è interrato ed è identificabile solo
da ricognizioni superficiali e alloggiato in una struttura realizzata in opus caementicium.
Nel 2011, in occasione di lavori relativi al tracciato autostradale dell’A1, sono state effettuate dalla SBAT delle indagini
stratigrafiche lungo la via Barberinese, nel pianoro compreso tra l’abitato de La Chiusa e lo
speco dell’acquedotto; per il contesto archeologico messo in luce, da riferire ancora una volta
al progetto di realizzazione dell’acquedotto, si veda Magno supra.
Materiali
Periodo classico: 13 frr.
Grado affidabilità
-/5/-
Cronologia Periodo classico: fine del I-II secolo d.C.
Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0063.
Interpretazione
Periodo classico: il condotto, riferibile alla struttura dell’acquedotto, individuato in più tratti
sia dalle ricognizioni attuali sia dalle ricognizioni del 1989, sembra avere origine dall’area della
frazione de La Chiusa, che si può verosimilmente ritenere la piscina limaria, ovvero il luogo dove le acque del torrente Marinella venivano raccolte, decantate dalle impurità e poi convogliate
nel condotto. Ciò appare rafforzato anche dalla conformazione geologica del luogo e, dato non
meno importante, dal toponimo stesso. Nel tratto successivo – in direzione di Sesto Fiorentino
– l’acquedotto poteva scorrere in corrispondenza di San Donato, all’interno di un cunicolo sotterraneo, anche se sembra forse più plausibile, in base ai dati emersi dalle ricognizioni di superficie, che il percorso disegnasse il perimetro del colle rimanendo a livello del terreno, compiendo
sicuramente un tragitto più lungo, ma di minor complessità dal punto di vista tecnico.
Fonti Cartografiche
Chiostri 2002.
Fonti di archivio
Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 7, 1961-1970, Calenzano, prot. 2165 del 4 luglio 1969; pos.
9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano; pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano, prot. 22599
del 2004 (si veda Sheda 12 nota 1). Archivio GAF.
Responsabile
SBAT (impresa esecutrice SACI).
Anno di scavo
2011.
Bibliografia
Lamberini 1987, I, pp. 26-27; Carta Archeologica 1995, p. 14; Chiostri 20021 con bibliografia; Bigagli 2006, p. 100; Filippi et alii 2006, p. 136; Baldini 2007-2008, pp. 248-251.
[L.T.]
1
214
Con lo stesso numero di protocollo, dichiarazione di importante interesse archeologico per l’acquedotto romano.
215
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda
Ipotesi di invaso della chiusa.
47 – Areale XXXV
Localizzazione Valigari (VALIGA).
Contesto di ritrovamento
Campo arato.
Contesto attuale Oliveto.
Descrizione Raccolta di superficie effettuata mediante ricognizione dal GAF nel 1993.
Materiali Per il periodo classico si tratta di pochi frammenti ceramici, peraltro non precisamente inquadrabili cronologicamente. Per quanto riguarda il Medioevo si tratta di soli 6 frammenti,
di cui uno attribuibile a una ciotola in maiolica arcaica e uno ad un boccale in maiolica di età
moderna.
Periodo classico: 33 frr. ceramici; 19 frr. opus latericium.
Periodo post-classico: 4 frr. ceramici, 1 fr. vitreo, 1 fr. metallico.
Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0013.
Grado affidabilità -/1/1
Cronologia Periodo classico: periodo romano.
Periodo post-classico: XIV-XVIII secolo.
Interpretazione
Periodo classico: l’esiguità del materiale, difficilmente inquadrabile, non consente di determinare la tipologia dell’insediamento, anche se è ipotizzabile un abitato di tipo rurale.
Periodo post-classico: la presenza di due frammenti di ceramica ingubbiata e graffita testimonia la sovrapposizione di un centro poderale di età moderna.
Legenda
invaso
acquedotto
216
217
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
L’aquedotto romano tagliato dalla
via Barberinese.
Scheda
48 – Areale XXXVI
Localizzazione Poggio Uccellaia.
Contesto di ritrovamento
Boschivo.
Contesto attuale Boschivo, scavo archeologico.
Descrizione Sommità della più occidentale delle colline che separano Travalle dalla Val di Marina, coperta
da un fitto bosco ceduo misto a cipressi. Il sito è localizzato su un rilievo collinare sulla cui
sommità erano visibili i resti crollati di una struttura a pianta rettangolare, con due aperture
rispettivamente sui lati Nord ed Est, che è stata identificata con una torre, costruita in blocchi
di calcare alberese sbozzati a squadro, secondo una tipologia muraria attribuibile al XII secolo.
Successivamente interessata da numerosi interventi di distruzione e ricostruzione, fino al XX
secolo, la struttura fu oggetto di rimaneggiamenti durante la seconda guerra mondiale. Questa
torre è inserita in un’area racchiusa da terrapieni di forma ellittica che sembrano indicare la presenza di una doppia cortina muraria a protezione dell’insediamento, ipotesi del resto confermata dal rinvenimento, in alcuni punti, delle creste rase delle mura perimetrali dell’insediamento.
Maiolica arcaica.
3093. Frammento di fondo di
ciotola.
Maiolica di Montelupo.
3094. Frammento di fondo di
boccale.
ata da un tratto rettilineo orizzontale
bruno manganese.
L 0,5; S 0,9-1.
L 4,3; S 1-1,7; diam. piede ricostruito
11,8.
Impasto duro, rosato, con rari inclusi di
chamotte (<3mm). All’interno, smaltatura sottile e non uniforme, di colore
bianco scuro.
Materiali
Cfr. Palazzo Pretorio 1978, p. 188, fr.
997; Palazzo dei Vescovi II 1987, pp.
610 e 618, fr. 3328; Wentkoswska
2007, p. 36, fr. 29. Per la classe si vedano Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo
dei Vescovi II 1987.
Prima dello scavo archeologico i rinvenimenti dei materiali provenivano esclusivamente dalle
ricognizioni effettuate nel bosco con lo scopo di circoscrivere il più possibile l’area di pertinenza della torre. L’orizzonte cronologico dei materiali rinvenuti durante lo scavo (ceramica
e scarsi reperti metallici e frammenti vitrei) sembra corrispondere a quello suggerito dalle
fonti documentarie e dall’analisi delle strutture murarie, compreso tra il XII e il XIV secolo.
Periodo classico: 28 frr. ceramici.
Periodo post-classico: circa 500 frr.
Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0055.
XVI secolo.
Grado affidabilità
-/3/5
Cronologia Periodo classico e post-classico: dal periodo romano con continuità di vita fino al XII-XIV
secolo per quanto riguarda la frequentazione vera e propria del sito. Interventi e rimaneggiamenti delle strutture nel XIX e XX secolo.
Fondo di ciotola.
Impasto depurato, di colore rosa scuro,
con piccoli e sporadici inclusi (0,3 mm)
di colore scuro. All’interno, smalto di
colore verde ramina molto deteriorato;
all’esterno, tracce di smalto bianco scuro, deteriorato e tendente al giallo.
Per la classe si vedano Palazzo Pretorio
1978; Uffizi 2007.
Fondo assottigliato verso l’esterno, con
una curvatura a “U” accentuata e continua a partire dalla parete, e attacco di
parete. Decorazione consistente in un
intreccio di linee pennellate arancio,
giallo, verde e soprattutto azzurro su
fondo di colore giallo molto chiaro, attraversato da serpentine di colore bruno
manganese. Linea del fondo sottoline-
XIV secolo.
[L.T.]
Interpretazione
3094
218
Periodo classico: l’esiguità dei materiali rinvenuti non permette una precisa determinazione
della funzione del sito, ma è comunque rilevante la continuità di vita attestata dal periodo
romano fino al periodo medievale.
Periodo post-classico: la struttura visibile del sito, a cerchie concentriche con una torre centrale, corrisponde a quella di molti castelli di antica fondazione, la seconda cinta muraria
comprende un’area di circa 4000 m2, un’area quindi non sufficiente per un vero e proprio
centro di aggregazione demica, ma notevole per un avamposto di controllo della viabilità.
Fonti di archivio
Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano, prot. 25385 del 27 novembre
1996 (si veda Sheda 14, nota 1). Archivio GAF.
Responsabile
Università degli Studi di Firenze – Cattedra di Archeologia Medievale.
Anno di scavo
2006-2008, 2010-2011.
Bibliografia
M.G.H., tomo X, 2, p. 462; Carta Archeologica 1995, p. 17; Baldini 2008, pp. 221-222; Filippi et
alii 2006, p. 136; Vannini, Torsellini 2007, pp. 125-126; Torsellini 2007-2008, pp. 27-38.
219
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda
49 – Areale XXIX
Scheda
50 – Areale XXXVII
Localizzazione Travalle, Case Fontanelli (TR FON).
Localizzazione
Poggio Nucchiale.
Contesto di ritrovamento
Campo arato.
Contesto di ritrovamento
Boschivo.
Contesto attuale Campo arato.
Contesto attuale Boschivo.
Descrizione Campo pianeggiante alle pendici sud-occidentali di Poggio Uccellaia, tra il Ponte alle Palle e
Il Pratello, attualmente sfruttato per colture stagionali.
Descrizione
Materiali
Pochi frammenti, soprattutto di periodo romano, in ceramica depurata ed impasto, oltre a
frammenti di opus latericium.
Periodo classico: periodo romano: 18 frr. ceramici, 6 frr. opus latericium; periodo tardo-antico: 1 fr. ceramico.
Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0065.
Grado affidabilità
-/2/-
Cronologia Periodo classico: periodo romano imperiale.
Interpretazione
Periodo classico: la scarsa quantità dei rinvenimenti rende difficile una determinazione del
tipo di utilizzazione dell’area. Vista però la sua posizione geografica e la presenza di alcuni
frammenti di opus latericium, possiamo avanzare l’ipotesi che si tratti di un piccolo nucleo
abitativo, probabilmente una fattoria, così come attestato nell’area di Travalle. La presenza,
poi, di un frammento di olpe a vernice rossa di età tardo-antica fa supporre che tale insediamento abbia continuato la sua esistenza anche in questo periodo.
Fonti di archivio
Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano, prot. 25385 del 27 novembre
1996 (si veda Sheda 14, nota 1)1; pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano, prot. 22599 del
2004 (si veda Sheda 12, nota 1)
Bibliografia
Baldini 2007-2008, pp. 223-225.
Sulla cima del Poggio Nucchiale, alle pendici orientali del Poggio Castiglioni (Calvana), sono
visibili i resti di un recinto murario di forma ellittica che delimita la sommità pianeggiante
del rilievo. Il manufatto, costruito con pietre non lavorate messe in opera a secco, presenta
dimensioni notevoli con una lunghezza di circa 110 m e spessore variabile tra 1,00 e 1,50
m. L’indagine di superficie non ha restituito reperti utili ad un’interpretazione scientifica del
complesso murario. All’interno del recinto sono visibili i resti di un “casino di caccia”, databile ad epoca moderna, di proprietà della fattoria di Macia.
Grado affidabilità
Cronologia
Interpretazione
-/5/
Indeterminabile.
Strutture non meglio identificabili.
1 Nella relazione non figura la località in oggetto, ma, nell’area di Travalle, viene indicato un grosso areale che include anche
Case Fontanelli.
220
221
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda
51 – Areale XXXVIII
Localizzazione Il Pratello, villa.
Contesto di ritrovamento
Integrati nelle murature della villa.
Contesto attuale Castello di Calenzano; ignoto.
Descrizione Si tratta senza dubbio di materiali non in giacitura primaria, perché provenienti dai terreni
della villa, ma rinvenuti durante i lavori di ristrutturazione della stessa. Il primo cippo (2099)
è stato rinvenuto nel 2006 in seguito a lavori di ristrutturazione della villa ed è al momento
conservato presso Castello di Calenzano; l’altro (2100) viene segnalato come rinvenimento a
partire dal 1967.
Materiali
Periodo classico: cippo a clava frammentario di marmo e cippo a clava di marmo riutilizzato
in periodo romano, come si evince dall’iscrizione.
Grado affidabilità
-/3/-
Cronologia Si vedano le schede 2099 e 2100.
Interpretazione
Periodo classico: monumenti funerari.
Fonti di archivio
Si veda le Scheda 2100, nota 1.
Bibliografia
Baldini 2007-2008, pp. 213-220.
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda
Monumento sepolcrale.
Cippo a clava di marmo bianco con
venature grigie.
h 134,5; diam. base 23; diam. coronamento 31.
Cippo a clava con fusto troncoconico,
calotta del tutto asportata; base a bulbo
irregolare cuneiforme. Sulla superficie
della calotta, regolarizzata e livellata a
seguito dell’asportazione, è stato ricavato un canale semicircolare che unisce il
perimetro ad un foro regolare piuttosto
profondo al centro della circonferenza,
realizzato in epoca moderna, probabilmente per l’inserzione di un gancio o
di un arpione a cui collegare una catena
metallica.
Stato di conservazione: parte sommitale
della calotta perduta, rilavorata e rivestita da uno strato omogeneo di calce.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp.
214-217, n. 88.
Il cippo, di notevoli dimensioni, è stato trovato nel luglio 2006 durante dei
lavori di recupero all’interno della Villa
de Il Pratello, utilizzato, assieme ad altri
materiali eterogenei di epoca moderna,
come riempimento di un muro a sacco.
Questa particolare giacitura ha causato
il deposito di uno strato di calce, in certi casi piuttosto spesso, che impedisce la
lettura delle superfici del monumento,
soprattutto per quel che concerne il la-
222
voro di rifinitura e di politura. È tuttavia ben leggibile la differenza di lavorazione tra la parte bassa cuneiforme, sottoposta solo ad un lavoro di sbozzatura,
e il fusto, ben rifinito, in cui sono percepibili i segni di uno strumento a punta (subbia?). Tale diverso trattamento
si spiega notando che il cippo doveva
essere infisso direttamente nel terreno,
come la maggior parte degli esemplari
recuperati in area pisana, in Versilia, o
come è attestato per il cippo trovato a
Capalle (noto come “cippo Antinori”:
Ciampoltrini 1980, p. 77, nota 39;
Maggiani 1985, pp. 248-249).
Dal punto di vista tipologico il reperto
rientra in una classe che, negli ultimi
trent’anni, anche grazie alla “riscoperta” della facies arcaica di Pisa, è stata
223
oggetto di numerosi studi e tentativi di inquadramento (Ciampoltrini
1980; Ciampoltrini 1981c; Maggiani
1985; Bonamici 1985; Bonamici 1990a;
Bonamici 1990b; Bonamici 1991;
Bruni 1993b; Bruni 1998; Bruni 2004,
solo per citare gli articoli in cui è proposto un inquadramento generale sulla classe o una carta di distribuzione).
Tuttavia, proprio a causa della perdita
della sommità conformata a calotta,
che rappresenta l’elemento tipologicamente più significativo, la proposta di
inquadramento resta solo indicativa.
In base alla linea evolutiva della classe
(per la quale si vedano i contributi sopracitati), dovendo necessariamente far
riferimento solo al fusto, noteremo che
la forma troncoconica a profilo retti-
lineo e poco rastremata alla base avvicina il nostro esemplare agli esemplari
arcaici e tardo-arcaici di seconda fase,
databili cioè tra la seconda metà avanzata del VI secolo a.C. e gli inzi del V
secolo a.C. In particolare, un confronto, anche per le dimensioni, sembra
potersi istituire con il cippo conservato nel giardino del Museo Guarnacci a
Volterra (senza numero di inventario:
Bonamici 1991, pp. 797-798, n. 1),
che, in base alla decorazione al di sotto
della linea di raccordo tra calotta e fusto, nel nostro caso assente o non conservata, è datato tra la fine del VI secolo
a.C. e gli anni iniziali del secolo successivo. Ad un periodo leggermente più
recente, cioè al pieno V secolo a.C., si
data invece un altro segnacolo, recentemente pubblicato, proveniente dall’area
sepolcrale del distretto nord-orientale
del centro di Pisa, che le caratteristiche del fusto avvicinano all’esemplare
in esame (Bruni 2004, pp. 47-49). In
assenza sia della calotta sia della base, risulta difficilmente databile anche il cippo marmoreo di Artimino, che tuttavia,
per le dimensioni, può essere avvicinato
all’esemplare in esame (Nicosia 1966b,
pp. 281-282).
Il ritrovamento de Il Pratello si distingue dunque perché restituisce un’ulteriore testimonianza del collegamento
tra i centri lungo il corso dell’Arno e
l’epineion alla foce. Limitandoci al periodo arcaico e tardo-arcaico ed al territorio tra Fiesole ed il Monte Albano,
per i monumenti a noi noti, questa
rappresenta la quinta attestazione del
tipo di cippo claviforme di marmo, andando ad aggiungersi al noto “Cippo
Antinori”, al cippo di Artimino, al cippo di Avile Apiana da Palastreto (Magi
1932, pp. 19-20; Bruni 2002, pp. 291292) e ad un inedito cippo proveniente
sempre da Il Pratello, in corso di pubblicazione nell’ambito del progetto della
Carta Archeologica: quest’ultimo in particolare si distingue in quanto riutilizzato in epoca romana come segnacolo funerario di una domina romana, che, sia
nell’epigrafe sia nella ripresa di usi funerari passati, evidenzia un richiamo alla
tradizione, caratteristico della temperie
culturale degli anni compresi tra Cesare
e l’inizio del principato di Augusto.
Questa testimonianza conferma inoltre
alcune indicazioni topografiche utili
per la lettura del paesaggio e dei collegamenti viari in periodo etrusco. Infatti
lungo il corso della Val di Marina, se
comprendiamo in questo comparto
anche la zona di Capalle, sono noti al
momento cinque monumenti sepolcrali, dovendo aggiungere, a quelli già
citati, due esemplari inediti, entrambi
sferoidali, provenienti l’uno da Carraia,
l’altro da Travalle. Quest’ultimo, in
particolare, può essere ascritto alla nota
classe delle “pietre fiesolane”, anche se
con motivi decorativi piuttosto inusuali
per la classe, come la serie di onde correnti sulla parte sommitale (Baldini et
alii 2007, p. 120). Dal momento che
anche per il periodo romano sono attestati monumenti sepolcrali in Val di
224
Marina, bisogna ipotizzare che, lungo una delle più importanti direttrici
che univano il medio Valdarno con il
Mugello e con i passi appenninici, fossero dislocate aree necropolari, relative,
probabilmente, a membri eminenti
dell’aristocrazia rurale.
Produzione pisana (?), anni finali del
VI secolo a.C.
Monumento sepolcrale.
2100. Cippo a clava di marmo.
h 177,5; diam. base 32; diam. coronamento 41.
Cippo a clava con fusto troncoconico; su un lato lunga iscrizione funeraria latina su nove righe: Lucretia /
m.mactorei. / uxor / H.S.E. / dumfuit.
/ adsuperos veixitsanctissuma /coniunx.
inpreimeislanaemulta unum / sibei satis. duxitconiugio. quocontenta / fuit.
quemsuei. profacteis.memorem releiquit
/ etsimultrescnatosexequosiuppiterservet.
Sull’altra parte reca incisa la data “5
maggio 1843” (Non rintracciato)1.
Bibliografia: Carta Archeologica 1995, p.
182; Baldini 2007-2008, pp. 218-220,
n. 89.
Il cippo, del tipo a clava, è costantemente datato, proprio in virtù
dell’iscrizione, al romano tardo-repubblicano (seconda metà del I secolo a.C.). Se dal punto di vista epigrafico il primo inquadramento dato da Nicosia non lascia dubbi, più
problematico è stabilire con certezza,
soprattutto senza la possibilità di un
controllo autoptico, se il cippo sia stato lavorato per la sepoltura di Lucretia
o se sia stato reimpiegato, utilizzando
un segnacolo più antico. Infatti nonostante siano noti esemplari di questo tipo di segnacolo anche all’inizio
dell’età augustea (Bruni 1998, p. 146),
lo stesso Nicosia, nella proposta di
notifica, nota come «la tipologia del
monumento, non eccezionale in epoca tardo-etrusca, è piuttosto inusitata
nel periodo tardo-repubblicano». In
realtà ciò che colpisce maggiormente sono le proporzioni del manufatto, che avvicinano il monumento più
agli esemplari etruschi tardo-arcaici di
tradizione pisana che non ai più piccoli cippi a clava ellenistici o tardoellenistici (Ciampoltrini 1980, p. 77;
Bruni 1998, p. 146). Tuttavia, non
potendo operare un riscontro che ad
esempio identifichi il tipo di calotta
– elemento che, in assenza di decorazione, può fornire indicazioni sulla
datazione –, bisogna far affidamento
solo sulle misure e sulle proporzioni:
per quanto concerne l’altezza, il segnacolo in esame può essere senza dubbio
annoverato tra gli esemplari maggiori
della classe, ben più grande degli altri
trovati nell’ager Faesulanus (Nicosia
1966b, p. 281; Maggiani 1985, pp.
248-249; cippo del Pratello, 2099),
vicino alle redazioni tardo-arcaiche
della Versilia (nn. 2-3, 6-9: Bonamici
1990b, pp. 152 ss.; Fabiani 1999, pp.
14-17) o della Valdelsa (esemplare
proveniente dalla tomba 2/1984 della necropoli del Casone: Cianferoni
2002, pp. 107-108). Se poi consideriamo la relazione tra il diametro della
base (32 cm) e quello del passaggio tra
fusto e calotta (41 cm), notiamo, sulla base dello sviluppo tipologico, che
il rapporto rimanda allo stesso ambi-
225
to cronologico. Infine andrà notata la
soltanto apparente incongruenza tra il
cippo a clava, che la tradizione bibliografica attribuisce, solitamente, a personaggi maschili, e il defunto di cui il
cippo era segnacolo, cioè una donna.
L’incongruenza è solo apparente perché al momento non c’è certezza che la
scelta della forma del segnacolo dipenda da differenze di sesso (Bruni 1998,
p. 149), come dimostra, ad esempio,
il cippo a clava di marmo recuperato
nell’area di via Gello a Pisa, che, in
virtù dell’iscrizione, possiamo attribuire sicuramente ad un personaggio di
1
La prima notizia del segnacolo tombale è datata 9 maggio 1967, giorno in cui l’ispettore onorario M. Mannini segnala a Francesco Nicosia il
ritrovamento del cippo nella Villa de Il Pratello;
a questa segue la notifica del pezzo da parte
del Ministero della Pubblica Istruzione, a cura
del Soprintendente Maetzke, alla quale allega
una lettera (Archivio SBAT, pos. 9 Firenze 7,
1961-1970, con data 9 gennaio 1970 prot. 79)
in cui muove richiesta di dono al proprietario
Marchese P. Bufalini per il Museo Archeologico
di Firenze. Da allora si sono perse le tracce del
manufatto. Recentemente l’agente di PMI
Fanciullacci ha effettuato una ricerca, evidenziando che il cippo, trasportato alla fine degli
anni Sessanta del secolo scorso dalla Villa de Il
Pratello nella Villa Ruspoli, che ha sede in piazza Indipendenza 9 a Firenze (ora sede dell’Università di Firenze), risulta attualmente disperso.
2 Il locus citatus è l’unico in cui venga fatto riferimento al monumento, senza tuttavia fornire
indicazioni adeguate e senza riportare la trascrizione dell’epigrafe.
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
LVCRETIA
M.MACTOREI.
VXOR
H.S.E.
DVMFVIT.ADSVPEROS VEIXITSANCTISSVMA
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del VI secolo a.C. e, successivamente, sia stato riutilizzato sulla tomba di
Lucretia, per poi essere obliato fino
alla riscoperta avvenuta il 5 maggio
1843, come recita la data incisa sull’altro lato del cippo.
Non sarà forse un caso che la familia
di Lucretia, della quale nell’iscrizione
vengono lodate le virtù legate alla famiglia e quindi alla tradizione (per la
tematica, così cara all’aristocrazia romana tardo-repubblicana ed augustea,
Torelli 1997a, pp. 52, note 1-3, e
81), abbia scelto un tipo di segnacolo che àncora in modo inequivocabile
la persona a tutto il mondo di tradizioni connaturate al più antico segnacolo, anche se con un evidente scarto
semantico, sottolineato dal passaggio
segnacolo-sema/segnacolo-mnema. In
questo contesto il segnacolo è portatore di un messaggio profondo, in quanto esprime il legame con il mondo in
cui è stato realizzato il monumento,
non il cippo in sé come semplice elemento funerario. Se nel mondo etrusco che lo ha prodotto questo particolare arredo funerario estrinseca una
serie di valori, legati spesso alla sfera
maschile o comunque, più genericamente, ad una aristocrazia che manifesta il proprio status attraverso l’utilizzo di un materiale, il marmo, e di
determinati semata, per chi lo ha riutilizzato in epoca tardo-repubblicana
il cippo rappresenta stricto sensu il legame tra il mondo etrusco con tutti i
suoi valori, la familia di Lucretia e la
226
società della quale la stessa faceva parte. Legame che invece non sembra ricercato nel già citato esemplare di Pisa
ora al Camposanto Monumentale, dove il cippo non rappresenta altro che
un ottimo supporto per l’iscrizione, al
punto da deturparne una parte.
Il discorso sarebbe ugualmente valido se il cippo, dall’esame autoptico,
risultasse di periodo romano, anzi il
gigantismo “inusitato” troverebbe una
giustificazione nella volontà smaccata
di richiamarsi ad un passato tradizionale, un trait d’union fra la tradizione
locale etrusca, evidentemente ancora
viva, rappresentata dalla forma del cippo, e il mondo di virtù e valori di cui
Lucretia si fa portatrice (Bruni 1998,
p. 146).
In assenza dell’esame autoptico si propone di datare il monumento al periodo tardo-arcaico e l’iscrizione alla
seconda metà del I secolo a.C.
[G.B.]
52 – Areale XXXIX
Localizzazione
Podere Fornace di Sopra (PFS).
Contesto di ritrovamento
Incolto.
Contesto attuale Incolto.
Descrizione Campo incolto in leggera pendenza verso il letto del torrente Marina, in un angolo del quale si trova una moderna colonica; è attualmente limitato dagli argini moderni del Marina,
lungo le massicciate dei quali sono stati rinvenuti dei frammenti ceramici e litici durante le
ricognizioni del GAF.
Materiali 153 frr. non sempre cronologicamente determinabili a causa del cattivo stato di conservazione.
Periodo preistorico: manufatti litici sporadici.
Periodo classico: 22 frr. ceramici.
Periodo post-classico: 5 frr. ceramici.
Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0024.
Grado affidabilità
1/1/1
Cronologia
Periodo preistorico: imprecisabile.
Periodo classico: periodo romano.
Periodo post-classico: si tratta di reperti afferibili ai secoli XIV-XVII.
Interpretazione
Data l’ esiguità delle testimonianze archeologiche, non sono possibili ipotesi più dettagliate
per quanto riguarda la preistoria e l’età classica; per quanto riguarda l’epoca post-classica è attestato esclusivamente un modello insediativo poderale analogo a quello sparso in tutta l’area
di Travalle e della bassa Val di Marina.
Fonti di archivio
Archivio SBAT, pos. 9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano, prot. 25385 del 27 novembre
1996 (si veda Scheda 14, nota 1).
227
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
sesso femminile (Bruni 1998, p. 150;
Fabiani 1999, p. 14).
L’unico elemento che, allo stato attuale, daterebbe il monumento all’età
romana sarebbe l’iscrizione. Senza entrare nel merito del testo, tra le altre
cose va notato il riferimento al lanipendium, stereotipa celebrazione della
donna romana di età tardo-repubblicana ed augustea, elemento che assieme ai caratteri epigrafici e ad alcuni
gruppi di clausole metriche rimanda
senza dubbio alla seconda metà del I
secolo a.C. Tuttavia questo non può
essere preso come unico elemento per
stabilire la datazione del monumento,
dal momento che l’iscrizione potrebbe
essere stata apposta anche successivamente. Il riutilizzo di materiale più
antico in periodo romano è ben noto,
anche per quanto riguarda i monumenti funerari noti come “pietre fiesolane” (Capecchi 1984, pp. 43-52).
Tra i vari esempi acquistano un valore
documentario particolare la stele trovata murata nella base della torre di
S. Mercuriale a Pistoia, perché su una
faccia conserva una lunga iscrizione
latina (Capecchi 1984, pp. 48-52), e
il cippo a clava di marmo, databile ad
epoca ellenistica, conservato a Pisa nel
Camposanto Monumentale, che è stato parzialmente rilavorato per la nota
iscrizione sepolcrale di L. Apisius Pollio
(CIL XI, 1450: Ciampoltrini 1980,
nota 35 p. 81, figg. 6-7 p. 77).
È possibile dunque che il nostro segnacolo sia stato realizzato alla fine
Scheda
53 – Areale XL
Scheda
54 – Areale XLI
Localizzazione Il Boscaccio.
Localizzazione
Strada di Poggio Castiglioncello.
Contesto di ritrovamento
Boschivo.
Contesto di ritrovamento
Urbanizzato.
Contesto attuale Boschivo.
Contesto attuale Urbanizzato.
Descrizione Area di dispersione di materiali situata quasi sulla sommità del colle del Boscaccio, piuttosto rilevato rispetto alla piana circostante, con pendici abbastanza ripide digradanti verso la
Val di Marina; la sommità è separata da un profondo canale che la distingue in due parti,
entrambe pianeggianti. L’area è stata individuata in una ricognizione nell’inverno del 2006,
effettuata dagli autori in compagnia di Igino Fanciullacci.
Descrizione Materiali
Non sono stati prelevati materiali, ma un’indagine autoptica praticata al momento della ricognizione ha evidenziato uno strato con numerosi frammenti di opus doliare e laterizi, carbone
e concotto.
Il recupero dei materiali è stato effettuato durante i lavori di manutenzione per l’ampliamento del ciglio stradale, lungo la strada che da Villa Macia conduce alla Calvana. La ricognizione effettuata ha dimostrato che i depositi stratigrafici visibili lungo il ciglio della strada non
sono in giacitura primaria, anzi, sembrano provenire da smottamenti riferibili ad una zona
più elevata. Pertanto anche i frammenti rinvenuti sono da riferirsi ad un sito d’altura nelle
vicinanze.
Materiali
Grado affidabilità
-/2/-
Periodo classico: 38 frr. ceramici, in maggioranza ceramica d’impasto e alcuni frammenti di
ceramica depurata.
Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0060.
Cronologia Periodo classico: non è possibile avanzare una datazione precisa, ma i rinvenimenti farebbero
propendere per un’occupazione in periodo ellenistico.
Grado affidabilità
-/1/-
Cronologia Periodo classico: periodo romano.
Interpretazione
Periodo classico: occupazione di tipo abitativo, con probabile funzione di controllo sul territorio sottostante.
Interpretazione
Periodo classico: dato il contesto di ritrovamento e la scarsità dei materiali, questi sono da
riferire ad un sito più a monte del luogo del rinvenimento.
Bibliografia
Baldini 2007-2008, pp. 203-204.
Bibliografia
Baldini 2007-2008, pp. 212-213.
228
229
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda
55 – Areale XLII
Scheda
56 – Areale XLIII
Localizzazione Il Chiuso.
Localizzazione Casa La Gora.
Contesto di ritrovamento
Boschivo.
Contesto di ritrovamento
Campo arato.
Contesto attuale Boschivo.
Contesto attuale
Campo arato.
Descrizione Raccolta di superficie in campo arato, in seguito a una ricognizione effettuata dal GAF nel
1983.
Materiali
Descrizione
Lungo il crinale montano che sovrasta da Nord l’abitato di Colle di Sopra, sono stati individuati alcuni resti murari di un recinto di notevoli dimensioni. Il manufatto, che delimita
una porzione considerevole del crinale, presenta una forma quadrangolare assai irregolare con
murature ben conservate solo su tre lati e con, in alcune porzioni, un elevato superiore ai due
metri: le strutture sono costruite con pietre non lavorate messe in opera a secco e presentano
dimensioni notevoli con spessori variabili tra 1,50 e 2,50 m.
Materiali
L’indagine di superficie non ha restituito reperti utili ad un’interpretazione scientifica del
complesso murario.
La raccolta comprende esigui materiali di periodo romano e otto frammenti ceramici di età
post-classica, per lo più di ingubbiata e graffita, oltre ad un frammento di orcio in ceramica
acroma grezza.
Periodo classico: 13 frr. ceramici.
Periodo post-classico: 8 frr. ceramici.
Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0025.
Grado affidabilità
-/5/-
Grado affidabilità
-/1/1
Cronologia Indeterminabile.
Cronologia Interpretazione
Strutture non meglio identificabili.
Periodo classico: periodo romano, non più precisamente determinabile vista la scarsità delle
attestazioni.
Periodo post-classico: i materiali sono riferibili ad un arco cronologico compreso tra i secoli
XIV e XVII.
Interpretazione
230
Periodo classico: non è possibile fare alcuna ipotesi riguardo all’insediamento vista la scarsità
dei materiali.
Periodo post-classico: non si possono formulare altre ipotesi, se non quella dell’esistenza di
un nucleo poderale nella zona.
231
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda
57 – Areale XLIV
Scheda
58 – Areale XLV
Localizzazione Colle di Sotto.
Localizzazione Sommaia, Collicello (SOM COL).
Contesto di ritrovamento
Campo arato.
Contesto di ritrovamento
Oliveto.
Contesto attuale Campo arato.
Contesto attuale Oliveto.
Descrizione Zona in leggera pendenza alle pendici del massiccio di Monte Morello, compresa tra l’autostrada A1 e la strada provinciale per Barberino del Mugello.
Descrizione L’area della ricognizione occupa un piccolo altopiano sulle pendici collinari che dal versante
occidentale del massiccio di Monte Morello digrada verso la piana di Sesto.
Materiali
Periodo classico: 21 frr. ceramici.
Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0053.
Materiali
Periodo classico: 4 frr. ceramici.
Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0049.
Grado affidabilità
-/2/-
Grado affidabilità
-/3/-
Cronologia Periodo classico: periodo romano imperiale.
Cronologia Periodo classico: periodo romano.
Interpretazione
Periodo classico: occupazione di tipo abitativo in periodo romano-imperiale.
Interpretazione
Bibliografia
Carta Archeologica 1995, p. 23; Baldini 2007-2008, pp. 209-210.
Periodo classico: si può ipotizzare una frequentazione in periodo romano, ma l’esiguità dei
rinvenimenti non permette ulteriori precisazioni.
232
Bibliografia
Carta Archeologica 1995, p. 21; Baldini 2007-2008, pp. 202-203.
233
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda
59 – Areale XLVI
Scheda
60 – Areale XLVII
Localizzazione Macia di Sotto.
Localizzazione
Casa Zerino (ZER).
Contesto di ritrovamento
Campo arato.
Contesto di ritrovamento
Campo arato.
Contesto attuale Campo arato.
Contesto attuale Incolto, oliveto.
Descrizione L’area si trova in una porzione di terreno pianeggiante ai piedi del rilievo della Calvana,
nell’orto di una casa, in un terreno un tempo di pertinenza della Villa di Macia, il cui nucleo
più antico risale al XII secolo (Lamberini 1987, p. 230); le raccolte furono effettuate dai
membri del GAF in diversi periodi, a seconda delle colture stagionali.
Descrizione
Si tratta di un sito identificato da una raccolta di materiale effettuata dal GAF. L’area della
raccolta si trova in una porzione di terreno pianeggiante alle pendici nord-occidentali del
Colle di San Donato, attualmente adibita a campi coltivati stagionalmente.
Materiali
Materiali
Esiguo numero di materiali, fra cui è da segnalare la presenza di ceramica da cucina e da
mensa, unitamente a un frammento di opus latericium. Interessante il rinvenimento di frammenti di scorie di ferro, probabile attestazione di una lavorazione in situ non altrimenti documentata.
Periodo classico: 46 frr. ceramici, 7 frr. opus latericium, 2 frr. scorie di ferro, 12 frr. ossei.
Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0069.
Grado affidabilità
-/2/-
Cronologia Periodo classico: periodo romano imperiale.
Interpretazione
Periodo classico: tutti i dati in nostro possesso inducono ad interpretare il sito come una
fattoria che poteva produrre al suo interno anche oggetti in metallo da utilizzare nella vita
domestica, nel contesto di un’economia di autosussistenza, com’è tipico degli insediamenti
di questo tipo in questo periodo storico.
La raccolta mostra, per quanto riguarda il periodo classico, una presenza di ceramica da mensa, da dispensa, da cucina e di opus latericium, con una maggiore quantità di ceramica da
mensa, sia arretino modo confecta che di sigillata italica e tardo-italica, anche se scarsamente
presente, mentre la maggioranza delle attestazioni è per la terra sigillata chiara. Significativa
è anche la presenza di tubuli e di un frammento di lastra di marmo, probabilmente da interpretare come crusta di opus sectile. Per l’epoca medievale sono stati raccolti una trentina di
frammenti, prevalentemente di ceramica ingubbiata e graffita riconducibile a forme aperte e
di maiolica arcaica, almeno un boccalino e due forme aperte. Sono attestati anche un frammento di ceramica a fondo ribassato e uno di piatto di italo-moresca.
Periodo classico: 158 frr. ceramici, 39 frr. opus latericium, 17 frr. altro.
Periodo post-classico: 25 frr. ceramici.
Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0019.
Grado affidabilità
-/2/1
Cronologia Periodo classico: il sito si può datare, come periodo centrale di vita, dal I secolo a.C. fino alla
fine del II-prima metà del III secolo d.C., con un possibile attardamento fino al IV secolo
d.C.
Periodo post-classico: i materiali fanno pensare ad una frequentazione del sito tra i secoli XIV
e XVII.
Fonti di archivio
Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano, prot. 25385 del 27 novembre
1996 (si veda Scheda 14, nota 1); pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano, prot. 22599 del
2004 (si veda Scheda 12, nota 1). Archivio GAF.
Bibliografia
Carta Archeologica 1995, p. 20; Baldini 2007-2008, pp. 210-212.
Interpretazione
Bibliografia
234
Periodo classico: i dati raccolti, pur mancando le strutture alle quali fare riferimento, sembrano far propendere per un insediamento di tipo abitativo. Data la presenza di tubuli e di
un frammento di crusta marmorea, si può ipotizzare che questa abitazione avesse anche una
parte riscaldata, verosimilmente quella dedicata all’otium. In base a ciò si può pensare che la
struttura sia da riferire ad una villa, piuttosto che ad una fattoria. Questo dato confermerebbe
l’importanza del sito e la sua ricchezza, come si evince anche dalle ceramiche da mensa rinvenute, che mostrano un corredo piuttosto vario.
Periodo post-classico: si conferma la presenza di un insediamento poderale.
Tra le segnalazioni bibliografiche non compare mai il toponimo Casa Zerino. Tuttavia, nella
Carta Archeologica 1995, p. 20, viene descritto il sito di Casa La Gora (Scheda 56), posizionato
topograficamente in una zona molto vicina a quella in oggetto e con numerosi materiali.
Poiché sia i rinvenimenti del GAF sia quelli sicuramente riferibili a Casa La Gora sono esigui
(13 frammenti ceramici), è possibile che i due toponomi di Casa Zerino e Casa La Gora corrispondano alla medesima evidenza topografica. Baldini 2007-2008, pp. 205-209.
235
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda
Ceramica ingubbiata e graffita.
3041. Frammento di fondo di piatto.
L 3,5; l 2,3; S 0,6.
L 5,5; l 4,7; S piede 1,3; S parete 0,7;
diam. piede ricostruito 11,5.
Bordo con orlo arrotondato. La decorazione non si conserva altro che per una
pennellata di ramina, viste anche le ridottissime dimensioni del frammento.
Impasto rosa, duro, depurato. Smalto
molto danneggiato.
Per la classe si vedano Palazzo Pretorio
1978; Uffizi 2007.
XIV secolo.
Fondo con largo piede a ventosa appena distinto. Decorazione a fasce: prima
fascia più interna decorata a punta con
motivo a cordoncino, sovradipinta in
verde, sovrastata da fasce orizzontali
concentriche delimitanti un’ulteriore
fascia decorata a stecca con motivo a
“nastro spezzato”. La parete doveva essere decorata con motivi a tralci vegetali
realizzati a stecca. Sul fondo, tracce del
distacco di un distanziatore.
Impasto rosa, duro, ben depurato.
Ingobbio color crema, spesso e uniforme. Vetrina trasparente e sottile, interna e esterna, fino a coprire anche il
fondo del piede.
Cfr. Palazzo Pretorio 1978, p. 180, fr.
916; Wentkoswska 2007, pp. 41, 44,
fr. 36. Per la classe si vedano Palazzo
Pretorio 1978; Palazzo dei Vescovi II
1985; Palazzo dei Vescovi II 1987; Berti
1997, II; Uffizi 2007; Wentkoswska
2007.
Ceramica ingubbiata e graffita
monocroma a stecca.
3042. Frammento di fondo di forma
aperta.
L 7,2; l 2,3; S fondo 1,6; S parete 1;
diam. piede ricostruito 7,8; diam. fondo ricostruito 7,9.
Fondo concavo con piede distinto di
una forma aperta (piatto con cavetto profondo o scodella). Decorazione
caratterizzata da archetti decrescenti e
motivo radiale centrale, circondati da
due linee irregolari concentriche a sottolineare il fondo del cavetto.
Impasto rosa scura, duro, depurato.
Ingobbio, solo interno, bianco, coprente. Vetrina, solo interna, sottile, leggermente giallina.
Cfr. Uffizi 2007, pp. 488, 498, fr. 31.2,
fig. 24. Per la classe si vedano Palazzo
Pretorio 1978; Palazzo dei Vescovi II
1985; Palazzo dei Vescovi II 1987; Berti
1997, II; Uffizi 2007; Wentkoswska
2007.
XIX secolo.
Ceramica ingubbiata e graffita
policroma a punta.
Frammento di fondo di piatto.
Ceramica ingubbiata e graffita
policroma a punta.
Frammento di parete di catino.
L 5; l 5; S fondo 1,6; S parete 0,8;
diam. piede ricostruito 10,5.
L 13,5; l 6,5; S 0,4-1,2.
Fondo con piede a ventosa. Decorazione
conservata solo parzialmente e consistente in un motivo centrale, floreale, elaborato e ben realizzato a punta,
circondato da due linee concentriche.
Sovradipinture sul bordo dei petali in
verde ramina e giallo ferraccia.
Impasto duro, ben depurato, rosa.
Ingobbio, soltanto interno, color crema e uniforme. Vetrina, sia interna
sia esterna, trasparente, uniforme e coprente (tracce anche sul fondo).
Cfr. Varaldo 1997, pp. 439-451. Per
la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978;
Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei
Vescovi II 1987; Berti 1997, II; Uffizi
2007; Wentkoswska 2007.
Seconda metà del XV secolo.
Grosso frammento di parete di un catino. Decorazione eseguita a punta
sottile, con motivo vegetale di quattro
foglie “a ciuffo” in verde ramina poste
in croce con fiori stilizzati in giallo ferraccia nei settori. Traccia del distacco
di un divaricatore cosiddetto “a zampa
di gallo”. Sulla parete esterna, tracce di
pennellate molto diluite d’ingobbio.
Impasto arancio scuro, duro, depurato,
con sporadici inclusi di chamotte (<3
mm). Ingobbio bianco, sottile ma uniforme, solo interno. Vetrina di colore
giallo paglierino, sottile.
Cfr. Palazzo Pretorio 1978, p. 182, fr.
935; Wentkoswska 2007, pp. 41, 42,
fr. 30. Per la classe si vedano Palazzo
Pretorio 1978; Palazzo dei Vescovi II
1985; Palazzo dei Vescovi II 1987; Berti
1997, II; Uffizi 2007; Wentkoswska
2007.
Fine del XV-inizi del XVI secolo.
XVI secolo.
236
237
[L.T.]
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Maiolica arcaica.
3040. Frammento di bordo.
61 – Areale XLVIII
Localizzazione Galleria Colle.
Contesto di ritrovamento
Campo arato.
Contesto attuale Campo arato.
Descrizione Area leggermente rilevata a Ovest della zona di Colle Sopra.
Materiali
Periodo preistorico: reperti litici sporadici.
Grado affidabilità
1/-/-
Cronologia Periodo preistorico: imprecisabile.
Interpretazione
Periodo preistorico: il materiale è generico e numericamente insufficiente per un’interpretazione cronologica e culturale.
Fonti di archivio
Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano, prot. 25385 del 27 novembre
1996 (si veda Scheda 14, nota 1).
Bibliografia
Carta Archeologica 1995, p. 21.
3041
3042
3043
238
239
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
3040
Scheda
62 – Areale XLIX
Scheda
63 – Areale L
Localizzazione
San Donato, pieve (CSD).
Localizzazione Casa Cafaggiolo, via delle Vigne (VI OR).
Contesto di ritrovamento
Strutture in elevato.
Contesto di ritrovamento
Oliveto.
Contesto attuale Strutture in elevato.
Contesto attuale Oliveto.
Descrizione Edificio ecclesiastico composto dalla chiesa, dal campanile e da ambienti canonicali; situato
sul colle di fronte al castello di Calenzano, si affaccia sulla piana. Particolarmente interessanti
il campanile, che presenta numerosi fasi edilizie medievali e ha le dimensioni compatibili
anche con quelle di una torre, e la canonica, che forse ingloba uno degli edifici più antichi del
complesso.
Descrizione Area corrispondente ad un piccolo pianoro localizzabile lungo la via delle Vigne. Negli anni
fra il 1986 e il 1988, durante lavori di manutenzione dell’oliveto, sono stati raccolti diversi
reperti ad opera del GAF, in ricognizioni effettuate in diversi periodi.
Materiali
Periodo preistorico: manufatti litici sporadici (poche unità)1.
Periodo classico: periodo ellenistico: 1 fr. ceramico; periodo romano: 66 frr. ceramici.
Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0047.
Grado affidabilità
2/2/-
Cronologia Periodo preistorico: fase non precisabile, probabilmente olocenica.
Periodo classico: tardo Ellenismo-prima età imperiale.
Interpretazione
Periodo preistorico: la scarsa quantità e la genericità dei reperti impedisce un’attribuzione
cronologica e culturale precisa; la presenza di una punta di freccia sembra tuttavia documentare una frequentazione olocenica della zona.
Periodo classico: sulla base dei materiali rinvenuti, è ipotizzabile un esito insediativo, ma
non meglio precisabile. Molto importante il frammento di orlo di olla in impasto chiaro
granuloso, tipica produzione fiesolana di età ellenistica, che denota, insieme ad altri reperti di
minime dimensioni, una frequentazione del sito già a partire da quel periodo.
Grado di affidabilità
-/-/5
Cronologia Periodo post-classico: le strutture murarie della pieve e dei suoi annessi sono attribuibili ad
un lungo arco cronologico compreso tra il XII e il XVIII secolo.
Interpretazione Periodo post-classico: si tratta di un complesso religioso che ebbe però anche funzioni militari e di controllo della viabilità, come testimoniato dalle cronache di Giovanni e Matteo
Villani.
Fonti Cartografiche
Pianta di Popoli e Strade, c. 439 (S.to Donato a Calenzano).
Bibliografia
Lamberini 1987, I, pp. 59-64, 201-204; Bellometti 2003-2004, pp. 10-22, 30-39.
Fonti di archivio Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano, prot. 25385 del 27 novembre
1996 (si veda Scheda 14, nota 1).
Bibliografia
Carta Archeologica 1995, pp. 23-25; Baldini 2007-2008, pp. 162-164.
La raccolta comprende pochi pezzi provenienti dall’area di raccolta Case Fornace (Carta Archeologica 1995, p. 24); il GAF
ha incluso tale materiale in quello della più ampia area di Cafaggiolo.
1
240
241
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda
64 – Areale LI
Scheda
65 – Areale LI
Localizzazione Sommaia, mulino (CMS).
Localizzazione Sommaia, castello (BA SOM).
Contesto di ritrovamento
Strutture in elevato.
Contesto di ritrovamento
Strutture in elevato.
Contesto attuale Strutture in elevato.
Contesto attuale Strutture in elevato.
Descrizione Mulino in muratura con palmento in legno ancora conservato che sorge subito ai piedi della
collina del castello di Sommaia, a Sud-Est. Nel bosco retrostante sono ancora visibili le canalizzazioni e le chiuse che portavano l’acqua al margone, attualmente interrato. Il paramento
murario dell’edificio principale conserva i suoi caratteri originali, attribuibili alla fine del XIII
secolo.
Descrizione Materiali
I dintorni dell’edificio non intaccati dai lavori del cantiere sono boscosi e non sono stati oggetto di ricognizioni sistematiche, per cui non sono stati rinvenuti mobili.
Grado affidabilità
-/-/4
Posta sulla sommità occidentale della collina di Sommaia, attualmente coperta da un fitto
bosco di lecci e cipressi, la villa rinascimentale ingloba due torri in alberese e arenaria, ben
conservate, che presentano la muratura medievale in conci sbozzati a squadro, e ha accanto
una cappellina romanica. Si conservano anche la porta di accesso, con arco acuto, e lunghi
dossi ellittici che sembrerebbero essere l’antica cinta muraria interrata e in stato di crollo.
I materiali sono stati reperiti in due diversi momenti: in occasione di lavori di ristrutturazione dell’edificio e in diverse ricognizioni effettuate dal GAF lungo le pendici del territorio
circostante l’edificio, per lo più boschivo. Di recente il sito è stato oggetto di lavori di restauro che hanno previsto scavi, anche profondi, per i quali è stato necessario il controllo della
SBAT. I risultati di questa collaborazione sono editi in Wentkowska 2007.
Cronologia Periodo post-classico: XIII-XXI secolo.
Interpretazione
Periodo post-classico: mulino a palmento, probabilmente di pertinenza del castello di
Sommaia.
Fonti Cartografiche
Piante di Popoli e Strade, c. 439 (S.to Ruffigniano a Somaia).
Bibliografia
Lamberini 1987, I, pp. 282-283.
Materiali Periodo preistorico: sporadici frammenti ceramici di cronologia incerta.
Periodo classico: periodo ellenistico: 67 frr. ceramici; periodo romano imperiale: 37 frr. ceramici. Si tratta di ceramica da mensa, fuoco e dispensa.
Periodo post-classico: 13 frr. ceramici.
Cfr. schede di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0022/49.
Grado affidabilità
1/2/4
Cronologia
Periodo preistorico: imprecisabile.
Periodo classico: inizi del III secolo a.C.-II secolo d.C.
Periodo post-classico: XIII-XVII secolo; le struttue sono attribuite alla fine del XIII-XIV secolo.
Interpretazione
Periodo preistorico: pochi frammenti ceramici potrebbero essere attribuiti alla Preistoria per
la qualità dell’impasto. È presente una parete con carena.
Periodo classico: piccolo sito di età ellenistica e romano imperiale, probabilmente ad esito
abitativo, posizionato, in base ai rinvenimenti, sulla sommità della collina, attualmente occupata dall’edificio medievale.
Periodo post-classico: insediamento fortificato medievale, trasformato in villa durante l’età
moderna. La maiolica arcaica è presente in due soli frammenti, per cui la cronologia del sito
deve sicuramente comprendere i secoli principali del Medioevo, testimoniati anche dalla tipologia muraria presente nelle torri, ed estendersi a tutta l’età moderna, come documentano
le classi ceramiche post-medievali e l’esistenza stessa della villa rinascimentale.
Fonti Cartografiche
Piante di Popoli e Strade, c. 439 (S.to Ruffigniano a Somaia).
Fonti di archivio
Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano, prot. 12887 del 19991. Archivio GAF.
Bibliografia
Lamberini 1987, I, pp. 85-91, 157-164; Wentkowska 2007; Baldini 2007-2008, pp. 195202; Torsellini 2007-2008, pp. 27-32, R 23-25.
La cassetta menzionata nel documento è depositata presso gli uffici della SBAT e contiene i materiali pubblicati in
Wentkowska 2007.
1
242
243
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda
L 3,9; l 2,3; S fondo 0,5; S piede 1,1.
Piede con profili convergenti verso il
basso, superficie esterna rettilinea, superficie interna inclinata. Piano di posa
rettilineo.
Impasto tipo CVN 1; vernice tipo
VeVN 3.
Bibliografia: Wentkowska 2007, p.
19; Baldini 2007-2008, p. 198, n. 81.
Piede ascrivibile al tipo Morel 211
a (Morel 1981, p. 462, tav. 232). Si
tratta probabilmente di una coppetta.
Per il contesto di rinvenimento si veda
Wentkowska 2007, p. 19.
Fine del IV-III secolo a.C.
Ceramica da mensa.
2093. Frammento di fondo di coppa
di ceramica a vernice nera.
L 2,7; l 1,8; S parete 0,8.
Piccolo frammento di vasca. Nella
parte interna, rotellatura composta da
quattro cerchi concentrici.
Impasto tipo CVN 3; vernice tipo
VeVN 3.
Stato di conservazione: nella parte
esterna, vernice più chiara, con segni di
arrossamento dovuti a cottura difettosa.
Bibliografia: Wentkowska 2007, p.
19; Baldini 2007-2008, p. 198, n. 82.
Sulla base della classificazione
Pasquinucci (Pasquinucci 1972, pp.
278-279), la decorazione a rotellature è
propria delle coppe di forma 8b, 82 con
ansa non ripiegata, 82 A, delle patere
ombelicate e di alcuni colini. Sono generalmente produzioni tipiche del territorio volterrano, datate al III-prima metà
del II secolo a.C. In questo caso si tratta
verosimilmente di una coppa, ma data
l’esiguità delle dimensioni e la scarsa decorazione visibile non è possibile attribuirlo più precisamente. Come l’esemplare
2092, per il contesto di rinvenimento si
veda Wentkowska 2007, p. 19.
III-prima metà del II secolo a.C.
244
Ceramica da mensa.
2094. Frammento di piede ad
anello di coppa di ceramica acroma
depurata.
L 5,5; l 4,5; S massimo vasca 0,7; S piede 1,1.
Piede ad anello, a profilo interno obliquo ed esterno sagomato, con tracce di
due piccole riseghe nella parte esterna,
una delle quali all’attaccatura con la
vasca. Si conserva una piccola porzione
del fondo, con, nella parte interna, resti
di due cerchi concentrici impressi.
Impasto tipo CDR 3.
Stato di conservazione: incrostazioni
calcaree; fratture molto arrotondate.
Ceramica da fuoco.
2095. Frammento di orlo di olla di
impasto.
L 6,1; l 5,1; S parete 0,9.
Orlo obliquo, estroflesso, con bordo
a sezione triangolare, aggettante verso
l’esterno.
Impasto tipo IGR 2.
L 8,3; l 4,3; S parete 0,8; diam. orlo 10.
Orlo triangolare a base concava, leggermente ribassato, con bordo ad angolo
acuto. Non si conserva altro se non una
piccola porzione di avvio di collo, per
cui non è possibile determinare con sicurezza la forma del corpo.
Stato di conservazione: fratture molto
arrotondate, superficie interna lisciata.
Impasto grezzo tipo ANF 1.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, p.
199, n. 84.
Stato di conservazione: estese abrasioni
su tutta la superficie del labbro esterno
e fratture arrotondate.
Per le dimensioni esigue è possibile soltanto istituire rimandi generici basati
sulla forma, che trova un confronto piuttosto puntuale ad Artimino (Alderighi
1987, p. 125, fig. 89, n. 148, impasto I).
La datazione del frammento è difficoltosa, vista la notevole distribuzione di piedi ad anello di questa tipologia e il vasto
arco cronologico a cui è possibile ascriverli. Dall’inclinazione del piede tuttavia
sembra possibile azzardare un inquadramento in periodo ellenistico.
È confrontabile con il frammento proveniente dagli scavi di Cosa (Dyson 1976,
p. 120, fig. 9, FG 31) attribuito dall’Autore alla classe 9. Un altro confronto a
livello regionale può essere rintracciato
nel frammento di olla n. 1.17, rinvenuta
negli scavi del porto di Pisa-S. Rossore,
nell’area tra il molo e la nave ellenistica
(Grandinetti 2003, p. 155). In questo caso è stata sottolineata la vicinanza
con esemplari dell’Etruria meridionale
(Sutri), evidenziando dunque una certa
permeabilità a livello morfologico-funzionale tra le varie zone dell’Italia centrale in periodo repubblicano, poiché anche
il nostro esemplare può, per il tipo di impasto ceramico, essere ricondotto a produzioni locali di ceramica da dispensa.
Età ellenistica.
Seconda metà del II secolo a.C.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp.
198-199, n. 83.
Anfora da trasporto.
2096. Frammento di orlo.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp.
199-200, n. 85.
Il frammento, se pure di esigue dimensioni, può essere attribuito, per la
caratteristica sezione triangolare dell’orlo, alle anfore c.d. “greco-italiche”,
contenitori adibiti al trasporto del vino. Molto diffusi in tutto il bacino del
Mediterraneo (Peacock, Williams
1986, pp. 84-85), tra il IV ed il II secolo a.C., iniziano ad essere prodotte in
area magno greca ed in Sicilia, e, successivamente in Campania; con l’ultimo quarto del III secolo a.C. si afferma anche la produzione centro italica
(Rossi 2003, p. 159), come attestano,
ad esempio, i recenti rinvenimenti delle
fornaci di Albinia nell’ager Cosanus (si
veda Scheda 78 – 2048). Il tipo mor-
245
fologico dell’orlo e l’inclinazione del
collo, probabilmente non cilindrico
ma troncoconico, avvicinano l’oggetto in esame agli esemplari ritenuti generalmente più antichi (Tipo Will A
– Van Der Mersch RMR V), trovati
ad esempio, per limitarci a contesti regionali, a Pisa-S. Rossore (Rossi 2003,
pp. 163-165, n. 2; Torelli 2003) e a
Castiglioncello (Cibecchini 1999, p.
115, con rimandi bibliografici); un
esemplare, senza preciso contesto di
ritrovamento, è presente nel Museo
Archeologico di Firenze (Bertone
1991, p. 135).
Metà del III secolo a.C.
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Ceramica da mensa.
2092. Frammento di piede ad
anello di coppa di ceramica a
vernice nera.
Ceramica da dispensa.
2097. Frammento di orlo di dolium
di ceramica grezza (opus doliare).
Anfora da trasporto.
2098. Frammento di labbro di
anfora da trasporto.
L 10,6; l 8,1; S massimo orlo 7,6.
L 8,3; l 4,3; S parete 0,8.
Orlo a tesa orizzontale, bordo dritto,
pendulo. Lisciato a stecca.
Orlo ingrossato ed arrotondato
all’esterno, piano sulla superficie superiore, segnato esternamente da una lieve gola sulla base e distinto dal collo da
una leggera risega.
Impasto tipo IGR 4.
Stato di conservazione: molte fratture
fresche su tutta la superficie.
Bibliografia: Baldini 2007-2008 p.
200, n. 86.
Questa tipologia si trova diffusa in un
vasto arco cronologico che va dal V
secolo a.C. al I secolo d.C., con larga
diffusione. Il frammento preso qui in
esame trova confronto diretto con un
esemplare da Artimino (Giachi 1987,
p. 165, n. 274, tipo II, a cui si rimanda anche per la distribuzione), simile al nostro anche per impasto e per
le tracce di lisciatura sulla superficie.
Trattandosi, nel nostro caso, di raccolte
di superficie, non è possibile determinare una cronologia precisa.
Fine del IV-II secolo a.C.
2093
2094
2095
2096
Impasto tipo ANF 6.
Stato di conservazione: porzione piuttosto esigua, con fratture arrotondate e
lisciate da fenomeni post-deposizionali.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, p.
200, n. 87.
Il frammento si può attribuire alla forma Dressel 20 (“globular amphora”,
Beltrán V, Ostia I, Callender 2), anfora
olearia prodotta nella Betica nel corso
dei primi tre secoli dell’Impero, con la
massima diffusione nel II secolo d.C. In
particolare questo frammento è riconoscibile nella tipologia data da PeacockWilliams (Peacock, Williams 1986, p.
136, class 25, fig. 65, n. 1).
Secondo quarto I d.C.-metà del II secolo d.C.
[G.B.]
246
2097
2098
247
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
2092
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
3033
Maiolica italo-moresca.
3033. Frammento di fondo di
scodella.
L 7,6; l 5,9; S fondo 1,5; S parete 0,8;
diam. fondo ricostruito 8,5.
Fondo decorato da motivi fitomorfi
stilizzati a cornice di un settore centrale
distinto contenente riquadri alternati in
bianco e blu, probabilmente uno stemma.
Impasto rosa chiaro, poroso, depurato.
Smalto, sia interno sia esterno, beige,
spesso e coprente.
Per la classe si vedano Palazzo Pretorio
1978; Palazzo dei Vescovi II 1985;
Palazzo dei Vescovi II 1987.
XV secolo.
Maiolica di Montelupo.
3034. Bordo a tesa piana di piatto.
L 5; l 5,5; S 0,7; diam. bordo ricostruito 20,6.
Bordo a tesa piana con orlo arrotondato, decorato in blu e giallo ferraccia.
Sulla tesa, motivo geometrico a rombi
intrecciati (dipinti e profilati in blu)
con puntinature in blu negli spazi di
risulta e triangoli e crocette in giallo;
cavetto bordato da una fascia dipinta in
blu e giallo ferraccia.
Impasto bianco, appena rosato, poroso
e ben depurato. Smalto bianco grigiastro; spesso, coprente e uniforme all’interno, più sottile e diluito all’esterno.
La decorazione è in genere riferibile al
tipo “a fasce geometriche”. Cfr. Berti
1997, II, p. 238, n. 10. Per la classe si
vedano Palazzo dei Vescovi II 1985;
Palazzo dei Vescovi II 1987.
Fine del XV secolo.
248
Maiolica di Montelupo.
3035. Frammento di fondo di grosso
piatto.
L 8,2; l 7; S 1; diam. fondo ricostruito
13,5.
Fondo con decorazione, in blu e giallo
ferraccia, conservata parzialmente e raffigurante una figura femminile nuda,
con biondi capelli lunghi e mossi dal
vento, forse una tipica rappresentazione
di Venere; sull’incarnato della figura,
sfumature gialle ottenute con un minuto tratteggio. Sul fondo, tracce dello
stacco operato a lama.
3034
Impasto bianco, poroso, ben depurato.
Smalto sia interno sia esterno (anche
sul fondo), compatto, coprente e di colore bianco.
Cfr. Uffizi 2007, pp. 475, 481, fr.
29.1.12. Per la classe si vedano Palazzo
dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi
II 1987.
Fine del XV secolo.
3035
[L.T.]
249
66 – Areale L
Localizzazione
Colle Sotto – San Donato (IC, IC II).
Contesto di ritrovamento
Campo arato.
Contesto attuale Campo arato.
Descrizione
Zona pianeggiante, coltivata a seminativo, a Est del piccolo agglomerato di Colle di Sotto,
interessata da raccolte di superficie effettuate dal GAF.
Materiali
Periodo preistorico: 26 manufatti litici, 12 frr. ceramici e concotto.
Grado affidabilità
3/-/-
Litica.
1093. Nucleo.
Litica.
1094. Manufatto ritoccato.
Litica.
1095. Manufatto non ritoccato.
Cronologia Periodo preistorico: imprecisabile. La ceramica indica almeno una frequentazione olocenica;
la litica può essere anche pleistocenica.
L 5,6; l 4,7; S 2,4.
L 3,4; l 2; S 0,4.
L 3,7; l 5,1; S 1,1.
Interpretazione
Periodo preistorico: né la litica, di tecnologia e tipologia generiche, né la ceramica, che comprende solamente pareti di forme non determinabili, sono utili per un’attribuzione ad un
particolare orizzonte cronologico e culturale. Sono presenti alcuni nuclei, tutti poco sfruttati,
a parte un elemento a lavorazione tendente a centripeta, schegge di dimensioni variabili, perlopiù non ritoccate, e pochi strumenti, tutti appartenenti al Substrato, tranne una troncatura.
Lo stato fisico è differenziato e non si può escludere che il gruppo includa elementi di diversa
età e provenienza stratigrafica.
Nucleo a sfruttamento bifacciale tendente al centripeto su una faccia.
Troncatura su scheggia allungata con
vari ritocchi complementari: un incavo
diretto, un ritocco inverso parziale su
un margine laterale, un ritocco diretto
totale denticolato sull’altro.
Scheggia larga con faccia dorsale interamente corticata.
Fonti d’archivio: Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano, prot. 25385 del 27 novembre
1996 (si veda Scheda 14, nota 1); si veda anche Saccardo.
Bibliografia
Archeologia e territorio 1979, pp. 13-14; Giachetti 1989, p. 395; Spaterna 1992, p. 111, n.
41; Carta Archeologica 1995, p. 22.
elce.
Spigoli poco abrasi, pseudoritocchi presenti.
Diaspro.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
1093
1094
250
251
1095
Diaspro.
Spigoli poco abrasi, pseudoritocchi presenti.
[O.F.]
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda
67 – Areale LII
Scheda
68 – Areale L
Localizzazione Sant’Angelo.
Localizzazione
Casa Cafaggiolo, Fosso Garillino (CA-CA II, CCF).
Contesto di ritrovamento
Campo arato.
Contesto di ritrovamento
Campo arato.
Contesto attuale Campo arato.
Contesto attuale Campo arato.
Descrizione Campi arati e parzialmente coltivati, a Ovest del torrente Marina, nei pressi del castello di
Calenzano, non lontano dall’antica chiesa di Sant’ Angelo, attualmente trasformata in abitazione, e di alcune coloniche. La chiesetta è attestata nelle fonti per tutti i secoli centrali del
Medioevo, ma attualmente è visibile solo per lo spiovente del tetto e l’oculo della facciata
risparmiati dall’intonaco, all’interno di un complesso abitativo.
Descrizione
L’area si trova sulla stessa serie di terrazzamenti del sito oggetto della Scheda 69, ma leggermente più ad Ovest, verso l’autostrada A1. La raccolta del materiale è stata effettuata da parte
dei membri del GAF in momenti diversi nel corso delle lavorazioni agricole dell’oliveto.
Materiali
Il materiale preistorico comprende litica e ceramica. Si nota come sia molto più numerosa
la quantità dei reperti romani rispetto a quelli di periodo etrusco. D’altro canto i materiali
etruschi rinvenuti sono appartenenti a classi rare, che potevano essere accompagnati anche da
produzioni di ceramica comune da mensa e da dispensa, quasi del tutto assenti fra i materiali
raccolti. Anche dal punto di vista dei materiali romani si notano alcune aporie nella raccolta: la ceramica fine da mensa sembra essere la più presente, dato che è di per sé insolito, dal
punto di vista funzionale, mentre non vi sono o quasi attestazioni di anforacei o opus doliare e
una sola attestazione di opus latericium, dato abbastanza stridente, vista l’entità del sito. Tutti
questi materiali, d’altro canto, permettono di delineare molto bene l’entità del sito dal punto
di vista delle produzioni di qualità, tracciando una fitta serie di rapporti che la zona doveva
tenere con centri del Valdarno, dell’Etruria meridionale e con Pisa.
La sigla CCF identifica un’area di distribuzione molto vasta che fa ipotizzare che si possa trattare dell’area di spargimento derivante da un sito localizzato nelle vicinanze, presumibilmente
quello identificato dalle sigle CA-CA II. L’ipotesi sembra suffragata dall’assoluta identità delle attestazioni: entrambi i siti hanno testimonianza di una prima frequentazione in periodo
tardo-arcaico per poi avere uno sviluppo maggiore in periodo romano imperiale fino al tardo
II secolo d.C. Da quest’area proviene un frammento di antefissa (2072). Per quanto riguarda
l’epoca post-classica si segnala un frammento di ingubbiata e graffita recuperato durante le
ricognizioni del GAF.
Periodo preistorico: circa 150 manufatti litici, circa 25 frr. ceramici.
Periodo classico: periodo arcaico: 1 fr. opus latericium; periodo romano imperiale: 133 frr.
ceramica da mensa, 70 frr. ceramica da dispensa, 104 frr. ceramica da cucina, 1 fr. vetro, 8
frr. altro.
Periodo post-classico: 3 frr. ceramici.
Cfr. schede di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0032/35/38/39.
Grado affidabilità
3/3/2
Cronologia Periodo preistorico: probabilmente compreso tra il Neolitico e l’Eneolitico.
Periodo classico: la prima fase di occupazione è databile al periodo tardo-arcaico; il sito risulta poi occupato stabilmente in epoca romana, nel periodo compreso tra il primo impero e la
seconda metà del II secolo d.C.
Periodo post-classico: XIV-XX secolo.
Materiali
Il sito ha restituito una cinquantina di frammenti, per lo più di acroma selezionata. Vista la
provenienza dei reperti da ricognizioni di superficie, non è possibile attribuire una cronologia
sicura alla maggior parte dei frammenti, che consistono in forme aperte di acroma selezionata.
Periodo post-classico: 54 frr. ceramici.
Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0034.
Grado affidabilità
-/-/1
Cronologia Periodo post-classico: XIV-XVII secolo.
Interpretazione
Periodo post-classico: La presenza di pochi frammenti di ceramica rinascimentale e di un
frammento di maiolica arcaica può solo suggerire una frequentazione del sito a partire dal
basso Medioevo.
Fonti Cartografiche
Piante di Popoli e Strade, c. 434 (S. Angelo).
Bibliografia
Lamberini 1987, I, pp. 75-76.
Interpretazione 252
Periodo preistorico: l’insieme litico è in gran parte ascrivibile all’epoca olocenica, comprendendo: piccole schegge e lamelle; ritoccati come grattatoi corti, anche molto piccoli; foliati, tra cui punte di freccia; alcuni strumenti a ritocco erto, tra cui una semiluna. La presenza di quest’ultimo tipo di strumento è considerata indicativa di un periodo compreso
tra il Neolitico avanzato e l’età del Rame. Pochi elementi più abrasi e patinati, generici dal
253
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Scheda
Fonti Cartografiche
Piante di Popoli e Strade, c. 439 (San Ruffignano a Somaia).
Fonti di archivio
Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano, prot. 25385 del 27 novembre
1996 (si veda Sheda 14, nota 1); pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano, prot. 22599 del
2004 (si veda Sheda 12, nota 1). Archivio GAF.
Bibliografia
Carta Archeologica 1995, p. 23; Baldini 2007-2008, pp. 133-162.
Anfora da trasporto.
2054. Porzione di fondo.
L 6,8; l 6,2; S fondo 2,5.
Fondo concavo, leggermente appuntito.
Impasto tipo IGE 8.
Stato di conservazione: porzione ricomposta da quattro frammenti; superfici
non alterate, fratture a margini netti.
Bibliografia: Filippi et alii 2007, p.
133; Baldini 2007-2008, pp. 136-137,
n. 43.
La porzione di fondo è attribuibile ad
una anfora da trasporto etrusca arcaica, più specificatamente, ad una anfora
tipo Py 4 (Py, Py 1974, pp. 193-199),
soprattutto in virtù della morfologia del
fondo a punta appiattito (Py, Adroher
Auroux, Sanchez 2001, pp. 23-24).
Le anfore di questo tipo, contenitori
per il vino, sono considerate una evoluzione recente delle più antiche Py 3A
(Corretti, Vaggioli 2003, al quale si
rimanda per la descrizione dettagliata
del tipo e per l’evoluzione nell’ambito
della produzione) e conoscono una diffucione piuttosto ampia, non solo lungo
le coste dell’Etruria tirrenica, ma anche
a Genova (Milanese 1987, p. 279 con
rimandi interni; Melli 1996, pp. 609637), lungo il Midi francese, la Spagna,
la Sicilia, la Sardegna fino a Mileto (per
la carta della distribuzione e relativi rife-
254
rimenti bibliografici si veda Cibecchini
2006, pp. 542-543; per i rinvenimenti in Sardegna si vedano inoltre Sanna
2006 e Botto 2007, pp. 91-92, fig. 22
p. 126), con un periodo di massima attestazione compreso tra l’ultimo quarto
del VI e la prima metà del V secolo a.C.
(Cibecchini 2006, p. 543).
Il nostro esemplare, in base al tipo di
impasto, sembra riferibile alla produzione ceretana (corrispondente quindi, nella classificazione del materiale
dell’Etruria meridionale, al tipo EMD
di Gras: Gras 1985, p. 329), in assoluto la più diffusa tra le coste dell’Etruria
settentrionale e quelle della Francia meridionale (Rendini 1988, p. 195 e note
19-20) e l’unica al momento attestata
in ambiente iberico e nel Midi francese
(Cibecchini 2006, p. 543 e nota 3).
Da notare infine che queste particolari anfore sono piuttosto diffuse anche
nell’interno, in particolare lungo le valli
del Serchio e dell’Arno, come dimostra
anche l’esemplare in esame: dalle “vie
d’acqua”, attraverso alcuni vici o oppida
d’altura come Montereggi (Alderighi
1985, pp. 66, 75-76), questi materiali,
così come gli altri materiali di importazione, venivano distribuiti attraverso
un percorso di crinale, per giungere
nelle zone più interne.
Prima metà del V secolo a.C.
255
Ceramica da mensa.
2055. Frammento di fondo e piede
di coppa carenata/piatto (catillus)
di terra sigillata italica.
L 8,3; l 4,3; h piede 1,2; S fondo 0,6;
S piede 0,7; S piano di posa 0,4; diam.
piede ricostruito 7.
Fondo piatto, con un ispessimento centrale; piede ad anello, a pareti non parallele, quasi verticale quella esterna, inclinata quella interna. Sul fondo, tra una
coppia di solchi profondamente impressi, parte iniziale di una cornice con margini arrotondati con cartiglio A·V[…].
Impasto tipo TSI 3; vernice tipo VeSI 3.
Stato di conservazione: vernice omogenea su tutta la superficie; fratture nette.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, p.
138, n. 44.
La coppa dovrebbe rientrare nella forma 3 del Conspectus (si veda Scheda 69
– 2083), in particolare nella variante 2.1
(Conspectus 1990, pp. 56-57), corrispondente alla XIX, varietà 3 di Pucci (Pucci
1985, p. 388, tav. CXXIV, 10) e alla 43
di Goudineau (Goudineau 1968, pp.
308-309).
Il frammento, che trova un confronto piuttosto vicino nell’officina di
L. Umbricius Cordo nell’Etruria interna, nella zona di Torrita di Siena
(Mascione 1992, p. 102, n. 5, tav.
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
punto di vista tipologico, potrebbero risalire al Paleolitico. La ceramica è poco indicativa; i
pochi elementi più diagnostici non contraddicono l’ipotesi di una collocazione dell’insieme
nell’Eneolitico.
Periodo classico: per l’ambito classico, con tutte le cautele che il tipo di ricerca impone, bisogna pensare che nel sito in esame sia da identificare un piccolo villaggio del tipo pagus, indiziato dalla lunga continuità di vita e dall’estensione difficilmente conciliabile con un’unica
struttura. Non è possibile avanzare alcuna ipotesi sulla tipologia dell’insediamento di periodo
etrusco arcaico, vista l’esiguità del materiale pervenuto. Appare azzardato avanzare ulteriori
ipotesi vista la mancanza di materiali di uso comune che possa delineare meglio il modello
insediativo.
Periodo post-classico: anche in questo caso, mancando del tutto strutture attribuibili al
Medioevo, dobbiamo considerare i materiali post-classici rinvenuti come una semplice conferma della diffusione dell’insediamento poderale in età moderna in tutto il territorio di
Calenzano.
Età augustea.
Ceramica da mensa.
2056. Frammento di orlo e parete
di coppa carenata (catillus) di terra
sigillata tardo-italica.
p. 102, n. 5, tav. XXXV), e in quello
recuperato nel territorio di Vecchiano
(Menchelli, Vaggioli 1988, p. 102,
n. 9.23).
Ceramica da mensa.
2057. Porzione di orlo e parete di
coppa carenata (catillus) di terra
sigillata tardo-italica.
un frammento trovato a Ponte a Elsa,
nel territorio di S. Miniato, in località
Poggio a Isola (Maestrini 1983, p. 23,
n. 1, fig. 4.1).
Ceramica da mensa.
2058. Frammento di orlo e vasca
di coppa (acetabulum) di terra
sigillata tardo-italica.
L 4,9; l 3,3; S parete 0,5; S orlo 0,6.
Produzione pisana, età flavia-primi decenni del II secolo d.C.
L 9,7; l 5,5; S parete 0,5; S orlo 0,4;
diam. orlo ricostruito 20,4.
Produzione pisana, età flavia-primi decenni del II secolo a.C.
L 2,9; l 2,1; S parete 0,4; S orlo 0,3.
Orlo sporgente, arrotondato, distinto
dalla parete da una gola; parete inclinata verso l’esterno, a profilo interno convesso. Nella parete interna, leggeri segni
lasciati dalla lavorazione a tornio.
Impasto tipo TSI 2; vernice tipo VeSI 2.
Stato di conservazione: vernice in parte
scagliata; corpo ceramico talcoso al tatto e tendente a sgretolarsi facilmente.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, p.
139, n. 45.
La coppa è avvicinabile alla forma
Conspectus 3, variante 2 (si veda Scheda
69 – 2083), corrispondente alla XIX,
varietà 3 di Pucci (Pucci 1985, p. 388,
tav. CXXIV, 10) e alla più generica 43
di Goudineau (Goudineau 1968, pp.
308-309).
In particolare, pur nella generica aderenza alla forma, trova i confronti più
prossimi, soprattutto nel profilo del labbro, in un esemplare ritrovato a Torrita
di Siena, nella officina di L.Umbricio
Cordo, dove la forma in esame è quella maggiormente rappresentata dal
periodo tiberiano, con più della metà della produzione (Mascione 1992,
256
Orlo sporgente, leggermente assottigliato, superiormente appiattito, distinto dalla parete mediante una gola, resa
più evidente da un solco parete inclinata verso l’esterno, a profilo interno
convesso. Sia sulla parete esterna sia su
quella interna, segni lasciati dalla lavorazione a tornio.
Impasto tipo TSI 2; vernice tipo VeSI 2.
Stato di conservazione: due frammenti
contigui; vernice tendente a scagliarsi; fratture a margini arrotondati; orlo
quasi del tutto abraso.
Orlo assottigliato, arrotondato superiormente ed esternamente evidenziato
mediante un listello plastico applicato,
sporgente, a sezione quasi triangolare,
sottolineato inferiormente da un solco;
vasca emisferica. Tra l’orlo e il listello
rilevato, decorazione plastica applicata
à la barbotine, costituita da una rosetta
con pistilli impressi, non meglio definibile nei suoi elementi costitutivi a causa
del pessimo stato di conservazione.
Impasto tipo TSI 1; vernice tipo VeSI 2.
Stato di conservazione: vernice quasi
del tutto perduta; margini delle fratture
dilavati.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, p.
139, n. 46.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, p.
140, n. 47.
La coppa è avvicinabile alla forma
Conspectus 3, variante 2 (si veda Scheda
69 – 2083), corrispondente alla XIX,
varietà 5 di Pucci (Pucci 1985, p. 388,
tav. CXXIV, 12) e alla più generica 43
di Goudineau (Goudineau 1968, pp.
308-309).
In particolare, pur nelle generica aderenza alla forma, trova i confronti più
prossimi, soprattutto nell’esemplare illustrato da Pucci in tipologia e in
Il frammento va ricondotto ad una coppa forma Conspectus 34 (si veda Scheda
69 – 2086), variante 1.3, corrispondente alla XXXVII, varietà 4 di Pucci
(Pucci 1985, p. 396, tav. CXXXI, 8,
anche se il listello nel nostro esemplare
è a sezione più marcatamente triangolare), e alla più generica 38 di Goudineau
(Goudineau 1968, p. 305).
Nell’ampia casistica delle attestazioni,
257
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
XXXV), potrebbe essere un prodotto di
Avillius, artigiano la cui attività è datata
generalmente tra il 20 a.C. e il 40 d.C.,
con un periodo di massima produzione
in età tiberiana. A questa identificazione
tuttavia osta l’aspetto epigrafico perché,
dovendo prendere in considerazione solo le redazioni in cui compare esclusivamente il gentilizio, non si spiega il punto
in mezzo tra A e V (CVArr2 2000, pp.
152-153). Un’altra possibilità è che sia
uscito dall’atelier di A. Vibius, nei cui
cartigli la lettera del praenomen e il nomen sono divisi da un punto (A·VIBI, n.
2397: CVArr2 2000, pp. 478-479); non
sappiamo se sia possibile identificarlo
con la bottega di A. Vibius Scrofu(la), importante ceramista aretino la cui attività
si data generalmente tra il 40 e il 15 a.C.
(n. 2400: CVArr2 2000, pp. 479-481).
In realtà la produzione di A. Vibius, attestata sicuramente ad Arezzo tra il 30 e il
10 a.C., si caratterizza per cartigli rettangolari, ma sono attestati esemplari con
bolli entro cornice a margini arrotondati
(tipo 451: CVArr2 2000), oltre ad un più
tardo bollo con cartiglio in planta pedis,
che l’editore considera molto più recente
e non dello stesso ceramista.
Anche la forma, piuttosto diffusa in età
imperiale e nella produzione tardo-italica, è attestata precocemente anche in
questa parte dell’Etruria settentrionale
tirrenica, come dimostrano i dati emersi
dagli scavi di Luca (Ciampoltrini 2007,
pp. 61-65, fig.1 p. 60).
Ceramica da mensa.
2059. Frammento di vasca di coppa
(acetabulum) di terra sigillata
tardo-italica.
Produzione pisana, fine del I-primi decenni del II secolo d.C.
Vasca emisferica, caratterizzata all’esterno da un evidente listello plastico applicato, sporgente, piuttosto sviluppato, a
sezione circolare, sottolineato inferiormente da un solco; tra l’orlo e il listello
rilevato, decorazione plastica applicata
à la barbotine, costituita da una rosetta,
con occhio centrale reso con un doppio
circoletto e da sedici (?) petali radiali, in
rilievo piuttosto evidente e ben conservato.
L 2,4; l 1,7; S parete 0,4.
Impasto tipo TSI 2; vernice tipo VeSI 2.
Stato di conservazione: vernice non
uniforme e in parte perduta; scheggiature sulla superficie.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp.
140-141, n. 48.
Il frammento va ricondotto ad una
coppa forma Conspectus 34 (si veda
Scheda 69 – 2086), corrispondente alla
XXXVII di Pucci (Pucci 1985, pp. 396397, tav. CXXXI) e alla più generica
38 di Goudineau (Goudineau 1968, p.
305).
In assenza di elementi ben definibili,
come l’orlo, a causa delle ridottissime dimensioni e per il precario stato
258
di conservazione delle sue parti costitutive, non può essere ulteriormente
classificato. È possibile tuttavia tentare
un inquadramento sulla base sia del
tipo di ceramica che di vernice, che
rimanda alla produzione tardo-italica,
anche in virtù di un esemplare proveniente da Cosa e recentemente pubblicato (Marabini Moevs 2006, p. 70,
AB22I.21, tav. 35).
Produzione pisana, fine del I-primi decenni del II secolo d.C.
Ceramica da mensa.
2060. Frammento di fondo e piede
di coppa di terra sigillata tardoitalica.
L 5,9; l 2,7; h piede 0,9; S fondo 0,7;
S piede 0,9; S piano di posa 0,5; diam.
piede ricostruito 6,2.
Fondo piatto, esternamente convesso;
piede ad anello rastremato, con le pareti inclinate non parallele. Sul fondo,
decorazione impressa, attualmente costituita solo da due solchi impressi.
solitamente, per l’orlo indistinto.
Nel nostro caso, non essendo conservato tale elemento, l’identificazione
va letta solo come proposta generica.
Tuttavia un confronto puntuale può
essere trovato nella variante 58 dei fondi trovati nell’officina di L. Umbricius
Cordo (Mascione 1992, p. 111, tav.
XXXIX).
Produzione pisana, età flavia-primi decenni del II secolo a.C.
Impasto tipo TSI 1; vernice tipo VeSI 2.
Ceramica da mensa.
2061. Porzione di fondo e piede di
coppa carenata/piatto (catillus) di
terra sigillata tardo-italica.
L 5,8; l 3,5; h piede 0,7; S fondo 0,6;
S piede 0,9; S piano di posa 0,5; diam.
piede ricostruito 6,4.
Fondo esternamente convesso, internamente appena concavo; piede ad anello, a pareti non parallele, quella interna
inclinata, quella esterna quasi verticale.
Sul fondo, parte iniziale di un bollo in
planta pedis, circoscritto da un solco
impresso e con cartiglio illeggibile.
Impasto tipo TSI 6; vernice tipo VeSI 2.
Stato di conservazione: vernice quasi
del tutto caduta; corpo ceramico molto
abraso; fratture con margini arrotondati.
Stato di conservazione: porzione ricomposta da tre frammenti; vernice quasi
completamente perduta; fratture con
margini arrotondati ed ampie scheggiature; bollo illeggibile.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, p.
142, n. 49.
La coppa è difficilmente classificabile;
dovendo tuttavia tentare un’attribuzione, potrebbe essere avvicinata ad una
coppa a pareti svasate tipo Conspectus
7.2 (?) (Conspectus 1990, pp. 64-65),
corrispondente alla forma XV di Pucci
(Pucci 1985, forse varietà 3: p. 387,
tav. CXXIV, 1). Questa particolare
coppa veniva prodotta in molte figlinae dell’impero, in particolar modo ad
Arezzo, Pisa, Lione e nella Padania. La
nostra variante, molto più tarda del tipo XV,1, si avvicina morfologicamente
alla forma XIX, dalla quale si distingue,
Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp.
142-143, n. 50.
La coppa è difficilmente classificabile;
dovendo tuttavia tentare una attribuzione, potrebbe rientrare nella forma
Conspectus 3.2, corrispondente alla XIX
di Pucci (Pucci 1985, forse varietà 5: p.
388, tav. CXXIV, 12) e alla Goudineau
43 (Goudineau 1968, pp. 308-309).
Nello specifico, il frammento, per il
tipo di fondo con piede ad anello caratterizzato da base di appoggio arro-
259
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
un confronto stringente è con un esemplare recuperato nel Relitto B di Punta
Ala (inv. 222800: De Tommaso 1998a,
pp. 108-109, n. 15; Bargagliotti,
Cibecchini, Gambogi 2004, pp. 9496, n. 5).
Ceramica da mensa.
2062. Porzione di fondo e piede di
coppa carenata/piatto (catillus) di
terra sigillata tardo-italica.
Fine del I-primi decenni del II secolo
d.C.
Fondo interno piatto, leggermente
convesso; fondo esterno a profilo nettamente convesso; piede ad anello, con
superficie interna inclinata ed esterna
quasi verticale. Sul fondo interno, bollo
in planta pedis, conservato solo per metà e con all’interno sigla NON·FL[-].
Sul fondo esterno, segni incisi dopo la
cottura, non interpretabili.
Stato di conservazione: porzione ricomposta da due frammenti; vernice quasi
del tutto caduta; superficie ceramica
in gran parte abrasa; fratture del fondo
quasi tutte recenti, nette e con ampie
scheggiature; completamente lisciate ed
arrotondate le fratture della vasca.
157), tipico delle forme 3-4, 6, 11-12,
18-20; inoltre per la vicinanza con il
fondo fig. 6.3 (Conspectus 1990, p. 159)
e per la particolare diffusione della forma ceramica a cui rimanda, è possibile
avanzare l’ipotesi che il fondo appartenesse ad una coppa carenata Conspectus
3 e nello specifico – ma con molti dubbi – alla varietà 1.2, corrispondente alla
XIX di Pucci (Pucci 1985, p. 388, tavv.
CXXIV-CXXV), senza una corrispondenza puntuale in una varietà, e alla
Goudineau 43 (Goudineau 1968, pp.
308-309).
Anche in questo caso, come per il frammento 2061, al quale si rimanda, i confronti, anche se non puntuali, si possono trovare sia in ambito pisano-valdarnese (Menchelli, Vaggioli 1988, pp.
107-108, fig. 11.10) sia in area interna;
a Torrita di Siena, nello specifico, si avvicina al fondo con base d’appoggio arrotondata varietà 59 (Mascione 1992,
p. 111, tav. XXXIV).
Il bollo sul fondo assegna senza dubbi
la coppa all’ultima fase della produzione pisana della sigillata tardo-italica, ad
una delle officinae di L. Nonius Fl[-].
Bibliografia: Baldini 2007-2008, p.
143, n. 51.
Produzione pisana, fine del I-primi decenni del II secolo a.C.
L 5,8; l 2,1; h piede 1,6; S piede 1,5; S
piano di posa 0,5.
Impasto tipo TSI 5; vernice tipo VeSI
2.
Il fondo è difficilmente attribuibile ad
una forma, anche se è possibile tentare
un inquadramento su base tipologica.
Pur non trovando rimandi diretti nel
Conspectus, si può avvicinare al tipo di
fondo B 2.5 (Conspectus 1990, pp. 156-
260
Ceramica da mensa.
2063. Porzione di orlo e parete di
coppa (parapsis) di terra sigillata
tardo-italica realizzata a matrice.
L 6,7; l 4,8; S parete 0,9; S orlo 0,6.
Orlo pendente a profilo arrotondato,
distinto dalla parete mediante un solco;
parete a profilo interno convesso-concavo, con spessore nettamente maggiore nella parte convessa. Sulla superficie
esterna, parte della decorazione, attualmente conservata su due registri nettamente separati da un evidente gradino:
in quello superiore, posto immediatamente al di sotto dell’orlo, decorazione
a rotella impressa; in quello inferiore,
giro di ovoli allungati. Sulla superficie
interna, segni lasciati dalla lavorazione
al tornio.
Impasto tipo TSI 4; vernice tipo VeSI 2.
Stato di conservazione: porzione ricomposta da due frammenti; vernice poco
coprente e in parte perduta; fratture
con margini molto arrotondati; ampie
scheggiature.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp.
144-145, n. 52.
La piccola porzione di coppa è ascrivibile sicuramente alla produzione della
terra sigillata tardo-italica decorata a
matrice, classe piuttosto ben conosciuta grazie a recenti studi (Medri 1992;
Medri 1995; Rossetti Tella 1996),
prodotta tra il decennio 80-90 a.C. e
l’età antonina.
Il nostro esemplare può essere avvicinato dal punto di vista formale al tipo
1.8.2.b della Medri (Medri 1992, pp.
49-50, tav. 2.3 p. 53), che, nel labbro, corrisponde al tipo di orlo “A”
di Lavizzari Pedrazzini (Lavizzari
Pedrazzini 1972, p. 9, fig. 3a). Per
quanto riguarda invece la decorazione accessoria a “giro di ovoli” (motivo decorativo n. 279: ibidem, p. 76)
andrà citato un esemplare simile nella
Collezione Pisani Dossi (ibidem, p.
28, n. 62, tav. XIII), attribuito, in base ad analogie del fregio che decora il
resto del vaso con esemplari bollati da
Albintimilium e Ostia, alla manifattura
di Sex. M.F., nonostante vada ribadita
la non infrequenza del motivo ad ovuli
capovolti (Pucci 1973, pp. 317-318).
In ambito regionale confronti stringenti
si possono trovare a Pisa (Storti 1989,
n. 550 p. 73), Settefinestre (Regoli
1985, n. 17, tav. 38) e nel Relitto B di
Punta Ala (inv. 222799: De Tommaso
1998a, p. 112, n. 23; Bargagliotti,
Cibecchini, Gambogi 2004, pp. 9697).
Produzione pisana, prima metà del II
secolo d.C.
261
Ceramica da mensa.
2064. Frammento di orlo e parete
di coppa (parapsis) di terra sigillata
tardo-italica realizzata a matrice.
L 5,3; l 4,7; S parete 0,7; S orlo 0,5.
Orlo sporgente, a profilo interno convesso, esterno arrotondato, distinto
dalla parete a profilo interno convessoconcavo; mediante una profonda gola e
un solco. Sulla parete esterna, subito al
di sotto dell’orlo, decorazione a rotella
impressa; sulla vasca, inizio di decorazione impressa a stampo, costituita da
un giro di ovoli allungati delimitato
in alto da un listello a rilievo; altri elementi non sono definibili, per le poche
tracce conservate. Nella parete interna,
segni lasciati dalla lavorazione a tornio.
Impasto tipo TSI 4; vernice tipo VeSI 2.
Stato di conservazione: vernice inconsistente, frattura a margini arrotondati;
orlo molto consunto.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp.
145-146, n. 53.
Il frammento è pertinente ad una coppa Dragendorff 29 di sigillata tardoitalica decorata (si veda 2063 per la
bibliografia di riferimento sulla classe).
Nello specifico la coppa si avvicina al
tipo 1.8.1.b della Medri (Medri 1992,
pp. 49-50, tav. 2.3 p. 53), con orlo rotellato fortemente estroflesso, variante
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
tondata, può essere avvicinato alla variante 59 dei fondi recuperati nell’officina di L. Umbricio Cordo (Mascione
1992, p. 111, tav. XXXIV); in ambito
locale, trova un corrispettivo a Isola di
Migliarino (Menchelli, Vaggioli
1988, pp. 107-108, fig. 11.5).
Produzione pisana, prima metà del II
secolo d.C.
Ceramica da mensa.
2065. Frammento di parete di
coppa (parapsis) di terra sigillata
tardo-italica realizzata a matrice.
L 5,2; l 2,4; S parete 0,7.
Parete emisferica, con andamento del
profilo interno diverso da quello esterno; sulla superficie esterna, decorazione
ottenuta a matrice, costituita da una teoria di animali in corsa (canidi?).
Impasto tipo TSI 4; vernice tipo VeSI 2.
Stato di conservazione: vernice quasi completamente caduta, soprattutto
sulle parti decorate; corpo ceramico
abraso; fratture a margini mediamente
arrotondati.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, p.
146, n. 54.
Il frammento è pertinente ad una coppa Dragendorff 29 di sigillata tardo-italica decorata (si veda 2063 per la bibliografia di riferimento sulla classe). Nello
specifico la coppa si avvicina al tipo 1.8
della Medri (Medri 1992, pp. 49-50,
tav. 2.3 p. 53), con la carena poco accennata; la porzione conservata è così
piccola da rendere impossibile stabilire
se, verso il piede, ci fosse l’ispessimento tipico della variante (ibidem, p. 49).
Il soggetto iconografico è difficilmente leggibile: sembra tuttavia, in base a
quanto conservato – cioè il registro in-
262
feriore – che si trattasse di una sequenza
semplice di tipo omogeneo, costituita
da animali, forse canidi (il motivo è vicino al soggetto 2.2.8.10 della Medri:
ibidem, p. 229). Se l’identificazione è
giusta, corrisponde al motivo già documentato nella Collezione Pisani Dossi
del Museo Archeologico di Milano
(Lavizzari Pedrazzini 1972, fig. 127
p. 70), motivo piuttosto comune e non
attribuibile con sicurezza a nessun artigiano, anche se la variante della coppa
è ben attestata tra la produzioni dei
Murrii e di L. Nonius Flo[-].
Produzione pisana, prima metà del II
secolo d.C.
Ceramica da mensa.
2066. Frammento di parete di
coppa (parapsis) di terra sigillata
tardo-italica realizzata a matrice.
L 5,4; l 5,2; S parete 1.
Parete carenata, con spigolo di carena
raddolcito; sulla superficie interna, coppia di solchi impressi; sulla superficie
esterna, decorazione ottenuta a matrice, distribuita su due registri: su quello
più vicino al piede, elementi fitomorfi
lanceolati (frecce); al di sopra, elemento
lenticolare (?) di difficile interpretazione.
Impasto tipo TSI 4; vernice tipo VeSI 1.
Stato di conservazione: vernice del tutto perduta sulla superficie esterna e solo
parzialmente su quella interna; corpo
ceramico abraso, caratterizzato da numerose scheggiature.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, p.
147, n. 55.
Il frammento è pertinente ad una coppa
Dragendorff 29 di sigillata tardo-italica
decorata (si veda 2063 per la bibliografia
di riferimento sulla classe). Nello specifico la coppa si avvicina al tipo 1.6.3.a
della Medri (Medri 1992, pp. 46-48,
tav. 2.2 p. 52), con la carena poco marcata, profilo interno più arrotondato e
spessore che tende ad aumentare dalla linea di carena al fondo. Si conserva parte
della decorazione della fascia inferiore. Il
soggetto iconografico è solo parzialmente riconoscibile e si tratta di una sequenza semplice di tipo omogeneo: nella porzione prossima al piede si trova una serie
di frecce corrispondenti al tipo 9.5.2.07
(ibidem, p. 345). Per la restante decorazione, l’interpretazione è del tutto ipotetica, in quanto quasi del tutto abrasa: si
conserva soltanto un elemento lenticolare disposto in orizzontale, che potrebbe
ricordare quello che la Medri interpretata dubitativamente come una corona
(elemento decorativo 4.6.9.02: ibidem,
p. 262), oppure, con una ipotesi ancora meno convincente, potrebbe trattarsi della parte inferiore di un’aquila con
corona e palma (elemento decorativo
2.6.2.01: ibidem, p. 238, corrispondente
al motivo n. 115 di Lavizzari Pedrazzini:
Lavizzari Pedrazzini 1972, p. 69), di
un tipo analogo a quello già noto su
una diversa variante di Dragendorff 29
(Medri 1992, tav. 3.9. p. 83). Sia il motivo a frecce sia gli altri motivi non sono
attribuiti ad una specifica manifattura,
anche se la forma della coppa sembra
quella tipica della produzione centrale
e finale delle officine dei Murrii e di L.
Nonius Flo[-].
Produzione pisana, prima metà del II
secolo d.C.
263
Ceramica da mensa.
2067. Frammento di parete di
bicchiere di ceramica a pareti
sottili.
L 3,8; l 3,4; S parete 0,3.
Parete ovoide; sulla superficie esterna,
al di sotto della spalla, delimitata da un
solco, decorazione plastica “a scaglie di
pigna” applicata à la barbotine; sulla superficie interna, segni del tornio.
Impasto tipo CPS 2.
Stato di conservazione: rivestimento del
tutto perduto; fratture nette e lineari.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp.
147-149, n. 56.
Il frammento è identificabile in un bicchiere forma Ricci 1, probabilmente tipo
106 (Ricci 1985, p. 266, tav. LXXXIV,
12), anche se non è da escludere la pertinenza ad una tazza a due anse. Questo
bicchiere trova confronto con un esemplare rinvenuto nella Penisola Iberica, ad
Osuna, e ricondotto alla forma XLII di
sicura produzione locale (Mayet 1975, p.
96, n. 475). La forma Mayet XLII individua un particolare bicchiere dal corpo
ovoide piuttosto allungato (ma sono attestati esemplari con corpo globulare) dal
labbro obliquo, inclinato verso l’esterno, e
fondo piatto o leggermente concavo. Gli
esemplari dell’estremo occidente mediterraneo sembrano di produzione iberica:
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
attestata tra la produzioni dei Murrii e
di L. Nonius Flo[-].
Esemplari simili sono segnalati a S.
Stefano ai Lupi, nell’area di Portus
Pisanus (Ciampoltrini, Cianferoni,
Romualdi 1984, p. 212, fig. 11.3),
Settefinestre (Regoli 1985, n. 7, tav. 40,
anche se con diversa inclinazione) e nel
Relitto B di Punta Ala (inv. 222781:
De Tommaso 1998a, pp. 111-112,
n. 22: Bargagliotti, Cibecchini,
Gambogi 2004, pp. 96-97, n. 11).
Produzione locale, prima metà del I secolo d.C.
Ceramica da fuoco.
2068. Frammento di orlo di olla di
impasto grezzo.
L 6,1; l 3,7; S parete 0,6; S orlo 1.
Orlo ingrossato, estroflesso, superiormente appiattito, margine esterno arrotondato; all’interno, leggera depressione per l’alloggiamento del coperchio.
Impasto tipo IGR 6.
Stato di conservazione: superfici non
alterate, fratture a margini netti; sulla
parete esterna del labbro, microfessurazioni.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, p.
150, n. 57.
Il frammento è attribuibile ad un contenitore di ceramica comune diffuso in
ambito medio imperiale, sia in ceramica
depurata fine da mensa o da dispensa sia
in acroma grezza, adatta per la cottura
sul fuoco (per la definizione di ceramica comune si veda in ultimo Giannoni
2001, pp. 111-113). In ambito strettamente regionale un confronto cogente
è con il tipo OC 8b della tipologia elaborata per la ceramica comune trovata
a Capannori, loc. Chiarone (Giannoni
2005, pp. 131-132, tav. V p. 137), datata alla seconda fase di vita, cioè in età
antonina e realizzata nel tipico impasto
locale “A”, e con contenitori attestati nel
territorio di Vecchiano (Menchelli,
264
Vaggioli 1988, p. 123, fig. 15.14), con
un inquadramento generico dal periodo
ellenistico al periodo tardo-romano, in
base non ad associazioni stratigrafiche
ma a confronti tipologici (Artimino ed
Albintimilium). Ad un periodo compreso tra il I e il III secolo d.C. sono datati anche gli esemplari di Cosa (Dyson
1976, pp. 124, n. 59, fig. 28; 155, n.
111, fig. 63, con qualche differenza nella
pasta ceramica). Alla tarda età antonina
è datata un’analoga porzione di olla da
fuoco trovata nella villa di Settefinestre
(Papi 1985, pp. 104-105, tav. 29.21), anche in questo caso definita di produzione locale. In ambito laziale simili contenitori sono stati trovati a Castel Giubileo
tra i materiali di «un grosso fabbricato
rustico costruito nell’ultima età repubblicana o nella primissima età imperiale», ma con una continuità di vita piuttosto lunga fino alla metà del V secolo
d.C.: l’Autore inquadra la ceramica da
cucina nel II-III secolo d.C. (Quilici
1976, p. 319). Tuttavia simili forme potevano essere utilizzate anche in dispensa o sulla mensa, come dimostrano gli
esemplari in ceramica depurata acroma
di Populonia (tipo 2.5: Curti 1998, p.
266, fig. 33.13).
Produzione locale, seconda metà del II
secolo d.C.
Ceramica da fuoco.
2069. Frammento di orlo di olla di
impasto grezzo.
L 15,6; l 5,9; S parete 0,6; S orlo 1,2;
diam. orlo ricostruito 23,6.
Spalla a profilo continuo: breve collo a
profilo concavo; orlo ingrossato, estroflesso, a sezione triangolare. All’interno,
depressione per l’alloggiamento del coperchio.
Impasto tipo IGR 6.
Stato di conservazione: porzione costituita da quattro frammenti contigui;
superfici alterate e scabrose al tatto;
fratture con margini arrotondati.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp.
150-151, n. 58.
(Bianchi, Gargiani, Viti 1990, p.
232, con bibliografia). Più significativa
la presenza del Chiarone, perché permette di fissare una cronologia precisa:
infatti grazie al recupero di un consistente lotto di ceramiche da cucina
distribuite nel corso del II secolo d.C.
è possibile riuscire a seguire diacronicamente lo sviluppo formale di alcuni
contenitori. Nel nostro caso il collo
non è distinto – caratteristica della prima fase databile ad epoca traianea – ma
breve ed indistinto, l’orlo è obliquo,
estroflesso e superiormente arrotondato
(Giannoni 2005, pp. 131-132): queste
caratteristiche portano a datare ad epoca antonina la forma in questione.
Produzione locale, seconda metà del II
secolo d.C.
Vitrum.
2070. Frammento di orlo e collo di
bottiglia di vetro blu trasparente
soffiato dentro stampo.
L 2,9; l 2,3; S parete 0,4; S orlo 0,7;
diam. orlo esterno ricostruito 6; diam.
orlo interno ricostruito 2,8.
Orlo estroflesso e ripiegato all’interno,
leggermente pendulo, con le due porzioni fuse insieme e con bordo leggermente inclinato verso l’interno e superiormente appiattito; avvio di collo a
profilo troncoconico.
Stato di conservazione: superficie non
ossidata e fratture nette.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp.
151-153, n. 59.
Lo stato estremamente frammentario
dell’esemplare permette soltanto di stabilire che si trattava di una bottiglia realizzata a stampo, senza tuttavia poter
distinguere se fosse a sezione quadrata
con corpo cubico (forma Isings 50a) o
prismatico (forma Isings 50b), oppure
con corpo cilindrico, con una distinzione in base alla forma più schiacciata
(forma Isings 51a) o meno (forma Isings
51b) della stessa (Isings 1957. Per la
distribuzione delle forme Isings 50 e 51
nelle due varianti, si veda De Tommaso
1985, fig. 102 p. 197; fig. 104 p. 200).
La bottiglia monoansata, nata in età augusto-tiberiana, diffusa soprattutto nel
Come per il frammento 2068, si tratta
della porzione di una olla di ceramica
da fuoco, attestata tra la suppellettile
domestica di età romana medio imperiale. Nello specifico la forma è attestata
a Fiesole, nello scavo di via Marini-via
Portigiani, (Bianchi, Gargiani, Viti
1990, p. 232, n. 33, tav. 45 p. 390) e a
Capannori, in loc. Chiarone (tipo OC,
variante 3c: Giannoni 2005, p. 137,
tav. V). Per quanto riguarda Fiesole il
frammento è datato all’epoca tardo-antica, tra il IV e il V secolo d.C., anche
se nelle stratigrafie di Luni è presente
in contesti di tardo I-III secolo d.C.
265
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
infatti, nonostante siano stati trovati in
notevole quantità anche nella Narbonese,
sembra accertato che la zona di produzione fosse la Lusitania, da cui venivano
smerciati in un periodo compreso dalla
tarda età augustea fino al periodo tardo
flavio (Ricci 1985, p. 266). Noteremo
infine che anche in Italia centrale si producevano vasi di forme diverse con decorazione “a scaglie di pigna”, come dimostra lo scarico di fornace de “La Celsa”, a
Roma, databile tra la fine dell’età repubblicana e i primi due secoli dell’Impero
(Carbonara, Messineo 1991-1992).
Il frammento mostra evidenti difetti di
cottura, al punto da sembrare uno scarto:
poiché anche in contesti pisano-valdarnesi sono attestate produzioni di ceramica “a pareti sottili” (Menchelli 1994,
pp. 208-209), è possibile avanzare l’ipotesi che esso rappresenti la testimonianza
della produzione di tale ceramica in zona
nel primo periodo imperiale. A parziale conferma di tale datazione, oltre agli
esemplari di Cosa (Marabini Moevs
1973, p. 286, n. 253, periodo tiberiano
o inizio del regno di Claudio) e di Ostia
(Tatti 1970, p. 69; Ricci, Carandini
1973, p. 651, fig. 456), andranno citati
anche gli esemplari da Albintimilium,
datati al periodo claudio-neroniano
(Lamboglia 1950, p. 47), e quello da
Bolsena, datato nella prima metà del I secolo d.C. (Santrot, Santrot 1995, pp.
129-130, n. 326, fig. 40, 326).
Probabile produzione nord-italica, me-
tà del I secolo d.C.
Ceramica da mensa.
2071. Porzione di fondo e piede
di coppa di ceramica depurata
acroma.
L 4,2; l 3,9; S fondo 0,4; S piede 1.
Fondo internamente concavo; piede ad
anello a profilo echinoide, distinto dal
fondo esterno, leggermente concavo,
mediante una evidente solcatura. Sulla
superficie interna del piede, tracce di
ingubbiatura.
Impasto tipo CDE 1.
Stato di conservazione: ricomposto da
frammenti; superfici del corpo ceramico non alterate; fratture arrotondate, ad
eccezione di alcuni stacchi recenti.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, p.
154, n. 60.
L’esemplare in esame, che conserva solo una piccola porzione di fondo e di
piede, dovrebbe essere pertinente ad
una coppa di medie dimensioni a vasca
emisferica, piede ad anello “svasato”,
con coste oblique non verticali. In assenza della vasca e del bordo è impossibile inserire l’esemplare in una tipologia
precisa, anche se, in via del tutto ipotetica, si potrebbe avvicinare al tipo C2e
della ceramica locale di Marzabotto
(Tripponi 1970: in particolare sembra
prossimo all’esemplare inv. 467, p. 46,
266
n. 83, fig. 6, soprattutto per il piede
A2b ed il fondo esterno A3; per le definizioni della classificazione si veda pp.
21-25). Per quanto concerne più specificatamente il piede, il nostro è inseribile nel tipo A della tipologia proposta da
Sandri per la ceramica di Marzabotto,
cioè un piede distinto dal fondo esterno
mediante una solcatura (Sandri 1972,
n. 7 pp. 319-320, fig. 1). La datazione
proposta è compresa tra il VI ed il III
secolo a.C.
Recentemente è stata presentata una
classificazione della ceramica da mensa di tipo etrusco-padano trovata a
Bagnolo San Vito, nel Mantovano, riferibile alle fasi di età arcaica (Casini
2005, pp. 252-263), con alcuni tipi
della quale il nostro esemplare mostra
strette analogie formali.
Nell’ambito della classificazione
dei materiali recuperati nel sito di
Gonfienti, il nostro esemplare può essere agevolmente inserito nella forma
I, datata tra la fine del VI e il V secolo
a.C. (Millemaci 2005, pp. 285-287;
per la distribuzione nell’area del bacino
dell’Arno si veda nota 63).
Un ulteriore confronto può aiutare a
definire con maggior precisione la datazione: a Seravezza, in vocabolo Casa
Baldi è stata trovata una coppa datata
al periodo arcaico in quanto, in età ellenistica il piede ad anello presenta piuttosto coste diritte e verticali (Maggiani
1990a, p. 140, n. 3, fig. 74).
Produzione locale, V secolo a.C.
Terracotta architettonica.
2072. Frammento di antefissa a
placca semicircolare realizzata a
stampo.
L 6,9; l 6,1; S placca 2.
Sulla faccia anteriore è riconoscibile
parte della decorazione costituita da
una palmetta, di cui si conservano tre
petali, inscritta in un semicerchio desinente in una voluta, solo parzialmente
conservata; la faccia posteriore presenta due profonde cavità irregolarmente
circolari dovute con probabilità alla
pressione delle dita dell’artigiano che ha
modellato l’antefissa, facendo aderire
l’impasto alla matrice.
Impasto grossolano, caratterizzato da
grossi inclusi micacei; superficie color
rosso, cuore grigio.
Stato di conservazione: superficie molto rovinata e decorazione di difficile
lettura; ampie scheggiature, fratture a
margini arrotondati.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp.
160-161, n. 61.
Le antefisse decorate a palmetta sono
piuttosto diffuse in area etrusca, sia nella redazione dipinta (tra gli esemplari
più antichi va menzionato il tipo IV di
Acquarossa: Wikander, Wikander,
Rystedt 1986, p. 75, n. 64, con bibliografia; la Bonghi Jovino data l’esempla-
re al primo quarto del VI secolo a.C.:
Bonghi Jovino 1989, pp. 672-673) sia
a rilievo (una delle prime attestazioni
è documentata a Tarquinia negli scavi
sul Pian della Civita: da ultima Ciaghi
1999, pp. 11-12, con l’interessante proposta di anteriorità di questa rispetto a
quella di Acquarossa).
La matrice utilizzata per la realizzazione
della nostra antefissa, soprattutto per
la cornice esterna desinente in una voluta, sembra riferibile alla fase matura
dell’evoluzione del tipo a palmetta semplice, successiva cioè alla metà del VI secolo a.C.
Sassatelli, commentando la proposta
ricostruttiva della gronda di una falda
di tetto di Marzabotto, realizzata utilizzando i materiali trovati in un pozzo
nell’area della plateia D, inquadra il tipo nel V secolo a.C., precisando come
tale decorazione non fosse esclusiva delle decorazioni templari ma anche delle
abitazioni (Sassatelli 1985, pp. 158160, n. 6. 33). Sempre da Marzabotto,
e precisamente dall’Insula V, 3, proviene un altro frammento della stessa tipologia, recentemente pubblicato senza
specifica datazione per evidenti inquinamenti del contesto stratigrafico di riferimento (Briquel, Massa-Pairault,
Brase 1997, p. 100, fig. 27.1 p. 101).
Ma l’oggetto senza dubbio più prossimo
al nostro, non solo perché proveniente
da un sito vicino al luogo di ritrovamento dell’oggetto in esame, ma soprattutto
per la strettissima aderenza iconografica
nella resa dei particolari della decora-
267
zione e per il tipo di impasto con cui è
realizzato, è l’esemplare proveniente da
Gonfienti, trovato nell’edificio che occupa l’area di scavo definita Lotto 14.
Integra, l’antefissa conserva tutti i particolari a rilievo, soprattutto i petali e le
due volute alla base, decorazione conservata solo parzialmente nel nostro frammento (Donati 2005, pp. 279-280).
Produzione locale, prima metà del V
secolo a.C.
[G.B.]
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
periodo flavio fino a tutto il II secolo
d.C. (De Tommaso 1990, p. 26), ma
ancora utilizzata in certi contesti tombali del III secolo d.C. (Roffia 1993,
p. 150), veniva utilizzata probabilmente per trasportare e conservare vino ed
olio (ibidem, p. 149), forse vino pregiato (De Tommaso 1990, p. 24); più
raro l’utilizzo in contesti tombali come
contenitore delle ceneri del defunto,
comunque limitato agli esemplari con
bocca più grande ed attestato nelle
province transpadane dopo il II secolo
d.C. (Maccabruni 1983, p. 94).
É possibile, sulla base di alcuni studi
condotti recentemente (Rütti 1991;
Roffia 1993; Masseroli 1998), datare
il tipo con orlo pendente dal secondo
quarto del I secolo d.C., laddove l’orlo
appiattito orizzontalmente è attestato
solo dalla metà del secolo (Masseroli
1998, p. 41; Albin Gaunum 1999, p.
89 – F. Paolucci). Questo dato sembra
confermato anche dai rinvenimenti di
Ercolano (Scatozza Höricht 1986, p.
45).
A livello regionale bottiglie di questo tipo sono state trovate a Pistoia, nell’antico Palazzo dei Vescovi (Capecchi
1987, pp. 283-284, nn. 1708-1710;
769, nn. 4503-4504) e nel Relitto B
di Punta Ala, in associazione con una
coppa Isings 3, riproponendo quindi
l’associazione di Casa Cafaggiolo, in un
contesto datato al primo quarto del II
secolo d.C.
2055
2061
2066
2067
2058
2056
2060
2062
2057
2063
2072
Maiolica arcaica.
3048. Frammento di bordo e parete
di catino carenato.
Maiolica arcaica.
3049. Frammento di bordo di catino
carenato.
L 5,8; l 4,9; S parete 0,6; S carenatura
0,9; diam. bordo ricostruito 23,6.
L 3,3; l 4,2; S carenatura 1,2; S parete
0,4; diam. bordo ricostruito 23.
Bordo con orlo a sezione rettangolare.
Sotto il bordo, treccia in verde ramina,
racchiusa tra linee orizzontali in bruno
manganese. Al di sotto, banda in verde
ramina. Concrezione grigiastra all’interno, forse dovuta al contatto con terreno umido.
Bordo con orlo arrotondato decorato
da linee in bruno manganese.
Non si notano tracce in verde ramina.
Concrezione grigiastra all’interno, forse
dovuta al contatto con terreno umido.
Impasto duro, depurato, di colore arancio chiaro. Smalto bianco, compatto,
uniforme e lucido.
2064
2054
Cfr. Uffizi 2007, pp. 419, 422, fr.
23.1.12; Wentkoswska 2007, pp.
29, 31, fr. 18. Per la classe si vedano
Palazzo Pretorio 1978; Uffizi 2007.
Impasto duro, depurato, di color arancio chiaro. Smalto grigio chiaro, compatto, uniforme e lucido.
Per la classe si vedano Palazzo Pretorio
1978; Uffizi 2007.
XIV secolo.
XIV secolo.
2068
2070
2071
2069
268
269
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
2059
L 4,4; l 3,3; S orlo 0,8; S parete 0,5;
diam. bordo ricostruito 16,5; diam.
collo ricostruito 14,3.
Casa Cafaggiolo, areale Est (CCFSE-CCFSE II).
Contesto di ritrovamento
Oliveto.
Contesto attuale Oliveto.
Descrizione Leggero pendio attraversato da diversi canali di drenaggio, compresi fra il torrente Chiosina (a Sud)
e l’autostrada A1 (ad Ovest). La raccolta dei materiali di superficie è stata effettuata dai membri del
GAF in campo arato o parzialmente lavorato. La quantità e la varietà del materiale raccolto qualificano il sito come uno dei più complessi per l’importanza e la continuità delle frequentazioni.
Materiali Per il periodo classico, a differenza delle altre aree afferenti allo stesso toponimo di Casa Cafaggiolo,
è stata accertata nella raccolta una maggior presenza di ceramica di uso comune, come gli impasti,
di periodo sia etrusco che romano, che permettono una maggiore identificazione della tipologia insediativa. Per quanto riguarda l’epoca post-classica si annoverano una ventina di frammenti, in particolar modo maiolica arcaica e ingubbiata e graffita ma anche maiolica di età moderna, invetriata e
acroma sia grezza sia depurata.
Periodo preistorico: 47 manufatti litici, 10 frr. ceramici raccolti in superficie.
Periodo classico: periodo etrusco arcaico: 5 frr. ceramici; periodo ellenistico: 23 frr. ceramici;
periodo romano: 89 frr. ceramica da mensa, 59 frr. ceramica da dispensa, 43 frr. ceramica da
cucina, 20 frr. opus latericium, 21 frr. altro.
Periodo post-classico: 22 frr. ceramici.
Cfr. schede di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 006/35/36.
Grado affidabilità
3/2/2
Cronologia Periodo preistorico: i reperti sono, almeno in parte, da attribuire genericamente all’Olocene
(Neolitico-età dei Metalli); forse qualche elemento può risalire al Paleolitico.
Periodo classico: l’area è stata occupata dal periodo etrusco arcaico fino al periodo medio
imperiale (II secolo d.C.), senza soluzione di continuità.
Periodo post-classico: i materiali afferiscono al XIV-XVII secolo.
Impasto di colore dal rosso al marrone scuro, con grossi (3-5 mm) inclusi
di miche, calcite e vegetali (forse acini
d’uva), tipicamente da fuoco.
Fine del XIII secolo.
Localizzazione
3050
Bordo con orlo svasato, ingrossato ed
estroflesso e gola esterna.
Cfr. Uffizi 2007, pp. 354, 396, fr.
21.9.9. Per la classe si veda Uffizi 2007.
69 – Areale L
3048
[L.T.]
Interpretazione
3049
270
Periodo preistorico: il materiale è scarso e poco indicativo. I pochi frammenti ceramici sono
molto ridotti e mal conservati (in diversi casi anche la stessa loro attribuzione alla Preistoria è
dubbia); la litica è nel complesso poco diagnostica, se si eccettua la presenza di poche lamelle.
Periodo classico: in mancanza di dati di scavo dobbiamo limitarci alle informazioni fornite dalla
raccolta dei soli materiali “mobili” che sembrano delineare una struttura a carattere abitativo,
ben attestata dalla ceramica di uso comune e dai laterizi e frammenti di opus caementicium.
Periodo post-classico: mancando del tutto strutture attribuibili al Medioevo, dobbiamo considerare questi riferimenti come ulteriore conferma della diffusione dell’insediamento poderale in età moderna in tutto il territorio di Calenzano.
Fonti Cartografiche
Piante di Popoli e Strade, c. 439 (San Ruffigniano a Somaia).
Fonti di archivio
Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano, prot. 25385 del 27 novembre
1996 (si veda Sheda 14, nota 1); pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano, prot. 22599 del
2004 (si veda Sheda 12, nota 1). Archivio GAF.
Bibliografia
Carta Archeologica 1995, p. 25; Baldini 2007-2008, pp. 165-192.
271
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Ceramica acroma grezza.
3050. Frammento di bordo di olla.
Scheda
Litica.
1103. Manufatto ritoccato.
Litica.
1104. Manufatto ritoccato.
Litica.
1105. Manufatto ritoccato.
Litica.
1106. Manufatto ritoccato.
Litica.
1107. Manufatto ritoccato.
L 3,3; l 2,3; S 1,1.
L 2,7; l 4,5; S 1.
L 2,2; l 1; S 0,4.
L 3,8; l 1,4; S 0,6.
L 3,5; l 2,8; S 1,1.
L 1,6; l 0,7; S 0,2.
Scheggia con tallone corticato.
Raschiatoio laterale su scheggia allungata; ritocco totale accurato.
Strumento geometrico: semiluna.
Ritocco accurato.
Grattatoio ogivale con ritocco bilaterale; tallone faccettato.
Raschiatoio lungo su lamella; ritocco
inverso laterale parziale.
Selce.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Selce.
Selce.
Grattatoio lungo a muso tendente alla
morfologia ogivale; supporto laminare;
muso leggermente evidenziato; ritocco
complementare unilaterale marginale.
Diaspro.
Spigoli poco abrasi, rari pseudoritocchi.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Selce.
Diaspro.
Spigoli poco abrasi, rari pseudoritocchi.
L’elemento, considerato nell’insieme
dell’industria (litica e fittile), potrebbe
indicare un periodo dell’epoca olocenica compreso tra il Neolitico avanzato e
l’età del Rame.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
272
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
L’elemento è attribuibile, probabilmente, ad una fase di epoca olocenica.
L’elemento è attribuibile con maggiori
probabilità ad un periodo compreso tra
la fine del Paleolitico e l’Olocene.
273
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Litica.
1102. Manufatto non ritoccato.
L 2,9; l 2,4; S 2,2.
Nucleo per l’ottenimento di lamelle
e piccole schegge, molto sfruttato; un
piano di percussione, preparato con un
colpo unico; distacchi paralleli unidirezionali.
Selce.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
L’elemento è attribuibile ad un periodo compreso tra la fine del Paleolitico
e l’Olocene.
Ceramica.
1109. Frammento di parete
carenata.
L 5,9; l 5,2; S 1,7.
Forma probabilmente composta da
parte inferiore a calotta e parte superiore troncoconica.
Impasto grossolano.
Epoca olocenica. Il reperto, considerato nel suo contesto, non contraddice
l’ipotesi di un’attribuzione del materiale ad un ambito cronologico e culturale
eneolitico.
274
Litica.
1110. Manufatto ritoccato.
Litica.
1111. Nucleo.
Litica.
1138. Percussore.
Litica.
1139. Manufatto ritoccato.
L 2; l 1,4; S 0,3.
L 3; l 2,6; S 2,5.
L 4,2; l 2,5; S 2,1.
L 3,9; l 2,6; S 1,1.
Punta foliata peduncolata; ritocco piatto bifacciale coprente; sagoma irregolare.
Piccolo ciottolo allungato e spesso con
tracce di percussione su un’estremità;
probabile percussore per il prelievo di
piccoli distacchi da nuclei o per il ritocco dei supporti scheggiati.
Pezzo foliato unifacciale; ritocco coprente; sagoma ovalare allungata.
Diaspro.
Nucleo a distacchi ortogonali per
l’estrazione di schegge di piccole dimensioni; tre piani di scheggiatura ortogonali; distacchi paralleli unidirezionali sulla faccia principale.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
Selce.
Basalto.
Epoca olocenica.
Spigoli freschi, rari pseudoritocchi.
Selce.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
L’elemento è attribuibile con maggiori
probabilità ad un periodo compreso tra
la fine del Paleolitico e l’Olocene.
275
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Litica.
1108. Nucleo.
1108
1111
L 1,4; l 1,6; S 0,6.
Piccolo grattatoio frontale corto subcircolare; ritocco semierto.
1107
1140
1110
Diaspro.
Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti.
1105
1106
L’elemento è attribuibile con maggiori
probabilità ad un periodo compreso tra
la fine del Paleolitico e l’Olocene. Nel
contesto specifico, il reperto non contraddice un’attribuzione dell’insieme
ad un ambito neo-eneolitico.
[O.F.]
1104
1139
1103
1138
276
1100
277
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
1109
Litica.
1140. Manufatto ritoccato.
L 10,5; l 10,1; h ansa 4,5; S parete 1,2.
Calotta a sezione emisferica, superiormente appiattita; presa ad anello.
Impasto tipo IGE 3; in particolare il
frammento si caratterizza per il colore
delle superfici generalmente arancio,
con ampie zone di annerimento causate
dall’esposizione sul fuoco.
Stato di conservazione: superfici lisce,
non alterate; fratture generalmente
nette a spigoli vivi; rare scheggiature o
abrasioni.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp.
169-170, n. 62.
Il tipo di coperchio con presa ad anello,
attestato tra l’instrumentum domesticum
di Murlo, al di sotto dei crolli dell’edificio più recente (forma K: Bouloumié
Marique 1978, p. 86), è piuttosto diffuso, nel caratteristico impasto a scisti
microclastici, in area etrusca tirrenica
settentrionale, “pisana” in particolare,
soprattutto in periodo arcaico e tardoarcaico, oltre che in contesti dell’Emilia
(ad esempio, a San Claudio nel territorio di Reggio Emilia il tipo è attestato
in un contesto abitativo della media
età del Ferro emiliano, VII-VI secolo a.C.: Malnati, Losi 1990, pp. 92,
tav. XXIV, 1; 95, tav. XXXI, 4) e della Romagna (sia sulla costa, a Cesena,
sia nell’interno, a Faenza, il coperchio
– tipo 1 – è ben documentato, anche
se la calotta presenta sezione più marcatamente troncoconica. Per la distribuzione in ambito romagnolo si veda
Romagna 1982, p. 369).
Tuttavia, sulla base della documentazione offerta dai centri del territorio,
bisogna registrare attardamenti o continuità della tipologia anche in periodo
ellenistico, come dimostrano, sul versante versiliese, il sito di Bora dei Frati
(Storti 1990, p. 214, nn. 115-116, fig.
117) o nell’entroterra, lungo le vie di
comunicazione che dalla valle dell’Arno conducevano all’interno, l’abitato di
Poggio Carlotta-Coiano, nel Comune
di Castelfiorentino (Alderighi 1994,
p. 75, n.124, tav. XIII).
I confronti più vicini sia per quanto riguarda Pisa (scavi piazza Dante 1991:
in ultimo Bruni 1998, p. 138, tav. 44)
sia la sua chora (Usigliano di Palaia ha
restituito un cospicuo lotto di materali
arcaici: ibidem, pp. 186-187, tav. 88)
permettono di datare il nostro esemplare al periodo arcaico.
Degne di nota le attestazioni di esemplari in Garfagnana (Ciampoltrini
2005, pp. 44-49; Ciampoltrini,
Notini 2005, pp.84-103) e all’Isola
d’Elba (Maggiani 2006, pp. 443, tav.
IVc).
Ceramica da fuoco.
2074. Frammento di orlo di
olla di impasto grezzo a scisti
microclastici.
Ceramica da fuoco.
2075. Frammento di orlo e parete
di olla di impasto grezzo a scisti
microclastici.
L 4,3; l 3; S orlo 1,3.
L 5,7; l 6; S parete 0,9.
Orlo estroflesso e pendente, caratterizzato internamente da una solcatura; e
con bordo ingrossato; collo concavo.
Orlo svasato, con bordo assottigliato
e obliquo, caratterizzato internamente
da una solcatura; collo concavo; ventre
ovoide. Sul collo e sull’orlo, digitazioni
lasciate dalla manipolazione.
Età etrusco arcaica.
Produzione locale, fine del VI-V secolo
a.C.
278
Impasto tipo IGE 7; il frammento presenta sia le superfici che l’interno di colore
bruno scuro, quasi nero.
Stato di conservazione: superfici lisce,
fratture nette; sporadiche scheggiature
o abrasioni.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, p.
170, n. 63.
Il tipo di olla con orlo estroflesso pendente e bordo ingrossato è tipico di recipienti di età arcaica e tardo-arcaica di
area etrusco settentrionale sia marittima
– zona versiliese-pisana –, nel caratteristico impasto a scisti (Migliarina: Vaggioli
1990, p. 100, n. 27, fig. 47.27 p. 101),
che interna, zona della Garfagnana
(Ciampoltrini, Notini 2005, p. 95, fig.
15, 11 p. 97), ma anche di area padana,
come attestano i rinvenimenti di Casale
di Rivalta nel Reggiano (Macellari,
Squadrini, Bentini 1990, pp. 182-184).
Impasto tipo IGE 6; in particolare il
frammento si caratterizza per il colore
delle superfici generalmente arancio.
Stato di conservazione: superfici non
alterate, fratture per la maggior parte
antiche ma a spigoli vivi, segno di giacitura in deposito non alterato.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp.
170-171, n. 64.
fatti l’impasto con cui è realizzata l’olla
di Montereggi (tipo B) è caratterizzato
dal colore arancio, da zone annerite
più o meno estese e da grossi inclusi
lamellari. Dal punto di vista formale il
nostro esemplare si avvicina anche ad
un frammento recuperato nello scavo
di Vallebona a Volterra, attribuito al
tipo 100.103a (Ostman 2004, p. 51,
fig. 4.24 p. 77). Anche in questo caso
l’olla è stata realizzata con un impasto
grezzo utilizzato più frequentemente
nella ceramica da cucina che in quella
da mensa (impasto D, gruppo VI: ibidem, p. 140) e sul labbro sono evidenti le digitazioni lasciate probabilmente
nell’ultima fase di rifinitura del pezzo,
dal momento che la superficie interna
ed esterna del corpo evidenziano la realizzazione al tornio e non a mano.
Produzione locale, III-II secolo a.C.
Il frammento conserva la parte superiore di un’olla dal corpo ovoide con orlo
estroflesso e bordo obliquo, di una tipologia piuttosto diffusa nel caratteristico
impasto a scisti in Etruria settentrionale
e nel bacino della valle dell’Arno per
tutta la facies ellenistica. In particolare
si avvicina alla forma 1 B della tipologia delle olle di impasto grezzo trovate
nell’abitato di Montereggi (Alderighi
1985, p. 37, n. 93). Tale rimando è particolarmente cogente, soprattutto per
la somiglianza della pasta ceramica: in-
Ceramica da fuoco.
2076. Frammento di orlo e parete
di olla di impasto grezzo a scisti
microclastici.
L 5,3; l 4,3; S parete 0,7.
Orlo svasato, caratterizzato internamente da una solcatura, con bordo
obliquo, superiormente segnato da una
scanalatura, collo troncoconico, spalla
arrotondata.
Impasto tipo IGE 7; in particolare il
frammento si caratterizza per il colore
della superficie esterna marrone, interna bruna.
Stato di conservazione: superfici lisce
e non alterate; fratture antiche, solo in
parte arrotondate.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp.
171-172, n. 65.
Olle di questo tipo sono molto diffuse
in Etruria, sia nella versione con il corpo globulare (Alderighi 1985, forma
II, in particolare, p. 37, n. 96) sia nella
versione con il corpo ovoide (Santrot,
Santrot 1995, p. 183, n. 476, fig.
57.476 p. 223; Bianchi, Pro 2003, p.
426, n. 39, fig. 41.7). La caratteristica
principale, infatti, non è rappresentata
dal corpo, ma dell’orlo, che si presenta
sempre estroflesso a profilo troncoconico; spesso il margine ha battente bifido – più o meno accentuato – con la
279
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Ceramica da fuoco e/o dispensa.
2073. Frammento di coperchio con
presa ad anello di impasto grezzo.
deriva dal confronto con i ritrovamenti in contesti tombali: in particolare
nella necropoli di Poggio Grezzano a
Sovana, nella tomba 95, è stata recuperata un’olla della stessa tipologia databile genericamente, sulla base del contesto, al II secolo a.C. (Pancrazi 1971,
p. 188, n. 1, fig. 81 SPG 95/1 p. 143).
Produzione locale, fine del III-II secolo
a.C.
Ceramica da fuoco.
2077. Frammento di orlo e parete
di olla di impasto grezzo a scisti
microclastici.
L 7,1; l 7,3; S parete 1,1.
Orlo estroflesso e arrotondato, collo
concavo, spalla sfuggente. Sulla superficie esterna del collo, segni di digitazione impressi al momento della rifinitura
dell’orlo a mano del pezzo.
Impasto tipo IGE 5.
Stato di conservazione: superfici non
alterate; fratture nette, anche se caratterizzate da ampie scheggiature.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp.
172-173, n. 66.
Il frammento apparteneva ad una olla
del tipo con orlo estroflesso e arrotondato, corpo ovoide con spalla sfuggente
e fondo piatto o leggermente convesso.
Piuttosto diffuso in Etruria in periodo
ellenistico, questo tipo di olla, nel nostro caso di piccole dimensioni, veniva
utilizzato in cucina come ceramica da
fuoco, per la preparazione dei cibi. In
ambito locale sono noti esemplari analoghi a Montereggi, realizzati nell’impasto locale A, caratterizzato da pasta
color arancio con grossi inclusi bruni
(tipo Montereggi 1 b, olla ovoide con
orlo arrotondato: Alderighi 1985,
p. 37, n. 94). A Volterra, negli scavi
280
sull’Acropoli, il tipo è attestato, anche
se il bordo si presenta assottigliato e
superiormente appiattito, differenze
quest’ultime, legate piuttosto alla manifattura locale delle varie redazioni
(Bianchi, Pro 2003, pp. 423-424, n.
33, fig. 40.16).
Più stringenti i confronti con gli esemplari recuperati a Populonia, dove
questa forma è ben documentata negli
scavi sull’Acropoli (tipo Alberti OF Ia),
in un periodo genericamente compreso tra il IV e il I secolo a.C. (Alberti
2002, p. 165, n. 56, tav. XII p. 163;
per la distribuzione del tipo in Etruria
si veda nota 50).
Produzione locale, IV-I secolo a.C.
Ceramica da mensa.
2078. Frammento di piede e parte
di fondo di patera-vassoio di
ceramica a vernice nera.
L 10,5; S piano di posa del piede 1,8.
Piede ad anello a sezione troncoconica;
piano di posa piatto; profilo interno caratterizzato da un netto “gradino”; sul
fondo della vasca, decorazione impressa,
costituita da una stampiglia di forma
subrettangolare, con, all’interno, tre linee rettilinee a rilievo, due delle quali si
incontrano a formare un angolo acuto.
Impasto tipo CVN 1; vernice tipo
VeVN 1.
Stato di conservazione: vernice tendente a scagliarsi; margini delle fratture
completamente arrotondati.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp.
173-174, n. 67.
Si conserva solo una piccola porzione
del piede e della vasca. Il piede, ad anello, è inquadrabile nella serie 174, tipo
c 3 di Morel (Morel 1981, p. 460, tav.
231), cioè un piede con cercine appena
pronunciato, largo piano di posa piatto, piccolo gradino orizzontale. Questo
particolare profilo è, generalmente, riferibile a grandi patere tipo 2286 e 2287
di Morel (Morel 1981, pp. 162-163,
tav. 46) che, già riconosciuto come tipico della produzione aretina, in base
281
ad una recente proposta di ridefinizione terminologica, possiamo inquadrare nella cerchia della Campana B, in
particolare ad un atelier aretino del tipo B etrusco (Cibecchini, Principal
2004, pp. 162, 172). Nel nostro caso,
in mancanza di ogni altro riferimento alla forma, non possiamo attribuire
con sicurezza il frammento ad una delle
due varianti, che, tuttavia, corrispondono entrambe alla forma Lamboglia
7 (Lamboglia 1952, pp. 11-12). In assenza di analisi di laboratorio, possiamo
soltanto procedere ad una valutazione
di massima sia della pasta sia, soprattutto, della vernice, che evidenzia le caratteristiche tipiche della produzione aretina, cioè vernice nera coprente, densa
e non lucida, superficie liscia. Ben più
complesso è cercare di identificare la
stampiglia conservata solo in minima
parte: rettangolare, era disposta radialmente insieme ad altre sul fondo della
patera. All’interno, purtroppo poco leggibile, doveva esserci un monogramma
a rilievo. Tra i vari monogrammi attestati, pur nell’assoluta incertezza, si preferisce la lettura CV (Lamboglia 1952,
p. 16).
Produzione aretina, I secolo a.C.
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
funzione, probabilmente, di appoggio
per il coperchio (questa olla, classificata come tipo OF Ia – corrispondente
a Baroncelli 4 – è la forma in assoluto più diffusa negli scavi dell’acropoli
di Populonia: Alberti 2002, p. 168,
n. 60, tav. XIV; per la distribuzione si
veda nota 54 p. 168). Vasi di questo
tipo potevano essere utilizzati sia in cucina per la preparazione dei cibi sia in
dispensa, come recipiente da conserva.
Il frammento in questione apparteneva ad una olla, che, per la spalla arrotondata, potrebbe considerarsi a corpo
globulare; il suo utilizzo in dispensa è
suggerito dalla totale assenza di fumigazioni o annerimenti dovuti all’esposizione al fuoco.
Si tratta di una forma piuttosto diffusa
in tutto il periodo ellenistico, tuttavia
il confronto con altri contesti d’Etruria
orienta verso il periodo compreso tra la
fine del III e la fine del II secolo a.C.
In ambito valdarnese l’esemplare di
Montereggi è datato su base stratigrafica agli anni compresi tra il III e il II secolo a.C.; per quanto riguarda Volterra,
se per l’attestazione dell’acropoli è possibile proporre una datazione compresa
tra la fine del III e gli inizi del I secolo
a.C. in base a dati stratigrafici, per il
frammento proveniente da Vallebona,
sicuramente residuo in strati recenziori,
la datazione proposta al periodo ellenistico è solo indicativa (forma 110.010
a, ceramica tipo D V: Ostman 2004,
p. 52, n. 63, fig. 4.24 p. 79). Una ulteriore conferma alla datazione proposta
L 3; l 1,9; S parete 0,7.
Orlo verticale, leggermente svasato, appena assottigliato.
Impasto tipo CVN 3; vernice tipo
VeVN 1.
Stato di conservazione: vernice tendente a scagliarsi.
dell’Arcivescovado (Storti 1989, p. 50,
n. 360, tav. 10.18), a cui lo avvicina
anche la somiglianza della pasta, che
analisi di laboratorio hanno dimostrato essere tipica della parte alluvionale
della piana dell’Arno, sia interna che
terminale (pasta 7: Storti 1989, pp.
47-48), di Pietrasanta, loc. Crocialetto
(Paribeni Rovai 1995, p. 161, n. 27,
fig. 162.27 p. 163) e, sulla costa, di
Luni (Cavalieri Manasse 1977, p. 88,
CM 7654, tav. 63.12).
Ceramica da mensa.
2080. Porzione di vasca e piede di
coppa di ceramica a vernice nera.
Produzione aretina, I secolo a.C.
Stato di conservazione: porzione ricomposta da due frammenti; vernice quasi
completamente evanide; margini delle
fratture piuttosto netti.
Manasse 1977, in particolare p. 112,
CM 7518, tav. 81.3).
Dal punto di vista tecnico sembra che
la nostra coppa sia molto vicina alla
produzione di Luni, caratterizzata da
argilla mediamente granulosa e relativamente dura, vernice sottile con chiazze
rosse dovute a cattiva cottura e colature interne (tipo F). Non avendo a disposizione analisi archeometriche che
possano indicare con sicurezza aree di
produzione, ci limiteremo a constatare
la vicinanza tra le manifatture dell’area
tirrenica settentrionale nel II secolo
a.C. nell’ambito del tipo etrusco della
cerchia della Campana B (Cibecchini,
Principal 2004, pp. 162, 172).
Bibliografia: Baldini 2007-2008, p.
175, n. 69.
Produzione di area valdarnese (?), II secolo a.C.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp.
174-175, n. 68.
Il frammento, a causa delle ridotte dimensioni, è difficilmente inquadrabile
in una tipologia precisa; tuttavia, soprattutto per lo spessore e il diametro
ricostruibile, può essere dubitativamente attribuito alla serie 2286 di Morel
(Morel 1981, p. 162, tav. 46); il tipo
non è identificabile con sicurezza, anche se sembra avvicinarsi alla variante a
1. Anche in questo caso si tratta di un
esemplare di patera di produzione aretina a vernice nera; tuttavia la differenza
di impasto sembra escludere la pertinenza allo stesso oggetto del frammento 2078.
I confronti tipologici stringenti, a causa
delle dimensioni minime del frammento, sono pochi: tuttavia nell’area della
piana dell’Arno andrà citato il ritrovamento di Pisa, nello scavo del Giardino
L 7,2; l 5,2; S parete 0,7; S piede 1,3.
Vasca a profilo concavo; piede ad anello, con coste verticali e con piano di posa piatto e ampio.
Impasto tipo CVN 2; vernice tipo
VeVN 2.
La porzione conservata è piuttosto
esigua; tuttavia grazie soprattutto al
profilo del piede è possibile avvicinare l’esemplare ad un coppa della serie
Morel 2614 – il tipo non è identificabile – (Morel 1981, p. 191), ritenuta di
produzione campana B, quindi di area
etrusca, e datata genericamente nell’arco del II secolo a.C. A conferma di tale
produzione sembra portare anche l’area
di diffusione di questa forma: esemplari
di piede simile infatti sono stati trovati a Pisa (Storti 1989, p. 53, n. 410,
tav. 12.6), a Bolsena (Jolivet, Tassaux
1995, p. 78, n. 183, fig. 23 p. 93) e, sulla costa, a Cosa (Taylor 1957, p. 103,
B 44e, tav. XXVIII) e Luni (Cavalieri
282
Ceramica da mensa.
2081. Frammento di orlo e vasca di
piatto (?) di terra sigillata italica.
L 2,8; l 2,4; S parete 0,4; S orlo 1,1.
Orlo sagomato a sezione angolare, caratterizzato esternamente da una profonda gola e con estremità pendente,
ricadente a becco leggermente ricurvo;
superficie superiore appiattita, segnata
da una profonda solcatura. Vasca a profilo emisferico.
Impasto tipo TSI 1; vernice tipo VeSI
1.
Stato di conservazione: vernice tendente a scagliarsi, soprattutto sull’orlo; fratture arrotondate.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, p.
177, n. 70.
La porzione conservata è così limitata da
rendere problematica l’identificazione
della forma, non essendo possibile neppure calcolarne il diametro. Dovendo
tuttavia tentare un inquadramento, potremmo avvicinare il frammento ad un
piatto con parete svasata e orlo distinto tipo Conspectus 2, variante 2.1, corrispondente alla XI, varietà 6 di Pucci
(Pucci 1985, p. 385, tav. CXXII, 3) e
alla 12 b di Goudineau (Goudineau
1968, p. 288). Questa identificazione va
letta con riserva, vista la difficoltà di attribuzione anche all’interno della stessa
283
forma (per certe caratteristiche, come
l’orlo ripiegato “a becco” poco arrotondato, sembrerebbe più vicina alla varietà 2 di Pucci – Pucci 1985, p. 385, tav.
CXXI, 15 – e alla 12 a di Goudineau,
dalla quale si distingue tuttavia per la
mancanza del solco sul profilo esterno
dell’orlo e per l’assenza di carena sulla
parete della vasca) e, soprattutto, vista
la scarsa diffusione di questa particolare
forma in contesti dell’Etruria tirrenica
settentrionale – non sembra attestata,
ad esempio, negli scarichi delle figlinae
pisane. Interessante tuttavia la presenza di un esemplare simile negli scavi
sull’acropoli di Populonia, datato alla prima età imperiale (De Tommaso
1994-1995, fig. 48.5 p. 495).
Nello specifico, il confronto più prossimo sembra quello con un’analoga
porzione di piatto proveniente da Pisa
nell’ambito del recupero effettuato
alla fine degli anni Sessanta all’incrocio tra via A. Pisano e via Vecchia di
Barbaricina, datato alla prima età augustea (Arbeid, Bruni, Ferretti 2006,
p. 206, n. 33, dove il frammento è attribuito alla forma Conspectus 10.2).
La forma del piatto a cui si attribuisce il
frammento è in uso dal primo periodo
imperiale fino alla produzione tardoitalica, alla stregua del piatto forma
Pucci XII, al quale è molto vicino sia
per la tettonica formale sia per periodo
di vita e con il quale condivide i centri di produzione (Pucci 1985, p. 386);
anche per la datazione, soprattutto sulla base dei ritrovamenti di Luni, viene
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Ceramica da mensa.
2079. Frammento di orlo e parete di
patera di ceramica a vernice nera.
Databile in base ai confronti alla prima
età augustea. Tuttavia il tipo di vernice
e di ceramica non escludono l’attribuzione alla prima fase della manifattura
tardo-italica, con una datazione ai decenni centrali del I secolo d.C.
Ceramica da mensa.
2082. Frammento di fondo e piede
di coppa/piatto di terra sigillata
italica.
L 2,4; l 1,4; h piede 1,2; S fondo 0,7; S
piede 0,7; S piano di posa 0,2.
Fondo piatto, con lo spessore del fondo
esterno minore rispetto a quello della
vasca. Piede ad anello, a pareti rettilinee
non parallele; parete esterna, rastremata, caratterizzata da un angolo piuttosto
evidente a metà dell’altezza; piano di
posa piuttosto esiguo. Nel fondo interno, traccia di un solco impresso.
Impasto tipo TSI 3; vernice tipo VeSI 3.
Stato di conservazione: vernice compatta e lucente; fratture nette a margini
vivi.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, p.
178, n. 71.
Le ridotte dimensioni del frammento
rendono impossibile riuscire a identificare con sicurezza la forma di pertinenza. Il piede, tuttavia, è inquadrabile nella vasta casistica della forma Conspectus
B 2.5 (Conspectus 1990, p. 157, tav. 49)
caratterizzato dalle pareti non parallele
con un netto angolo (nel nostro caso
a circa metà dell’altezza) a ridurre al
minimo il piano di posa. Tra le forme
indicate nel repertorio (3, 4, 6, 12, 18,
20: Conspectus 1990, pp. 156-157), si
284
propone di inquadrare il frammento
in esame, in modo del tutto dubitativo, nella forma X di Pucci (Pucci
1985, pp. 383-385; si veda in particolare tav. CXXI, 9), corrispondente alla
forma Conspectus 20 e alla Goudineau
39 (Goudineau 1968, p. 306), in virtù
soprattutto sia del profilo del piede nel
complesso della tettonica originale del
vaso sia dell’ampia diffusione e fortuna
che ebbe tale piatto dal periodo augusteo (10 a.C.) fino agli inizi del II secolo d.C.
In ambito locale e regionale il medesimo tipo di piede ad anello è stato recuperato ad Isola di Migliarino
(Vaggioli 1988, p. 108, fig. 11.12),
a Pisa (piazza Dante: Pisano 1993,
p. 387, n. 23; incrocio via A. Pisanovia Vecchia di Barbaricina: Arbeid,
Bruni, Ferretti 2006, p. 209, n. 73)
e a Cosa (Marabini Moevs 2006, p.
50, BNW I. 47-50), nella maggior parte dei casi datato al periodo augusteotiberiano.
Età tardo augustea o tiberiana.
Ceramica da mensa.
2083. Frammento di fondo e piede
di coppa carenata/piatto (catillus)
di terra sigillata tardo-italica.
L 5,9; l 2,1; h piede 1,4; S parete 0,6;
S piede 0,6; S piano di posa 0,5; diam.
piede ricostruito 9,6.
Fondo piatto, notevolmente più spesso
nella parete esterna – nel punto di partenza della vasca – rispetto al fondo esterno;
piede ad anello, a pareti leggermente inclinate, non parallele, con quella interna
più alta. Sul fondo della vasca, profonda
rotellatura, delimitata verso il centro da un
solco; nella parete interna del piede, due
scanalature.
Impasto tipo TSI 1; vernice tipo VeSI 1.
Stato di conservazione: vernice in parte
scagliata; fratture con margini arrotondati e ampie scheggiature.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp.
178-180, n. 72.
Il frammento è difficilmente attribuibile ad una precisa tipologia a causa delle
ridotte dimensioni, essendo conservate
solo parte del piede e parte del fondo.
Tuttavia la forma del piede ad anello,
con profilo esterno leggermente svasato,
il profilo interno troncoconico, l’attacco
a spigolo tra fondo e piede e la superficie
del piano di posa piana sembrano avvicinare il nostro esemplare a prodotti di
terra sigillata tardo-italica databili tra la
metà del I e gli inizi del II secolo d.C.
(Rossetti Tella 2001, p. 179, n. 4, fig.
1; Mascione 1992, p. 111, varietà 67,
tav. XXXIX). In base a tali considerazioni e confronti è possibile avanzare l’ipotesi che si tratti di un frammento di un
piatto forma Conspectus 3, variante 3.1,
corrispondente alla XIX, variante 7 di
Pucci (Pucci 1985, p. 388, tav. CXXIV,
14) e 43 di Goudineau (Goudineau
1968, pp. 308-309). Grazie ad un recente studio è stato possibile indicare con
un certo grado di sicurezza il nome con
cui gli antichi definivano questo piatto
(catillus), caratterizzato da un’alta parete
svasata e dall’orlo distinto (Camodeca
2006, p. 213).
Il piatto Conspectus 3 – la cui produzione
sembra avviata tra gli anni compresi tra il
25 d.C. e l’inizio del principato di Claudio
(Rizzo 1998, p. 811, nota 37), anche se
i recenti dati di Luca sembrano mutare
nettamente il quadro, con una anticipazione almeno all’avanzata età augustea
(Ciampoltrini 2007, p. 65) – è il catillus
che, senza dubbio, riscosse maggior successo dal periodo neroniano fino alla fine
della produzione della sigillata tardo-italica
(età antonina) (Rizzo 2003, p. 79 ).
In ambito locale è attestata l’importazione grazie al frammento recuperato
a Fiesole in via Marini-via Portigiani
(Squarzanti 1990, p. 149, n. 4).
Probabile prodotto di manifattura pisana attiva dall’età neroniana fino agli
inizi del II secolo d.C.
285
Ceramica da mensa.
2084. Frammento di fondo e piede
di coppa carenata/piatto (catillus)
di terra sigillata tardo-italica.
L 4,7; l 4,1; h piede 1,3; S parete 0,7; S
piede 0,6.
Parete solo in parte visibile ma probabilmente convessa, distinta dal fondo
piatto, esternamente da una carena e
internamente da un rigonfiamento;
piede ad anello, a pareti inclinate leggermente, non parallele. Sul fondo della vasca, due coppie di scanalature concentriche.
Impasto tipo TSI 2; vernice tipo VeSI 2.
Stato di conservazione: vernice quasi
del tutto perduta sulla superficie esterna; fratture con margini arrotondati
con ampie scheggiature.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp.
180-181, n. 73.
Il pezzo, se pure allo stato frammentario, permette di essere ben inquadrato
grazie alla porzione di vasca e al piede.
Infatti la carena appena visibile ed il
piede a sezione troncoconica a pareti
non parallele e piano di posa piano (fig.
6.3: Conspectus 1990, pp. 158-159) avvicinano il pezzo in esame ad un catillus
di forma Conspectus 3, verosimilmente
tipo 1.2, corrispondente alla XIX, varietà 13 di Pucci (Pucci 1985, p. 388,
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
fatto solitamente riferimento al piatto
forma Pucci XII.
Produzione pisana, età tardo-neroniano-inizi del II secolo d.C.
Ceramica da mensa.
2085. Frammento di orlo e vasca di
coppa carenata/piatto (catillus) di
terra sigillata tardo-italica.
Stato di conservazione: la vernice tendente a scagliarsi; fratture con margini
arrotondati.
buito alla forma Conspectus 8.1 ed è datato alla prima età augustea), a Coltano
(Panicucci 1986, p. 136, fig. 19.17),
e a Vecchiano (Menchelli, Vaggioli
1988, fig 103.22 p. 102), sia nell’interno a Torrita di Siena (Mascione 1992,
p. 102, n. 20, tav. XXXVI p. 105).
Tra i rinvenimenti subacquei riveste particolare rilievo il Relitto B di
Punta Ala che ha restituito una coppa della stessa varietà (inv. 222808)
in un contesto datato negli anni tra la
fine del I e gli inizi del II secolo d.C.
(De Tommaso 1998a, p. 108, n. 14;
Bargagliotti, Cibecchini, Gambogi
2004, pp. 94-95, n. 4).
Bibliografia: Baldini 2007-2008, p.
181, n. 74.
Seconda metà del I secolo d.C.-inizi del
II secolo d.C.
L 3,1; l 2,4; S parete 0,4; S orlo 0,5.
Orlo distinto, ingrossato, superiormente appiattito; parete della vasca leggermente concava.
Impasto tipo TSI 2; vernice tipo VeSI 2.
Il frammento apparteneva probabilmente ad una coppa carenata/piatto di
forma Conspectus 3 (si veda 2083), tipo
2, corrispondente, genericamente, alla
Pucci XIX (Pucci 1985, p. 388, tavv.
CXXIV-CXXV), senza una corrispondenza puntuale in una varietà, e alla
Goudineau 43 (Goudineau 1968, pp.
308-309).
Questa varietà è attestata nell’Etruria
tirrenica settentrionale, a Pisae (scarico di via S. Stefano: Menchelli
1995a, p. 345; S. Rossore: Paoletti
2000, p. 251, n. 75, fig. 9 p. 240; recupero di via A. Pisano-via Vecchia di
Barbaricina: Arbeid, Bruni, Ferretti
2006, p. 206, n. 31, dove, anche se in
modo dubitativo, il frammento è attri-
286
Ceramica da mensa.
2086. Frammento di orlo e vasca
di coppa (acetabulum) di terra
sigillata tardo-italica.
L 3,9; l 2,6; S parete 0,6; S orlo 0,3.
Orlo assottigliato, arrotondato superiormente; all’esterno, listello plastico
applicato, sporgente, sottolineato inferiormente da una profonda gola e da
due solchi; vasca emisferica, leggermente rientrante;
Impasto tipo TSI 2; vernice tipo VeSI 2.
Stato di conservazione: vernice in parte
scagliata, superficie parzialmente abrasa
con fratture arrotondate.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp.
182-183, n. 75.
Questo tipo di coppa emisferica con listello sporgente ed orlo verticale, di cui
recentemente è stato recuperato il nome originario latino di acetabulum, grazie all’esame di un conto di infornata
inciso post cocturam su una testa recuperata ad Isola di Migliarino (Camodeca
2006, pp. 213-214), è attribuibile
con sicurezza alla forma Conspectus 34
(Conspectus 1990, pp. 112-113) – difficile stabilire, data l’esiguità della parete, se di tipo 1 o 2 – corrispondente
alla forma XXXVII, varietà 6 di Pucci
(Pucci 1985, p. 396, tav. CXXXI, 10) e
alla forma 38, variante b di Goudineau
(Goudineau 1968, p. 305). È senza
dubbio tra le forme ceramiche più diffuse: se le prime attestazioni si possono
forse far risalire agli anni che precedono
il 15 d.C. (per Goudineau la produzione sarebbe iniziata dopo il 20 d.C.:
Goudineau 1968, p. 306), gli esemplari come il nostro, con listello ingrossato
nettamente sporgente e con la faccia inferiore orizzontale, sono piuttosto tardi
(Degl’Innocenti 1987, p. 20), perdurando almeno fino agli anni iniziali del
II secolo d.C.
La coppa emisferica con listello sporgente ed orlo verticale, tipica dell’Etruria settentrionale marittima, sembra essere la forma maggiormente documentata a Roma in periodo traianeo (Rizzo
2003, p. 95) ed è considerata una delle
produzioni più caratteristiche della sigillata “liscia”, spesso arricchita da appliques à la barbotine; luoghi di produzione furono l’Etruria e la Val Padana,
sia nella fase della sigillata italica che
della tardo-italica.
A livello regionale vanno segnalati i frammenti recuperati a Pisa nello
scarico di officinae in via S. Stefano
(Menchelli 1995a, p. 346, dove, per
questa forma specifica, viene proposta
una datazione compresa tra il 30 d.C. e
la fine del I secolo d.C.) e nel Giardino
dell’Arcivescovado (Storti 1989, p.
68, n. 509, tav. 14.20, con il listello che presenta la faccia inferiore non
orizzontale), a Pistoriae (antico Palazzo
dei Vescovi: Degl’Innocenti 1987, p.
21, n. 68) e nella vicina Faesulae, nel-
287
lo scavo di via Marini-via Portigiani
(Squarzanti 1990, p. 149, n. 9, tav.
15.9). Formalmente simile è anche
un frammento recuperato ad Ordona
(Vanderhoeven 1988, p. 209, n. 216),
del quale tuttavia non si specifica l’area
di provenienza. A produzione etruscosettentrionale marittima sono assegnati,
oltre agli esemplari romani, il frammento del tutto simile al nostro trovato negli scavi di Albintimilum e datato
all’età flavia (Lamboglia 1950, p. 124,
n. 24, fig. 62) e la coppa recuperata nel
Relitto B di Punta Ala (inv. 222807:
De Tommaso 1998a, p. 109, n. 17;
Bargagliotti, Cibecchini, Gambogi
2004, pp. 94-96, n. 7).
Età flavia-primi decenni del II secolo
d.C.
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
tav. CXXV, 3) e alla più generica 43
di Goudineau (Goudineau 1968, pp.
308-309). Sulla forma Conspectus 3 si
veda anche 2083.
Se Pucci considera l’esemplare preso in esame di produzione campana
(Pucci 1985, p. 388), nonostante il
bollo Xant(hus) possa suggerirne anche
una diversa (CVArr2 2000, pp. 506509, 2536), andrà notato come questa
particolare varietà fosse comune anche
ad altre figlinae, sia nella piana dell’Arno, nell’ager Pisanus, come dimostra
lo scarico di via S. Stefano (tra le altre
varietà della Pucci XIX è attestata anche la 13: Menchelli 1995a, p. 345) o
l’area produttiva di Isola di Migliarino
(Menchelli, Vaggioli 1988, p. 108,
fig. 11.7), sia in area centro-italica, come testimoniano i frammenti recuperati nell’area produttiva di Torrita di
Siena relativa alla officina di L. Umbricio
Cordo (Mascione 1992, p. 111, varietà
di fondo n. 66, tav. XXXIX). Esemplari
dello stesso tipo sono stati inoltre recuperati sia in scavi nel centro di Pisae
(Giardini dell’Arcivescovado: Storti
1989, p. 70, n. 542, tav. 15.25), a
Pistoriae (Degl’Innocenti 1987, p.
704, n. 3997), oltre naturalmente a
Roma (Rizzo 1998, p. 811 e passim;
Rizzo 2003, p. 77 e passim; Rossetti
Tella 2001, p. 181, n. 9).
L 3,7; l 3,4; S parete 0,2; S fondo 0,1;
diam. piede 3,4.
Piede a disco, leggermente convesso,
sagomato esternamente; avvio di parete
con tracce di una leggera vernice.
Impasto tipo CPS 1.
Stato di conservazione: fratture a margini arrotondati.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp.
183-184, n. 76.
Il frammento conservato è troppo piccolo per poter tentare una attribuzione
precisa, soprattutto perché il tipo di
piede a disco sagomato esternamente è
piuttosto comune nella produzione delle “pareti sottili”.
Possiamo attribuire il fondo ad una
coppa carenata (forma Ricci 2: Ricci
1985, pp. 281-313), piuttosto che ad un
bicchiere o ad un boccalino, soprattutto per il profilo molto aperto delle pareti. Nello specifico, anche se in via del
tutto ipotetica, è possibile avvicinare la
porzione conservata alla forma Ricci
2, tipo 336 (Ricci 1985, pp. 309-310,
tav. XCIX, 9), corrispondente, pur con
qualche differenza, alla forma Marabini
LXIII (Marabini Moevs 1973, p. 239,
n. 463, tav. 49), molto diffusa soprattutto tra i prodotti di ceramica invetriata, e alla Mayet XLIII (Mayet 1975, pp.
98-99).
Le analisi di laboratorio sembrano aver
ormai accertato la presenza di officinae
nella bassa valle dell’Arno, nel bacino del Bientina e nell’area dei Monti
Pisani, dedite alla realizzazione di vasi
a pareti sottili già dal II-I secolo a.C.,
con una diffusione ed un incremento tra l’età augustea e il I secolo d.C.
(Menchelli 1994, p. 208). Ad Isola di
Migliarino è stata trovata una porzione
di coppa (?) dal profilo simile al nostro,
che il tipo di pasta ceramica indicherebbe come un prodotto di officinae del
Valdarno (Storti 1988, p. 95, fig. 7.8).
Gli esemplari cosani sono datati dalla
Marabini al periodo claudio-neroniano
in base a considerazioni di carattere
stratigrafico (Marabini Moevs 1973, p.
239).
Attribuibile a produzione regionale in
base all’impasto, prima metà del I secolo d.C.
288
Ceramica da mensa.
2088. Frammento di orlo e vasca di
coppa di ceramica semidepurata.
L 6; l 3,8; S parete 0,5; S orlo 1,2.
Orlo ingrossato, ripiegato esternamente; all’interno, passaggio tra la parete
della vasca emisferica e l’orlo segnato da
un leggera risega. Sulla parete, foro pervio realizzato prima della cottura.
Impasto tipo CSR 1.
Stato di conservazione: superfici quasi
del tutto abrase; fratture antiche con
margini arrotondati, altre, piuttosto recenti, molto vive.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, p.
185, n. 77.
Il frammento risulta di non facile identificazione. Infatti se il confronto con
un oggetto di ceramica comune ritrovato a Pistoia nell’antico Palazzo dei
Vescovi avvicinerebbe l’esemplare ad
una coppa di ceramica semidepurata
(Degl’Innocenti 1987, p. 48, n. 246;
da notare che anche il frammento pistoiese è realizzato con un impasto arancio
scuro con inclusi di media grandezza)
databile, in base alla stratigrafia, tra il
periodo neroniano e i primi decenni
del III secolo d.C. (Palazzo dei Vescovi
II 1985, pp. 114-115), non andrà tuttavia sottovalutato il foro pervio (da
sospensione?) realizzato sicuramente
prima della cottura. Questo particolare
tecnico rende difficile la sicura attribuzione ad una coppa, non escludendo,
ad esempio, la funzione di coperchio.
Sembra invece da escludersi la possibilità che si trattasse di un colum, vista la
grandezza del foro.
Ceramica da dispensa.
2089. Porzione di coperchio
(operculum) di ceramica
semidepurata.
Produzione del Valdarno, età medio
imperiale.
Parete troncoconica; presa a disco,
esternamente sagomato; fondo esterno
leggermente concavo, fondo interno
caratterizzato da una profonda depressione circolare.
L 7,9; l 6,3; S parete 0,7; S fondo 0,3;
diam. 6.
Impasto tipo CSR 2.
Stato di conservazione: superfici completamente abrase, con ampie scheggiature;
fratture consunte; molteplici fessurazioni.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp.
185-186, n. 78.
Il frammento può essere agevolmente interpretato come la presa di un coperchio
di ceramica semidepurata. In particolar
modo piuttosto indicativo è il profilo del
piede, sagomato, di un tipo nato in ambito centro-italico meridionale in età medio
repubblicana e diffuso fino all’età severiana, ma affermato soprattutto in area centro-italica tra la tarda età repubblicana e la
seconda metà del I secolo d.C. (Pavolini
2000, p. 285). Per una cospicua esemplificazione delle varie tipologie di coperchi
si veda Quilici 1976, pp. 263-326; tra
questi il più prossimo al nostro per il profilo schiacciato, la presa sagomata e il tipo
289
di impasto è il n. 423, fig. 42 p. 289.
Gli opercula come il nostro venivano
utilizzati verosimilmente per coprire recipienti da dispensa (olle, brocche, piccole anfore) piuttosto che vasi da fuoco
e ciò si evince sia dal tipo di impasto
utilizzato – poco adatto all’esposizione
prolungata al calore – sia perché, solitamente, i coperchi dei contenitori da
fuoco erano di dimensioni maggiori
(Pavolini 2000, pp. 281-282).
In linea generale il nostro esemplare può
essere avvicinato alla forma II dei coperchi di Ostia (Giannelli, Ricci 1970,
p. 97, inv. 3162, fig. 442, tav. XXIV,
in ceramica depurata e con fondo non
convesso). Per restare in ambito ostiense
si potrà citare lo studio di Pavolini sulla
ceramica comune dell’Antiquarium, in
base al quale il nostro coperchio andrà
inserito tra quelli a profilo molto schiacciato e con presa a pomello (vicino a
Pavolini 2000, n. 285 p. 161, fig. 67).
Inoltre cfr. Dyson 1976, p. 77, n.
67, fig. 23 (Cosa, intorno al 70 a.C.);
Cipollone 1984-1985, p. 142, fig.
30 (Gubbio, metà del I secolo d.C.);
Bianchi, Sarri 1988, n. 108 p. 57
(Bagno a Ripoli, seconda metà del
I secolo a.C.); Olcese 1993, p. 243,
n. 168, con riferimenti bibliografici (Albintimilium); Paribeni Rovai
1995, p. 161, n. 27, fig. 162.27 p. 163
(Pietrasanta); Biondani 2005, p. 249,
n. 100, fig. 154.100 p. 250 (Rimini).
Produzione locale, I secolo a.C.-II secolo d.C.
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Ceramica da mensa.
2087. Porzione di fondo e piede di
coppa carenata di ceramica a pareti
sottili.
L 7,1; l 4,3; S parete 0,1.
Frammento di ansa di sympulum desinente a protome teriomorfa. Ansa costituita da una verghetta a sezione rettangolare, percorsa longitudinalmente
da due profonde solcature, divergenti
in alto a formare due apici triangolari;
al di sopra dei due apici, dove l’ansa si
piega, avvolgendosi su se stessa a “U”, la
sezione diventa circolare; raccordo tra
la verghetta circolare e la terminazione
teriomorfa sottolineato da due rigonfiamenti anelliformi. Testa dell’uccello
ben caratterizzata, soprattutto nella resa
degli occhi, evidenziati da due profondi
circoletti; dietro questi, due impressioni circolari apicate; lungo becco, non
ripiegato, evidenziato all’origine da un
ispessimento rispetto al profilo della testa e da due linee ondulate incise sulla
parte superiore.
Stato di conservazione: patina verde
brillante, solo in parte perduta; segni di
ossidazione sugli apici.
Bibliografia: Filippi et alii 2006, p. 133
(erroneamente collocato in età etrusca
arcaica); Baldini 2007-2008, pp. 187188, n. 79.
Si tratta della parte finale di un’ansa di
simpulum di bronzo con terminazione
a testa di volatile. Nostante tali oggetti siano piuttosto diffusi nei servizi da
banchetto in epoca etrusco-arcaica e
classica (si veda, anche per una classificazione, Bini, Caramella, Buccioli
1995), il nostro esemplare è da riferirsi
alla produzione enea di ascendenza ellenistica: il dubbio è se vada considerato un prodotto ellenistico o una riproposizione del modello ellenistico ma di
ambiente campano del I secolo a.C.
Analizzando tuttavia certe caratteristiche, come la resa della testa ornitomorfa, e alcune peculiarità tecniche come la
curva della verga molto ripiegata o gli
apici alla base della protome molto sviluppati, il nostro esemplare sembra più
vicino alle redazioni romane di sapore
ellenistico di I secolo a.C., inquadrabile
nel tipo XIII della classificazione proposta per i materiali vesuviani (un solo esempio frammentario: Carandini
1977, p. 167, tav. LXXXVIII, 5, corrispondente a Radnati 41 e ad Eggers
163; per un esemplare bronzeo del
poggio Talamonaccio si veda inv.
70859 Orbetello 2010, p. 138).
Il tipo, piuttosto diffuso anche in ambiente non italico (per la diffusione in
ambito iberico si rimanda a Raddatz
1969; per i rinvenimenti nelle necropoli
del Basso Rodano a Barruol, Sauzade
1969), è attestato anche nella redazione
in argento, come stanno a testimoniare gli esemplari del Tesoro di Arcisate
(Piana Agostinetti, Priuli 1985,
pp. 194-196), il ripostiglio di Palmi
290
(Guzzo 1980, pp. 196, 202, 204) e il
servizio di argenti da Boscoreale (?),
proveniente dalle collezioni del Museo
Artistico Industriale (von Mercklin
1923, pp. 124-129; Pirzio Biroli
Stefanelli 1991; Talamo 1993, pp.
279-285; Talamo 2006, p. 165, n.
216) e il Tesoro di Tivoli (Pirzio
Biroli Stefanelli 1991, p. 253).
Nonostante la scarsità di testimonianze
in ambito vesuviano, sia per le redazioni in metallo più nobile sia per i più comuni oggetti di bronzo (un simpulum
integro, in ottimo stato di conservazione, si trova nelle Collezioni del Museo
Nazionale di Napoli), è stata avanzata
l’ipotesi che tali prodotti siano da riferirsi ad ateliers campani.
Per quanto riguarda la datazione, tutti
gli esempi citati, tranne quello napoletano (datato al I secolo d.C.), concordano per una datazione compresa tra il
primo quarto del I secolo a.C. e la metà
dello stesso (Pirzio Biroli Stefanelli
1991, p. 253).
Prima metà del I secolo a.C.
Vitrum.
2091. Frammento di parete di
coppa costolata di vetro blu soffiato
dentro stampo.
L 2,9; l 2,3; S parete 0,4.
Parete emisferica con tracce di costolature verticali.
Stato di conservazione: costolature del
tutto perse; fratture con margini arrotondati e non più taglienti.
Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp.
188-189, n. 80.
Il frammento è riferibile ad una coppa
costolata tipo Isings 3, probabilmente
variante a, cioè bassa e larga (Isings
1957, pp. 17-21). Questo genere di
coppe con costolature poco rilevate
(Biaggio Simona 1991, p. 60) nasce
nel I secolo a.C. in ambito siro-palestinese (recentemente sulla manifattura
tardo-ellenistica a Beyrut: Foy 2005),
per poi diffondersi in tutto l’impero,
nel corso del I secolo d.C., sia nella versione colorata, la più antica, sia nella
versione monocroma, con una sempre
maggiore standardizzazione della forma e minor cura nella realizzazione.
Pur registrando una notevole flessione
già dal II secolo d.C. (Roffia 1993, p.
63), la forma sembra sporadicamente
attestata ancora agli inizi del IV secolo
d.C. (Meconcelli Notarianni 1979,
p. 42).
Essendo la forma aperta maggiormente attestata nel corso del I secolo d.C.
(Maccabruni 2007, p. 22) è possibile che queste coppe si producessero
in molte località dell’impero (Italia,
Gallia e Renania, oltre all’area orientale del Mediterraneo: Pepi 1992, p. 46):
tuttavia, tra le altre, è possibile indicare come maggiori aree di produzione
Aquileia, nella X Regio, Roma e la zona
campana.
In ambito regionale andranno citati gli esemplari recuperati a Pantani
(Le Gore), nel territorio di Torrita di
Siena (Pepi 1992, pp. 45-46, n. 61,
tav. XIII p. 51), a Pistoia, nell’antico
Palazzo dei Vescovi (Capecchi 1987,
pp. 764-765, nn. 4475-4476) e la coppa recentemente recuperata integra negli scavi dello scalo di Pisa-S. Rossore
(Stiaffini 2000, p. 283, n. 155); ad
una variante più recente va attribuito
l’esemplare Isings 3a dal Relitto B di
Punta Ala, datato agli inizi del II secolo d.C. (inv. 222812: De Tommaso
1998a, p. 118, n. 37; Bargagliotti,
Cibecchini, Gambogi 2004, p. 99).
Databile nella seconda metà del I secolo d.C. per il tipo di fattura piuttosto
corsivo, con costolature irregolari e presenza di bolle interne (Diani 2007, p.
227).
[G.B.]
291
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
Instrumentum domesticum.
2090. Frammento di ansa di
simpulum di bronzo fuso, decorato
a cesello.
2074
2075
2076
2077
2078
2079
2080
Ceramica ingubbiata e graffita
policroma a punta.
3045. Frammento di fondo di piatto.
2081
2082
2083
2084
2085
2087
2086
2088
Ceramica ingubbiata e graffita
policroma a punta.
3046. Frammento di parete di
ciotola.
L 5,5; l 4,3; S 0,9-1,6; diam. piede ricostruito12,5.
L 4,7; l 3,8; S 0,6.
Fondo con piede a ventosa separato
dalla parete da una gola piuttosto profonda. Decorazione costituita da sottili
graffiture eseguite a punta e da pennellate verdi ramina e arancio metallico.
Sulla pennellata color arancio, tracce
impresse a crudo con un punzone a sezione triangolare, forse pertinenti a una
decorazione “a stemma”.
Parete con decorazione presente sia
all’interno sia all’esterno. All’esterno,
probabile serie continua di archetti,
con alcune sovradipinture in giallo
ferraccia. All’interno, motivi fitomorfi
stilizzati, in particolare foglioline cuoriformi, anch’esse sovradipinte in giallo ferraccia, alternate a boccioli molto
stilizzati.
Impasto depurato di colore arancio.
Ingobbio bianco, solo interno. Vetrina
giallina, spessa e uniforme, sia interna
sia esterna (presente anche sul piede).
Impasto duro, depurato, di colore arancio scuro. Ingobbio bianco, coprente,
sia interno sia esterno. Vetrina trasparente, sia interna sia esterna, mal conservata.
Per la decorazione cfr. Varaldo 1997,
p. 446, fig. 6c. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Palazzo dei
Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi
II 1987; Berti 1997, II; Uffizi 2007;
Wentkoswska 2007.
Ceramica acroma grezza.
3047. Frammento di manico di
paiolo.
L 5; l 8,2; diam. 2,7.
Manico a sezione ovoidale. Sull’esterno
del manico, tracce di regolarizzazione
della superficie attraverso una steccatura (10,7 mm).
Impasto di colore arancio, duro, con
inclusi di calcite, chamotte e mica (2,45,3 mm).
Per la classe si vedano Palazzo Pretorio
1978; Uffizi 2007. XIV secolo.
Per la decorazione cfr. Varaldo 1997,
p. 445, fig. 5a. Per la classe si vedano
Palazzo Pretorio 1978; Uffizi 2007.
XV secolo.
XV secolo.
2091
2089
2090
3045
292
3047
293
[L.T.]
Cartografia archeologica del comune di Calenzano
2073