Carta Archeologica del Comune di Calenzano
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Carta Archeologica del Comune di Calenzano
Carta Archeologica del Comune di Calenzano 1 Indice COLOPHON Presentazione/saluto Biagioli (sindaco) e M. Barbera (soprintendente) Premessa Poggesi, Sarti, Vannini Caratteri geomorfologici e risorse naturali del territorio Pasquino Pallecchi La redazione della carta archeologica: rilievo topografico, criteri di rappresentazione e costruzione del sistema informativo geografico Giovanna Pizziolo, Paolo Machetti Il territorio di Calenzano nella Preistoria Omar Filippi Il territorio di Calenzano in età etrusca Giacomo Baldini Il territorio di Calenzano in età romana Andrea Magno Calenzano medievale Laura Torsellini Schede 1 – Areale I. Cupo 2 – Areale II. Le Muricce 3 – Areale III. Fisciano Alto 4 – Areale IV. Poggio Castellare-La Querciola 5 – Areale V. Legri, castello 6 – Areale VI. Legri, pieve (3060-3069, 3121-3122, 3135-3136, 3138, 3140) 7 – Areale VII. Cantagrilli (1144-1149, 1156-1157) 8 – Areale VIII. Collina 9 – Areale IX. Casa al Piano 10 – Areale X. Loiano 11 – Areale XI. Collina, Torraccio 12 – Areale XII. Collina Piano, chiesa di Santa Lucia (3085-3086) 13 – Areale XIII. Vezzano 14 – Areale XIV. Podere La Strada 15 – Areale XV. Collina, torre 16 – Areale XVI. Volmiano, riparo (1174-1181) 17 – Areale XVII. Torri 18 – Areale XVII. Torri (2139) 19 – Areale XVIII. Ciarlico 20 – Areale XIX. Carraia, lottizzazione 1982 (1158-1166, 1168-1169; 3134) 21 – Areale XIX. Carraia, via Barberinese 22 – Areale XX. Carraia, chiesa di S. Maria 23 – Areale XX. Carraia, lottizzazione 2007 (2131-2138) 24 – Areale XXI. Leccio, Casone 25 – Areale XXII. Leccio, Pratale (3127-3132) 26 – Areale XXII. Leccio, Vignale (3087-3092) 27 – Areale XXI. Leccio, casa torre 28 – Areale XXI. Leccio, Castellare 29 – Areale XXIII. Case Palaia 30 – Areale XXIII. San Martino Vecchio o San Martino a Leccio 31 – Areale XXIV. Leccio, Palaia 32 – Areale XXV. Leccio, San Romolo 33 – Areale XXVI. Travalle, Podere Castellaccio (3124-3126, 3036, 3038-3039) 34 – Areale XXVI. Travalle, Podere Castelluccio (2105-2107) 35 – Areale XXVII. Villa di Morello 36 – Areale XXVIII. Montedomini, La Chiusa (2109-2130) 37 – Areale XXIX. Travalle, Podere Fornello (1002-1003, 1006-1009, 1011, 1132-1134; 3051-3059, 3116) 38 – Areale XXX. Case Pecchiolo 39 – Areale XXIX. Travalle, Podere Chiudente (1012-1017, 1020-1023, 1026-1034, 1036-1038, 10401043, 1046-1047, 1135-1137; 3108-3115) 40 – Areale XXXI. Travalle, Villa Ganucci Cancellieri (2108) 41 – Areale XXXI. Poggio all’Aia, Monte Morello 2 3 C onoscere la storia del territorio in cui si vive è importante per l’identità di una comunità, perché ci fa sentire parte di un percorso, che ha radici antiche. Ci fa capire i processi storici, culturali, economici, artistici che ci hanno portato fin qui. Ed è ancora più importante per noi Amministratori, che siamo chiamati a governare questo territorio, attraverso scelte strategiche che non possono prescindere dal nostro passato. Sapere che Calenzano è stato nella storia un punto nevralgico di collegamento tra il Centro e il Nord Italia, per esempio, ci permette di capire meglio il nostro sviluppo attuale, le caratteristiche del nostro tessuto economico, commerciale ed industriale. E ci consente quindi di pianificare meglio le prossime mosse, i passi futuri della nostra comunità. È per questo che giudichiamo prioritaria la tutela dei siti rilevati nel corso delle ricerche per la Carta archeologica. Questo strumento di lavoro ci offre un quadro conoscitivo che consente a chi si trova ad operare sul territorio di effettuare verifiche preliminari prima di intervenire. Questo costituisce una tutela sia per i siti archeologici che per gli operatori stessi: è noto infatti che bloccare un cantiere già aperto per un ritrovamento archeologico comporta, oltre che un rischio per i reperti, un consistente dispendio di risorse. Non è da sottovalutare inoltre il grande valore culturale della carta che, insieme a questo volume, è un prezioso mezzo di conoscenza della nostra storia, da quella più antica che affonda le radici nella Preistoria, fino alla più conosciuta era medievale, che tuttora caratterizza i borghi storici e le colline di Calenzano. Da questo punto di vista il lavoro si presta ad essere costantemente aggiornato con nuovi ritrovamenti, studi o emergenze archeologiche. Appendice Descrizione macroscopica dei principali impasti ceramici Pasquino Pallecchi Classificazione macroscopica degli impasti ceramici e dei rivestimenti di età classica Giacomo Baldini, Sofia Ragazzini Bibliografia 4 5 Alessio Biagioli Sindaco di Calenzano Cartografia archeologica del comune di Calenzano 42 – Areale XXXII. La Chiusa 43 – Areale XXXIII. La Chiusa 44 – Areale XXIX. Travalle 45 – Areale XXIX. Travalle, Podere Montisi (1049-1050, 1131; 2101-2104; 3123) 46 – Areale XXXIV. La Chiusa, via Barberinese 47 – Areale XXXV. Valigari (3093-3094) 48 – Areale XXXVI. Poggio Uccellaia 49 – Areale XXIX. Travalle, Case Fontanelli 50 – Areale XXXVII. Poggio Nucchiale 51 – Areale XXXVIII. Il Pratello, villa (2099-2100) 52 – Areale XXXIX. Podere Fornace di Sopra 53 – Areale XL. Il Boscaccio 54 – Areale XLI. Strada di Poggio Castiglioncello 55 – Areale XLII. Il Chiuso 56 – Areale XLIII. Casa La Gora 57 – Areale XLIV. Colle di Sotto 58 – Areale XLV. Sommaia, Collicello 59 – Areale XLVI. Macia di Sotto 60 – Areale XLVII. Casa Zerino (3040-3044) 61 – Areale XLVIII. Galleria Colle 62 – Areale XLIX. San Donato, pieve 63 – Areale L. Casa Cafaggiolo, via delle Vigne 64 – Areale LI. Sommaia, mulino 65 – Areale LI. Sommaia, castello (2092-2098; 3033-3035) 66 – Areale L. Colle Sotto – San Donato (1093-1095) 67 – Areale LII. Sant’Angelo 68 – Areale L. Casa Cafaggiolo, Fosso Garillino (2054-2072; 3048-3050) 69 – Areale L. Casa Cafaggiolo, areale Est (1102-1111, 1138-1140; 2073-2091; 3045-3047) 70 – Areale LIII. Calenzano, castello (3000-3023, 3039, 3117-3120, 3133, 3137) 71 – Areale LIV. Baroncoli, torre 72 – Areale L. Casa Cafaggiolo, Vigna Chiosina (1099-1101, 1182) 73 – Areale LV. Calenzano, via Larga 74 – Areale LVI. Calenzano, via A. Volta 75 – Areale LVII. Calenzano, via dei Tigli (1096-1098; 2053) 76 – Areale LVIII. Calenzano, via G. Puccini 77 – Areale LIX. Villa Bartolini, area de Le Carpognane-Casa Pantanino-Cascina Trabanchi 78 – Areale LX. Villa Bartolini (1052, 1055-1061, 1141-1143; 2038-2049; 3095-3101, 3103-3104, 3106-3107) 79 – Areale LIX. Villa Bartolini, Casa Garzola (2050-2052) 80 – Areale LXI. Loc. Perfetti Ricasoli, via del Pratignone (1010, 1018, 1024-1025, 1035, 1039, 1044-1045, 1048, 1053-1054, 1062; 2032-2037) 81 – Areale LXII. Settimello, chiesa di S. Lucia (2027-2031; 3070-3072) 82 – Areale LXIII. Il Neto, via di Settimello-viale Pratese-bosco del Neto 83 – Areale LXIII. Settimello, Condomini Cooperativa Appenino – Scuola Media Statale (2005-2026; 3024-3032) 84 – Areale LXIV. Villa Gamba, stele 85 – Areale LXIV. Scopino, Vigna Villa Gamba (1001, 1004-1005, 1051, 1063-1092, 1112-1130; 2001-2002; 3073-3084) 86 – Areale LXIV. Villa Gamba, giardino (2003) 87 – Areale LXV. Il Neto, stele (2004) Testo Soprintendente Testo Vannini Poggesi Sarti 6 7 Testo Vannini Poggesi Sarti 8 Testo Vannini Poggesi Sarti 9 Caratteri geomorfologici e risorse naturali del territorio Testo Vannini Poggesi Sarti Le caratteristiche fisiche del territorio hanno da sempre influenzato la distribuzione e la localizzazione degli insediamenti umani. Sulla base di queste caratteristiche si sono sviluppate le scelte delle antiche comunità, in termini di pianificazione e uso del territorio, con particolare attenzione alle risorse naturali di cui esso disponeva. Da una attenta lettura dei caratteri attuali del territorio compreso nel Comune di Calenzano si possono quindi ottenere informazioni utili alla ricostruzione delle sue fasi evolutive, sia geologiche – responsabili dell’attuale assetto geomorfologico a scala generale – sia antropiche, riconducibili alla localizzazione e all’evoluzione degli insediamenti umani e delle relative infrastrutture. La geomorfologia e la geolitologia possono inoltre fornirci indicazioni sulle risorse naturali e sul loro sfruttamento da parte dell’uomo, che ha popolato l’area nei diversi periodi storici. Inquadramento geomorfologico Dal punto di vista geomorfologico il territorio di Calenzano può essere suddiviso in tre unità: i rilievi collinari, le valli fluviali e la piana alluvionale. I rilievi collinari rappresentano la maggior parte del territorio di cui ci occupiamo: essi comprendono l’area a Nord di Calenzano e in particolare i versanti Est della dorsale della Calvana, i versanti Ovest dei rilievi di poggio dell’Aia (934,7 m slm), poggio Casoli (611,6 m slm) e poggio le Pozze (546,7 m slm), i rilievi compresi nell’allineamento poggio Montrioli (519,7 m slm)-poggio delle Valli (524,0 m slm)poggio del Tesoro (477,1 m slm). I rilievi collinari sono separati dalle valli alluvionali dei torrenti Marinella, Marina, Marinella di Legri e Chiusina che scorrono in direzione antiappennininca da Nord-Est a Sud-Ovest verso la piana per poi confluire nel Bisenzio, 1 Il versante orientale della dorsale della Calvana è interessato da forme carsiche superficiali e ipogee. Le prime sono riconducibili alle tipiche microforme di dissoluzione, quali solchi e scanalature, e alle macroforme quali le doline. Le 10 ad esclusione del torrente Marinella di Legri che confluisce nel Marina presso la località La Chiusa. Il territorio pianeggiante a SudOvest interessa le conoidi alluvionali dei corsi d’acqua principali ed il margine NordEst del Bacino Firenze-Prato-Pistoia. Tra i rilievi più importanti è da citare il versante orientale della dorsale della Calvana con quote che raggiungono 916 m slm in corrispondenza del Monte Maggiore e 818 m slm in corrispondenza del Monte Cantagrilli. Si tratta di un rilievo calcareo brullo e sassoso (da qui il suo nome), con crinale suborizzontale arrotondato e fianchi ripidi, caratterizzato dalla presenza di forme carsiche1 e inciso da brevi e ripide valli. Il rilievo è costituito da strati di rocce appartenenti alla formazione del Monte Morello, costituite in gran parte da calcari grigi, compatti, a frattura concoide (calcare “Alberese”), intercalati da livelli arenacei. Anche i versanti occidentali del Monte Morello sono costituiti dalle stesse rocce che caratterizzano la dorsale della Calvana, ma questi si presentano meno brulli e con una fitta copertura arborea. In questo caso, rispetto alla dorsale della Calvana, i rilievi non sono allineati, ma presentano una distribuzione irregolare con morfologia poco arrotondata, e sono scarsamente interessati da morfologie carsiche. La presenza nel Monte Morello di una maggiore copertura boschiva è dovuta al rimboschimento di questa area avvenuto all’inizio del secolo scorso, mentre risulta più complesso dare una spiegazione alla mancanza di evidenti morfologie carsiche. La teoria che ad oggi sembra meglio giustificare questo fenomeno è quella formulata da Cicali e Pranzini2, che ipotizza l’identificazione del crinale della Calvana con un tratto del paleocorso del Bisenzio pliocenico, che, in quel periodo, andava a sfociare in mare presso Montelupo Fiorentino (fig. 1). Secondo questa teoria, il paleoalveo può avviare i processi di carsi- seconde sono costituite da cavità sotterranee a sviluppo sia orizzontale sia verticale. 2 Cicali, Pranzini 1984. 3 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Pasquino Pallecchi Figura 1. Schema paleogeografico della Toscana nel Pliocene medio (da Bartolini Pranzini 1981, modificato). La linea di costa del mare pliocenico arriva in corrispondenza dell’attuale allineamento S. Casciano-Altopascio e i fiumi, che scendono dai versanti della giovane dorsale appenninica, sboccano direttamente in mare formando spesse conoidi. smo anche in un substrato poco favorevole come quello costituito da calcari marnosi quali l’Alberese. Nelle fasi successive di innalzamento del Monte Morello le morfologie carsiche presenti lungo il paleoalveo sono state interessate da un elevato tasso di infiltrazione, accompagnata da un minor ruscellamento superficiale, con conseguente minore erosione rispetto ai fianchi scarsamente carsificati. Si arriva così ad una inversione di rilievo che potrebbe spiegare le differenze tra la dorsale della Calvana e i rilievi del Monte Morello. Per quanto riguarda la formazione del versante orientale della dorsale, un contributo non trascurabile è dovuto ad una importante faglia su cui si è impostato il corso del torrente Marina, i cui processi erosivi hanno formato la valle in cui attualmente scorre il torrente. I rilievi collinari sono costituiti anche da Il piano dei mosaici pavimentali della villa romana di Travalle è stato osservato fino ad una profondità di 80 cm 3 12 Origine geologica La formazione del territorio compreso nel Comune di Calenzano è connessa con gli eventi che hanno portato alla formazione dell’Appennino settentrionale, il cui inizio si può ricondurre a circa 200 milioni di anni fa. In questo periodo l’area toscana si trova completamente sommersa dal mare e interessata dalla deposizione di sedimenti detritici di origine marina (attualmen- dall’attuale piano di campagna (dato rilevato dall’autore). Tuci 2008. 4 te identificabili nelle Marne di S. Polo e nel Macigno). Nello stesso periodo, in un bacino marino adiacente a quello toscano (Bacino ligure), localizzabile tra le attuali isole Baleari e la costa ligure, inizia la deposizione dei complessi sedimentari costituenti le attuali Formazione di Sillano e Formazione di Monte Morello e Pietraforte. La deposizione, nel Bacino ligure, di questi sedimenti in strati orizzontali continua fino all’Eocene medio (circa 40 milioni di anni fa). Successivamente, a seguito di intensi fenomeni tettonici di tipo compressivo che interessano tutta l’area ligure, gli strati orizzontali depositati in questa area subiscono importanti piegamenti, accompagnati da un progressivo spostamento verso Est, che li porta a sovrapporsi (nel Miocene medio, circa 20 milioni di anni fa) ai sedimenti depositati nell’attiguo Bacino toscano. Questi eventi danno inizio alla formazione delle principali dorsali appenniniche con direzione NO-SE. Nel Neogene l’area appenninica è ancora interessata da una intensa attività tettonica che porta alla formazione di bacini intermontani (Bacino del Mugello, Bacino Firenze-Prato-Pistoia, Bacino di Altopascio, Bacino del Valdarno superiore), costituiti da depressioni pressoché ellittiche con orientamento appenninico (NO-SE) delimitate da fratture e spostamento reciproco delle rocce del substrato (faglie), sul bordo orientale, e da piegamenti di raccordo su quello occidentale. Nel caso del Bacino Firenze-PratoPistoia, la faglia principale (master fault di Fiesole), che si estende da Fiesole a Pistoia, produce una scarpata tettonica digradante verso il centro del bacino. Nello stesso tempo l’inizio del sollevamento della dorsale sud-occidentale del Montalbano va a completare la formazione del bacino. La successiva fase di attività tettonica, iniziata alla fine del Miocene e continuata fino al Pliocene inferiore (5,1-3,2 milioni di anni fa), porta all’attuale configurazione geologica, definendo l’assetto della faglia di Fiesole-Prato. 5 Nel Pliocene superiore (3,2-1,7 milioni di anni fa) la ripresa del sollevamento appenninico provoca la riattivazione della faglia di Fiesole-Prato e il conseguente sollevamento del bordo orientale di circa 200 m. Con il relativo abbassamento del bacino, si instaura nello stesso un ambiente lacustre con deposizione di sedimenti limo-argillosi. I movimenti relativi, conseguenti all’attività tettonica che interessa la dorsale appenninica, determinano fenomeni erosivi da parte dei torrenti che, provenienti dai rilievi a NordEst (Marinella, Marina, Chiusina), vanno ad interessare la piana di Calenzano con la formazione di spessi depositi di conoide ai margini settentrionali del bacino. Nel Pleistocene inferiore (1,7-1,2 milioni di anni fa) il Bacino Firenze-Prato-Pistoia è ancora interessato da condizioni lacustri e dalla desposizione di sedimenti argillosi. Queste condizioni variano nel Pleistocene superiore (0,5-0,01 milioni di anni fa), quando il bacino viene progressivamente colmato dai depositi fluvio-lacustri e si instaurano le condizioni di piana alluvionale. In questo periodo l’Ombrone raccoglie la confluenza del Bisenzio e quella dei torrenti provenienti dalla zona di Calenzano5, prima di confluire nell’Arno, che scorre ai margini Est del bacino, mentre i corsi d’acqua dell’area fiorentina sfociano direttamente in Arno. L’area a Nord dell’Arno viene così ad assumere una morfologia pianeggiante caratterizzata dalla presenza di numerosi corsi d’acqua, a regime torrentizio, che scendono dalle colline depositando spessi strati di sedimenti grossolani in corrispondenza del loro sbocco nella piana. A causa delle frequenti variazioni del corso di questi torrenti la piana è interessata da limitate aree lacustri, che cambiavano estensione a seconda di queste variazioni. Intanto il Bisenzio sposta il suo corso verso Est, andando a intercettare i torrenti provenienti dalla zona di Calenzano (Marinella e Marina, a cui affluisce il torrente Chiosina). Si arriva così al momento della comparsa dei primi insediamenti umani in Toscana, avve- Conedera, Ercoli 1973. 13 Cartografia archeologica del comune di Calenzano modesti affioramenti di terreni in prevalenza argillosi, appartenenti alla Formazione di Sillano. Questi terreni sono interessati da frequenti fenomeni franosi, particolarmente evidenti nella zona montana intorno alle Croci. Ai piedi dei rilievi minori sono frequenti invece coperture detritiche limosabbiose (depositi eluvio-colluviali), mentre la base delle pareti rocciose è interessata da falde e coni detritici grossolani. Le valli alluvionali si presentano strette, con fianchi ripidi nei tratti a monte. I tratti più ampi sono quelli del torrente Marina a valle della località La Cassiana, del torrente Marinella e del torrente Chiosina. Questi torrenti hanno dato luogo a spessi depositi detritici costituiti da limi e limi argillosi con intercalazioni di livelli argillosi, livelli sabbiosi e ghiaie. Lo spessore di questi depositi di fondovalle negli ultimi due millenni arriva fino ad un metro in corrispondenza dell’area di Travalle3 e nella zona di Carraia4. La piana a Sud è costituita da terreni di conoide alluvionale depositati dai torrenti nelle ultime fasi di riempimento del bacino lacustre Firenze-Prato. Questi sono costituiti da sabbie e ghiaie con lenti argillose. Attualmente la zona pianeggiante è percorsa da una fitta rete di canali artificiali, in parte pensili, realizzati in occasione delle recenti opere di bonifica. Figura 3. Area immediatamente a Nord dell’abitato di Legri: si riconoscono i versanti calcarei coperti da bosco e un terreno coltivato, al limite dell’abitato, impostato su affioramenti appartenenti alla Formazione di Sillano. Figura 4. Blocchi di calcare “Alberese” utilizzati per la costruzione delle mura del Castello di Calenzano. Figura 2. Travalle. La piana alluvionale delimita il rilievo calcareo nella sommità del quale si trova il Podere Galluzzo. nuta nel Paleolitico inferiore, circa 100.000 anni dal presente6. Nel primo Olocene (108000 anni fa) le aree perimetrali al bacino e vicine allo sbocco dei torrenti provenienti dai rilievi sono così interessate dalla presenza di sedimenti grossolani, trasportati dai torrenti che scendono dalle colline e caratterizzati da quote relativamente più elevate (nell’area di cui ci occupiamo sono identificabili le conoidi di Prato, del Marinella e del Marina, e del Chiosina). In queste aree – leggermente rialzate rispetto ai corsi d’acqua a regime torrentizio, che solcano la piana al sicuro dalle esondazioni degli stessi corsi d’acqua nei periodi di intensa piovosità – alla fine del V millennio a.C. si assiste alla prima comparsa dell’uomo, che vi stabilisce i primi insediamenti. L’antropizzazione I primi insediamenti umani che hanno interessato il territorio del Comune di Calenzano sono localizzati nella fascia marginale della piana alluvionale, per lo più in corrispondenza delle conoidi dei torrenti Marina e Chiosina, a quote leggermente più elevate e in terreni sabbiosi maggiormente drenati – e quindi più asciutti – rispetto alla piana, caratterizzata dalla presenza di terreni limo-argillosi con scarso drenaggio e spesso interessati dall’esondazione dei corsi d’acqua e da limitate zone palustri. La presenza dell’uomo preistorico è nota anche nell’area di Travalle, il cui particolare assetto geomorfologico è riconducibile alla presenza di un complesso sistema di fratture del substrato calcareo (faglie) su cui si sono impostati i corsi d’acqua, responsabili del modellamento dei versanti per erosione e della presenza di uno spesso strato alluvionale di fondovalle. I diversi caratteri geolitologici che circondano l’area di Travalle hanno dato luogo ad una particolare morfologia ad anfiteatro, riparata dai venti e ricca d’acqua, con i versanti delle colline, a Est caratterizzati da minor pendenza, ad Ovest scoscesi e interessati da torrenti. Questi circondano anche Cartografia archeologica del comune di Calenzano la propaggine calcarea, al limite Sud della quale si trova il Podere Galluzzo (fig. 2). Il fondovalle è invece caratterizzato da depositi alluvionali, costituiti prevalentemente da sabbie e limi dovuti all’apporto di sedimenti da parte dei torrenti che scendono dai versanti dei maggiori rilievi. In considerazione della scarsa portata dei torrenti, la velocità di sedimentazione nel fondovalle è lenta, valutabile intorno a 30-80 cm dal periodo romano ad oggi7. Tracce di utilizzazione del territorio da parte dell’uomo preistorico si trovano anche nell’ultimo tratto delle valli fluviali e nei versanti della Calvana, interessati da evidenti morfologie carsiche. Nel periodo classico si intensifica l’occupazione del territorio compreso nella fascia perimetrale della piana alluvionale e nell’area di Travalle, ma si sviluppa anche la sistemazione idraulica della piana perfezionata con la centuriazione romana e la realizzazione di importanti tracciati stradali. Proprio grazie alla configurazione geomorfologica, l’area pianeggiante compresa nel Comune di Calezano diviene un importante punto di incontro tra la direttrice transappennica, che sfruttava la valle del Bisenzio, e la viabilità locale in direzione del Mugello. Si arriva così all’occupazione del territorio nella parte alta delle valli fluviali e nei versanti. Gli insediamenti vanno ad interessare anche le aree con morfologie meno accentuate, costituite da terreni argillosi adatti alle coltivazioni agricole. In corrispondenza dell’affioramento di questi terreni, appartenti per lo più alla Formazione di Sillano, si trovano anche oggi le aree più popolate dopo il capoluogo: Le Croci di Calenzano, Legri (fig. 3), la zona di Corliano. Le alture calcaree sono interessate da insediamenti utili al controllo del territorio. Lo sviluppo degli insediamenti di fondovalle è anche da ricondursi alla disponibilità dell’argilla, dell’acqua e del legname, materie prime necessarie per la fabbricazione di manufatti ceramici. La presenza di fornaci per la cottura degli Tale valutazione deriva dalla profondità di ritrovamento dei piani della fattoria romana di Travalle, situati appunto a 30-80 cm dall’attuale piano di campagna. 7 6 Sarti, Martini 1993. 14 15 La redazione della carta archeologica: rilievo topografico, criteri di rappresentazione e costruzione del sistema informativo geografico impasti ceramici lungo la valle del Marina è testimoniata sin dal periodo etrusco. La possibilità di sfruttamento delle risorse idriche era utile anche per altre attività produttive che utilizzavano la forza motrice dell’acqua, come i mulini. Dai versanti calcarei venivano anche estratti i materiali lapidei utili alla costruzione delle strutture abitative (fig. 4). La particolare configurazione del reticolo idrografico vede la presenza, in località La Chiusa, di un rilievo calcareo che produce una strettoia della valle con la conseguente confluenza dei torrenti Marinella di Legri e Le Torri con il torrente Marina. La presenza della strettoia è stata utilizzata in età romana per la realizzazione di un bacino di raccolta dell’acqua, poi utilizzata, mediante opere di captazione (non più esistenti), per alimentare un acquedotto in pressione – del quale si conservano alcune chiare tracce – che, sfruttando le lievi differenze di quota, confluiva nelle terme della città di Florentia. Nella piana alluvionale si sviluppa l’abitato, sorto su un modesto rilievo calcareo posto ad una quota più elevata di poche decine di metri (102,1-112,6 m slm) rispetto a quella della piana alluvionale circostante (55,067,0 m slm). Anche la viabilità segue l’assetto geomorfologico dell’area, interessando la piana in direzione NE-SO e i fondovalle dei principali fiumi con direzione appenninica NO-SE. Lungo le valli alluvionali sono ubicate le antiche strutture produttive che sfruttavano la forza motrice dell’acqua, ma anche le fornaci utili per la produzione di materiali ceramici. In questo caso la presenza dell’acqua è accompagnata dalla disponibilità delle necessarie materie prime e dal facile reperimento del legname necessario alla cottura dei manufatti. Bibliografia Bartolini C., Pranzini G. 1981, Plyo-quaternary evolution of the Arno basin drainage, “Zeitschrift für Geomorphologie”, Suppl. BD, 40, pp. 77-91. Bernetti G. 1956, Su alcuni terreni del crinale dei Monti della Calvana (Firenze), “L’Italia forestale e Montana”, XI, pp. 274-279. Capecchi F., Guazzone G., Pranzini G. 1975, Il bacino lacustre Firenze-Prato-Pistoia. Geologia del sottosuolo e ricostruzione evolutiva, “Bollettino della Società Geologica Italiana”, XCVI, 4, pp. 637-660. Cicali F., Pranzini G. 1984, Idrologia e carsismo dei Monti della Calvana (Firenze), “Bollettino della Società Geologica Italiana”, CIII, pp. 3-50. Conedera C., Ercoli A. 1973, Elementi geomorfologici della piana di Firenze dedotti da fotointerpretazione, “L’Universo”, 53, pp. 255-262. Sarti L., Martini F. 1993, Costruire la memoria. Archeologia preistorica a Sesto Fiorentino (1982-1992), Firenze. Sestini G. 1959, Osservazioni geologiche sui Monti della Calvana (Firenze), “Bollettino della Società Geologica Italiana”, LXXVIII, 2, pp. 207-231. Tuci D. 2008, Calenzano (FI). Località Carraia: area con forni etruschi e strutture di età classica, “Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana”, 3/2007, pp. 149-152. 16 Introduzione A livello tecnico-progettuale la Carta Archeologica di Calenzano è stata pensata come uno strumento utile alla gestione complessa delle evidenze archeologiche a scala territoriale. In fase di programmazione è stato infatti esplicitato che la Carta doveva rispecchiare le necessità espresse dalle istituzioni che a diverso titolo si impegnano nella tutela, studio e valorizzazione dei beni archeologici, nonché essere uno strumento utile per le attività di programmazione territoriale svolte dal Comune di Calenzano. Gli Enti coinvolti nella realizzazione della Carta hanno manifestato infatti la convinzione che nella gestione del bene archeologico il rapporto con il contesto di rinvenimento è senza dubbio un elemento fondamentale per comprendere meglio la realtà storica delle evidenze archeologiche, per la progettazione della loro tutela e, non ultimo, per interagire correttamente con chi si occupa della pianificazione del territorio ovvero delle sue trasformazioni in ambito urbano e rurale. Date queste premesse, gli strumenti e i criteri adottati per la realizzazione della Carta hanno cercato di rispondere alle esigenze di archiviazione, gestione ed analisi delle evidenze archeologiche, mettendole in relazione con le caratteristiche del territorio di Calenzano e con la storia del suo paesaggio. Il progetto, nella sua prima fase, si è articolato attraverso un censimento delle informazioni strutturato all’interno di un database idoneo agli standard di catalogazione previsti dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD), accompagnato da una campagna di rilievo che ha previsto il posizionamento attraverso GPS delle evidenze schedate. Queste informazioni hanno costituito la base di partenza per la costruzione di un Sistema Informativo Geografico (GIS) funzionale alla visualizzazione su base cartografica dei dati raccolti, alla successiva realizzazione delle carte di fase relative ai tre macrointervalli cronologici considerati (Preistoria, età classica, età post-classica) ed infine alla gestione delle attività di ricerca orientate all’approfondimento tematico e culturale. La gestione dei dati all’interno del GIS ha consentito di analizzare le informazioni archeologiche e del loro contesto di rinvenimento in modo articolato, di produrre nuove cartografie tematiche e di restituire, in accordo con il Comune di Calenzano, le elaborazioni in un formato utile per la programmazione territoriale direttamente acquisibile all’interno della banca dati del Sistema Informativo del Comune. Le carte tematiche in scala 1:25.000, in cui le evidenze archeologiche sono state posizionate in forma di punto, hanno costituito la base di partenza per lo sviluppo di carte tematiche di dettaglio che hanno restituito le informazioni archeologiche ad una scala 1:10.000 e hanno permesso di analizzare con maggior accuratezza il contesto di rinvenimento di ciascun bene schedato. Il passaggio di scala, oltre a consentire lo sviluppo di ulteriori elaborazioni interpretative, ha permesso di predisporre la base informativa utile per la definizione degli areali di rischio archeologico. [G.P., P.M.] La prima fase: censimento e campagna di rilievo. Nella strutturazione della Carta Archeologica di Calenzano la prima fase del lavoro è costituita dall’acquisizione di tutte le informazioni archeologiche emerse dalle attività di ricerca sul territorio svolte in precedenza, ovvero le informazioni edite in letteratura o presenti negli archivi della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana (SBAT). In parallelo a questa attività si è svolta un’accurata analisi dei materiali archeologici raccolti nel territorio in questi ultimi decenni in varie occasioni. Le informazioni provenienti da queste due attività sono confluite all’interno di un database organizzato in schede “sito”1 ed in schede relative ai materiali. Queste schede costituiscono il primo elemento di riferimento per la realizzazione della carta archeologica e sono collegate da un identificativo comune alle schede dei materiali, 17 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Giovanna Pizziolo Paolo Machetti che offrono fondamentali informazioni utili per interpretare l’evidenza archeologica e per analizzarne il contesto di riferimento. A ciascuna raccolta di materiale corrisponde dunque un’evidenza archeologica che in senso generale possiamo assimilare al concetto di “sito” in quanto evidenza posizionata in uno spazio geografico. Tuttavia sarà nella seconda fase di approfondimento che si vaglieranno le informazioni per definire e classificare le evidenze archeologiche in base alla loro consistenza, coerenza e tipologia. In alcuni casi, in precedenza alla realizzazione di questo progetto, le ricognizioni sono state svolte dai vari gruppi archeologici in periodi diversi ma nella stessa località, classificando talvolta con sigle diverse materiali che probabilmente appartenevano alla stessa fase di frequentazione storica. Per evitare ambiguità ed imprecisioni la catalogazione dei materiali è stata strutturata secondo le schede di precatalogazione (a cassetta), ma ha previsto la creazione di “cassette virtuali” corrispondenti ciascuna a ogni singola sigla di “sito”. Questo sistema ha consentito di mantenere le sigle delle ricognizioni, conservando le informazioni, acquisite durante la ricognizione, utili alla contestualizzazione del materiale archeologico. Il database, sviluppato per questo progetto, ha una struttura relazionale ed utilizza formati in uso presso la Soprintendenza idonei con gli standard di catalogazione previsti dall’ICCD. In questa prima fase le schede mantengono la denominazione del “sito” data in precedenza dagli Autori o da chi ha raccolto il materiale; tale denominazione verrà poi accompagnata da una nuova numerazione frutto di un lavoro di standardizzazione del dato. Per quanto riguarda il posizionamento dei dati raccolti e censiti, si sono sviluppate procedure ed analisi diverse in relazione alla tipologia delle informazioni. Per i dati editi si è cercato in primo luogo un riscontro con le fonti cartografiche, sia topografiche che tematiche, analizzate alle diverse scale. Questa prassi ha consentito di posizionare le evidenze secondo diversi gradi di accuratezza in relazione alla precisione con cui è stata descritta l’area di rinvenimento del materiale. Per l’acquisizione dei dati emersi durante le ricognizioni sul campo sono stati utilizzati strumenti GPS (Global Positioning System), necessari per rilevare le coordinate geografiche delle evidenze archeologiche. In questa prima fase la registrazione delle coordinate geografiche relative ad aree di materiali o di emergenze archeologiche è stata eseguita cercando di posizionarsi al centro dell’area suddetta o individuando il centroide relativo al supposto ingombro delle emergenze archeologiche. In taluni casi il riconoscimento dell’evidenza archeologica è stato accurato ed affidabile, in altre situazioni è risultato più difficile individuare gli elementi di riferimento. In alcuni casi è stato necessario acquisire più punti relativi alla stessa evidenza. Già durante questa fase di censimento, in occasione di scavi in estensione o di sondaggi esplorativi, sono stati effettuati rilievi plano-altimetrici georeferenziati eseguiti con metodo celerimetrico mediante stazione totale laser motorizzata con lettore ottico privo di riflettore. I dati di rilievo sono stati integrati nella Cartografia Tecnica Regionale, e confrontati con la documentazione grafica eventualmente già esistente. [P.M.] 1 Con il termine di schede “sito” – che non vuol essere in alcun modo una valutazione sull’entità delle presenze archeologiche – si indicano le schede nel presente volume l’insieme dei dati archeologici e delle fonti archivistiche e bibliografiche di un determinato luogo geografico all’interno del territorio comunale di Calenzano o, in alcuni casi, di singoli reperti mobili. Il termine di scheda “sito”, talvolta improprio dal punto di vista archeologico, è stato comunque adottato per la realizzazione della struttura GIS al fine di semplificare il lavoro di compilazione e di lettura dei dati. 18 Fig 2. Visualizzazione tridimensionale in direzione SudEst delle evidenze archeologiche relative alla fascia pedecollinare e alla piana di Calenzano. La strutturazione del GIS Tutte le informazioni raccolte sono state organizzate all’interno di un sistema GIS la cui strutturazione, nella scelta dei formati e nei criteri di archiviazione dei dati, ha seguito gli standard adottati dal Comune di Calenzano e dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana. Si è pertanto utilizzato il sistema di riferimento “Roma 40” (coordinate metriche in Gauss-Boaga) ed espresso le geometrie dei livelli vettoriali (punti, linee e poligoni) con il formato shape (Esri®). Come è noto, il GIS è uno strumento che permette di gestire, visualizzare ed analizzare dati distribuiti nello spazio e che basa la sua potenzialità di elaborazione sulla relazione biunivoca fra elementi grafici georeferenziati e dati alfanumerici, archiviati in tabelle, che ne descrivono le caratteristiche. Nel nostro caso ad ogni geometria relativa a tematismi archeologici è stata correlata una tabella nella quale sono contenuti i dati anagrafici di ciascun elemento vettoriale ed una sintesi delle informazioni archeologiche finalizzata ad una rapida visualizzazione delle loro caratteristiche. Nella costruzione del GIS, dopo aver organizzato i dati cartografici disponibili alle diverse scale, è stato inserito il primo livello vettoriale relativo alla distribuzione delle evidenze archeologiche espresse in forma di punto, ovvero ciascuna segnalazione è rappresentata da una singola coppia di coordinate. Fra le informazioni di corredo per questo tematismo ricordiamo ad esempio il campo “cronologia”, nel quale sono sintetizzate le informazioni riguardanti le attestazioni di frequentazione espresse in termini di “macroperiodi” (Preistoria, età classica, età post-classica) relative a ciascun sito. Tali informazioni sono riproposte anche in forma analitica e più dettagliata in altri campi, in cui per ciascuna fase cronologica si indica la funzione del sito relativa a quel periodo. All’interno della tabella sono altresì verificabili le modalità e la precisione con cui è stato posizionato ciascun punto mediante il riferimento alle acquisizioni effettuate con lo strumento GPS durante le ricognizioni. Sono inoltre disponibili le informazioni sulle fonti ulteriori utilizzate per il posizionamento delle evidenze archeologiche, siano esse il frutto di analisi bibliografiche, cartografiche o il risultato di una verifica eseguita con chi ha segnalato il sito o raccolto il materiale sul campo. In questo modo è possibile visualizzare la distribuzione delle evidenze archeologiche sul territorio di Calenzano in base alla loro cronologia, funzione, affidabilità e alla precisione del posizionamento. Per un’analisi e consultazione a livello più approfondito è possibile collegarsi al database esterno, in formato mdb, nel quale risiedono in forma completa tutti i dati archiviati relativi ai siti ed alla analisi dei materiali. Le informazioni raccolte e strutturate nel modo suddetto consentono pertanto di fare un primo inquadramento generale della dislocazione dei “siti” e di caratterizzare il censimento attraverso la creazione di carte tematiche ad hoc. Le basi di appoggio utilizzate per la realizzazione degli elaborati topografici sono state la cartografia dell’Istituto Geografico Militare Italiano in scala 1:25.000 e 1:100.000 e la Carta Tecnica Regionale in scala 1:2.000 e 1:10.000. Date le premesse, i punti indicati in cartografia siano essi provenienti da ricerca bibliografica, analisi cartografica o ricognizione diretta sul campo sono da ritenersi la base informativa per la successiva elaborazione spaziale dei dati. [G.P.] La seconda fase: dai punti alle aree Rispetto al censimento condotto per la prima fase del lavoro, durante la quale il posizionamento delle evidenze archeologiche è stato eseguito in forma puntuale cercando di individuare il centro delle aree di materiali ed emergenze archeologiche, in questa seconda fase i punti riferiti alle segnalazioni sono stati ricondotti a geometrie poligonali, ovvero a superfici corrispondenti ad unità topografiche riferibili alle evidenze archeologiche. Per svolgere tale operazione si è tenuto necessariamente conto del carattere 19 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Fig 1. Distribuzione delle evidenze archeologiche nella fascia pedecollinare e nella piana di Calenzano visualizzate sulla base del Modello Digitale del Terreno. zioni raccolte durante il censimento, evitando di attribuire pari importanza a rinvenimenti sporadici rispetto ad aree che hanno restituito consistenti testimonianze in una o più fasi di frequentazione dalla Preistoria al Medioevo. Si è pertanto proceduto ad una visualizzazione tematica dei dati che ha suggerito diverse letture interpretative focalizzando la nostra attenzione su alcune aree del territorio di Calenzano che nelle varie fasi del popolamento hanno esercitato una particolare attrazione, diventando centri insediativi o punti nodali per la gestione delle vie di comunicazione, del controllo territoriale o delle risorse. Si sono successivamente indagate le relazioni topografiche fra i punti presenti in carta, cercando di capire i rapporti spaziali reciproci e classificando ogni evidenza come primaria o associata ad altre evidenze. Tali definizioni sono state intese come prima forma di messa in relazione tra evidenze che sul terreno risultano, almeno per alcuni aspetti e fatti salvi gli sviluppi della ricerca, apparentabili. In taluni casi il processo di accorpamento fra evidenze primarie e secondarie ha visto l’inclusione di più evidenze primarie all’interno di un unico areale. Questa condizione, seguendo gli spunti operativi propri dell’archeologia del paesaggio2, si è verificata quando l’analisi della geomorfologia, della forma delle particelle colturali, del microrilievo o delle indicazioni storiche ha reso possibile identificare un’unica unità topografica di riferimento. Appare dunque evidente che in un processo ricompositivo di questo tipo sia necessario appoggiarsi a fonti ausiliarie che permettano di ricostruire con la maggior accuratezza possibile il contesto territoriale del passato. A questo fine, applicando criteri di ricerca propri della geografia storica3, si è scelto di lavorare a fonti e scale integrate. Fra i documenti cartografici è stata dedicata particolare attenzione alla cartografia storica che come è noto restituisce eccellenti informazioni sugli assetti territoriali del passato, una volta analizzati e contestualizzati come documenti storici. Per il territorio di Calenzano sono disponibili numerose fonti cartografiche pregeodetiche4 già a partire dal XVI secolo. Documento di eccellenza risulta il prezioso corpus cartografico delle Piante dei Capitani di Parte Guelfa, che descrivono viabilità, idrografia ed assetti amministrativi del territorio. Altre informazioni relative all’uso del suolo, alla sistemazione colturale e più in generale alla gestione fondiaria sono desumibili dai cabrei delle proprietà, che, ad una scala di maggior dettaglio, hanno restituito importanti quadri informativi della organizzazione produttiva del nostro territorio eseguita dagli Enti religiosi o dalle ricche famiglie fiorentine sui propri possedimenti fin dal XVI secolo. Passando alla cartografia ottocentesca, una fonte di grande interesse per la ricostruzione del paesaggio del passato è costituita dal Catasto Leopoldino realizzato fra il 1817 e il 1835 per conto del granduca Leopoldo II. Il catasto è costituito dal Quadro di Unione e dalle singole Mappe catastali che riportano per l’intero territorio della Comunità di Calenzano le informazioni relative alla forma e numerazione delle particelle colturali, alla viabilità, alla toponomastica e all’idrografia. Le mappe rappresentano un’eccellente “istantanea” degli aspetti antropici e naturali che caratterizzano il paesaggio di Calenzano del primo Ottocento, descrivendo con estrema precisione ogni singolo elemento presente sul territorio. Per le sue caratteristiche geometriche il Catasto Leopoldino può essere inserito all’interno del Sistema GIS, previo un processo di georeferenziazione che riconduce la scansione delle mappe ad un sistema di riferimento cartografico attuale. Il potenziale informativo di questa fonte in ambito archeologico, già testato in altre aree della Toscana5, si sviluppa sia attraverso la ricostruzione dell’uso del suolo, ma anche attraverso l’individuazione di quelle tracce relitte degli assetti del passato ancora leggibili all’interno dei documenti ottocenteschi che disegnano in carta quelle preziose testimonianze con grande precisione geometrica. Nel caso di Calenzano le informazioni del catasto storico sono state riportate all’interno del nostro sistema GIS6 attraverso l’analisi e la restituzione vettoriale di particelle colturali, assetti idrografici e della viabilità relativamente ad aree di particolare interesse. L’osservazione dell’uso del suolo e dell’organizzazione delle particelle agrarie, nonché delle loro dinamiche di trasformazione, svolta grazie all’analisi della cartografia storica, è stata approfondita attraverso l’esame delle fotografie aeree, che possiamo scegliere come fonti utilissime per lo studio del paesaggio archeologico. Per la realizzazione della Carta Archeologica di Calenzano gli assetti recenti del territorio sono stati osservati sulle ortofoto AIMA (1997) e su fotogrammi recenti scattati a bassa quota. Questo tipo di indagine è risultata di grande utilità per controllare alcuni contesti archeologici. Per quanto riguarda l’analisi delle fotografie aeree storiche l’attenzione si è concentrata sul volo GAI, una ripresa a media scala effettuata nel 1954 che copre in modo omogeneo tutto il territorio in esame. Le fotografie degli anni Cinquanta restituiscono un’immagine del paesaggio di Calenzano precedente alle grandi trasformazioni e, soprattutto per quanto riguarda l’area della Piana, offrono un quadro sugli assetti agrari che diviene fondamentale per la corretta collocazione delle evidenze archeologiche. Per alcune aree campione si sono inoltre consultate riprese effettuate nel 1948, rese disponibili dagli archivi del Comune di Calenzano. L’utilizzo di queste fonti storiche ausilia- Lamberini 1987. De Silva, Pizziolo 2004. 6 In questa occasione si sono utilizzate le immagini dispo- nibili attraverso il Progetto CASTORE (CATasti STOrici REgionali), consultabile attraverso il Servizio Geografico Regionale della Regione Toscana. 4 5 2 Bernardi 1992. 3 20 20 Rombai 2002. 21 Cartografia archeologica del comune di Calenzano eterogeneo delle informazioni a disposizione che provengono sia da ricerche sistematiche che da raccolte occasionali o da segnalazioni accidentali. La definizione dell’areale di pertinenza di ogni evidenza schedata ha rispettato per quanto possibile le eventuali indicazioni fornite dagli Autori in letteratura o presenti negli archivi della Soprintendenza. Tuttavia nel caso in cui le evidenze non siano più riconoscibili sul terreno o non siano stati esplicitati i riferimenti ad elementi topografici noti o ai limiti di dispersione dei manufatti raccolti, per delineare l’areale di riferimento è stato necessario procedere attraverso un processo di tipo ricompositivo e per livelli di approssimazione progressivi. In particolare, occorre considerare che sovente le informazioni acquisite anni fa si riferiscono a contesti di rinvenimento che possono essere mutati e quindi difficilmente ricostruibili; pertanto il processo di editing cartografico si è articolato in più fasi che prevedono sia l’approfondimento delle informazioni presenti nel database che l’acquisizione, l’analisi e l’elaborazione di fonti ausiliarie all’interno del GIS, in taluni casi accompagnate dalle verifiche in campagna svolte tramite ulteriori ricognizioni ed attività di rilievo. In primo luogo si sono visualizzati i punti in funzione delle informazioni presenti nel database. Per valutare il set di dati a nostra disposizione è stato attribuito un valore a ciascun punto in relazione alla consistenza delle evidenze archeologiche che esso rappresenta secondo diverse classi: – in termini di quantità e qualità delle evidenze riscontrate; – in termini di interpretazione funzionale del “sito”; – in termini di continuità di occupazione dell’area (sito con evidenze attribuibili a più fasi di occupazione con o senza soluzione di continuità). Questa prima riclassificazione ha permesso di leggere con maggior chiarezza le informa- 22 di riferimento per ogni evidenza archeologica. La lettura topografica ed il processo di ricomposizione delle fonti sono stati integrati con l’analisi dei materiali archeologici che, confluita nel database correlato alle evidenze archeologiche, ha permesso di valutare ipotesi di accorpamento fra singole segnalazioni in base a cronologia e funzione. Il risultato complessivo di queste elaborazioni ha consentito di delimitare per ciascuna evidenza archeologica le unità topografiche di riferimento all’interno del contesto territoriale. [G.P.] Criteri di rappresentazione I criteri di rappresentazione proposti per la Carta Archeologica di Calenzano rispecchiano le scelte operative portate avanti durante la realizzazione del lavoro. Le carte presenti nel volume infatti esprimono in qualche misura l’iter della ricerca. In primo luogo vorremmo descrivere le geometrie puntuali che caratterizzano la Carta. Le schede “sito”, ovvero delle evidenze archeologiche, presenti nel volume hanno una loro corrispondenza con i punti presenti in carta ed il numero che accompagna ciascun punto corrisponde all’identificativo della scheda del database riportata anche nel catalogo. Questi, a seconda dei casi, sono stati visualizzati in modo omogeneo o adottando simbologie diverse in base alle scansioni cronologiche corrispondenti. Nel caso di siti plurifase sono stati scelti simboli diversi in base alla combinazione di periodi individuati, volendo rendere in modo chiaro la consistenza e la durata della continuità insediativa emersa attraverso lo studio dei materiali. Gli areali che definiscono le unità topografiche di riferimento delle evidenze archeologiche sono individuate da numeri romani. Le geometrie rispondono ai criteri di analisi ed identificazione espressi nel precedente paragrafo. Quindi si noterà ad esempio che alcune geometrie seguono i limiti di particelle colturali mentre altre rispecchiano elementi morfologici del terreno o altre forme ricon- ducibili a criteri diversi, quali ad esempio le fonti storiche. Nel caso in cui il rinvenimento archeologico sia un elemento isolato e non sia stato possibile individuare riferimenti topografici di alcun tipo si è disegnato l’areale costruendo un cerchio di raggio pari a 50 m intorno al singolo elemento. Le Carte del Rischio Archeologico invece rispondono a criteri di rappresentazione diversi ed esprimono un valore, ovvero il grado di intensità di rischio, che per semplificazione è suddiviso in due intervalli: il rischio medio espresso in giallo ed il rischio alto espresso in rosso. I limiti fra gli areali di rischio medio ed alto sono netti, nonostante talvolta sia difficile tracciare demarcazioni precise in contesti che variano il livello di rischio con molta gradualità. Solo in un caso è stata adottata la rappresentazione “a sfumo” che, senza soluzione di continuità, indica il passaggio da rischio alto a rischio medio. Talvolta la delimitazione del rischio è dettata da un unico criterio di definizione quale la morfologia, l’uso del suolo o il riferimento a fonti storiche. A titolo esemplificativo ricordiamo che l’acquisizione della viabilità storica all’interno del GIS ci ha permesso di utilizzarla come elemento topografico di appoggio per formulare ipotesi sui tracciati più antichi quando essi trovano confronto con altri dati acquisiti nel Sistema. In questo caso quindi gli areali di rischio sono stati definiti sull’andamento dei tracciati viari storici. Per la maggioranza dei contesti invece la definizione del grado del rischio è il frutto di una combinazione di criteri – ad esempio la giacitura primaria o secondaria dei manufatti archeologici e la loro consistenza, il rimando a fonti storiche, gli assetti geomorfologici, l’uso del suolo attuale ecc. –, il cui risultato va oltre la semplice sommatoria dei singoli fattori. In questi casi quindi, a livello topografico, le geometrie espresse in carta sono il risultato della fusione di più fattori, logici e spaziali, che non è più possibile scindere in base alle loro singole caratteristiche. Anche per questo motivo, dunque, la scelta di rappresentare il rischio secondo solo due intervalli di grandezza è dettata da una volontà di leggibilità e sintesi che ci auguriamo essere efficace. [G.P., P.M.] Bibliografia Bernardi M. 1992, Archeologia del paesaggio, IV Ciclo di lezioni sulla Ricerca applicata in Archeologia, Firenze. De Silva M., Pizziolo G. 2004, GIS analysis of historical cadastral maps as a contribution in landscape archaeology, in K.F. Ausserer, W. Börner, M. Goriany, L. Karlhuber-Vöckl (a cura di), Enter the past. The E-way into the Four Dimensions of Cultural Heritage, CAA 2003 Computer Applications and Quantitative Methods in Archaeology, Proceedings of the 31th Conference (Vienna 2003), BAR International Series 1227, Oxford, pp. 294-298. Lamberini D. 1987, Calenzano e la Val di Marina. Storia di un territorio fiorentino, I. La lettura del territorio; II. Documentazione e Atlante, Prato. Rombai L. 2002, Geografia storica dell’Italia. Ambienti, territori, paesaggi, Firenze. 23 Cartografia archeologica del comune di Calenzano rie è fondamentale, infatti, per il processo di ricomposizione che cerca di ricostruire il contesto di rinvenimento e la possibile estensione dell’areale di pertinenza di ogni evidenza archeologica. Ad un inquadramento del dato nel contesto storico fa seguito un’analisi della geomorfologia e micromorfologia che caratterizzano le aree in esame. Gli studi geomorfologici effettuati dal Comune di Calenzano sono stati inseriti nel GIS e hanno contribuito ad una visualizzazione tematica del territorio; sono stati inoltre acquisiti i dati resi disponibili dalla Regione Toscana, relativi alla Carta Geologica regionale (scala 1:10.000). Di particolare interesse è stata l’assunzione delle informazioni emerse dallo studio di Pasquino Pallecchi (si veda Pallecchi supra) che restituisce una preziosa interpretazione in chiave archeologica degli assetti geomorfologici del territorio in esame. Tutte queste informazioni sono state inserite nel GIS e hanno costituito importanti elementi di valutazione nella definizione degli areali. Nella prospettiva di ricostruire il contesto di rinvenimento ed i suoi eventuali processi di trasformazione è stato realizzato un Modello Digitale del Terreno partendo dalle informazioni altimetriche presenti nella Carta Tecnica Regionale. Per zone di particolare interesse o problematicità si sono sviluppati modelli digitali specifici individuando l’algoritmo di interpolazione più efficace per poter meglio analizzare la morfologia locale. Dal Modello Digitale del Terreno è stata estratta la carta delle pendenze. In taluni casi, per esplorare con maggior dettaglio eventuali micromorfologie presenti in superficie si sono scelte visualizzazioni con classi di pendenza rappresentate ad intervalli ad hoc, utili ad evidenziare le anomalie o le regolarità. Queste elaborazioni hanno permesso di valutare con maggior approfondimento l’esistenza di eventuali processi post-deposizionali o di disturbo legati alla identificazione o conservazione delle evidenze archeologiche. In sintesi l’approccio a scale e fonti integrate sviluppato all’interno del sistema GIS ha permesso di proporre la definizione di areali Il territorio di Calenzano nella Preistorica Introduzione La più antica frequentazione del territorio di Calenzano risale alla Preistoria. Con questo termine, come è noto, ci si riferisce ad un arco cronologico molto ampio, che include il Paleolitico, il Mesolitico, il Neolitico e le età dei Metalli, durante le quali inizia la cosiddetta Protostoria. Queste fasi sono indicativamente comprese, per l’Europa mediterranea, tra circa un milione e circa 3000 anni fa (dal Pleistocene inferiore all’Olocene avanzato). Figura 1. Il sito di Cantagrilli, sul crinale della calvana. Al centro, il dilavamento com l’area degli scavi. 24 La presenza dell’uomo nella zona di Calenzano fin da età così remote trova una prima giustificazione nelle stesse circostanze che favorirono le frequentazioni delle epoche successive: le risorse offerte dal territorio e la sua posizione di contatto sia in direzione Nord-Sud che tra Est ed Ovest. Il fatto che tuttora la piana di Firenze sia attraversata da grandi linee di collegamento in queste direzioni trova una base nella viabilità del mondo antico, che a sua volta ricalca e ottimizza una serie di percorsi noti fin dalla Preistoria. Il bacino di Firenze-Prato-Pistoia è costituito da un’ampia zona pianeggiante, chiusa a Nord-Ovest dai rilievi della Calvana e del Monte Morello e a Sud-Est da quelli del monte Albano e delle Cerbaie, ed è collegato dall’Arno agli altri bacini limitrofi: il Casentino, il Valdarno superiore, il Valdarno inferiore. Proprio l’Arno, oltre a costituire un’importante risorsa idrica, ha svolto, fin dal Paleolitico, assieme ai suoi affluenti e alle valli corrispondenti, la funzione di via di collegamento con le zone costiere a Ovest e con i percorsi verso il centro della penisola. Gli scambi e i contatti lungo queste traiettorie sono attestati a partire soprattutto dal Neolitico. La zona di Calenzano, in particolare, si trova al limite settentrionale del bacino di Firenze, all’ingresso delle valli che conducono al bacino del Mugello e quindi ai valichi transappenninici; per questo deve aver rappresentato l’accesso ad una delle vie di contatto più dirette tra le popolazioni preistoriche dell’Emilia e della Toscana. In effetti, entro gli attuali confini del territorio comunale è stata raccolta una quantità considerevole di reperti preistorici. Si tratta soprattutto di rinvenimenti di superficie, effettuati in diverse aree, ma sono stati individuati anche materiali e tracce di frequentazione nel corso di scavi archeologici. I reperti nel complesso ammontano ad alcune migliaia. Un’attestazione simile, senz’altro degna d’interesse, conferma ed arricchisce le conoscenze di una zona della Toscana, il bacino di Firenze, in cui le ricerche sono iniziate negli anni Settanta e sono tuttora in corso. In particolare, nel territorio di Sesto Fiorentino, nelle immediate vicinanze di Calenzano, sono stati effettuati numerosi scavi in estensione, dato che l’espansione Figura 2. Cantagrilli: sezione di scavo (campagna 2007). edilizia è sistematicamente accompagnata dalle indagini archeologiche (fig. 4); sul Monte Albano, e in questi ultimi anni anche sulla Calvana, sono stati condotti scavi stratigrafici. I ritrovamenti dimostrano che il bacino e i rilievi circostanti, così come gli altri bacini della regione (Mugello, Casentino, Valdarno superiore, Valdarno medio-inferiore), sono stati frequentati fin dal Paleolitico e che nel Neolitico, e ancor di più con le età dei Metalli, a partire dall’Eneolitico (ovvero da circa 3500 a.C.), questa frequentazione si intensificò e si fissò in abitati stabili. Gli insediamenti messi in luce nella piana di Sesto comprendono esempi di siti occupati per secoli, tra l’Eneolitico e la prima età del Bronzo (ad esempio, Volpaia, via Leopardi, Semitella), o nel corso dell’età del Bronzo (ad esempio, Lastruccia, Podere S. Antonio)1. Nel caso del territorio di Calenzano, almeno i reperti rinvenuti in strato sono in parte coe- vi a quelli degli abitati sestesi, dal Neolitico (Cantagrilli sulla Calvana) all’Eneolitico (riparo di Volmiano) al Bronzo finale-prima età del Ferro (Carraia), e quindi vanno considerati nella loro relazione con il territorio limitrofo, nel quadro delle evidenze già riscontrate nella piana. Inoltre, la grande quantità di ritrovamenti di superficie dimostra un popolamento relativamente intenso, anche se i manufatti al di fuori del loro originario contesto stratigrafico sono raramente attribuibili ad un preciso orizzonte cronologico e culturale. Per una visione d’insieme sulla Preistoria di Sesto Fiorentino, si veda, ad esempio, Martini, Poggesi, Sarti 1999. 1 Le risorse Oltre alla posizione del territorio calenzanese in una zona ben nota alle popolazioni preistoriche, un fattore che può avere incoraggiato la sua frequentazione è probabilmente 25 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Omar Filippi Sarti, Martini 1993. Merla, Bortolotti, Passerini 1967; Conedera, Ercoli 1973; Capecchi, Guazzoni, Pranzini 1975; Bartolini, Pranzini 1979. 4 Martini et alii 1996; Pallecchi, Sarti 2001. 5 Sarti 1985; Sarti et alii 1991; De Francesco et alii 2006. circostanti, contribuendo all’alimentazione, seppur in misura assai inferiore rispetto alle specie allevate. Dal territorio venivano inoltre raccolte diverse materie prime per le varie produzioni: riguardo alla ceramica, l’analisi degli impasti di Sesto ha permesso di constatare la presenza del diallagio, un minerale che garantiva ai recipienti una maggiore resistenza al fuoco, la cui provenienza va attribuita al monte Ferrato (Prato)4. Le rocce sfruttate per la realizzazione delle industrie litiche sono soprattutto di provenienza locale: a Calenzano, come in tutta la piana, il diaspro e la selce venivano reperiti sotto forma di ciottoli nei letti e sulle rive dei corsi d’acqua. Oltre a queste, però, sono rappresentate, anche nel caso delle industrie di Calenzano, rocce di provenienza non locale, anche lontana: l’ossidiana, ad esempio, di origine liparota o sarda5, è presente soprattutto nei contesti attribuibili al periodo compreso tra il Neolitico e la prima età del Rame. Un altro esempio di materiale alloctono utilizzato per la scheggiatura è la selce fine di provenienza adriatica6. Anche altre produzioni contavano sull’apporto di materiali alloctoni, comprese quelle di oggetti d’uso meno comune, come i vaghi di collana, che erano realizzati in steatite, una roccia assente nel territorio. Le modalità insediative Un altro aspetto della ricerca sulle comunità preistoriche e protostoriche che abitarono la zona di Firenze riguarda le modalità insediative, su cui è possibile ottenere dati esclusivamente quando si procede con metodi di scavo scientifici. Se nel Paleolitico e nel Mesolitico sono note soltanto tracce di occupazioni temporanee probabilmente da ricondurre a gruppi non grandi7, dal Neolitico in poi si attestano gli abitati in villaggi, inizialmente di Cipriani et alii 2001; Martini, Ghinassi, Moranduzzo 2006. Martini 1981; Martini 1984; Martini, Gheser 1985-1986; Martini 1989a; Martini 1989b; Martini 1991; Fenu 2005. 2 6 3 7 26 tipo stagionale, con occupazioni stabili, benché non molto prolungate. Ancora una volta, la fonte primaria di informazioni è costituita dagli scavi di Sesto. A Neto-via Verga si sono rinvenute le tracce (fori di palo e battuti di pietre e terreno) di piccole strutture abitative di forma ellissoidale8. Come è noto, già dal Neolitico esistono insediamenti con aree specializzate indirizzate a particolari attività. A Sesto questo caso sembra testimoniato nel sito di Mileto, dove si è individuata un’area adibita alla cottura della ceramica9. Ancora a Sesto, tra l’età del Rame avanzata e il Bronzo antico si istaura un sistema insediativo tipico, basato sull’adattamento di paleoalvei torrentizi (Querciola, Semitella, Lastruccia), mentre nel Bronzo medio le aree di abitazione tendono ad impiantarsi direttamente sul terreno (Petrosa, Val di Rose, Frilli C)10. Un esempio di abitato del Bronzo finale è quello di Cilea, in cui sono stati posti in luce i resti di una struttura in pietre e ciottoli, di probabile funzione delimitativa11. I ritrovamenti preistorici di Calenzano Modalità dei rinvenimenti I ritrovamenti avvenuti sul territorio del Comune di Calenzano si possono classificare secondo tre categorie: a) raccolte di superficie, condotte su aree di diversa estensione. I campi che hanno restituito il materiale più abbondante si trovano a Travalle, ai piedi della Calvana, e tra Scopino e Vigna Villa Gamba, nella zona sud-orientale del territorio. Si tratta di aree coltivate relativamente estese, entrambe in leggero pendio, su cui è stata raccolta una ragguardevole quantità di reperti: circa 4000 a Travalle e più di 1500 a Scopino. Altre aree sono quella che include Casa CafaggioloMartini, Poggesi, Sarti 1999; Fenu et alii 2003; Volante 2003. 9 Sarti et alii 1991. 10 M artini , S arti 1991; S arti , M artini 1993; M artini , Poggesi, Sarti 1999; Sarti, Martini 2001; Sarti, Martini 8 Fosso Garillino-Vigna Chiosina (più di 200 reperti) e quella di Villa Bartolini (circa 400 reperti); si aggiungono poi i luoghi che hanno restituito reperti sporadici (poche decine o poche unità): Colle Sopra, Colle Sotto-San Donato e Sommaia-Castello. Una raccolta di superficie è stata condotta anche nell’area del sito di Cantagrilli, prima che questo fosse interessato da scavi stratigrafici. Tutti i ritrovamenti di superficie si devono a cultori e appassionati locali, in primo luogo appartenenti al Gruppo Archeologico Fiorentino (GAF), ma anche al Gruppo Speleologico di Calenzano (GSC) e al Gruppo Archeologico l’Offerente di Prato (GAO); b) raccolte in terreni smossi per sbancamenti nel corso di opere edilizie: Carraia (alcune centinaia di reperti); via dei Tigli (reperti sporadici); Il Mulino (reperti sporadici); Settimello-via delle Cappelle e via Squilloni (reperti sporadici). Anche queste raccolte sono state effettuate da membri del GAF. La presenza di reperti all’interno di depositi sigillati può indicare che i lavori hanno intercettato probabilmente sedimenti con materiali in giacitura primaria, ossia orizzonti archeologici conservati in profondità; con ogni probabilità questo è il caso di Carraia (si veda infra); c) scavi archeologici stratigrafici: Cantagrilli (alcune centinaia di reperti); riparo di Volmiano (alcune centinaia di reperti); saggi stratigrafici nell’area della Perfetti Ricasoli (un centinaio di reperti); Chiesa di Settimello (reperti sporadici dal terreno rimaneggiato superficiale al di sopra del Ninfeo). Il materiale che proviene da scavi archeologici è stato recuperato dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana operando direttamente o affidando le ricerche in concessione alla Sezione di Preistoria del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti dell’Università di Siena, che ha collaborato con il Museo Fiorentino di Preistoria. Complessivamente, i ritrovamenti costitui2005. 11 Paterna, Poggiani Keller, Rossi 2001. 27 Cartografia archeologica del comune di Calenzano da identificare nell’aspetto geomorfologico vario, favorevole alla formazione di assetti floristici e faunistici differenti in un’area relativamente concentrata. Sono infatti compresenti ambienti di pianura, vallivi, collinari e di montagna, con un’altezza massima di circa 900 m: è un contesto che può aver favorito tanto il sostentamento dei gruppi di cacciatori e raccoglitori nomadi del Paleolitico, che potevano contare su un approvvigionamento vario e diversificato di specie animali e vegetali, quanto la presenza delle comunità seminomadi o sedentarie, dal Neolitico fino all’età del Bronzo e del Ferro, la cui economia di sussistenza si basava principalmente sull’allevamento e sull’agricoltura. In epoca olocenica l’area era infatti salubre e ricca di acqua2, quindi favorevole all’attività agricola e all’impianto di abitati stabili. Gli scavi archeologici di Sesto Fiorentino costituiscono la fonte principale per la conoscenza dell’ambiente e delle risorse della piana in epoca preistorica: i terreni indagati hanno restituito pollini antichi che confermano che il bacino di Firenze era interessato da laghi e corsi d’acqua; la flora prevalente comprendeva Querceto misto, Caprifogliacee, Ranuncolacee e Primulacee. In corrispondenza degli abitati preistorici, è stata rilevata la presenza di specie arbustive ed erbacee (Ericacee, Asteracee, Apiacee) che potrebbero indicare l’inizio di un’attività di disboscamento dovuta all’uomo3. In epoca olocenica, le comunità che abitavano la piana trovavano la principale strategia di sussistenza nell’allevamento. I resti faunistici recuperati (sempre a Sesto Fiorentino) comprendono bovini, ovini, caprini e suini, in percentuali che variano nel corso del tempo. Il ritrovamento di colini, fusaiole e pesi da telaio attesta il trattamento di prodotti come il latte, i formaggi e la lana. Inoltre, sono stati rinvenuti resti di fauna selvatica: il cervo, il capriolo, il cinghiale e la lepre venivano cacciati nella piana e nei rilievi scono un insieme abbondante e ben distribuito, con una maggiore concentrazione nella zona meridionale pianeggiante del territorio comunale, dove le arature moderne e gli sbancamenti per le opere edilizie hanno intaccato sedimenti che contenevano materiale archeologico. L’abbondanza dei reperti raccolti in siti come Travalle e Scopino può già essere sufficiente ad indicare una presenza umana ben radicata nel territorio in epoca preistorica, anche se nelle due aree di raccolta non è dato di riconoscere dei siti direttamente frequentati o abitati; il materiale raccolto in superficie potrebbe infatti aver raggiunto la giacitura di rinvenimento in seguito ad uno spostamento del terreno che lo conteneva per smottamento o rotolamento dalle vicine pendici dei rilievi circostanti. Come si dirà oltre, molti manufatti litici presentano spigoli relativamente freschi, che non farebbero pensare ad un trasporto particolarmente prolungato; d’altra parte i dati geo-morfologici attribuiscono ai sedimenti di vallata, sulla superficie dei quali sono stati prelevati i pezzi, una formazione piuttosto giovane, forse difficilmente ascrivibile alla Preistoria (si veda Pallecchi supra). Una più chiara comprensione delle condizioni di giacitura dei materiali può provenire soltanto da futuri interventi di scavo stratigrafico. Tipologia dei reperti e attribuzioni cronologiche e culturali I manufatti litici costituiscono la componente principale del complesso dei reperti preistorici del territorio di Calenzano. Si tratta di utensili di vario tipo e funzione, comprendenti schegge, ritoccate e non, nuclei per l’estrazione delle schegge, residui pertinenti all’attività di scheggiatura. In generale, si nota, in quasi tutti gli insiemi provenienti dalle diverse aree, una certa varietà di materie prime utilizzate: sono rappresentate la selce di diversi litotipi, il diaspro, la quarzite, l’ossidiana ed altre rocce, il cui approvvigionamento rimanda ad affioramenti noti del territorio (ad esempio, selce del Monte Morello, diaspro e quarzi- 28 te locali), ma anche ad origini alloctone, in alcuni casi anche molto lontane. Come si è già accennato, l’ossidiana è una roccia che nell’Europa mediterranea è presente esclusivamente su alcune isole (Pontine, Sardegna, Eolie, Pantelleria). Il suo rinvenimento in continente implica l’esistenza della navigazione e di un ampio sistema di circolazione e scambio, sia di materie prime che di prodotti finiti, che non si avviò prima del Neolitico. Si sono rinvenuti anche frammenti di recipienti in terracotta, ma, dato che la ceramica si conserva difficilmente in contesti di superficie (che costituiscono, si ricorda, il tipo di rinvenimento più frequente a Calenzano), essi sono assai più rari rispetto ai manufatti litici. I siti più ricchi di reperti fittili sono in effetti quelli portati alla luce attraverso scavi: è il caso del riparo di Volmiano, indagato dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, dei saggi compiuti dalla Società SACI per conto della stessa Soprintendenza nell’area della Perfetti Ricasoli e di Carraia, dove le evidenze archeologiche sono state intercettate da lavori di sbancamento ed erano sigillate dal terreno sovrastante. Per l’attribuzione cronologica e culturale delle varie industrie, il problema delle evidenze provenienti da indagini di superficie e di quelle prelevate durante gli sbancamenti è la mancanza del dato stratigrafico, che non permette di confermare con dati di supporto le attribuzioni condotte sulle qualità tecnologiche e tipologiche dei singoli reperti: queste attribuzioni dunque costituiscono la sola via interpretativa. Inoltre, non è possibile raggiungere la certezza riguardo all’omogeneità dei vari insiemi, che possono essere il risultato del mescolamento di materiali di diversa età, avvenuto in seguito all’erosione dei sedimenti d’origine e al trasporto da parte di agenti naturali. Riguardo a quest’ultimo problema, nel corso dell’analisi delle industrie litiche di superficie si è tenuto conto della presenza di differenti gradi di abrasione delle superfici e degli spigoli dei singoli pezzi, e si sono talora costituiti dei sottogruppi, che in più di un caso sono apparsi caratterizzati anche dal punto di vista tecno–tipometrico e tipologico, ad indicare che si tratterebbe effettivamente di industrie (almeno in parte) non omogenee, composte di elementi di diversa epoca (si veda infra). Pur rimanendo a un livello di analisi preliminare, in previsione di studi approfonditi sulle singole industrie litiche e fittili, si è tentato di attribuire alle varie fasi della Preistoria e della Protostoria gli insiemi di manufatti provenienti dai siti individuati fino a questo momento12. Per i gruppi quantitativamente più scarsi e costituiti da elementi non diagnostici, è possibile indicare soltanto un’attribuzione generica alla Preistoria o alla Protostoria. Malgrado queste difficoltà interpretative, si può affermare che in generale la maggior parte delle evidenze calenzanesi è da attribuire all’epoca olocenica, tra il Neolitico e l’età del Bronzo. Nel caso degli insiemi che comprendono materiali con differenti gradi di alterazione (spigoli più o meno abrasi e arrotondati, superfici fresche o patinate), la maggioranza dei pezzi più freschi sembra ascrivibile all’Olocene, mentre i rari elementi più frusti, a giudicare dai caratteri tecno-tipometrici e tipologici, potrebbero avere un’età più antica (perlopiù collocabile tra il Paleolitico inferiore e il Paleolitico medio). Il Paleolitico 12 Il deposito comunale di Settimello a Calenzano conserva la massima parte dei reperti di interesse preistorico del territorio; una quantità piccola ma significativa è esposta al pubblico nella mostra permanente dedicata all’archeologia del territorio che è allestita nelle sale del Castello di Calenzano. Altri piccoli lotti si trovano nelle sedi del GSC e del GAO. A Firenze, nei magazzini della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, sono custoditi i materiali degli scavi di Volmiano e quelli di Carraia. Tutto il materiale in giacenza presso le sedi dette è stato esaminato. Marco Giachetti del GAF ha messo a disposizione, oltre ai materiali, la documentazione collegata alle varie raccolte; ha inoltre acconsentito ad accompagnarci in ricognizione per posizionare con il GPS i siti di rinvenimento dei vari insiemi. I dati a favore di un popolamento del territorio di Calenzano nel Paleolitico risultano per il momento molto scarsi: i ritrovamenti sono limitati ad un esiguo campione di reperti di superficie, attribuibili solo in via ipotetica a questo ampio filone cronologico e culturale. È forse opportuno ricordare che, per l’Europa mediterranea, le datazioni convenzionali sono così fissate: il Paleolitico inferiore è compreso tra circa 1 milione e circa 120.000 anni fa; il Paleolitico medio tra circa 120.000 e circa 35.000 anni fa; il Paleolitico superiore tra circa 35.000 e circa 10.000 anni fa. L’ambiente, nel corso delle centinaia di migliaia di anni di svolgimento di queste antiche fasi, ha conosciuto grandi trasformazioni, a cominciare dai forti raffreddamenti delle fasi glaciali, che si alternarono ai periodi interglaciali, caldi e umidi. Durante questi eventi, le associazioni floristiche e faunistiche conobbero notevolissimi mutamenti, condizionando fortemente il sostentamento e i modi di vita dell’uomo. L’Acheuleano, il Clactoniano e il Tayaziano sono i tecno-complessi (o le culture) del Paleolitico inferiore, e sono paralleli alla diffusione in Europa dell’Homo heidelbergensis, una specie che abitò anche la nostra penisola, benché con minore densità rispetto alle 29 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Figura 3. Veduta dell’area di Travalle, Podere Chiudente. popolazioni umane delle fasi successive. Nel Paleolitico medio si impianta invece la cultura musteriana, che si diffonde in tutta l’Europa e nel Vicino Oriente, su un’area che corrisponde alla diffusione dell’Homo neanderthalensis. Le industrie musteriane presentano una maggiore variabilità spaziale e cronologica rispetto a quelle precedenti, ad indicare forse una maggiore versatilità tecnologica e comportamentale dei Neandertaliani rispetto alle precedenti popolazioni. Il Paleolitico superiore vede la diffusione nel nostro continente dell’Uomo anatomicamente moderno e l’affermazione di nuovi tecno-complessi litici, che si attestano nelle varie regioni e si sviluppano in ben distinte culture materiali, a partire da quella aurignaziana fino a quelle cronologicamente più avanzate del Gravettiano e dell’Epigravettiano. Quadro delle conoscenze nel bacino di Firenze e nei territori limitrofi Il più antico popolamento della porzione settentrionale della piana di Firenze è attualmente attestato a partire dal Mesolitico, sulla base dei materiali prelevati in strato nel sito di Olmicino, a Sesto Fiorentino13, mentre per il Paleolitico mancano testimonianze certe, anche se su scala territoriale più ampia la documentazione non è scarsa. Nel corso della lunga durata di questo stadio, infatti, l’uomo ha frequentato in diverse fasi i rilievi che delimitano la piana, sia a Nord che a Sud. Manufatti ascriMartini 1989a. Martini, Salvini 1985. 15 Martini 1984; Fenu 2005. vibili al Paleolitico inferiore sono stati rinvenuti presso Scandicci sul Monte Lepri14 e nella zona di Montelupo a Bricoli, Malmantile, Turbone, Poggio Carbone, Petrognano ed altri siti15. Si tratta di siti di superficie in cui si sono raccolti manufatti attribuibili alla fase inferiore del Paleolitico, comprendenti elementi come i bifacciali, strumenti caratteristici dell’Acheuleano. Al Paleolitico medio sono attribuite industrie di superficie raccolte in un’ampia zona circostante la piana: a Galceti (Prato) e a Poggio Piazza Calda (Scandicci), nei rilievi di Impruneta, delle Cerbaie e nei siti della zona di Montelupo: Poggio Pini, Villa Somelli, Scopeti ed altri16. Altre attestazioni sono state individuate nel Mugello a Galliano, Scarperia, sulle Apuane, nel Livornese e nel Senese. Benché si tratti quasi sempre di complessi non databili con precisione, è chiaramente osservabile una variabilità nella presenza o assenza di certi tipi di strumenti e anche nella presenza di differenti tecniche di scheggiatura, il cui significato parrebbe essere indicativo di dinamiche diacroniche, stando a quanto è noto dell’evoluzione del Musteriano in altre regioni (a partire dalla vicina Liguria). In Toscana i ritrovamenti del Paleolitico superiore indicano un popolamento diffuso e continuativo a partire dalla più antica fase, quella dell’Aurignaziano, che è in parte contemporanea a quella uluzziana (che viene considerata l’ultima produzione neandertaliana tra 35.000-30.000 anni fa circa). Nella zona di Firenze, un’industria uluzziana è stata indiviGambassini 1975; Martini 1979; Cuda, Sarti 1991; Martini 1984; Martini, Salvini 1985; Fenu 2000; Fenu 2005; Carta Archeologica 2011, pp. 168-169, PO21. 13 16 14 30 duata in superficie a San Leonardo (Empoli)17 e in altre località presso Montelupo18; all’Aurignaziano sono attribuiti i complessi provenienti dagli scavi di Turbone-Campino, sempre a Montelupo, e di alcuni siti di superficie nella stessa zona19; la successiva fase del Paleolitico superiore, cioè il Gravettiano, ha il suo sito più importante nel Mugello (Bilancino, datato a circa 24.000 anni fa)20; ad una fase più avanzata, cioè tra circa 20.000 e circa 10.000 anni fa, risalgono i siti epigravettiani di Poggio alla Malva e di Pianali sul Monte Albano21. Reperti dal territorio di Calenzano Il fatto che nel complesso rende problematica l’attribuzione al Paleolitico di una parte del materiale di Calenzano è essenzialmente l’assenza dei dati stratigrafici; le caratteristiche tecnologiche, tipologiche e tipometriche rilevate su alcuni manufatti raccolti in superficie sono infatti tipiche ma non esclusive del Paleolitico (a parte forse il solo caso – si veda infra – di un nucleo con un motivo inciso sul cortice). È importante tenere conto del fatto che non mancano esempi noti di industrie litiche oloceniche, databili tra il Neolitico e l’età del Bronzo, rinvenute in contesti anche prossimi al territorio di cui qui si parla (a cominciare da Sesto Fiorentino), che presentano strumenti standardizzati e diagnostici, tipicamente olocenici, accompagnati da un Substrato, anche abbondante, costituito da strumenti generici che non si allontanano dallo stile delle precedenti produzioni paleolitiche. Al Paleolitico inferiore o medio potrebbe risalire un totale di poche decine di manufatti litici che presentano, pur in grado variabile, uno stato fisico caratteristico: i margini sono smussati e arrotondati, con pseudoritocchi talora abbondanti e profondi, e le superfici appaiono lisciate e alterate da una patina opaca, più o meno spessa. Due piccoli gruppi di questi elementi provengono da Scopino e da Dani 1984. Martini 1984; Fenu 2005. 19 Ibidem. 20 Aranguren 1994; Aranguren, Revedin 2001. 21 M artini 1984; M artini 2001b; F enu 2005; Carta Archeologica 2011, pp. 501-502, CR35. 17 18 Travalle, poche unità da Villa Bartolini e da Colle Sotto-S. Donato. Nei primi tre casi, i pezzi erano mescolati, in giacitura secondaria, con altri sicuramente più recenti, attribuibili a fasi preistoriche oloceniche. Tutti questi esigui insiemi citati hanno caratteristiche tecno-tipologiche che potrebbero, dunque, richiamare il Paleolitico inferiore o medio e che si possono così sintetizzare: la materia prima è costituita da rocce locali (selce grigio-giallastra di qualità non ottima, diaspro e quarzite fine); i supporti sono schegge di sagoma irregolare e dimensioni medie e grandi; si osservano talloni faccettati e negativi dorsali centripeti o sub-paralleli, tecnologicamente coerenti con l’attestazione di alcuni nuclei a lavorazione centripeta; gli elementi ritoccati, benché rari, appartengono al Substrato (sensu Laplace 1964): Raschiatoi, Lame e Denticolati. Per quanto riguarda il Paleolitico superiore, diverse raccolte di superficie comprendono elementi che potrebbero darne testimonianza; tuttavia non si può né trovare sostegno in particolari differenze di stato fisico né basarsi su presenze di elementi diagnostici sicuramente distinguibili, a livello tecno-tipologico, dal complesso delle testimonianze di età olocenica, che, come verrà di seguito esposto, costituiscono di gran lunga la documentazione più importante per la Preistoria del territorio. Un oggetto interessante che probabilmente è in effetti da attribuire al Paleolitico superiore è una piccola porzione di nucleo in selce da Scopino, che reca, su un resto del cortice superficiale risparmiato dalla scheggiatura, un motivo grafico inciso: una “scaletta”, ossia una stretta banda tratteggiata (Scheda 85-1076). È questo un motivo che può richiamare esempi dell’arte mobiliare mediterranea del tardo Paleolitico superiore che in Italia sono attestati da Nord a Sud, sia sul versante orientale (Veneto, Abruzzo, Puglia) che su quello occidentale (Liguria, Lazio)22. 22 Riparo Tagliente: Guerreschi, Leonardi 1984; Barma Grande: Graziosi 1973; Grotta Polesini: Radmilli 1974; Grotta Maritza: Grifoni, Radmilli 1964; Grotta Paglicci: Palma di Cesnola 1993, p. 467; Grotta Romanelli: Acanfora 1967. 31 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Figura 4. Veduta della piana con Calenzano e Sesto Fiorentino. Nel Mesolitico (10.000-8000 anni fa circa) i gruppi umani tendono, anche grazie al miglioramento climatico che si avvia tra la fine del Pleistocene e l’inizio dell’Olocene, a popolare nuove zone e a sviluppare un maggior numero di attività di sussistenza. A questo orizzonte cronologico va attribuito il primo stanziamento umano indagato stratificamente nella piana fiorentina, quello già ricordato di Olmicino a Sesto Fiorentino. Nella piana, la presenza di specchi e corsi d’acqua offriva la possibilità di pescare a fianco di quella di cacciare. Anche nel Valdarno inferiore sono state rinvenute industrie mesolitiche, come a Sammartina (Fucecchio)23. Nel Valdarno superiore è stato pochi anni orsono oggetto di scavo il sito di facies sauveterriana di Levane-Bandella (Comune di TerranuovaBracciolini)24 ed è noto il sito castelnoviano di Fontanelle (Arezzo)25. I siti citati di Olmicino, Sammartina e Fontanelle sono tutti di pianura, ma anche in Toscana, come accade in molte altre regioni italiane ed europee, si assiste alla conquista degli ambienti lasciati liberi dai ghiacci alla fine dell’ultima glaciazione. È così che per la prima volta si hanno esempi di frequentazioni (essenzialmente bivacchi di cacciatori) a quote anche superiori ai mille metri, nell’Appennino tosco-emiliano, sui rilievi in provincia di Pistoia e di Arezzo, su quelli della Garfagnana (Isola Santa)26. Dal territorio di Calenzano non provengono manufatti ascrivibili sicuramente al Mesolitico, ma, come si dirà più in dettaglio oltre, il sito di Cantagrilli, localizzato a circa 800 m di altitudine sul crinale della Calvana, che è stato oggetto di scavo durante la redazione della Carta Archeologica, è per tipologia insediativa assimilabile ai siti d’altura mesolitici e ha restituito un’industria litica neolitica in cui è osservabile una forte permanenza di caratteristiche mesolitiche . La tendenza ad occupare sia le pianure che Martini 1989a. Magi et alii 2008. 25 Bachechi 1995-1996. i rilievi, sfruttando le diverse risorse di un ambiente ampliato e più differenziato rispetto a quello del Paleolitico, si afferma nel Mesolitico e si affianca poi, nel corso del Neolitico, ad una sempre maggiore capacità di contatto tra le diverse regioni. Il Neolitico I materiali rinvenuti sul territorio di Calenzano sono di più chiara attribuzione e di gran lunga più abbondanti solo a partire dalle fasi preistoriche appartenenti all’epoca olocenica, cioè dal Neolitico in poi. In queste fasi, in effetti, si assiste ad un’intensificazione della presenza umana anche nei territori circostanti. Come è ben noto, il Neolitico vede l’introduzione di nuove forme di sussistenza, essenzialmente basate sull’allevamento e l’agricoltura, che si instaurano grazie ad un tipo di vita sedentario che sostituisce quello nomade tipico dei cacciatori paleolitici. A livello di produzione materiale, una delle più importanti novità è l’introduzione della ceramica. Le prime fasi di formazione di questi grandi cambiamenti si sono svolte nel Vicino Oriente; in Europa il processo di neolitizzazione si afferma con datazioni differenti, tra circa il 6000 a.C. (coste e isole del Mediterraneo orientale) e circa il 3000 a.C. (Penisola Iberica, Inghilterra), a suggerire una diffusione da Est ad Ovest delle innovazioni ad esso collegate. I limiti cronologici del Neolitico italiano possono convenzionalmente essere fissati tra il 6100 e il 3500 a.C. circa, ricordando che, soprattutto per queste datazioni che indicano i limiti estremi, ci sono differenze notevoli tra le varie regioni: ad esempio, il Sud della penisola e le coste conoscono una neolitizzazione assai precoce rispetto al Nord e alle aree interne. Tozzi 1995; Tozzi, Zamagni 2000; Grifoni, Radi, Sarti 2001. 23 26 24 32 Il quadro regionale La Toscana neolitica è coinvolta, con la costa tirrenica e le isole, con il Nord e, in un momento più avanzato, anche con l’Adriatico, in una rete di rapporti di cui sono testimonianza sia la diffusione delle tecniche e dei tipi nella produzione dei manufatti (ceramica e litica) sia la stessa presenza di materie prime alloctone, assenti o sporadiche nel Paleolitico, come l’ossidiana (proveniente dalla Sardegna o dalle Eolie), la pietra verde alpina, le selci fini e compatte originarie dei monti Lessini e dell’area marchigiana. Nella valle dell’Arno le prime testimonianze neolitiche appartengono alla cultura “della ceramica a linee incise”27, mentre nella Toscana costiera e centro-meridionale si afferma la ceramica impressa28. Gli scavi archeologici di Sesto Fiorentino hanno interessato livelli di frequentazione risalenti a diverse fasi: le più antiche sono quelle di Mileto29, Podere della Gora 2 e di Spazzavento30; le datazioni sono comprese tra la fine del VI e l’inizio del V millennio a.C. in cronologia calibrata. La ceramica di questi siti dimostra l’esistenza di rapporti con l’Italia settentrionale, e in particolare con la cultura dei Vasi a Bocca Quadrata (VBQ), oltre che con quella della ceramica a linee incise. Si tratta di culture continentali di origine settentrionale ed orientale, che in Italia si attestano, all’inizio del Neolitico, nel Nord e in Emilia Romagna. La cultura VBQ in Toscana è diffusa: ritrovamenti sono stati effettuati sulla costa tirrenica (La Romita di Asciano, Massaciuccoli), nell’Aretino (La Consuma 1)31 e nel Senese (Chiarentana, Cava Barbieri)32. Benché nel Neolitico antico appaiano prevalenti in Toscana i contatti con il Settentrione, esistono dati che indicano l’esistenza di rapporti anche con le regioni meridionali: nei contesti VBQ sono stati rinvenuti frammenSi veda, ad esempio, Martini, Poggesi, Sarti 1999. Grifoni, Radi, Sarti 2001; Fugazzola Delpino, Pessina, Tinè 2004. 29 Sarti et alii 1991. 30 Sarti, Martini 1993; Sarti, Renna, Viti 2001. 31 Grifoni, Radi, Sarti 2001. ti di vasellame di impasto fine simile alla ceramica figulina. La presenza dell’ossidiana avvalora senz’altro l’ipotesi di contatti con il Sud. I più recenti insediamenti neolitici della piana sono quelli di Neto di Bolasse33 e di Netovia Verga34, siti del Neolitico recente e finale. Il materiale ceramico e litico, ben connotato, rispetta uno stile che è diffuso in Toscana e in Italia centrale, recentemente definito “toscoemiliano-romagnolo”35, che si mostra imparentato con lo Chasseano francese e con la facies Lagozza, con un contributo di sporadici elementi di origine adriatica (gruppi di Santa Maria in Selva e di Fossacesia)36 e settentrionali (Vasi a Bocca Quadrata). Reperti dal territorio di Calenzano Il sito attribuibile al Neolitico più importante del territorio è quello già citato di Cantagrilli sulla Calvana, uno dei pochissimi ad essere stato indagato scientificamente con un intervento di scavo mirato. Una serie non nutrita di frammenti fittili ed un’altra, più ricca, di manufatti litici, raccolte in superficie in diverse località, sono forse attribuibili al Neolitico, ma non in via esclusiva: i materiali di Travalle, Scopino e Cafaggiolo, che vengono descritti oltre, comprendono infatti elementi che potrebbero essere attribuiti al periodo in questione, ma anche al successivo Eneolitico. La ceramica è sicuramente il materiale più importante per le attribuzioni alle diverse facies neolitiche, ma a Calenzano è poco indicativa: i pezzi, provenendo perlopiù da campi arati, sono rari e in pessimo stato di conservazione. La ceramica è sfortunatamente non diagnostica e assai rara anche a Cantagrilli. Cantagrilli Sul crinale della Calvana è stato indagato un Calvi Rezia 1972; Calvi Rezia 1980; Calvi Rezia et alii 2007. Sarti 1985; Martini, Sarti 1991. Sarti, Volante 2001. 35 Ibidem; Sarti, Silvestrini, Volante 2005. 36 Pessina, Radi 2003; Manfredini, Sarti, Silvestrini 2005; Martini et alii 2005; Sarti, Silvestrini, Volante 2005. 27 32 28 33 34 33 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Il Mesolitico 37 38 Carta Archeologica 2011, pp. 256-258, PO60. Baglioni et alii c.s. 34 la cui posizione potrebbe suggerire collegamenti con le vie di comunicazione verso l’interno. Come si è già detto, nell’Alto Mugello, a Cialdino (Firenzuola) è stato individuato un sito attribuibile ad un momento molto iniziale del Neolitico, la cui industria litica, per ora oggetto di uno studio preliminare38 sembrerebbe comprendere elementi mesolitici e neolitici. Il ruolo dei siti d’altura interessa sia la sfera della sussistenza che quella degli scambi. Se i crinali erano ben noti, tanto più noto era il fondovalle, come percorso verso il valico appenninico. L’attribuzione di Cantagrilli ad un momento iniziale del Neolitico, e la sua posizione sul monte all’ingresso del percorso che dalla Val di Marina conduce al valico transappenninico, legano questo sito a quello di Cialdino nell’Alto Mugello39, zona anch’essa collocata lungo una delle vie più agevoli tra la Toscana e l’Emilia Romagna. Cialdino (Firenzuola) ha restituito un’industria litica associata a ceramica del primo Neolitico, in cui si conservano tipi e tecniche di derivazione mesolitica. L’Eneolitico e l’età del Bronzo La metallurgia è un’innovazione che, provenendo ancora una volta dall’Oriente, interessa gradualmente l’intera Europa e, affermandosi, provoca una serie di profondi cambiamenti nel rapporto tra le diverse comunità, tra queste e il territorio e all’interno di esse nel tessuto sociale. Il metallo è infatti da subito considerato un bene prezioso, per le sue caratteristiche, la sua rarità e per le difficoltà tecniche che la sua estrazione e lavorazione implicano, per le quali si rende necessaria la formazione di una categoria di artigiani competenti ed esperti, e quindi una precisa divisione degli incarichi. I territori in cui sono presenti le cave vengono controllati; le attività di scambio conoscono un incremento importante. Sulla base dei diversi metalli impiegati nel 39 Ibidem. corso del tempo, si distinguono tre fasi principali, molto diverse tra loro: l’età del Rame o Eneolitico, l’età del Bronzo e l’età del Ferro. In Italia l’Eneolitico inizia nella seconda metà del IV millennio ed occupa praticamente l’intero III millennio a.C. Il rame è utilizzato soprattutto come bene di scambio e serve alla fabbricazione di oggetti di prestigio: gli utensili, le armi e gli oggetti d’uso continuano ad essere realizzati in pietra e in altri materiali. La tecnica di lavorazione del metallo inizia in un primo momento con la martellatura a freddo, e solo in un secondo tempo si introduce la fusione. A livello regionale, esiste una notevole diversità di culture, che si riscontra sia nelle produzioni, in particolare nella ceramica, che nelle modalità insediative e funerarie. Intorno alla fine del III millennio, invece, si assiste alla diffusione in gran parte della penisola (Centro-Nord e isole) della Cultura del vaso campaniforme, che interessa anche una vasta porzione del continente europeo (dalle regioni atlantiche alla Polonia e all’Ungheria), e che è caratterizzata da ben riconoscibili manufatti ed usi simbolici, pur adattandosi di volta in volta ai substrati locali ed integrandoli. L’età del Bronzo si fa convenzionalmente iniziare (sempre in Italia) tra la fine del III e l’inizio del II millennio, con datazioni diverse a seconda delle varie regioni. Questo stadio è caratterizzato dalla lavorazione del bronzo, la lega di rame e stagno, molto più resistente ed efficace del rame puro. Le suddivisioni sociali si fanno sempre più marcate: il bronzo è oggetto di commercio e di tesaurizzazione, e da bene di prestigio assume un vero significato di potere economico sia a livello individuale che di comunità. L’allevamento e l’agricoltura sono ancora i mezzi principali di sussistenza; l’invenzione dell’aratro, risalente all’Eneolitico, si afferma e si diffonde. Riguardo al rito funerario, viene introdotta la pratica dell’incinerazione. Anche l’età del Bronzo è caratterizzata da una grande varietà di aspetti culturali, sia in senso cronologico che geografico. Al suo interno si distinguo- La Toscana è ricca di documentazione sia per l’età del Rame che per l’età del Bronzo su buona parte del suo territorio, e l’area fiorentina rappresenta la fonte più cospicua di dati, visto che fu occupata con continuità durante queste fasi e che è oggetto di ricerca praticamente ininterrotta da ormai tre decenni. L’Eneolitico è un periodo ben documentato nella piana di Sesto, tanto che è lecito ipotizzare che essa conobbe un certo incremento demografico in questa fase40. L’introduzione della metallurgia vi è già attestata piuttosto presto, cioè durante la prima metà del IV millennio: a Neto-via Verga, nell’orizzonte 5, datato al 3708-3486 a.C. (datazione calibrata), sono stati rinvenuti crogioli per la fusione e una lesina in rame. Anche da Podere Pietrino, in provincia di Prato, sono noti esemplari di crogiolo41. Durante la prima età del Rame, sia la ceramica che la litica conservano molti aspetti ancora neolitici, ma nella ceramica si affermano anche usi decorativi nuovi: le pareti vascolari sono trattate a crudo con apporti di argilla a squame e a scaglie o rigate con la spazzolatura. Vengono applicati cordoni ed elementi come bugnette coniche o a linguetta; gli orli e i cordoni possono essere interessati da impressioni, realizzate con bacchette di legno, con unghiate o con pigiature digitali. Molti di questi aspetti innovativi, che avranno una lunga attestazione anche nel corso dell’età del Bronzo, sembrano indicare che, rispetto al precedente periodo Neolitico, i contatti privilegiati della regione si siano spostati dall’Italia centro-settentrionale in favore dell’Emilia, del versante adriatico e del Meridione. Sarti 1998; Sarti, Martini 2000a. Volante 2003; Martini, Poggesi, Sarti 1999; Giachi, Pallecchi, Sarti 2001; Carta Archeologica 2011, pp. 293297, PO73 ed inoltre pp. 298-299. 40 41 no convenzionalmente queste fasi, delle quali si indicano di seguito le datazioni (calibrate) riguardanti l’Italia centrale. Bronzo antico: 2300-1700 a.C.; Bronzo medio: 17001350 a.C.; Bronzo recente: 1350-1200 a.C.; Bronzo finale 1200-1020 a.C. Il quadro regionale 35 Cartografia archeologica del comune di Calenzano orizzonte archeologico ricco di manufatti litici attribuibile ad un momento iniziale del Neolitico (figg. 1-2)37. Il sito (Scheda 7) si trova ai limiti del territorio comunale, tra il Poggio Cocolla e il Monte Cantagrilli, ad una quota di circa 770 m slm. Il luogo si contraddistingue per la presenza di una dolina poco depressa, originatasi per un episodico sprofondamento dei depositi dovuto al carsismo locale, e riempita in antico dalla sedimentazione di limi ed argille. In epoca moderna, un dilavamento profondo tra uno e due metri ha aperto un varco in tale sedimentazione, permettendo una prima raccolta di materiale dalle sezioni e dal fondo del dilavamento, che fu eseguita e segnalata dal GAO, e l’individuazione di una sequenza stratigrafica che è stata oggetto di diversi sondaggi archeologici. Le indagini sono state affidate in concessione dalla SBAT alla Sezione di Preistoria del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti dell’Università di Siena, in collaborazione con il Museo Fiorentino di Preistoria. Finora sono state condotte due campagne (nelle estati del 2007 e del 2008). Lo scavo ha attraversato quattro livelli con materiale litico e fittile, piccoli frammenti di ossa bruciate e piccoli frustoli di carbone. Tra i manufatti recuperati, la litica è abbondante e per stato fisico molto fresca; la ceramica, come si è già ricordato, è rara, molto mal conservata e perlopiù costituita da frammenti molto ridotti. L’industria litica comprende nuclei a lamelle (1146, 1147, 1148), lame e lamelle ritoccate e non, e strumenti geometrici, tra cui trapezi (1145) e triangoli (1156); la materia prima è costituita da selci di diverso tipo e colore, e da più raro diaspro. La presenza di elementi di tradizione mesolitica sembra interpretabile come una persistenza che, assieme ad altri elementi e al ritrovamento di pur rara ceramica, potrebbe far attribuire il materiale, in via provvisoria e suscettibile di approfondimenti, ad una fase iniziale del Neolitico. È difficile per il momento identificare con precisione la funzione del sito; sembrerebbe trattarsi di un’occupazione di piccola entità, litica campaniforme a Sesto è scarsamente laminare e comprende foliati, segmenti di cerchio, punte a dorso bilaterale; le industrie più simili sono quelle del Nord Italia e del Sud della Francia53. La conservazione nella cultura del Bronzo antico iniziale di usi produttivi e insediativi precedenti (Epicampaniforme) è una tendenza che presto si affievolisce: nella ceramica aumentano le decorazioni plastiche e compaiono forme che saranno caratteristiche del Bronzo medio. Da questo momento, collegamenti con le zone transappenniniche sono ipotizzabili dietro ai primi esempi di solcature sulle pareti dei recipienti, un uso anch’esso più tipico del Bronzo medio; inoltre sono ben attestate le scodelle con orlo a tesa e le anse a gomito, elementi diffusi in Italia centrale e settentrionale. Con il tempo, entrando nel Bronzo medio, il rapporto con il Nord sembra intensificarsi, ma non tanto da escludere collegamenti anche verso il Senese e verso il Sud54. Nella litica si assiste, rispetto all’Eneolitico, alla graduale rarefazione dei foliati e delle cuspidi e alla scomparsa dei geometrici. Nel corso dell’età del Bronzo i siti della piana appaiono più grandi e stabili: aumentano i casi di siti pluristratificati, occupati con continuità anche per più secoli. Inoltre, nel Bronzo medio, intorno alla metà del II millennio, accanto ai siti di pianura si diffondono anche gli insediamenti collinari, assenti nell’Eneolitico e nel Bronzo antico. Esempi di insediamenti nella piana sono Petrosa55; Termine Est 256; Frilli C57; Dogaia58. Sui rilievi sono stati individuati invece i siti di Filettole59, Cava Rossa di Figline60, Stabbia61 e Caprona62. La comparsa degli insediamen- Brilli, Fenu, Leonini 2005. 43 Leonini 2005; Balducci, Leonini 2005. 44 Calattini 1990; Perazzi 1993; Sarti 1999. 45 Sarti 1995-1996; Cresci, Zannoni 2001. 46 Martini, Poggesi, Sarti 1999; Sarti, Martini 2000a. 47 Leonini, Sarti 2008. 48 Sarti 1997. 49 Sarti 1995-1996; Sarti, Leonini 2000; Sarti, Martini 2000b 50 Sarti et alii 1987-1988. 51 Sarti 1995-1996; Sarti 1997a; Sarti 1997b; Leonini 2004. 52 Sarti 1995-1996; Sarti, Martini 2000a; Sarti, Martini 2000b. Sarti, Martini 2000b; Martini 2001a. 54 Grifoni Cremonesi 1968; Bermond Montanari et alii 1996; Cuda, Sarti 1996; Sarti, Martini 2000a. 55 Sarti 1994. 56 Sarti, Martini 2000b. 57 Sarti et alii 2001. 58 Sarti, Martini 1993. 59 Sarti, Guidi 1999; Carta Archeologica 2011, pp.288-290, PO70 (Roberta Guidi). 60 Sarti, Martini 1993; Carta Archeologica 2011, p.145, PO11 (Roberta Guidi). 61 Dani 1966. 62 Manfredini, Panicucci 1982. 42 36 53 ti sui rilievi indica forse esigenze difensive, che compaiono tendenzialmente nel Bronzo medio anche in altre regioni, ma non è da escludere che costituiscano una scelta conseguente ad un momento di impaludamento della piana. L’uso insediativo dei paleolavei scompare; si tende a realizzare singole capanne in leggeri avvallamenti, a volte sommariamente pavimentate. La ceramica suggerisce collegamenti con l’Italia centrale, e in particolare con la facies di Grotta Nuova (sensu lato): si osservano tazze e scodelle troncoconiche, forme carenate, anse a rocchetto, prese a linguetta forate, cordoni applicati. Al perdurare della tradizione locale più antica sono invece da attribuire le decorazioni a punzonature, a tacche, ad unghia, e quelle incise e a solcature, già presenti nel Bronzo antico. Le fasi più avanzate dell’età del Bronzo (Bronzo recente e finale) hanno restituito tracce meno abbondanti nella piana rispetto a quelle precedenti, ad indicare forse un periodo di spopolamento. Per quanto riguarda l’età del Bronzo finale, un sito sestese importante è quello di Cilea63. In Val di Pesa si trova invece l’abitato su collina di Bibbiani, presso Limite64. La produzione ceramica suggerisce che anche nel Bronzo finale la regione appare connessa con l’ambiente culturale dell’Italia centrale, in particolare con il “gruppo Cetona-Chiusi”, in cui tra l’altro si constatano influssi da parte dell’ambito terramaricolo che devono essere stati possibili proprio grazie al collegamento offerto dai siti della provincia di Firenze65. Anche a Calenzano, l’età dei Metalli pare essere rappresentata in modo più abbondante nelle sue fasi più antiche: anche se le attribuzioni non sono precise, sia per la litica che per la ceramica gli elementi più diagnostici sembrano rimandare ad orizzonti cronologici e culturali compresi tra l’Eneolitico e l’età del Bronzo antico. Ceramica eneolitica è stata rinvenuta nel riparo di Volmiano66; uno dei saggi dell’area della Perfetti Ricasoli ha restituito litica e ceramica probabilmente anch’esse eneolitiche; da Scopino provengono alcuni utensili microlitici tecnicamente indicati con il termine “semilune” o con la già citata definizione di “segmenti di cerchio”. Questi strumenti, pur trovando riscontro in diversi contesti culturali preistorici, conoscono un certo sviluppo nell’Eneolitico, e in particolare nel Campaniforme, di cui a Sesto Fiorentino, come si è detto, sono ben documentate le fasi avanzata e terminale, collocabili tra la fine dell’età del Rame e l’inizio di quella del Bronzo. Nel corso dell’intera età del Bronzo, è probabile che il territorio di Calenzano sia stato frequentato in maniera continuata, come nel caso di Sesto, ma è difficile trovare conferme nel dato archeologico attualmente disponibile, perché non si individuano elementi abbastanza connotati da costituire un valido riferimento in tal senso. La litica dal Bronzo medio in poi è in genere povera di tipi standardizzati e la ceramica, come si è già detto, è poco rappresentata a Calenzano. Il sito che ha restituito i materiali diagnostici più recenti nel quadro della Preistoria, o meglio della Protostoria territoriale, è Carraia, dove sono stati raccolti, nel terreno smosso e nelle sezioni di uno sbancamento, diversi frammenti di recipienti con decorazioni impresse e una fibula in bronzo attribuibili al Villanoviano, cultura che si sviluppa in Etruria nella prima età del Ferro, tra il X 63 Sarti, Martini 1993; Paterna, Poggiani Keller, Rossi 2001. 64 Balducci, Fenu 2005. 65 Zanini 1997; Bermond Montanari 2001; Bietti Sestieri et alii 2001; Peroni 2001. 66 Ceccanti 1980. Reperti da Calenzano 37 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Oltre ai siti sestesi, sono noti nel Valdarno medio-inferiore l’abitato dell’Ambrogiana a Montelupo42 e la tomba a fossa di S. Quirico a Montespertoli43, oltre ad altre attestazioni in Val d’Elsa (Le Lellere, Podere Cucule)44 e nel Chianti (Poggio la Croce a Radda in Chianti)45. Per quanto riguarda la fase terminale dell’Eneolitico, è ancora la zona di Sesto Fiorentino a fornire le più ricche informazioni sulla cultura del vaso campaniforme46, e su i suoi rapporti con i substrati locali47. I siti campaniformi sestesi noti ad oggi ammontano a circa quindici (la maggiore concentrazione in Italia) e si datano tra la metà e la fine del III millennio; si tratta perlopiù di abitati o di singole capanne. I villaggi più estesi risultano quelli di Querciola48, Semitella, Lastruccia49. A via Bruschi è invece stato individuato un tumulo, che ci informa sugli aspetti del rito50. Con il Campaniforme, la piana prende parte ad un fenomeno culturale internazionale, che, come è noto, interessa una vasta parte dell’Europa, e che, pur permettendo la conservazione di aspetti originali connotati regionalmente51, costituisce un’importante cesura sotto molti aspetti: si instaurano una nuova economia, nuove modalità insediative, nuove produzioni e trasformazioni nel rito funerario. Al cosiddetto “stile internazionale” appartengono le più antiche attestazioni sestesi di ceramica campaniforme, mentre, alla fine del III millennio, la produzione fittile si evolve in una regionalizzazione che nel Bronzo antico si stabilizza in un fenomeno terminale molto standardizzato (Epicampaniforme)52. La Il riparo di Volmiano Il riparo di Volmiano (Scheda 16), a 350 m slm, è stato indagato alcuni decenni orsono da parte della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, che vi ha realizzato alcuni saggi68. Il materiale recuperato comprende ceramica e litica, proveniente da due livelli principali. Nel livello superiore sono stati recuperati frammenti fittili attribuibili all’Eneolitico, con decorazioni plastiche, bugnette, cuppelle e spazzolature (ad esempio, (1179, 1180); nel livello inferiore, distinto in due sotto-livelli, sono stati individuati elementi forse riferibili al Neolitico. Travalle Passando ai reperti di superficie, ad un orizzonte compreso tra il Neolitico e l’Eneolitico sembrano rimandare, almeno per alcune caratteristiche tipologiche, le componenti principali delle industrie litiche di Travalle, Scopino e Casa Cafaggiolo. L’area di Travalle è costituita da una piana, attualmente coltivata, in leggera pendenza, ai piedi dei monti della Calvana. Si tratta dell’area più ricca di ritrovamenti preistorici del territorio comunale; le raccolte sono state effettuate a partire dagli anni Settanta, dal GAF. I manufatti sono in grandissima parte litici; molto più esigua è la componente ceramica. In quest’ultima categoria, l’unico elemento indicativo è un’ansa a rocchetto69, che per tipologia pare assimilabile a quelle del Neolitico finale e che in un primo momento è stata per questo ritenuta avvicinabile alla cosiddetta cultura di Diana, anche se ormai molti dati sembrano indicare che in Italia centrale si è impiegato il tipo di ansa a rocchetto, su tazze e scodelle aperte, in una fase, precedente a quella di Diana, collocabile intorno alla metà del V millennio. Gli altri frammenti fittili rinvenuti, generici, sono pareti e qualche orlo di tipo non diagnostico; molti di questi sono stati considerati risalenti al periodo preistorico o protostorico sulla sola base della qualità dell’impasto e delle superfici, anche se in alcuni casi con qualche dubbio, visto che sul sito sono documentate anche frequentazioni successive. La litica comprende circa quattromila pezzi in totale, di cui più di due terzi provengono dall’area di Podere Chiudente (fig. 3). Lo stato fisico dei pezzi è relativamente fresco e quasi del tutto omogeneo, se si eccettuano pochissimi elementi a spigoli abrasi (di cui si è già detto). La materia prima è costituita soprattutto da diaspro e selce, locale e non, seguita da calcare siliceo, quarzite, quarzo e ossidiana. Da un punto di vista tipologico e tecnologico, si individuano sicuri elementi che indicano una cronologia olocenica: prima di tutto la presenza di ossidana, in schegge e in lamelle di piccolo formato, ritoccate e non (39 – 1038, 1042, 1043, 1046), e quella delle punte di freccia, in selce e diaspro; sono poi riscontrabili, sempre a favore di un’attribuzione olocenica, elementi quali la presenza di non pochi nuclei a lamelle, molto sfruttati (ad esempio, 39 – 1023, 1135), e di strumenti microlitici, a ritocco semplice ed erto. Tra gli strumenti a ritocco semplice si nota la presenza di grattatoi corti microlitici, anche di forma circolare e sub-circolare (Scheda Calenzano 39 – 1137); tra quelli a ritocco erto si segnalano un trapezio (Scheda 39 – 1131), troncature (Scheda 37 – 1008; Scheda 39 – 1042) e lamelle a dorso, realizzate soprattutto su supporti di dimensioni piccole e molto piccole. Gli strumenti a ritocco piatto sono meno frequenti e sono rappresentati da punte peduncolate (punte di freccia) e da alcuni raschiatoi foliati. Le punte di freccia sono realizzate in modo ora più ora meno accurato e hanno sagome abbastanza diversificate, con elementi più allungati (mai molto slanciati) o più tozzi, e spessori variabili, dai pezzi massicci a quelli più piatti. Nel complesso, gli elementi ritoccati possono suggerire, in via provvisoria, una collocazione dell’industria tra il Neolitico finale e l’Eneolitico: le lamelle ritoccate sono ben rappresentate nel Neolitico locale, ad esempio a NetoBolasse70; sia i grattatoi corti che il trapezio e i foliati possono trovare un confronto con alcune industrie sestesi dell’Eneolitico, come quella di Querciola71 (si veda anche infra, a proposito di Scopino). Ad un ambito eneolitico potrebbe anche rimandare un manufatto in pietra levigata, frammentario (Scheda 37 – 1006), probabilmente pertinente ad un’asciamartello72. Si osserva inoltre la presenza di alcuni manufatti sbozzati, piccoli nuclei e schegge con ampi distacchi scagliati e piatti, che tendono ad appiattire il supporto, apparentemente abbandonati in corso di lavorazione, talvolta forse per rottura incidentale. Questi pezzi paiono attribuibili (seppure con riserve, dato che occorrerebbe uno studio approfondito) alla catena operativa che porta alla realizzazione delle punte di freccia foliate. Il dato indicherebbe una lavorazione in loco della materia prima, che pare confermata d’altronde dalla frequenza dei nuclei, a lamelle e d’altro tipo. Questo tipo di ritrovamenti, insieme al fatto che l’industria, come si è detto, è quantitativamente molto ricca, permette di ipotizzare che l’occupazione della zona (o delle sue immediate vicinanze) non sia stata occasionale e sporadica, ma che abbia avuto una certa stabilità e durata, forse anche assumendo i connotati di un vero e proprio abitato. In questo caso, questi materiali, anche se in giacitura secondaria, potrebbero essere la traccia di un insediamento assimilabile a quelli rinvenuti nel limitrofo territorio di Sesto (si veda infra). Va ricordato il fatto che i pochi elementi a stato fisico non fresco, che come si è detto mostrano una certa caratterizzazione (e possono forse rimandare al Paleolitico, si veda infra), potrebbero essere alloctoni ed essersi mescolati agli altri dopo aver subito uno spostamento da una o più zone del versante Martini, Sarti 1991. Sarti 1997a; Sarti, Martini 2000b. 72 Cocchi Genick, Grifoni Cremonesi 1989. 70 67 de Marinis, Salvini 68 Ceccanti 1980. 1999a; pp. 75-78. 38 69 Martini, Sarti 1991; Sarti, Martini 1993, pp. 30-31. 71 che sovrasta l’area pianeggiante di Travalle; anche i pezzi più freschi devono aver subito uno spostamento, ma probabilmente in modo meno intenso e per un periodo meno prolungato. Scopino A Scopino-Vigna Villa Gamba (Scheda 85) sono stati raccolti dal GAF, in un’ampia area leggermente degradante, coltivata a vigneti, più di 1600 manufatti litici, comprendenti nuclei, schegge non ritoccate e strumenti, oltre ad una sessantina di frammenti fittili di impasto grossolano. La raccolta, una delle più ricche del territorio, è numericamente inferiore solo a quella di Travalle73. Nel complesso, la maggior parte dei manufatti litici presenta spigoli abbastanza freschi; spesso si nota una leggera patina lucida. La materia prima più utilizzata è la selce, rappresentata da diversi litotipi; seguono il diaspro, una quarzite fine di colore scuro, e infine, più rara, l’ossidiana. Tra i nuclei si osservano elementi per la produzione di lamelle di piccole e medie dimensioni, generalmente a un solo piano di percussione, a lavorazione accurata, spesso molto sfruttati (ad esempio, 1087, 1088, 1115). Tra i supporti scheggiati prevalgono le schegge di piccole dimensioni; si nota la presenza di elementi allungati (lame, lamelle e microlamelle), molto spesso in condizioni frammentarie, che perlopiù non sembrano essere ritoccati (ad esempio, 1077, 1085). Gli elementi ritoccati sono in gran parte di tipometria medio-piccola; si notano grattatoi (1092, 1081), strumenti a ritocco erto, come troncature (1078), lamelle a dorso (1118, 1086) e a dorso e troncatura (1117); Geometrici, tra cui due trapezi (ad esempio, 1051) e due segmenti di cerchio o semilune (ad esempio, 1116); sono presenti anche i pezzi foliati e, in particolare, alcune punte foliate peduncolate (punte di freccia), che mostrano sagome sia slanciate (1079, 1119) che corte e larghe (1120) e sezioni piatte o massicce. I tipi attri- La raccolta è stata condotta su due zone principali adiacenti, a cui corrispondono le sigle SC e SE II, con cui è stato marcato il materiale. Il lotto più abbondante è siglato SE II. 73 39 Cartografia archeologica del comune di Calenzano e l’VIII secolo a.C. Anche questa evidenza non è isolata all’interno della regione: a Sesto Fiorentino sono state individuate tombe “a pozzetto” nei siti di Val di Rose e Madonna del Piano67. Martini, Di Lernia 1989; Martini 2001a. Neto-via Verga, orizzonte 7: Sarti 1985; Sarti 1997b; Sarti, Volante 2001. 76 Si veda, ad esempio, il sito sestese di via Leopardi, orizzonte inferiore: Sarti, Arrighi 2001. 77 Il gruppo più consistente di reperti, cioè circa 200 (cera74 75 40 traddice l’ipotesi di un inquadramento del sito in epoca neo-eneolitica; la scodella composta, pur non appartenendo ad un tipo molto standardizzato e cronologicamente ben delimitabile, trova confronti nel Neolitico finale di Sesto75 e nell’Eneolitico dell’Italia centrale; le forme basse composte, quali le tazze e le scodelle carenate, sono infatti caratteristiche della tradizione neolitica ChasseyLagozza, diffusa in Francia meridionale e in Liguria, il cui influsso perdura nell’area peninsulare centro-settentrionale anche nella successiva età del Rame. Anche il cordone a impressioni sottili e la parete decorata con le impressioni ad unghia possono essere di ambito eneolitico76. Casa Cafaggiolo In tre aree adiacenti, indicate con le denominazioni di riferimento Casa Cafaggiolo (Scheda 69), Fosso Garillino (Scheda 68) e Vigna Chiosina (Scheda 72), il GAF ha raccolto, in campi coltivati, una serie di materiali litici e fittili attribuibili ad epoca preistorica77. Nel loro complesso, questi nuclei di materiale, oltre a provenire dalla stessa area, sembrano, in via generale, omogenei dal punto di vista tecno-tipologico; essi vengono quindi trattati insieme. La litica comprende nuclei, schegge e lame, in selce di diverse qualità, diaspro e altre materie prime. Tra i nuclei si notano diversi elementi per l’estrazione di piccole schegge e lamelle (Scheda 69 – 1108). La pezzatura dei supporti scheggiati è tendenzialmente mediopiccola. I ritoccati, presenti in poche decine, comprendono rari Grattatoi, lunghi (Scheda 69 – 1105) e corti, questi anche molto piccoli (Scheda 69 – 1140), pochi Foliati, tra cui punte di freccia (Scheda 69 – 1110; Scheda 72 – 1182), alcuni strumenti a ritocco erto, tra cui una semiluna, anche se piuttosto “rozza” (Scheda 69 – 1104). Ben rappresentato è il Substrato, con Raschiatoi e Denticolati, mica e litica), proviene da Casa Cafaggiolo (sigle CCFSE, CCFSE II e CCF); gli altri insiemi invece sono costituiti da poche decine di pezzi (sigle CA, CF II, VICH). Al materiale di Vigna Chiosina affianchiamo qui anche i pochi pezzi siglati VIOR, raccolti nelle immediate vicinanze. di dimensioni più grandi rispetto alla media dell’industria. L’insieme litico è sicuramente di epoca olocenica, ma è difficile tentare un’attribuzione più precisa; si ricorda la presenza delle semilune, considerata indicativa di un periodo compreso tra il Neolitico avanzato e l’età del Rame; anche altri elementi, come la presenza del tipo di grattatoio corto di piccole dimensioni, non contrasterebbero con questa ipotesi. La ceramica proveniente dai tre siti non raggiunge il centinaio di pezzi ed è quasi esclusivamente costituita da frammenti di pareti di forme non determinabili. Due soli sono gli elementi da notare: un frammento di orlo diritto con impressioni digitali subito al di sotto del bordo (Scheda 72 – 1100), e un frammento di parete carenata spessa (Scheda 69 – 1109). Entrambi gli elementi possono contribuire all’ipotesi di una collocazione dell’insieme nell’Eneolitico. Un momento più avanzato del popolamento olocenico della piana di Calenzano sembra testimoniato dai materiali rinvenuti durante il sondaggio dell’area della Perfetti Ricasoli e in superficie a Villa Bartolini. Perfetti Ricasoli Nell’area interessata dai lavori pertinenti alla Perfetti Ricasoli (Scheda 80), la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana ha condotto un’indagine archeologica tramite sondaggi. In uno di questi, il Saggio 5, è stato raccolto materiale di età preistorica, consistente in una ventina di manufatti litici, circa 200 frammenti di ceramica e una trentina di reperti faunistici. La litica è quasi esclusivamente costituita da schegge non ritoccate di aspetto generico; i rari ritoccati sono anch’essi perlopiù poco indicativi, ma va sottolineata la presenza di una semiluna frammentaria (1053). La ceramica, benché relativamente abbondante, è quasi tutta non diagnostica, dato che prevalgono i frammenti – e in gran parte piccoli – di pareti. Degni di rilievo appaio- 78 Sarti, Carlini, Martini 2000. no tuttavia due frammenti con decorazioni impresse: una parete che conserva un’impressione ad unghia (1062) e un orlo con una serie di piccole impressioni disposte in due file parallele, che corrono immediatamente al di sotto di esso (1039). Si notano anche due frammenti con cordoni digitati, su uno dei quali si conserva l’attacco di un’ansa o di una presa (1010). Su un altro frammento si può osservare una bugnetta conica poco rilevata (1035). Il materiale, troppo esiguo per prestarsi a considerazioni di carattere storico, può soltanto in via ipotetica essere assegnato ad un periodo compreso tra l’Eneolitico e il Bronzo antico, quando sono ben attestati i tipi di decorazione ad unghia e punzone, le pareti con bugnette e, per quanto riguarda la litica, le semilune. Dal sito sestese di Volpaia, Strato 578, collocabile nella seconda fase dell’Eneolitico locale, all’incirca alla metà del III millennio a.C., proviene un orlo con impressioni simile a quello dell’insieme qui descritto. Villa Bartolini In località Villa Bartolini (Scheda Calenzano 78), in campi arati, sono state raccolte dal GAF alcune centinaia di manufatti litici e fittili79. La litica comprende circa 200 pezzi, in selce e diaspro, quasi tutti a spigoli abbastanza freschi e raramente interessati da pseudoritocchi. Si notano nuclei a un piano con distacchi paralleli, per l’estrazione di schegge e lame di piccolo formato (1058); le dimensioni degli elementi scheggiati sono perlopiù medio-piccole. Appaiono frequenti i supporti allungati di piccole dimensioni, con negativi dorsali paralleli, spesso frammentari, ad indicare un’abbondante produzione laminare. Tra i ritoccati, che contano poche decine di pezzi, sono frequenti i tipi del Substrato, in particolare Lame, Raschiatoi e più rari Denticolati, in molti casi realizzati con ritocco parziale e sommario. Ben attestati appaiono gli Erti differenziati, con lame e lamelle a dorso, troncature (1055) e una semiluna (1143). 79 Sigle VB, VA, SEG. 41 Cartografia archeologica del comune di Calenzano buibili al Substrato sono perlopiù Raschiatoi corti e Lame; più rari appaiono i Denticolati. L’industria litica è nel complesso ascrivibile all’epoca olocenica, per l’uso dell’ossidiana, la produzione di lamelle, la tipometria ridotta degli strumenti, l’attestazione delle punte di freccia. Va probabilmente distinto l’elemento con il motivo a scaletta menzionato nel capitolo sul Paleolitico del territorio (si veda p. 31). Si rilevano poi alcuni caratteri che potrebbero incoraggiare una collocazione tra una fase avanzata del Neolitico e l’Eneolitico: i segmenti di cerchio, già presenti assieme ai trapezi in alcuni contesti della fine del Neolitico, si affermano infatti in tutta la penisola con l’età del Rame74. Nel già citato sito di Querciola, la litica comprende geometrici, tra cui trapezi e segmenti di cerchio, punte foliate peduncolate, lamelle e microlamelle a dorso. Per quanto riguarda la ceramica rinvenuta, è tutta di impasto grossolano ed è costituita perlopiù da pareti di forme non identificabili, a parte un frammento (1114) di scodella composta (sensu Sarti 1989). Questo esemplare presenta un fondo a calotta e una breve parete superiore cilindrica, il cui profilo leggermente concavo rende l’orlo quasi estroflesso; il bordo è arrotondato; la carena non è molto evidenziata e ha un profilo non molto regolare. Ad una forma simile doveva appartenere anche un altro frammento, ospitante una carena poco evidenziata. Si osserva poi la presenza di un’ansa a rocchetto, a profilo leggermente insellato (1064). Altri elementi che possono essere indicativi, seppur in via generale, sono tre frammenti di pareti decorate con cordoni plastici, uno dei quali è ornato con impressioni sottili verticali (1082), mentre gli altri sono lisci. Un altro piccolo frammento di parete ospita due impressioni a unghia (1113). Un ultimo pezzo identificabile è una fusaiola troncoconica frammentaria. Nessuno degli esemplari fittili descritti con- Evidenze databili tra la fine dell’età del Bronzo e l’età del Ferro Ad un momento terminale dell’età del Bronzo, al passaggio con l’età del Ferro, può essere attribuito il materiale di Carraia, che è stato recuperato dal GAF in occasione di uno scavo edilizio condotto all’inizio degli anni Ottanta (Scheda 20). Si tratta di una ventina di manufatti litici e di circa 300 frammenti ceramici, probabilmente pertinenti a tombe di epoca villanoviana. Sono presenti infatti vari pezzi di una o più lastre di copertura in calcare, oltre a diversi frammenti di forme vascolari decorate con i tipici motivi villa- 80 de noviani, probabilmente anche appartenenti a forme biconiche, che, come è noto, sono normalmente utilizzate nella cultura villanoviana per custodire le ceneri dei defunti. La litica comprende circa una ventina di manufatti, a spigoli freschi, quasi tutti in selce di diversi tipi e in raro diaspro. Sono presenti due nuclei, entrambi di dimensioni non grandi, uno poliedrico per l’estrazione di schegge, uno piatto bifacciale a distacchi centripeti, ricavato su scheggia, frammentario (potrebbe trattarsi anche di uno sbozzo di strumento foliato) (1158). Gli elementi scheggiati sono perlopiù schegge e lame di piccole dimensioni; c’è anche qualche lama di dimensioni più sviluppate. I pochi elementi ritoccati, tutti frammentari, comprendono una lamella a dorso (1159), un dorso troncato (1160), una lama a ritocco parziale (1161) e una lama a ritocco denticolato bilaterale (1162). La ceramica, più abbondante della litica, comprende, tra gli elementi diagnostici, che non sono numerosi, alcune pareti, appartenenti almeno a due forme (1164, 1165), decorate con impressioni lineari, a metope campite a reticolo, con bugnette circolari poco rilevate e leggere punzonature circolari. Un piccolo frammento ospita una decorazione impressa a cerchi campiti con segni cruciformi. Altri elementi da notare sono una parete con ansa verticale a nastro tendente a bastoncello (1168), e alcune pareti decorate con cordoni lisci (ad esempio, 1169) e digitati (ad esempio, 1168). È presente anche una fibula in bronzo ad arco ingrossato e ribassato (1163), decorata con linee profondamente incise, con un motivo di difficile lettura per le cattive condizioni di conservazione. La fibula, come anche le decorazioni sulle pareti vascolari, trovano confronti con il materiale di epoca villanoviana individuato nel territorio di Sesto Fiorentino. Esso proviene sia da rinvenimenti sporadici che da scavi stratigrafici, come nel caso di Val di Rose e Madonna del Piano80. Altre evidenze A conclusione di questa esposizione si citano alcuni altri siti del territorio che hanno restituito materiale di epoca preistorica e protostorica, scarso quantitativamente e generico qualitativamente, per cui in questa fase preliminare di studio non si è giunti ad indicare una possibile appartenenza cronoculturale. In via dei Tigli (Scheda 75) è stato prelevato dal GAF, all’interno del terreno smosso in occasione di uno sbancamento per lavori edilizi, materiale che comprende poco più di una decina di pezzi di età preistorica, appartenenti ad una fase non precisabile dell’Olocene; la scarsissima litica comprende una lamella non ritoccata ed una troncatura in selce, mentre tra i pochi frammenti fittili si notano una parete sottile di impasto semidepurato, concava, con il bordo rastremato (1096), una parete con piccola presa a linguetta rialzata (1097) e una fusaiola a disco, larga e piatta (1098). Nello scavo del ninfeo presso la Chiesa di Settimello, condotto dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana nel 1980, sono stati raccolti alcuni manufatti litici nel terreno in giacitura secondaria che riempiva la struttura romana (Scheda 81). Presso il Castello di Sommaia, il GAF ha raccolto pochi frammenti di ceramica che potrebbe essere, data la qualità dell’impasto, di epoca preistorica (Scheda 65); uno di essi potrebbe appartenere ad una forma carenata. Nel sito indicato con la denominazione il Mulino, in occasione dei lavori per la costruzione della Scuola Media, il GAF ha recuperato nel terreno rimosso pochi manu- fatti litici, tra cui una lamella non ritoccata in ossidiana e rari frammenti ceramici (Scheda 64). Anche durante due sbancamenti a Settimello, in via delle Cappelle e in via Squilloni, il GAF ha raccolto sporadici manufatti, forse preistorici: nel primo caso poca ceramica, tra cui un frammento di forma carenata, nel secondo ancora rara ceramica e qualche manufatto litico generico. Prospettive Un limite importante per le conoscenze sulla Preistoria calenzanese è costituito, come si è più volte ricordato, dalla carenza delle ricerche di tipo stratigrafico: gli scavi scientifici hanno fino a questo momento indagato zone molto circoscritte di un territorio che, in base alle raccolte effettuate dagli appassionati locali nel corso di ricognizioni sui campi, risulta molto promettente. L’eventualità che nei depositi sottostanti ad alcune delle evidenze di superficie si conservi materiale in giacitura primaria può essere appurata solamente attraverso operazioni di scavo sistematiche, eventualmente praticando, a partire dai punti in cui le raccolte di reperti sono state più fruttuose, piccoli sondaggi che possano verificare la presenza di strati e materiali antichi, prima di affrontare i più impegnativi scavi in estensione; su un raggio più ampio, non sono mai state condotte ricognizioni secondo metodi scientifici, che consentirebbero di precisare e di arricchire le conoscenze sulla distribuzione dei materiali, oltre che portare a nuove possibili scoperte. Marinis, Salvini 1999a. 42 43 Cartografia archeologica del comune di Calenzano La ceramica conta poco meno di 200 elementi, quasi esclusivamente frammenti di pareti non diagnostici. Un solo frammento (1060) appartiene ad una forma ricostruibile: una scodella composta carenata, con vasca a calotta e parete superiore cilindrica; l’orlo è diritto e il bordo è piatto, ingrossato internamente ed esternamente; la carena presenta uno spigolo ben marcato. Altri frammenti di parete ospitano cordoni plastici, lisci e digitati (1061); si conserva anche un frammento con un attacco d’ansa, su cui si nota, alla base dell’ansa, una probabile impressione ad unghia (1141). Il materiale si può attribuire, in via ipotetica, ad un periodo compreso tra l’Eneolitico e una fase non avanzata dell’età del Bronzo, in base alla presenza di elementi quali la semiluna, la scodella carenata e le decorazioni plastiche. Va ancora detto che alcuni pezzi presentano uno stato fisico differente dal resto dell’industria, caratterizzato da spigoli abrasi e pseudoritocchi profondi. Potrebbe trattarsi di materiale di origine diversa, mescolatosi all’altro per trasporto. Si tratta di pochi manufatti di aspetto generico; tra i ritoccati, un denticolato su scheggia larga a sagoma irregolare (1059). Territorio1 di Calenzano in età etrusca Il periodo villanoviano Se molte e sparse per un ampio territorio del Comune di Calenzano risultano le testimonianze e le presenze per la Preistoria e la Protostoria, tali da permettere di delineare le linee essenziali del popolamento2, molto più complessa risulta la lettura per il periodo etrusco, non tanto per la indecifrabilità delle fonti archeologiche, quanto piuttosto per la loro discontinuità. Accanto ai frammenti raccolti, che consentono una comprensione solo in filigrana degli sviluppi storici dell’area, esistono monumenti straordinari, come il cippo di Settimello (Scheda 86 – 2003) – che si impone come pietra di paragone per lo studio della scultura arcaica del bacino dell’Arno, da Pisa a Fiesole – o il cippo sferico di Travalle (Scheda 40 – 2108), reso noto solo di recente, che obbliga a gettare uno sguardo sulla scultura funeraria transappenninica, nel suo sviluppo con le coeve tradizioni valdarnesi. È necessario dunque premettere che solo un confronto continuo e dialettico con le realtà limitrofe, e del bacino dell’Arno più in generale, può aiutare a decifrare meglio alcune realtà, che altrimenti resterebbero completamente mute. Per quanto concerne il periodo villanoviano3, con particolare riferimento ai decenni compresi tra il IX secolo e la fine dell’VIII-inizi del VII secolo a.C., al momento non sono state recuperate presenze significative nell’area del territorio di Calenzano, se escludiamo alcuni esigui frammenti ceramici reperiti assieme a materiale dell’età del Bronzo e di età etruscoarcaica provenienti da un recupero non controllato a seguito di escavazioni per una lot- 1 Il presente contributo propone una rielaborazione semplificata dei capitoli III, “Analisi e distribuzione cronologica dei ritrovamenti”, e IV, “Sintesi del popolamento in periodo etrusco”, della tesi di laurea Alle origini della Flaminia “minor”. Presenze etrusche in Val di Marina (= Baldini 2007-2008). 2 Si veda Filippi supra. 3 Nell’analisi dei ritrovamenti e nel susseguente studio, il periodo villanoviano è stato analizzato da Omar Filippi, al cui contributo si rimanda per gli approfondimenti specifici. In questa sede il riferimento al suddetto periodo è funzionale solo all’inquadramento delle dinamiche politico-sociali 44 tizzazione edile nella zona di Carraia (Scheda 20). Tuttavia, dando uno sguardo al territorio dell’Etruria settentrionale, con particolare riferimento alla piana fiorentina, possiamo ipotizzare che, probabilmente, la scarsità di documentazione non sia dovuta ad un reale iato nel processo di occupazione del territorio, quanto piuttosto ad una difficoltà ricognitiva4. Stando anche ai dati recentemente resi noti sulle indagini nella piana di Sesto, sembra infatti che il quadro sia notevolmente più ricco e variegato rispetto ai dati ad oggi disponibili per il territorio di Calenzano. Per la piana fiorentina infatti, nonostante il numero di sepolture recuperate sia piuttosto esiguo, è possibile tentare un inquadramento storico, soprattutto per l’aspetto di omogeneità che le contraddistingue5. Se escludiamo le testimonianze provenienti da Fiesole, che le circostanze dei vecchi recuperi non permettono di contestualizzare, ma che sembrerebbero documentare una continuità di vita nell’area accertata senza dubbio dal Bronzo finale fino all’epoca della città murata etrusca6, le aree di necropoli del centro di Firenze e del territorio sestese evidenziano, almeno per il periodo compreso tra la prima metà dell’VIII e gli inizi del VII secolo a.C., un comune aspetto. Allo stato attuale delle ricerche si può affermare che nella piana dell’Arno vivessero delle piccole comunità che occupavano aree poco rilevate o le alture che costituiscono i margini del bacino7; le attività principali dovevano essere legate allo sfruttamento delle risorse agricole e pastorali del territorio e al controllo delle importanti vie di comunicazione8, che collegavano da una parte la comunità volterrana e la costa tirrenica con la vivace realtà transappenninica della facies orientalizzante. Alle stesse conclusioni si giunge anche in Salvini 2007, p. 23, dove l’Autrice, con riferimenti ad aree finitime, nota come il quadro cambi notevolmente quando gli scavi e le ricognizioni siano fatti in modo sistematico e non episodico. 5 Salvini 2007, p. 68. 6 Salvini 1990, p. 87. 7 Salvini 2007, p. 80. 8 de Marinis, Salvini 1999, pp. 75-76. 9 Salvini 2007, p. 78. 4 (l’area bolognese rappresenta infatti uno dei maggiori partners), dall’altra questa regione con le realtà dell’Etruria meridionale che, in questo periodo, andavano definendo in maniera sempre più decisa un carattere aggregativo. A tal proposito è interessante notare come le comunità della Piana dell’Arno, pur evidenziando notevoli punti di contatto con le altre realtà, non sembrino mai completamente dipendenti da queste, ma rielaborino le varie sollecitazioni per arrivare alla formulazione di un linguaggio decorativo personale, che, successivamente, troverà le espressioni più qualificate nelle soluzioni formali e decorative del bucchero di area valdarnese o nella ricchezza e qualità artistica della scultura fiesolana. In tal senso la catena dell’Appennino, facilmente valicabile, non doveva essere percepita dalle comunità stanziate sui due versanti come una barriera, ma come una cerniera9. In tale ottica sarà interessante notare la disposizione delle necropoli per cercare di capire il tipo di società che abitava questi territori. In particolare, in assenza di strutture abitative che indichino, all’interno di una comunità, i rapporti tra i vari nuclei, è significativo rimarcare che sia nella necropoli del centro di Firenze10 sia in quelle della piana di Sesto un elemento comune sembra la presenza di contesti multipli, ovvero fosse o pozzetti al cui interno venivano deposti più individui. Questo aspetto è particolarmente significativo, in quanto preannuncia, all’interno di una comunità che non sembra mostrare in base ai corredi particolari segni di differenziazione o di divisione, una distinzione per gruppi familiari: mentre infatti i corredi non presentano mai particolari segni di ricchezza o simboli che facciano pensare ad attività specificatamente eminenti nell’ambito di uno stesso raggruppamento, l’idea stessa che nuclei di cinerari siano riuniti tra di loro all’interno di un’unica fossa, ben distinti dagli altri, scardi- na l’idea di una comunità monoliticamente indivisa ed indifferenziata, suggerendo una distinzione che vede il passaggio dallo spazio indiviso “comune” allo spazio diviso, “separato”. È quanto si verifica nel caso della tomba a pozzo del Tumulo B della necropoli di Prato Rosello, dove la sepoltura più antica è costituita da una tomba a fossa molto profonda delimitata nella parte alta da una struttura circolare di pietre di arenaria; in questo caso il muretto di delimitazione non svolge semplicemente il ruolo di contenimento o individuazione dell’area occupata dal pozzetto, ma separa, consacrandolo, lo spazio della sepoltura dal resto. La tomba è databile tra la fine dell’VIII e gli inizi del VII a.C. e trova numerosi confronti con contesti del primo Orientalizzante volterrano e con le realtà poste al di là dell’Appennino11. Se tentiamo di mettere in correlazione i dati recuperati, ci accorgiamo che, se nel tardo Villanoviano il popolamento sembra caratterizzato da piccoli nuclei a carattere familiare sparsi sul territorio a cui, nel corso dell’VIII secolo a.C., si affiancano nuclei disposti sulle pendici collinari limitrofe12, con il primo Orientalizzante la situazione non sembra cambiare in maniera sostanziale13: la società che occupava la valle dell’Arno e i rilievi circostanti si configura come una compagine organizzata, la cui economia si basava eminentemente sullo sfruttamento delle risorse agricole e sul controllo delle vie di comunicazione, culturalmente ricettiva nei confronti degli stimoli esterni ma capace di strutturare un proprio linguaggio. Tale società si articolava probabilmente in ristretti gruppi familiari, che abitavano in strutture capannicole poco complesse e si facevano seppellire a gruppi parentali in piccole necropoli adiacenti ai nuclei abitativi. Al momento, purtroppo, non sono note strutture abitative riferibili a Per il quadro generale delle attestazioni, si veda Salvini 2007, p. 20; per una approfondita disamina dei “sepolcreti” fiorentini, si veda Salvini 1996, pp. 65-67, 117-121, 138. 11 Poggesi 1999, pp. 42-43; Bruni 2002, p. 276, in particolare nota 11. 12 Sul tumulo B di Prato Rosello, si veda da ultimo Carta Archeologica 2011, pp. 470-476 con biografia a p. 490. Carmignano 1997, pp. 49 ss (F. Nicosia). 13 Settesoldi 2000, p. 209; Zannoni 2000, p. 219. 10 45 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Giacomo Baldini Il periodo orientalizzante Ancora più avaro è il quadro delle testimonianze calenzanesi per tutto il periodo orientalizzante e per il primo Arcaismo. Dalle ricerche sul campo e dallo spoglio dei dati bibliografici non sono infatti emersi ritrovamenti riferibili agli anni compresi tra il VII e la prima metà del VI secolo a.C.; al momento l’unica testimonianza, purtroppo non verificabile, è limitata ad una punta di lancia di bronzo, ora dispersa, proveniente genericamente dal territorio di Calenzano e riferita al VII-VI secolo a.C. da Francesco Nicosia, che la mette in relazione a gruppi di armati nella zona18. La notizia, se confermata, acquisterebbe una importanza decisiva, soprattutto per l’affermazione e la definizione del potere gentilizio, che, evidentemente, si basava anche su piccoli nuclei di armati a difesa del territorio e dei percorsi di traffico. In questo periodo il quadro del popolamento e della società nella piana dell’Arno appare notevolmente mutato, soprattutto per l’emergere di numerosi oikoi che occupano il territorio in modo stabile. Le testimonianze archeologiche per quanto riguarda il centro di Fiesole sono ancora scarse, al punto che la città sembra sbocciare dal nulla già strutturata nella seconda metà del VI secolo a.C.19. Tuttavia, anche in questo caso, non mancano documenti sporadici che attestano una continuità di vita ed una centralità nella rete di traffici e di commerci che univano i vari comparti dell’Etruria propria e dell’Etruria padana20. Ma è sempre il territorio che offre le testimonianze più significative e non solo perché la città murata ha cancellato e ricoperto tutti i precedenti passaggi, ma, forse, perché proprio è nella gestione del territorio, intesa sia nel senso dello sfruttamento delle risorse agricole sia del controllo delle vie di comuni- cazione, che si manifestano le maggiori possibilità economiche e, di conseguenza, i più evidenti “segni” monumentali. Analizzando le testimonianze monumentali, affidate per lo più alle necropoli, ci accorgiamo che il VII secolo è caratterizzato, sia sulle pendici del Monte Albano sia nella piana di Sesto, dalla presenza di strutture tombali che con la loro evidenza non solo testimoniano un benessere economico ed una capacità costruttiva nuova, ma marcano il territorio sotto l’aspetto politico, intendendo con questo termine la volontà di manifestare e far rispettare una auctoritas che si basa non più “solo” sulla figura del singolo capo di un gruppo, ma sull’appartenenza ad una gens aristocratica erede di quei capi21, che, come tale, si configura come nucleo di potere sul territorio, in questa fase, fuori dal contesto urbano22. È lecito dunque supporre che in questa parte della valle dell’Arno, così importante per le direttrici viarie tra l’Etruria centro-settentrionale e i centri transappenninici, anche grazie alla progressiva importanza acquisita da Pisa come epineion sulla foce dell’Arno per i commerci nel Mediterraneo23, nel corso del VII secolo a.C. si siano avvicendate gentes che di volta in volta hanno marcato il territorio24 e manifestato il proprio potere con tombe monumentali25; in quegli stessi anni anche nella zona tra Quinto e Sesto, nella zona pedemontana delle estreme propaggini del Mugello, altri oikoi, grazie allo sfruttamento delle risorse agricole della piana e alle direttri- ci di traffico, riuscirono ad imporsi nella compagine sociale del tempo come rappresentanti dell’auctoritas civile e religiosa, testimoniata dalle tombe monumentali della Mula e della Montagnola e di Villa Torrigiani; uno stesso processo probabilmente ha portato alla costituzione di potentati locali a controllo delle vie verso il Chianti, come dimostrano i Tumuli del Calzaiolo e di Sant’Angelo a Bibbione e quello recentemente reso noto di Poggio la Croce a Mercatale Val di Pesa26. Bisogna pensare che questi signori traessero legittimazione del loro potere dalla ricchezza legata anche alla tradizione. In tal senso un caso esemplare è rappresentato dal già citato Tumulo B di Prato Rosello, dove tale fenomeno di legittimazione sembra trovare una testimonianza concreta, poiché non solo la crepidine del tumulo racchiude la vecchia sepoltura a pozzo, ma la tomba a camera va coscientemente a toccare la precedente deposizione27, con l’intento “dichiarato” di collegarsi alla tradizione, di mostrare le radici stesse della potestas, che si legittima come auctoritas28. Inoltre, la tomba, come spazio fisico di passaggio tra il mondo dei vivi e quello dei morti29, rappresenta anche il luogo dove il potere si estrinseca riconoscendosi nella dimensione del rito, acquistando dunque un duplice significato: cioè un segno visivamente concreto sul territorio e riconosciuto in una “comunità del potere” e il centro dove la sfera del privato diventa pubblica. In questo senso vanno lette probabilmente le strutture rettangolari legate alla crepidine del Tumulo C di Menichetti 1994, p. 36. Assai suggestiva, anche se meritevole di ulteriori specifici approfondimenti, appare l’ipotesi avanzata da Nicosia (Nicosia 2000, pp. 16-17) circa lo stretto legame tra la valenza pubblica dei tumuli artiminesi e la completa definizione del nucleo di Artimino come polo urbano. 23 Bruni 1998; Bruni 2002, pp. 299, 324-344. 24 Su questo tema si veda Rendeli 2002, con ampia bibliografia precedente. Bisogna tuttavia sgombrare il campo da ipotetici schemi che ripropongano in area settentrionale quanto l’Autore espone nell’intervento, specificatamente all’Etruria meridionale. Non si tratta in questo caso di relazione tra un centro ed una periferia, ma di un territorio diviso e controllato da diversi ghenoi che segnano il territorio, certificano la presenza e il potere con un “segno” carico di valenze. 25 Bruni 2002, pp. 275-281. 26 Cianferoni, Baroncelli 2007, pp. 137-138. La tomba, di cui è in corso lo studio del contesto e dei materiali, è datata, in base al corredo più antico, all’ultimo quarto del VII secolo a.C. È possibile che tale potere trovasse eco non solo nella sfera funeraria, ma anche nel modo di rapportarsi alla comunità dei vivi, se il frammento di terracotta architettonica proveniente da “L’Olmicino” deve essere interpretato come elemento del partito decorativo di una regia, piuttosto che come la decorazione del tetto di un luogo di culto (de Marinis, Salvini 1999, pp. 79-80; Bruni 2002, p. 290). 27 Poggesi 1999, pp. 30-34, dove l’Autrice nota che la costruzione della tomba a camera ha parzialmente tagliato la precedente struttura. Ad ulteriore conferma di questa interpretazione si veda anche Bruni 2002, pp. 276-278. 28 Salvini 2007, p. 22, con bibliografia. 29 Torelli 1997b, p. 131; Zifferero 2006a, p. 210. 21 22 Settesoldi 2000, pp. 207-209, fig. 64. Le capanne di questo tipo sono note in ambiente centroitalico già dall’età del Bronzo e, in base ai confronti, solitamente presentavano copertura conica, senza distinzione tra parete e copertura (Bartoloni 2002, pp. 74-75, 124-125). 16 Questa ipotesi molto suggestiva porterebbe, se confermata, una novità nell’ambito della gestione dello spazio abitativo, poiché non sembrano attestati, in una fase così antica, né fortificazioni né sistemi difensivi (Bartoloni 2002, p. 129). A tale proposito è interessante il confronto con il sito di Campassini, in Valdelsa, dove lo scavo di un insediamento capannicolo, in uso tra l’ultimo quarto dell’VIII e gli ultimi anni del VII secolo a.C., ha evidenziato, nella sua fase più antica, coincidente cronologicamente con l’ap14 15 46 prestamento sestese, un sistema di recinzione intorno alla struttura più importante (Bartoloni 2004, pp. 17-18), forse la sede di pratiche cultuali (Bruni 2002, p. 289). 17 Salvini 2007, p. 81. 18 Archivio SBAT, pos. 9 Firenze 7, 1961-1970, prot. 2475, segnalazione di Francesco Nicosia del 26 agosto 1965. 19 Bruni 1995-1996, p. 128. 20 Ci riferiamo in particolare alla piccola phiale con decorazione italo-geometrica di importazione ed ai frammenti di coppe carenate di impasto grezzo e semidepurato, che trovano confronti stringenti con i centri della valle dell’Arno, in particolare con Pisa, Volterra, e con Felsina (Bruni 19951996, pp. 128, 133-135). 47 Cartografia archeologica del comune di Calenzano questo periodo: l’unica attestazione è quella nella piana sestese di Madonna del Piano che, limitatamente alla fase di occupazione più antica (fine VIII-inizi VII secolo a.C.), rappresenta il solo elemento di confronto. Si tratta con ogni probabilità di parte di un insediamento capannicolo, di forma ellittica o sub-rettangolare, più ampio di quanto finora indagato14, con strutture che non presentavano elevati alloggiati in fosse di fondazione, ma che, se la copertura non appoggiava direttamente sul piano di vita15, si doveva configurare come una struttura realizzata in pietre ed argilla poggiata direttamente sul terreno. Le strutture abitative erano probabilmente circondate da una canaletta e da una palificazione, i cui resti sono ben visibili nelle buche di palo documentate16. Dobbiamo pensare dunque che la società che viveva nella valle dell’Arno tra la seconda metà dell’VIII e gli inizi del VII secolo a.C. fosse complessa, cioè articolata dal punto di vista sociale, con “capi” che detenevano il potere e lo ostentavano nei propri riti di sepoltura, un potere derivato in gran parte dal controllo di importanti vie di comunicazione che univano diversi comparti dell’Etruria settentrionale con le comunità transappenniniche, subalterni ai quali si trovavano nuclei umani dediti alle attività sul territorio17. come spesso strutture tombali di tipo gentilizio si trovino in contesti rurali lungo le vie di penetrazione o lungo le direttrici di maggior flusso36: questo fenomeno si riscontra anche in Etruria settentrionale, come dimostrano, per limitarsi all’area in esame, i tumuli del distretto del Monte Albano, posti lungo l’Ombrone, quelli della piana dell’Arno o i già citati tumuli della Valdipesa, sentinelle per le maggiori direttrici verso il Chianti. Una conseguenza a cui dobbiamo necessariamente arrivare è che, se la dinamica sociale del periodo orientalizzante si configurava sotto questa forma, è difficile immaginare un istituto politico forte, una polis organizzata con alla base un potere aristocratico che ordina i momenti e gli eventi della collettività: tali apprestamenti vanno letti assolutamente sotto l’ottica gentilizia37, di un potere che necessita di segni evidenti sul territorio con altissimo valore evocativo e di una ritualità che è la base stessa del potere su cui si fondano le relazioni sociali tra i livelli della comunità. Solo l’emergere di un forte istituto centrale, di una polis organizzata su altri valori, scardinerà il tessuto sociale di natura gentilizia di tipo tradizionale. 30 Nel novero di tali testimonianze bisogna aggiungere anche il circolo di Poggio al Bello a Vetulonia, dove la crepidine è interrotta da una costruzione in lastre di pietra che sembra funzionale all’accesso alla sommità (Zifferero 2006a, p. 193) ed il noto cenotafio di via S. Jacopo a Pisa, dove il passaggio alla sommità era realizzato tramite una gradinata lignea (Bruni 2002, 341-342; Floriani, Bruni 2006, p. 21, figg. pp. 14-15). Sul tumulo di Montefortinie su quelli della necropoli di Prato Rosello, si veda da ultimo, Carta Archeologica 2011, pp. 411-424, CR15; 468-491, CR31. 31 Da ultimo, con ampia bibliografia specifica sull’argomento, si veda Zamarchi Grassi 2006. 32 Zifferero 2006a, pp. 210-211. 33 Su questa tematica si veda Menichetti 1994, p. 38. 48 Con la seconda metà del VI secolo a.C., in pieno periodo arcaico, la base documentaria relativa al territorio di Calenzano si fa decisamente più interessante, anche se le testimonianze risultano spesso prive di uno specifico contesto di ritrovamento38. In particolare, si evidenziano anche in questa piccola porzione del territorio della piana dell’Arno una serie di modifiche e di cambiamenti spiegabili con una effettiva diversità di tipologia di occupazione del territorio. Infatti, dopo la fiorente stagione della costruzione dei grandi tumuli, che sembra esaurirsi nella prima metà del VI secolo a.C., con la seconda metà del secolo la situazione muta radicalmente: sul territorio si trovano le testimonianze di piccoli insediamenti, probabilmente fattorie o nuclei sparsi dediti ad attività di tipo agricolo e al controllo dei percorsi viari39; le tombe monumentali perdono la loro centralità nell’ottica del “paesaggio del potere” e sembrano essere progressivamente sostituite, lungo le principali vie di penetrazione, da marcatori di tipo diverso, segnatamente cippi o stele, latori ancora di un messaggio di tipo aristocratico, ma privati della monumentalità principesca. Tale mutamento, più che a cambiamenti nella composizione della compagine sociale, sarà verosimilmente legato ad una sempre maggiore definizione dello spazio urbano – quindi pubblico – di Fiesole, senza la necessità di attribuire questa “involuzione monumentale” alla presenza di leggi suntuarie. Verosimilmente la tomba, che per tutto il periodo precedente aveva assunto caratteri di monumentalità “pubblica” in cui si estrinsecava e si celebrava l’auctoritas potestatis di marca gentilizia, perde tale valore per acquisire, progressivamente, una dimensione eminentemente “privata”. Dalla metà del VI secolo a.C. in poi la volontà di autoaffermazione non è più confinata dunque ai monumenti sepolcrali40, ma si estrinseca o nei più modesti semata funerari41 o, parallelamente, nell’esecuzione e nella realizzazione di opere destinate all’arricchimento degli spazi pubblici, come il tempio o il santuario42. Tali considerazioni nascono dalla constatazione che se da una parte il paesaggio non sembra più segnato da “marcatori monumentali” di stampo aristocratico, dall’altra si definisce in maniera sempre più netta, dalla seconda metà del VI secolo a.C., lo spazio urbano di Fiesole, anche a livello archeologico43. Tuttavia, nell’ampio quadro delineato, alcune questioni acquistano un interesse specifico. In particolare, parlando della definizione dello spazio urbano, viene fatto riferimento alla demarcazione dello spazio necropolare lungo i margini di quello che sarà il circuito delle mura con particolare interesse e concentrazione nell’area meridionale lungo la direttrice per l’epineion sull’Arno44, al tipo di insediamento, realizzato in modo sparso con piccoli nuclei localizzati in luoghi fondamentali per le direttrici viarie45 e, infine, al dispiegamento di piccoli luoghi di culto, indiziati sul territorio dal ritrovamento di alcune stipi votive46. Analizzando singolarmente i vari elementi, si capisce come tutti convergano nell’indicazione di una struttura politica in grado di gestire questi fenomeni. Se fino alla metà del VI secolo a.C. si può affermare che la struttura sociale del territorio della valle dell’Arno, almeno nello spazio tra le ultime propaggini del Chianti e il Monte Albano, è ancora fortemente permeata di caratteristiche di stampo aristocratico, con forte connotazione a carattere militare e religioso, con tutto ciò che comporta anche a livello di gestione del territorio47, nella seconda metà del seco- Nell’ottica delle cerimonie di natura aristocratica che si dovevano svolgere nell’ambito del sepolcro gentilizio si veda anche Colonna 1993. 34 Zifferero 1991, p. 109. 35 Ibidem, p. 110. 36 Ibidem, p. 125. 37 Per una ipotesi contraria, si veda Nicosia 2000, pp. 13-15, il quale individua proprio in un’area di “autorità” strutturata (polis o santuario) il termine di riferimento e di confronto della struttura tombale, nonché una manifestazione dell’indebolimento del potere del princeps nei confronti di un controllo aristocratico. 38 La maggior parte dei materiali è stata raccolta, nel corso del tempo, e segnalata alle autorità di tutela dai volontari del GAF. Bruni 2002, p. 312. Tali monumenti non cessano tuttavia di essere utilizzati, almeno in certi casi, fino al tardo Ellenismo: ad esempio, si possono citare il Tumulo A di Prato Rosello – che ha restituito un’anfora con coperchio relativa ad una deposizione di incinerato databile tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C. –, la tomba a tumulo di Poggio La Croce, con un utilizzo ininterrotto datato fino almeno al III secolo a.C. (Cianferoni, Baroncelli 2007, p. 137) e la tomba tardo-arcaica del Melone II di Camucia a Cortona (Zamarchi Grassi 2006). 41 Per la distribuzione ed il significato delle pietre fiesolane nella definizione del territorio e nel contesto sociale del tempo, si vedano Capecchi 1996, p. 154 e passim; Bruni 2002, pp. 313-324; Maggiani 2008, p. 365. Capecchi 1996, p. 156. Per la disamina di queste tematiche, si veda Bruni 2002. Alle necropoli citate in Bruni 2002, pp. 310-312 bisogna aggiungere i resti di una necropoli nell’area di Vincigliata, al momento costituita da dodici tombe di diversa tipologia databili genericamente tra l’Orientalizzante ed il periodo arcaico (Rastrelli 2006a, pp. 145-147). 45 Bruni 2002, p. 312. 46 Ibidem, pp. 293-294, 312-313. 47 Scontato, forse, il riferimento alla stele di Larth Ninie, rappresentato ancora nella sua dimensione socio-politica di rex. Sul tema si veda Bruni 2002, p. 316, con ampia bibliografia a nota 143; sull’inquadramento del monumento, si veda Maggiani 2004a, p. 162. Il periodo arcaico e classico 39 40 42 43 44 49 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Prato Rosello e del Tumulo di Montefortini a Comeana, generalmente interpretate come terrazze-altari, e il lastricato messo in opera all’esterno del Tumulo B di Prato Rosello30. Anche grazie alle fortunate scoperte di Cortona31, possiamo affermare con maggior sicurezza che tali strutture dovessero rappresentare i luoghi di un rito che vedeva come primo interlocutore chi vi partecipava, cioè la comunità. In questo senso si può parlare di una legittimazione del potere: l’oikos del princeps, che in vita era detentore di un potere civile e religioso, perpetua tale autorità con una ritualità pubblica, di cui oggi cogliamo solo una pallida eco in queste strutture32, ma che doveva prevedere riti, pratiche e “messaggi visivi” più complessi33. Proprio per questo il tumulo ha anche il significato di “marcatore” sul territorio, nel senso che nel corso dell’Orientalizzante, a seguito di forti mutamenti della società che hanno permesso ad alcuni nuclei di alienare parti di terra comunitaria per farla diventare ops privata, le famiglie aristocratiche vogliono rafforzare il legame con la terra attraverso la sepoltura in loco34 con una straordinaria proiezione sul paesaggio del fondamento stesso del loro potere. Pur nella non assoluta certezza della corrispondenza tra terra posseduta ed edificazione della sepoltura, è del tutto evidente che il tumulo monumentale, di per sé, è espressione di un valore evocativo forte all’interno di una società che vede nell’ordinamento gentilizio la propria struttura portante35. Sempre con uno sguardo ai fenomeni dell’Etruria meridionale che, evidentemente, non possono essere trasferiti stricto sensu in area settentrionale, è interessante notare posizione sul territorio delle “pietre fiesolane”49, e dall’altra dallo sviluppo di aree sacre o stipi votive fuori dalla polis, in luoghi significativi lungo vie di percorrenza, quasi a segnare i limiti del territorio di pertinenza50. Questo fenomeno, già in parte riscontrato nell’Etruria meridionale51, se verificato e corroborato da nuovi dati, sarebbe una ulteriore conferma del mutato linguaggio nella definizione del “paesaggio del potere”, dove a marcatori di tipo gentilizio, cioè le regiae e le tombe a tumulo monumentali in cui, con ritualità e modalità diverse, la sacralità era fortemente connessa alle pratiche gentilizie, si sostituiscono semata pubblici che segnano non più una zona di influenza principesca o i possedimenti di una gens, ma i confini territoriali o di influenza di una polis, cioè una chora intesa non solo in senso territoriale ma anche politico52. In questo senso è molto interessante quanto sostiene Colonna nella disamina sui tipi di strutture sacre etrusche: con particolare riferimento ai santuari di campagna del distretto settentrionale, non solo fa notare la mancanza di strutture connotate di una certa importanza architettonica, ma sottolinea come siano indiziati quasi sempre soltanto da depositi votivi o stipi. Inoltre, nell’ottica di occupazione del territorio, viene posto giustamente l’accento sul carattere conservativo del sacro, con particolare riferimento al carattere diffuso delle aree sacre53. Tali con- siderazioni assumono una valenza pregnante nel contesto che ci troviamo ad analizzare: senza entrare nello specifico dei singoli ritrovamenti54, assistiamo dalla seconda metà del VI secolo a.C. ad un incremento di ritrovamenti di stipi o depositi votivi – soprattutto lungo percorsi viari importanti che dalla città vanno nel territorio, anche piuttosto distanti dal centro –, che, pur perpetuando una ritualità già attestata nelle precedenti generazioni, denunciano una rinata vitalità non scevra di collegamenti con il fenomeno urbano. Senza pensare necessariamente a nuove installazioni cultuali55, è possibile che l’“indebolirsi” delle manifestazioni del potere gentilizio, a cui era legata anche la sfera religiosa, abbia favorito, soprattutto in quei contesti più marcatamente politici, come le aree liminari o le principali arterie di comunicazione56, la riappropriazione a spazio e funzione comunitaria di culti o porzioni di territorio ab antiquo alienati alla comunità57. Non è un caso infatti che sia l’articolazione politica dei villaggi dell’età del Ferro58 sia il ruolo comunitario dei santuari siano stati paragonati, in un contesto non urbano, alle curiae latine. Con l’affermarsi di un potere collettivo di tipo verosimilmente oligarchico, abbiamo visto come muti il sistema di valori su cui si basa la società arcaica di stampo aristocratico, investendo anche la sfera religiosa. In quest’ottica la distribuzione delle stipi, assieme alla diffusione delle “pietre fiesolane”59, può aiutare nella definizione dell’area influenza della comunità (śpura) fiesolana60. Un maggiore controllo sul territorio si sostanzia, sul finire del VI secolo a.C. anche con un riassetto delle strutture rurali61 e dei centri più strutturati, tra i quali spicca, per peculiarità, il sito recentemente scoperto a Gonfienti, nel qual caso è difficile non pensare ad una precisa volontà di tipo pubblico nell’atto di organizzare uno spazio con una nuova fondazione, operazione che, chiaramente, acquista ancora maggior valore se ne consideriamo l’ubicazione nell’ambito delle direttrici tra l’Etruria tirrenica e l’Etruria padana. Allo stato delle ricerche62 infatti possiamo solo pensare che il sito, così come si presenta, sia una sorta di testa di ponte organizzata lungo la direttrice principale che univa la valle dell’Arno con la valle del Reno, quindi con Felsina. Anche il sito di Gonfienti, che molti elementi accomunano a Marzabotto, non ultime le soluzioni urbanistico-architettoniche dell’impianto urbano e dei singoli edifici63, sembra l’emanazione di un istituto forte che fonda nel luogo più adatto un avamposto a carattere, probabilmente, non solo redistributivo ma anche produttivo64. Questo discorso si comprende appieno solo se confrontiamo Un conciso quadro dei maggiori ritrovamenti in Bruni 2002, pp. 312-313. A questi bisogna aggiungere i numerosi ritrovamenti effettuati nell’area della Calvana-Pizzidimonte (Bocci, Poggesi 2000, p. 63) e di Prato (Millemaci 1999, p. 134). Tra gli altri merita una menzione particolare il recente rinvenimento di un’area sacra caratterizzata da stipi a Sant’Angelo a Bibbione, a San Casciano in Val di Pesa, significativamente «situato nei pressi del noto tumulo etrusco» (Rastrelli 2008, p. 176). 55 Come sono del resto attestate in questo periodo nel territorio dell’ager Volaterranus (Bonamici 2007, p. 203) 56 Per la dislocazione di aree sacre lungo una importante direttrice tra Pisa e i distretti dell’Etruria padana si veda Ciampoltrini 2007d, p. 72. 57 Guidati nota come, a differenza degli abitati, i luoghi di culto siano più conservativi (Guidati 1998, p. 36). 58 Zifferero 2006a, p. 184. 59 Pur considerando la classe ancora espressione dell’aristocrazia arcaica, la Capecchi definisce le “pietre fiesolane” il «fossile guida privilegiato per la lettura della tipologia del popolamento» (Capecchi 1996, p. 156). Tra i vari aspetti rimarcati dall’Autrice, quello che meriterebbe una particolare attenzione ed uno studio approfondito, soprattutto nella dinamica della definizione di una chora, è la mancanza di “pietre fiesolane” a Sud dell’Arno. 60 Senza entrare troppo nello specifico, è importante richiamare la distinzione formulata da Colonna (Colonna 2005, p. 1873) tra śpura, nel senso di comunità, e meθlum, nel senso di urbs. 61 Sulla base delle più recenti proposte interpretative, possiamo dire che simili “processi di controllo” sono comuni a tutti i centri dell’Etruria settentrionale tirrenica: per il caso di Volterra, si veda Maggiani 2007b, p. 54; per la chora pisana, Ciampoltrini 2007d, pp. 70-71, 92; per Gonfienti, Poggesi 2006, pp. 81-82. 62 In attesa di una prima edizione dei dati di scavo, si veda da ultimo Carta Archeologica 2011, pp. 317 ss., PO80. 63 Per l’impianto urbanistico “ippodameo”, si veda Poggesi et alii 2007, con ampia bibliografia. È inoltre molto interessante notare che i medesimi apparati decorativi sono presenti a Marzabotto e a Gonfienti, dove tuttavia tali soluzioni non risultano isolate, come dimostra il ritrovamento di un frammento di antefissa a placca decorata con palmetta a Casa Cafaggiolo, Fosso Garillino (Scheda 68 – 2072). 64 Sulla presenza di attività produttive a Marzabotto, in particolare la lavorazione dei metalli, si vedano Sassatelli 1990, pp. 74-75, 88; Locatelli 2005; Malnati, Locatelli 2006. 54 48 Fanno eccezione le indagini svolte nel Comune di Sesto dall’Istituto Fiorentino di Preistoria e dall’Università degli Studi di Siena, sotto la direzione di Fabio Martini e Lucia Sarti, e i sondaggi che hanno portato all’identificazione dell’abitato etrusco nell’area di Gonfienti, promossi dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, sotto la direzione di Gabriella Poggesi. 49 Sull’argomento si vedano Capecchi 1996 e Bruni 2002, p. 312. Il significato iconologico attribuito alla classe non è univoco: se la Capecchi ritiene che tali manifestazioni siano espressione ancora di una ideologia gentilizia legata al territorio e al concetto di gens (Capecchi 1996), Bruni evidenzia invece come le immagini vadano «valutate sullo sfondo della progressiva strutturazione ed organizzazione della forma urbana di Fiesole» (Bruni 2002, pp. 315-317). 50 Bruni 2002, pp. 312-313. La tematica è stata oggetto di alcuni interventi nell’ambito della mostra “Etruschi di Volterra” (Maggiani 2007b; Esposito 2007; Bonamici 2007, pp. 202-204), con particolare riguardo all’ager Volaterranus. In tutti viene evidenziata la stretta correlazione tra vie di comunicazione, luoghi sacri e “zone di confine”. 51 Zifferero 1995, pp. 333-350. Recentemente, lo stesso 50 Autore, nel suo intervento – rimasto inedito – Ipotesi per la definizione del ”proastion” nella città murata al XXV Convegno di Studi Etruschi ed Italici ”La città murata in Etruria”, ha applicato questo metodo di analisi interpretativa anche all’Etruria settentrionale, con interessanti spunti anche di carattere toponomastico. 52 Il tema delle aree sacre come fines publici è molto complesso e meriterebbe specifiche indagini. In particolare, Colonna ha cercato di classificare le varie tipologie di santuari o strutture sacre, evidenziando non solo le differenze tra il distretto meridionale e settentrionale dell’Etruria, ma “classificando” le diverse strutture in base al rapporto con il territorio (Colonna 1985, pp. 98-99, 149). Molto complessa è la questione per quanto concerne i santuari di campagna dell’Etruria settentrionale ed appenninica, che Colonna definisce territoriali o “paganici” (Ididem, p. 160). Recentemente sul tema delle aree sacre ad indicare i confini delle chorai di influenza delle città etrusche in Etruria settentrionale, con particolare riferimento al contesto cortonese, cenni in Fortunelli 2005, p. 258. 53 Colonna 1985, pp. 160-161. 51 Cartografia archeologica del comune di Calenzano lo il quadro sembra cambiare, il contesto di riferimento non è più limitato alla dialettica gentilizia, ma si fa progressivamente spazio una comunità più allargata, il cui teatro di riferimento, lo scenario della dialettica tra i principes – la cui auctoritas è sancita e sostenuta dalla tradizione – e i nuovi gruppi emergenti, diviene lo spazio pubblico della città. In tal senso si può asserire che muta profondamente il “paesaggio del potere”, in cui si assiste ad un passaggio da una monumentalità nata in ambito privato ma rivolta ad un pubblico per sancire uno status ad una “depauperata monumentalità”, che si sostanzia in una società che confina i valori aristocratici in una dimensione privata: ma anche in questa limitatezza è evidente una volontà precisa. Infatti se i segni privati acquistano forma sempre meno suntuosa, il “pubblico” irrompe in maniera dirompente sul territorio in un modo del tutto nuovo, con un linguaggio diverso: la gestione diretta dello spazio, quindi la definizione di una chora. Non potendo al momento usufruire di ricerche approfondite né sull’ambiente urbano né sul territorio in oggetto, dove l’attività edilizia degli ultimi cinquant’anni ha profondamente mutato il quadro di indagine48, dobbiamo necessariamente appoggiarsi a pochi e sporadici dati che sembrano indicare nella seconda metà del VI secolo a.C. una definizione della chora di Fiesole, indiziata da una parte dalla Il territorio di Calenzano Questo quadro, nel territorio del Comune di Calenzano, si evidenzia in pochi ma significativi elementi, sia di carattere funerario69 sia a livello abitativo o produttivo. A livello di cultura materiale legata alla vita quotidiana, vanno segnalati i ritrovamenti, purtroppo non controllati, avvenuti durante i lavori di edificazione dei condomini da parte della Cooperativa “Appennino” e della Scuola Media Statale, a Settimello (Scheda 83), e le raccolte di superficie nella zona di Casa Cafaggiolo (Schede 63, 68, 69, 72). In entrambi i casi, pur nell’esiguità delle testimonianze, si tratta di materiali ceramici da mensa (ceramica acroma depurata) e da dispensa e cottura (ceramica di impasto semidepurato e di impasto grezzo) che richiama- Sassatelli 1990, p. 63. Il fatto che il sito fosse occupato già in età protostorica non implica una continuità ininterrotta: dai pochi dati pubblicati, sembra che dopo una notevole frequentazione nell’età del Bronzo (Perazzi, Pagnini 2007; Carta Archeologica 2011, pp. 343-351) il sito venga “rifondato” attorno agli ultimi anni del VI secolo a.C. Del resto anche a Marzabotto, prima dell’assetto monumentale (Marzabotto II), è stata accertata una occupazione più antica (Marzabotto I) dai caratteri meno definiti (Sassatelli 1990, pp. 58-59). 67 Per questa realtà è preferibile non parlare di città nel sen65 66 52 no sia nelle forme sia nelle paste ceramiche modelli di riferimento e produzioni tipiche sia di area pisana-valdarnese (impasti a scisti)70 sia la ceramica c.d. etrusco-padana (in particolare la ceramica depurata). Infatti se quest’ultima produzione trova confronti con esemplari provenienti dai territori vicini, come Artimino, Gonfienti o della bassa val d’Arno come Coltano e Pisa, ma chiaramente soprattutto con produzioni tipiche di importanti siti oltre l’Appennino, come Marzabotto, la ceramica d’impasto, presente in quantità senz’altro più rilevante, dimostra la presenza di collegamenti con i territori limitrofi già citati, puntando l’accento anche sull’esistenza di produzioni locali, sicuramente derivanti da modelli comuni: in questo contesto, tra gli altri, un carattere peculiare sembra svolgerlo il frammento di coperchio a calotta con presa ad anello di impasto a scisti microclastici (Scheda 69 – 2073), per la presenza di elementi analoghi in un’area piuttosto ampia, compresa tra la Garfagnana e l’isola d’Elba. Anche se da contesti molto diversi, le segnalazioni di questa tipologia di coperchio, diffusa sia lungo la valle del Serchio sia in Valdarno, ma anche nel territorio di Pisa ed in area transappenninica, evidenziano le stesse dinamiche di natura politico-commerciale che stanno dietro allo sviluppo dell’Etruria settentrionale tirrenica in periodo arcaico. Senza bisogno di vedere volontà di controllo da parte del centro alla foce dell’Arno, questi ritrovamenti testimoniano la formulazione in area tirrenica settentrionale di una comune cultura materiale che vede tra i maggiori protagonisti i centri nella valle dell’Arno e Pisa in particolare, in riferimento non solo ai traffici so classico del termine, non ultimo per la vicinanza con Faesulae. 68 Carta Archeologica 2011, p. 44 s. con bibliografia. 69 Tra i pochi elementi di corredo recuperati va segnalata una fibula di tipo Certosa, purtroppo molto frammentaria, di un tipo diffuso in Etruria in tutto il V secolo a.C. (Scheda 78 – 2038). 70 Per la particolare coloritura “pisana” delle forme ceramiche dell’impasto a scisti e per la diffusione in Etruria settentrionale si veda da ultimo Ciampoltrini 2007c, pp. 63-64. marittimi ma anche ai transiti transappenninici: tramite l’epineion di Pisa e la capacità di redistribuzione nell’entroterra attraverso il corso dell’Arno e dei suoi affluenti, non solo arrivano prodotti derivati dal commercio nel Mediterraneo anche in centri situati nell’interno71, ma, probabilmente, circolano maestranze ed idee che permeano tutta la società etrusca di periodo tardo-arcaico al punto da parlare di una vera e propria koinè anche di carattere culturale. Tra i prodotti più significativi vanno segnalate le anfore da trasporto etrusche e greche che segnano le rotte interne del commercio lungo il Valdarno, spesso accompagnate da prodotti di maggior prestigio come la ceramica attica: se a Calenzano mancano al momento ritrovamenti di ceramica attica72, il fondo di un’anfora da trasporto etrusca arcaica (tipo Py 4), rinvenuto a Casa Cafaggiolo (Scheda 68 – 2054), rende testimonianza di tali relazioni, con particolare riferimento ai rapporti con Caere. Dagli scali pisani tali contenitori erano diffusi nell’interno, in particolare lungo le valli del Serchio e dell’Arno: dalle “vie d’acqua”, attraverso alcuni vici o oppida d’altura73 come Montereggi74 o Pietramarina75, questi materiali, così come gli altri materiali di importazione, venivano distribuiti attraverso un percorso di crinale, per giungere nelle zone più interne. Tuttavia ancora una volta sono i monumenti funerari che evidenziano in maniera più netta questa sorta di koiné etrusco settentrionale capace di elaborare un linguaggio iconografico comune. Tra i monumenti che fin dall’inizio del secolo scorso hanno rivestito un ruolo di primaria importanza per la definizione dell’arte etrusca, un posto di primo piano è stato riconosciuto al cippo di Settimello (Scheda 86 – 2003): infatti se da tempo il carattere di unicità76 aveva attirato l’attenzione per l’eclettismo che portava seco, recenti studi hanno dimostrato come alla base della formazione del “maestro”77 o della “bottega” che ha prodotto questo monumento, il cippo “maggiore” del Palazzo dei Vescovi di Pistoia e il probabile altare arcaico di Fiesole78, ci sia l’esperienza di un maestro greco-orientale (chiota), arrivato a Pisa intorno al 530 a.C. e autore del noto cippo in marmo da “La Figuretta”79. Questa constatazione dimostra come alla base di una classe di monumenti considerata esclusiva di uno specifico territorio ci siano una formulazione ed un mondo di rapporti che vanno ben oltre i “confini” della chora Per quanto concerne la piana di Lucca, si veda Ciampoltrini 2007d, pp. 88-91; per Montereggi, Alderighi 1985, p. 66 e Berti 2007; sul sito di Pietramarina si vedano Bettini 2000, p. 43, Bettini 2006, Bettini 2007, Bettini 2008. Una brevissima nota sul ruolo degli insediamenti di Montereggi e Pietramarina nella più complessa rete di vie di comunicazione tra la valle dell’Arno, il Monte Albano e gli itinerari transappenninici in Bettini 2006, p. 363, Perazzi, Poggesi 2006, pp. 69-70, e Bettini 2008, pp. 421-423. 72Nel territorio del Comune di Calenzano, al momento, non è stato recuperato nessun frammento di ceramica attica, anche se una conferma del notevole flusso di merci frutto del commercio transmarino che dall’epineion pisano risaliva il corso dell’Arno possiamo ricavarla dal frammento di kylix attica a figure rosse proveniente da via Bresci, al confine tra i Comuni di Calenzano e Prato (Perazzi, Poggesi 2006, p. 70; Carta Archeologica 2011, p.315, fig. 13) e, soprattutto, dal consistente nucleo di ceramica attica, recentemente edito, proveniente da Gonfienti (Millemaci, Poggesi 2004, pp. 46-52; Poggesi 2006, p. 82). 73 Ciampoltrini 2007f, p. 70. 74 Alderighi 1985, p. 66 e, in Appendice, pp. 75-76. 75 L’importante ruolo di Pietramarina nello scacchiere delle reti commerciali nel medio Valdarno è ormai ampiamente attestato per il periodo post-arcaico, periodo di erezione delle mura, ma i numerosi materiali e gli edifici precedenti, databili tra la fine del VII secolo a.C. e tutto il periodo arcai- co, portano a ipotizzare che il motore della nascita e dello sviluppo dell’insediamento siano da ricercare proprio nella posizione privilegiata lungo le principali arterie di comunicazione (Bettini 2006, p. 363; Bettini 2008). 76 In realtà l’impressione di unicità del monumento è stata recentemente ridimensionata alla luce di ulteriori rinvenimenti, che hanno evidenziato come alla base della “scuola fiesolana” vadano ricercate esperienze di provenienza allotria, in particolare modelli derivati da artisti greco-orientali attivi a Pisa (Maggiani 2004a, pp. 161-162). 77 L’ipotesi che alla base della realizzazione del cippo di Settimello e di altri monumenti ci sia l’esperienza di un Maestro è stata proposta per la prima volta in maniera strutturata in Bruni 1994, pp. 66-67, passim, e poi ripresa in Capecchi 1996, p. 161, dove l’Autrice identifica proprio nelle opere di maggiore impegno, caratterizzate da una minore adesione alla normalizzazione iconografica, quelle realizzate dal “Maestro di Fiesole”. 78 Bruni, partendo dalla considerazione che il cippo di Settimello e i frammenti dell’altare di Fiesole, pur nella loro apparente unicità, rappresentano il primo nucleo di un nutrito numero di cippi e stelai, elenca i monumenti che in base a considerazioni di carattere stilistico e formale possono essere attribuiti allo stesso Maestro o alla stessa bottega (Bruni 1994, pp. 75-79). 79 Maggiani 2004a, pp. 161-162. 71 53 Cartografia archeologica del comune di Calenzano in modo specularmente sincretico le realtà ai piedi dell’Appennino, dove si assiste, nel VI secolo a.C., ad una riorganizzazione del territorio e delle vie di comunicazione per scopi commerciali, operazione possibile solo in presenza dell’istituto cittadino65. Del resto l’importanza dell’organizzazione territoriale della nuova66 comunità67 si evidenzia ancora di più se confrontiamo l’orientamento astronomico del centro etrusco con le tracce della centuriazione romana di Florentia: questa infatti, se risulta spostata di circa 35 gradi rispetto all’orientamento della colonia romana, è coerente con gli assi della città arcaica, testimoniando un più antico assetto del territorio su cui si sarebbe attestato il nuovo impianto coloniale68. Legenda tipo “A” =cippo cippo tipo “A”; per Barberino del Mugello = cippo tipo “B”; = cippo a clava marmoreo di tipo pisano. Figura 1: Carta di distribuzione dei cippi etruschi di facies arcaica in Val di Marina. = cippo tipo “A”; cippo tipo “B” = cippo tipo “B”; = cippo a clava marmoreo di tipo pisano. Figura 1: Carta di distribuzione dei cippi etruschi di facies arcaica in Val di Marina. = cippo tipo “A”; = cippo tipo “B”; cippo a clava marmoreo tipo pisano =dicippo a clava marmoreo di tipo pisano. Figura 1: Carta di distribuzione dei cippi etruschi di facies arcaica in Val di Marina. che dietro a tale scelta ci sia la precisa volontà di ricollegarsi all’attività della mercatura, quasi un trait d’union tra Pisa, il suo epineion e le vie del commercio transappenninico88: infatti il sito da cui provengono i due cippi è posto lungo la Val di Marina, una delle direttrici per il Mugello89, caratterizzato, anche in epoca romana, da una sviluppata ed importante viabilità e dalla presenza di sepolcreti90. Tale considerazione, oltre che dalla segnalazione di un cippo sferoidale travato a Carraia (Scheda 21), sembra confermata anche da un ulteriore importante rinvenimento, un inedito cippo sferoidale del tipo A della classificazione Magi-Nicosia (Scheda 40 – 2108) che, per quanto riguarda la sintassi decorativa, trova confronti nei noti cippi di Papiniano e di Barberino del Mugello, mentre per il motivo ad onde, piuttosto insolito tra le decorazioni delle “pietre fiesolane”, ha i riferimenti più prossimi nella decorazione accessoria della stele di Traviglioli e nel frammento di altare da Fiesole della Collezione Bacci, ma trova ampi e ben strutturati rimandi nella tradizione delle stele felsinee di pieno V secolo a.C. Se includiamo nella nostra disamina anche il già citato cippo di Barberino di Mugello, 80 In totale al momento conosciamo solo cinque esemplari marmorei di questa tipologia di monumento funebre: un cippo conico di marmo da Artimino (Nicosia 1966b, pp. 281-282; Carta Archeologica 2011, p.425, c); il “Cippo Antinori”, che Ciampoltrini ha identificato con il cippo trovato sul finire del Cinquecento a Capalle e citato dal Gori (Ciampoltrini 1980, pp. 76, 81, nota 39; Maggiani 1985, pp. 248-249); il cippo da Palastreto (Magi 1932, Appendice, p. 19, n. 2; Bruni 2002, p. 292); i due cippi de Il Pratello (Scheda 51 – 2099-2100). 81 Per una bibliografia essenziale sul tipo, si veda Scheda 51 – 2099. 82 Bonamici 1990b, p. 165. 83 Ci riferiamo in particolare alla tomba ritrovata in località Ripa, che la Paribeni collega ad imprenditori del marmo di probabile origine pisana che, attraverso le columellae marmoree segnalavano con ostentazione il proprio status (Paribeni 1999, p. 43) e al cippo della tomba 2/1984 di Monteriggioni, caratterizzato da dimensioni inusitate per la zona e da un contesto in cui la marca aristocratica è manifestata anche dalla scena di caccia rappresentata sulla base di un altro cippo a pigna pure esso di marmo (Cianferoni 2002, pp. 107-109; Maggiani 2007b, p. 55). 84 Lo sfruttamento dei giacimenti apuani doveva consistere non solo nella ricerca delle vene e nella “cavatura”, ma anche nella raccolta e lavorazione dei massi e dei blocchi già staccati e disponibili ad esempio nei greti dei fiumi (Bonamici 1990b, p. 164). Tra i rinvenimenti più distanti si segnalano il già citato cippo di Monteriggioni (si veda nota 83) e il cippo di Montalcino, da poco reso noto (Cappuccini 2008, con bibliografia). 86 Maggiani 2004a, pp. 154-155, con bibliografia. 87 Bruni 1998, p. 146. 88 Del resto il collegamento columella-Pisa è già stato considerato un legame molto stretto, al punto da definire “pisani”, in senso politico, sia il defunto della tomba in località Ripa, in Versilia (Paribeni 1999, p. 43), sia il detentore del cippo ritrovato nella necropoli della Cannicella di Orvieto (Bruni 1998, p. 147). 89 Per la viabilità in periodo etrusco, si veda Millemaci 1999. A tal proposito si ricorda, a conferma dell’importanza della rete dei valichi appenninici, lo scavo di un piccolo sepolcreto in Podere Ca’ Nove degli Ortali a Palazzuolo sul Senio, che – tra le altre – ha restituito una sepoltura maschile datata nei primi anni del VI secolo a.C., in cui al defunto, data la presenza di tre lance, si riconosceva lo status di guerriero, probabilmente a difesa dei transiti lungo le vie transappenniniche (Fedeli, Paci 2006, pp. 115-117). 90 Ad oggi possiamo affermare che nella Val di Marina, proprio lungo una direttrice viaria importante, si trovava un’area sepolcrale piuttosto estesa, della quale possiamo avere una pallida eco dai numerosi cippi lapidei recuperati, purtroppo privi di contesto di riferimento ma tutti di singolare importanza. 54 85 il cippo di Settimello (Scheda 86 – 2003), la stele arcaica di Villa Gamba (Scheda 84) e il Cippo Antinori, ritrovato nell’area dove, anticamente, il torrente Marina si gettava in Arno91, possiamo ricostruire una possibile linea di penetrazione tra il medio corso dell’Arno e l’area appenninica, compiutamente segnata da marcatori archeologici, ad indicare la via di percorrenza, sul modello attestato, ad esempio, anche nel centro di Pisa92 (fig. 1). Se questa lettura corrisponde al vero, coglie nel giusto chi93 ha ipotizzato di individuare proprio nella val di Marina il tratto iniziale del tracciato che, in epoca romana, in un periodo di particolare difficoltà di rapporti, dovuta alle intemperanze celto-liguri verificatesi in periodo post-annibalico94, metterà in comunicazione l’area di Arretium-Faesulae con Bononia: tale strada, nota anche dalle fonti95 e denominata Flamina “minor” per distin- no due piccole fornaci, i cui livelli di riempi- Figura 1. Carta di distribuzione = cippo tipo “A”; materiali = cippo tipo a clava marmoreo di tipo dei cippi etruschi di età arcaica in pisano. hanno restituito che“B”; trovano= cippo guerla dalla più nota Flaminia che collegava mento Val di Marina. Roma ad Ariminum, con il tempo perderà la confronti precisi tra l’instrumentum domesti1: Carta di distribuzione cippi etruschi di facies arcaica in Val di Marina. cum del tempo, per quanto èdei dato conoscere funzione militare per cui era nata, (ri)conqui- Figura 97 sia per la più 96 stando la dimensione “civile” in relazione sia per l’esperienza calenzanese allo sviluppo di Florentia. Sembra tuttavia sicura attestazione di Gonfienti. chiaro che il tracciato ripropone probabil- Purtroppo poco o niente sappiamo delmente un più antico percorso, i cui termini la situazione che si è venuta a creare con la fine del V secolo a.C.: tuttavia, in base ai archeologici abbiamo cercato di delineare. Su questa via di comunicazione, ad ulterio- pochi dati provenienti da Gonfienti e da re conferma del ruolo di importanza strate- Marzabotto, possiamo affermare che da una gica della Val di Marina anche in periodo parte la discesa delle popolazioni galliche98 e etrusco-arcaico, bisogna segnalare il recente dall’altra le notevoli variazioni climatiche99 ritrovamento di un’area di insediamento in mutarono profondamente il quadro del località Carraia (Scheda 23), da interpretare popolamento ed il modo di occupazione del probabilmente come un piccolo villaggio, del territorio, influendo in maniera decisa anche tipo diffuso nel territorio rurale, probabile sul tipo di contatti, che senza dubbio sono modello alla base del tessuto economico della continuati come dimostrano i materiali ellechora. Tra le attività presenti in questo pic- nistici arrivati in Etruria padana, ma oramai colo agglomerato non secondaria sarà stata la svincolati dal ruolo determinante svolto dalle produzione ceramica, testimoniata da alme- due “colonie”, alle quali si andarono sostiCartografia archeologica del comune di Calenzano fiesolana. E non sarà senza dubbio un caso che da questo comparto del territorio valdarnese provengono alcuni cippi di marmo del tipo a clava80, tipici dell’ager Pisanus81, due dei quali proprio da Il Pratello, nel Comune di Calenzano. Se la lettura qui proposta risponde a verità, non bisogna stupirsi che alcuni elementi della società decidano di proporsi alla collettività in modo diverso, con un linguaggio preciso, che evidentemente si vuole ricollegare nella forma (il cippo a clava) e nel materiale (il marmo) a quelle esperienze tipiche del centro maggiormente legato all’attività commerciale, cioè Pisa. Se infatti alcuni cippi, spesso caratterizzati da un gigantismo accentuato, spiegabile o con l’attività di scalpellini locali82 o con un provincialismo ancora di marca aristocratica83, provengono dai margini della chora pisana, nelle zone di estrazione della materia prima84, o da regioni anche piuttosto distanti85, è indubbio che tali monumenti si ricolleghino ad una tradizione antichissima attestata proprio a Pisa86. E poiché, ad eccezione del Cippo Antinori, senza dubbio uno dei capofila della produzione87, gli esemplari in questione sono coevi alla diffusione delle “pietre fiesolane”, è possibile Lamberini 1987, p. 35. Bruni 1998, pp. 233-234. 93 Uggeri 1984; Uggeri 1992; Capecchi 1996, p. 157. 94 Uggeri 1984, p. 578. 95 Liv. XXXIX, 2, 6: «et quia a bello quieta ut esset provincia effecerat, ne in otio militem haberet, viam a Bononia perduxit Arretium». 96 Uggeri 1992, p. 192. 97 Una zona produttiva per la realizzazione della ceramica è stata scavata nel 1991 nel Comune di Sesto Fiorentino in 91 92 via Morese, quasi sul confine con il Comune di Calenzano. Il contesto, datato al secondo quarto del VI secolo a.C., può dare utili indicazioni per cogliere quei caratteri tradizionali che troveranno, con la fine del VI secolo a.C., ampia risonanza nelle produzioni attestate nel sito di Gonfienti (Settesoldi, Zannoni 2000, p. 206, con bibliografia precedente). 98 Sassatelli 1990, pp. 96-97. 99 Per la piana di Lucca, si veda da ultimo Ciampoltrini 2007d, pp. 106-108; per Gonfienti, Perazzi, Poggesi 2006, pp. 70-71. 55 Legenda area sepolcrale area abitativa (tipo fattoria) area abitativa (tipo pagus) area produttiva area sacra Figura 2. Carta della distribuzione dei siti di età etrusco arcaica territorio del Comune di Calenzano. tuendo altre realtà meno strutturate100. Al contrario, almeno per quanto è possibile stabilire dai ritrovamenti pisani e dal successivo floruit di Fiesole101, la via dell’Arno non perde importanza, anzi sarà proprio l’asse EstOvest ad acquisire nuova forza. Abbiamo fatto riferimento, in sintesi, ai rinvenimenti di periodo arcaico: premesso che si tratta, nella quasi totalità dei casi, di siti di nuova occupazione, bisogna evidenziare due elementi che ci sembrano interessanti: la diffusione delle testimonianze in prevalenza lungo la valle del torrente Marina e nel territorio pianeggiante ai piedi del rilievo della Calvana e del massiccio del Monte Morello, e la completezza della documentazione, rappresentata sia da siti di tipo abitativo sia da strutture sepolcrali. L’osservazione della carta di distribuzione (fig. 2) infatti mostra come quasi tutti i rinvenimenti (13 attestazioni) si trovino lungo il torrente Marina o, comun- que, nella porzione della piana di Sesto che si incunea tra i rilievi della Calvana e del Monte Morello . Per quanto concerne il tipo di occupazione dello spazio, dobbiamo constatare che il tipo di documentazione di cui disponiamo offre, al momento, solo una pallida eco del tipo di ambiente in età etrusco-arcaica: infatti per quel che concerne le aree cimiteriali disponiamo soltanto di alcuni arredi sepolcrali (6 esemplari), anche di notevoli dimensioni ed importanza documentaria, rinvenuti in giacitura secondaria e di piccoli lacerti di possibili tombe (una punta di lancia enea associata ad una fibula dello stesso materiale da Poggio Castellare – Scheda 4), mentre, per quanto riguarda la documentazione di tipo abitativo, bisogna lamentare la manifesta incompletezza della documentazione, trattandosi nella totalità dei casi di attestazioni poco consistenti, provenienti esclusivamente da scassi per la messa in opera di fondamenta per opere di edilizia privata o da ricognizioni di superficie. Nel solo caso in cui è stato possibile realizzare uno scavo archeologico scientificamente corretto (Carraia, lottizzazione 2007 – Scheda 23), la situazione stratigrafica, benché fortemente compromessa dai passati lavori agricoli e dalle opere di urbanizzazione precedenti all’intervento di assistenza archeologica102, ha evidenziato una interessante continuità di vita e di utilizzo del territorio, con l’impianto anche di strutture a carattere produttivo103. Negli altri casi è decisamente più difficile stabilire il tipo di occupazione: sono state rinvenute situazioni e contesti come quello di Settimello (Scheda 83), in cui la continuità ininterrotta di attestazione dall’età protostorica fino al periodo tardo-romano da una parte e la consistenza quantitativa del materiale recuperato dall’altra porterebbero ad ipotizzare l’esistenza di È il caso ad esempio del centro di Monte Bibele, che vede, dopo un periodo di assestamento in cui la componente maschile a capo della comunità è per lo più gallica e si caratterizza per possesso e detenzione delle armi, una fase in cui anche frange di maschi non guerrieri, probabilmente etruschi, conquistano importanti livelli di potere, forse in relazione al commercio e alla riorganizzazione degli scambi tra il territorio padano e l’Etruria (Sassatelli 1990, pp. 98-99). Bruni 1998. Per la ricostruzione delle principali vicende che hanno interessato il sito in oggetto, si veda inoltre Tuci 2008. 103 Anche in questo caso, così come per gli esempi riportati subito di seguito, sia per la consistenza del ritrovamento, caratterizzato da strutture a carattere abitativo e a carattere produttivo, sia per la continuità di vita, si può parlare di piccolo nucleo abitativo (pagus). 100 56 Nuvola di punti un piccolo nucleo abitativo (fattoria?) posto una via di comunicazione rimasta in uso per tutta l’età antica. Considerazioni diverse probabilmente portano ad individuare un pagus nell’area di Casa Cafaggiolo (si vedano Scheda 68 e 69), ubicata ai piedi del massiccio di Monte Morello, lungo una via di percorrenza e di penetrazione verso il Mugello e verso Felsina104. In via dubitativa dunque possiamo ipotizzare che questi siti abitativi dovessero rappresentare sul territorio piccoli nuclei isolati (fattorie), nel caso delle testimonianze meno consistenti, o piccoli villaggi con più complessi raggruppati a supporto dell’economia agricola dei centri maggiori (Fiesole e Gonfienti) e sulle vie di penetrazione principali (la via d’acqua rappresentata dall’Arno e le vie di comunicazione transappenniniche). Al momento rimane di difficile definizione la natura del sito di monte Morello (Scheda 41), ma la posizione sulla sommità del rilievo più alto della regione e la lunga continuità di occupazione105 suggeriscono l’ipotesi di localizzarvi una possibile area sacra, almeno per la fase più antica. Nel quadro delineato acquisiscono particolare rilievo le testimonianze delle aree sepolcrali, che, anche in questo caso, sembrano segnare una precisa via di penetrazione dalla piana di Sesto verso l’interno; tuttavia non è possibile formulare ipotesi sul tipo di strutture tombali, delle quali non è stata trovata traccia106. Sezione Per il periodo ellenistico i dati a nostra disposizione si rarefanno, soprattutto per quel che concerne il primo Ellenismo, non tanto forse per una effettiva crisi di natura demografica, quanto piuttosto per un diverso modo di occupare e sfruttare lo spazio che la ricerca ad oggi impostata non è in grado di valorizzare. Anche in questo caso, come per i periodi precedenti, è necessario cercare conferme e linee interpretative nelle zone finitime o, comunque, nel Valdarno più in generale, perché le testimonianze recuperate nel territorio del Comune di Calenzano, seppure relative a siti numericamente non inferiori al precedente periodo, si caratterizzano tuttavia per un minor indice quantitativo, con la conseguenza che risultano difficilmente collegabili in un unico quadro d’insieme. Nel corso della trattazione delle testimonianze di periodo arcaico abbiamo accennato alla crisi che ha investito l’Etruria tra la fine del V secolo a.C. e gli inizi del secolo successivo107. In particolare, in riferimento a questo periodo, gli studiosi, anche sulla scorta delle fonti antiche, tendono ad individuare nella discesa delle popolazioni gallo-celtiche un fattore determinante per spiegare la “recessione”. In Livio infatti, nel noto passo che tratta della discesa dei Galli108, si legge che «Clusini novo bello exterriti, cum multitudinem, cum formas hominum invisitatas cernerent et genus armorum, audirentque saepe ab iis cis Padum ultraque legiones Etruscorum fusas […] legatos Romam qui auxilium ab senatu peterent misere»109. Le fonti dunque attestano che all’inizio del IV secolo a.C, quando orde di Galli discesero nella Tuscia, i centri etruschi oltre l’Appennino avevano già subito attacchi che ne avevano decretato la pesante sconfitta («legiones Etruscorum fusas»). Tale situazione trova un riscontro archeologico in Etruria padana, dove l’abitato di Marzabotto, da centro politico-commerciale di rilievo nello scacchiere dei rapporti tra l’Etruria tirrenica e le popolazioni transappenniniche, si trova a ricoprire la funzione di semplice avamposto militare, perdendo progressivamente, con l’arrivo dei “nuovi signori”, l’identità urbana110; una situazione analoga è documenta- 104 Uggeri 1984, pp. 584-586, 589-591; Uggeri 1992, p. 192; Millemaci 1999, pp. 134-135. 105 I frammenti raccolti testimoniano tracce di occupazione ininterrotta per tutto il periodo etrusco, dalla facies arcaica fino al tardo Ellenismo. 106 Strutture costruite in pietra ed interpretate come tombe sono state recentemente individuate sulla Calvana (Poggesi, Magno 2006a; Carta Archeologica 2011, pp. 266-269, PO65.), anche se i pesanti rimaneggiamenti impediscono di verificare l’effettiva consistenza della segnalazione. 107 Si vedano le note 97-98. 108 Liv. V, 33-36. 109 Liv. V, 35, 4. 110 Sassatelli 1990, pp. 96-97. Il periodo ellenistico 101 102 57 Figura 3. Carraia, lottizzazione 2007. Fornaci, restituzione con il laser-scanner (Tecsette): 1. sacnsioni; 2. nuvola di punti; 3. sezione Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scansioni transmarini119, come nel caso di Pisa. Questo centro, alla fine del IV secolo a.C., mostra evidenti segni di vitalità e ricchezza, testimoniata sia dalle importanti opere legate alla vita della polis120 sia dalla ridefinizione delle strutture politiche e produttive dell’ager121. Anche recentemente, tra le cause scatenanti che hanno condotto ad un riassetto dello spazio antropizzato, oltre a naturali movimenti di riorganizzazione interni alla società122, è stata posta l’attenzione sulla necessità di difesa nei confronti dei Galli prima e dei Liguri dopo123. In realtà, se è vero che i Liguri all’inizio del II secolo a.C. si pongono in netta contrapposizione a Pisa124, la documentazione archeologica evidenzia che tra la fine del V e l’inizio del IV secolo a.C. gruppi tribali della Liguria centrale occupano i territori intorno alle Apuane non per sete di conquista, ma perché pressati dalle popolazioni celtiche, inserendosi in spazi abbandonati dagli Etruschi padani, su linee commerciali oramai in forte crisi125. Dunque, nel periodo compreso tra il IV secolo e l’inizio del II secolo a.C. (nel 193 a.C. i Liguri attaccano Pisae e Lunae), la convivenza tra le popolazioni liguri e gli Etruschi della valle dell’Arno e del Serchio dovette essere pacifica, legata a scambi commerciali126 e rafforzata anche da vincoli matrimoniali127. Alla base del bisogno di sicurezza, per cui viene nominata prima la questione celto-gallica, poi quella ligure, c’è la nascita sul territorio dell’Etruria settentrionale di strutture, definite oppida, fenomeno piuttosto diffuso in Etruria settentrionale in periodo ellenistico. La caratteristica di questi insediamenti è rappresentata da un circuito di mura, in certi casi conservato anche per un’altezza considerevole128, che racchiude edifici civili129 o semplici apprestamenti militari130. Queste costruzioni, piuttosto diffuse in territorio fiesolano, sono nate anche in realtà finitime, come ad esempio nell’ager Pisanus, dove tali apprestamenti si trovano sia a corona della città131 sia sulla costa, a Nord132 e a Sud133 dell’epineion. Accanto a questi apprestamenti esistevano piccole fattorie, legate allo sfruttamento del suburbio134. La situazione sembra essere la stessa riscontrata in area fiesolana, dove la chora appare caratterizzata, almeno fino al II secolo a.C., da una corona di fortezze d’altura a controllo del territorio e delle vie di comunicazione135. L’aristocrazia, probabilmente, abitava all’interno dei centri maggiori, racchiusi da poderose mura. Tuttavia non bisogna pensare che le mura avessero solo la funzione di difendere. Se per quanto riguarda Pisa non è ancora chiaro se la città ne fosse o meno munita136, tutte le città etrusche più importanti ne sono dotate, e non solo per la minaccia di nemici, ma soprattutto perché tali strutture servono a definire lo spazio ideale della polis, tra lo spazio fisico del me lum (città) e quello dell’ager137: non secondario nell’economia delle nostre considerazioni il ritrovamento dei cippi di confine, da datarsi probabilmente nel II secolo a.C. proprio dalla s´pura di Faesulae138. Cercando di riassumere i termini della questione, noteremo che l’invasione gallo-celtica ha senza dubbio rappresentato, per il periodo immediatamente successivo alla caduta di Veio, un elemento destabilizzante per l’Etruria propria, causando, probabilmente, fenomeni migratori “di ritorno”139 e necessità di riassetto interno, soprattutto per quel che riguarda le vecchie vie di comunicazione che perdono la loro centralità e finiscono sotto il controllo dei “nuovi signori”; anche la presenza ligure può aver significato, soprattutto per le regioni più settentrionali, un fattore di notevole instabilità, ma anche una ricchezza, soprattutto in termini di approvvigionamento di legname e di prodotti legati all’attività silvo-pastorale140; senza dubbio la regione è stata soggetta a imprevedibili eventi climatici che hanno notevolmente modificato il quadro insediativo, costringendo le realtà più organizzate, come i centri urbani, ad un riassetto delle vecchie strutture di carattere pubblico danneggiate dalle inondazioni141, e cancellando o impoverendo le piccole realtà locali legate ad una economia di sussistenza142 già fortemente provate dal riassetto a cui il Mediterraneo e l’Etruria nello specifico sono sottoposte dalla seconda metà del V secolo a.C. fino agli inizi del successivo. Ma un elemento da non sottovalutare, che ha rappresentato un indice di forte insicurezza sul territorio, è la presenza sulla scena centro-italica della potenza di Roma, la quale, dopo essere riuscita a stringere una alleanza politica con Pisa, utilizzerà il porto come scalo militare143 e commerciale144, laddove altre città dell’Etruria setten- Bettini 2000, p. 39; Bettini 2008, pp. 412-416. Come accade, oltre che a Pietramarina (Bettini 2008, pp. 416-420; Carta Archeologica 2011, pp.382-392, CR5), anche a Poggio la Croce a Radda in Chianti, Cetamura a Gaiole in Chianti o a poggio La Croce a San Casciano in Val di Pesa (Cianferoni, Baroncelli 2007). 130 Un esempio è rappresentato dalla fortezza d’altura di Poggio Civitella a Montalcino (si veda da ultimo Donati, Cappuccini 2008). 131 Bruni 1998, p. 231. 132 Maggiani 2007a, p. 181; Maggiani 2008, pp. 355-360. 133 Palladino, Regoli 2007. 134 Bruni 1998, p. 228. 135 Maggiani 2008, pp. 365-366. 136 Bruni 1998, pp. 228-232. 137 Bruni 1998, p. 232; Zifferero 2006b, p. 404, con bibliografia. Lambrecht 1984, pp. 325-326. Si veda da ultimo Maggiani 2007c, p. 166, con bibliografia. 139 Maggiani 2007b, p. 138. 140 Ciampoltrini 1998, pp. 206-207. 141 Si data agli anni attorno al 300 a.C. una potente esondazione dell’Auser che, nel cuore di Pisa, ha riportato uno strato di limo che ha cancellato le strutture templari di Sant’Apollonia e di piazza Duomo, a cui è seguita una repentina ricostruzione (Bruni 1998, p. 221). 142 Ciampoltrini 2007b, pp. 106-108; Perazzi, Poggesi 2006, pp. 70-71. 143 In Polyb. II, 27,1, 28,1 si legge che il console C. Attilio cercò di raggiungere un gruppo di Galli diretto verso Roma; ancora da Polibio (III, 56, 5) e da Livio (XXI, 39) sappiamo che il porto fu eletto sede dell’esercito romano guidato da P. Cornelio Scipione. 128 129 111 Ibidem, p. 97. Da tale desolante quadro sembrano emergere solo alcuni centri che o per posizione lungo rotte commerciali a lungo raggio (Mantova) o perché naturalmente difesi (Spina e Adria), mantengono il loro ruolo (ibidem, pp. 98-100). 112 Ibidem, p. 98. 113 Tra le maggiori conseguenze è interessante notare il tracollo delle importazioni di materiali dai mercati transmarini, a fronte dei numerosi esemplari importanti tra il VI e la prima metà del V secolo a.C. 114 Cristofani 1977, p. 76. 115 Maggiani 2007b, p. 138. 116 Cristofani 1977, p. 79. 117 Boldrini 1991, p. 261. 58 Bruni 1997, p. 154. Bruni 1998, p. 236. 120 Degne di nota le ristrutturazioni delle aree sacre di via S. Apollonia e di piazza del Duomo (Bruni 1998, pp. 221-225). 121 Bruni 1997, p. 154. 122 Solitamente, per quanto riguarda i movimenti e le problematiche di tipo sociale, un elemento indispensabile per la discussione è quello di natura epigrafica e prosopografica, che per l’area in esame è assolutamente inconsistente. 123 Bettini 2000, p. 46. 124 Strab. V, 2, 5. 125 Maggiani 2004b, p. 371. 126 Ciampoltrini 1998, pp. 206-208. 127 Bruni 1998, pp. 234-235. 118 119 138 59 Cartografia archeologica del comune di Calenzano ta a Felsina, dove si assiste alla rioccupazione delle vecchie sedi necropolari, non tanto per mancanza di spazi da utilizzare, quanto piuttosto per una probabile contrazione del centro abitato111. I Galli, interessati ad assumere il ruolo di intermediari tra Mediterraneo e continente europeo, operarono in modo da riorganizzare una vasta rete di traffici con l’Etruria e l’Italia centrale, sfruttando in particolar modo gli insediamenti di montagna, a controllo dei valichi appenninici112. Si assiste quindi in tutta l’Etruria centro-settentrionale ad una evidente contrazione, non tanto della popolazione, quanto degli interessi di più ampio respiro (commerciali)113 con un evidente ripiegamento su politiche agricole tese alla produzione di beni di consumo primario. Tale fenomeno non sembra senza conseguenze anche dal punto di vista del tipo di popolamento, che in certe realtà, come Chiusi, corrisponde ad una occupazione capillare dell’ager114. Per Volterra invece la situazione sembra diversa, in quanto nel IV secolo a.C. si dota di un circuito murario che racchiude una porzione di territorio molto ampia, evidenziando un notevole inurbamento115; a questo fa riscontro un territorio finitimo poco popolato116, mentre si sviluppano piccoli centri sui bassi rilievi della Valdelsa117 e della Valdera118, popolati da una classe media, accanto ai quali vecchie e nuove aristocrazie rurali consolidano il proprio potere. In alcuni casi, tuttavia, assistiamo anche a fenomeni che evidenziano non solo un notevole fermento edilizio, ma anche importanti attività legate al commercio e ai rapporti popolazione rurale aveva cercato, soprattutto nell’incipiente IV secolo a.C., rifugio tra le mura cittadine? Oppure le città protette da un sistema difensivo già solido, costituito o dalla posizione favorevole149 naturalmente difesa o dalle poderose mura150? Se ri-consideriamo quanto detto a proposito dei santuari di frontiera e della valenza politica che alcune di queste strutture potevano avere, possiamo pensare che in un periodo di instabilità, con le vie di comunicazione private in gran parte del loro ruolo di raccordo collegato alla “mercatura” (più che a fini bellici), e le città rese più insicure dalla posizione “di frontiera” rispetto alle popolazioni più riottose provenienti da Nord (gallo celtiche e liguri) e dall’incipiente pericolo della potenza di Roma da Sud e da Est (il mare), i centri più importanti abbiano “sostituito” la “corona sacra” in posizione liminare con una “corona murata”, realizzata attraverso piccoli centri fortificati151. Questi, una volta persa la funzione di controllo in un territorio reso ormai sicuro dall’assoggettamento alla politica romana e, anche grazie a questa, dalla sconfitta dei popoli transappenninici, con il tempo vengono depauperati della loro ragione, finendo così, nella maggior parte dei casi, per essere abbandonati o per trasformarsi in piccoli nuclei abitativi, la cui fine sarà decretata proprio da quel fattore che era stato motore dell’incipiente favore: la “lontananza” dalle zone meglio raggiungibili e più favorevoli agli spostamenti veloci. Con l’avvenuta romanizzazione gli oppida cessano di esistere, mentre 144 Bruni 1998, p. 238. È interessante notare la presenza di latini attestati da iscrizioni graffite su utensili, sia nel centro cittadino (Bruni 1998, p. 239), sia nell’ager (Bruni 1997, p. 167). 145 Liv. X, 12, 4; Maggiani 2007b, p. 138. 146 Per quanto riguarda Populonia, di recente, è stata avanzata l’ipotesi, suggestiva anche se da dimostrare con dati più certi, che in realtà l’edificazione del circuito murario sia stata «favorita o addirittura incoraggiata» dagli interessi romani, sul tipo delle fortificazioni di Cosa, nell’ambito della realizzazione di un sistema di fortificazioni sulla costa anticartaginese (Benvenuti 2006, pp. 430-433). 147 A Chiusi, nel II secolo a.C. gli insediamenti rurali sono l’80% in più rispetto al periodo arcaico (Cristofani 1977, p. 76), mentre a Volterra si assiste tra la fine del III ed il II secolo a.C. allo sviluppo dei piccoli centri nel territorio (castella) che, nati già nel precedente periodo, acquistano nuova forza e nuovo impulso (Cristofani 1977, p. 79; Bonamici 1985, pp. 136-137; Boldrini 1991, p. 262). 148 Per il caso emblematico del sacello di Poggio Civitella, si veda Donati, Cappuccini 2008, pp. 235-240. 149 È il caso ad esempio di Pisa, posta all’interno di una zona lagunare. 150 Come nel caso di Volterra o di Fiesole. 151 Abbiamo già fatto riferimento al singolare caso di Pietramarina; tuttavia più emblematica appare al momento la situazione di Poggio La Croce, a Mercatale Val di Pesa: anche in questo caso è possibile ricostruire l’avvicendarsi diacronico del potere gentilizio (tumulo), area sacra (frammenti di bronzetti, V secolo a.C.?) e oppidum da datarsi ad epoca ellenistica (Cianferoni, Baroncelli 2007). 60 continuano la loro esistenza i piccoli centri o le fattorie che avevano resistito alla crisi del primo Ellenismo. Il territorio di Calenzano In questo contesto vanno collocati i rinvenimenti del territorio del Comune di Calenzano che, se pure in numero quantitativamente ridotto, sembrano confermare l’ipotesi di popolamento avanzata per tutto il territorio fiesolano. Accanto a piccoli nuclei d’altura o oppida (non abbiamo reperito tracce di fortificazioni), come quelli che si trovavano a Poggio all’Aia (Scheda 41) e al Boscaccio (Scheda 53), quasi una cornice a difesa del territorio e delle vie di comunicazione, si dovevano trovare nella piana e nel paesaggio pedecollinare piccoli insediamenti a carattere agricolo, che sostenevano, con i loro prodotti, l’economia del territorio e che saranno la base per lo sviluppo delle ville e delle fattorie in periodo romano. Questi insediamenti sfruttavano i canali e le opere di bonifica realizzate già in periodo arcaico, vera e propria base gromatica per l’impianto della centuriazione della piana, che risulterà, proprio in virtù di questa preesistenza, spostata rispetto a quella della colonia di “nuova fondazione”, Florentia. Tra i reperti più significativi si segnala un frammento di tegola iscritta, trovata in località Torri (Scheda 17 – 2139), che testimonia la presenza in loco di un piccolo gruppo familiare. È necessario soffermarsi sul caso di Travalle, Podere Castellaccio-Poggio Castelluccio (Schede 33-34), anche recentemente definito “castelliere” con riferimento al sistema di cui abbiamo precedentemente parlato152, ma che in realtà i dati ricavati da uno scavo diagnostico mostrano sotto tutt’altra luce. Le indagini compiute per conto della SBAT hanno infat- Maggiani 2008, p. 366. Wentkowska 2007. 154 A tal riguardo andrà notato che la ceramica da fuoco, così come quella da dispensa, valutata essenzialmente per la propria funzionalità, veniva spesso prodotta per il 152 153 ti evidenziato la presenza di un insediamento romano, a carattere probabilmente agricolo e di natura stabile, sulla sommità della collina, con scarsi ma significativi segni di precedenti occupazioni. Le preesistenze riferibili sicuramente al periodo ellenistico sono poche e consistono in pochi frammenti rinvenuti dal GAF nel 1979 (fra cui frustoli di ceramica a vernice nera e una moneta in bronzo, un asse repubblicano del tipo con la prora di nave sul verso), e comunque non tali da presupporre un abitato d’altura strutturato tipo oppidum. L’unico elemento che, con margine piuttosto ampio, può essere definito tardo-etrusco è un frammento di piatto in ceramica grigia (Scheda 34 – 2105 ), che nella forma richiama la ceramica presigillata volterrana, e nel tipo di impasto la ceramica grigia diffusa lungo il bacino dell’Arno tra III e II secolo a.C., rinvenuto come materiale residuale, in uno strato che conteneva materiali della prima età imperiale. Sempre nell’ambito dei piccoli centri/fattorie a carattere produttivo bisogna segnalare anche il sito individuato nell’area del Castello di Sommaia (Scheda 65), recentemente pubblicato153, che alla luce dei frammenti esaminati dimostra un’importante continuità abitativa a partire dal IV secolo a.C. fino al periodo medievale. I materiali, rinvenuti sicuramente in giacitura secondaria, datano al momento la prima fase di vita del sito al periodo ellenistico, con una occupazione verosimilmente ininterrotta fino al II secolo d.C., a sostegno dell’ipotesi di insediamenti pedecollinari a carattere produttivo. Alla tipologia dei piccoli centri tipo pagus, già ricordata per la sua importanza nel periodo arcaico, va ascritta invece l’area di Casa Cafaggiolo (si vedano le Schede 68 e 69). Il sito ha restituito non solo numerosi frammenti di vasi di ceramica comune, di forme piuttosto diffuse in tutto il periodo ellenistico seppure di chiara produzione locale154, ma mercato interno da artigiani locali e, proprio per il tipo di utilizzo, non era sottoposta ai “cambiamenti di moda” che permettono di seguire lo sviluppo formale in una diacronia di lungo periodo. 61 Cartografia archeologica del comune di Calenzano trionale si scontreranno sul proprio territorio con truppe romane145 o costruiranno mura in funzione antiromana146. Fino all’ultimo quarto del III secolo a.C., quando gran parte delle città d’Etruria parteciperanno alla spedizione romana contro Annibale, anche Roma ha rappresentato un pericolo: e non sarà forse un caso che gli oppida d’altura sembrino esaurirsi alla fine del III secolo a.C., che città come Velathri non emettano più la propria moneta e che il territorio torni a popolarsi in modo diffuso e capillare147. Senza addentrarsi dunque nel problema della romanizzazione, che, oggi, viene affrontato in termini di acculturazione, dove non si tratti di invasioni o scontri bellici, né delle reali motivazioni che portarono alla creazione di strutture d’altura che, evidentemente, dovevano svolgere un ruolo difensivo rispetto alla chora dei singoli centri urbani, ma anche funzione di controllo rispetto alle principali vie di penetrazione, ci limiteremo a constatare che in molti dei siti d’altura nominati si riscontra una doppia fase di occupazione, con strutture diverse corrispondenti a funzioni diversificate: se infatti per il periodo arcaico è documentato un utilizzo di tipo sacro, caratterizzato dalla presenza di piccole stipi o sacelli148, in periodo ellenistico, a partire da IV secolo a.C., le alture tendono a perdere la connotazione del “sacro”, caratterizzandosi sempre più come piccoli centri racchiusi da mura con spiccata valenza profilattica. Ma che cosa si doveva difendere? Un territorio in gran parte caratterizzato da un popolamento diffuso, la cui periodo ellenistico, al pari di quanto abbiamo già notato per i siti di facies arcaica, statisticamente sono pochi quelli in cui è evidente una continuità di vita dal periodo precedente. Tra questi solo il sito di Monte Morellopoggio all’Aia (Scheda 41) affonda le proprie radici nella piena classicità per esaurirsi sicuramente con il periodo ellenistico, mentre quelli di Carraia, lottizzazione 2007 (Scheda 23) e Casa Cafaggiolo, areale Est (Scheda 69) mostrano una continuità di occupazione sia con il periodo etrusco di facies arcaica sia con il periodo romano imperiale157. Tutte le altre attestazioni sembrano di nuova occupazione, anche se la maggior parte non avrà soluzione nel periodo ellenistico, ma proseguirà fino alla seconda metà del II secolo d.C., quando nuove forme di occupazione del territorio ridisegneranno il quadro del popolamento nel territorio a Nord dell’Arno in questo particolare settore. L’esame della distribuzione dei ritrovamenti (fig. 4) mostra non solo una diversa dislocazione degli stessi, ma anche quello che potremmo definire un modo diverso di occupare lo spazio: la creazione del sito d’altura, il c.d. oppidum. Per la facies ellenistica dunque non dobbiamo parlare di calo demografico158, ma di diversa modalità di occupazione e sfruttamento del territorio. Anche per quel che riguarda i riti di sepoltura, a fronte di monumenti che evidenziano lo status ed il rango della gens, in periodo ellenistico le sepolture perdono l’importanza e la monumentalità della precedente fase, per restare, anche quando si tratti di personalità legate Bianchini 1998. Sempre da Casa Cafaggiolo proviene un frammento di coppa in ceramica valdarnese (Scheda 69 – 2080), tecnicamente molto vicina alla produzione di Luni, ulteriore testimonianza del pieno inserimento del sito nella rete di diffusione dei commerci tra l’area del medio Valdarno e la costa. 157 In entrambi i casi si tratta di realtà per le quali è possibile ipotizzare una sorta di piccolo villaggio o nucleo di occupazione con una durata ininterrotta dal periodo arcaico fino al tardo-antico. 158 I siti attestati per la facies ellenistica sono al momento 12 rispetto ai 13 di facies arcaica. Tuttavia, è giusto sottolineare che il quadro proposto per il periodo ellenistico potrebbe subire notevoli modifiche: infatti le maggiori attestazioni di periodo ellenistico – nella maggior parte dei casi bibliografiche – si collocano topograficamente sui rilievi o comunque in zone non vallive, in contesti che, tra l’altro, sono caratterizzati attualmente da scarsa visibilità superficiale in quanto coperti da bosco, mentre la campionatura del territorio ha nettamente privilegiato le zone vallive e/o coltivate, tralasciando ampie porzioni di bosco. 155 156 62 all’aristocrazia rurale159, nell’ambito “intimo” della res privata: se infatti in periodo arcaico i monumenti sepolcrali, con il loro messaggio ideologico, si collocavano lungo le vie di comunicazione principali, in periodo ellenistico si assiste, così come per i nuclei abitativi, ad una loro apparente decentralizzazione. Solo i pagi, i piccoli nuclei a carattere produttivo nella piana, sembrano mantenere il precedente ruolo ed una loro centralità all’interno del tessuto del popolamento rurale, mentre nuovi nuclei nascono sui rilievi. Anche in questo caso non è semplice riuscire a definire il ruolo del sito di Monte MorelloPoggio all’Aia, poiché le indagini di superficie non hanno evidenziato tracce di fortificazioni (riferibili dunque ad un oppidum) o strutture riferibili ad una’area sacra. Nel complesso i materiali recuperati attribuibili al periodo ellenistico sono pochi, anche se significativi per riuscire a delineare le linee di sviluppo e di presa di possesso del territorio. Cartografia archeologica del comune di Calenzano anche due frammenti di ceramica a vernice nera cd. “aretina”, databili intorno alla prima metà del I secolo a.C. Tale attestazione risulta piuttosto significativa nell’economia del nostro discorso: se infatti fino al II secolo a.C. si trovano in tutta l’area dell’Etruria tirrenica settentrionale prodotti importati da Volterra, per tramite dei centri della Valdelsa-Valdipesa da una parte e della Valdera dall’altra, con il II secolo a.C. si assiste prima alla nascita di figlinae nella zona del Valdarno inferiore (Pisae, Luca155 e Lunae156) che irradiano i loro prodotti anche nell’interno, e successivamente, nel corso dell’incipiente I secolo a.C., al passaggio lungo il corso dell’Arno di prodotti a vernice nera di produzione aretina, nobile antecedente del più massiccio flusso di ceramiche sigillate Arretino modo confectae che dalla seconda metà del I secolo a.C. percorreranno il corso del fiume fino al Portus Pisanus. Del tutto diverso quindi risulta il quadro rispetto al periodo precedente: infatti, pur non mutando di molto il dato numerico (12 siti attestati, rispetto ai 13 del periodo precedente), ciò che sembra totalmente diverso è il modo di occupazione del territorio. Se infatti nella facies arcaica abbiamo notato la presenza di testimonianze sia abitative sia sepolcrali nella valle del torrente Marina, e più in generale nella parte pianeggiante della regione, con il periodo successivo sembra di assistere ad una sorta di risalita verso le zone più elevate. È necessario a questo punto notare che, anche in virtù della diversa dislocazione topografica, tra i siti frequentati in Legenda area sepolcrale area abitativa (tipo fattoria) area abitativa (tipo pagus) area abitativa (tipo oppidum) area sacra Come sembra il caso attestato a Torri (Scheda 17). Tale considerazione, ovviamente, non è sempre valida, come dimostra il caso del contesto di San Martino alla Palma, a Scandicci, dove, nella prima metà del XVI secolo, furono rinvenuti una statua femminile acefala ed un cippo a colonnetta decorata, due eccezionali monumenti della scuola 159 scultorea etrusco tirrenica settentrionale di periodo ellenistico, in cui la preziosità del materiale (marmo apuano) si sposa ad una ricercatezza monumentale di tipo eminentemente aristocratico (Bonamici 1985, pp. 130-132; Benelli 2007, p. 172). 63 Figura 4. Carta della distribuzione dei siti di età ellenistica nel territorio del Comune di Calenzano. Il territorio di Calenzano in età romana A partire dal 180 a.C., con la deduzione della colonia di Luca (Lucca), iniziò lo stanziamento romano nell’Etruria settentrionale1 in coordinamento con le truppe impegnate nelle operazioni militari contro le popolazioni liguri stanziate sulle dorsali montuose dell’Appennino pistoiese e lucchese tra il Mugello e la Versilia2. La strategia dell’insediamento romano nel Valdarno e nella Lucchesia, dettata inizialmente da una politica espansionistica che molti storici hanno definito “imperialismo difensivo”3, trovava il suo fulcro nella costruzione della via consolare Cassia e, successivamente come sua continuazione, nella realizzazione della via Clodia4. Dal territorio di Faesulae la Cassia arrivava fino a Lunae passando per Pistoriae5 e Luca6; fu, inizialmente, soprattutto via militare7. Durante gli ultimi anni della repubblica romana, quelli a cavallo tra l’esperienza sillana e la definitiva affermazione di Augusto, la Tuscia è stata teatro delle sanguinose vicende di Catilina, che tra Fiesole e Pistoia ebbero gli scenari più cruenti8, e del collasso definitivo della compagine etrusca. Per la storia regionale e la riorganizzazione del tessuto insediativo, particolare rilievo assunse la definizione del centro abitato di Florentia, all’inizio probabilmente come castrum, incentivata poi con la centuriazione dell’agro (fig.2) e l’assegnazione di terreni ai veterani delle legioni di Cesare (legge agraria cesariana del 59 a.C.)9. Recenti scavi archeologici hanno chiarito che fu con Augusto, tra il 30 e il 5 a.C., che Florentia e il suo territorio acquisirono un nuovo e decisivo impulso10. La deduzione della colonia fiorentina offrì un punto di riferimento al nuovo assetto dell’Etruria settentrionale11 e lo stanziamento di nuovi coloni e veterani, avvenuto secondo una rigorosa e razionale pianificazione, favorì la nascita di centinaia di insediamenti agricoli nelle pianure del Valdarno12: ville, fattorie, piccoli centri rurali occuparono tutto il territorio13 seguendo, nelle pianure, l’organizzazione della centuriazione tracciata nelle aree circostanti le principali città14. La via Cassia-Clodia divenne parte integrante della centuriazione della nuova colonia. La strada seguiva un percorso pedecollinare scandito da mansiones e stationes che prendevano il nome dal numero del miglio di distanza dal foro di Florentia. Ancora oggi, partendo da Firenze, sono presenti i toponimi di Terzolle, Quarto, Quinto, Sesto e Settimello. In quest’ultima località, l’antica Ad Septimum (?)15, situata nel territorio comunale di Calenzano nei pressi del suo confine orientale, si sviluppò un centro abitato importante, testimoniato dalle monumentali rovine di un ninfeo ottagonale (fig.1), riferibile ad una villa o ad una statio posta lungo la direttrice viaria, e dall’abbondanza di frammenti ceramici e scultorei che testimoniano l’ampia durata del sito, dal I secolo d.C. al tardo Impero16. Nelle vicinanze, in località il Lopes Pegna 1974, p. 36. Rauty 1988, p. 14; sulla romanizzazione della Lucchesia, si veda Ciampoltrini 2003, pp. 45-50. 3 Gambaro 1999, p. 16. Il problema della romanizzazione dei territori italici e provinciali alimenta il dibattito storiografico circa l’esistenza o meno di una precisa politica “imperialista” da parte di Roma nella sua espansione in Etruria e nella Gallia Cisalpina. A riguardo si vedano Gabba 1988; pp. 27-44, Clemente 1990, pp. 375-376, 380-381; Bandelli 1998, anche nota 7, passim. 4 Sommella 2006, pp. 70, 201. 5 Nell’area dell’attuale città non sono documentate frequentazioni precedenti il II secolo a.C., si veda Vannini 1985,.pp. 20-21 e nota 46. 6 Sulla via Cassia-Clodia, si vedano Miller 1941, p. 290; Ciampoltrini 2006b, pp. 63 ss.; Giannoni 2006, pp. 31-34. 7 Rauty 1988, p. 14; sulle strategie romane per i territori conquistati, si veda Bandelli 1998, pp. 148-150. 8 Lopes Pegna 1974, pp. 38-40; Rauty 1988, pp. 16-18. 9 Lopes Pegna 1974, pp. 48-49. 10 de Marinis 1996, pp. 36 ss. Ciampoltrini 2007a, p. 13. Ciampoltrini 1981b, p. 46; si veda, ad esempio, l’alto numero di insediamenti romani individuati nella piana di Lucca, in Ciampoltrini 2004a, pp. 15 ss.; Ciampoltrini 2004b, pp. 29-32. 13 Per l’area pistoiese, si veda Ciampoltrini et alii 2000, pp. 255 ss., in particolare p. 260 ss. 14 Per la centuriazione dei territori pistoiese e fiorentino, si vedano Castagnoli 1948, passim; Lopes Pegna 1974, pp. 46, 49; Ciampoltrini 1981b, p. 46; per il popolamento romano nella Lucchesia, si vedano Ciampoltrini 2004b, pp. 15 ss.; Berti 1985, pp. 9 ss; Ciampoltrini 2007c, pp. 14-17; si vedano in proposito anche i dati raccolti dai sepolcreti in Ciampoltrini, Bigagli, Palchetti 2005, pp. 101-103; Ciampoltrini 2006a, pp. 21-22; per il Casentino, si veda Ducci 1999, pp. 74-76. 15 Sommella 2006, p. 163, scheda 810. 16 Si vedano Scheda 81 – 2029, 2030; Repetti 1833-1846, p. 258; de Marinis 1982, pp. 357-358; Carta Archeologica 1995, pp. 34, 37-39. 1 2 64 11 12 Neto, fu rinvenuta anche una stele funeraria integra caratterizzata da un frontone sommitale con cornice modanata e datata all’età imperiale17. Sul reperto sono scolpiti un kantharos da cui fuoriescono due tralci d’edera con corimbi. Sotto il frontone, sostenuto da due paraste scanalate sormontate da capitelli corinzi, è visibile un festone, decorato con elementi vegetali, appeso a due borchie. Al di sotto, una tabella con iscrizione C.SALFEIO. CLEMENTI.FESTVS.LIB sostenuta da una colonna al cui fianco sono scolpiti due delfini. Vista l’area di rinvenimento, si può ipotizzare l’attribuzione del reperto ad un sepolcreto posto, lungo la via Cassia-Clodia18, vicino all’incrocio con la vallata del torrente Marina. Molti studiosi indicano il luogo come importante nodo stradale almeno fin dall’età etrusca19. Qui immagine AUT Dopo Settimello, procedendo verso Ovest, la Tabula Peutingeriana20 colloca sulla CassiaClodia il toponimo Ad Solaria. Il vocabolo è da alcuni collocato in località Le Querce di Pizzodimonte21, da altri posizionato più a Est presso il ponte sul torrente Marina22. Se sulla localizzazione precisa mancano dati definitivi, non vi è incertezza nell’affermare che in questo tratto di via consolare vi fosse un importante incrocio con la via transappenninica che, lungo la valle dei torrenti Marina e Marinella, collegava la pianura fiorentina con il Mugello (Ad Vicesimum-Barberino23) e quindi con Bologna24. Secondo una recente ipotesi, nella strada della Val di Marina si potrebbe riconoscere un tratto della Via (Flaminia) a Bononia Arretium, costruita nel 187 a.C. dal console C. Flaminio. Tale strada attraverserebbe il territorio di Calenzano fiancheggiando i limiti orientali della valle, dirigendo da Settimello subito verso Nord Minto 1914, p. 229; Ciampoltrini 1981a, pp. 47-52; Ciampoltrini 1982, pp. 2-12. 18 Si veda Scheda 87 – 2004. 19 Per il periodo etrusco si veda Baldini, supra. 20 Bosio 1983, Segmentum III, 2. 21 Magi 1929, Tavolette III-IV; Miller 1941, p. 290; Carta Archeologica 2011, p. 315. 22 Lopes Pegna 1974, pp. 220-221; Sommella 2006, p. 9, scheda 34; per quanto riguarda la viabilità di quest’area in età etrusca, si veda Poggesi 2000, pp. 61-64. 17 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Andrea Magno senza toccare Ad Solaria25. Giova ricordare che proprio sulle colline che dominano da Est la valle di Calenzano si trova l’importante sito archeologico di Casa Cafaggiolo (Scheda 68), che ha restituito abbondanti reperti ceramici riferibili ad un contesto insediativo sviluppatosi in età tiberiana e durato fino alla metà del II secolo d.C. Sebbene attualmente non sia ancora conosciuta l’esatta posizione della statio Ad Solaria, l’abbondanza di reperti e di siti archeologici censiti negli ultimi anni consente di definire l’importanza del tratto della via consolare in quest’area del territorio di Calenzano così strategica per la viabilità antica. Si ricordano la necropoli con tombe ad incinerazione in località Casa al Piano26 (Scheda 9) e l’impor- Sommella 2006, p. 10, scheda 39. Sulla strada romana si vedano Sterpos 1961, p. 14; Lopes Pegna 1974, pp. 220-221; Plesner 1979, pp. 30-32; Rauty 1988, p. 16; Uggeri 1992, pp. 191-196; Carta Archeologica 1995, I.3, pp. 7, 23, 25-26, 28-29; Sommella 2006, p. 9, scheda 34. 25 Uggeri 1984, pp. 577-593; Gottarelli 1986, pp. 128-129; Caselli 1992, p. 106. 26 Sommella 2006, p. 9, scheda 34. 23 24 65 Settimello, chiesa di Santa Lucia, vasca ottagonale. Figura 2. La centuriazione nel territorio dei Comuni di Calenzano, Sesto Fiorentino, Campi Bisenzio e Prato. tante sito che doveva sorgere all’VIII miglio nella zona dell’odierna Villa Bartolini (Scheda 78) – e nella vicina località Casa Garzola (Scheda 79) – , nel quale sono stati recuperati molti reperti che fanno pensare all’impianto di una villa o di una fattoria databile fra il I secolo d.C. e il tardo Impero. Maggiori elementi sono stati raccolti nello scavo stratigrafico condotto in località Perfetti Ricasoli (Scheda 80), vicino al casello autostradale di Calenzano. Le indagini hanno evidenziato i resti, ormai poco leggibili, di una fattoria, obliterata dal limo alluvionale di un vicino canale (stratigraficamente documentato), che ha restituito pregevoli frammenti di suppellettile domestica in ceramica sigillata italica e in vetro, e una piccola porzione di skyphos di ceramica invetriata. Tali reperti attribuirebbero le emergenze al periodo compreso tra la prima metà del I secolo d.C. e la piena età flavia. Nel sito è stato raccolto anche un tubulo da parete che riferirebbe i reperti raccolti ad una villa rustica di periodo imperiale. 28 Poggesi, Magno 2006, pp. 137-138. 29 Le murature sono realizzate in opus incertum con pietre 27 66 Anche lungo la già descritta via transappenninica che, lungo la valle dei torrenti Marina e Marinella, collegava la pianura fiorentina con il Mugello, sono stati individuati molti siti archeologici. Si devono segnalare il sito di Casa Zerino (Scheda 60), in cui sono stati censiti materiali databili tra la fine del I secolo d.C. e la fine del IV-inizi del V secolo27, e le emergenze in località Montedomini-La Chiusa28 (Scheda 36), scoperte durante i lavori per la costruzione delle casse di espansione del torrente Marina. Il contesto si è rivelato subito di notevole interesse poiché le ricerche hanno evidenziato un edificio a pianta rettangolare (fig. 3), probabilmente una fattoria, caratterizzato da un grande ambiente centrale coperto e “pavimentato” con ciottoli di piccole dimensioni. Adiacente ad esso sono stati trovati una piccola stanza deputata all’immagazzinamento (fig. 4) e due alae laterali, una delle quali solo ricostruibile perché fortemente lacunosa29. Sotto lo strato di obliterazione dell’area, che ha restituito materiale tardo-imperiale, è stato rinvenuto il crollo dei laterizi (fig. 2) da copertura che ha sigillato l’area permettendo non solo di recuperare notevole materiale, ma di stabilire anche con assoluta precisione le cause della distruzione e del conseguente abbandono. Al di sotto del crollo sono stati infatti trovati strati di bruciato, le travi della carpenteria e relativi chiodi30, ma anche le architravi delle aperture delle porte, in corrispondenza con le soglie. I materiali recuperati, oltre alle cinque anfore ancora in situ che hanno permesso l’identificazione certa del locale “magazzino” – se ne segnala una del tipo Dressel 7-11 di produzione betica e utilizzata per il trasporto di garum –, contano anche numerose forme vascolari di ceramica da cucina e da mensa, tra cui un’olletta in pareti sottili e alcune coppe in sigillata italica. Una tra queste, grazie al bollo rettangolare sul fondo e alla tipologia ceramica, è databile con una certa precisio- di alberese grossolanamente sbozzate e commesse a secco; per un confronto si veda Millemaci 2004, pp. 46, 51. 30 Per un confronto si veda la chioderia in Mariotti 2004, pp. 289 ss. Figura 4. Montedomini, La Chiusa. L’ambiente “magazzino” in corso di scavo. ne entro il 20 d.C. La coppa in questione è stata prodotta a Pisa nella bottega di Cn. Ateius Euhodus, un liberto del noto produttore (2019)31. L’edificio può essere considerato una fattoria anche in virtù degli utensili da lavoro trovati in notevole quantità sotto il crollo32: un coltello, un falcetto, un’ascia, un giavellotto, molti chiodi e numerose chiavi in ferro. All’interno di un vano è stato scoperto anche un focolare addossato alla parete Sud e costituito da embrici posati in piano delimitati da pietre di piccole dimensioni. La cenere e le tracce di annerimento indicano che sul piano erano collocate le braci accese. Il vasellame veniva appoggiato direttamente sulle braci oppure tenuto sollevato con appositi treppiedi. Il muro del vano era protetto dal fuoco del focolare con la messa in opera di una grande lastra di calcare posta verticalmente33. Dopo l’incendio la zona è stata nuovamente frequentata, ma in modo sporadico, in epoca tardo-imperiale, come documentano i materiali tardi e le monete basso imperiali rinvenuti negli strati superiori. Lungo il percorso transappenninico, poco più a Nord, è ipotizzabile la presenza di Per la diffusione di sigillate di produzione pisana, si veda anche Millemaci 2004, p. 54. 32 Analogie con le strutture scavate in via Martiri Lunatesi a 33 31 Capannori in Giannoni 2006, pp. 59-62. Seppur più tardo, un confronto stringente per il focolare è descritto in Lavazza, Vitali 1994, p. 21, fig. 3. 67 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Figura 3. Montedomini, La Chiusa. L’edificio in corso di scavo. della Cassia-Clodia provenienti da Ovest, di raggiungere la zona di Carraia e la strada del Mugello senza attraversare in larghezza la Val di Marina al suo sbocco nella pianura di Florentia40. A conferma delle potenzialità strategiche del territorio in esame giova annotare che nei secoli successivi al crollo dell’impero romano la rete viaria rimase praticamente immutata e attiva. Durante il Medioevo, sul tracciato della via Cassia troviamo documentata la Strada Maestra per Prato o Via Maestra Pratese, mentre la strada che sale lungo la Marina verso Nord assunse il nome di Strada Maestra Barberinese o Via Mugellese41. I dati archeologici documentano dunque la notevole densità insediativa di epoca romana in tutta l’area del territorio di Calenzano manifestando forti analogie con i modelli interpretativi proposti per le altre aree dell’Etruria settentrionale42. Un paragone assai stringente è possibile delineare con l’area lucchese. Appare evidente che l’occupazione anche di quella porzione di territorio toscano, secondo un progetto ben definito, sia stata attuata proprio a partire dall’età augustea43. Anche nell’area pratese e in quella pistoiese i dati confermano la ricostruzione proposta con una più consistente diffusione di reperti proprio nel periodo tra la fine del I secolo a.C. e la prima metà del I secolo d.C.44. Diverso risulta il quadro di diffusione delle emergenze archeologiche rispetto al periodo ellenistico mutando di molto il dato numerico, ma soprattutto la scelta di posizionare le aree abitate in luoghi non più d’altura. L’esame della distribuzione dei ritrovamenti di età romana mostra un modo diverso di Lopes Pegna 1974, p. 314; Lamberini 1987, pp. 99-100. Si veda Baldini, supra. 36 Sommella 2006, p. 41, scheda 200. 37 Si veda Baldini, supra. 38 Carta Archeologica 1995, I.3, p. 18; CIL XI, 1644, 1677. 39 Sommella 2006, p. 41, scheda 200. Dopo le indagini archeologiche, le vestigia della villa sono state nuovamente interrate, si veda Scheda 45, fonti di archivio. 40 P oggesi 2006, pp. 82-83: la viabilità etrusca tra Calenzano-Travalle e Firenze-Sesto Fiorentino, Fiesole e Artimino. Lamberini 1987, pp. 29-30. Per la Lucchesia, si vedano Ciampoltrini 2004b, pp. 15 ss; Zecchini 2006, pp. 351-355. Si veda, ad esempio, anche la Valdinievole nel Pistoiese (Gambaro 1997, pp. 54-59; Patera 1997a, pp. 85-96; Patera 1997b, pp. 48-49); per l’insediamento in epoca romana nell’area fiorentina a Sud dell’Arno, i confronti in Rastrelli 2006, pp. 285-287. 43 Zecchini 2005, pp. 55-74. 44 Per Pistoia si veda la nota 5; per l’area pratese, si veda De Tommaso 2008, pp. 97-100. 34 35 68 41 42 occupare lo spazio. Il territorio fu fittamente abitato sia nella fertile pianura che nel settore collinare, in particolare quello orientale della Val di Marina, nel quale le caratteristiche geologiche e quelle dell’esposizione solare favorivano l’agricoltura45. Il reticolo abitativo di Calenzano romana raggiunse il suo culmine nel periodo tra la fine dell’età repubblicana e la prima età imperiale in stretta relazione con lo sviluppo del tessuto centuriato di Florentia46. Considerando quanto detto fin qui e sommando i dati della facies etrusca a quelli di epoca romana si può confermare che, anche nell’area calenzanese, su alcuni contesti di età arcaica si sono sovrapposte realtà abitative romane47: ciò non sorprende se si considera che nelle due fasi storiche si erano riproposte le stesse condizioni politico-economiche che favorivano lo sfruttamento agricolo della valle del torrente Marina e la parte pianeggiante della regione. Tale struttura insediativa proseguì quasi immutata fino alla tarda antichità. È possibile rafforzare tale ricostruzione utilizzando anche la mappa dei toponimi prediali quali “Calenzano”, “Carpognana”, “Fabiano”, “Fibbiana”, “Fisciano”, “Fondigliano”, “Fulignano”, “Mignano”, “Salenzano”, “Secciano”, “Volmiano”: tutti vocaboli di origine latina che oggi sono la traccia di un territorio densamente abitato in età romana perché ricco da un punto di vista agricolo e perché strategico per i flussi commerciali che fluivano lungo le sue strade. A tal proposito giova evidenziare le analogie dei dati archeologici e toponomastici di Calenzano con quelli di alcune zone dell’agro fiorentino48. A proposito dei traffici commerciali si devono ricordare le ceramiche sigillate di produzione pisana e l’anfora da garum rinvenute nel sito di Montedomini-La Chiusa49. Quei reperti certamente sono stati trasportati a Calenzano dal porto di Pisae50 lungo l’antica via fluviale dell’Arno utilizzata, anche in età etrusca51, fino all’area fiorentina. Le merci potevano percorrere, lungo l’Arno, la via Quinctia52 attraversando l’area di Empoli53 e quella di Montelupo54. Raggiunta Florentia, il viaggio commerciale diretto verso il settentrione proseguiva sulla via Cassia-Clodia fino al già menzionato diverticolo nel territorio di Calenzano, la Via (Flaminia) a Bononia Arretium per il Mugello55. Particolare importanza ha assunto il posizionamento tramite GPS delle tracce in superficie dell’acquedotto romano individuato in Val di Marina e già ben documentato dal Chiostri nella monografia del 200256. Le fonti storiche hanno trasmesso abbondanti notizie dell’acquedotto di Florentia. Il Villani, ad esempio, nella Cronica afferma che l’antico acquedotto captava le acque dalla Marina57. Sulle tracce del cronista fiorentino, anche il Vasari ricorda «uno acquedotto antico fatto da’ romani per condurre acque da Valdimarina a Firenze»58. Si veda Pallecchii, supra. Sull’organizzazione del territorio fiorentino in epoca romana, si veda Shepherd 2006, pp. 15-26. 47 Si vedano le Schede 23 (Carraia, lottizzazione 2007) e 69 (Casa Cafaggiolo, areale Est): si tratta di due siti archeologici che documentano una frequentazione ininterrotta dal periodo arcaico fino all’età tardo-antica. 48 Lopes Pegna 1974, pp. 390 ss.; Lamberini 1987, p. 26. Un confronto per i toponimi prediali in Battisti 1943, p. 19; per un confronto con la toponomastica dell’area fiorentina, si vedano Granucci 2006, pp. 289-296. 49 Per la diffusione di sigillate di produzione pisana, si veda Bacci, Fiaschi 2001, p. 83, n. 3; Millemaci 2004, p. 54. 50 Sull’importanza del porto di Pisa si vedano Pasquinucci 2001, pp. 93-97; Ducci, Pasquinucci, Genovesi 2005, pp. 29-44; Ducci 2006, pp. 234-236. 51 L’antichità del percorso è documentata dall’abitato etrusco di Montereggi posto a controllo del corso dell’Arno nella zona di Capraia e Limite; si veda Berti 2007, pp. 399-400, con bibliografia precedente. Sulla via Quinctia (strada Florentia-Pisae) si veda Lopes Pegna 1974, p. 232; Mosca 1992, pp. 91-108; Mosca 1994, p. 178; Sommella 2006, p. 203: la via prende il nome dal miliario di T. Quinctius Flamininus ritrovato in località San Michele a Luciana in Comune di Montelupo Fiorentino; si veda anche in Shepherd 2006, p. 22. 53 Sulla statio di Empoli e sul suo porto fluviale, si vedano Ristori 1980, pp. 911-928; Città di Empoli 1984, pp. 15-22. 54 L’importanza strategica di Montelupo Fiorentino nella viabilità antica, oltre che dal miliario ricordato nella nota 52, è documentata dai reperti archeologici provenienti dagli scavi nelle località Montereggi in Berti 2007, pp. 399-400 e bibliografia precedente. 55 Sui flussi commerciali nell’Etruria settentrionale, si veda Ciampoltrini 2007a, pp. 66-67. 56 Chiostri 2002, passim. 57 Villani, Nuova Cronica, Libro II, cap. I, pp. 45-46. 58 Vasari, Le vite, V, pp. 284-285. 45 46 52 69 Cartografia archeologica del comune di Calenzano un’altra area sepolcrale romana posta nella vicina località di Carraia. Murate nelle pareti della Pieve di Santa Maria, sono state documentate due stele funerarie di epoca romana34. Come già detto, tale località ha restituito anche reperti di epoca etrusca35. I siti indagati consentono dunque di definire con una certa precisione il tracciato di tutta la rete viaria antica del territorio di Calenzano. A Sud dell’attuale centro urbano si trovava il tracciato della Cassia-Clodia con andamento pressappoco Est-Ovest e le stationes Ad Septimum e Ad Solaria. Da questa direttrice si dipartiva il già descritto percorso transappeninico; al momento non è dato sapere da dove si distaccasse la strada verso Nord. Giova ricordare però anche un secondo tracciato viario verso Nord: esso lasciava la via consolare Cassia-Clodia all’altezza della località La Querce di Pizzodimonte e fiancheggiava i limiti occidentali della Val di Marina in direzione di Macia di Sotto, area ricca di frammenti ceramici e laterizi relativi ad un insediamento di epoca romana36. Proseguendo verso settentrione, raggiungeva la fertile località di Travalle. Di quest’ultima area devono essere ricordati i siti di Castelluccio (Scheda 34), già attivo in età repubblicana37 ma fiorito soprattutto in età medio augustea e tiberiana, del Pratello, relativo al ritrovamento di due cippi funerari di periodo etrusco-arcaico di cui uno riutilizzato in epoca romana come segnacolo sepolcrale38, e della località Podere Montisi che ha restituito, durante varie indagini archeologiche, imponenti resti murari di una villa rustica pavimentata con mosaici39. Il percorso descritto, di probabile origine etrusca, consentiva dunque, ai viandanti Successivamente Bartolomeo Scala, nella seconda metà del XVII secolo, riporta alcune notizie dello speco e delle sue strutture legate al territorio di Calenzano59. In tempi più recenti, la scoperta dello speco, lungo la via Militare Barberinese che da Calenzano conduce a Barberino, risale al 1969, quando, durante i lavori di manutenzione della strada, furono messe in evidenza ampie parti di muratura in calcestruzzo ancorate al declivio collinare60. Sono ancora visibili, sopra la trafficata sede stradale, i resti della volticciola di copertura realizzata con schegge di pietra locale immerse nel calcestruzzo tenace di colore bianco. All’interno è possibile osservare il condotto rivestito di una malta idraulica fortemente concrezionata che conserva ben nitide le tracce del tavolame di armatura. Gli studi del Chiostri hanno dimostrato che l’acqua di Florentia proveniva tutta dalla Marinella di Legri e che il condotto, datato al II secolo d.C.61, si sviluppava lungo un percorso tra la Val di Marina e Firenze di circa 16 chilometri, oggi in gran parte ricostruito topograficamente62 (fig. 5). Se è ancora difficile riuscire a capire l’effettivo tracciato nella zona di San Donato, le ricognizioni nella zona de La Chiusa sembrano aver riscontrato, nei pressi dell’attuale abitato, i resti del condotto, reso manifesto nel bosco lungo i limiti orientali della valle non solo dalla presenza di frammenti di opus coementicium, ma anche dall’assenza di alberi di alto fusto in una stretta fascia di terreno in cui sono sotterrate le strutture dell’antico condotto63. Lo speco procede accostato al declivio collinare orientale della Val di Marina, a monte della via Barberinese. Il rilievo topografico del condotto ha anche consentito di localizzare, con buona approssimazione, l’area in cui doveva trovarsi la piscina limaria, lo sbarramento dell’invaso artificiale riconoscibile forse nel rialzo arti- 59 Scala, Equitis Florentini, I, p. 6: l’acquedotto era alimentato con l’acqua «e Amarine flumine». 60 Sulle prime scoperte si veda Chiostri 2002, pp. IX-X. 61 Ididem, pp. 53, 59; secondo il Maetzke (Maetzke 1941, p. 67) e il Lopes Pegna (Lopes Pegna 1974, p. 138) l’acquedot- 70 ficiale su cui insistono gli edifici del piccolo gruppo di case in vocabolo La Chiusa. In tale località, in un piccolo terrazzamento posto pochi metri a Est dell’abitato, è stato possibile, infatti, posizionare con il GPS l’ultimo tratto archeologicamente riconoscibile della condotta che, per la posizione e per l’altimetria, può essere interpretato come relativo alla presa dell’acquedotto. Le tracce dell’antica diga, secondo i dati altimetrici e l’analisi del territorio, potrebbero essere conservate nell’improvviso salto di quota – di oltre 4 m – che si riscontra procedendo da Nord a Sud, dall’area dell’abitato de La Chiusa (con una quota di 93 m slm, presso il ponte della Strada Provinciale 8 sulla Marina di Legri) verso un largo pianoro posto a meridione di esso (con una quota di 88,50 m slm). Tale salto di quota segue una linea retta nel punto più stretto della valle e divide i terreni pianeggianti posti a settentrione dell’abitato a circa 93 m slm dai campi sensibilmente più bassi localizzati a Sud de La Chiusa. Chiudendo l’intera vallata del Marina nel suo punto più stretto (solo 200 m di larghezza), gli ingegneri romani avrebbero potuto appoggiare il terrapieno della diga alle robuste pendici dei monti e avrebbero potuto raccogliere le acque di entrambi i torrenti, la Marinella di Legri e la Marina, diminuendo, anche nei periodi di siccità, i rischi di un quantitativo di acqua insufficiente a soddisfare il fabbisogno di Florentia. A tal proposito è necessario segnalare che esiste un piccolo corso d’acqua che sgorga perennemente nella piccola valle che discende lungo le pendici settentrionali del Boscaccio, colle posto a Sud de La Chiusa, e si immette nella Marinella di Legri a Nord dell’abitato stesso, in prossimità del viadotto omonimo dell’autostrada del Sole. I territori pianeggianti posti alla quota superiore potrebbero essersi formati nei seco- to dovrebbe essere datato alla metà del I secolo d.C. Chiostri 2002, pp. 10-11. 63 Si ringrazia Mauro Bacci per aver indicato a chi scrive la posizione di ampie porzioni di acquedotto. Cartografia archeologica del comune di Calenzano Didascalia img 304: La ricostruzione del tracciato dell’acquedotto nell’area de La Chiusa secondo il Chiostri (da Chiostri 2002) li successivi all’abbandono degli impianti dell’acquedotto con il lento accumulo di materiali alluvionali. Nel maggio del 2011, ai margini del bosco posto a Sud-Est dell’abitato de La Chiusa, durante i lavori per le opere infrastrutturali relative all’ampliamento della vicina autostrada del Sole, è stato possibile realizzare un sondaggio archeologico che ha interessato un’area di circa 90 m² comprendente i resti visibili di più strutture in opus coementicium. Poiché i resti archeologici risultavano posti lungo la direttrice dell’acquedotto romano di Florentia ricostruita dall’Ing. Frido Chiostri64, la Soprintendenza ha ritenuto necessario ispezionarla con somma cura. Dopo l’indagine, è emerso che l’opus coe- menticium non era parte di una struttura in situ, ma era semplicemente un frammento di muratura antica riutilizzata per sostenere, a valle, una strada vicinale. La prosecuzione delle ricerche ha tuttavia consentito di scoprire altre due strutture murarie in opera cementizia, parallele e a poca distanza tra loro (solo 0,75 m), che si sviluppavano poco più a Ovest del muro precedentemente indagato, lungo un asse approssimativamente Nord-Sud. Sono state riconosciute diverse Unità Stratigrafiche Murarie, tutte caratterizzate dall’utilizzo di un tenace conglomerato composto da malta bianca e scaglie di calcare di piccole dimensioni uniformemente distribuite. Le strutture, demolite nella parte superiore dalle 62 64 Chiostri 2002. 71 Figura 6. Rilievo delle strutture dell’acquedotto romano rinvenute nei pressi della località La Chiusa. Figura 7. Sezione dello speco. attività agricole, si presentavano addossate, verso Est, alle pendici della collina conservando un profilo piuttosto irregolare; verso valle (a Ovest), invece, le murature mantenevano un limite a linea retta (figg. 6-7). Nel settore meridionale dello scavo è stato indagato, per circa 0,40 m, un altro breve frammento di muro, il cui lato occidentale appariva perfettamente rettilineo. Esso è risultato largo 0,55 m. Subito a Nord, è emersa un’altra struttura muraria, di forma quadrangolare65, con un lato (Ovest) rettilineo. Questa struttura quadrangolare, benché rasata, si è conservata in altezza per circa 0,20 m al di sopra delle altre murature descritte, segno che, in origine, essa doveva essere un pilastro sviluppato per una certa altezza. La porzione di terreno compresa tra i due muri paralleli è stata accuratamente esplorata, rivelando i resti dello speco di Florentia. Il fondo della conduttura conservava ancora il rivestimento di intonaco idraulico, mentre le pareti dello speco ne erano prive66. Per quanto riguarda il fondo del condotto è da segnalare che, lungo il suo lato Ovest, è conservata una canaletta larga circa 0,20 m e profonda circa 0,08 m. Tali piccoli canali avevano lo scopo di favorire lo scorrimento dell’acqua durante le operazioni di pulizia dello speco. La struttura aveva le seguenti dimensioni: lato Ovest circa 1,50 m; lato Nord circa 1,25 m; lato Est circa 1,25 m; lato Sud circa 1,50 m. 66 Parti del rivestimento, crollate dopo l’abbandono della 65 72 Le due strutture in opera cementizia, nonostante la totale assenza di materiali datanti, possono essere ascritti all’epoca romana in virtù dei materiali costruttivi impiegati e delle tecniche edilizie utilizzate. Esse formano due spallette, poste alla distanza di 0,75 m una dall’altra, relative a un canale rivestito (sul fondo e, anticamente, anche sulle pareti) di cocciopesto/malta idraulica per impermeabilizzare la conduttura al suo interno; a seguito del rinvenimento di un crollo all’interno dello speco, è possibile ipotizzare l’esistenza di una copertura realizzata in materiale cementizio e pietre. Queste caratteristiche, analoghe a quelle dei tratti già conosciuti dell’acquedotto unite alla perfetta linearità della struttura e alla realistica possibilità che essa proseguisse sia verso Nord che verso Sud, consente di confermare, senza ombra di dubbio, di aver intercettato con le indagini archeologiche un segmento della conduttura romana. La presenza di un contrafforte di sostegno del muro-spalletta a valle (non altrimenti documentato in altri tratti dello speco rinvenuti negli anni passati) può far pensare alla possibilità che in questo punto il monumento fosse in parte seminterrato o completamente fuori terra e quindi visibile dalla campagna67. Per quanto riguarda la presenza delle fondazioni di due probabili pilastri, si è notato che le due strutture sono legate allo speco, ma non sembrano avere la funzione di sostegno dell’acquedotto rinvenuto poiché sono situate a monte di esso. É possibile interpretarli come piloni di sostegno di un monumento che si sviluppava in elevato, forse caratterizzato da archi in muratura: ad esempio un acquedotto su arcate. Per una conferma definitiva dell’ipotesi proposta, sarebbe necessario verificare la presenza di altre fondazioni analoghe lungo il percorso dello speco. Si è inoltre notato che la quota del fondo dello speco rinvenuto sia corrispondente alla quota del tratto di acquedotto già nota da precedenti studi e visibile a poche centinaia struttura, sono state rinvenute nel riempimento. 67 Il contrafforte US 17 presentava un paramento di buona fattura e non sembrava costruito contro terra. di metri più a Sud lungo la via Barberinese (fig. 8). Essendo noto che la direzione dell’acqua trasportata segue una pendenza in discesa dall’incile (Loc. La Chiusa) alla destinazione finale (Firenze), è possibile sostenere che i due tratti analizzati (quello oggetto della presente relazione e quello lungo la via Barberinese) facciano parte dello stesso monumento. L’acquedotto di Florentia68, come supposto anche dalla Lamberini69, partiva dunque dall’area de La Chiusa e, mantenendo la mensura declivitatis, raggiungeva il vocabolo Madonna del Facchino e proseguiva in direzione Sud-Ovest, verso la collina di San Donato. É ancora difficile riuscire a capire l’effettivo percorso della condotta nella zona di San Donato. In quest’area già il Chiostri ipotizzava due possibili tracciati. Un’ipotesi vedeva l’acquedotto aggirare la collina di San Donato percorrendone i fianchi occidentali dopo aver attraversato, su pilastri, la valle posta a Sud della località Madonna del Facchino. L’altra ricostruzione del Chiostri consisteva nel tracciare una possibile scorciatoia del condotto che attraversasse in sotterranea la collina di San Donato nella zona dove oggi insiste la galleria del Colle dell’autostrada A1. Una variante della prima “ipotesi Chiostri”, potrebbe essere quella dello speco che percorresse fedelmente la curva di livello di una quota prossima ai 90 m slm. sia a Nord che a Sud di San Donato. Per gli ingegneri romani era importante ottimizzare la costruzione dell’opera idraulica controllando i costi di realizzazione e i criteri altimetrici necessari a conservare la giusta pendenza dirigendo lo speco verso Firenze. Ciò potrebbe far propendere per la seconda ipotesi del Chiostri relativa all’attraversamento dell’altura di Colle nella dorsale che collega la collina di San Donato con le pendici del Monte Morello, ma è altrettanto evidente la difficoltà di realizzazione di uno scavo in galleria all’interno di terreni arenacei a bassa compattezza. Inoltre, la quota della giusta Sui bacini di raccolta e di regimazione, si veda Chiostri 2002, pp. 13-14. 68 mensura declivitatis ci informa che i costruttori avrebbero dovuto realizzare una lunga galleria sotterranea di oltre 500 m perforando la base della collina. Attualmente nell’area sono in corso le attività edilizie per le nuove corsie autostradali e i movimenti di terra sono sottoposti a sorveglianza archeologica. Sono stati eseguiti, inoltre, 35 saggi archeologici preventivi nei terreni a Sud del toponimo di Madonna del Facchino. I risultati dei saggi sono stati negativi, avendo accertato solo che la zona in esame era già stata fortemente sconvolta dalla costruzione dell’autostrada agli inizi degli anni Sessanta del XX secolo. Nessun saggio archeologico ha restituito emergenze del condotto e dunque oggi non è possibile confermare nessuna delle due ipotesi del Chiostri in merito al passaggio dell’acquedotto nell’area della collina di San Donato. Attraversata la vallecola del Chiosina, l’acquedotto proseguiva verso Firenze passando a valle degli attuali impianti della cementeria Buzzi Unicem e raggiungendo poi i margini dell’antico borgo di Settimello. Qui si accostava nuovamente al fianco della collina, quasi sicuramente fiancheggiando a monte il tracciato dell’antica via CassiaClodia, e, passando sopra il parco del Neto, entrava nell’attuale territorio comunale di Sesto Fiorentino nella zona dell’attuale Villa Gamba-Ghiselli70. Nel territorio di Calenzano, l’acquedotto fu realizzato sotto forma di speco interrato sul fianco orientale della vallata della Marina, 69 70 Lamberini 1987, pp. 26 ss. Chiostri 2002, pp. 17-18. 73 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Figura 8. Sezione dell’acquedotto romano di Florentia visibile presso la Strada Provinciale Barberinese. Calenzano medievale1 Figura 9. La sezione dello speco dell’acquedotto visibile dalla via Barberinese. Elementi di metodo in leggera pendenza verso la piana. Nel caso dell’acquedotto di Florentia, la mensura declivitatis è stata calcolata essere di 47 m di dislivello tra l’incile de La Chiusa e la quota di calpestio presso lo sbocco in città71. Osservando i manufatti visibili in località La Chiusa, è stato possibile raccogliere alcuni dati tecnici circa la metodologia utilizzata dai costruttori dell’acquedotto fiorentino che, per lunghezza e per portata, aveva un’importanza abbastanza limitata. Le prime operazioni furono caratterizzate dallo scavo della lunga trincea di alloggiamento dello speco. Sul fondo della trincea venne quindi realizzato un getto di calcestruzzo di base sul quale poté successivamente essere approntato il tavolame di supporto per le colate di malta idraulica, necessarie per formare il canale di scorrimento dell’acqua, e per l’imposta della volta. All’interno del condotto risultano ancora visibili le impronte in negativo delle tavole lignee. Sopra le colate di malta della conduttura, sono ben conservate le schegge di pietra disposte a volticciola. Questa struttura, ricoperta dal calcestruzzo costituente la parte sommitale della struttura idrica, era protetta superiormente da uno strato di argilla e da un 71 Ibidem 2002, pp. 106-117. ammasso di pietre che avevano la funzione di impermeabilizzare lo speco72. Frantumandosi la civiltà romana e tutto il suo sistema socio-economico, anche la distribuzione degli insediamenti nel territorio di Calenzano si trasformò radicalmente. I resti archeologici tardo-antichi ed altomedievali diventano più rari e più difficili da interpretare. Probabilmente, in quel periodo, l’acquedotto di Florentia, pur mantenendo in certi casi la propria monumentalità sul territorio, perse la sua fruibilità e si riempì di detriti. Contemporaneamente, il sistema delle ville e delle fattorie subì una radicale riduzione quantitativa e qualitativa. Tuttavia, a fronte di molti luoghi abbandonati, altri sopravvissero subendo però notevoli cambiamenti d’uso, come nel caso della villa romana di Podere Montisi a Travalle, i cui strati di abbandono furono utilizzati, in epoca altomedievale, come area di sepoltura. Altri insediamenti invece rimasero in vita, senza soluzione di continuità e quasi indisturbati, ben oltre il periodo di passaggio dall’età antica al medioevo: è un fenomeno riscontrato archeologicamente nei siti di Castelluccio, di Baroncoli e del Castello di Calenzano. 72 74 Ibidem 2002, pp. 147-148. Il territorio di Calenzano è stato a lungo al centro delle vicende storiche che interessarono i dintorni di Firenze, svolgendo a più riprese ruoli significativi quale parte rilevante di un medesimo contesto territoriale. La stessa redazione della Carta Archeologica ha permesso di constatare (e, più volte, confermare con ricchezza di elementi documentari materiali) come si tratti di un ambiente che, con una sostanziale continuità, è stato abitato fino da epoche remote. La posizione e la conformazione altimetrica – un erto “scoglio” ben difendibile, ma addirittura contiguo ad una pianura fertile e nel contempo più volte importante crocevia fra regioni e importanti insediamenti di fondovalle, e tuttavia ben collegato alle vicine creste collinari che discendono dalle “montagne” di Val di Marina, in diverse epoche storiche – ne ha reso strategicamente rilevante il controllo (che, almeno nell’età di mezzo, coincideva con il suo possesso); una condizione che, unitamente ad una peculiare produttività del suo territorio, ne hanno costituito, fino dall’antichità, il motivo di una centralità sempre rinnovata e durata a lungo. Dopo aver partecipato a pieno titolo della storia fiorentina dal XIII al XIV secolo, Calenzano si è trovato a vivere ai margini del grande palcoscenico della storia toscana e italiana: considerato ancora negli anni Sessanta del secolo appena trascorso come “zona depressa”, ha, magari proprio per questo, potuto mantenere quasi inalterate le caratteristiche acquisite nei secoli del Medioevo e della prima età moderna. In seguito, con il grande sviluppo industriale degli anni Sessanta del Novecento e dei decenni successivi, la piana di Calenzano ha cambiato fisionomia; ma questo vasto, improvviso e, a volte, tumultuoso sviluppo non ha tuttavia riguardato la parte più settentrionale del territorio calenzanese e, in particolare, ha 1 I capitoli “Elementi di metodo” e “I reperti mobili” sono stati realizzati rispettivamente con la supervisione scientifica di Guido vannini (G.V.) e con la collaborazione di Sara Melosi (S.M.). Ringraziamo la dottoressa Angelica risparmiato l’integrità della Val di Marina e delle pendici collinari che la circondano; e lo stesso Calenzano castello, ancora chiuso nelle sue mura trecentesche, ha potuto conservare, ben leggibile, una straordinaria sequenza stratigrafica nei suoi elevati, che ne fanno uno dei castelli meglio “leggibili” dell’intero contado fiorentino, e nella vasta area suburbana costituisce certamente un unicum. Questo prolungato isolamento di una gran parte del territorio che circonda Calenzano consente oggi all’archeologo e allo storico di potervi documentare piuttosto chiaramente le tracce che la storia vi ha lasciato al suo passaggio. Il programma di studi avviato qualche anno fa, di cui la collaborazione per il settore postantico costituisce una organica “ricaduta”, condotto su base archeoinformatica, ha già prodotto una messe di documentazioni di notevole articolazione e consistenza, e nel contempo numerosi spunti per l’interpretazione dei fenomeni storici che interessarono la Calenzano medievale. Per le analisi sono stati impiegati i metodi dell’archeologia “leggera”, integrando i dati dell’archeologia degli elevati e dell’archeologia dei paesaggi su base informatica. L’indagine sulla viabilità medievale nella zona, basata sulle “linee di attraversamento”, ha quindi costituito la matrice strutturale, e lo schema teorico, entro cui si è inserita la ricerca archeologica territoriale. Si è quindi anche sperimentato un approccio di indagine per aree morfologicamente e culturalmente omogenee, in modo da ottenere una documentazione di grande dettaglio per settori del territorio che si erano configurati, nel Medioevo, come vere e proprie aree subregionali, e in cui è stato possibile osservare (come in un microcosmo) le dinamiche storiche che hanno più in generale interessato l’intero comprensorio calenzanese. Lo stesso castello di Calenzano, la cui analisi è partita dalla selezione di alcuni contesti murari campione scelti in base alla loro rilevanza di fonti materiali per la ricostruzione Degasperi per i preziosi consigli e le discussioni scientifico-metodologiche riguardo ai reperti ceramici, e il dottor Alessandro Neri per i disegni dei materiali qui pubblicati. 75 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Guido Vannini, Laura Torsellini della storia del sito in rapporto al suo territorio, ha quindi costituito il primo “polo” della ricerca, cui si è appunto affiancata l’analisi territoriale e, infine, l’avvio dello scavo del castello di Travalle. Più in generale, e sotto il profilo dell’approccio di metodo, la gestione delle informazioni e la contestualizzazione spaziale dei dati prodotti dalle indagini territoriali, così come la struttura della comunicazione del Progetto “Calenzano medievale”, sono affidate ad un sistema informativo geografico correlabile a quello specifico della Carta. Infatti l’informazione archeologica in ambiente GIS è uno strumento facilmente consultabile anche dai non addetti ai lavori, utile alle amministrazioni in funzione della pianificazione territoriale e della salvaguardia del patrimonio archeologico-paesaggistico. La creazione di una prima mappa interattiva collegata alla banca dati delle schede archeologiche, dalla quale si accede alle indagini più approfondite (sito, letture stratigrafiche degli elevati, scavo) fornisce la “porta” d’accesso all’impalcatura del GIS, strutturata su più livelli di indagine (fig. 1). I siti sono classificati sia per tipologia che per grado di “rischio archeologico”, potendo attuare in tal modo un’immediata identificazione sia dei siti che delle strutture che 76 più necessitano di un intervento di tutela. In base ai criteri dell’archeologia del paesaggio e alla strategia di ricerca del Progetto, il GIS è orientato su tre livelli di scala e di analisi: – indagini su “macro-scala” (livello inter-siti): analisi dei siti nell’ambito del territorio subregionale, indirizzata a indagare i caratteri del popolamento e le problematiche della tutela e conservazione; – indagini su scala “inter-media” (livello sitoambiente): analisi del singolo sito in rapporto con il territorio circostante, in funzione (anche) di identificare i fattori ambientali che potrebbero costituire un rischio di degrado al sito/monumento; – indagini su “micro-scala” (livello intrasito): le analisi delle evidenze archeologiche del singolo sito (letture approfondite mediante le metodologie dell’“archeologia leggera” o di scavo). Il paesaggio viene, così, analizzato come un contesto dinamico costituito da differenti trasformazioni spazio-temporali in cui l’insediamento, in quanto luogo d’incontro di una comunità, costituisce il punto chiave d’osservazione, da cui estrarre parametri oggettivi per far emergere modelli insediativi. Una selezione dei risultati scientifici ottenuti nell’ambito del progetto sono poi confluiti nel progetto di tutela delle testimonianze archeologiche del territorio di Calenzano, e cioè nella redazione di questa carta archeologica. In altri termini, i “prodotti” delle ricognizioni mirate – di conserva all’intero gruppo di lavoro e sulla scorta degli elementi relativi alla topografia medievale verificati o ricostruiti nel corso del Progetto “Calenzano medievale” – sono stati integrati, con qualche tratto sperimentale, con le letture archeologiche “leggere”, in particolare derivate dalle letture stratigrafiche e tipologiche degli elevati, ottenendo così di potere stabilire un vero collegamento documentario “stratigrafico” anche con le numerose fonti “non materiali” (scritte in particolare) di cui il territorio medievale dispone. È ormai inequivocabile, infatti, che ogni aspetto di un territorio antropizzato, dalle sue caratteristiche morfologiche ai resti di strutture in elevato o interrate, ai reperti mobili di ogni genere che al suo interno vengono recuperati, partecipa a ricostruirne la storia e fa parte della sua “archeologia”. [G.V., L.T.] La viabilità Il ruolo politico di Calenzano sembra essere stato legato, anche nel Medioevo, alla viabilità a lunga percorrenza che attraversava il territorio e che proprio qui aveva uno degli snodi principali di comunicazione tra l’Italia transappenninica e il Centro-Sud. Due gli assi strategici di questo sistema di comunicazione internazionale: la Cassia/Francigena, che collegava Lucca ad Arezzo e poi a Roma, e la viabilità appenninica tra Firenze e Bologna, il cui asse principale passava per la Val di Marina. Si trattava di un crocevia posto in una posizione strategicamente fondamentale: non solo dominava l’incrocio dei due assi viari di primaria importanza, ma si trovava vicino alla linea di confine tra la diocesi fiorentina e quella pistoiese. Il territorio di Calenzano era inoltre il punto i cui venivano a contatto tra di loro le signorie di tre potenti famiglie comitali: gli Alberti, signori di Prato e della Val di Bisenzio, i conti Guidi, potenti fra Romagna toscana, Casentino e, appunto tramite la Val di Marina, il pistoiese, e gli Ubaldini che dominavano il Mugello. Calenzano venne così a rappresentare l’ultima roccaforte in territorio fiorentino, prima di quella delicata zona di confine che era l’area pratese. Oltre alla viabilità di fondovalle, il territorio di Calenzano ha sfruttato quella di mezza costa, che collegava il castello, le grandi aree urbane di Prato e Firenze, ma anche lo stesso Mugello e, oltre, il bolognese attraverso le pendici della Calvana e del Monte Morello. Gli insediamenti che ancora oggi ne punteggiano i versanti sorsero infatti lungo vie percorribili da uomini e muli ed è proprio grazie alla dislocazione di questi insediamenti che oggi è possibile ricostruirne i percorsi. Il tragitto a Ovest della Marina saliva da Filettole, sul versante pratese della Calvana, fino sul crinale accanto al “chiesino” di Cavagliano per ridiscenderne poi a Cavagliano e proseguire a mezza costa fino a Torri (Scheda 18) e, più avanti, a Vezzano (Scheda 13), Valibona e Casaglia per arrivare al passo delle Croci. Su questo itinerario principale si innestavano tutte le varianti che provenivano dalla Val di Marina e salivano in quota: da Travalle si poteva proseguire per Ciarlico (Scheda 19) e arrivare direttamente a Torri, mentre da Carraia si saliva a Torri e a Vezzano, oppure si arrivava a Secciano e di qui a Valibona o direttamente alle Croci attraverso Lama e Casaglia. Lungo queste strade si possono riconoscere ancora oggi le chiese e una parte degli abitati caratterizzati dalle murature a filaretto di alberese, con i conci regolari e le aperture che conservano le originarie forme medievali. La toponomastica sembra far risalire queste strade a una viabilità minore già in uso in epoca romana con i nomi di Cavagliano, Vezzano, Secciano e Carraia ed è interessante notare quanti toponimi “parlanti” si incontrino ancora lungo queste direttrici. Torricella vicino a Carraia, Poggio alle Macine tra Vezzano e Valibona, Il Crocicchio lungo la strada che da Carteano, in Val di Bisenzio, sale a Valibona e Torrefrilli poco lontano da Casaglia invitano ad una indagine più approfondita da svolgere sul territorio in questione, mentre poggio Castellare e poggio Castellaro che 77 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Figura 1. Il sistema GIS e le sue possibili applicazioni nel territorio di Calenzano. Figura 2. La viabilità medievale nel territorio di Calenzano. guardano a Nord e a Sud il passo delle Croci suggeriscono due possibili siti per il castello di Combiate, di cui per ora si hanno tracce soltanto documentarie. Lungo il torrente Marinella correva un’altra strada che ebbe a lungo un’importanza maggiore di quella di fondovalle che attraverso il castello di Calenzano raggiungeva Le Croci attraverso La Chiusa e Carraia. Si trattava di un percorso che, lasciata la Cassia/Francigena nei pressi di Settimello, si dirigeva lungo le pendici orientali del Monte Morello verso Sommaia e, di qui, verso Legri e Cupo (Scheda 1) per arrivare in Mugello nel plebato di San Giovanni in Petroio, vicino al ponte sulla Sieve. L’importanza di questo itinerario nei secoli del Medioevo è confermata dalla fondazione antichissima della pieve di San Severo a Legri (Scheda 6), nota fino dal X secolo, e dal susseguirsi di torri e castelli che ne guardavano il percorso. Si tratta, in questo caso, di veri e propri siti fortificati, posti al centro di signorie territoriali e a controllo dei transiti da e verso Nord. Il primo, lungo il tragitto, è il castello di Sommaia (Scheda 65); apparteneva alla famiglia dei Da Sommaia che esercitavano sulle loro terre una vera e 78 questo tratto della via di mezza costa che univa la Val di Marina alla valle della Marinella di Legri. Da Legri, per Leccio (Schede 24-32) e Volmiano, passava anche il secondo itinerario che, dominato dalla rocca di Loiano, si ricongiungeva alla via di mezza costa che oggi è conosciuta come via dei Colli Alti e che portava a Firenze. [L.T.] L’insediamento All’interno di questo quadro composto di linee di attraversamento del territorio e costruito sulla viabilità si inserisce lo studio della maglia insediativa riscontrata sul territorio stesso. Le fonti documentarie sono avare riguardo a Calenzano e alla Val di Marina, almeno fino a tutto il XIV secolo, ma molti degli edifici risalenti ai secoli centrali del Medioevo si conservano ancora in elevato e hanno permesso di ricostruire le dinamiche evolutive del territorio stesso per gran parte delle zone prese in esame. La prima fonte a dare notizia del territorio e del castello di Calenzano (Scheda 70) è una bolla di papa Innocenzo II del 1134, dove esso compare come curtis: si trattava dunque di un distretto amministrativo che insisteva probabilmente su una struttura economica precedente, forse dipendente in origine dalla villa di Travalle. Non possediamo documenti che ce ne indichino i confini o che siano in qualche modo utili per determinarne l’estensione. I documenti successivi riguardano la fine del XII secolo e sono costituiti dai diplomi imperiali che confermano a Guido Guerra e ai suoi discendenti il possesso della curtis di Calenzano e dei diritti feudali su di essa: «[…] Ut autem habundantioris gratie nostre prerogativa letetur, concedimus ei suisque legittimis heredibus et speciali largitate donamus omnia regalia nostra et omnem nostram iurisdictionem, quam habemus in omnibus terris et possessionibus suis, quas ipso modo habet vel de quibuscumque patrem suum investivimus, et in omnibus his, que ille qui nunc est, acquisierit, videlicet bannum, pla- citum, districtum, theloneum, pedagium, ripaticum, mercata, molendina, aquas aquarumque decursus, piscationes, venationes, paludes, argenti fodinas, ferri fodinas, et quicquid metalli vel thesauri in terra sua inveniri potest, alpes quoque, montes, valles et omnia ea, quae ad nos et ad imperium spectant. Quas utique terras et possessiones dignum duximus propriis exprimendis vocabulis: […] Kalenzanum cum tota curte sua et quicquid habet in monte Morello, Traualli cum sua curte, quarta pars castelli de Ligri […]» (Federico I, 1164) Dal testo del diploma dovremmo ricavare che i Guidi possedessero sull’intero territorio della Val di Marina un incontrastato potere testimoniato dal possesso di curtes e luoghi fortificati. Non è un caso però che i diplomi imperiali facciano menzione di Calenzano per la prima volta sul finire dell’XI secolo: durante tutto questo secolo infatti il comune fiorentino condusse una continua e quasi sistematica azione di conquista, più o meno pacifica, di molti dei castelli e dei possedimenti signorili presenti nel suo contado, almeno nella fascia più vicina alle mura cittadine. Molte delle acquisizioni che andarono ad arricchire i possedimenti comunali furono fatte a spese delle grandi famiglie i cui domini si trovavano alle porte della città; quella dei conti Guidi era tra queste e ben ne erano consapevoli, sia essi che i fiorentini. Il testo di questo diploma si mantiene invariato, almeno per quanto riguarda Calenzano, anche nel diploma di Enrico VI, mentre nel 1220, nel diploma di Federico II, non si fa più menzione di Travalle. Sembrerebbe dunque che i Guidi possedessero sull’intero territorio della Val di Marina un incontrastato potere testimoniato dal possesso di curtes e luoghi fortificati. Nel terzo quarto del XII secolo Calenzano costituiva uno dei possessi dei conti Guidi che rispondeva a tali caratteristiche. La potente famiglia comitale di Modigliana approfittò del progetto accentratore e di rafforzamento dell’autorità imperiale, che Federico I andava promuovendo, per riaffermare i suoi diritti 79 Cartografia archeologica del comune di Calenzano propria signoria feudale. Noto fin dal 1020 attraverso una carta di vendita, non venne coinvolto nelle lotte che seguirono la sconfitta di Montaperti e nel 1343 è già ricordato come castellare; nel secolo successivo, passato tra le proprietà dei Donati, perse definitivamente la denominazione di castello e fu trasformato in casa da signore (Scheda 65). Il castello di Legri (Scheda 5) invece appartenne per un quarto ai conti Guidi, ai quali viene confermato nei diplomi imperiali del 1164, 1191 e 1220 e, secondo il Repetti, anche nel 1240; nel 1260 però gli abitanti del popolo di San Piero, la chiesa del castello, devono contribuire al rifornimento dell’esercito fiorentino. Nessuno dei due castelli è citato dal Liber Extimationum e dalla fine del XIII secolo entrambi devono aver progressivamente perso la loro importanza, mentre la via che passava nel fondovalle cedeva la sua preminenza alla strada parallela della Val di Marina. Numerosi poi sono gli itinerari minori che percorrono le colline che si trovano tra il Monte Morello e i monti della Calvana, sia verso il Mugello che verso Firenze, attraverso i dolci rilievi che caratterizzano le pendici del Monte Morello che guardano la piana fiorentina. Tra questi quelli che tagliano le valli della Marina e dei suoi affluenti per mettere in comunicazione diretta gli abitati che vi sorgevano sono particolarmente importanti per comprendere l’evoluzione del sistema viario e dell’organizzazione difensiva del territorio calenzanese (fig. 2). Il primo è quello che, venendo da Pizzi dimonte, attraversava Macia e continuava verso Travalle; da qui saliva verso Torri e poi scendeva di nuovo verso Carraia, dove passava la Marina sul ponte che scavalcava il fiume nei pressi della pieve. Dopo Carraia la strada proseguiva inerpicandosi sulle colline di fronte a partire dall’Osteria degli Alberi, giungeva alla chiesa di Santa Lucia a Collina e scendeva dolcemente fino a Legri dove si riallacciava alla via che passava davanti alla pieve per giungere in Mugello attraverso Cupo. Lungo questo itinerario, oltre alle pievi di Carraia e di Legri e alla chiesa di Santa Lucia a Collina si trova ancora la torre (Scheda 15) che oggi fa parte della tenuta di Collina, a dominare Figura 3. La via fortificata di Legri e la torre dei Guidi, nel castello. su un possedimento che vedeva in pericolo o che aveva in parte già perduto. Era questa una prassi comune, tanto che spesso la menzione di un dato bene in un diploma che ne conferma il possesso deve essere piuttosto considerata come un segnale di significato del tutto opposto. È dunque possibile interpretare queste fonti documentarie come indizi significativi di un progressivo indebolimento della presenza signorile nel territorio e nel castello di Calenzano, a favore di una sempre maggiore influenza dei ceti dirigenti cittadini, sia dal punto di vista economico sia da quello politico. Il livello politico di questa progressiva aggressione alle autonomie signorili o ai comuni rurali era però quello più peculiare; e certo non separato da quello economico e militare. Con l’inurbamento, incoraggiato o forzoso che fosse, delle antiche famiglie aristocratiche la città si assicurò la fedeltà, o almeno la non belligeranza, delle zone del contado più lontane dal perimetro delle mura, legate alle famiglie signorili da antichi vincoli feudali o dalla tradizione di dominio locale. Allo stesso tempo Firenze assunse il controllo delle locali vie di comunicazione, mentre lo stesso scopo veniva perseguito anche ottenendo la fedeltà dei comuni rurali. Calenzano vede l’epilogo di questa strategia almeno dalla metà del XIII secolo: se ufficialmente è ancora proprietà della famiglia comi- 80 tale dei Guidi di Modigliana, i fertili poderi della Val di Marina erano già numerosi nelle mani di alcune delle più grandi famiglie del vicino Comune di Firenze, mentre il castello di Combiate era stato distrutto dall’esercito fiorentino fino dal 1202. Oltre ai poderi, appartenevano agli esponenti del ceto dirigente cittadino torri e abitazioni semifortificate sorte fin dai secoli precedenti in tutta la Val di Marina; e fu proprio attraverso questi “capisaldi” acquisiti che la repubblica fiorentina estese al territorio di Calenzano il controllo della viabilità e delle risorse che esso offriva (fig. 3). Di proprietà cittadina divennero così le torri della valle di Legri, costruite dai conti Guidi per sorvegliare l’itinerario che conduceva a Nord attraverso la valle della Marinella e il castello di Legri (Scheda 5); da torri di guardia della viabilità divennero dimore fortificate che controllavano un territorio “demilitarizzato”, ma ancora strategicamente fondamentale come serbatoio di rifornimenti di uomini e derrate alimentari. Questo passaggio è testimoniato dai dati dell’analisi stratigrafica eseguita sulle murature di questi edifici. Le murature della prima fase hanno caratteristiche più simili a quelle delle murature del castello di Calenzano, riconosciute come guidinghe, con conci in calcare alberese stretti ed allungati, mentre quelle riferibili alla successiva fase “fiorentina” sono caratterizzate da piccole bozze di alberese, molto più sottili dei conci della fase precedente.Sempre in quest’ottica vanno interpretati gli interventi che interessano le torri di Collina (Schede 11 e 15), tra le due valli della Marina che furono, di volta in volta, punti di controllo della viabilità o edifici prevalentemente residenziali a seconda della variazione dell’importanza dell’itinerario viario di riferimento. Così di volta in volta si aprono o si modificano gli antichi portalini di accesso alla torre di Collina nelle murature della quale vengono aperte eleganti finestre dalla luce più ampia e viene costruito il coronamento merlato del Torraccio, che si trasforma da “casa-forte” in vera e propria piccola fortezza (fig. 4). Tra le proprietà che le élites cittadine utilizzarono per acquisire progressivamente il controllo del territorio devono essere consi- derate anche le abitazioni interne al castrum di Calenzano; in questo modo si spiegherebbe perché, senza che ci sia noto alcun atto di vendita del castello di Calenzano al Comune di Firenze, i suoi uomini vennero chiamati nel 1260 ad appoggiare la città e l’esercito fiorentino nella guerra che si concluse lo stesso anno con la sconfitta di Montaperti. Gli eventi seguiti alla sconfitta di Montaperti ed al rovesciamento del governo guelfo della città videro anche la sistematica distruzione, da parte dei vincitori, dei beni immobili dei notabili della parte uscita sconfitta. L’elenco dei beni danneggiati, noto come Liber Extimationum, è una delle fonti principali per la storia di Calenzano e ne offre l’immagine di un castrum ben popolato e ben difeso: organizzato con un casserum vetere, interno al castrum vero e proprio e già provvisto di un “burgo de subto”. In ognuna di queste zone si trovavano numerose costruzioni; molte di queste costruzioni inoltre, vengono ricordate come domus e dovevano essere quindi costruite in muratura, almeno in parte. Il casserum si fregiava addirittura di un palatium e di una torre, segno evidente dell’importanza che i suoi proprietari, gli Scali, avevano assunto nel corso del tempo all’interno di questa comunità. Sappiamo poi che l’assemblea degli uomini di Calenzano si riuniva sotto una loggia, che era anch’essa probabilmente in muratura. Si trattava di una comunità già legata alla vita politica fiorentina tramite la presenza nella élite locale della famiglia degli Scali e di alcuni dei membri della consorteria dei Della Tosa. Una comunità rurale di una certa ricchezza, dovuta alla fertilità della Val di Marina e forse anche alla vicinanza delle vie di comunicazione per Prato e per il Mugello. Sulla collina del castello lo spazio della sommità doveva quindi già essere occupato in buona parte dalle abitazioni dei residenti e dalla chiesa di San Niccolò. Questi eventi storici, sempre legati alle politiche della vicina Firenze e di portata ben più che locale, trovano un preciso, straordinario riscontro nelle testimonianze materiali del castello e del suo territorio, fino a “produrre” alcuni dei più importanti “fossili guida” murari dell’intera area periurbana fiorentina. L’analisi stratigrafica condotta sulle mura del Cartografia archeologica del comune di Calenzano Figura 4. Le torri di Collina in rapporto con la viabilità di fondovalle e di crinale. castello ha infatti potuto rivelare importanti informazioni riguardanti l’aspetto e la forza difensiva del sito di Calenzano dal XII secolo fino al momento dell’arrivo delle truppe nemiche durante le incursioni trecentesche (fig. 5). È stato così possibile ritrovare le tracce dell’evoluzione delle fortificazioni del castello a seconda delle necessità militari e politiche: la porta al Serraglio e la Portaccia nascono entrambe come semplici accessi monumentali e vengono trasformate successivamente in torri durante la dominazione fiorentina. La Portaccia poi reca anche le 81 Figura 5. Le incursioni castrucciane nel territorio fiorentino. Figura 8. L’analisi stratigrafica della fiancata di San Niccolò. Figura 7. La Porta al Serraglio e i risultati dell’analisi stratigrafica. tracce della distruzione operata nell’ottobre del 1325 da Castruccio Castracani e delle successive riedificazioni, fino alla trasformazione in parte della villa rurale dei Ginori, nell’età moderna (fig. 6). La porta al Serraglio costituisce anche l’esempio dei risultati ottenuti dall’integrazione tra analisi archeologiche degli elevati e interventi di restauro: durante l’intervento di rimozione dell’intonaco dell’ambiente voltato della porta è stato, infatti, possibile approfondire l’analisi stratigrafica delle murature del complesso architettonico di cui la porta fa parte. I dati ottenuti da questa analisi hanno consentito di identificare il “serraglio” di cui rimaneva memoria nel toponimo, oggi parzialmente integrato all’interno dei locali del Museo del Figurino Storico (fig. 7). 82 Parimenti, l’evoluzione del nucleo urbano centrale del castello riserva testimonianze significative degli eventi storici occorsi. Mediante lettura stratigrafica sono già state rilevate tracce delle dinamiche di sviluppo urbano nel sito della chiesa di San Niccolò, modificato e aggregato ad edifici di funzione non strettamente ecclesiastica, e del cosiddetto “Palazzetto Pretorio”, anch’esso coinvolto nelle modificazioni urbanistiche legate all’evoluzione storica del nucleo abitato. Le analisi di archeologia dell’architettura hanno infatti evidenziato la presenza di più prospetti, appartenenti in origine a corpi di fabbrica diversi, e di molte fasi costruttive sulla fiancata della chiesa di San Niccolò (fig. 8). In particolare la parte centrale della fiancata si presenta dotata di caratteristiche diverse: un tipo murario caratterizzato da conci squadrati e spianati accuratamente, di dimensioni molto grandi nella parte inferiore, più piccoli e di forma allungata nella parte superiore, che presenta anche tre piccole feritoie (USM 58, USM 68, 71 e USM 70, 72) ed è separata dalla muratura della fase precedente da una breccia risarcita in muratura mista. Durante la campagna di quest’anno è stato possibile notare come queste caratteristiche trovassero una parziale corrispondenza sulle murature del prospetto laterale del “Palazzetto Pretorio”: anche in quest’ultimo infatti è stata risarcita una breccia, poco più in basso di quella corrispondente sulla fiancata della chiesa. Inoltre, la finestra tamponata in alto, vicino al prospetto con archi che dà sulla piazzetta, sembra essere stata in origine una feritoia poi rimaneggiata, esattamente di fronte al punto in cui, sulla fiancata della chiesa, si notano i due livelli sovrapposti di feritoie. L’osservazione di questi rapporti stratigrafici ha fatto sorgere nuovi interrogativi sull’organizzazione topografica del castello di Calenzano nel Medioevo: potrebbe infatti trattarsi delle tracce lasciate da un circuito murario preesistente all’attuale, che avesse nella chiesa di San Niccolò un suo punto di forza (forse il circuito del casserum vetere citato dal Liber Extimationum) e che si sia allargato fino a comprendere anche la fase più antica del “Palazzetto Pretorio”. L’età moderna riservò al territorio di Calenzano il destino di zona a vocazione agricola e rurale, contraddistinta dalla fitta rete di poderi appartenenti alla “borghesia” cittadina e dalla presenza delle ville, residenze di campagna dei ceti dirigenti della città, secondo una struttura insediativa che affondava le sue radici nei secoli precedenti e che ha resistito almeno fino al secondo dopoguerra, soppiantata solo dalla riconversione industriale della piana. L’insediamento poderale, diffuso in tutto il territorio di Calenzano e caratterizzato da una fitta maglia di costruzione di case coloniche ancora oggi visibili e conservate, ha lasciato tracce consistenti nella distribuzione delle colture e nei numerosi ritrovamenti di materiali ceramici provenienti dalle ricognizioni del Gruppo Archeologico Fiorentino sui cantieri degli edifici che hanno lentamente ricoperto la piana e nei campi che ancora coprono le zone di Travalle e le altre “isole” rurali del territorio comunale. [L.T.]. I reperti mobili I manufatti mobili, in particolare ceramici, riferibili al territorio di Calenzano provengono per lo più da ricognizioni di superficie effettuate dai volontari del GAF negli anni Ottanta e Novanta. Le aree interessate dalle raccolte sono state prevalentemente quella di Travalle, già nota come sede di insediamenti romani, e le zone in cui si svolgevano di volta in volta attività edilizie che comportavano movimenti terra, escludendo quindi, quasi del tutto, le zone collinari e più lontane dalla piana. Fin da un primo approccio è stato inoltre evidente come le diverse raccolte avessero tutte restituito ceramica in proporzioni poco probabili tra le varie tipologie: l’acroma è, generalmente, presente in quantità equivalente o addirittura inferiore alle tipologie smaltate o ingubbiate. Numerosi sono i frammenti di maculate e marmorizzate e, anche quando i materiali presentano una notevole eterogeneità diacronica, la presenza di frammenti “tardi” non cresce, come ci si aspetterebbe, proporzionalmente all’avanzare della cronologia dei reperti. Tutto questo suggerisce che le ricognizioni e le conseguenti raccolte di reperti siano avvenute secondo criteri selettivi, su base estetica, senza intenti propri della metodologia archeologica. Si tratta dunque di attestazioni significative dal punto di vista di indizi di frequentazioni nelle aree approssimativamente (in linea di larga massima) di rinvenimento e per le epoche suggerite dai tipi ceramici stessi, ma senza potere disporre di un ulteriore elemento circa natura, estensione cronologica e condizioni materiali dei gruppi umani cui pure si fa riferimento. Tuttavia, la presenza di una notevole quantità di reperti ceramici ha consentito, in vari casi, alcune valutazioni generali che contribuiscono a dettagliare 83 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Figura 6. La Portaccia: analisi stratigrafica e fasizzazione. 84 italo-moresca, provenienti per lo più dagli sterri eseguiti in concomitanza con i restauri della pieve di Legri. I frammenti di maiolica arcaica appartengono prevalentemente a forme aperte, per lo più piccoli catini, con l’eccezione di qualche frammento di boccale. Anche in questo caso gli impasti sono di buona qualità, rosa o arancio, ben depurati, ma le decorazioni sono difficilmente ricostruibili a causa delle ridotte dimensioni dei frammenti sui quali spesso si conservano soltanto parti di campiture e di trecce in verde ramina, con accenni di graticcio in bruno manganese; si possono comunque attribuire quasi interamente al XIV secolo, e cioè alle produzioni più tarde.La maiolica italo-moresca invece è rappresentata sia da forme chiuse, in particolare boccali, sia da ciotole o scodelle. Dei boccali si conservano o l’attacco dell’ansa oppure parte della parete, con decorazione a foglie di brionia intorno ad una decorazione centrale, mai conservata. Le forme aperte sono rappresentate per lo più da frammenti di tese, troppo piccoli per ricostruire la decorazione complessiva. In un caso comunque l’associazione tra decorazione e forma ha consentito di riconoscere una ciotola di tipo “Bacchereto”. La ceramica acroma comprende forme e impasti vari, tutti attribuibili genericamente ai secoli del pieno o tardo Medioevo; ma le forme più rappresentate sono paioli, olle e testi, cioè le forme normalmente più diffuse in questo orizzonte cronologico. Altre forme rappresentate sono gli orci, che però sono difficilmente attribuibili ad un orizzonte cronologico preciso (se non genericamente post-medievale/post-rinascimentale), se si escludono i pochi frammenti di ceramica a matrice del tipo “figlinese”, entrambi attribuibili alla fine del XIV-XV secolo. Sono anche presenti alcuni frammenti di pipe in ceramica depurata.In generale quindi possiamo dire che i materiali rinvenuti confermano gli stretti rapporti che sono sempre intercorsi tra il territorio calenzanese e le vicine città di Firenze e Prato, sia come diffusione sia come produzione vera e propria dei manufatti. Gli impasti riscontrati a Calenzano sembrano, infatti, quasi interamente realizzati con argilla proveniente dal territorio pratese (come emerso da discussioni informali con Pasquino Pallecchi) e i frequenti confronti riscontrabili sia nelle forme che nei decori con reperti dall’area pratese e, in misura minore, pistoiese che dimostrano anche una uniformità nella rete di distribuzione e diffusione in tutto il contado fiorentino. Viene inoltre confermata l’ipotesi di un interscambio frequente e profondo tra l’area di influenza pratese e la Val di Marina, formulata sulla base dei confronti tra tipologie murarie durante le analisi di archeologia “leggera”. [L.T.-S.M.] Conclusioni Il quadro generale offerto dal territorio di Calenzano è dunque quello di un’area densamente popolata e strettamente legata alle vicende politiche ed economiche della potente vicina, Firenze, ma anche alla realtà produttiva ed economica della terra pratese, sicuramente fin dall’inizio del XII secolo. Per i secoli precedenti le fonti si limitano ad indicare una forte presenza economica dei grandi enti ecclesiastici cittadini, che possedevano in questo territorio estese proprie- tà terriere. Gli insediamenti compaiono in queste fonti per lo più come semplici nomi e allo stato attuale non si conoscono strutture in elevato che conservino tessiture murarie risalenti ad un’epoca anteriore al XII secolo. Anche gli insediamenti conosciuti dalle fonti prima dell’anno Mille, infatti, non conservano tracce visibili delle loro fasi più antiche. Alcuni frammenti di acroma grezza sono riconducibili a forme ceramiche (quali testi, paioli ed olle) tipiche anche dell’alto Medioevo, ma la persistenza d’uso di quelle stesse forme anche nei secoli successivi, unita alla decontestualizzazione stratigrafica di rinvenimento dei materiali esaminati, non fornisce indicazioni sufficienti a collocarle cronologicamente prima dell’anno Mille. Questo “vuoto” documentario, relativo sia alle fonti scritte che a quelle materiali, potrebbe essere almeno in parte colmato, nei prossimi anni, dalla prosecuzione della ricerca archeologica, da svolgersi con ricognizioni mirate ma estensive sulla totalità del territorio della Val di Marina ed, eventualmente, con scavi stratigrafici mirati nei siti che compaiono nelle fonti fino dall’ultimo scorcio del X secolo d.C. [L.T.] 85 Cartografia archeologica del comune di Calenzano ulteriormente, sotto altro profilo, le interpretazioni avanzate sull’evoluzione dell’insediamento e sulle dinamiche sociopolitiche fin qui esposte. Le classi maggiormente rappresentate sono le ceramiche ingubbiate, in particolare le marmorizzate e le maculate, presenti quasi esclusivamente con forme aperte. Queste due tipologie però non sono state analizzate nel dettaglio poiché, non provenendo da contesti stratigrafici, non sarebbe stato possibile attribuirle a orizzonti cronologici precisi. L’analisi si è quindi concentrata sulle ingubbiate e graffite, meglio attribuibili, su base tipologica, ad orizzonti cronologici e zone di produzione specifici. L’orizzonte cronologico cui queste forme appartengono spazia, dato il modesto stato di conservazione, dal XV al XVII secolo, con una particolare presenza di frammenti della fine del XV-XVI secolo; appartengono tutte a forme aperte, e la maggior parte di esse è di produzione valdarnese. Gli impasti sono di buona qualità, mentre i decori sono per lo più approssimativi, almeno per quanto è dato di capire dalle piccole dimensioni dei frammenti. Per quanto riguarda le smaltate rinascimentali e post-rinascimentali, la presenza di numerose forme sia aperte che chiuse, di produzione valdarnese e montelupina in particolare, più che attestare una semplice frequenza di scambi tra il territorio di Calenzano e il Valdarno fiorentino (già riscontrata per la classe delle ingubbiate), conferma in pieno l’appartenenza di tutto il territorio ad un medesimo mercato di riferimento “fiorentino”, dotato di suoi centri produttivi dedicati. Anche in questo caso le piccole dimensioni dei frammenti ceramici non consentono uno studio approfondito dei decori, che appartengono prevalentemente al “gotico floreale” (per i boccali) e alla decorazione “a spirali verdi” e “a ovali e rombi” per quanto riguarda i piatti. Anche in questo caso gli impasti sono mediamente di buona qualità, mentre i decori appartengono a tipologie seriali e standardizzate, di media e bassa qualità. Le classi più specificamente medievali contano pochi frammenti di maiolica, sia maiolica arcaica che Schede Legenda Preistoria Età classica Età post-classica 86 87 88 Scheda Calenzano 1 – Areale I Localizzazione Cupo (CLP). Contesto di ritrovamento Strutture in elevato, boschivo. Contesto attuale Strutture in elevato, boschivo. Descrizione Si tratta di un agglomerato di edifici che costituivano l’abitato di Cupo, attualmente in totale abbandono. Si conserva ancora la chiesa medievale di San Michele, che sorgeva lungo l’itinerario viario per San Giovanni in Petroio e il Mugello. Attualmente i paramenti originali della chiesa si conservano ancora in elevato, ma l’apparato decorativo è continuamente depredato dai vandali. Il terreno circostante è stato invaso dal bosco, per cui non è facile effettuare ricognizioni sistematiche. Materiali Non sono stati rinvenuti reperti mobili. Grado affidabilità -/-/4 Cronologia Periodo post-classico: XIII-XVII secolo. Interpretazione Periodo post-classico: abitato abbandonato, di origine medievale. Fonti Cartografiche Piante di Popoli e Strade, c. 444 (S.to Michele a Cupo). Bibliografia Lamberini 1987, I, pp. 128-130; Bellometti 2003-2004, pp. 18-23, 43-48. 89 2 – Areale II Scheda 3 – Areale III Localizzazione Le Muricce. Localizzazione Fisciano Alto (CFA). Contesto di ritrovamento Boschivo. Contesto di ritrovamento Strutture in elevato. Contesto attuale Boschivo. Contesto attuale Strutture in elevato. Descrizione Il toponimo Le Muricce indica un piccolo rilievo dalla forma circolare, superiormente appiattito e attualmente coperto da bosco, presso Le Croci di Calenzano. Descrizione Materiali Periodo classico: «6 frammenti di laterizi di tipo romano». Grado affidabilità -/2/- Il sito, lungo la strada che da Legri portava in Mugello, è composto da tre agglomerati di edifici, dei quali quello a quota più elevata, non ancora restaurato, mostra caratteri medievali. Si tratta infatti di una torre a pianta rettangolare, con il lato lungo rivolto ad Est, che mantiene intatte le angolate, pochi corsi della muratura originaria sul lato Sud, un portale e un portalino sul lato Est, dove sono visibili anche ampie porzioni del paramento murario originale e della risega di fondazione. L’edificio sorge su un terrapieno che potrebbe essere stato spianato artificialmente. Cronologia Periodo classico: periodo romano non precisabile. Materiali Non sono stati rinvenuti reperti mobili. Grado affidabilità -/-/4 Cronologia Periodo post-classico: le strutture murarie medievali individuate sono inserite all’interno di edifici attribuibili ad un arco cronologico ben più ampio, compreso tra il XIII e il XIX secolo. Interpretazione Periodo post-classico: si tratta probabilmente di una torre con funzione militare-abitativa di controllo della viabilità per il Mugello che attraversava la valle di Legri, poi trasformata in una colonica e, ancora successivamente, in una semplice casa di abitazione. Fonti Cartografiche Piante di Popoli e Strade, c. 441 (S.to Severo a Legri). Bibliografia Bellometti 2003-2004, pp. 122-166. InterpretazioneCome risulta evidente dalla lettura dei dati quantitativi dei reperti, il luogo non acquista importanza per ciò che ha restituito – il terreno boschivo infatti non facilita le ricognizioni –, ma per la posizione. Molti autori (si veda Bibliografia) sono concordi nel ritenere che dal Passo Le Croci dovesse passare già in periodo etrusco, e soprattutto in periodo romano, una importante via di comunicazione tra il Valdarno ed il Mugello, via che probabilmente andrebbe identificata con la Flaminia minor. Fonti di archivio Archivio GAF. Bibliografia Uggeri 1984, pp. 584-585; Carta Archeologica 1995, p. 5; Capecchi 1996, p. 157; Millemaci 1999, pp. 134-135; Baldini 2007-2008, pp. 281-282; Tuci 2008. 90 91 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda 4 – Areale IV Scheda 5 – Areale V Localizzazione Poggio Castellare-La Querciola. Localizzazione Legri, castello di (CLC). Contesto di ritrovamento Boschivo. Contesto di ritrovamento Urbanizzato. Contesto attuale Boschivo. Contesto attuale Urbanizzato. Descrizione Si tratta di un rilievo posto a cavallo tra la Val di Marina e la valle di Legri, caratterizzato da un crinale che si sviluppa in direzione Nord-Sud, la cui sommità pianeggiante raggiunge una larghezza massima di cento metri e dà il nome all’intero colle; la parte più bassa è parzialmente occupata dalle case de La Querciola. Descrizione Materiali Periodo classico: i materiali, rinvenuti da privati, al momento non sono rintracciabili. Si trattava di una punta di freccia bronzea, una parte di fibula bronzea e una moneta romana d’argento. Il sito occupa l’intera parte superiore della collina, a mezza costa sui rilievi che sovrastano la Marinella di Legri. Il complesso degli edifici è organizzato intorno alla torre, ancora conservata per circa trenta metri di altezza e che può essere fatta risalire al XII secolo. Gli edifici immediatamente adiacenti sono attribuibili ai secoli successivi, in particolare l’attuale oratorio e l’edificio subito adiacente. Nel terreno circostante gli edifici, su due diverse curve di livello, si conservano ancora le due porte castellane, che mantengono in parte i paramenti murari originali. Grado affidabilità -/2 (segnalazione bibliografica)/2 Materiali Non sono stati rinvenuti reperti mobili. Cronologia Periodo classico: periodo etrusco (età arcaica?). Periodo post-classico: probabilmente XII-XIV secolo. Grado affidabilità -/-/5 Cronologia Periodo post-classico: XII-XIX secolo. Interpretazione Periodo classico: al momento si tratta solamente di una segnalazione bibliografica, non è quindi possibile avanzare ipotesi sul tipo di utilizzazione dell’area. Se consideriamo tuttavia il rinvenimento di connotazione guerriera della punta di lancia e della fibula, entrambe di bronzo, potremmo ipotizzare una sepoltura maschile, mentre, per quanto riguarda la moneta di periodo romano, non è possibile avanzare alcuna ipotesi, visto il carattere di mobilità che caratterizza tali rinvenimenti. Il luogo, tuttavia, è interessante per la sua collocazione geografica: si trova infatti lungo un’importante e già citata via di comunicazione verso l’Etruria padana, che conduceva dalla piana di Sesto, attraverso la Val di Marina, nel Mugello. Periodo post-classico: fonti orali parlano della presenza di muri in conci di alberese legati con malta. Poiché si tratta di una delle collocazioni suggerite da Francovich (Francovich 1973) per il castello di Combiate, è possibile che si tratti di un sito fortificato anche nel Medioevo. Interpretazione Periodo post-classico: castrum medievale, in parte proprietà dei Guidi, che costituì a lungo un caposaldo del controllo della viabilità per il Mugello che attraversava la valle di Legri, riadattato in seguito come residenza privata con la costruzione di numerosi nuovi edifici addossati. Fonti Cartografiche Piante di Popoli e Strade, c. 443 (S.to Pietro a Legri). Bibliografia Lamberini 1987, I, pp. 120-122, 155-157; Bellometti 2003-2004, pp. 23-30, 43-49, 71121; Torsellini 2003-2004, pp. 26-27, 29-34; Torsellini 2007-2008, pp. 39-46, 62-65. Fonti di archivio Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano, prot. 2002 del 31 gennaio 2001. Bibliografia Francovich 1973, pp. 98; Lamberini 1987, I, pp. 152-153; Carta Archeologica 1995, p. 52; Baldini 2007-2008, pp. 280-281. 2 Nel testo, per quanto concerne il ritrovamento di materiali medievali, si fa riferimento al perduto Castello di Combiate. Tuttavia l’analisi condotta in Lamberini 1987, pp. 152-153, dimostra che il Castello non va posizionato sul Poggio Castellare, ma sul passo de Le Croci di Calenzano. 92 93 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda 6 – Areale VI Localizzazione Legri, pieve (PDL). Contesto di ritrovamento Urbanizzato. Contesto attuale Urbanizzato. Descrizione La pieve di Legri sorge sotto il piano stradale, in posizione pianeggiante, vicino al fiume Marinella, lungo l’itinerario per San Giovanni in Petroio e il Mugello. Attualmente è in parte interrata. Durante i lavori di restauro, lungo il perimetro delle absidi, sono stati effettuati scavi che hanno restituito numerosi frammenti ceramici relativi a diversi secoli, a partire dal basso Medioevo. La pieve, in origine con tre absidi semicircolari di cui due sole superstiti, nonostante i pesanti restauri subiti, conserva ancora visibili le tracce delle numerose vicende che l’hanno interessata. Materiali Durante i lavori di restauro il GAF ha raccolto numerosissimi frammenti ceramici dal terreno di riporto dello scasso operato lungo le absidi della chiesa. La classe più rappresentata è, come sempre, l’ingubbiata e graffita, ma sono numerosi anche i frammenti di invetriata, di ingubbiata e dipinta. Dallo scavo provengono anche una scodella di ceramica italo-moresca quasi interamente ricostruibile, alcuni frammenti di boccalini, sempre in italo-moresca, e frammenti di zaffera a rilievo. Periodo post-classico: 150 frr. ceramici, 2 frr. vitrei, 2 frr. metallici, 10 scorie. Cfr. schede di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0008/09. Grado affidabilità -/-/4 Cronologia Periodo post-classico: XII-XVII secolo. Interpretazione La pieve di Legri è attestata fino dal IX secolo, ma le tessiture murarie e i frammenti ceramici rinvenuti durante i lavori di restauro appartengono tutti ai secoli posteriori al XII. Certamente la pieve di San Severo ha avuto grande importanza durante tutti i secoli del pieno Medioevo, in particolare tra il XII e il XIII secolo, quando fu al centro delle politiche territoriali del vescovato fiorentino e della potente famiglia comitale dei Guidi. Fonti Cartografiche Piante di Popoli e Strade, c. 441 (S.to Severo a Legri). Bibliografia Lamberini 1987, I, pp. 116-120; Bellometti 2003-2004, pp. 43-70; Torsellini 20032004, pp. 26-27, 30-33; Torsellini 2007-2008, pp. 39-46, 62-65. 94 Ceramica acroma “figlinese”. 3060. Frammento di bordo di catino realizzato a matrice. Maiolica di Montelupo. 3061. Frammento di parete di grosso piatto. Maiolica rinascimentale. 3062. Frammento di fondo di boccale. L 8,8; l 6,5; S orlo 2; S parete 1; diam. orlo ricostruito 36,5. L 5; l 10; S 1,2. L 9,4; l 4,5; S fondo 0,8; S parete 0,6; diam. piede 9,3. Bordo con orlo ingrossato a sezione subrettangolare e margine esterno arrotondato, gola esterna. Decorazione a piccole “foglie di palma” lanceolate, disposte su due fasce orizzontali. Impasto duro con vacuoli (<3 mm) e inclusi di calcite e chamotte (<3 mm). Cfr. Uffizi 2007, pp. 371, 408, frr. 22.1.3, 22.1.6. Per la classe si veda Boldrini, Grassi, Quirós Castillo 1999, pp. 395-409. Parete con decorazione conservata soltanto per la parte terminale della zampa di un leone rampante in arancio metallico bordato di blu, poggiata su un paesaggio in blu e giallo. Impasto poroso, ben depurato, bianco. Smalto bianco, spesso, coprente all’interno, più diluito all’esterno. Per la classe si vedano Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987. Fondo con piede appena distinto. Decorazione in blu, verde, bruno e giallo, consistente in un motivo a scaletta in blu, alternato a linee verticali verdi e gialle, campite da sottili tratti obliqui in bruno. Impasto duro, depurato, grigio chiaro. Smalto sia interno sia esterno, bianco, spesso e uniforme all’esterno, meno uniforme all’interno. Cfr. Palazzo Pretorio 1978, p. 188, fr. 997; Wentkoswska 2007, pp. 33, 36, fr. 29. Per la classe si vedano Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987. XVI secolo. Fine del XIV-XV secolo. Probabile produzione montelupina, fine del XV-XVI secolo. 95 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda L 10,5; l 7,2; S fondo 0,9; S parete 0,5; diam. bordo ricostruito 21,6; diam. piede ricostruito 10. Maiolica italo-moresca. 3064. Frammento di bordo e parete di boccale. Maiolica italo-moresca. 3065. Frammento di fondo di forma aperta. L 7; l 6,6; diam. bordo ricostruito 8,2. L 6,7; l 7,5; S fondo e parete 0,7; diam. fondo ricostruito 16,2. Bordo e parete molto sottili, con attacco dell’ansa. Ai lati dell’ansa, linee verticali in blu, a gruppi di tre, nascenti in alto da una fascia di tre linee orizzontali concentriche; lateralmente, residui di un graticcio. Breve tesa confluente con bordo arrotondato e ingrossato; cavetto poco profondo; piede appena concavo. La decorazione presenta una estenuazione del motivo montelupino “a ovali e rombi” in arancio, blu, giallo, verde e bruno. Sul fondo del cavetto, all’interno di una fascia circolare dipinta in azzurro, arancio e giallo, motivo floreale stilizzato. La decorazione non distingue la tesa e il bordo dal cavetto. All’esterno, tre linee orizzontali concentriche in bruno molto diluito. Impasto poroso, ben depurato, di colore bianco. Smalto bianco, coprente, uniforme e lucido, sia interno sia esterno. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987. Impasto poroso, depurato, grigio. Smalto bianco, sia interno sia esterno, compatto, coprente e lucido. XV secolo. Cfr. Berti 1997, II, pp. 266-267, anche se in questo caso si tratta di un piattino, mentre quelli esemplificati sono di grandi dimensioni; per la forma, cfr. forma I.G.2. “piatti tardi”, p. 421. Per la classe si vedano Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987. Fondo apodo di una forma aperta, probabilmente un piccolo catino. Sul fondo, tracce di una decorazione eseguita a rapide pennellate blu, raffigurante probabilmente una croce (monogramma YHS), circondata da tre linee concentriche; tra le due linee inferiori, brevi tratti verticali. Impasto bianco duro, ben depurato, rosato. Smalto, sia interno sia esterno, bianco, coprente e uniforme all’esterno, più diluito all’esterno. Cfr. Berti 1997, I, p. 264, fig. 103. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987. Inizi del XV secolo. Ceramica ingubbiata e graffita policroma a punta. 3066. Frammento di fondo di ciotola. L 10,5; l 3,1; S fondo 1; S parete 0,4; diam. piede 5,2. Fondo con piede piano e distinto, decorato da linee orizzontali concentriche a racchiudere uno spazio vuoto con al centro irregolari graffiture concentriche ovoidali. Graffiture sovradipinte con larghe e disordinate pennellate in verde ramina e giallo ferraccia, spesso degenerato in bruno. Sul fondo, segni del divaricatore cosiddetto “a zampa di gallo”. Impasto rosa, duro, depurato, con millimetrici inclusi granulari di calcite. Ingobbio, solo interno, color crema, sottile ma uniforme e coprente. Vetrina giallina, coprente e uniforme. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987; Berti 1997, II; Uffizi 2007; Wentkoswska 2007. XVI secolo. Fine del XVI-XVIII secolo. 96 97 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Maiolica post-rinascimentale. 3063. Frammento di piccolo piatto. L 13,2; l 9; S fondo 0,8-1,7; S parete 1,1; diam. piede ricostruito 11,8. Fondo con piede concavo distinto. Tre righe concentriche irregolari graffite a punta a separare il fondo del cavetto dalla parete; sul fondo, motivi di tre archetti decrescenti graffiti a stecca. Decorazione dipinta ad ampie pennellate, in verde ramina e giallo, molto diluiti, rappresentante una croce in giallo e ciuffi di tre pennellate verdi negli spazi di risulta. Sulle graffiture concentriche a punta, pennellate verdi, ampie e irregolari. Segni del distacco di un divaricatore “a zampa di gallo”. Impasto duro, color avorio, depurato con inclusi granulari di calcite (<3 mm) e piccoli vacuoli (<3 mm). Ingobbio, solo interno, molto sottile, tanto da non notarsi quando la vetrina si scheggia. Vetrina trasparente, sottile e uniforme. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987; Berti 1997, II; Uffizi 2007; Wentkoswska 2007. Ceramica ingubbiata e graffita policroma a punta. 3068. Frammento di parete di scodellone. L 9,2; l 10,5; S cavetto 1,2; S parete 0,9. Parete e inizio del cavetto, poco distinto. Sulla parete, decorazione in verde scuro e giallo ferraccia, costituita da brevi linee curve sovrapposte, graffite a punta e sovradipinte con larghe pennellate in verde, disposte con andamento “a festone”, separate da due linee verticali graffite a punta e sovradipinte in giallo ferraccia. Sul cavetto, pennellate degli stessi colori. Impasto duro, depurato, di colore rosa. Ingobbio, solo interno, color avorio, sottile e con piccoli accumuli sparsi sulla superficie. Vetrina solo interna, trasparente, coprente e uniforme. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987; Berti 1997, II; Uffizi 2007; Wentkoswska 2007. Maiolica italo-moresca. 3069. Frammento di parete di boccale. Maiolica di Montelupo. 3121. Frammento di fondo di boccale. L 6,5; l 4,7; S 0,4. S fondo 0,9; S parete 0,6; diam. fondo ricostruito 9,5. Parete con decorazione, in blu leggermente in rilievo, compresa tra linee verticali e sottili,e consistente in un motivo floreale a grandi petali tondeggianti, decorati all’interno con puntini e “foglie di brionia”, e separati da piccoli petali campiti a graticcio. Negli spazi di risulta della decorazione centrale, puntini e linee curve. Impasto poroso, ben depurato, appena rosato. Smalto bianco, uniforme e coprente, sia interno sia esterno. Cfr. Berti 1997, I, p. 264, fig. 103. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987. XV secolo. Fondo e parete con decorazione in blu, verde e giallo, delimitata da una fascia in blu; lungo il limite del piede e dell’ansa, pennellate verticali di verde e giallo con tratti trasversali in bruno e giallo, più sottili. Sul retro, delimitato da sottili pennellate in bruno, parte della lettera “S” in bruno e verde. Impasto duro, depurato, bianco. Smalto sottile, bianco, sia interno sia esterno, fino a coprire il bordo esterno del piede e parte del fondo. Cfr. Scheda 81 – 3071; Palazzo dei Vescovi II 1987, pp. 610 e 618, fr. 3328. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987. Maiolica di Montelupo. 3122. Frammento di fondo di piatto. L 10; l 2,2; S fondo 1,8; S parete 0,5; diam. fondo ricostruito 10,8. Fondo con decorazione di tipo compendiario della famiglia blu, conservata per la parte centrale, con una abitazione con tetto a piovente e un silos, secondo la tipologia del “motivo a paesi”. Intorno s’intuisce anche la decorazione a tralci fitomorfi. Impasto duro, depurato, bianco. Smalto piuttosto spesso, uniforme, con ingiallimenti irregolari. Cfr. Palazzo dei Vescovi II 1987, pp. 612, 628, fr. 3341; Berti 1997, II, p. 326, n. 197. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987. XVI secolo. Fine del XVI-XVIII secolo. Fine del XVI-XVII secolo. Fine del XVI-XVII secolo. 98 99 Maiolica italo-moresca. 3135. Scodella in maiolica italomoresca. diam. 25,5; S 1. Scodella ricomposta ed integrata, con decorazione molto stilizzata e “trascurata” in monocromia blu, raffigurante una sinusoide con rametti figurati e piccoli punti negli spazi di risulta. Nel cavetto, medaglioni circolari con fiori stilizzati a sei petali sotto tre linee concentriche. Sul fondo, un medaglione centrale con un motivo floreale simile a quello del cavetto. Impasto non determinabile: la ricostruzione, della forma non consente il controllo dell'impasto in corrispondenza della sezione. Cartografia archeologica del comune di Calenzano Ceramica ingubbiata e graffita policroma a punta e a stecca. 3067. Frammento di fondo di scodellone. Maiolica arcaica “blu”. 3138. Frammento di bordo di boccale e frammento di parete (due forme minime). L 5,4: l 7,1; S 0,4. L 6,8; l 8,4; S 0,4. L 7,5; l 4,5; S bordo 0,3; S parete 0,5. L 5,9: l 4,1; S 0,5. Due frammenti di parete con decorazione del tipo “a foglie di quercia”. Frammento di bordo con attacco dell’ansa e parte della parete. Decorazione in blu e bruno conservata solo per le linee verticali a sottolineare l’attacco dell’ansa; sul bordo, treccia in blu sopra due linee orizzontali in bruno. Impasto rosa, ben depurato, con rare irregolarità formatesi in cottura e polvere di degrassante. Smalto uniforme e sottile, sia all’esterno sia all’interno, dove sono ben visibili le tracce della lavorazione al tornio. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987. Fine del XIV-inizi del XV secolo. Impasto di colore rosa molto chiaro, depurato, con polvere di degrassante e piccole irregolarità causate dalla cottura. Smalto spesso e coprente, leggermente rosato sia all’interno sia all’esterno. Per la classe si vedano Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987. Fine del XIV secolo. Maiolica arcaica. 3140. Profilo ricostruito di rinfrescatoio. 3165 3062 3063 3121 3122 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Maiolica “zaffera a rilievo”. 3136.Due frammenti di parete (uno con l’attacco del fondo) di un boccale. 3140 L 9,6; l 5,5; S fondo 6; S parete 0,9; S tesa 0,7. Profilo ricostruito di piccolo rinfrescatoio a pareti verticali, con tesa leggermente confluente, dal bordo leggermente ingrossato e arrotondato. Sulla parete, treccia in verde ramina, tra strisce orizzontali in bruno; sulla tesa, tratti curvilinei in verde ramina e bruno manganese; sul fondo, due tratti concentrici, una sinusoide in bruno e un motivo campito in verde ramina. 3160 Impasto depurato, arancio; tra il corpo del catino e la tesa, spaccatura creatasi in cottura. Smalto sottile e rosato, solo interno, probabilmente perché si tratta di uno scarto di lavorazione. 3062 Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Uffizi 2007. Fine del XIV secolo. [L.T.] 3067 100 101 7 – Areale VII Localizzazione Cantagrilli. Contesto di ritrovamento Scavo archeologico. Contesto attuale Incolto. Descrizione Il sito si trova sul crinale della Calvana, ai limiti del territorio comunale, tra il poggio Cocolla e il monte Cantagrilli, ad una quota di circa 770 m slm. Il luogo si contraddistingue per la presenza di una dolina poco depressa, originatasi per uno sprofondamento dei depositi di tipo carsico e riempita in antico dalla sedimentazione di limi ed argille. In epoca moderna, un dilavamento ha aperto un varco profondo tra uno e due metri in tale sedimentazione, permettendo la raccolta di materiale in sezione e in superficie e l’individuazione di una sequenza stratigrafica che è poi stata indagata con diversi sondaggi archeologici. Tutti i sondaggi stratigrafici (cinque) hanno attraversato una stratigrafia simile, all’interno della quale, nel solo Saggio 1, è stato posto in luce un livello con materiale litico e fittile, piccoli frammenti di ossa bruciate e carboni. Negli altri saggi è stato raccolto materiale litico sporadico in giacitura secondaria. Materiali Periodo preistorico: diverse centinaia di manufatti litici, sporadici frammenti ceramici. Grado affidabilità 5/-/- Cronologia Periodo preistorico: probabilmente Neolitico antico. Interpretazione Periodo preistorico: la litica è molto fresca e relativamente abbondante. Si notano nuclei a lamelle, lame e lamelle ritoccate e non e strumenti geometrici, tra cui trapezi e triangoli; la materia prima è costituita da selci di diverso tipo e colore e da più raro diaspro. Si può affermare che l’insieme è di epoca olocenica e che l’industria litica potrebbe, per tipologia e tecnologia, risalire ad un momento del Neolitico iniziale. Responsabile Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti – Sezione Preistoria, Università degli Studi di Siena. Anno di scavo 2007 e 2008. Bibliografia Carta Archeologica 2011, pp. 256-258, PO60. 102 Litica. 1144. Manufatto ritoccato. Litica. 1145. Manufatto ritoccato. Litica. 1146. Nucleo. L 2,1; l 1; S 0,3. L 1,9; l 1; S 0,2. L 2,9; l 2,6; S 1,3. Strumento geometrico: trapezio ottenuto con ritocco erto totale opposto a piquant-trièdre. Strumento geometrico: trapezio. Ritocco accurato bitrasversale; distacchi minuti; supporto piatto. Selce. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Lo strumento è generalmente caratteristico del periodo compreso tra le fasi finali del Paleolitico e il Neolitico antico. Nel contesto particolare del sito, vista soprattutto la presenza di ceramica, esso contribuisce ad un’attribuzione dell’insieme all’inizio del Neolitico. Quanto appena esposto vale anche per i manufatti che seguono (1145-1157). Selce. Nucleo per l’estrazione di lamelle; fronte convesso, piano di percussione preparato con ampio distacco; distacchi paralleli unidirezionali. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. 103 Selce. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda Litica. 1148. Nucleo. Litica. 1149. Manufatto ritoccato. Litica. 1156. Manufatto ritoccato. Ceramica. 1157. Frammento di parete. L 3,5; l 2,1; S 1,4. L 2,4; l 1,4; S 1,2. L 3,1; l 1; S 0,2. L 1; l 0,5; S 0,2. L 5,2; l 4; S 0,7. Nucleo per l’estrazione di lamelle; fronte convesso, piano di percussione preparato con due distacchi ampi; distacchi paralleli unidirezionali. Nucleo per l’estrazione di lamelle; distacchi unipolari paralleli, fronte convesso, piano di percussione preparato. Raschiatoio denticolato su lama; ritocco bilaterale totale. Strumento geometrico: triangolo microlitico; ritocco accurato. Parete di forma non determinabile. Selce. Selce. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Selce. Selce. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. 1157 1147 1156 104 1144 1148 1145 105 1149 Impasto grossolano. 1146 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Litica. 1147. Nucleo. [O.F.] 8 – Areale VIII Scheda 9 – Areale IX Localizzazione Collina. Localizzazione Casa al Piano. Contesto di ritrovamento Boschivo. Contesto di ritrovamento Campo arato. Contesto attuale Boschivo. Contesto attuale Campo arato. Descrizione Il sito non è collocabile con sicurezza in quanto reperito soltanto come notizia bibliografica. L’area corrisponde ad un piccolo terrazzo naturale sulla riva meridionale del torrente Marinella. Il rinvenimento fu effettuato in seguito a ricognizioni durante lavorazioni agricole per colture specializzate come vite o olivo. Materiali Periodo classico: urne ovoidali in terracotta, alcune coperte da tegole (non reperibili). Grado affidabilità -/2 (segnalazione bibliografica)/- Cronologia Periodo classico: probabile piccolo nucleo sepolcrale riferibile all’epoca romana; non si può escludere che si tratti di un sito rurale di epoca tardo-ellenistica, vista la mancanza di corredo funerario e la tipologia delle olle che corrispondono a quelle del sito di Torri. Interpretazione Periodo classico: sepolcreto di urne a cremazione. Bibliografia Nieri 1930, pp. 345-346; Piattoli 1934, p. 403; Spaterna 1992, p. 110; Carta Archeologica 1995, p. 7. Descrizione Al di sotto del viadotto autostradale Torraccia dell’A1, si trova un accumulo di frammenti di calcestruzzo anche di grosse dimensioni, in parte ricoperti dal manto erboso. Alcuni di questi frammenti sembrano conservare tracce delle casseforme. Grado affidabilità Cronologia Interpretazione -/4/ Indeterminabile. Strutture non meglio identificabili. 106 107 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda Calenzano 10 – Areale X Scheda 11 – Areale XI Localizzazione Loiano (CLO). Localizzazione Collina, Torraccia (CTO). Contesto di ritrovamento Strutture in elevato. Contesto di ritrovamento Strutture in elevato. Contesto attuale Strutture in elevato. Contesto attuale Strutture in elevato. Descrizione Gruppo di abitazioni formanti un insediamento di tipo poderale, sulla sommità di un piccolo rilievo, raggruppato attorno a due edifici medievali: una torre è quella che sembra una casa da signore. I due edifici più antichi presentano ancora portalini, aperture originali e una parte della muratura medievale visibile nonostante il pesante restauro. Uno degli edifici più recenti conserva comunque, libero dall’intonaco, un portale in conci di pietra serena. Descrizione Materiali Non sono stati rinvenuti reperti mobili. Grado affidabilità -/-/5 Si tratta di un complesso architettonico formato da quattro corpi di fabbrica, dei quali due sono recenti, che sorge su uno sperone collinare che sporge sulla Val di Marina, in cima ad un pendio coltivato ad olivi. Alle sue spalle si estende un vasto bosco, in parte della tenuta di Collina. La torre è l’unico edificio realmente medievale, costruito in un’unica fase e rimaneggiato in seguito, sempre durante i secoli del Medioevo; conserva infatti l’aspetto di fortificazione merlata acquisito alla fine del XIV secolo. A Nord della torre, una ripida collinetta di forma circolare e coperta da fitta vegetazione potrebbe nascondere il crollo di un edificio precedentemente addossato alla torre da questo lato. Cronologia Periodo post-classico: XIII-XVII secolo. Materiali Non sono stati rinvenuti reperti mobili; non sono state effettuate ricognizioni nei campi circostanti. Interpretazione Periodo post-classico: struttura insediativa e di controllo della viabilità lungo un diverticolo della strada per il Mugello che congiungeva la valle di Legri con gli itinerari di mezza costa del Monte Morello, successivamente trasformata in edificio colonico e casa di abitazione. Grado affidabilità -/-/5 Cronologia Periodo post-classico: XIII-XV secolo. Fonti Cartografiche Piante di Popoli e Strade, c. 441 (S.to Severo a Legri). Interpretazione Bibliografia Bellometti 2003-2004, pp. 122-166; Torsellini 2007-2008, pp. 46-50, 65-83. Periodo post-classico: casa da signore con funzione di controllo della viabilità di fondovalle per il Mugello, successivamente utilizzata come casa colonica al centro di uno dei poderi della tenuta di Collina. Fonti Cartografiche Piante di Popoli e Strade, c. 449 (S.ta Lucia a Collina). Bibliografia Bellometti 2003-2004, pp. 18-22; Torsellini 2003-2004, pp. 121-127, 364-412; Torsellini 2007-2008, pp. 122-130, 167-171, R 167-194. 108 109 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda 12 – Areale XII Scheda 13 – Areale XIII Localizzazione Collina Piano, chiesa di Santa Lucia (CCP). Localizzazione Vezzano (VEZ). Contesto di ritrovamento Campo arato. Contesto di ritrovamento Incolto. Contesto attuale Oliveto. Contesto attuale Incolto. Descrizione L’area si trova nei pressi della chiesa di Santa Lucia a Collina, in un leggero pendio coltivato ad olivi su terrazzamenti. La raccolta dei materiali è stata eseguita dal GAF a seguito delle lavorazioni agricole per la messa a coltura di tipo stagionale. Descrizione Raccolta di superficie a seguito di lavori di manutenzione del piano stradale. L’area si trova in un terreno incolto alle pendici orientali della Calvana, posto lungo un sentiero, ancora visibile, che da Carraia conduceva al Popolo di S. Lorenzo a Vezzano. Materiali Periodo classico: 6 frr. olle d’impasto, 2 frr. opus latericium. Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0068. Materiali Grado affidabilità -/1/- Cronologia Periodo classico: periodo romano. Interpretazione Periodo classico: la scarsità dei dati non consente di avanzare alcuna interpretazione. La raccolta comprende scarsi frammenti di epoca romana e 13 frammenti di età medievale, per lo più di ceramica invetriata appartenente a non meglio definibili forme aperte. Sono presenti anche due frammenti di ciotole in maiolica arcaica e uno riferibile ad un piatto di maiolica di Montelupo. Periodo classico: 10 frr. ceramici, 3 frr. anforacei, 4 frr. opus latericium. Periodo post-classico: 13 frr. ceramici. Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0012. Fonti di archivio Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano prot. 22599 del 20041. Grado affidabilità -/1/1 Bibliografia Baldini 2007-2008, pp. 277-278. Cronologia Periodo classico: periodo romano. Periodo post-classico: XIV-XVIII secolo. Interpretazione Periodo classico: la scarsità delle attestazioni risalenti non permette un’identificazione puntuale. La presenza di laterizi può far ipotizzare un piccolo insediamento rurale. Periodo post-classico: sono presenti case coloniche e poderi in età moderna. Fonti Cartografiche Piante di Popoli e Strade, c. 451 (S. Lorenzo a Vezzano). Bibliografia Lamberini 1987, I, p. 108; Baldini 2007-2008, pp. 276-277. Comunicazione a firma di Lucia Sarti, in cui viene trasmessa «la documentazione relativa ai rinvenimenti archeologici nel territorio in oggetto ai fini della tutela». Tale relazione, nella quale sono confluite le segnalazioni del GAF, un significativo punto di riferimento per i ritrovamenti nel territorio del Comune di Calenzano. 1 110 111 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda 14 – Areale XIV Localizzazione Podere La Strada. Contesto di ritrovamento Campo arato. Contesto attuale Campo arato. Descrizione Campo in leggero pendio, sulla sponda sinistra del torrente Marina, a Sud-Ovest del rilievo della Torraccia. Materiali Periodo preistorico: reperti sporadici (litica e ceramica forse preistorica). Ceramica maiolica arcaica. 3085. Frammento di fondo di catino. Ceramica invetriata. 3086. Frammento di bordo di coperchio. Grado affidabilità 1/-/- Cronologia Periodo preistorico: imprecisabile. L 6,1; l 3,5; S fondo 0,8; S parete 0,6; diam. fondo ricostruito 20,9. L 4,9; l 3,7; S parete 0,7; S orlo 1,1; diam. bordo ricostruito 21,3. Interpretazione Periodo preistorico: il materiale è generico e numericamente insufficiente ai fini dell’interpretazione cronologica e culturale. Fondo e attacco di parete con, all’interno, una decorazione, molto sbiadita, a bande di verde ramina e linee in bruno manganese e, all’esterno, una smaltatura bianca. Lo spessore del fondo sembra decorato con una steccatura poco profonda. Bordo con orlo arrotondato, a sezione circolare ed estroflesso; profonda gola vicino al bordo. Fonti d’archivio: Impasto rosa, depurato, con tracce di chamotte. Smalto bianco-rosato, sottile ma uniforme. Confronti generici per la forma in Uffizi 2007, pp. 418 ss. Per la classe si vedano Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987. Impasto arancio scuro, semidepurato, con frammenti di calcite piccoli (3 mm) e allungati. Vetrina di colore giallo chiaro, trasparente e spessa circa 0,5 mm, stesa su tutto il frammento in modo irregolare. Bibliografia Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano, prot. 25385 del 27 novembre 19961 (indicato come “Tavernaccia”). Carta Archeologica 1995, p. 8 (indicato come “Tavernaccia”). Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Uffizi 2007. XVIII-XIX secolo. [L.T.] Seconda metà del XIV secolo. 3085 3086 1 Relazione sulle potenzialità archeologiche del territorio del Comune di Calenzano redatta dalla Co.Idra s.c.r.l. (Archivio Co.Idra prt. 2888). 112 113 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda 15 – Areale XV Scheda 16 – Areale XVI Localizzazione Collina, torre (CTC). Localizzazione Volmiano, riparo. Contesto di ritrovamento Strutture in elevato, oliveto. Contesto di ritrovamento Scavo archeologico. Contesto attuale Strutture in elevato, oliveto. Contesto attuale Incolto. Descrizione La torre, a pianta sub-quadrata di circa 8 m di lato, posta lungo la strada sterrata che porta a S. Lucia a Collina, vicino all’incrocio della strada sterrata che conduce a Legri, sorge su terreno roccioso, di calcare marnoso (alberese), su un’area pianeggiante, probabilmente spianata artificialmente, e si conserva integra nelle sue diverse fasi medievali per dieci metri di altezza. Nota dalle fonti fino dal XIII secolo come proprietà della famiglia fiorentina degli Aliotti, in seguito all’analisi archeologica dei suoi paramenti murari effettuata dalla Cattedra di Archeologia Medievale di Firenze può essere fatta risalire alla fine del secolo precedente. Gli edifici annessi costituiscono un recinto che già doveva essere edificato nel basso Medioevo. Poco più a Nord della torre si conservano ancora i resti in muratura di un sistema di cisterne per l’irrigazione, probabilmente costruite in età moderna e ancora funzionanti. Descrizione Il riparo si trova in Val di Marina, a circa 350 m slm. Esso è stato indagato nel 1980 da parte della SBAT, che vi ha realizzato alcuni saggi. Materiali Periodo preistorico: il materiale recuperato nello scavo comprende ceramica e litica, proveniente da due livelli principali. Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) FRN1-FI 0066. Grado affidabilità 5/-/- Cronologia Periodo preistorico: Neolitico ed Eneolitico. Materiali Non sono stati rinvenuti reperti mobili; non sono state effettuate ricognizioni nei campi circostanti. Interpretazione Grado affidabilità -/-/5 Cronologia Periodo post-classico: le strutture originarie della torre risalgono alla fine del XII secolo; interventi successivi si sono succeduti fino al XVI-XVII secolo, senza comunque intaccare la struttura vera e propria dell’edificio. Periodo preistorico: la stratigrafia del deposito è stata interessata da uno scavo (Ceccanti 1980), in cui sono stati distinti due livelli principali: a quello inferiore furono attribuiti frammenti fittili depurati ascrivibili al Neolitico, mentre nel livello superiore furono recuperati frammenti fittili con decorazioni plastiche, bugnette, cuppelle e spazzolature. I materiali del livello superiore sono attribuibili all’Eneolitico. Fonti di archivio Interpretazione Periodo post-classico: torre militare con funzione abitativa e di controllo della viabilità per il Mugello, successivamente trasformata in infrastruttura di assistenza alla viabilità minore tra Val di Marina e la valle di Legri e, ancora più tardi, in casa colonica al centro di uno dei poderi della tenuta di Collina. Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano, prot. 25385 del 27 novembre 1996 (si veda Scheda14, nota1); pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano, prot. 22559 del 3 novembre 2001. Responsabile SBAT. Anno di scavo 1980. Bibliografia Ceccanti 1980, p. 382; Spaterna 1992, p. 110; n. 31, Carta Archeologica 1995, p. 8. Fonti Cartografiche Piante di Popoli e Strade, c. 449 (S.ta Lucia a Collina). Bibliografia Lamberini 1987, I, pp. 104-105, 165-166, 210-220; Bellometti 2003-2004, pp. 18-22; Torsellini 2003-2004, pp. 107-116, 306-362; Torsellini 2007-2008, pp. 50-61, 116121, R 45-90. 114 115 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda Ceramica. 1175. Frammento di parete di forma non determinabile. Ceramica. 1176. Frammento di parete di forma non determinabile. Ceramica. 1177. Frammento di parete con orlo di scodella a calotta. Ceramica. 1178. Frammento di parete con presa di forma non determinabile. Ceramica. 1179. Frammento di parete e orlo di tazza carenata. L 8; l 6; S 0,7; diam. orlo ricostruito 10,7. L 4,2; l 3,9; S 0,6. L 3,4; l 3,2; S 1. L 13,5; l 7,8; S 1,2. Parete di con profonde impressioni digitali ravvicinate. Impasto semidepurato. Parete con decorazione impressa: linea incisa affiancata da due file di impressioni puntiformi. L 7; l 5,1; S 0,5; diam. orlo ricostruito 13,1. L 11,4; l 6,1; S 0,7; diam. orlo ricostruito 15. Parete con orlo appartenente a piccolo vaso o tazza globulare, con presa a linguetta perforata. Spazzolatura sulla superficie esterna. Impasto semidepurato. Le forme globulari sono ben attestate nell’Eneolitico, così come le prese a linguetta e l’uso della spazzolatura delle pareti. Il tipo decorazione presente sul frammento conosce un’importante attestazione durante l’Eneolitico. 116 Impasto semidepurato. La decorazione può rimandare ad un periodo compreso tra l’Eneolitico e il Bronzo antico. Orlo diritto, bordo arrotondato. Parete con piccola presa a linguetta. Spazzolatura esterna. Impasto semidepurato. Impasto semidepurato. La forma, considerata all’interno del contesto, non contraddice l’ipotesi di un’attribuzione dell’insieme all’Eneolitico. La spazzolatura è operazione tipica dell’Eneolitico. 117 Parete con bugnetta sottile sull’orlo e cuppelle circolari, sia isolate che disposte a gruppi. Impasto semidepurato. Il tipo di decorazione plastica (bugnetta e cuppelle) e di morfologia vascolare permettono di attribuire l’elemento all’Eneolitico. Cartografia archeologica del comune di Calenzano Ceramica. 1174. Frammento di parete con orlo e presa. Ceramica. 1180. Frammento di parete di forma non determinabile (globulare?). Ceramica. 1181. Frammento di parete di forma non determinabile. L 8,1; l 6,5; S 0,7. L 11,2; l 10,4; S 1,1. Parete con ansa verticale a nastro e bugnette. Parete con cordoni paralleli e adiacenti, orizzontali. Spazzolatura esterna. Impasto semidepurato. Impasto semidepurato. Sia il tipo di decorazione plastica a cuppelle che la forma ceramica permettono di attribuire l’elemento all’Eneolitico. La decorazione a cordoni paralleli e la spazzolatura della parete sono tipiche dell’Eneolitico. 1180 1174 1178 1177 [O.F.] 1181 118 1175 1176 119 Cartografia archeologica del comune di Calenzano 1179 17 – Areale XVII Localizzazione Torri. Contesto di ritrovamento Indeterminabile. Contesto attuale Indeterminabile. Descrizione Rinvenimento sporadico di una tegola frammentaria iscritta. Grado affidabilità -/3/- Cronologia Periodo classico: periodo ellenistico. Fonti di archivio Bibliografia Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 7, 1961-1970, Calenzano, prot. 2475 del 1965; pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano, prot. 22599 del 2004 (si veda Scheda 12 nota1) Archivio GAF. Nicosia 1966c, p. 308; Spaterna 1992, p. 110; Carta Archeologica 1995, p. 7; Baldini 20072008, pp. 274-276. Monumento funerario. 2139. Tegola frammentaria iscritta. L 9; l 7,9. Frammento di piastra di tegola piana. Sulla superficie superiore, ben lisciata, si conserva parte di una iscrizione graffita prima della cottura in caratteri etruschi, di cui restano solo due lettere in ductus sinistrorso e una linea verticale. Non rintracciata. Bibliografia: Nicosia 1966c, p. 308; Spaterna 1992, p. 110; Carta Archeologica 1995, p. 7; Baldini 20072008, pp. 274-276, n. 100. Il manufatto, è di estremo interesse. Se infatti coglie nel segno la prima interpretazione dell’iscrizione, [---]j. l (Nicosia 1966c, p. 308), si tratterebbe della parte conclusiva di un praenomen terminante in –j, espresso in genitivo, con chiaro riferimento ad ambito sepolcrale. È necessario notare l’alta valenza dal punto di vista documentario di questo frammento, in quanto attesta la volontà di riconoscimento del defunto: infatti non si tratta di una tegola riutilizzata e rifunzionalizzata, incidendoci il nome della persona morta, ma di una tegola commissionata per l’utilizzo funerario, poiché l’iscrizione, peraltro incisa in una tabula che definisce lo spazio scrittorio – forse così va interpretata la linea verticale più esterna, realizzata in- 120 sieme all’iscrizione stessa –, è stata incisa a crudo, prima della cottura. Sarebbe interessante sapere dove fosse posta tale tegola: infatti senza scomodare le più note tegole iscritte di area chiusina che venivano utilizzate per chiudere i nicchiotti aperti lungo i dromoi, non possiamo stabilire se chiudesse un piccolo dolium, al cui interno era deposto il cinerario ed il corredo, o semplicemente il cinerario stesso. A tal proposito, solo per dovere di documentazione, bisogna notare che la formula genitivale a cui fa riferimento Nicosia(CIE 216=TLE 431) era apposta sulla porta di travertino della tomba gentilizia dei Cvenle trovata presso Montaperti, nel territorio senese (Cristofani 1979, pp. 179180), soggetto della quale era la tomba stessa (suji). Poiché dunque in periodo ellenistico le epigrafi sepolcrali sono attestate prevalentemente con «la formula onomastica pura e semplice» (Benelli 2007, pp. 165), bisogna ipotizzare una formula del tipo sopra descritto o, più semplicemente, pensare alla tegola come al frammento di un testo più esteso in cui il defunto era definito anche con altri titoli, come ad esempio un patronimico (figlio di Larj) o un gamonimico (moglie di Larj), qualora si trattasse di una donna, anche se il gamonimico viene indicato di regola dal gentilizio e/o dal cognomen del marito (Rix 1977, p. 66), mentre in questo caso deriverebbe dal praenomen. Tuttavia tale consuetudine poteva anche essere superata, come testimonia il cippo di marmo 121 trovato sempre nel distretto fiesolano a S. Martino alla Palma (CIE 15=ET Fs 7.1; si veda da ultimo Benelli 2007, pp. 172-173). Età ellenistica. [G.B.] Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda 18 – Areale XVII Scheda 19 – Areale XVIII Localizzazione Torri (CTO). Localizzazione Ciarlico (CCI). Contesto di ritrovamento Strutture in elevato. Contesto di ritrovamento Strutture in elevato. Contesto attuale Strutture in elevato. Contesto attuale Strutture in elevato. Descrizione Agglomerato di case a mezza costa sul pendio orientale della Calvana, stretto intorno alla piccola chiesa di Santa Margherita, abbandonato e successivamente restaurato. Gli edifici civili e la chiesa conservano ancora evidenti ampi tratti della muratura originaria. Descrizione Materiali Non sono stati rinvenuti reperti mobili. Gruppo di case da signore in conci di alberese, disposte lungo la strada di mezza costa sul fianco della Calvana, raccolte intorno all’aia. Nonostante il recente restauro, rimangono ancora evidenti i paramenti murari originali con le caratteristiche che li datano al XIII-primi del XIV secolo. Ben conservata anche l’aia del paese. Grado affidabilità -/-/4 Materiali Non sono stati rinvenuti reperti mobili. Cronologia Periodo post-classico: XIV-XVIII secolo. Grado affidabilità -/-/4 Interpretazione Periodo post-classico: si tratta di uno degli insediamenti sorti sulla via di crinale che percorreva la Calvana e metteva in comunicazione Prato con la Val di Marina e il Mugello; una volta decaduta questa viabilità, il sito, così come Ciarlico (Scheda 19), sopravvisse grazie allo sfruttamento dei pascoli e delle poche aree a coltura della Calvana. Spopolato già alla fine dell’età moderna, è stato recentemente restaurato ed è prevalentemente luogo di villeggiatura. Cronologia Periodo post-classico: la vita del villaggio è inquadrabile in un ambito cronologico piuttosto ampio, XIII-XVI secolo; successivamente si è verificato un abbandono del sito a favore dell’insediamento in fondovalle, mentre recentemente il borgo è nuovamente abitato, anche se soprattutto come luogo di villeggiatura. Interpretazione Periodo post-classico: insediamento accentrato medievale, che doveva basarsi sulla messa a coltura delle aree più protette della Calvana e sullo sfruttamento dei pascoli, sempre in Calvana. Bibliografia Bardazzi 1981; Bellometti 2003-2004, pp. 10-29. Fonti Cartografiche Piante di Popoli e Strade, c. 450 (S.ta Margherita a Torri). Bibliografia Lamberini 1987, I, pp. 105-108; Torsellini 2007-2008, pp. 27-38, 46-48. 122 123 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda Scheda 20 – Areale XIX Localizzazione Carraia, lottizzazione 1982. Contesto di ritrovamento Urbanizzato. Contesto attuale Urbanizzato. Descrizione Materiale recuperato dal GAF al limite Nord-Ovest dell’abitato di Carraia, nel terreno rimosso e nelle sezioni di scavo nel corso di una serie di sbancamenti per opere edilizie nel 1982. I reperti furono poi in parte consegnati alla SBAT, dove sono tuttora in deposito. Materiali Abbondante materiale fittile protostorico. Scarse attestazioni per quanto riguarda il periodo classico, costituite soprattutto da ceramica depurata di periodo romano. Per il periodo post-classico, si contano esclusivamente materiali di epoca moderna, per lo più ingubbiata e graffita e maiolica di Montelupo per un totale di 17 pezzi. Interessante uno dei frammenti di maiolica montelupina, che reca nella decorazione parte di uno stemma con aquila bicipite. Periodo preistorico: più di 300 frr. ceramici, circa 20 manufatti litici, 1 fibula in bronzo, frr. di una o più lastre sottili di calcare; dal terreno rimosso e dalle sezioni dello sbancamento. Periodo classico: periodo etrusco, arcaico: 1 fr. ceramico; periodo romano: 6 frr. ceramici. Periodo post-classico: 16 frr. ceramici, 1 moneta. Cfr. schede di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0016/26/27. Grado affidabilità 3/3/3 Cronologia Periodo preistorico: Protostoria (Proto-Villanoviano o Villanoviano); inoltre, sporadici elementi forse eneolitici. Periodo classico: periodo etrusco arcaico e romano. Periodo post-classico: XIV-XIX secolo. Interpretazione Litica. 1158. Nucleo. Litica. 1159. Manufatto ritoccato. Litica. 1160. Manufatto ritoccato. L 3,4; l conservata 3,1; S 0,9. L conservata 1,8; l 0,8; S 0,5. L conservata 2,1; l 1,1; S 0,3. Nucleo frammentario a distacchi centripeti coprenti sulle due facce opposte. Lama-raschiatoio su lamella frammentaria di piccole dimensioni; ritocco unilaterale. Piccola lama frammentaria con troncatura e dorso a profondi incavi. Selce. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Selce. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Periodo preistorico: per il periodo protostorico, la maggior parte del materiale sembra di contesto funebre, Villanoviano o Proto-Villanoviano (tra la fine dell’età del Bronzo e l’inizio dell’età del Ferro, cioè tra l’XI e il X secolo a.C.). Sono presenti vari pezzi di una o più lastre calcaree probabilmente utilizzate a copertura, oltre a diversi frammenti di forme vascolari decorate con i tipici motivi villanoviani, probabilmente anche appartenenti a forme biconiche, che possono essere state utilizzate per custodire le ceneri dei defunti. La litica comprende circa una ventina di manufatti, a spigoli freschi. È presente anche una fibula in bronzo ad arco ingrossato e ribassato. In una porzione circoscritta dell’area delle escavazioni, il GAF ha raccolto inoltre materiale apparentemente più antico, forse attribuibile all’Eneolitico. Periodo classico: i materiali del periodo classico sono scarsamente inquadrabili a causa del pessimo stato di conservazione, pertanto non è possibile avanzare una ulteriore determinazione della cronologia e del tipo di utilizzazione dell’area. Periodo post-classico: la scarsità dei rinvenimenti post-classici non consente interpretazioni più approfondite e conferma semplicemente che la zona era popolata in età moderna, con la presenza di coloniche poderali, anche di una certa importanza. Anno di scavo 1982. Bibliografia de Marinis, Salvini 1999, pp. 75-78; Baldini 2007-2008, p. 273. 124 125 Selce. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Cartografia archeologica del comune di Calenzano 2 Litica. 1162. Manufatto ritoccato. Metallo. 1163. Fibula di bronzo. L conservata 5,4; l 1,9; S 0,4. L conservata 3,7; l 1,3; S 0,4. L 2,3; l 0,8; S 0,5. Lama frammentaria con ritocco marginale laterale parziale. Lama frammentaria a ritocco bilaterale totale denticolato. Selce. Selce. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Fibula ad arco ingrossato e ribassato, decorata con linee profondamente incise a formare un motivo di difficile lettura per le cattive condizioni di conservazione. 126 La fibula trova confronti con il materiale di epoca villanoviana individuato anche nel territorio di Sesto Fiorentino (de Marinis, Salvini 1999, pp. 7578). Ceramica. 1164. Frammento di parete di forma non determinabile. Ceramica. 1165. Frammenti di tazza globulare (?). Ceramica. 1166. Frammento di parete di forma non determinabile. L 3; l 2,6; S 0,8. Frammenti di varie dimensioni; S 0,4. L 8,4; l 6; S 1,1. Parete con decorazione impressa a segni cruciformi inscritti in un cerchio. Circa 20 frammenti di forma non determinabile, probabilmente tazza globulare, con decorazioni impresse lineari e bugne con cuppelle. Parete con cordone digitato. Impasto semidepurato. Lo stile decorativo può appartenere al Proto-Villanoviano (XI-X secolo a.C.) o al Villanoviano (IX-VIII secolo a.C.). Impasto semidepurato. Lo stile decorativo può appartenere al Proto-Villanoviano (XI-X secolo a.C.) o al Villanoviano (IX-VIII secolo a.C.). 127 Impasto semidepurato. Cartografia archeologica del comune di Calenzano Litica. 1161. Manufatto ritoccato. Ceramica. 1169. Frammento di parete di forma non determinabile. Ceramica maiolica di Montelupo. 3134. Frammento di fondo di piatto o alzata. L 8,2; l 6,6; S 0,7. L 11,5; l 7,7; S 1,4. L 7; l 2,9; S 0,6. Parete con ansa verticale a nastro tendente a bastoncello. Frammento di parete con cordone liscio. Impasto semidepurato. Impasto semidepurato. Fondo con decorazione in giallo, bruno e blu, consistente in un blasone con stemma centrale conservato solo per il capo bicipite e doppiamente coronato di un’aquila in bruno. 1158 [O.F.] Impasto ben depurato, di colore rosa chiaro. Smalto bianco, spesso e coprente, sia esterno sia interno, con craquelures. Per la classe si veda Berti 1997, I. 1165 1164 1166 1159 1160 1163 1168 Probabile produzione montelupina, XVII-XVIII secolo. [L.T.] 1162 1161 1169 128 129 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Ceramica. 1168. Frammento di parete e ansa di forma non determinabile. 21 – Areale XIX Scheda 22 – Areale XX Localizzazione Carraia, via Barberinese 56. Localizzazione Carraia, chiesa di Santa Maria. Contesto di ritrovamento Urbanizzato. Contesto di ritrovamento Campo arato. Contesto attuale Urbanizzato. Contesto attuale Urbanizzato. Descrizione Cippo sferoidale di arenaria, rinvenuto interrato nel giardino di un’abitazione privata; in base alle testimonianze sembra che sia stato recuperato non distante dall’abitazione. Fuori posto. Descrizione Grado affidabilità -/4/- Durante lavori agricoli nell’area della chiesa furono rinvenute due lapidi con iscrizioni latine, da riferire a due sepolture. Le stele documentano la presenza di un’area sepolcrale posizionata lungo l’antica via di comunicazione verso il Mugello, sulla quale già in periodo etrusco erano presenti necropoli o aree sepolcrali. Cronologia Periodo classico: periodo etrusco, probabile età arcaica. Interpretazione Periodo classico: monumento funerario. Pur non essendone precisamente localizzabile la provenienza, questo monumento rimane comunque importante, se consideriamo che possa provenire da un’area non distante dall’odierna collocazione: si dispone infatti lungo una via già nota per altri ritrovamenti di monumenti funerari, fatto che sembrerebbe confermare l’importanza in periodo antico di quest’asse viario. Materiali Periodo classico: stele di arenaria (CIL XI, 1644): Q· ATTI(o) ATTIA Q· ATTIV(s); stele di marmo (CIL XI, 1677): TERTVLLAE ALBRICIAE. Grado affidabilità -/2 (segnalazione bibliografica)/- Cronologia Periodo classico: periodo romano. Interpretazione Periodo classico: stele funerarie. Anno di scavo 1734, anno di rinvenimento. Bibliografia Gori 1734, 457, 81; CIL XI, 1644, 1677; Magi 1929, p. 25; Lopes Pegna 1974, p. 378, nn. 196-197. Lamberini 1987, I, p. 100; Spaterna 1992, p. 110; Carta Archeologica 1995, p. 10; Baldini 2007-2008, pp. 272-273. Fonti di archivio Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano, prot. 22599 (si veda Scheda 12 nota1). Archivio GAF. Bibliografia Baldini 2007-2008, pp. 267-268. 1 Relazione prot. 22599 del 2004 (si veda nota 3). 130 131 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda Scheda 23 – Areale XX Localizzazione Carraia, lottizzazione 2007. Contesto di ritrovamento Scavo archeologico. Contesto attuale Urbanizzato. Descrizione A seguito di una segnalazione, la SBAT ha imposto la realizzazione di saggi preventivi per verificare la fattibilità dell’intervento edilizio progettato. Materiali Dal sito, in corso di studio, provengono materiali che vanno dal periodo etrusco, arcaico fino all’età moderna. Grado affidabilità -/5/- Cronologia Periodo classico: l’occupazione dell’area è attestata a partire dal periodo etrusco, facies arcaica, per scopi abitativi e produttivi, come dimostrano i rinvenimenti, senza soluzione di continuità fino al periodo medio-imperiale. Di rilievo il ritrovamento di alcune strutture murarie e di una fornace da ceramica riferibili all’epoca ellenistica. L’ultima fase dell’occupazione del sito sembra essere, come dimostrato da alcuni frammenti recuperati negli strati di obliterazione delle strutture, di periodo tardo-antico. L’area poi sarà rioccupata in seguito con l’edificazione della chiesa di Santa Maria. Carraia Saggio 13 sezioni fornaci Interpretazione Periodo classico: area abitativa e produttiva in età etrusca arcaica ed ellenistica; frequentazione dal periodo romano imperiale fino al tardo-antico. Responsabile SBAT (impresa esecutrice SACI). Anno di scavo 2007. Bibliografia Baldini 2007-2008, pp. 269-272; Tuci 2008, pp. 149-152. 132 Fornace Est - sezione a - a' Carraia Saggio 13 - fornace Ovest US 3/4/12 Fornace Ovest - sezione b - b' Carraia Saggio 13 133 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Carraia Saggio 13 - fornace Est US 13/16/18 Ceramica da fuoco e/o da dispensa. 2132. Porzione di coperchio di impasto grezzo. L 3; l 6,6; S 0,7. L presa 11; L orlo 2,74; l presa 1,4; l orlo 11,5; S presa 0,9; S orlo 1,2. Orlo estroflesso, a sezione ovale, arrotondato ed assottigliato, distinto dalla parete e leggermente rivolto verso il basso; parete rastremata verso il basso, con traccia di carenatura poco sotto l'orlo. Impasto tipo CSE 1. Stato di conservazione: superficie esterna leggermente abrasa, fratture arrotondate. Se per il tipo d’impasto la coppetta sembra riferibile all’età arcaica, la forma sembra piuttosto avvicinabile alla serie 1550 della classificazione Morel delle ceramiche a vernice nera (Morel 1981, pp. 123 ss., tav. 23), della quale è stato rinvenuto un esemplare ad Artimino (Alderighi 1987, p. 111, n. 102, fig. 83): la sua datazione si pone tra la fine del IV e gli inizi del III secolo a.C. Tale tipologia è diffusa nell’area della Toscana settentrionale soprattutto in ceramica grigia: frammenti ad essa riconducibili sono stati trovati a Bagno a Ripoli (Boldrini 1988, pp. 41, 45, n. 71), Fiesole (Boldrini 1990, p. 125, tav. 7.2), Artimino (Giachi 2006, pp. 146, 153, nn. 8-9) e Scandicci (Turchetti 2003, p. 50). III-II secolo a.C. Orlo indistinto all’esterno e distinto all’interno, con bordo arrotondato ed ingrossato; corpo troncoconico a pareti tese, fortemente rastremate verso il basso, a profilo bombato; superficie superiore del coperchio leggermente schiacciata; ansa-maniglia orizzontale a bastoncello leggermente compresso. Impasto tipo IGE 3. Stato di conservazione: due frammenti ricomponibili pertinenti alla presa e cinque ricomponibili pertinenti all'orlo; superficie esterna leggermente abrasa, fratture piuttosto vive. Il coperchio in esame è agevolmente riconducibile al tipo San Rocchino. Tale tipologia, che deve il suo nome ad un sito etrusco in provincia di Lucca (Fornaciari, Mencarini 1970, p. 155, fig. 16), è diffusa in tutta l’Etruria settentrionale ed anche nell’Etruria padana in un periodo compreso tra il VI secolo a.C. e gli inizi del secolo successivo: le attestazioni più meridionali sono riferibili a Murlo (Bouloumié 1978, p. 127, n. 1181, tav. IV; Nielsen, Phillips 1985, p. 147, 3 655 – L.R. Lacy), mentre quelle più settentriona- 134 li sembrano riferibili a San Claudio di Reggio Emilia (Malnati, Losi 1990, p. 95, tav. XXXI.4). Orli che potrebbero forse essere ricondotti a questo tipo di coperchi, ma che in passato sono stati interpretati come pertinenti a coppette a corpo basso, sono stati trovati sia ad Artimino (Giachi 1987, pp. 149 ss., tipo V) che a Marzabotto (Bouloumié 1976, p. 111, tav. III, 413114, tipo b2). VI-inizi del V secolo a.C. Ceramica da fuoco. 2133. Frammenti di orlo e parete di grande olla di impasto grezzo. L 7; l 19,9; S 2,6. Frammento maggiore di parete: L 10,2; l 21; S 1,8. Orlo rientrante ad estroflesso, superiormente appiattito ed esternamente espanso e arrotondato, a profilo continuo; parete rastremata verso l’alto con cordonatura orizzontale. Impasto tipo IGE 5. Stato di conservazione: due frammenti, ricomponibili, pertinenti all'orlo e tre frammenti non contigui pertinenti alla parete; superficie esterna abrasa, fratture vive. I frammenti sono da ricondurre ad una tipologia di grandi contenitori di impasto grezzo a orlo rientrante e parete cordonata rastremata verso l’alto, piuttosto diffusa nell’Etruria padana; esemplari avvicinabili a questo sono attestati a Marzabotto (Massa-Pairault 1997, pp. 185, 208, pl. VIII 6.a-b, tipo 1) e San Claudio di Reggio Emilia (Malnati, Losi 1990, p. 92, tav. XXIII.7); più lontano sembra l’esemplare da Casale di Rivalta (Macellari, Squadrini, Bentini 1990, p. 178, tav. XLIII.4). Forse pertinente ad un grande contenitore di questo tipo è un frammento proveniente da Artimino (Lenzi 2006, pp. 128-129, n. 20). Ceramica da fuoco. 2134. Porzione di vaso internamente partito (fornello?) di impasto grezzo. L 8,3; l 16,3; S 1,4. Orlo indistinto e superiormente appiattito; basso corpo a profilo convesso; parte interna divisa in tre lobi leggermente affossati di forma sub-circolare, separati da costolature1 in leggero rilievo; fondo esterno non lavorato; presente sul fondo la piccola parte di un piede o di un attacco, fortemente inclinato verso l’esterno. Impasto tipo IGE 1. Stato di conservazione: ricomposto da tre frammenti e conservato per oltre metà; quasi del tutto perduto il piede; superficie esterna leggermente abrasa, fratture vive. L’oggetto in esame trova scarsi confronti nella precedente letteratura archeologica: un vaso con avvallamenti interni di forma circolare realizzato in ceramica attica a vernice nera, conservato nella Collezione Archeologica di San Martino delle Scale a Palermo, è stato interpretato come un kernos. Secondo la curatrice del catalogo esso sarebbe l’esemplare di una forma vascolare realizzata dai ceramisti ateniesi esclusivamente per il mercato punico (Equizzi 2006, p. 477, n. 258 tavv. LXV e C). 135 È tuttavia necessario specificare che il vaso di Palermo è molto lontano da quello in esame per quel che riguarda il materiale e la cronologia (età ellenistica). Confronti più convincenti possono instaurarsi con frammenti provenienti dal vicino abitato etrusco di Gonfienti, caratterizzati dalla forma circolare e dalla presenza di piccoli avvallamenti sulla parte interna del fondo. Gli esemplari di Gonfienti si distinguono dal nostro perché (tranne forse che in un caso) sembrano privi del piede. Il dato più interessante è costituito dalla presenza di tracce di carbone sulla superficie interna, che rivela come in questa parte dell’oggetto avvenisse una combustione. Si potrebbe ipotizzare che si tratti di un vaso rituale atto a bruciare sostanze aromatiche tenute separate ciascuna nel proprio alloggiamento. Non si può neppure escludere che si tratti di un piccolo fornello atto a cuocere cibi malleabili (focaccine?) o uova. Va però sottolineato come i fornelli con orlo superiormente appiattito siano attestati per lo più nell’età del Bronzo (Scheffer 1981, p. 32, fig. 4). VI secolo a.C. 1 È probabile che le partizioni interne dell’oggetto nella sua interezza fossero per lo meno quattro, ma più probabilmente sei. Cartografia archeologica del comune di Calenzano Ceramica da mensa. 2131. Frammento di orlo di coppetta di impasto semidepurato. Instrumentum domesticum. 2136. Frammento di orlo di bacile (pelvis) di impasto grezzo. orlo rinvenuto nel corso di ricerche di superficie ad Artimino (Lenzi 2006, p. 122, n. 1, fig. p. 120). Ceramica da mensa. 2137. Frammento di ansa di olpe di ceramica grigia. Ceramica da mensa. 2138. Frammento di orlo di ciotola di ceramica grigia. L 7,6; l 11; S 0,8. L 11,4; l 24,5; S 2,6. L 47,5; l 3,1; S 1,8. L 3,8; l 5,9; S 0,9. Orlo fortemente estroflesso con bordo ingrossato e arrotondato, leggermente inclinato verso il basso; parete a profilo bombato, rastremata verso il basso. Spesso orlo distinto di bacile, a sezione trapezoidale, con spessore più ampio nella parte inferiore che nella parte superiore; superficie schiacciata su tutti e quattro i lati; conservato l’avvio della vasca, a profilo convesso, rastremata molto nettamente verso il basso. VI secolo a.C. o inizi del secolo successivo. Frammento di ansa verticale a bastoncello leggermente compressa. Orlo ingrossato a profilo ovale, esternamente appiattito, inclinato verso il basso e distinto internamente dalla parete da un accenno di carenatura; parete a profilo leggermente bombato, rastremata verso il basso. Impasto molto tenero e di colore grigioverdastro sia all’esterno che nell’anima, con numerosi inclusi bianchi subcircolari di medie dimensioni. Stato di conservazione: superficie esterna abrasa, con (numerosi) vacuoli; fratture vive. Il frammento sembra avvicinabile al tipo IV delle olle in ceramica grezza della Paggeria medicea di Artimino (Giachi 1987, p. 156, n. 244, fig. 110); forme simili si trovano anche negli impasti grezzi di Murlo (Bouloumié Marique 1978, p. 94, n. 391, tav. XVIII). Il nostro esemplare può essere avvicinato per la forma anche a tipi presenti nella classe di ceramiche d’impasto con inclusi bianchi diffusi tra Montalbano (Artimino: Lenzi 2006, pp. 107 ss.) e Valdelsa (Poggio Carlotta: Alderighi 1994, pp. 64 ss., tav. XI) tra VI e IV secolo a.C. Nel nostro caso, anche in ragione del contesto di rinvenimento, la datazione non dovrebbe scendere oltre i primi anni del V secolo a.C. Impasto tipo IGE 4. Stato di conservazione: superficie esterna leggermente abrasa; fratture vive. Riferibile all’età arcaica per il tipo di impasto, il frammento in esame sembra essere pertinente, per l'inclinazione della parete, a un bacile. Il notevolissimo spessore e la forma trapezoidale rendono difficili confronti del tutto convincenti. Esso può essere avvicinato al tipo C della classificazione di Bouloumié dei bacili d’impasto di Marzabotto (Bouloumié 1976, p. 123, nn. 41312 e 41313), che però presenta la gola meno marcata e, con qualche difficoltà in più, al tipo L2 della classificazione GoriPierini per i bacini di Gravisca (Gori, Pierini 2001, pp. 54-55 tav. 13,135) ed, al tipo 5 della classificazione dei bacini di Caere (Nardi 1993, p. 374). In ambito locale un confronto interessante può essere fatto con un frammento di 136 Impasto avvicinabile al tipo Fisti 3 (duro e compatto con frattura netta e liscia; rarissimi inclusi bianchi e distribuiti uniformemente). Stato di conservazione: superficie esterna abrasa, fratture leggermente arrotondate. L’ansa in esame è riconducibile al tipo II della classificazione Fisti per le olpai in ceramica grigia rinvenute nell’area presso il tempio ellenistico di Fiesole (Fisti 1993, pp. 43 ss., tav. III), datato tra il III ed il II secolo a.C. Se questo tipo non sembra diffuso nel territorio fiesolano, un’ansa non dissimile a questa è stata rinvenuta nel sito versiliese di Bora dei Frati (Storti 1990, p. 211, n. 97, fig. 116), sebbene in un contesto leggermente più antico rispetto a quello di Fiesole (IV-III secolo a.C.). Età ellenistica. Impasto avvicinabile al tipo Fisti 3 (duro e compatto con frattura netta e liscia; rarissimi inclusi bianchi). Stato di conservazione: superficie esterna abrasa, con tracce di vacuoli; fratture leggermente arrotondate. La ciotola è riconducibile al tipo VI della classificazione Fisti delle ciotole in ceramica grigia rinvenute nell’area del tempio ellenistico a Fiesole, ed in particolare alla variante B (parete con leggera carenatura subito sotto l’orlo), datata tra la seconda metà del III e la fine del II secolo a.C. (Fisti 1993, pp. 20-21, tav. I). Esemplari di questo tipo sono stati trovati anche nello scavo di via Marini, sempre a Fiesole (Boldrini 1990, p. 125, n. 3, tav. VII) e a Bagno a Ripoli (Boldrini 1988 pp. 41, 45, nn. 73-75, classificati come baciletti), in contesti che arrivano anche all’inizio del I secolo a.C. [D.T.] 137 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Ceramica da fuoco. 2135. Frammento di orlo di olla di impasto grezzo. 24 – Areale XXI Scheda 25 – Areale XXII Localizzazione Leccio, Casone (CCS). Localizzazione Leccio, Pratale (LEP). Contesto di ritrovamento Strutture in elevato. Contesto di ritrovamento Oliveto, strutture in elevato. Contesto attuale Strutture in elevato. Contesto attuale Oliveto, strutture in elevato tra oliveti. Descrizione Si tratta di un complesso colonico, posto lungo la strada antica per San Martino di Leccio, Vignale, Ripa e Volmiano, formato da due edifici, uno dei quali di chiara origine medievale. L’edificio principale presenta residui del paramento originale in conci e bozzette di alberese e, subito nei pressi, si conserva anche il muro di retta della strada sopra citata, particolarmente ben curato e con evidenti buche pontaie, che potrebbe risalire al Medioevo o all’età moderna. Descrizione Materiali Non sono stati rinvenuti reperti mobili. Il sito si presenta con una serie di terrazzamenti, situati alle pendici del Monte Morello e coltivati ad olivi e a maggese, a cui si accede dalla strada, ancora parzialmente lastricata, che da Leccio porta a San Martino Vecchio e da lì prosegue per Pratale, Vignale, Ripa e Volmiano. Sotto uno degli ultimi terrazzamenti, una colonica in restauro presenta ancora piccole porzioni di muratura in conci e bozzette, attribuibili al XIV secolo. I materiali sono stati raccolti dal GAF nel 1979, a seguito degli scassi praticati per la piantumazione dell’oliveta realizzata su un pianoro. Grado affidabilità -/-/4 Materiali Cronologia Periodo post-classico: le strutture murarie del Casone sono inquadrabili interamente tra il XIV e il XVII secolo. Interpretazione Periodo post-classico: casa da signore con funzioni anche di controllo della viabilità di mezza costa, successivamente trasformata in casa colonica. Si tratta di uno dei siti che compongono l’area omogenea della valletta di Leccio, area di strada, controllata dalla famiglia comitale dei Guidi come itinerario verso il Mugello. I materiali post-classici raccolti comprendono 13 frr. di piccole olle in acroma grezza, dalle pareti molto sottili, con tracce di fuoco e una placchetta di bronzo di difficile attribuzione. Periodo classico: periodo romano: 1 fr. ceramico; periodo tardo-antico: 229 frr. ceramici, per la maggior parte anforacei e ceramica da mensa. Periodo post-classico: 13 frr. ceramici, 1 fr. metallico. Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0004. Bibliografia Bellometti 2003-2004, pp. 122-166, 170-179, 183-185; Torsellini 2007-2008, pp. 4650, 65-83. Cronologia Periodo classico: occupazione in periodo tardo-antico, preceduta da una frequentazione in periodo romano. Periodo post-classico: XI-XIV secolo; la muratura riscontrabile sulla colonica può essere attribuita ai secoli centrali del Medioevo. Grado affidabilità -/2/3 Interpretazione Periodo classico: non vi sono dati precisi per delineare il tipo di insediamento, ma è ragionevole supporre l’esistenza di una fattoria, secondo il tipico esito insediativo di età romana. Periodo post-classico: forse insediamento sparso altomedievale, poi colonica. I materiali analizzati confermerebbero sia l’ipotesi della presenza di un insediamento sparso, a carattere agricolo, sia l’orizzonte cronologico compreso nei secoli del Medioevo, mentre la colonica segnalerebbe la sopravvivenza dell’insediamento anche in età moderna. Fonti di archivio Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 6, 1971-1980, Calenzano, prot. 6531 del 26 novembre 1979; pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano, prot. 22599 del 2004 (si veda Scheda 12 nota 1). Bibliografia Carta Archeologica 1995, p. 91; Bellometti 2003-2004, pp. 43-49, 122-151; Baldini 20072008, pp. 261-264; Torsellini 2007-2008, pp. 27-38, 46-64. 1 138 La segnalazione bibliografica, relativa ad un «recupero di emergenza» del 1979, parla di area di frammenti medievali. 139 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda Ceramica acroma grezza. 3128. Due frammenti di bordo di olla. L 6,5; l 5; S 0,5; diam. bordo ricostruito 18. L 6; l 5; S 0,7; diam. bordo ricostruito 19. Bordo estroflesso con orlo arrotondato e gola esterna. Bordo estroflesso e distinto con orlo arrotondato e gola esterna. Impasto duro, compatto ma ricco d’inclusi di calcite (<3 mm) e micacei (<3 mm) e di colore grigio, molto annerito dal fuoco, fino ad arrivare ad assumere il colore nero. Impasto di colore nero, probabilmente dovuto – almeno in parte – all’uso, duro, compatto, con numerosi inclusi micacei (<3 mm) e, in misura minore, di calcite (<3 mm). Cfr. Uffizi 2007, pp. 325, 382, fr. 20.6.14. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Uffizi 2007. Cfr. Uffizi 2007, pp. 326, 382, fr. 20.6.25. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Uffizi 2007. XIII secolo. XIII secolo. Ceramica acroma grezza. 3129.Frammento di bordo di olla. Ceramica acroma grezza. 3130. Frammento di bordo di olla. Ceramica acroma grezza. Frammento di bordo di catino. Metallo. 3132. Placchetta di bronzo. L 7,7; l 4; S 0,7; diam. bordo ricostruito 22,4. L 4,5; l 3,2; S 0,7; diam. bordo ricostruito 14,4. L 10; l 7,5; S orlo 1,5; S parete 1; diam. bordo ricostruito 21,6. L 3; l 2; S 0,3. Bordo estroflesso con orlo leggermente sagomato e assottigliato e gola esterna. Bordo estroflesso, leggermente arrotondato e assottigliato; gola esterna. Sul bordo interno, leggera scanalatura parallela all’orlo. Bordo di una forma aperta, probabilmente un catino con una piccola ansa. Bordo leggermente defluente, a sezione rettangolare; profonda gola esterna a separare l’orlo da una fascia leggermente in rilievo, decorata da profonde incisioni eseguite a crudo. Impasto rosso scuro, duro, compatto, con numerosi inclusi, molto piccoli, di calcite e micacei. Cfr. Uffizi 2007, pp. 325, 382, fr. 20.6.23. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Uffizi 2007. XIII secolo. Impasto di colore arancio, duro, compatto, ricco di millimetrici inclusi di calcite e micacei. Cfr. Uffizi 2007, pp. 325, 382, fr. 20.6.20, per la forma dell’orlo. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Uffizi 2007. XIII secolo. Impasto duro, compatto, ricco di millimetrici inclusi di calcite, mica e digrassante. Cfr. Palazzo Pretorio 1978, pp. 193,194, fr. 1029. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Uffizi 2007. XVI secolo. 140 141 Placchetta, forse da cintura, piatta con un punzone ad un’estremità e un piccolo gancio all’estremità opposta. Sul lato superiore, decorazione non leggibile. Cfr. Citter 2002, pp. 115-167. [L.T.] Cartografia archeologica del comune di Calenzano Ceramica acroma grezza. 3127. Due frammenti di bordo di olla. 26 – Areale XXII Localizzazione Leccio, Vignale (LER). Contesto di ritrovamento Strutture in elevato, oliveto. Contesto attuale Strutture in elevato, oliveto. Descrizione Il sito, lungo la strada che da San Martino Vecchio sale a Ripa per scollinare verso Volmiano, si presenta come un declivio marcato, coltivato ad olivi su terrazzamenti e percorso da una strada sterrata che conduce oltre il crinale, verso Nord, e attraversa anche l’aia di una colonica. Il nucleo più antico di questo complesso è costituito da una casa da signore in conci di alberese e sporadica arenaria, sbozzati a squadro, che presenta ancora un portalino sul lato meridionale e porzioni della risega originaria. Alla torre più antica si appoggiano annessi più recenti, parzialmente intonacati. I frammenti ceramici pertinenti al sito sono stati rinvenuti durante le ricognizioni del GAF. Materiali La ceramica consiste per lo più in frammenti di ciotole e piatti di ingubbiata e graffita, due frammenti di contenitori cilindrici nello stesso materiale (forse albarelli) e pochi frammenti di forme aperte in maiolica arcaica. Attestata anche la maiolica di Montelupo. Periodo post-classico: 18 frr. ceramici. Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0002. Grado affidabilità -/-/5 Cronologia Periodo post-classico: XII-XVII secolo. Interpretazione Periodo post-classico: in generale il sito sembra configurarsi come una casa da signore del XIII secolo, evolutasi successivamente in una colonica al centro di un podere, come accade spesso in tutto il territorio di Calenzano, in particolar modo nella valle di Legri. Bibliografia Bellometti 2003-2004, pp. 43-49, 122-151; Torsellini 2007-2008, pp. 27-38, 46-48. Maiolica arcaica. 3087. Frammento di bordo con tesa di ciotola. Maiolica arcaica. 3088. Frammento di bordo di rinfrescatoio. L 3,2; l 2; S 0,6. S tesa 1; S parete 0,9; diam. bordo ricostruito 33. L 4,1; l 2; S 1,1. Bordo con tesa leggermente confluente e orlo arrotondato. Tracce di una decorazione non riconoscibile con campiture verde ramina e linee bruno manganese (probabilmente una treccia in verde ramina, tra linee orizzontali in bruno manganese). Parete con decorazione costituita da linee graffite a punta, spesso sovradipinte in nero e marrone, e da pennellate di verde ramina e giallo. All’esterno, tracce di una decorazione con una serie continua di archetti. Sulla parete interna, segni lasciati dei divaricatori. Impasto rosa chiaro, con minuscoli frammenti di calcite e digrassante (0,2 mm). Smalto rosato, un poco diluito ma uniforme, conservato in gran parte nell’interno e nella faccia superiore della tesa, ma con tracce anche sulle superfici esterne. Impasto arancio, depurato, con sporadici, piccoli vacuoli (1,6 mm). Ingobbio piuttosto spesso (0,9 mm) e di colore bianco giallastro. Bordo con tesa decorato da righe bruno manganese non molto regolari. Il frammento è in pessime condizioni di conservazione, probabilmente fluitato. Impasto depurato, di colore rosa chiaro. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Uffizi 2007. Inizi del XIV secolo. Cfr. Palazzo dei Vescovi II 1985, tav. X, fr. 2555. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Uffizi 2007. XIV secolo. Ceramica ingubbiata e graffita policroma a punta. 3089. Frammento di parete di ciotola. Il frammento è forse pertinente a una ciotola a listello. Cfr. Scheda 37 – 3053; Uffizi 2007, pp. 488, 498, frr. 31.1. Per la forma “ciotola da impagliata” si veda Berti 1997, II, forma I.D.4, 75. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987; Berti 1997, II; Uffizi 2007; Wentkoswska 2007. Fine del XVI secolo. 142 143 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda L 7,9; l 6; S 0,9-1,1. Parete con decorazione a pennellate semicircolari in verde ramina e giallo e righe di bruno manganese, pertinente al tipo “a spirali verdi”. Impasto bianco chiaro, depurato. Cfr. Scheda 81 – 3070; Scheda 85 – 3073; Berti 1997, II, p. 399, n. 366. Per la classe si vedano Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987. XVIII secolo. Maiolica di Montelupo. 3091. Frammento di fondo di piatto. L 5,2; l 5,6; S fondo 1,1; S parete 0,7; diam. fondo ricostruito 13. Fondo e attacco di parete con decorazione, non ricostruibile a causa delle piccole dimensioni del frammento, comprendente un motivo centrale in azzurro su bianco, all’interno di una fascia circolare in azzurro e arancio metallico; pareti probabilmente decorate in pennellate azzurre e righe bruno manganese sempre su fondo bianco. Forse lungo l’anello decorativo del fondo possono leggersi delle lettere (L). Sul fondo, tracce del distacco a cordicella. 27 – Areale XXI Localizzazione Leccio, casa torre (CLT). Contesto di ritrovamento Strutture in elevato. Contesto attuale Strutture in elevato. Descrizione La casa da signore, della tipologia della casa-forte, sorge nel fondo della valletta di Leccio, poco più in alto di una serie di risorgive. Si tratta di un complesso architettonico molto articolato, che in pianta ha una forma a “L”, per potersi estendere su due curve di livello. Le murature sono ben conservate, nonostante il restauro, e le aperture sono ancora perfettamente conservate, come l’articolazione interna dei volumi. Da una lettura critica delle novelle del Sacchetti è stato possibile avanzare l’ipotesi che si tratti della casa di messer Dolcibene a Calenzano, mentre è da smentire la coincidenza con il sito del castello di Leccio, che ospitava la guarnigione fiorentina alla metà del XIII secolo. Non ci sono infatti strutture con funzione militare e attribuibili ad un periodo anteriore alla fine del XIII secolo (quest’ultimo sito è forse da identificare nel poggio che sovrasta la casa da signore – Scheda 28). Materiali All’esterno il terreno è tenuto a giardino ed è stato pesantemente alterato, per cui non è facile reperire materiali mobili. Ciò nonostante si conservano numerosissimi frammenti di ceramica, per lo più maiolica arcaica, di Montelupo e ingubbiata e graffita. Grado affidabilità -/-/5 Cronologia Periodo post-classico: la costruzione dell’edificio è attribuibile al XIV secolo, ma si tratta di un edificio ad evidente continuità di vita, almeno fino al XVIII secolo. Interpretazione Periodo post-classico: l’edificio è identificabile con una casa-forte del XIV secolo, poi trasformata in casa di abitazione e recentemente restaurata. Si tratta di uno dei siti che compongono l’area omogenea della valletta di Leccio, area di strada, controllata dalla famiglia comitale dei Guidi come itinerario verso il Mugello. Le strutture in questione sono comunque attribuibili ai secoli in cui tutta l’area era ormai stabilmente sotto il controllo fiorentino e destinata prevalentemente ad uso agricolo. Fonti Cartografiche Piante di Popoli e Strade, c. 441 (S.to Martino a Leccio). Bibliografia Lamberini 1987, I, pp. 153-155; Bellometti 2003-2004, pp. 43-48, 173-190; Torsellini 2007-2008, pp. 174-185, R 195-206. Ceramica ingubbiata e graffita policroma a punta. 3092. Frammento di parete di “scodellone”. L 7,2; l 4,8; S 0,5. Parete con distinzione tra parete e cavetto decorata da sottili linee graffite a punta oblique a “S” sovradipinte con larghe pennellate in verde scuro. Tracce del distacco dei divaricatori “a zampa di gallo” sul confine tra parete e cavetto. Impasto duro, depurato, rosa chiaro. Ingobbio bianco, coprente, uniforme, solo interno. Vetrina giallo chiaro, sottile, non uniforme, solo interna. Impasto depurato, con sporadici piccoli vacuoli (0,3 mm ca.), granuli di calcite e di altro digrassante (0,2-0,3 mm) e piccole schegge di laterizi (0,4 mm). Smalto bianco, coprente e uniforme, presente su tutto l’esterno, compreso il fondo. Cfr. Scheda 6 – 3068. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987; Berti 1997, II; Uffizi 2007; Wentkoswska 2007. Per la classe si vedano Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987. [L.T.] Fine del XVI-XVII secolo. XVI-XVII secolo. 3091 3088 144 145 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Maiolica di Montelupo. 3090. Frammento di parete di piatto. Scheda 28 – Areale XXI Scheda 29 – Areale XXIII Localizzazione Leccio, Castellare (CLG). Localizzazione Case Palaia. Contesto di ritrovamento Campo arato, vigneto, oliveto. Contesto di ritrovamento Strutture in elevato. Contesto attuale Campo arato, vigneto, oliveto. Contesto attuale Strutture in elevato. Descrizione Il sito si trova sulla sommità di uno sperone roccioso in travertino, sopra le risorgive del fosso di Rimaggio nella valle di Leccio, dove attualmente, in un oliveto, si trovano i resti di una doppia cinta muraria con la soglia di una porta. La sommità del colle è inoltre costellata di avvallamenti che fanno pensare a crolli di ambienti interrati. Le risorgive sottostanti hanno nel tempo eroso la collina, che è parzialmente franata scoprendo una serie di cisterne, utilizzate in tempi recenti come magazzino. Il sito, viste le sue caratteristiche orografiche, ben difendibili, potrebbe essere identificato con quello del castello di Leccio, sede della guarnigione fiorentina all’epoca di Montaperti. Descrizione Casa colonica situata immediatamente sotto la strada che porta da Leccio a San Martino Vecchio, a poche decine di metri prima della chiesa omonima. All’interno delle strutture della casa colonica si conservano ampi lacerti di muratura in conci e bozzette di alberese che testimoniano la presenza di un’antica casa da signore, in origine forse una torre di sorveglianza della viabilità. Materiali Non sono stati rinvenuti reperti mobili. Materiali Molti materiali affiorano dalle radici degli olivi, ma non è stato possibile raccoglierli né esaminarli trattandosi di area privata recintata. Grado affidabilità -/-/4 Cronologia Periodo post-classico: XII-XVII secolo. Grado affidabilità -/-/4 Interpretazione Cronologia Periodo post-classico: XIII-XIV secolo. Periodo post-classico: torre di controllo della viabilità che attraversava la valle di Legri verso San Giovanni in Petroio e il Mugello, poi trasformata in casa da signore, al centro di una proprietà poderale. Attualmente è una casa di abitazione. Interpretazione Periodo post-classico: sito fortificato, forse sede della guarnigione fiorentina intorno alla metà del XIII secolo, attualmente a forte rischio di distruzione a causa dei frequenti lavori edilizi e agricoli da parte del proprietario. Fonti Cartografiche Piante di Popoli e Strade, c. 441 (S.to Martino a Leccio). Bibliografia Bellometti 2003-2004, pp. 170-179, 181-182; Torsellini 2007-2008, pp. 62-77. Fonti Cartografiche Non reperite. Bibliografia Lamberini 1987, I, pp. 153-155; Bellometti 2003-2004, pp. 43-48, 173-190; Torsellini 2007-2008, pp. 174-185, R 195-206. 146 147 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda 30 – Areale XXIII Scheda 31 – Areale XXIV Localizzazione San Martino Vecchio o San Martino a Leccio (CSM). Localizzazione Leccio, Palaia (LE PAL). Contesto di ritrovamento Strutture in elevato. Contesto di ritrovamento Oliveto. Contesto attuale Strutture in elevato. Contesto attuale Oliveto. Descrizione Resti della chiesa di San Martino a Leccio e dei suoi annessi, attualmente inseriti all’interno di un complesso colonico. Il sito si trova lungo la via che porta da Leccio a Vignale, Ripa e Volmiano, nei pressi dell’attraversamento di un ruscello, subito sotto il livello della strada. La chiesa, di cui si hanno notizie a partire dal XIII secolo, si conserva quasi per intero, a parte il tetto, ma è attualmente adibita a pollaio del complesso colonico. Proprio sulla curva, vi è un edificio di forma quadrata che lascia intravedere sotto l’intonaco porzioni di paramenti murari probabilmente medievali e una risega in alberese; si tratta probabilmente di una torre, posta a controllo della strada. Non ci sono reperti provenienti da questo sito, ma da quelli immediatamente adiacenti (Schede 25, Leccio Pratale, e 26, Leccio Vignale). Descrizione L’area è posizionata nella piccola sella fra le colline di Leccio e Pratale, alle pendici di Monte Morello. La raccolta dei materiali da parte del GAF è stata effettuata durante i lavori di manutenzione dell’oliveto, con una parziale lavorazione del terreno. Materiali Periodo classico: 19 frr. ceramici (ceramica d’impasto e ceramica depurata, un frammento di sigillata italica), 1 osso animale. Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0005. Grado affidabilità -/2/- Grado affidabilità -/-/5 Cronologia Periodo classico: periodo romano imperiale. Cronologia Periodo post-classico: le strutture murarie superstiti presentano tipologie murarie e costruttive attribuibili ai secoli compresi tra il XIII e il XVIII secolo. Interpretazione Interpretazione Periodo post-classico: piccola struttura insediativa fortificata, pertinente probabilmente alla chiesa, lungo la strada Leccio-Legri-Mugello. Si tratta di uno dei siti che compongono l’area omogenea della valletta di Leccio, area di strada controllata dalla famiglia comitale dei Guidi come itinerario verso il Mugello e successivamente trasformata in colonica. Periodo classico: l’esiguità dei materiali non consente di precisare il tipo di utilizzazione dell’area, ma si può ipotizzare che si tratti di una piccola fattoria situata lungo la direttrice della Flaminia minor. Fonti di archivio Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano, prot. 22599 del 2004 (si veda Scheda 12, nota 1). Fonti cartografiche Piante di Popoli e Strade, c. 441 (S.to Martino a Leccio). Bibliografia Baldini 2007-2008, pp. 260-261. Bibliografia Lamberini 1987, I, 122-124; Bellometti 2003-2004, pp. 43-49, 122-151; Torsellini 2007-2008, pp. 46-50, 65-66. 148 149 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda 32 – Areale XXV Scheda 33 – Areale XXVI Localizzazione Leccio, San Romolo (CLR). Localizzazione Travalle, Podere Castellaccio (TR II). Contesto di ritrovamento Strutture in elevato. Contesto di ritrovamento Campo arato, scavo archeologico. Contesto attuale Strutture in elevato. Contesto attuale Campo arato. Descrizione La chiesa di San Romolo è costruita su una selletta che domina la valle di Leccio dal versante Sud. La chiesa è totalmente rimaneggiata ed è attualmente una casa di abitazione, ma gli annessi lasciano scorgere, sotto l’intonaco cadente, porzioni abbastanza integre di murature medievali. Descrizione Materiali Non sono stati rinvenuti reperti mobili. Campo arato e tenuto parzialmente a vigneto e oliveto, che digrada dolcemente verso il fondovalle. Nella parte più alta, un piccolo rilievo al centro dell’area, si trova la grande colonica di età moderna, con aia lastricata e due torrette per le piccionaie. Il podere è attraversato longitudinalmente da due fossatelli di scolo delle acque piovane. L’area fu interessata da saggi di scavo operati nel 1966 dalla SBAT, sotto la direzione di Francesco Nicosia, dai quali provengono materiali di epoca classica; è stata inoltre oggetto di raccolte effettuate dal GAF. Grado affidabilità -/-/4 Cronologia Periodo post-classico: le fonti attestano la presenza della chiesa tra il XIII e il XVII secolo. Materiali Periodo classico: 71 frr. ceramici. Periodo post-classico: 51 frr. ceramici. Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0003. Interpretazione Periodo post-classico: chiesa parrocchiale attestata dal XIII secolo, successivamente trasformata in casa colonica e di abitazione. Grado affidabilità -/4/1 Fonti Cartografiche Piante di Popoli e Strade, c. 440 (S.to Romolo a Leccio). Cronologia Periodo classico: età tardo ellenistica-periodo romano imperiale. Periodo post-classico: XII-XVI secolo. Bibliografia Lamberini 1987, I, pp. 124-126; Bellometti 2003-2004, pp. 43-49, 122-152; Torsellini 2007-2008, pp. 27-46. Interpretazione Periodo classico: nella letteratura archeologica l’area è indicata come un probabile luogo fortificato di periodo ellenistico, ma i reperti visionati sono riferibili al periodo romano. In mancanza del riscontro con i materiali provenienti dai saggi di scavo del 1966 si deve ipotizzare, solamente sulla base delle notizie bibliografiche, un insediamento di tipo rurale, forse una fattoria, di periodo tardo ellenistico-romano. Periodo post-classico: il consistente ritrovamento di ceramica post-classica sembra attestare la frequentazione dell’area in epoca medievale. Fonti di archivio Responsabile Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 7, 1961-1970, Calenzano prot. 1531 del 1966 e prot. 2163; pos. 9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano1 prot. 25385 del 27 novembre (si veda Scheda 12, nota 1); pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano, prot. 22599 del 2004 (si veda Scheda 14, nota 1). Archivio GAF. SBAT. Anno di scavo 1966. Bibliografia Nieri 1930, p. 346; Nicosia 1967, p. 483; Talocchini 1967, p. 256; Nicosia 1974, p. 12; Archeologia e territorio 1979, p. 5; Lamberini 1987, I, pp. 149-152; Spaterna 1992, p. 1112; Carta Archeologica 1995, pp. 10-12; Baldini et alii 2007, pp. 119-120; Baldini 2007-2008, pp. 237-240; Maggiani 2008, p. 366. Il sito è menzionato con una posizione geografica diversa da quella indicata dal GAF nel corso dei sopralluoghi. Nell’indicazione bibliografica si trova s.v. Travalle, Podere Castiglione, con un toponimo diverso da quelli attestati nella precedente lettura. 1 2 150 151 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda Ceramica acroma grezza. 3125. Frammento di bordo, parete e fondo di testo. Ceramica acroma grezza. 3126. Frammento di attacco di manico di paiolo. Ceramica acroma depurata. 3036. Frammento di ansa di anforaceo. Maiolica arcaica. 3038. Frammento di fondo di boccale. L 5; l 2; S fondo 0,9; S parete 0,9; diam. bordo ricostruito 22. L 5,5; l 3; S 1,4; diam. bordo ricostruito 21,4. L 5,5; l 7,8; diam. 2,3. L 4,4 ; l 7; S 0,8-1,1. Orlo ingrossato a sezione troncoconica; parete a svasatura accentuata; fondo piano, appena marcato. Profilo ricostruito di testo apodo, a fondo piano e parete appena svasata. Orlo arrotondato e ingrossato, parete appena svasata, fondo piano. Attacco di manico di paiolo con, sull’esterno dell’ansa, tracce di lisciatura con paglia. Ansa a nastro di anforaceo, con bordi arrotondati e leggermente ingrossati. L’inclinazione, appena accennata nel frammento, non è determinabile. L 4; l 3,3, S fondo 0,4; diam. fondo ricostruito 5. Impasto arancio, duro, ricco d’inclusi ovali, micacei e di calcite (<3 mm), con numerosi piccoli vacuoli allungati (<3 mm). Cfr. Palazzo Pretorio 1978, pp. 39, fig. 66; 109, fig. 211; Palazzo dei Vescovi II 1987, pp. 346, 386, fr. 2062; Uffizi 2007, pp. 349, 393, fr. 21.6.1. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Uffizi 2007. XIV secolo. Impasto arancio, duro, con numerosi inclusi micacei e di calcite (<3 mm) e rari vacuoli tondeggianti (<3 mm); tracce d’inclusi vegetali. Cfr. Palazzo Pretorio 1978, pp. 39, fig. 66; 109, fig. 211; Palazzo dei Vescovi II 1987, pp. 343, 384, fr. 2032; Uffizi 2007, pp. 349, 393, fr. 21.6.1. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Uffizi 2007. XIV secolo. 152 Impasto duro, con molti inclusi micacei e di calcite (3-5 mm) e sporadici vacuoli di piccolissime dimensioni. Cfr. Palazzo Pretorio 1978, pp. 7172, fr. E26; Uffizi 2007 pp. 349, 393, fr. 21.6.114. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Uffizi 2007. XIV secolo. Impasto rosa chiaro con sottile anima grigia, poroso, depurato, con inclusi millimetrici (<3 mm) di calcite e digrassante. Cfr. Amouric, Richez, Vallauri 1999, p. 127, fig. 255. Per la classe si veda Amouric, Richez, Vallauri 1999. XII-XIII secolo. Fondo concavo con piede distinto. Impasto rosa, duro, depurato con inclusi millimetrici di calcite e chamotte arancio scuro (<3 mm). Vetrina trasparente, sia interna che esterna, tendente al marroncino, sottile ma uniforme, fino all’orlo esterno del piede. Per le caratteristiche dell’impasto il frammento è stato interpretato come il fondo di un boccale in maiolica arcaica di cui non si conserva la parte smaltata. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Uffizi 2007. XIV secolo. 153 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Ceramica acroma grezza. 3124. Frammento di bordo, parete e fondo di testo. 3126 Maiolica di Montelupo. 3037. Frammento di fondo di piatto. L 5,6; l 5,9; S 1,2; diam. fondo ricostruito 5,5. Fondo apodo con decorazione in verde, giallo e bruno, caratterizzata da linee concentriche gialle e verdi sul fondo e tratti sottili in bruno che si sovrappongono alle linee sul fondo e a linee curve in giallo sempre sulla parete. Impasto rosa molto chiaro, poroso, depurato. Smalto esterno e interno bianco, sottile ma coprente e compatto. Il frammento sembra riferibile alla ceramica “a spirali verdi”. Cfr. Berti 1997, II, p. 399, n. 366; Amouric, Richez, Vallauri 1999, p. 127, fig. 255; Uffizi 2007, pp. 475, 481, fr. 29.1.12. Per la classe si vedano Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987. Ceramica invetriata. 3039. Frammento di fondo di forma chiusa. L 6; l 5,4; S fondo 0,5; S parete 0,5; diam. fondo ricostruito 9,3. 3036 3125 Fondo con piede a disco appena distinto. Impasto duro, ben depurato, di colore arancio scuro. Vetrina interna ed esterna trasparente, sottile ma uniforme. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Uffizi 2007. XVI-XVII secolo. [L.T.] 3037 3038 XVIII secolo. 3039 154 155 Cartografia archeologica del comune di Calenzano 3124 34 – Areale XXVI Localizzazione Travalle, Podere Castelluccio. Contesto di ritrovamento Scavo archeologico. Contesto attuale Urbanizzato. Descrizione Si tratta della sommità pianeggiante di un piccolo poggio, piuttosto ripido, tra la Calvana e i rilievi che dividono l’area di Travalle da Carraia e dalla Val di Marina. Sul lato meridionale del poggio si trova una colonica di età moderna, mentre sul resto del pianoro c’erano, al momento delle ricognizioni del GAF, campi incolti; successivamente quest’area è stata indagata in occasione di lavori di ristrutturazione edilizia legati all’utilizzo dell’area a scopo agrituristico. Materiali Per il periodo classico sono stati recuperati materiali ceramici sufficienti a dare una connotazione cronologica al sito; per il periodo medievale sono stati individuati frammenti di ceramica acroma, grezza e depurata. Periodo classico: 254 frr. ceramici. Periodo post-classico: 19 frr. ceramici, 20 grr. laterizi. Cfr. schede di precatalogazione (cassetta) GNF-PO 05 0036/37. Grado affidabilità -/5/ 4 Cronologia Periodo classico: i materiali documentano un’occupazione del sito che va dal periodo ellenistico fino all’epoca tardo-repubblicana-primo imperiale (I secolo d.C.), senza soluzione di continuità. Periodo post-classico: i materiali hanno una cronologia di riferimento compresa tra il XIII e il XV secolo. Interpretazione Periodo classico e post-classico: i materiali rinvenuti durante i saggi di verifica effettuati hanno mostrato come tutti i materiali precedenti al XVI secolo siano da interpretare come residuali nel riempimento di strutture di terrazzamento dell’area. Tali rinvenimenti sono comunque verosimilmente da attribuire ad una frequentazione della sommità della collina, che, nel corso dei secoli, è stata spianata e livellata fino a portare allo scoperto la roccia naturale, motivo per cui eventuali materiali residui si trovano soprattutto alle sue pendici. La totale assenza di strutture murarie databili al Medioevo e la scarsa consistenza di forme ricostruibili non consentono ipotesi più approfondite per quanto riguarda l’epoca post-classica, se non la conferma di un insediamento sparso, fortemente attestato in tutta l’area di Travalle fino dal Medioevo e proseguito poi per tutta l’età moderna attraverso l’insediamento poderale. Fonti Cartografiche Piante di Popoli e Strade, c. 443 (pop. S. Maria a Travalle). Fonti di archivio Archivio SACI. Responsabile SBAT (impresa esecutrice SACI). Anno di scavo Marzo 2003-aprile 2004. Bibliografia Filippi et alii 2006, pp. 134-135; Baldini et alii 2007, pp. 118-119; Baldini 2007-2008, pp. 240-244. 156 Ceramica da mensa. 2105. Frammento di orlo e parete di piatto di ceramica grigia. L 5,2; l 6; S parete 0,8; S orlo 1. Orlo a tesa, con inclinazione poco accentuata e bordo ingrossato e arrotondato, preceduto da una solcatura, separato esternamente mediante una lieve gola dalla parete a profilo rettilineo, leggermente concava, Impasto tipo CGR 1. Stato di conservazione: superficie originaria completamente perduta, fratture antiche con margini arrotondati. Bibliografia: Baldini et alii 2007, p. 119; Baldini 2007-2008, pp. 241-242, n. 94. Il frammento, nonostante il pessimo stato di conservazione, è facilmente collocabile nella produzione di ceramica grigia sviluppatasi in Etruria settentrionale tra III e I secolo a.C. In particolare può essere attribuito al tipo I, variante A dei piattelli della tipologia recentemente proposta dalla Fisti (Fisti 1993, pp. 28-30, tav. II, inv. 284), nello studio sulla ceramica grigia fiesolana. Tale classe sembra svilupparsi in ambito valdarnese in diversi centri, tra i quali Fiesole, Pisa (Terre e paduli 1986, p. 115) e la zona del medio Valdarno inferiore (Fisti 1993, p. 57), con la peculiarità di riprodurre le forme tipiche della vernice nera in ceramica locale per un mercato interno. Secondo un’altra ipotesi (Ciampoltrini 1993, p. 103), la ceramica a pasta grigia avrebbe origine nel bucchero, vedendone gli antecedenti nella c.d. ceramica ‘nella tradizione del bucchero’ di periodo tardo-arcaico e classico. Per una precisa puntualizzazione sullo status quaestionis e per una registrazione capillare della diffusione e delle attestazioni della classe nell’ambito dell’Etruria settentrionale e padana si veda Giachi 2006, pp. 160-165. Alla vernice nera, nella prima metà del II secolo a.C., si è aggiunta anche la “presigillata”, tipico prodotto delle officine di Volterra e del territorio nel periodo compreso tra il primo quarto e la metà del II secolo a.C. (Cristofani, Cristofani Martelli 1972, p. 510), riprodotto in ceramica grigia senza rivestimento. È proprio nell’ambito di tale “innovazione” formale, al momento attestata solo a Fiesole (Fisti 1993, p. 30) ed in aree culturalmente affini come Pieve a Settimo a Scandicci (tipo II, variante C (?): Turchetti 2003, p. 98 n. 20, fig. 25,1) o in zone di transito come a S. Martino ai Colli in Valdelsa (San Martino ai Colli 1984, p. 86, n. 93 – S. Goggioli), che andrà collocato il frammento in esame. Metà del II secolo a.C. 157 [G.B.] Ceramica da mensa. 2106. Frammento di fondo e piede di piatto (catinus) di terra sigillata italica. L 8,9; l 6; S massimo fondo 1,3; S minimo fondo 0,7; S piede 1,8; S piano di posa 1,3. Fondo piatto; piede ad anello a sezione subtrapezoidale, parzialmente rastremato, con la parete interna notevolmente più alta di quella esterna, su cui sono impressi due solchi. Sul fondo interno, decorazione costituita da una rotellatura delimitata da due solchi concentrici. Impasto tipo TSI 3; vernice tipo VeSI 3. Stato di conservazione: vernice perfettamente conservata e fratture nette a margini vivi. Bibliografia: Baldini et alii 2007, p. 119; Baldini 2007-2008, p. 243, n. 95. Il frammento, per la forma del piede e il profilo del fondo, può essere avvicinato alla tipologia Conspectus B 1.9 proposta per i fondi di grandi piatti (Conspectus 1990, pp. 154-155) e riferibili a recipienti sia di forma 3 sia di forma 11. Tali oggetti, diffusi soprattutto nel periodo medio augusteo, venivano prodotti sia in officine dell’Etruria sia della Valle Padana e, per quanto riguarda la forma 3, anche in Campania. Tra i numerosi confronti, saranno da citare Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda Periodo medio-augusteo e tiberiano. [G.B.] 35 – Areale XXVII Localizzazione Villa di Morello (CVM). Contesto di ritrovamento Strutture in elevato. Contesto attuale Strutture in elevato. Descrizione Complesso di edifici disposti lungo la strada di San Romolo a Leccio a formare un ferro di cavallo, con un torrione a pianta rettangolare ad una delle estremità. La torre ha il lato maggiore di circa nove metri e presenta una risega, la muratura originale e parte della cornice di un marcapiano esterno sui tre lati ancora visibili. Uno dei prospetti (quello Ovest) mostra tracce di un dissesto antico. Sono visibili, per quanto tamponate, anche le buche pontaie, una parte delle quali relative ad un apparato ligneo a sporgere. Vista l’attuale altezza della risega, l’intero complesso è probabilmente interrato per circa un metro. Materiali Non sono stati rinvenuti reperti mobili. Grado affidabilità -/-/4 Cronologia Periodo post-classico: XIV-XVII secolo. Interpretazione Periodo post-classico: casa da signore con funzione anche di controllo della viabilità per il Mugello. Bibliografia Bellometti 2003-2004, pp. 122-169; Torsellini 2007-2008, pp. 46-50, 65-83. Anfora da trasporto. 2107. Frammento di puntale. h massima conservata 18,3; diam. massimo conservato 13,4. Puntale pieno di forma troncoconica e parete solo in parte visibile ma probabilmente convessa. Stato di conservazione: superfici abrase e scheggiate. Le ridotte dimensioni del frammento rendono impossibile riuscire a identificare con sicurezza la forma di pertinenza. Tuttavia, in modo del tutto dubitativo, si propone di inquadrare il frammento in esame con la Forma A 40 di Lyding Will (Lyding will 1987, fig. IX-43). Cfr. Lyding will 1987, pp. 171-220, fig. IX-43. Fine del II-inizi del I secolo a.C. 158 [A.M.] 159 Cartografia archeologica del comune di Calenzano il frammento pubblicato recentemente e proveniente da un recupero fortuito effettuato a Pisa nel 1969 all’incrocio tra via A. Pisano e la via Vecchia Barbaricina (Arbeid, Bruni, Ferretti 2006, p. 208), un fondo frammentario da Luni, attribuito alla forma Goudineau 28 (Lavizzari Pedrazzini 1972, p. 125, CM 6264, tav. 94, 15), ed un esemplare del tutto analogo recuperato a Pisa negli scavi di piazza Dante (Pisano 1993, p. 389, n. 29); un confronto cogente, trovato negli scavi di Genova, è datato, in base al contesto stratigrafico, agli anni compresi tra il 30 a.C. e il 15 d.C. (Milanese 1993, p. 293, n. 1). Non lontano poi, anche se non esattamente uguale nel profilo, il piatto 2109 (Scheda 36), datato agli anni 5 a.C.-15 d.C. Scheda Scheda 36 – Areale XXVIII Localizzazione Montedomini, La Chiusa. Contesto di ritrovamento Scavo archeologico. Contesto attuale Scavo archeologico. Descrizione L’edificio romano è stato rinvenuto durante i lavori per la realizzazione della cassa di espansione del torrente Marina. L’area si trova lungo la piccola valle in cui scorre il torrente Marina e prende il nome dalla Villa di Montedomini ubicata sulle pendici della collina che sovrasta il sito. Materiali Periodo classico: 3640 reperti. Cfr. schede di precatalogazione (cassetta) GNF-PO 05 0001-16. Grado affidabilità -/5/- Cronologia Periodo classico: in base ai dati di scavo si può stabilire un sicuro periodo di occupazione che va dall’età augustea fino alla tarda antichità. Interpretazione Periodo classico: al momento attuale dello scavo è stato rinvenuto un edificio, composto da una parte centrale perfettamente rettangolare, divisa in due ambienti: quello più piccolo era probabilmente utilizzato come magazzino, come sembra suggerire il rinvenimento, al suo interno, di alcune anfore da trasporto ancora in situ; quello più grande, con una copertura in laterizi e una pavimentazione realizzata con piccole pietre e argilla, era, con ogni probabilità, un ambiente funzionale alla vita domestica. Ai lati della struttura rettangolare, due alae, una delle quali quasi completamente asportata dalle lavorazioni agricole; nella seconda si evidenzia un piccolo focolare realizzato con laterizi murati a secco. Oltre ai vari reperti recuperati, ascrivibili alla ceramica comune e da mensa, interessante è il rinvenimento di numerosi attrezzi in ferro legati al mondo della carpenteria. La presenza di questi materiali può far interpretare il sito come una fattoria, forse non l’unica ubicata lungo questa valle nel periodo augusteo e medio-imperiale. Le evidenti tracce di incendio consentono anche di ipotizzare le cause che determinarono l’abbandono dell’edificio. Per quanto riguarda la notevole presenza del materiale medio e tardo imperiale rinvenuto nelle vicinanze e al momento privo di contesto di riferimento, si può ipotizzare che nei dintorni della struttura possa esserci qualche altro complesso gravitante intorno alla fattoria, solo in parte individuato nei saggi diagnostici praticati nelle vicinanze del sito. Fonti di archivio Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano, prot. 22663 del 2003. Responsabile SBAT (impresa esecutrice SACI). Anno di scavo 2003-2007. Bibliografia Filippi et alii 2006, p. 135; Poggesi, Magno 2006b; Poggesi 2007, p. 7; Baldini 20072008, pp. 251-259. Cartografia archeologica del comune di Calenzano Montedomini, La Chiusa, ubicazione (1) e pianta (2) dell'edificio di età romana. 1 2 160 161 h totale 6,7; h piede esterno 1,9; S fondo 0,6; S parete 0,5; S piede 1,7; S piano di posa 1; diam. orlo 34,6; diam. piede 14,8; diam. piano di posa 13,8. Orlo a sezione trapezoidale, distinto dalla parete esterna da due solchi, da quella interna da due scalini ravvicinati ma non consecutivi; vasca a parete inclinata verso l’esterno, separata dal fondo mediante uno scalino interno e uno esterno; fondo piatto, leggermente all’attacco il piede; piede ad anello, quasi trapezoidale, sagomato, con la parete interna verticale e quella esterna inclinata verso l’esterno, e rastremato ad un quarto circa dell’altezza. Sul fondo, circoscritto da una doppia serie di solchi concentrici impressi, bollo rettangolare a terminazioni concave con sigla EVHODI, con le lettere “V” e “H” in legatura e la “D” retrograda. Impasto tipo TSI 3; vernice tipo VeSI 3. Stato di conservazione: ricomposto da numerosi frammenti e parzialmente integrato; fratture nette a margini vivi; vernice coprente e senza evidenti segni di distacco. In alcuni punti la vernice e l’argilla hanno assunto una diversa colorazione per il contatto con il fuoco a seguito di un incendio. Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp. 253-254, n. 97. Il piatto è facilmente attribuibile alla forma Conspectus 3.1.1 (Conspectus 1990, pp. 56-57), che corrisponde alle XIII, varietà 4 di Pucci (Pucci 1985, p. 386, tav. CXXIII, 5) e alla 34 di Goudineau (Goudineau 1968, pp. 308-309). Per quanto concerne la datazione, in attesa che la pubblicazione definitiva dello scavo possa contribuire a precisare i termini cronologici di riferimento, vanno presi in esame elementi diversi che insieme propongano un quadro il più preciso possibile. Goudineau, in base a dati stratigrafici, propone per questa forma ceramica, che considera “classica”, un periodo di diffusione compreso tra il 12 a.C. e il 10-15 d.C. (Goudineau 1968, pp. 295-296); in particolare il piede ad anello rientra nel tipo B-2B’-15, attribuibile al secondo stadio dello sviluppo dei “pieds lourds” di grandi piatti (Goudineau 1968, pp. 243-244); Pucci, con prudenza, data i primi esemplari all’età tiberiana, dopo il 20 d.C., e propone di considerare la fine della produzione entro la metà del I secolo d.C. (Pucci 1985, p. 387). Un elemento di maggior precisione cronologica viene fornito dal cartiglio. Il cartiglio è di tipo rettangolare a terminazioni concave, della variante n. 374 (CVArr2 2000, p. 531); è centrale, non radiale, quindi posteriore al 10 a.C.; Euhodus era il nome di un liberto di 162 Cn. Ateius, che compare spesso su prodotti degli ateliers pisani nel periodo compreso tra il medio periodo augusteo e il periodo tiberiano (5 a.C.-40 d.C.); in particolare il nostro bollo è del tutto simile al titulus n. 787 variante 21 della serie edita (CVArr2 2000, p. 219). Sulla base di tutte queste valutazioni, considerando che il cartiglio rettangolare sembra scomparire in favore di quello in planta pedis intorno al 15 d.C., è ragionevolmente possibile datare il nostro piatto nel ventennio compreso tra il 5 a.C. e il 15 d.C. La forma, per limitarci solo al territorio in esame, è attestata in tutto il bacino dell’Arno, nell’ager Pisanus, in particolar modo a Vecchiano (Menchelli, Vaggioli 1988, pp. 105-107, figg. 10.31, 11.2) e a Coltano (Menchelli 1986, p. 143, fig. 21.2 p. 141), più nell’interno lungo il corso del fiume nella zona di S. Miniato (Maestrini 1983, p. 17, n. 8, fig. 2.8) e a Pistoriae, nell’antico Palazzo dei Vescovi (Degl’Innocenti 1987, p. 19, nn. 5657). Produzione pisana, 5 a.C.-15 d.C. [G.B.] Ceramica da mensa. 2110. Coppa carenata (catillus) di terra sigillata italica. h totale 4,8; h piede esterno 1,5; S fondo 0,8; S parete 0,5; S piede 0,8; S piano di posa 0,3; diam. orlo 17,8; diam. piede 9,2; diam. piano di posa 8,4. Orlo leggermente pendente, arrotondato e superiormente appiattito, distinto dalla parete esterna da un solco; vasca a parete inclinata verso l’esterno, a profilo convesso distinta mediante scalino interno dal fondo piatto, leggermente convesso internamente; piede ad anello, inclinato e rastremato spigolo di carena piuttosto addolcito; . Sul fondo, circoscritto da tre solchi concentrici impressi, di cui i due maggiori consecutivi, bollo in planta pedis con sigla L·FAST, con “S” retrograda. Impasto tipo TSI 2; vernice tipo VeSI 2. Stato di conservazione: ricomposta da numerosi frammenti e parzialmente integrata; vernice ben conservata; fratture nette. Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp. 254-255, n. 98. La coppa è attribuibile alla forma Conspectus 3.1.2 (Conspectus 1990, pp. 56-57), corrispondente alla XIX, varietà 9 di Pucci (Pucci 1985, p. 388, tav. CXXIV, 16; in questo caso tuttavia il bordo è appiattito, mentre nel nostro esemplare è arrotondato) e alla 43 di Goudineau (Goudineau 1968, pp. 308-309). Anche il piede può essere facilmente inquadrato nella varietà B 2.5 (Conspectus 1990, pp. 156-157). La data di inizio della produzione di questa forma, tra le più diffuse nel I secolo d.C., viene genericamente collocata tra il 20-25 d.C., con una diffusione, anche tra i tardo-italici, fino agli inizi del II secolo d.C. La legenda all’interno del bollo in planta pedis, di un tipo piuttosto ben attestato (CVArr2 2000, p. 534, n. 603), indica che si tratta di un prodotto uscito dall’officina di L. Fastidienus, di cui non sappiamo tuttavia indicare con precisione il luogo di produzione; dal punto di vista cronologico la sua attività viene fatta generalmente iniziare a partire dal 15 d.C. Resta singolare il fatto che questa produzione non sia ancora attestata in area laziale, mentre un bollo del tutto simile è stato recuperato a Fiesole (CVArr 1968, pp. 192-193, n. 673). In attesa che lo studio completo del contesto stratigrafico in cui è stato trovato possa portare indicazioni utili per un inquadramento più preciso del reperto, proponiamo di datare la coppa al periodo tiberio-claudio, in considerazione del fatto che se gli elementi epigrafici porterebbero ad alzare la datazione, l’attestazione della forma fino al II secolo d.C. con un periodo di maggiore diffusione nella seconda metà del 163 I secolo d.C. ed il tipo di vernice, che si avvicina molto a quella riconosciuta come tipica dei tardo-italici, inducono una maggiore attenzione ed un prudenziale abbassamento fino alla metà del I secolo d.C. Età tiberio-claudia. [G.B.] Cartografia archeologica del comune di Calenzano Ceramica da mensa. 2109. Piatto carenato (catinus) di terra sigillata italica. L 9,6; l 8,5; S fondo 0,9; S parete 0,6; S piede 1. Fondo piatto, leggermente concavo internamente; fondo esterno ispessito a profilo marcatamente convesso; piede ad anello, inclinato e rastremato. Sul fondo, circoscritto da un solco impresso, bollo in planta pedis con sigla L·NON·F[-]. Impasto tipo TSI 1; vernice tipo VeSI 2. Stato di conservazione: porzione ricomposta da due frammenti e parzialmente integrata; vernice quasi del tutto perduta; fratture arrotondate, con ampie scheggiature. Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp. 255-256, n. 99. potremmo avvicinare la coppa in esame al tipo 1.8.3.b (Medri 1992, p. 53), caratterizzato da un piede a sezione troncoconica, nel nostro caso poco percepibile, piuttosto alto e spesso nel punto di attacco al fondo; sul fondo esterno presenta spesso una apicatura centrale variamente rilevata (ibidem, p. 49). Se incerta è l’attribuzione alla produzione decorata, certa è invece la pertinenza alla fase tardo-italica della manifattura pisana, grazie soprattutto al bollo presente sul fondo, dal quale sappiamo che l’oggetto è uscito da una officina di L. Nonius Fl[-orentinus/-orus], ultimo rappresentante della produzione di terra sigillata nell’area del Valdarno. Il cartiglio, iscritto in un bollo in planta pedis tipo 617, cioè costituito da un impressione oblunga senza indicazione di dettagli (CVArr2 2000, p. 534), conserva la variante 6 del titulus. Produzione pisana, primi decenni del II secolo d.C. [G.B.] La porzione, a causa delle ridotte dimensioni in cui è giunta, è difficilmente inquadrabile in una precisa tipologia. In base ad alcuni confronti, in particolare con una porzione di coppa da Ostia (inv. A 2362: Pucci 1973, pp. 67, n. 68, tav. XVIII; 315-321), si potrebbe attribuire ad una coppa di sigillata tardo-italica decorata tipo Dragendorff 29, produzione recentemente analizzata dalla Medri. In base a tale tipologia Anfora da trasporto. 2112. Anfora. Anfora da trasporto. 2113. Anfora. Anfora da trasporto. 2114. Anfora. h massima 86,6; diam. orlo 15. h massima 86,6; diam. orlo 12,6. h 94; diam. orlo 12,3. Orlo svasato a corolla, arrotondato superiormente, leggermente convesso nella gola fra l’orlo e il gradino che separa il bordo dal collo cilindrico. All’interno dell’orlo, leggera solcatura. Corpo a profilo ovoidale con lungo puntale conico vuoto. Anse a nastro ingrossato, con profonda solcatura centrale, ripiegate a gomito stretto, leggermente rimontanti sul collo ed impostate sotto il bordo. Orlo ingrossato dal profilo a mandorla, collo cilindrico piuttosto corto non differenziato dalla spalla larga e arrotondata. Anse a bastone a sezione circolare, leggermente rimontanti, impostate sul collo e sulla spalla. Orlo circolare ingrossato distinto dal collo cilindrico. Anse a bastoncello a sezione circolare impostate sotto l’orlo e ripiegate sulla spalla. Corpo ovoide, puntale corto a sezione conica. Impasto tipo ANF 8; ingobbio color crema. Stato di conservazione: ricomposta da numerosi frammenti. L’anfora è riferibile alla forma Dressel 7/11, corrispondente alla forma Beltran I, di produzione betica e destinata al trasporto di garum. Cfr. Panella 1973, p. 622 n. 8; Pontiroli 1974, p. 133, tav. XCV n. 200; Luni II 1977, pp. 242-243, tav. 145, n. 10-12; Palazzo dei Vescovi II 1987, pp. 236-243, tav. 1406-1411; 743, tav. 4362; Paolucci 1988, p. 165, fig. 66, 3-6; Brecciaroli Taborelli 2000, p. 33, fig. 22.5 (seconda metà del I-II secolo d.C.); Pesavento Mattioli, Mazzocchin, Pavoni 2000, pp. 136-138, tav. 5b; Cibi e sapori 2005, p. 159, n. 277. I secolo d.C. 164 [A.M.] Impasto tipo ANF 6. Stato di conservazione: ricomposta da numerosi frammenti. L’anfora è riconducibile alla forma Dressel 20 di produzione betica, riferibile alla forma Beltran V, prodotte per il trasporto di olio. Cfr. Sanchez, Adroher Auroux 2002, p. 98, fig. 23.7; Luni II 1977, pp. 247-248, tav. 146 n. 9; Facchini 1995, p. 366, tav. 110 n. 4. I secolo d.C. Anfora da trasporto. 2115. Frammenti di orlo e di puntale. Impasto tipo ANF 6. Stato di conservazione: ricomposta da numerosi frammenti. L’anfora è riconducibile alla forma Dressel 25, corrispondente alla forma Moltern 71, per trasporto di olio. Cfr. Maffei, Nastasi 1990, p. 317, fig. 422; Peacock, Williams 1991, pp. 134-135, fig. 64. I secolo d.C. [A.M.] [A.M.] h orlo 9,8; diam. orlo ricostruito 14,8; h fondo 15,6. Orlo ingrossato dal profilo a mandorla, collo cilindrico piuttosto corto non differenziato dalla spalla larga e arrotondata. Anse a bastoncello con sezione circolare, leggermente rimontanti, impostate sul collo e sulla spalla. Fondo ampio e corto puntale pieno a sezione conica. Impasto grezzo, attribuibile al tipo ANF 6. Stato di conservazione: ricomposta da numerosi frammenti. L’anfora è riconducibile alla forma Dressel 20, di produzione betica, per il trasporto di olio. Cfr. Luni II 1977, pp. 247-248, tav. 146 n. 9; Facchini 1995, p. 366, tav. 110 n. 4; Sanchez, Adroher Auroux 2002, p. 98, fig. 23.7. I secolo d.C. 165 [A.M.] Cartografia archeologica del comune di Calenzano Ceramica da mensa. 2111. Porzione di fondo di coppa (parapsis?) di terra sigillata tardo-italica. Metallo. 2117. Coltello di ferro. Metallo. 2118. Chiave di ferro. Metallo. 2119. Falcetto di ferro. Metallo. 2120. Ascia di ferro. L 17,8. L 12,7. L 7,4; L ingegno 1; L cannello 6,5. L 17,6; l lama 2,2. L 17,4; l massima lama 3,5. Chiave a scorrimento con presa ad anello, cannello pieno allungato a sezione quadrata tendente a rastremarsi verso la mappa. Mappa impostata su stelo ortogonale con ingegno a tre denti su corta lamina a sezione rettangolare parallela al cannello. Lama a un taglio con dorso leggermente curvo e corto tagliente di forma e sezione subtriangolare. Codolo dell’immanicatura a sezione rettangolare. Chiave a scorrimento con presa ad anello. Cannello pieno a sezione rettangolare che si riduce di spessore dall’anello alla mappa. Mappa liscia. Ingegno perpendicolare al cannello, fortemente ossidato. Lama frammentaria di forma semilunata e lunga immanicatura con anello di sospensione all’estremità. Lama a taglio unico con foro per l’immanicatura a sezione ellittica. Nel foro resti del manico in legno. Stato di conservazione: superfici molto ossidate. Stato di conservazione: superfici molto ossidate. Stato di conservazione: superfici molto ossidate. Stato di conservazione: superfici molto ossidate. Cfr. Nothdurfter 1979, pp. 74-75; Carta archeologica del territorio castiglionese 1993, pp. 7-8; Uglietti 1995, p. 234, tav. 85 n. 13; Raffaelli 1996, pp. 79, fig. 2; 87-89, schede II.4 e II.6. Cfr. Pontiroli 1974, p. 200, n. 289, tav. CXLVIII; Luni II 1977, tav. 314, n. 5; Passi Pitcher 1987, pp. 74, 1, tav. p. 75; 132-133; Scarpellini Testi 1996, pp. 11-33, 25, fig. 24; Acconcia 2000, pp. 103-104, L 10, fig. 34.b, tav. XV.c; Becciaroli Taborelli 2000, p. 333, tav. 89.31. Cfr. a Luni II 1977, p. 514, tav. 314, fig.1; Settefinestre 1985, p. 52, tav. 7,2; Maffei Nastasi 1990, pp. 259, 266, tav. 342.2; Gallo 2001, p. 65, n. 8; Tamburini 2001, p. 202, n. 222; Giannoni 2005, fig. 5, p. 60. Si tratta con ogni probabilità di una falx vinatoria utilizzata dal vignaiolo per la vendemmia. Cfr. Fergola 1996, p. 264, scheda 575; Giardino Antico 2007, p. 318, scheda 3.B.79 (A. Ciarallo). Si tratta con ogni probabilità di una securis, ascia da taglio di legname assai diffusa anche in ambiente agricolo. Cfr. White 1967, pp. 60-61; Pontiroli 1974, p. 200, n. 290, tav. CXLVIII; Fergola 1996, p. 264, scheda 574. I secolo d.C. I secolo d.C. Prima metà del I secolo d.C. [A.M.] Stato di conservazione: superfici molto ossidate. [A.M.] 166 Prima metà del I secolo d.C. [A.M.] I secolo d.C. Metallo. 2121. Instrumentum domesticum di piombo. L 4,7; l 3,2; S 1,4. [A.M.] Peso da telaio anepigrafo di forma pseudopiramidale con spigoli fortemente arrotondati e foro orizzontale sulla parte alta. Su una delle facce maggiori, incisione di forma quadrangolare. Stato di conservazione: macchie bianche sulla superficie. Su uno spigolo della base, irregolare appendice frastagliata interpretabile come un difetto di fusione. Cfr. Romualdi 1989, p. 162, n. 202 a; Gallo 1994, p. 124, tav. 29g; Cibi e sapori 2005, p. 116, scheda 73. Prima metà del I secolo d.C. [A.M.] 167 [A.M.] Cartografia archeologica del comune di Calenzano Metallo. 2116. Chiave frammentaria di ferro. Metallo. 2123. Chiodo di ferro da carpenteria. L 10,6; l massima 0,6; S 0,4. L 11,8; l massima 6,9; S massimo 6,9. L 16; diam. testa 4,2. Stilo su stelo ad ingrossamento regolare con massimo assottigliamento verso la punta conica e appuntita e testa conformata a scalpello e appiattita per cancellare e levigare. Stato di conservazione: integro. Cfr. Ostia IV 1977, p. 66, tav. XLV, n. 313; Conta 1982, p. 333, fig. 201, n. 4; Romualdi 1989, p. 169, n. 208 b. Prima metà del I secolo d.C. Instrumentum domesticum. 2124. Peso da telaio di terracotta. [A.M.] Chiodo con testa di forma circolare e stelo a sezione quadrata riferibile alla tipologia da tetto: 1) chiodi di medie dimensioni (8-10 cm) = impiegati per fissare tra loro le orditure secondarie dei tetti (assicelli e travicelli); 2) chiodi di grandi dimensioni (12-18 cm) = impiegati probabilmente per fissare le orditure secondarie a quelle principali (i travicelli alle travi). Stato di conservazione: superfici molto ossidate. Si conservano tre esemplari simili. Cfr. Settefinestre 1985, pp. 43-44, tav. 4, n. 3; Paterno 2002, pp. 138-139, fig. 5, n. 373. Peso da telaio di forma troncopiramidale più o meno accentuata, con foro orizzontale a circa due terzi dell’altezza a partire dalla base; spigoli leggermente smussati. Sulla faccia superiore, segno inciso di significato sconosciuto. Stato di conservazione: il reperto, lacunoso e abraso, presenta una deformazione dovuta forse all’esposizione alle alte temperature dell’incendio che ha distrutto l’edificio e permette di ipotizzarne una produzione originaria senza cottura. Cfr. Luni III 1977, tav. 178, n. 29; Settefinestre 1985, p. 69, tav. 17.1; Milanese 1993, fig. 111, n. 25;. Prima metà del I secolo d.C. I secolo d.C. [A.M.] 168 Metallo. 2125. Punta di lancia o giavellotto di ferro. Metallo. 2126. Cuspide di giavellotto di ferro. L 13,8; l 2,1. L 20,4; diam. cannone 1,9; l cuspide 2,3. Lama appiattita a doppio taglio con gorbia a cannone di forma conica e sezione circolare per l’inserimento dell’asta. Sono conservati resti lignei dell’immanicatura. Metallo. 2127. Accessorio di ferro. L ardiglione 6,5; S ardiglione 0,6; diam. 5,5. Puntale o cuspide di giavellotto con punta piramidale a sezione quadrangolare in pianta e codolo conico a cannone rotondo e incavato. Fibbia di forma circolare e a sezione rotonda con ardiglione a sezione subcircolare ripiegato ad anello diametralmente intorno alla fibbia e assottigliato all’estremità opposta. Stato di conservazione: superfici molto ossidate. Stato di conservazione: superfici molto ossidate. Stato di conservazione: superfici ossidate. Si tratta probabilmente della punta di una lancia leggera o di giavellotto da caccia, dato il contesto di ritrovamento prettamente rurale. Cfr. Angioni 1990, pp. 263, tav. 337; 262, n. 6; Storti 1996, pp. 226, fig. 327; 227, scheda 15; 232, fig. 343. Il reperto deve con ogni probabilità essere interpretato come puntale del giavellotto con cuspide in ferro 2125, assai diffuso nella prima età imperiale. Cfr. Galliazzo 1979, p. 210, nn. 2 e 4. Cfr. Tesori della Postumia 1998, pp. 557-558, n. 5 (G.M. Sandrini). Per il tipo di fibbia circolare cfr. anche Angioni 1990, p. 253, n. 2, tav. 324. I secolo d.C. I secolo a.C. I secolo d.C. [A.M.] [A.M.] [A.M.] 169 [A.M.] Cartografia archeologica del comune di Calenzano Osso. 2122. Strumento. Cartografia archeologica del comune di Calenzano 2109 Metallo. 2128. Chiave a scorrimento di ferro. Numismatica. 2129. Moneta di argento. Metallo. 2130. Cardine di porta di ferro. L 7,5; L cannello 6,7; l ingegno 3,1; S 1,3. S 0,18; diam. 1,9. L 12,3; l 4,8. Sul dritto, ritratto barbato a destra – re Tito Tazio entro bordo perlinato; sul rovescio, due soldati intenti a seppellire Tarpeia. In esergo, L. TITVRI. Lamina rettangolare con almeno quattro fori per chiodo ed estremità arrotolata per creare l’incastro c.d. “femmina” per il perno del cardine. Stato di conservazione: superfici leggermente ossidate. Stato di conservazione: superfici ossidate. Denario repubblicano della famiglia Tituria, riferibile a L. Titurius Sabinus L.F. Confronti in RRC 344/2c; CRR 699a; RSC TITURIA 5. Cfr. White 1967, pp. 60-61; Pontiroli 1974, p. 200, n. 290, tav. CXLVIII; Fergola 1996, p. 264, scheda 574. Età tardo-repubblicana (89 a.C.). [A.M.] I secolo d.C. Chiave integra con presa ad anello poggiante su cannello pieno a sezione rettangolare rastremato verso l’ingegno. Prima dell’ingegno, brusco restringimento della lamina del cannello. Mappa perpendicolare all’asse longitudinale e disassata con ingegno a quattro denti. Stato di conservazione: superfici ossidate. Chiavi di questo tipo servivano per aprire piccoli mobili quali armaria ed arcae. Cfr. Romualdi 1989, p. 154, n. 196 a; Angera Romana 1995, tav. 85, n. 14; Tesori della Postumia 1998, p. 521, scheda V. 39 n. 5 (A. Giovannini); Gallo 2001, p. 65, n. 8. I secolo d.C. 2110 [A.M.] [A.M.] 2111 170 171 37 – Areale XXIX Localizzazione Travalle, Podere Fornello (TR III). Contesto di ritrovamento Campo arato, scavo archeologico. Contesto attuale Campo arato, vigneto. Descrizione Campo arato quasi pianeggiante, diviso sia orizzontalmente sia longitudinalmente da piccoli fossati, e posto alle pendici della Calvana, a Nord della strada che conduce alla colonica del Podere Fornello. La zona è costituita essenzialmente da terreni dilavati (Pallecchi, Caporali 2007, pp. 122-123) ed è stata percorsa intensamente dal GAF negli anni precedenti l’impianto del vigneto che vi sorge attualmente. L’area è stata oggetto di saggi archeologici eseguiti nel giugno del 2005 per conto della SBAT a scopo preventivo, prima di autorizzare la piantagione del vigneto. In precedenza le ricognizioni del GAF hanno fruttato la raccolta di numerosi reperti a partire dall’epoca preistorica fino ai secoli più recenti. Materiali Il materiale preistorico è abbondante e comprende manufatti litici e fittili. Per il periodo classico sono state rinvenuti pochissimi frammenti di ceramica depurata e ceramica grigia, riferibili genericamente al periodo romano; si segnala anche una moneta di bronzo, purtroppo in pessimo stato di conservazione. Per il periodo post-classico, sono presenti quasi cento frammenti, principalmente di età moderna e contemporanea. Sono stati raccolti anche sei frammenti di maiolica arcaica e uno di zaffera a rilievo. Interessanti una fusaiola e una fibbietta di bronzo. Periodo preistorico: più di 500 manufatti litici e un centinaio di frr. ceramici. Periodo classico: 4 frr. ceramici. Periodo post-classico: 93 frr. ceramici, 1 fr. metallico. Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0018. Grado affidabilità 3/5/3 Cronologia Periodo preistorico: inquadrabile nell’Olocene, forse Neolitico-Eneolitico. Periodo classico: periodo romano. Periodo post-classico: i materiali possono essere ricondotti ad un intervallo cronologico compreso tra il XIV e il XVII secolo. Interpretazione Periodo preistorico: la litica comprende manufatti relativamente freschi, tra cui nuclei a lamelle, grattatoi corti di piccole dimensioni, lamelle ritoccate, punte di freccia; è presente anche un manufatto in pietra levigata, frammentario, probabilmente pertinente ad un’asciamartello. L’insieme è da considerare di epoca olocenica per la presenza della ceramica, delle punte di freccia, dei nuclei a lamelle; ad un ambito eneolitico potrebbe rimandare il frammento di ascia-martello. Periodo classico: il materiale classico si limita ad una presenza sporadica nel terreno arativo. Data l’abbondanza dei ritrovamenti (soprattutto preistorici e medievali) effettuati in superficie, la SBAT, attraverso la SACI, ha provveduto ad indagare l’area in profondità realizzando 149 saggi ravvicinati, allo scopo di verificare la presenza di strati archeologici, anche in previsione di lavori agricoli che avrebbero potuto mettere in pericolo eventuali stratigrafie sepolte. L’esito dei saggi è risultato negativo, non portando all’individuazione di livelli archeologici in strato. La documentazione di una frequentazione antica del sito (o delle sue vicinanze) si limita dunque a quanto restituito dal terreno rimaneggiato superficiale. Periodo post-classico: nei dintorni, nonostante la consistente mole di materiali rinvenuti, 172 173 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda Fonti di archivio Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 6, 1971-1980, Calenzano1; pos. 9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano, prot. 25385 del 27 novembre 1996 (si veda Scheda 14, nota 1); pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano, prot. 22599 del 2004 (si veda Scheda 12, nota 1) . Responsabile SBAT (impresa esecutrice SACI). Anno di scavo 2004. Bibliografia Carta Archeologica 1995, pp. 11-132; Baldini 2007-2008, pp. 236-237. È la segnalazione su cui si basa Carta Archeologica 1995, pp. 11-13, dove non viene fatto alcun riferimento al ritrovamento di ceramica di età “classica”. 2 Nelle tre schede di sito (nn. 14-15, 17) viene fatto sempre riferimento ad una raccolta di superficie effettuata nel 1979, che restituì materiale preistorico, protostorico e qualche frustulo di periodo post-medievale. 1 Litica. 1002. Manufatto ritoccato. Litica. 1003. Manufatto ritoccato. Litica. 1006. Manufatto in pietra levigata. L 3,1; l 1,8; S 0,9. L 3,3; l 1,4; S 0,8. Pezzo foliato bifacciale a ritocco coprente su entrambe le facce; forma allungata simmetrica. Pezzo foliato peduncolato ad apice tondeggiante, con peduncolo poco evidenziato; sagoma stretta, sezione massiccia. L conservata 3,4; l conservata 3,4; S conservato 3,3. Selce. Diaspro. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Spigoli leggermente abrasi, pseudoritocchi assenti. L’elemento è riferibile genericamente ad una fase compresa tra la fine del Paleolitico e l’Olocene. 174 L’elemento è riferibile genericamente ad una fase compresa tra la fine del Paleolitico e l’Olocene. 175 Testa di mazza frammentaria. Pietra verde. Il reperto, benché molto frammentario, potrebbe essere accostato al tipo di ascia-martello noto nell’Eneolitico della Toscana (Cocchi Genick, Grifoni Cremonesi 1989). Cartografia archeologica del comune di Calenzano non vi sono edifici che presentino visibili paramenti murari riconducibili al Medioevo, ma numerose coloniche che potrebbero risalire ai primi secoli dell’età moderna, come, ad esempio, tutte le coloniche che si appoggiano alle falde meridionali del Poggio Uccellaia. È dunque l’ennesima conferma dell’importanza dell’insediamento poderale che caratterizzò il territorio di Calenzano. Litica. 1008. Manufatto ritoccato. Litica. 1009. Nucleo. Litica. 1011. Manufatto ritoccato. Litica. 1132. Manufatto ritoccato. Litica. 1133. Manufatto ritoccato. L 3; l 1,8; S 0,8. L conservata 4,5; l 1,3; S 0,5. L 2,6; l 2; S 2. L 7; l 3,5; S 1. L conservata 3,3; l 1,8; S 0,7. L 2,0; l 2,2; S 0,8. Punta di freccia. Punta foliata peduncolata; ritocco piatto bifacciale coprente su una faccia e invadente sull’altra. Strumento composto (Troncatura e Lama): troncatura su lama ritoccata frammentaria; ritocco bilaterale totale; supporto molto stretto. Nucleo per l’estrazione di lamelle; un piano di percussione, preparato; fronte leggermente convesso; distacchi unipolari paralleli; pezzo molto sfruttato. Incavo inverso laterale su supporto laminare a margini divergenti. Grattatoio frontale corto subcircolare. Selce. Diaspro. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Punta di freccia frammentaria. Punta foliata peduncolata; apice e peduncolo fratturati; ritocco bifacciale coprente; lavorazione molto accurata, sagoma slanciata. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Diaspro. L’elemento è riferibile genericamente ad una fase compresa tra la fine del Paleolitico e l’Olocene. L’elemento è riferibile genericamente ad una fase compresa tra la fine del Paleolitico e l’Olocene. L’elemento è riferibile genericamente ad una fase compresa tra la fine del Paleolitico e l’Olocene. Diaspro. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Epoca olocenica. 176 Quarzite fine. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Epoca olocenica. 177 Selce. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Cartografia archeologica del comune di Calenzano Litica. 1007. Manufatto ritoccato. 1134 1133 1008 Litica. 1134. Manufatto ritoccato. L 2,1; l 1,6; S 0,6. Grattatoio frontale corto con ritocco su un margine laterale; sagoma leggermente allungata, fronte ampio. Selce. 1007 1003 1132 1002 Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Maiolica arcaica. 3051. Frammento di parete di boccale. Maiolica arcaica. 3052. Frammento di parete di forma aperta. L 2,3; l 1,3; S 0,3. L 4,3; l 4,8; S 0,6. Parete sottile con decorazione non ricostruibile a causa delle minute dimensioni del frammento, consistente in un fitto graticcio molto regolare di sottili linee in bruno manganese, tipico della prima maiolica arcaica. Parete di forma aperta, probabilmente un catino troncoconico. Decorazione in bruno manganese e verde ramina consistente in un’ampia zona campita a graticcio in verde ramina e bordata in bruno manganese; altre linee curve in bruno manganese. Si tratta probabilmente di una decorazione figurata a motivi fitomorfi o zoomorfi. Impasto duro, ben depurato, di colore arancio. Smalto grigio chiaro, esterno, molto deteriorato. L’elemento è riferibile genericamente ad una fase compresa tra la fine del Paleolitico e l’Olocene. [O.F.] Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Uffizi 2007. Fine del XIII secolo. Impasto duro, depurato, di colore arancio chiaro. Smalto grigio chiaro, solo interno, piuttosto diluito. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Uffizi 2007. 178 L 3,2; l 5; S 0,6-1; diam. bordo ricostruito 16,9; diam. carenatura ricostruito 18,3. Bordo con orlo arrotondato. All’interno, decorazione a gruppi di tre foglioline lanceolate, contornate da fasce orizzontali, con pennellate di giallo ferraccia. All’esterno, serie di archetti in serie continua al di sotto del listello; sopra il listello, linee concentriche orizzontali; in entrambe le aree, pennellate di verde ramina. Impasto duro, depurato, di colore rosso. Ingobbio bianco, uniforme e coprente, interno ed esterno. Vetrina giallina, interna ed esterna. Cfr. Scheda 70 – 3011; Uffizi 2007, pp. 488, 498, fr. 31.1. Per la forma “ciotola da impagliata”, cfr. Berti 1997, II, p. 425, forma I.C.1, 75. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987; Berti 1997, II; Uffizi 2007; Wentkoswska 2007. XIV secolo. 1011 Ceramica ingubbiata e graffita policroma a punta. 3053. Frammento di bordo di ciotola con listello. Produzione di area fiorentina, fine del XVI-inizi del XVII secolo. 1006 179 Cartografia archeologica del comune di Calenzano 1009 Ceramica ingubbiata e graffita monocroma a punta. 3055. Frammento di fondo di ciotola emisferica. L 6,2; l 4; S 0,8; diam. piede ricostruito 8,3. L 5; l 4; S fondo 1,1; S parete 0,6; diam. piede 4,8. Fondo concavo di forma aperta, probabilmente un piatto. Decorazione conservata per la parte centrale di un elemento zoomorfo, probabilmente un uccellino, di cui è visibile l’ala, sovradipinta in giallo ferraccia e verde ramina. Fondo decorato con graffiture “a cerchietti”. Impasto duro, depurato, di colore rosso. Ingobbio bianco, coprente, solo interno. Vetrina, interna ed esterna (anche sotto il piede), giallina, coprente. Per la decorazione cfr. Varaldo 1997, p. 446, fig. 6a. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987; Berti 1997, II; Uffizi 2007; Wentkoswska 2007. XV secolo. Impasto duro, ben depurato, di colore arancio. Ingobbio bianco, sottile, non molto uniforme, sia esterno sia interno. Vetrina trasparente, sottile, sia interna sia esterna. Cfr. Palazzo dei Vescovi II 1987, pp. 597-598, 609, frr. 3242, 3254; Wentkoswska 2007, pp. 41, 43, fr. 34. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987; Berti 1997, II; Uffizi 2007; Wentkoswska 2007. Maiolica post-rinascimentale. 3056. Frammento di bordo di piatto. L 3; l 1,8; S 0,5; diam. bordo ricostruito 20,6. Bordo con piccola tesa confluente ed orlo arrotondato. Sull’orlo, due fasce dipinte in giallo ferraccia; inizio di decorazione in verde ramina (cfr. decorazione “a vortice”). Impasto duro, depurato, di colore rosa chiaro. Smalto sia interno che esterno, bianco, compatto e lucido. Cfr. Palazzo dei Vescovi II 1985, tav. 13, fr. 3332. Per la classe si vedano Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987. Maiolica post-rinascimentale. 3057. Frammento di parete di grosso catino/conca. Ceramica ingubbiata e dipinta. 3058. Frammento di bordo di piatto. L 5,5; l 8,6; S 1. L 2,8; l 2,3; S 0,5; diam. bordo ricostruito 16,9. Parete con decorazione a pennellate concentriche verde ramina, giallo ferraccia vicino al fondo. Bordo decorato da semplici pennellate verdi, molto diluite. Impasto duro, depurato, di colore rosso. Smalto bianco, solo interno, spesso ma non uniforme. All’esterno, leggera ingubbiatura. Impasto duro, depurato, di colore rosso chiaro. Ingobbio bianco e vetrina trasparente, sia interni sia esterni. Per la classe si vedano Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987. Per il tono del colore, molto diluito, e la semplicità della decorazione cfr. Wentkoswska 2007, pp. 45-46, fr. 41. Per la classe si veda Wentkoswska 2007. Produzione montelupina, XVII secolo. Età moderna. Produzione di area montelupina, fine del XVI-inizi del XVII secolo. L 3,5; l 4; S 0,4. Parete con decorazione in blu a girali e piccoli punti disposti intorno a una fascia in azzurro, bordata in blu, probabilmente a delimitare in origine un medaglione centrale. Sulla fascia, decorazioni “a bocciolo” in blu. Impasto duro, ben depurato, di colore rosa. Smalto bianco, sottile, non più lucido e molto deteriorato, solo esterno. Cfr. Berti 1997, I, pp. 172-200. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987. XV secolo. Fine del XVI-inizi del XVII secolo. 180 Maiolica italo-moresca. 3059. Frammento di parete di boccale. 181 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Ceramica ingubbiata e graffita policroma a punta. 3054. Frammento di fondo di forma aperta. 3054 L 11,5; l 13,8; S 1,3-2,4. Parete di forma chiusa (probabilmente un orcio), decorata con incisioni. La decorazione ha un’ingrossatura a fascia, (l 4,5; S 2,2) ornata con incisioni a stecca, disposte a spina di pesce, e impressioni digitali tondeggianti, tra una sinusoide incisa a pettine fitto e una treccia incisa con lo stesso pettine. 3055 3056 38 – Areale XXX Localizzazione Case Pecchiolo (CPC). Contesto di ritrovamento Strutture in elevato. Contesto attuale Strutture in elevato. Descrizione Si tratta di una colonica poderale nata attorno a una torre, di cui rimangono evidenti il paramento e le angolate originali nel prospetto Sud. Rimane anche un tratto di muratura piuttosto consistente, in connessione con la torre, ma di non facile interpretazione, a causa dei numerosi interventi subiti. Sorge lungo la strada per Legri, proveniente dalla Chiusa. Materiali Non sono stati rinvenuti reperti mobili. Grado affidabilità -/-/4 Cronologia Periodo post-classico: le strutture murarie medievali individuate sono inserite all’interno di edifici attribuibili ad un lungo arco cronologico, compreso tra il XIII e il XVII secolo. Interpretazione Periodo post-classico: casa da signore utilizzata anche per il controllo della viabilità che attraversava la piccola dorsale di Collina, tra la Val di Marina e la valle di Legri. Fonti Cartografiche Piante di Popoli e Strade, c. 536 (S.to Ruffigniano a Somaia). Bibliografia Bellometti 2003-2004, pp. 122-166. Impasto rosso chiaro, duro, con sporadici inclusi di calcite (<3 mm). Cfr. Uffizi 2007, pp. 368, 405, frr. 21.13.5. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Uffizi 2007. XVII secolo. [L.T.] 3058 182 183 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Ceramica acroma grezza. 3116. Frammento di parete di orcio. Cartografia archeologica del comune di Calenzano 3053 Scheda 39 – Areale XXIX Localizzazione Travalle, Podere Chiudente (TRPC). Contesto di ritrovamento Campo arato. Contesto attuale Campo arato. Descrizione Campo arato e parzialmente tenuto ad oliveto che digrada in leggera pendenza verso il fondovalle; in alto sono presenti le coloniche di Podere Chiudente e Podere Fornello. Il GAF ha raccolto in superficie abbondanti reperti litici e numerosi frammenti di ceramica di diversi periodi. Per tutte le fasi di frequentazione documentate, è difficile individuare l’insediamento dal quale possano provenire i materiali; negli immediati dintorni non vi sono tracce di eventuali strutture murarie medievali conservate in elevato. Materiali Periodo preistorico: più di 2500 manufatti litici, un centinaio di frr. ceramici. Periodo classico: 47 frr. ceramici, 1 fr. opus latericium, 1 fr. piombo. Periodo post-classico: 39 frr. ceramici, 1 fr. metallico. Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0007A. Grado affidabilità 3/2/2 Cronologia Periodo preistorico: Neolitico o Eneolitico; qualche elemento forse riferibile al Paleolitico. Periodo classico: periodo romano. Periodo post-classico: XIV-XVIII secolo. Interpretazione Periodo preistorico: il materiale preistorico è per lo più di epoca olocenica; la componente ceramica è poco diagnostica: l’unico elemento indicativo è un’ansa a rocchetto, edita (si veda Bibliografia), ipoteticamente collocabile in un momento avanzato del Neolitico. Tra i reperti litici, si può distinguere un gruppo principale, con spigoli relativamente freschi, da un piccolo insieme a stato fisico più frusto (spigoli abrasi, pseudoritocchi, patine). Tra i pezzi più freschi si individuano elementi che indicano una cronologia sicuramente olocenica (presenza di ossidiana e di altre rocce alloctone, di schegge e lamelle di piccolo formato e di punte di freccia). Più precisamente, gli elementi ritoccati possono suggerire una collocazione dell’industria tra il Neolitico finale e l’Eneolitico. I manufatti del gruppo a spigoli più abrasi sono generici per tipologia, ma mostrano una certa omogeneità per l’apparente assenza di materie prime alloctone, la tipometria variabile, i talloni lisci, i bulbi prominenti, le sagome irregolari; essi potrebbero testimoniare una frequentazione paleolitica. Pochi pezzi presentano uno stato fisico più abraso (rispetto alla maggior parte dell’industria) e profondi pseudoritocchi. Tra questi, si nota una grande scheggia piatta con ampi negativi dorsali, in quarzite, pesantemente patinata. Periodo classico: probabile sito abitativo rurale. Periodo post-classico: si tratta della sicura conferma della presenza di un forte insediamento poderale nella zona, a partire già del basso Medioevo, ma non è possibile proporre ipotesi di maggiori dettaglio. Fonti d’archivio: Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano, prot. 25385 del 27 novembre 1996 (si veda Scheda 14, nota 1); pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano, prot. 22559 del 3 novembre 2001. Bibliografia Nieri 1930, pp. 345-346; Gambassini 1974, pp. 10-13; Archeologia e territorio 1979, pp. 6-10; Giachetti 1989, p. 396; Martini 1989b, pp. 5-9; Martini, Sarti 1991, p. 19; Spaterna 1992, p. 111, n. 37; Sarti, Martini 1993, pp. 30-31; Carta Archeologica 1995, pp. 11, 13. 184 Litica. 1012. Manufatto ritoccato. Litica. 1013. Nucleo. Litica. 1014. Nucleo. L 6,6; l 4,2; S 1,6. L 7,1; l 3,5; S 2,3. L 5,4; l 4,4; S 2,1. Denticolato. Scheggia allungata a lati divergenti con tre margini ritoccati; sui due margini laterali sono presenti due incavi profondi e un ritocco totale su un lato e parziale sull’altro; il margine trasversale è ritoccato in modo semierto, con delineazione denticolata. Nucleo a sfruttamento opportunistico, su blocchetto, per l’ottenimento di schegge; un piano di percussione; pochi distacchi. Nucleo a sfruttamento centripeto, per l’estrazione di schegge, con due piani di scheggiatura tendenzialmente gerarchizzati, per la preparazione e lo sfruttamento. Diaspro. Diaspro. Spigoli abrasi, pseudoritocchi presenti. Spigoli poco abrasi, rari pseudoritocchi. Selce. Spigoli freschi, pseudoritocchi presenti. L’elemento è di incerta attribuzione, anche se lo sfruttamento centripeto dei nuclei è in genere indicativo del periodo compreso tra il Paleolitico inferiore e il Paleolitico medio. 185 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda Litica. 1016. Manufatto non ritoccato. Litica. 1019. Nucleo. Litica. 1020. Nucleo. Litica. 1021. Nucleo. L 8,1; l 5,1; S 1,8. Litica. 1017. Nucleo. L 2,4; l 2,2; S 1,1. L conservata 1,1; l 1; S 0,2. L 5,2; l 5; S 1. L 2,2; l 2; S 1,8. L 2,5; l 1,8; S 1,5. Strumento a ritocco erto laterale convesso; ritocco marginale a distacchi molto minuti; supporto piatto. Scheggia allungata con ampi negativi dorsali, tallone liscio parzialmente scagliato, bulbo prominente. Piccolo nucleo a distacchi centripeti unifacciali, con distacchi di preparazione sulla faccia opposta. Nucleo per l’ottenimento di lamelle e piccole schegge, molto sfruttato; un piano di percussione. Nucleo per l’ottenimento di lamelle e piccole schegge, molto sfruttato. Due piani di percussione opposti; distacchi paralleli bipolari. Selce. Quarzite fine. Selce. Nucleo a sfruttamento centripeto per l’ottenimento di schegge. Scheggiatura bifacciale gerarchizzata: distacchi centripeti coprenti su una faccia; distacchi di preparazione sulla faccia opposta. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Patina pesante; spigoli abrasi, molti pseudoritocchi, profondi. Spigoli poco abrasi, pseudoritocchi assenti. Selce. Spigoli poco abrasi, pseudoritocchi assenti. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Elemento attribuibile genericamente ad un periodo compreso tra la fine del Paleolitico e l’Olocene. Elemento attribuibile genericamente ad un periodo compreso tra la fine del Paleolitico e l’Olocene. Elemento attribuibile genericamente ad un periodo compreso tra la fine del Paleolitico e l’Olocene. Il reperto, che pare differenziarsi dal complesso per qualità tecnologiche, tipometriche e per lo stato fisico, potrebbe rimandare al Paleolitico inferiore o medio. 186 Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Selce. Selce. 187 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Litica. 1015. Manufatto ritoccato. Litica. 1023. Nucleo. Litica. 1026. Nucleo. Litica. 1027. Nucleo. Litica. 1028. Manufatto ritoccato. Litica. 1029. Manufatto ritoccato. L 2,7; l 2; S 0,8. L 3; l 2,3; S 1,6. L 1,5; l 1,4; S 0,9. L 2,5; l 1,6; S 1,7. L 3,5; l 2,1; S 0,6. L 2,4; l 2,3; S 0,7. Foliato. Raschiatoio o punta foliata frammentaria; ritocco piatto bifacciale coprente. Nucleo per l’estrazione di lamelle; distacchi paralleli unipolari, fronte leggermente convesso, piano di percussione preparato. Nucleo per l’ottenimento di lamelle e piccole schegge, molto sfruttato; un piano di percussione; distacchi paralleli unipolari. Nucleo per l’ottenimento di lamelle e piccole schegge, molto sfruttato; due piani di percussione adiacenti. Punta di freccia. Punta foliata peduncolata; ritocco piatto bifacciale coprente. Raschiatoio marginale. Ritocco semplice tendente a piatto, trasversale, convesso. Diaspro. Selce. Selce. Selce. Selce. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Spigoli poco abrasi, pseudoritocchi assenti. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Elemento attribuibile genericamente ad un periodo compreso tra la fine del Paleolitico e l’Olocene. Epoca olocenica. Diaspro. Spigoli poco abrasi, rari pseudoritocchi. Elemento attribuibile con maggiori probabilità ad un periodo compreso tra la fine del Paleolitico e l’Olocene. Elemento attribuibile genericamente ad un periodo compreso tra la fine del Paleolitico e l’Olocene. 188 Elemento attribuibile genericamente ad un periodo compreso tra la fine del Paleolitico e l’Olocene. 189 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Litica. 1022. Manufatto ritoccato. Litica. 1031. Nucleo. Litica. 1032. Manufatto ritoccato. Litica. 1033. Manufatto ritoccato. Litica. 1034. Manufatto ritoccato. Litica. 1036. Manufatto ritoccato. L 2; l 1,5; S 0,8. L 1,7; l 1,9; S 1,4. L 2,4; l 1,5; S 0,4. L 2,1; l 1,4; S 0,5. L 2,9; l 1,2; S 0,5. Grattatoio frontale leggermente allungato con ritocco laterale. Punta di freccia. Punta foliata peduncolata; ritocco piatto diretto coprente e inverso invadente. Grattatoio frontale leggermente allungato. Punta; ritocco parziale distale. Quarzite fine. Nucleo per l’ottenimento di lamelle e piccole schegge, molto sfruttato; un piano di percussione; distacchi paralleli unipolari. L conservata 3,7; l conservata 1,7; S 0,7. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Selce. Quarzite fine. Elemento attribuibile genericamente ad un periodo compreso tra il Paleolitico superiore e l’Olocene. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Elemento attribuibile genericamente ad un periodo compreso tra la fine del Paleolitico e l’Olocene. Epoca olocenica. 190 Punta di freccia. Punta foliata peduncolata; ritocco piatto bifacciale coprente. Selce. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Epoca olocenica. Selce. Spigoli poco abrasi, pseudoritocchi assenti. Elemento attribuibile genericamente ad un periodo compreso tra il Paleolitico superiore e l’Olocene. 191 Selce. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Cartografia archeologica del comune di Calenzano Litica. 1030. Manufatto ritoccato. Litica. 1038. Manufatto ritoccato. Litica. 1040. Manufatto ritoccato. Litica. 1041. Manufatto ritoccato. Litica. 1042. Manufatto ritoccato. L 2,7; l 1,6; S 0,4. L conservata 1,6; l 1; S 0,3. L 2; l 1,7; S 0,6. L 2,1; l 1,4; S 0,5. L 1,5; l 0,9; S 0,2. Punta di freccia. Punta foliata peduncolata; ritocco piatto bifacciale coprente. Lama. Raschiatoio lungo su lamella frammentaria di piccole dimensioni; ritocco unilaterale. Punta di freccia. Punta foliata peduncolata; ritocco piatto bifacciale coprente. Punta di freccia. Punta foliata peduncolata; ritocco piatto bifacciale coprente. Troncatura obliqua sommaria su lamella frammentaria. Selce. Ossidiana. Diaspro. Selce. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Epoca olocenica. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Epoca olocenica. Epoca olocenica. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Il pezzo è stato esposto al fuoco. 192 Epoca olocenica. 193 Ossidiana. Spigoli poco abrasi, pseudoritocchi assenti. Epoca olocenica. Cartografia archeologica del comune di Calenzano Litica. 1037. Manufatto ritoccato. Litica. 1046. Manufatto ritoccato. Litica. 1047. Manufatto non ritoccato. Litica. 1135. Nucleo. Litica. 1136. Manufatto ritoccato. Litica. 1137. Manufatto ritoccato. L 1; l 0,7; S 0,2. L 1,5; l 0,8; S 0,2. L 1,6; l 1; S 0,3. L 2,5; l 1,7; S 1,6. L 2,7; l 2,1; S 0,3. L 1; l 1,2; S 0,6. Raschiatoio laterale parziale su lamella frammentaria. Troncatura marginale su lamella. Scheggia di piccole dimensioni. Ossidiana. Selce. Spigoli poco abrasi, pseudoritocchi assenti. Punta di freccia. Punta foliata peduncolata; ritocco coprente su una faccia, con ampi distacchi e distacchi corti sovrapposti; ritocco corto sulla faccia opposta; supporto piatto, sagoma corta. Grattatoio frontale corto a fronte molto convesso, tendente a circolare; supporto molto piccolo. Spigoli poco abrasi, pseudoritocchi assenti. Nucleo per l’estrazione di lamelle, molto sfruttato; distacchi unipolari su tutto il perimetro; piano di percussione liscio; l’ultimo ordine di distacchi si arresta a tre quarti del pezzo, mentre i distacchi precedenti ne interessano tutta la lunghezza. Selce. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Diaspro. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Spigoli poco abrasi, pseudoritocchi assenti. Epoca olocenica. Elemento attribuibile genericamente ad un periodo compreso tra il Paleolitico superiore e l’Olocene. [O.F.] Ossidiana. Spigoli poco abrasi, pseudoritocchi assenti. Epoca olocenica. Epoca olocenica. Manufatto ascrivibile ad un periodo compreso tra la fine del Paleolitico e l’epoca olocenica. 194 195 Selce. Cartografia archeologica del comune di Calenzano Litica. 1043. Manufatto ritoccato. 1042 1034 1046 Cartografia archeologica del comune di Calenzano 1137 1015 1030 1031 1135 1019 1033 1136 1028 1037 1041 1038 1020 1014 1040 1032 1036 1022 1026 1021 1029 1027 1013 1043 1023 1017 1047 1012 196 1016 197 L 10; l 6; S 0,8. Parete di orcio con decorazione composta da due sinusoidi incise a pettine, separate da una sagomatura in rilievo. Maiolica arcaica. 3109. Frammento di tesa di catino. L 4,4; l 3; S 1. Tesa con orlo arrotondato e decorazione a tratti in bruno manganese verticali e paralleli. Impasto di colore arancio chiaro, duro, poco depurato. Impasto duro, depurato, di colore rosa. Smalto bianco, liscio e coprente sia all’interno sia all’esterno. Cfr. Uffizi 2007, pp. 368, 405, fr. 21.13.5. Per la classe si veda Amouric, Richez, Vallauri 1999. Cfr. Uffizi 2007, pp. 420, 423, fr. 22.2.4. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Uffizi 2007. XVII secolo. Fine XIV secolo. Ceramica ingubbiata e graffita policroma a punta. 3110. Frammento di fondo di scodella. L 6,6; l 6,5; S 0,9-1,1; diam. piede 6. Fondo concavo, decorato da larghe pennellate gialle e brevi tratti verde ramina, tra gli spazi di risulta di una raggiera, all’interno di piccole “V” graffite. Cavetto distinto da tre graffiture concentriche; sulla parete, linee curve graffite. Impasto duro, ben depurato, di colore rosa scuro. Ingobbio giallo, interno ed esterno, con vetrina trasparente interna ed esterna. Cfr. Wentkoswska 2007, p. 42, fr. 32, dove la datazione è più tarda per la maggiore approssimazione nella decorazione. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987; Berti 1997, II; Uffizi 2007; Wentkoswska 2007. Maiolica arcaica. 3111. Frammento di ansa a bastoncello. l 6,4; S 1,7. Ansa a bastoncello con decorazione superstite, molto deteriorata, comprendente campiture in verde ramina e righe in bruno manganese. Impasto duro, ben depurato, di colore rosa. Smalto sottile, coprente, di colore grigiastro. Cfr. Scheda 70 – 3001; Scheda 83 – 3024. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Uffizi 2007. XIV secolo. Ceramica ingubbiata e dipinta. 3112. Frammento di bordo di piatto. Ceramica invetriata. 3113. Presa a pomello di coperchio. L 4,5; l 4; S 0,6; diam. bordo ricostruito 19. l 1,5; S 0,5; diam. 3,5. Bordo con orlo arrotondato e leggermente ingrossato; cavetto indistinto. Decorazione in giallo ferraccia e verde scuro a cerchi concentrici in verde sull’orlo e piccole tracce in giallo nel cavetto. Impasto di colore arancio, duro, depurato con sporadica polvere di calcite. Ingobbio bianco, sottile e uniforme, sia interno sia esterno. Vetrina giallina, interna ed esterna. Cfr. Wentkoswska 2007, p. 47, fr. 42. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987; Berti 1997, II; Uffizi 2007; Wentkoswska 2007. XVIII-XIX secolo. Metà del XV-XVI secolo. 198 199 Presa a pomello sagomato. Impasto di colore arancio, duro, semidepurato con inclusi (<3 mm) e chamotte (<3 mm). Ingobbio chiaro sotto vetrina scura, granulosa e coprente. Cfr. Wentkoswska 2007, p. 25, fr. 10. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Uffizi 2007. XVIII-XIX secolo. Cartografia archeologica del comune di Calenzano Ceramica acroma semidepurata. 3108. Frammento di parete di orcio lavorato a mano. Maiolica alla porcellana. 3115. Frammento di parete di piatto. L 3; l 2,8; S 0,5; diam. bordo ricostruito 14,8. L 4,3; l 3,3; S 0,8. Bordo ad orlo arrotondato e rialzato di un coperchio a disco schiacciato. Impasto duro, depurato, con millimetrici inclusi di calcite (<3 mm). Vetrina spessa, lucida, coprente ma granulosa. Cfr. Uffizi 2007, p. 535, fr. 38.7.1. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Uffizi 2007. XVIII-XIX secolo. Parete con tracce di decorazione consistente in una fascia dipinta in blu, con punti in blu più scuro, attraversata da linee ondulate blu; più in basso, due sottili linee concentriche sempre in blu. 40 – Areale XXIX Localizzazione Travalle, Villa Ganucci Cancellieri. Contesto di ritrovamento Fuori posto. Contesto attuale Custodito all’interno della villa. Descrizione Con una segnalazione effettuata alla SBAT da parte della famiglia Ganucci Cancellieri, è stata resa nota la presenza di un cippo sferoidale di arenaria, che si trovava all’interno della villa da tempo immemorabile ed era stato utilizzato in passato come contrappeso per un bilanciere per il travaso della piante di limoni (a conferma di ciò l’anello in ferro che è stato inserito nella parte superiore del monumento). Materiali Periodo classico: cippo sferoidale di arenaria. Grado affidabilità -/3/- Cronologia Periodo classico: anni finali del VI secolo a.C. Interpretazione Periodo classico: monumento sepolcrale. Bibliografia Filippi et alii 2006, p. 134; Baldini et alii 2007, p. 120; Baldini 2007-2008, pp. 244-248. Impasto bianco, poroso, ben depurato. Smalto bianco, coprente e lucido, conservato solo all’interno. Cfr. Berti 1997, I, p. 277, fig. 12. Per la classe si vedano Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987. Fine del XV-inizi del XVI secolo. [L.T.] 3112 3110 3114 200 201 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Ceramica invetriata. 3114. Frammento di bordo di coperchio. Scheda h 48,4; diam. base 46,1; diam. massimo 58. Cippo sferoidale, con superficie inferiore piatta, priva di zeppa. Sulla parte sommitale, decorazione piuttosto complessa, solo parzialmente leggibile a causa del pessimo stato di conservazione: tra due listelli a rilievo concentrici, fascia decorata con motivo ad onde con la base rivolta in alto; nella parte apicale, tratti a rilievo riferibili o ad una serie di baccellature o, più probabilmente, ad una serie continua di palmette. Stato di conservazione: nessun segno evidente di distacchi o fessurazioni tipiche dei monumenti di arenaria locale sulla superficie. Sulla parte sommitale, interessata dal partito decorativo, gravi e profonde lesioni a causa della recente inserzione di un perno con anello di ferro in sospensione, servito, fino ad anni recenti, a sollevare il cippo in funzione di contrappeso per spostare i grandi vasi di limone nella serra della Villa Ganucci-Cancellieri. Bibliografia: Filippi et alii 2006, p. 134; Baldini et alii 2007, p. 120; Baldini 2007-2008, pp. 245-248, n. 96. Da un punto di vista tipologico, il monumento in esame rientra pienamente nel tipo A della classificazione Magi- Nicosia, trattandosi di un cippo sferoidale (Nicosia 1966a, p. 159). Questo particolare tipo di cippo sembra piuttosto diffuso tra le produzioni delle “pietre fiesolane”, sia nella redazione inornata (Nicosia 1966a, p. 162, tav. XXII, d; Curri, Nicosia, Marzi 1967, p. 275, tav. XLIX, b) sia con decorazione a rilievo, limitata alla semplice sommità (Magi 1932, p. 18, tav. XI, 3-5; Nicosia 1966a, p. 159) o su gran parte del supporto litico (Curri, Nicosia, Marzi 1967, pp. 274-275, fig. 3, p. 275, tav. XLIX, a; Bruni 1998, p. 145, tav. 58; Millemaci 1998-1999, pp. 156-157). Bisogna tuttavia notare che questo tipo di segnacolo sepolcrale non è esclusivo dell’area in esame, anzi le redazioni più antiche sembrano quelle attestate in area volterrana già nel Villanoviano, come dimostrano i recuperi nelle necropoli della Guerruccia (Ghirardini 1898, col. 155) e delle Ripaie (Cateni 1981, p. 194, tav. LII, d; Millemaci 1998-1999, p. 158, tav. LXVII, 1-2). Da quest’ultima necropoli, ma purtroppo privo del contesto di ritrovamento, proviene l’esemplare iscritto di Velθur Tusnutina, ritenuto il più antico documento epigrafico di Volterra (600 a.C. circa) (Cristofani 1973b, pp. 282-284; Cristofani, Maggiani 1975) e che mostra, nell’impianto formale e della tettonica decorativa, notevoli vicinanze con il cippo in esame (Cateni 2005, p. 66, n. 5). Recenti studi hanno proposto di vedere, tra la fine del VII e i primi anni del VI secolo a.C., il passaggio del tipo 202 dalle necropoli volterrane al territorio pisano, probabilmente con la mediazione della Valdera (Bruni 1998, p. 145, tav. 56), e alla zona di Vetulonia, per conoscere successivamente una certa fortuna anche in ambiente populoniese e orvietano. Per quanto concerne la zona transappenninica il tipo al momento è attestato tra la fine del VI e i primi anni del V secolo a.C. a Marzabotto e a Felsina, anche se, in questo caso, la mediazione sembra quella dei centri dell’Etruria costiera centro-settentrionale, Vetulonia e, in particolar modo, Pisa (Millemaci 1998-1999, pp. 160-161). Complessa è la lettura della decorazione: infatti, mentre la fascia inferiore è occupata interamente da una serie di onde con la base rivolta in alto, motivo piuttosto insolito tra le pietre fiesolane, ma già attestato sulla stele di Travignoli (Magi 1932, pp. 17-18, tav. XI, 1; Pizzirani 2005, p. 263, fig. 15 p. 262) e sul frammento di altare proveniente da Fiesole, già della Collezione Bacci (Bruni 2002, p. 305, nota 110, fig. 7 p. 306), la decorazione della parte apicale non è assolutamente definita: in particolar modo non è chiaro se si tratti di baccellature o di una serie di palmette capovolte. Se è frequente la presenza di palmette sulle stele fiesolane, soprattutto sugli anthemia (Magi 1932, pp. 29-30), più rara è sui cippi di tipo sferoidale, laddove si può trovare anche la decorazione a rosone a sei petali realizzata a compasso con archi di circonferenza isoradiali due a due convergenti (cippo di Papiniano: ibidem, p. 33, tav. XI, 3), la guilloche o i fiori di loto aperti dritti e capovolti alternativamente (cippo di Barberino di Mugello: Curri, Nicosia, Marzi 1967, p. 275), anche se più spesso il supporto litico è inornato. Decisamente interessante è la ricorrenza della palmetta sul cippo di Barberino di Mugello, soprattutto perché si trova nella stessa posizione sommitale come nel monumento in esame. Tuttavia la recente pubblicazione di un ritrovamento degli anni Ottanta del secolo scorso permette di guardare, per il nostro pezzo, anche in una diversa direzione. In un articolo sui cinerari di marmo di periodo arcaico ritrovati a Pisa, Maggiani ha pubblicato un cinerario frammentario, con relativo coperchio, al centro del quale si legge, anche se la superficie è fortemente abrasa, una decorazione costituta da un rosone, una Blütenknospenkreuz, «motivo tipicamente sud-ionico, corrente nella ornamentazione soprattutto di superfici circolari» (Maggiani 1993, p. 35, fig. 1; Maggiani 2004a, p. 156, fig. 6 p. 175). Il confronto risulta interessante non tanto per l’identità della decorazione (nel coperchio da La Figuretta costituito da bocci e fiori di loto, sul cippo da palmette), quanto per la posizione, in entrambi i casi sulla parte sommitale racchiuso da un listello a rilievo, così come del resto accade anche sul cippo da Barberino di Mugello (palmetta) e sul coperchio marmoreo di pozzo, o, più probabilmente, di cinerario, recuperato nella necropoli di San Cerbone, in cui al posto delle palmette o dei fiori di loto è presente una ricca decorazione di fiori di loto bilobati alternati ad una melograna, chiaro simbolo di rinascita (Romualdi 2004, pp. 190-191, fig. 13 p. 204, in particolare nota 51). A questo punto forse si può tentare di inquadrare il pezzo, recuperando il significato più profondo sotteso alla rappresentazione. La decorazione ad onde correnti, sconosciuta in ambito greco come rappresentazione mimetica del mare, acquista sul finire del terzo quarto del VI secolo a.C. una propria valenza semantica, rappresentando «la condizione ontologica dell’alterità della morte», non il luogo geografico in cui viene effettuato il viaggio (Pizzirani 2005, p. 264). Tale valenza, ancora non codificata nelle “pietre fiesolane”, troverà ampia decodificazione nelle stele felsinee di V secolo a.C., dove il significato soterico sarà rafforzato anche dalla presenza dionisiaca di edera e vite (ibidem, p. 264) e dalle scene più specificatamente legate al mondo catactonio, influenzate dalla presenza e dall’ideologia escatologica greca mediata da Spina (Sassatelli 1989, p. 935). A questo riguardo particolare interesse riveste la presenza di una porta scolpita su una stele proveniente dalla tomba 57 del sepolcreto De Luca (cat. 16: ibidem, p. 935), dove la porta può rappresentare sia il momento liminare di passaggio tra il mondo dei vivi e quello dei morti sia la rappresentazione ex absentia del morto stesso, come avviene nelle tombe tarquiniesi (D’Agostino 1999, p. 29). Questa stele, un unicum nell’ambito delle ste- 203 le felsinee, è databile tra il 480 e il 460 a.C. ed è ancora legata alla tradizione etrusca tardo-arcaica, così come si trova nelle tombe dipinte tarquiniesi, mentre la prima rappresentazione di “spirali ad onde” si trova sulla stele Ducati 182 ed è databile alla metà del V secolo a.C. (Sassatelli 1989, p. 935). In questa ottica si può pensare che il cippo in esame non esibisca semplicemente una decorazione accessoria, ma utilizzi il linguaggio delle immagini per veicolare un messaggio: il cippo rappresenta il sema nella sua accezione più profonda, identificandosi con il morto stesso, indicando il passaggio tra le due sfere, quella dei vivi e quella dei morti, in maniera non dissimile dal più recente cippo a clava marmoreo proveniente dall’area di via Gello (Bruni 1998, pp. 150-151; Fabiani 1999, p. 14). In base a queste considerazioni, al fatto che il cippo in esame sembra risentire di modelli decorativi diffusi nell’Etruria costiera centro-settentrionale nel terzo venticinquennio del VI secolo a.C. e attesta un tipo di linguaggio semantico poco diffuso in ambiente funerario dell’Etruria settentrionale in periodo tardo-arcaico – ma che troverà ampia eco in ambiente felsineo dalla metà del V secolo a.C. –, il monumento sepolcrale si può datare agli anni finali del VI secolo a.C. Produzione locale, anni finali del VI secolo a.C. [G.B.] Cartografia archeologica del comune di Calenzano Monumento sepolcrale. 2108. Cippo sferoidale di arenaria (pietra serena). 41 – Areale XXXI Scheda 42 – Areale XXXII Localizzazione Poggio all’Aia, Monte Morello. Localizzazione La Chiusa. Contesto di ritrovamento Boschivo. Contesto di ritrovamento Urbanizzato. Contesto attuale Boschivo. Contesto attuale Urbanizzato. Descrizione La raccolta dei materiali è avvenuta in due diversi punti: sia sulla sommità sia sulle pendici circostanti, in località Poggio all’Aia, corrispondente ad una delle tre vette del massiccio di Monte Morello. Descrizione Materiali Periodo classico: 74 frr. ceramici, 8 frr. laterizi, 1 fr. osseo non id. Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0054. Grado affidabilità -/3/- Cronologia Periodo classico: periodo ellenistico. Interpretazione Periodo classico: grazie alla sua posizione, su un’altura dominante la piana, il sito doveva avere sicuramente una funzione importante per il territorio. Se analizziamo i rinvenimenti ceramici e le notizie bibliografiche, possiamo ipotizzare una sua frequentazione come oppidum in periodo ellenistico, ma con probabile frequentazione anche nella facies arcaica. Valutando piuttosto la sua posizione geografica, dominante sulla piana e sul limes di confine del territorio fiesolano, non si esclude neanche l’ipotesi che possa trattarsi di un luogo di culto. Fonti di archivio Archivio GAF1. Bibliografia Carta Archeologica 1995, p. 14; Filippi et alii 2006, p. 134; Baldini et alii 2007, p. 119; Baldini 2007-2008, pp. 264-267. 204 Nel borgo de La Chiusa, lungo la strada provinciale diretta a Davanzanello, si trovava un elemento architettonico di marmo interpretato come mensola e caratterizzato da una massiccia voluta stilizzata, sormontata da un semplice piano di posa. Rinvenuto murato come paracarro in un edificio moderno, il manufatto è stato rimosso ed ora si trova conservato all’interno del Museo del Figurino Storico, nel castello di Calenzano. Grado affidabilità -/5/- Cronologia Incerta. Interpretazione Mensola architettonica. 205 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda 43 – Areale XXXIII Scheda 44 – Areale XXIX Localizzazione La Chiusa. Localizzazione Travalle (SEPMED). Contesto di ritrovamento Boschivo. Contesto di ritrovamento Campo arato. Contesto attuale Boschivo (sponda fluviale). Contesto attuale Campo arato. Descrizione Durante gli scavi della villa romana di Travalle (Scheda 45) sono venuti alla luce i resti di un sepolcreto medievale. Sono stati rinvenuti moltissimi reperti di inumati e anche alcuni reperti ceramici. Materiali I resti ossei sono attualmente conservati presso il Laboratorio di Archeoantropologia della SBAT. Dall’elenco consegnato alla Soprintendenza, però, i reperti sembrano appartenere a periodi diversi e la presenza di maiolica, invetriata e figlinese non sembra concordare con una cronologia altomedievale del sito. Periodo post-classico: 33 frr. ceramici, 4 frr. vitrei, 58 contenitori con reperti ossei, 408 frr. ossei. Cfr. schede di precatalogazione (cassetta) GNF-PO 05 0025/35. Grado affidabilità -/-/4 Cronologia Periodo post-classico: imprecisabile. Interpretazione Periodo post-classico: sicuramente era presente un sepolcreto, ma, data la mancanza di foto, piante e materiali, non è possibile attribuire con certezza né le strutture murarie rinvenute né i materiali recuperati ad un preciso arco cronologico. Responsabile SBAT (impresa esecutrice Cooperativa Archeologia). Anno di scavo 1988. Bibliografia Lamberini 1987, I, p. 81; Carta Archeologica 1995, pp. 15-16. Descrizione Lungo l’argine destro del torrente Marina, a Sud del sito di Montedomini, La Chiusa (Scheda 36), in corrispondenza del punto in cui nel torrente confluisce il Marinella, sono visibili i resti di una struttura muraria, visibile in sezione e in parte collassata su sé stessa, costituita da pietre calcaree legate a malta e con uno spessore ipotetico di circa 80 cm. Grado affidabilità Cronologia Interpretazione -/4/ Indeterminabile. Struttura muraria non meglio identificabile. 206 207 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda 45 – Areale XXIX Localizzazione Travalle, Podere Montisi (TR IV) (villa romana). Contesto di ritrovamento Campo arato. Contesto attuale Campo arato, vigneto. Descrizione L’area si trova in una zona pianeggiante, coltivata a seminativo e vigneto, tra il Poggio Uccellaia e il giardino della villa di Travalle. Il campo oggetto delle ricerche si trova nei possedimenti della chiesa di S. Maria a Travalle, a Sud-Est rispetto alla villa di Travalle, oggi di proprietà della famiglia Ganucci Cancellieri. A seguito di lavori per la messa in opera di tubature lungo la via di Travalle, furono rinvenuti materiali e alcune strutture in muratura, tra cui una vasca in cocciopesto. In un’altra porzione dello scavo furono rinvenute della sepolture a fossa semplice o rivestita, da mettere in relazione con la chiesa di S. Bartolo (Scheda 44). Al di sotto del sepolcreto emersero alcuni resti di murature di periodo romano, con pavimenti realizzati in opus caementicium. Le ricognizioni del GAF, ripetute durante gli anni, hanno restituito numerosissimi frammenti di ceramica e litica attribuibili a un vastissimo arco cronologico, dalla Preistoria ai secoli dell’età moderna, ma attualmente non sono visibili strutture in elevato di alcun tipo, se non quelle che appartengono ad una casa colonica di età moderna. Materiali Durante le ricognizioni del GAF sono stati recuperati materiali preistorici e una quarantina di frammenti ceramici attribuibili al basso Medioevo e ai secoli successivi: dieci frammenti di maiolica arcaica tarda, per lo più forme aperte, numerosi frammenti di orci, tre soli frammenti di maiolica di Montelupo, anch’essi attribuibili a forme aperte, quattro frammenti di italo-moresca, uno di zaffera a rilievo e uno di un piatto di maiolica decorata in azzurro con la raffigurazione di quella che sembra una chiesetta. Ci sono poi diversi frammenti di ingubbiata e graffita e di invetriata. Periodo preistorico: circa 150 manufatti litici, sporadici frr. ceramici raccolti in superficie. Periodo classico: periodo ellenistico: 3 frr. ceramici; periodo romano imperiale: 266 frr. ceramici, 6 frr. metallici, 21 frr. opus latericium, 24 frr. altro; periodo tardo-antico: 7 frr. ceramici. Periodo post-classico: 41 frr. ceramici. Cfr. schede di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0028, GNF-PO 05 0025/35. Grado affidabilità 3/4/3 Cronologia Periodo preistorico: Olocene, forse Neo-Eneolitico. Periodo classico: occupazione ininterrotta dal periodo tardo-ellenistico fino alla tarda antichità. Periodo post-classico: il materiale è riferibile ad un arco cronologico compreso tra il XIV e il XVII secolo. Interpretazione Periodo preistorico: l’industria litica comprende pezzi perlopiù generici, ma molti sono di dimensioni medio-piccole e frequentemente laminari o tendenti a laminari; tra i pochi ritoccati, da notare è un trapezio. I frammenti ceramici sono ridotti a poche unità non diagnostiche. Un’attribuzione più cauta si potrebbe limitare ad indicare genericamente l’epoca olocenica, ma forse è possibile restringere, ipoteticamente, il segmento cronologico al Neo-Eneolitico, anche per la vicinanza all’area di Podere Chiudente (Scheda 39), molto più ricca di ritrovamenti. Periodo classico: il sito, dal punto di vista interpretativo, si presenta come una delle realtà 208 più complesse della zona, perché si tratta di un’area abitata senza soluzione di continuità dal periodo preistorico fino al Medioevo. Sembra chiaro che, per il periodo romano, si possa trattare di una villa composta da una pars urbana, a cui andranno riferiti gli ambienti pavimentati e decorati con tessere in pasta vitrea e gli ambienti riscaldati, di cui restano come testimonianza i frammenti di tubuli, e una pars rustica, produttiva, come sembra suggerire la presenza della vasca rivestita di cocciopesto, interpretata dagli archeologi come una fullonica. La presenza delle ceramiche di produzione africana testimonia che la villa fu abitata anche in periodo medio e tardo-imperiale, fino al tardo-antico, come testimoniano i rinvenimenti ceramici. Dei resti trovati nella parte Nord-Est del campo purtroppo non è possibile dare una lettura precisa, ma ragionevolmente vanno messi in relazione con le strutture sopra elencate. Periodo post-classico: la presenza di numerose coloniche di epoca medievale non può che confermare l’intensa frequentazione di questa zona agricola per tutta l’epoca moderna. Fonti di archivio Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 7, 1961-1970, Calenzano, prot. 1470 del 1970; pos. 9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano, prot. 18095 del 1998; pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano prot. 500 del 2002. Archivio Cooperativa Archeologia1. Archivio GAF. Responsabile SBAT (impresa esecutrice Cooperativa Archeologia). Anno di scavo 1988. Bibliografia Lamberini 1987, I, p. 81; Carta Archeologica 1995, pp. 15-16 (Travalle – nn. 22 e 23 – e Podere Montisi); Baldini et alii 2007, p. 119; Baldini 2007-2008, pp. 225-235. 1 Relazione dello scavo effettuato nel 1988. I materiali corrispondono alle cassette GNF-PO-050025/35. 209 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda L conservata 2,8; l 2,9; S 0,6. Frammento di manufatto in pietra levigata di difficile interpretazione; forma piatta e apparentemente allungata. Ceramica. 1050. Frammento di parete di forma non determinabile. L 3,5; l 2,9; S 2,1. Litica. 1131. Manufatto ritoccato. L 1,8; l 0,9; S 0,3. Ceramica da mensa. 2101. Frammento di orlo di coppa di terra sigillata italica. L 2,9; l 2,7; S orlo 0,4; S parete 0,6. Pietra verde. Frammento di parete con orlo e attacco d’ansa (o presa) impostata immediatamente al di sotto dell’orlo; orlo diritto con bordo rastremato. Strumento geometrico: trapezio con ritocco accurato bitrasversale erto e ritocco complementare semplice tendente a piatto sui due margini laterali; lavorazione accurata. Orlo verticale, appena rientrante, superiormente assottigliato e appiattito; carena arrotondata; all’interno, sotto l’orlo, una solcatura. Epoca olocenica. Impasto grossolano. Selce. Epoca olocenica. Impasto tipo TSI 1; vernice tipo VeSI 1. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. L’elemento potrebbe indicare un periodo compreso tra il Mesolitico e il Neolitico. [O.F.] 1049 1050 210 1131 Stato di conservazione: vernice ben aderente e uniforme; fratture antiche a spigoli netti. Bibliografia: Baldini 2007-2008, p. 229, n. 90. Il frammento, pur essendo di dimensioni ridotte, può essere avvicinato alla forma Conspectus 4.6.2 (Conspectus 1990, p. 58), che in base alle concordanze corrisponde alla forma VI, varietà 12 di Pucci (Pucci 1985, p. 381, tav. CXVI, 12) e alla 30 di Goudineau (Goudineau 1968, pp. 300-301), molto diffusa e prodotta dalle officine d’Etruria, Campania e della Valle Padana per un periodo piuttosto lungo. Il nostro esemplare non presenta decorazioni applicate à la barbotine. La forma, piuttosto comune in periodo tiberio-claudio, trova confronti stringenti sia in ambito regionale, come ad Isola di Migliarino (Menchelli, Vaggioli 1988, p. 100, n. 9.2), a Pistoia, nell’antico Palazzo dei Vescovi (Degl’Innocenti 1987, p. 146, n. 629) o Torrita di Siena (Mascione 1992, p. 106, n. 51, tav. XXXVIII), dove è attestata in contesti della prima età imperiale in centri distanti, come nell’Etruria interna a Bolsena, lungo la costa tirrenica sia a Nord, a Luni (Lavizzari Pedrazzini 1977, p. 134, CM 5835/2, tav. 96, 8), sia a Sud, a Cosa (Marabini Moevs 2007, p. 55, AB25.11, tav. 24), o in centri del versante adriatico, come a Ordona (Vanderhoeven 1988, p. 152, n. 191), ad ulteriore dimostrazione della fortuna e della diffusione di questa forma in ambito italico. Tra i molteplici confronti, non sarà inutile citare anche il frammento recuperato nella vicina Fiesole nello scavo di via Marini-via Portigiani (Squarzanti 1990, p. 145, n. 33, p. 359 tav. 14: in questa sede il frammento, identico al nostro, è avvicinato dubitativamente alla forma Goudineau 19. L’incertezza, che data l’esiguità dei frammenti non è superabile, è solo apparente, in quanto sia la Goudineau 19 sia la 30 sono comprese nella Conspectus 4). Probabile produzione pisana, età tiberio-claudia. 211 Ceramica da mensa. 2102. Frammento di orlo di piattovassoio di terra sigillata chiara. L 5,3; l 3,2; S orlo 0,7; S parete 0,4; diam. orlo ricostruito 20,6. Orlo sagomato e pendente, caratterizzato da due gradini, con bordo ingrossato e arrotondato, percorso superiormente da un profonda solcatura. Impasto tipo TSC 4. Stato di conservazione: vernice quasi del tutto perduta, fratture a margini piuttosto arrotondati; ampie scheggiature. Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp. 230-231, n. 91. È possibile attribuire il frammento alla produzione della terra sigillata chiara, tipo D1, ed in particolare alla forma Atlante I tav. XLVIII, 14, corrispondente alla 67 di Hayes (Hayes 1972, pp. 112-116), e alla 42 di Lamboglia (Lamboglia 1963, pp. 192-193). Tutte queste classificazioni sono state recentemente rivisitate da Bonifay che ha ridefinito ateliers e produzioni e ha proposto una nuova classificazione, in base alla quale la forma Hayes 67 corrisponde alla “sigillata tipo 42” (Bonifay 2004, pp. 171-173). In particolare, la porzione del piatto in esame dovrebbe appartenere alla variante C, datata, sulla base del profilo dell’orlo, a partire dalla metà del V Cartografia archeologica del comune di Calenzano Litica. 1049. Manufatto in pietra levigata. Metà del V secolo d.C. Ceramica da fuoco. 2103. Porzione di orlo e parete di casseruola di ceramica africana da cucina “a patina cenerognola”. L 5,9; l 3,9; S orlo 1,2; S parete 0,6; diam. orlo ricostruito 20,6. Orlo ingrossato, attaccato alla parete, con bordo esternamente segnato da una leggera profilatura e internamente caratterizzato da una profonda scanalatura tesa a creare l’alloggio per il coperchio. Sulla superficie interna, segni lasciati dal tornio; all’esterno caratteristica colorazione grigio-fumo. Impasto tipo CAC 2. Stato di conservazione: porzione ricomposta da due frammenti; fratture a margini netti e vivi. Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp. 231-233, n. 92. Il frammento è da inserire nell’ampia casistica della forma Hayes 197 (Hayes 1972, p. 209, n. 24), e, più nello specifico e con leggere differenze morfologiche, trova corrispondenze con Ostia (Carandini 1973, p. 412, tav. XXXVII, fig. 267), corrispondente alla forma Atlante I, tav. CVII, 6 (Carandini et alii 1981, pp. 218-219). Anche il recente riesame della forma proposto da Bonifay, che inserisce la casseruola in esame tra la “ceramica da cucina 212 (C/A)” come tipo 10, non sembra portare sostanziali modifiche cronologiche e tipologiche (Bonifay 2004, p. 225, fig. 120, 7). La forma è tra le più diffuse in ambito italico nel periodo compreso tra la prima metà del II secolo d.C. e gli anni compresi tra la fine del IV e gli inizi del V secolo d.C. Anche il territorio lungo il corso dell’Arno era interessato dall’afflusso di tali merci, come testimoniano Fiesole (Bianchi 1990, p. 220, n. 5, tav. 50 p. 395), Florentia, Calenzano e, più nell’interno, Larciano (Fabbri 1997, p. 59, n. 10, fig. 6) e Monsummano Terme, località Pozzarello (Fabbri 2000, p. 292, nota 160, fig. 16, 7). Di particolare rilievo i ritrovamenti nel centro di Volterra (Cristofani 1973a, p. 45, n. 34, fig. 36) e di Siena (inv. SA200, tipo 3. 21: Cantini 2005, p. 66, tav. 4 p. 71). Seconda metà del IV secolo d.C. Ceramica da fuoco. 2104. Frammento di orlo e parete di piatto-coperchio di ceramica africana da cucina “ad orli anneriti”. L 4,7; l 4,5; S orlo 1; S parete 0,7; diam. orlo ricostruito 41. Parete emisferica, fortemente ribassata; orlo pendente e ripiegato, vistosamente ingrossato. Sulla superficie interna, in corrispondenza dell’orlo, la pigmentazione arancio acquista un colore grigio, tipico della ceramica africana da cucina “ad orli anneriti”. Impasto tipo CAC 1. Stato di conservazione: superficie originaria in buona parte conservata, fratture antiche con margini netti, anche se con ampie scheggiature. Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp. 233-234, n. 93. Il frammento, anche in base alle dimensioni del diametro, è vicino alla forma I degli orli anneriti della tipologia di Carandini (Carandini 1968, p. 87, tav. XII, fig. 262), considerata un tipico prodotto della ceramica da cucina africana attestato dalla fine del I secolo d.C. fino agli inizi del V secolo d.C.; nel suo lungo sviluppo, è caratterizzato da un progressivo ispessimento dell’orlo. La doppia funzione di piatto-coperchio è evidenziata dal piede ad anello, ma spesso il fondo è semplicemente a profilo concavo. In rarissimi casi si può trovare la presa a disco o a bottone che, evidentemente, ne esclude la funzione di piatto (Gandolfi 1994, p. 151). Recentemente i coperchi “ad orli anneriti” e le casseruole “a patina cenerognola” sono stati raggruppati in una unica produzione, vicina alla sigillata chiara A, cioè la “ceramica da cucina C/A”, produzione localizzata nel Nord della Tunisia (Bonifay 2004, pp. 221-225). Il tipo è tra le forme più prodotte ed esportate insieme alle casseruole “a patina cenerognola”: tra i centri gravitanti nel bacino dell’Arno, vanno menzionati i ritrovamenti nel centro di Florentia (inv. 38, tipo 8. 3. 6: Cantini 2007, p. 214, tav. X p. 273, considerato come residuale in uno strato di VI secolo d.C. ma datato tra l’età severiana e la fine del IV-inizi del V secolo d.C.), e a Pistoia (Degl’Innocenti 1987, n. 992 p. 187); nella Valdinievole a Monsummano Terme, loc. Pozzarello (Fabbri 2000, p. 292, fig. 16, 9). Pur essendo presenti frammenti di piatto-coperchio, il tipo Ostia I fig. 262 non è attestato a Fiesole tra i materiali noti. In base ai materiali “contestuali” recuperati nelle ricognizioni, al notevole spessore dell’orlo e alle datazioni generalmente proposte per gli altri esemplari trovati in regione, il frammento in esame può essere verosimilmente collocato nella seconda metà del IV secolo d.C. [G.B.] 213 Cartografia archeologica del comune di Calenzano secolo d.C. (ibidem, p. 173). I centri di produzione della sigillata chiara D vanno individuati nella Tunisia settentrionale (Pheradi Maiu, Oudna, Enchir el-Biar) da cui, attraverso il porto di Cartagine, venivano distribuiti nel Mediterraneo, sulla costa atlantica e sul Mar Nero (Gandolfi 1994, p. 137). Per ciò che concerne la forma in esame, la zona di produzione è senza dubbio la parte Nord della Tunisia, con il centro di El Mahrine tra i principali protagonisti (Bonifay 2004, p. 171). In ambito regionale tale piatto, nelle tre varianti, è attestato, in particolar modo, nei centri della costa e anche nei centri dell’interno. Tra i centri lungo il corso dell’Arno andrà ricordata Fiesole (Palermo 1990, p. 155, nn. 22, 23, tavv. 17-18), e, sul percorso della Cassia, Pistoia (Degl’Innocenti 1987, pp. 43, n. 222; 183, n. 971, trovato come residuale in strati tardi); più problematiche le attestazioni nel centro di Siena (Cantini 2005, pp. 63-65). Il rinvenimento di Travalle-Podere Montisi, proprio in virtù della sua posizione nella valle dell’Arno lungo la Cassia, dimostra come, ancora nella prima metà del V secolo d.C., questo territorio fosse ricettivo nei confronti di un commercio transmarino, evidenziando ancora una certa vivacità. 46 – Areale XXXIV Localizzazione La Chiusa, via Barberinese. Contesto di ritrovamento Urbanizzato, scavo archeologico. Contesto attuale Urbanizzato. Descrizione Ceramica invetriata “slip ware”. 3123. Frammento di ansa di boccale. 2101 l 10,2; diam. 2. Ansa con decorazione ottenuta con schizzi d’ingobbio giallino sotto l’invetriatura. 2102 Impasto arancio, duro, depurato. Vetrina spessa, trasparente e uniforme. Per la classe si veda Uffizi 2007, pp. 539-543. XIX secolo. 2103 2104 Lungo la via Barberinese emergono diverse tracce del condotto dell’acquedotto romano, localizzato sia al di sotto dell’attuale percorso dell’autostrada A1 che nella frazione de La Chiusa. Una parte del tratto è visibile in un taglio del banco roccioso direttamente sovrastante l’attuale percorso viario; un secondo tratto del tracciato è interrato ed è identificabile solo da ricognizioni superficiali e alloggiato in una struttura realizzata in opus caementicium. Nel 2011, in occasione di lavori relativi al tracciato autostradale dell’A1, sono state effettuate dalla SBAT delle indagini stratigrafiche lungo la via Barberinese, nel pianoro compreso tra l’abitato de La Chiusa e lo speco dell’acquedotto; per il contesto archeologico messo in luce, da riferire ancora una volta al progetto di realizzazione dell’acquedotto, si veda Magno supra. Materiali Periodo classico: 13 frr. Grado affidabilità -/5/- Cronologia Periodo classico: fine del I-II secolo d.C. Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0063. Interpretazione Periodo classico: il condotto, riferibile alla struttura dell’acquedotto, individuato in più tratti sia dalle ricognizioni attuali sia dalle ricognizioni del 1989, sembra avere origine dall’area della frazione de La Chiusa, che si può verosimilmente ritenere la piscina limaria, ovvero il luogo dove le acque del torrente Marinella venivano raccolte, decantate dalle impurità e poi convogliate nel condotto. Ciò appare rafforzato anche dalla conformazione geologica del luogo e, dato non meno importante, dal toponimo stesso. Nel tratto successivo – in direzione di Sesto Fiorentino – l’acquedotto poteva scorrere in corrispondenza di San Donato, all’interno di un cunicolo sotterraneo, anche se sembra forse più plausibile, in base ai dati emersi dalle ricognizioni di superficie, che il percorso disegnasse il perimetro del colle rimanendo a livello del terreno, compiendo sicuramente un tragitto più lungo, ma di minor complessità dal punto di vista tecnico. Fonti Cartografiche Chiostri 2002. Fonti di archivio Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 7, 1961-1970, Calenzano, prot. 2165 del 4 luglio 1969; pos. 9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano; pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano, prot. 22599 del 2004 (si veda Sheda 12 nota 1). Archivio GAF. Responsabile SBAT (impresa esecutrice SACI). Anno di scavo 2011. Bibliografia Lamberini 1987, I, pp. 26-27; Carta Archeologica 1995, p. 14; Chiostri 20021 con bibliografia; Bigagli 2006, p. 100; Filippi et alii 2006, p. 136; Baldini 2007-2008, pp. 248-251. [L.T.] 1 214 Con lo stesso numero di protocollo, dichiarazione di importante interesse archeologico per l’acquedotto romano. 215 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda Ipotesi di invaso della chiusa. 47 – Areale XXXV Localizzazione Valigari (VALIGA). Contesto di ritrovamento Campo arato. Contesto attuale Oliveto. Descrizione Raccolta di superficie effettuata mediante ricognizione dal GAF nel 1993. Materiali Per il periodo classico si tratta di pochi frammenti ceramici, peraltro non precisamente inquadrabili cronologicamente. Per quanto riguarda il Medioevo si tratta di soli 6 frammenti, di cui uno attribuibile a una ciotola in maiolica arcaica e uno ad un boccale in maiolica di età moderna. Periodo classico: 33 frr. ceramici; 19 frr. opus latericium. Periodo post-classico: 4 frr. ceramici, 1 fr. vitreo, 1 fr. metallico. Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0013. Grado affidabilità -/1/1 Cronologia Periodo classico: periodo romano. Periodo post-classico: XIV-XVIII secolo. Interpretazione Periodo classico: l’esiguità del materiale, difficilmente inquadrabile, non consente di determinare la tipologia dell’insediamento, anche se è ipotizzabile un abitato di tipo rurale. Periodo post-classico: la presenza di due frammenti di ceramica ingubbiata e graffita testimonia la sovrapposizione di un centro poderale di età moderna. Legenda invaso acquedotto 216 217 Cartografia archeologica del comune di Calenzano L’aquedotto romano tagliato dalla via Barberinese. Scheda 48 – Areale XXXVI Localizzazione Poggio Uccellaia. Contesto di ritrovamento Boschivo. Contesto attuale Boschivo, scavo archeologico. Descrizione Sommità della più occidentale delle colline che separano Travalle dalla Val di Marina, coperta da un fitto bosco ceduo misto a cipressi. Il sito è localizzato su un rilievo collinare sulla cui sommità erano visibili i resti crollati di una struttura a pianta rettangolare, con due aperture rispettivamente sui lati Nord ed Est, che è stata identificata con una torre, costruita in blocchi di calcare alberese sbozzati a squadro, secondo una tipologia muraria attribuibile al XII secolo. Successivamente interessata da numerosi interventi di distruzione e ricostruzione, fino al XX secolo, la struttura fu oggetto di rimaneggiamenti durante la seconda guerra mondiale. Questa torre è inserita in un’area racchiusa da terrapieni di forma ellittica che sembrano indicare la presenza di una doppia cortina muraria a protezione dell’insediamento, ipotesi del resto confermata dal rinvenimento, in alcuni punti, delle creste rase delle mura perimetrali dell’insediamento. Maiolica arcaica. 3093. Frammento di fondo di ciotola. Maiolica di Montelupo. 3094. Frammento di fondo di boccale. ata da un tratto rettilineo orizzontale bruno manganese. L 0,5; S 0,9-1. L 4,3; S 1-1,7; diam. piede ricostruito 11,8. Impasto duro, rosato, con rari inclusi di chamotte (<3mm). All’interno, smaltatura sottile e non uniforme, di colore bianco scuro. Materiali Cfr. Palazzo Pretorio 1978, p. 188, fr. 997; Palazzo dei Vescovi II 1987, pp. 610 e 618, fr. 3328; Wentkoswska 2007, p. 36, fr. 29. Per la classe si vedano Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987. Prima dello scavo archeologico i rinvenimenti dei materiali provenivano esclusivamente dalle ricognizioni effettuate nel bosco con lo scopo di circoscrivere il più possibile l’area di pertinenza della torre. L’orizzonte cronologico dei materiali rinvenuti durante lo scavo (ceramica e scarsi reperti metallici e frammenti vitrei) sembra corrispondere a quello suggerito dalle fonti documentarie e dall’analisi delle strutture murarie, compreso tra il XII e il XIV secolo. Periodo classico: 28 frr. ceramici. Periodo post-classico: circa 500 frr. Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0055. XVI secolo. Grado affidabilità -/3/5 Cronologia Periodo classico e post-classico: dal periodo romano con continuità di vita fino al XII-XIV secolo per quanto riguarda la frequentazione vera e propria del sito. Interventi e rimaneggiamenti delle strutture nel XIX e XX secolo. Fondo di ciotola. Impasto depurato, di colore rosa scuro, con piccoli e sporadici inclusi (0,3 mm) di colore scuro. All’interno, smalto di colore verde ramina molto deteriorato; all’esterno, tracce di smalto bianco scuro, deteriorato e tendente al giallo. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Uffizi 2007. Fondo assottigliato verso l’esterno, con una curvatura a “U” accentuata e continua a partire dalla parete, e attacco di parete. Decorazione consistente in un intreccio di linee pennellate arancio, giallo, verde e soprattutto azzurro su fondo di colore giallo molto chiaro, attraversato da serpentine di colore bruno manganese. Linea del fondo sottoline- XIV secolo. [L.T.] Interpretazione 3094 218 Periodo classico: l’esiguità dei materiali rinvenuti non permette una precisa determinazione della funzione del sito, ma è comunque rilevante la continuità di vita attestata dal periodo romano fino al periodo medievale. Periodo post-classico: la struttura visibile del sito, a cerchie concentriche con una torre centrale, corrisponde a quella di molti castelli di antica fondazione, la seconda cinta muraria comprende un’area di circa 4000 m2, un’area quindi non sufficiente per un vero e proprio centro di aggregazione demica, ma notevole per un avamposto di controllo della viabilità. Fonti di archivio Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano, prot. 25385 del 27 novembre 1996 (si veda Sheda 14, nota 1). Archivio GAF. Responsabile Università degli Studi di Firenze – Cattedra di Archeologia Medievale. Anno di scavo 2006-2008, 2010-2011. Bibliografia M.G.H., tomo X, 2, p. 462; Carta Archeologica 1995, p. 17; Baldini 2008, pp. 221-222; Filippi et alii 2006, p. 136; Vannini, Torsellini 2007, pp. 125-126; Torsellini 2007-2008, pp. 27-38. 219 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda 49 – Areale XXIX Scheda 50 – Areale XXXVII Localizzazione Travalle, Case Fontanelli (TR FON). Localizzazione Poggio Nucchiale. Contesto di ritrovamento Campo arato. Contesto di ritrovamento Boschivo. Contesto attuale Campo arato. Contesto attuale Boschivo. Descrizione Campo pianeggiante alle pendici sud-occidentali di Poggio Uccellaia, tra il Ponte alle Palle e Il Pratello, attualmente sfruttato per colture stagionali. Descrizione Materiali Pochi frammenti, soprattutto di periodo romano, in ceramica depurata ed impasto, oltre a frammenti di opus latericium. Periodo classico: periodo romano: 18 frr. ceramici, 6 frr. opus latericium; periodo tardo-antico: 1 fr. ceramico. Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0065. Grado affidabilità -/2/- Cronologia Periodo classico: periodo romano imperiale. Interpretazione Periodo classico: la scarsa quantità dei rinvenimenti rende difficile una determinazione del tipo di utilizzazione dell’area. Vista però la sua posizione geografica e la presenza di alcuni frammenti di opus latericium, possiamo avanzare l’ipotesi che si tratti di un piccolo nucleo abitativo, probabilmente una fattoria, così come attestato nell’area di Travalle. La presenza, poi, di un frammento di olpe a vernice rossa di età tardo-antica fa supporre che tale insediamento abbia continuato la sua esistenza anche in questo periodo. Fonti di archivio Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano, prot. 25385 del 27 novembre 1996 (si veda Sheda 14, nota 1)1; pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano, prot. 22599 del 2004 (si veda Sheda 12, nota 1) Bibliografia Baldini 2007-2008, pp. 223-225. Sulla cima del Poggio Nucchiale, alle pendici orientali del Poggio Castiglioni (Calvana), sono visibili i resti di un recinto murario di forma ellittica che delimita la sommità pianeggiante del rilievo. Il manufatto, costruito con pietre non lavorate messe in opera a secco, presenta dimensioni notevoli con una lunghezza di circa 110 m e spessore variabile tra 1,00 e 1,50 m. L’indagine di superficie non ha restituito reperti utili ad un’interpretazione scientifica del complesso murario. All’interno del recinto sono visibili i resti di un “casino di caccia”, databile ad epoca moderna, di proprietà della fattoria di Macia. Grado affidabilità Cronologia Interpretazione -/5/ Indeterminabile. Strutture non meglio identificabili. 1 Nella relazione non figura la località in oggetto, ma, nell’area di Travalle, viene indicato un grosso areale che include anche Case Fontanelli. 220 221 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda 51 – Areale XXXVIII Localizzazione Il Pratello, villa. Contesto di ritrovamento Integrati nelle murature della villa. Contesto attuale Castello di Calenzano; ignoto. Descrizione Si tratta senza dubbio di materiali non in giacitura primaria, perché provenienti dai terreni della villa, ma rinvenuti durante i lavori di ristrutturazione della stessa. Il primo cippo (2099) è stato rinvenuto nel 2006 in seguito a lavori di ristrutturazione della villa ed è al momento conservato presso Castello di Calenzano; l’altro (2100) viene segnalato come rinvenimento a partire dal 1967. Materiali Periodo classico: cippo a clava frammentario di marmo e cippo a clava di marmo riutilizzato in periodo romano, come si evince dall’iscrizione. Grado affidabilità -/3/- Cronologia Si vedano le schede 2099 e 2100. Interpretazione Periodo classico: monumenti funerari. Fonti di archivio Si veda le Scheda 2100, nota 1. Bibliografia Baldini 2007-2008, pp. 213-220. Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda Monumento sepolcrale. Cippo a clava di marmo bianco con venature grigie. h 134,5; diam. base 23; diam. coronamento 31. Cippo a clava con fusto troncoconico, calotta del tutto asportata; base a bulbo irregolare cuneiforme. Sulla superficie della calotta, regolarizzata e livellata a seguito dell’asportazione, è stato ricavato un canale semicircolare che unisce il perimetro ad un foro regolare piuttosto profondo al centro della circonferenza, realizzato in epoca moderna, probabilmente per l’inserzione di un gancio o di un arpione a cui collegare una catena metallica. Stato di conservazione: parte sommitale della calotta perduta, rilavorata e rivestita da uno strato omogeneo di calce. Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp. 214-217, n. 88. Il cippo, di notevoli dimensioni, è stato trovato nel luglio 2006 durante dei lavori di recupero all’interno della Villa de Il Pratello, utilizzato, assieme ad altri materiali eterogenei di epoca moderna, come riempimento di un muro a sacco. Questa particolare giacitura ha causato il deposito di uno strato di calce, in certi casi piuttosto spesso, che impedisce la lettura delle superfici del monumento, soprattutto per quel che concerne il la- 222 voro di rifinitura e di politura. È tuttavia ben leggibile la differenza di lavorazione tra la parte bassa cuneiforme, sottoposta solo ad un lavoro di sbozzatura, e il fusto, ben rifinito, in cui sono percepibili i segni di uno strumento a punta (subbia?). Tale diverso trattamento si spiega notando che il cippo doveva essere infisso direttamente nel terreno, come la maggior parte degli esemplari recuperati in area pisana, in Versilia, o come è attestato per il cippo trovato a Capalle (noto come “cippo Antinori”: Ciampoltrini 1980, p. 77, nota 39; Maggiani 1985, pp. 248-249). Dal punto di vista tipologico il reperto rientra in una classe che, negli ultimi trent’anni, anche grazie alla “riscoperta” della facies arcaica di Pisa, è stata 223 oggetto di numerosi studi e tentativi di inquadramento (Ciampoltrini 1980; Ciampoltrini 1981c; Maggiani 1985; Bonamici 1985; Bonamici 1990a; Bonamici 1990b; Bonamici 1991; Bruni 1993b; Bruni 1998; Bruni 2004, solo per citare gli articoli in cui è proposto un inquadramento generale sulla classe o una carta di distribuzione). Tuttavia, proprio a causa della perdita della sommità conformata a calotta, che rappresenta l’elemento tipologicamente più significativo, la proposta di inquadramento resta solo indicativa. In base alla linea evolutiva della classe (per la quale si vedano i contributi sopracitati), dovendo necessariamente far riferimento solo al fusto, noteremo che la forma troncoconica a profilo retti- lineo e poco rastremata alla base avvicina il nostro esemplare agli esemplari arcaici e tardo-arcaici di seconda fase, databili cioè tra la seconda metà avanzata del VI secolo a.C. e gli inzi del V secolo a.C. In particolare, un confronto, anche per le dimensioni, sembra potersi istituire con il cippo conservato nel giardino del Museo Guarnacci a Volterra (senza numero di inventario: Bonamici 1991, pp. 797-798, n. 1), che, in base alla decorazione al di sotto della linea di raccordo tra calotta e fusto, nel nostro caso assente o non conservata, è datato tra la fine del VI secolo a.C. e gli anni iniziali del secolo successivo. Ad un periodo leggermente più recente, cioè al pieno V secolo a.C., si data invece un altro segnacolo, recentemente pubblicato, proveniente dall’area sepolcrale del distretto nord-orientale del centro di Pisa, che le caratteristiche del fusto avvicinano all’esemplare in esame (Bruni 2004, pp. 47-49). In assenza sia della calotta sia della base, risulta difficilmente databile anche il cippo marmoreo di Artimino, che tuttavia, per le dimensioni, può essere avvicinato all’esemplare in esame (Nicosia 1966b, pp. 281-282). Il ritrovamento de Il Pratello si distingue dunque perché restituisce un’ulteriore testimonianza del collegamento tra i centri lungo il corso dell’Arno e l’epineion alla foce. Limitandoci al periodo arcaico e tardo-arcaico ed al territorio tra Fiesole ed il Monte Albano, per i monumenti a noi noti, questa rappresenta la quinta attestazione del tipo di cippo claviforme di marmo, andando ad aggiungersi al noto “Cippo Antinori”, al cippo di Artimino, al cippo di Avile Apiana da Palastreto (Magi 1932, pp. 19-20; Bruni 2002, pp. 291292) e ad un inedito cippo proveniente sempre da Il Pratello, in corso di pubblicazione nell’ambito del progetto della Carta Archeologica: quest’ultimo in particolare si distingue in quanto riutilizzato in epoca romana come segnacolo funerario di una domina romana, che, sia nell’epigrafe sia nella ripresa di usi funerari passati, evidenzia un richiamo alla tradizione, caratteristico della temperie culturale degli anni compresi tra Cesare e l’inizio del principato di Augusto. Questa testimonianza conferma inoltre alcune indicazioni topografiche utili per la lettura del paesaggio e dei collegamenti viari in periodo etrusco. Infatti lungo il corso della Val di Marina, se comprendiamo in questo comparto anche la zona di Capalle, sono noti al momento cinque monumenti sepolcrali, dovendo aggiungere, a quelli già citati, due esemplari inediti, entrambi sferoidali, provenienti l’uno da Carraia, l’altro da Travalle. Quest’ultimo, in particolare, può essere ascritto alla nota classe delle “pietre fiesolane”, anche se con motivi decorativi piuttosto inusuali per la classe, come la serie di onde correnti sulla parte sommitale (Baldini et alii 2007, p. 120). Dal momento che anche per il periodo romano sono attestati monumenti sepolcrali in Val di 224 Marina, bisogna ipotizzare che, lungo una delle più importanti direttrici che univano il medio Valdarno con il Mugello e con i passi appenninici, fossero dislocate aree necropolari, relative, probabilmente, a membri eminenti dell’aristocrazia rurale. Produzione pisana (?), anni finali del VI secolo a.C. Monumento sepolcrale. 2100. Cippo a clava di marmo. h 177,5; diam. base 32; diam. coronamento 41. Cippo a clava con fusto troncoconico; su un lato lunga iscrizione funeraria latina su nove righe: Lucretia / m.mactorei. / uxor / H.S.E. / dumfuit. / adsuperos veixitsanctissuma /coniunx. inpreimeislanaemulta unum / sibei satis. duxitconiugio. quocontenta / fuit. quemsuei. profacteis.memorem releiquit / etsimultrescnatosexequosiuppiterservet. Sull’altra parte reca incisa la data “5 maggio 1843” (Non rintracciato)1. Bibliografia: Carta Archeologica 1995, p. 182; Baldini 2007-2008, pp. 218-220, n. 89. Il cippo, del tipo a clava, è costantemente datato, proprio in virtù dell’iscrizione, al romano tardo-repubblicano (seconda metà del I secolo a.C.). Se dal punto di vista epigrafico il primo inquadramento dato da Nicosia non lascia dubbi, più problematico è stabilire con certezza, soprattutto senza la possibilità di un controllo autoptico, se il cippo sia stato lavorato per la sepoltura di Lucretia o se sia stato reimpiegato, utilizzando un segnacolo più antico. Infatti nonostante siano noti esemplari di questo tipo di segnacolo anche all’inizio dell’età augustea (Bruni 1998, p. 146), lo stesso Nicosia, nella proposta di notifica, nota come «la tipologia del monumento, non eccezionale in epoca tardo-etrusca, è piuttosto inusitata nel periodo tardo-repubblicano». In realtà ciò che colpisce maggiormente sono le proporzioni del manufatto, che avvicinano il monumento più agli esemplari etruschi tardo-arcaici di tradizione pisana che non ai più piccoli cippi a clava ellenistici o tardoellenistici (Ciampoltrini 1980, p. 77; Bruni 1998, p. 146). Tuttavia, non potendo operare un riscontro che ad esempio identifichi il tipo di calotta – elemento che, in assenza di decorazione, può fornire indicazioni sulla datazione –, bisogna far affidamento solo sulle misure e sulle proporzioni: per quanto concerne l’altezza, il segnacolo in esame può essere senza dubbio annoverato tra gli esemplari maggiori della classe, ben più grande degli altri trovati nell’ager Faesulanus (Nicosia 1966b, p. 281; Maggiani 1985, pp. 248-249; cippo del Pratello, 2099), vicino alle redazioni tardo-arcaiche della Versilia (nn. 2-3, 6-9: Bonamici 1990b, pp. 152 ss.; Fabiani 1999, pp. 14-17) o della Valdelsa (esemplare proveniente dalla tomba 2/1984 della necropoli del Casone: Cianferoni 2002, pp. 107-108). Se poi consideriamo la relazione tra il diametro della base (32 cm) e quello del passaggio tra fusto e calotta (41 cm), notiamo, sulla base dello sviluppo tipologico, che il rapporto rimanda allo stesso ambi- 225 to cronologico. Infine andrà notata la soltanto apparente incongruenza tra il cippo a clava, che la tradizione bibliografica attribuisce, solitamente, a personaggi maschili, e il defunto di cui il cippo era segnacolo, cioè una donna. L’incongruenza è solo apparente perché al momento non c’è certezza che la scelta della forma del segnacolo dipenda da differenze di sesso (Bruni 1998, p. 149), come dimostra, ad esempio, il cippo a clava di marmo recuperato nell’area di via Gello a Pisa, che, in virtù dell’iscrizione, possiamo attribuire sicuramente ad un personaggio di 1 La prima notizia del segnacolo tombale è datata 9 maggio 1967, giorno in cui l’ispettore onorario M. Mannini segnala a Francesco Nicosia il ritrovamento del cippo nella Villa de Il Pratello; a questa segue la notifica del pezzo da parte del Ministero della Pubblica Istruzione, a cura del Soprintendente Maetzke, alla quale allega una lettera (Archivio SBAT, pos. 9 Firenze 7, 1961-1970, con data 9 gennaio 1970 prot. 79) in cui muove richiesta di dono al proprietario Marchese P. Bufalini per il Museo Archeologico di Firenze. Da allora si sono perse le tracce del manufatto. Recentemente l’agente di PMI Fanciullacci ha effettuato una ricerca, evidenziando che il cippo, trasportato alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso dalla Villa de Il Pratello nella Villa Ruspoli, che ha sede in piazza Indipendenza 9 a Firenze (ora sede dell’Università di Firenze), risulta attualmente disperso. 2 Il locus citatus è l’unico in cui venga fatto riferimento al monumento, senza tuttavia fornire indicazioni adeguate e senza riportare la trascrizione dell’epigrafe. Cartografia archeologica del comune di Calenzano LVCRETIA M.MACTOREI. VXOR H.S.E. DVMFVIT.ADSVPEROS VEIXITSANCTISSVMA CONIVNX.INPREIMEISLANAEMVLTA UNVM SIBEI SATIS. DVXITCONIVGIO.QVOCONTENTA FVIT. QVEMSVEI. PROFACTEIS.MEMOREM RELEIQUIT ETSIMVLTRESCNATOSEXEQVOSIVPPITERSERVET. del VI secolo a.C. e, successivamente, sia stato riutilizzato sulla tomba di Lucretia, per poi essere obliato fino alla riscoperta avvenuta il 5 maggio 1843, come recita la data incisa sull’altro lato del cippo. Non sarà forse un caso che la familia di Lucretia, della quale nell’iscrizione vengono lodate le virtù legate alla famiglia e quindi alla tradizione (per la tematica, così cara all’aristocrazia romana tardo-repubblicana ed augustea, Torelli 1997a, pp. 52, note 1-3, e 81), abbia scelto un tipo di segnacolo che àncora in modo inequivocabile la persona a tutto il mondo di tradizioni connaturate al più antico segnacolo, anche se con un evidente scarto semantico, sottolineato dal passaggio segnacolo-sema/segnacolo-mnema. In questo contesto il segnacolo è portatore di un messaggio profondo, in quanto esprime il legame con il mondo in cui è stato realizzato il monumento, non il cippo in sé come semplice elemento funerario. Se nel mondo etrusco che lo ha prodotto questo particolare arredo funerario estrinseca una serie di valori, legati spesso alla sfera maschile o comunque, più genericamente, ad una aristocrazia che manifesta il proprio status attraverso l’utilizzo di un materiale, il marmo, e di determinati semata, per chi lo ha riutilizzato in epoca tardo-repubblicana il cippo rappresenta stricto sensu il legame tra il mondo etrusco con tutti i suoi valori, la familia di Lucretia e la 226 società della quale la stessa faceva parte. Legame che invece non sembra ricercato nel già citato esemplare di Pisa ora al Camposanto Monumentale, dove il cippo non rappresenta altro che un ottimo supporto per l’iscrizione, al punto da deturparne una parte. Il discorso sarebbe ugualmente valido se il cippo, dall’esame autoptico, risultasse di periodo romano, anzi il gigantismo “inusitato” troverebbe una giustificazione nella volontà smaccata di richiamarsi ad un passato tradizionale, un trait d’union fra la tradizione locale etrusca, evidentemente ancora viva, rappresentata dalla forma del cippo, e il mondo di virtù e valori di cui Lucretia si fa portatrice (Bruni 1998, p. 146). In assenza dell’esame autoptico si propone di datare il monumento al periodo tardo-arcaico e l’iscrizione alla seconda metà del I secolo a.C. [G.B.] 52 – Areale XXXIX Localizzazione Podere Fornace di Sopra (PFS). Contesto di ritrovamento Incolto. Contesto attuale Incolto. Descrizione Campo incolto in leggera pendenza verso il letto del torrente Marina, in un angolo del quale si trova una moderna colonica; è attualmente limitato dagli argini moderni del Marina, lungo le massicciate dei quali sono stati rinvenuti dei frammenti ceramici e litici durante le ricognizioni del GAF. Materiali 153 frr. non sempre cronologicamente determinabili a causa del cattivo stato di conservazione. Periodo preistorico: manufatti litici sporadici. Periodo classico: 22 frr. ceramici. Periodo post-classico: 5 frr. ceramici. Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0024. Grado affidabilità 1/1/1 Cronologia Periodo preistorico: imprecisabile. Periodo classico: periodo romano. Periodo post-classico: si tratta di reperti afferibili ai secoli XIV-XVII. Interpretazione Data l’ esiguità delle testimonianze archeologiche, non sono possibili ipotesi più dettagliate per quanto riguarda la preistoria e l’età classica; per quanto riguarda l’epoca post-classica è attestato esclusivamente un modello insediativo poderale analogo a quello sparso in tutta l’area di Travalle e della bassa Val di Marina. Fonti di archivio Archivio SBAT, pos. 9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano, prot. 25385 del 27 novembre 1996 (si veda Scheda 14, nota 1). 227 Cartografia archeologica del comune di Calenzano sesso femminile (Bruni 1998, p. 150; Fabiani 1999, p. 14). L’unico elemento che, allo stato attuale, daterebbe il monumento all’età romana sarebbe l’iscrizione. Senza entrare nel merito del testo, tra le altre cose va notato il riferimento al lanipendium, stereotipa celebrazione della donna romana di età tardo-repubblicana ed augustea, elemento che assieme ai caratteri epigrafici e ad alcuni gruppi di clausole metriche rimanda senza dubbio alla seconda metà del I secolo a.C. Tuttavia questo non può essere preso come unico elemento per stabilire la datazione del monumento, dal momento che l’iscrizione potrebbe essere stata apposta anche successivamente. Il riutilizzo di materiale più antico in periodo romano è ben noto, anche per quanto riguarda i monumenti funerari noti come “pietre fiesolane” (Capecchi 1984, pp. 43-52). Tra i vari esempi acquistano un valore documentario particolare la stele trovata murata nella base della torre di S. Mercuriale a Pistoia, perché su una faccia conserva una lunga iscrizione latina (Capecchi 1984, pp. 48-52), e il cippo a clava di marmo, databile ad epoca ellenistica, conservato a Pisa nel Camposanto Monumentale, che è stato parzialmente rilavorato per la nota iscrizione sepolcrale di L. Apisius Pollio (CIL XI, 1450: Ciampoltrini 1980, nota 35 p. 81, figg. 6-7 p. 77). È possibile dunque che il nostro segnacolo sia stato realizzato alla fine Scheda 53 – Areale XL Scheda 54 – Areale XLI Localizzazione Il Boscaccio. Localizzazione Strada di Poggio Castiglioncello. Contesto di ritrovamento Boschivo. Contesto di ritrovamento Urbanizzato. Contesto attuale Boschivo. Contesto attuale Urbanizzato. Descrizione Area di dispersione di materiali situata quasi sulla sommità del colle del Boscaccio, piuttosto rilevato rispetto alla piana circostante, con pendici abbastanza ripide digradanti verso la Val di Marina; la sommità è separata da un profondo canale che la distingue in due parti, entrambe pianeggianti. L’area è stata individuata in una ricognizione nell’inverno del 2006, effettuata dagli autori in compagnia di Igino Fanciullacci. Descrizione Materiali Non sono stati prelevati materiali, ma un’indagine autoptica praticata al momento della ricognizione ha evidenziato uno strato con numerosi frammenti di opus doliare e laterizi, carbone e concotto. Il recupero dei materiali è stato effettuato durante i lavori di manutenzione per l’ampliamento del ciglio stradale, lungo la strada che da Villa Macia conduce alla Calvana. La ricognizione effettuata ha dimostrato che i depositi stratigrafici visibili lungo il ciglio della strada non sono in giacitura primaria, anzi, sembrano provenire da smottamenti riferibili ad una zona più elevata. Pertanto anche i frammenti rinvenuti sono da riferirsi ad un sito d’altura nelle vicinanze. Materiali Grado affidabilità -/2/- Periodo classico: 38 frr. ceramici, in maggioranza ceramica d’impasto e alcuni frammenti di ceramica depurata. Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0060. Cronologia Periodo classico: non è possibile avanzare una datazione precisa, ma i rinvenimenti farebbero propendere per un’occupazione in periodo ellenistico. Grado affidabilità -/1/- Cronologia Periodo classico: periodo romano. Interpretazione Periodo classico: occupazione di tipo abitativo, con probabile funzione di controllo sul territorio sottostante. Interpretazione Periodo classico: dato il contesto di ritrovamento e la scarsità dei materiali, questi sono da riferire ad un sito più a monte del luogo del rinvenimento. Bibliografia Baldini 2007-2008, pp. 203-204. Bibliografia Baldini 2007-2008, pp. 212-213. 228 229 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda 55 – Areale XLII Scheda 56 – Areale XLIII Localizzazione Il Chiuso. Localizzazione Casa La Gora. Contesto di ritrovamento Boschivo. Contesto di ritrovamento Campo arato. Contesto attuale Boschivo. Contesto attuale Campo arato. Descrizione Raccolta di superficie in campo arato, in seguito a una ricognizione effettuata dal GAF nel 1983. Materiali Descrizione Lungo il crinale montano che sovrasta da Nord l’abitato di Colle di Sopra, sono stati individuati alcuni resti murari di un recinto di notevoli dimensioni. Il manufatto, che delimita una porzione considerevole del crinale, presenta una forma quadrangolare assai irregolare con murature ben conservate solo su tre lati e con, in alcune porzioni, un elevato superiore ai due metri: le strutture sono costruite con pietre non lavorate messe in opera a secco e presentano dimensioni notevoli con spessori variabili tra 1,50 e 2,50 m. Materiali L’indagine di superficie non ha restituito reperti utili ad un’interpretazione scientifica del complesso murario. La raccolta comprende esigui materiali di periodo romano e otto frammenti ceramici di età post-classica, per lo più di ingubbiata e graffita, oltre ad un frammento di orcio in ceramica acroma grezza. Periodo classico: 13 frr. ceramici. Periodo post-classico: 8 frr. ceramici. Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0025. Grado affidabilità -/5/- Grado affidabilità -/1/1 Cronologia Indeterminabile. Cronologia Interpretazione Strutture non meglio identificabili. Periodo classico: periodo romano, non più precisamente determinabile vista la scarsità delle attestazioni. Periodo post-classico: i materiali sono riferibili ad un arco cronologico compreso tra i secoli XIV e XVII. Interpretazione 230 Periodo classico: non è possibile fare alcuna ipotesi riguardo all’insediamento vista la scarsità dei materiali. Periodo post-classico: non si possono formulare altre ipotesi, se non quella dell’esistenza di un nucleo poderale nella zona. 231 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda 57 – Areale XLIV Scheda 58 – Areale XLV Localizzazione Colle di Sotto. Localizzazione Sommaia, Collicello (SOM COL). Contesto di ritrovamento Campo arato. Contesto di ritrovamento Oliveto. Contesto attuale Campo arato. Contesto attuale Oliveto. Descrizione Zona in leggera pendenza alle pendici del massiccio di Monte Morello, compresa tra l’autostrada A1 e la strada provinciale per Barberino del Mugello. Descrizione L’area della ricognizione occupa un piccolo altopiano sulle pendici collinari che dal versante occidentale del massiccio di Monte Morello digrada verso la piana di Sesto. Materiali Periodo classico: 21 frr. ceramici. Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0053. Materiali Periodo classico: 4 frr. ceramici. Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0049. Grado affidabilità -/2/- Grado affidabilità -/3/- Cronologia Periodo classico: periodo romano imperiale. Cronologia Periodo classico: periodo romano. Interpretazione Periodo classico: occupazione di tipo abitativo in periodo romano-imperiale. Interpretazione Bibliografia Carta Archeologica 1995, p. 23; Baldini 2007-2008, pp. 209-210. Periodo classico: si può ipotizzare una frequentazione in periodo romano, ma l’esiguità dei rinvenimenti non permette ulteriori precisazioni. 232 Bibliografia Carta Archeologica 1995, p. 21; Baldini 2007-2008, pp. 202-203. 233 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda 59 – Areale XLVI Scheda 60 – Areale XLVII Localizzazione Macia di Sotto. Localizzazione Casa Zerino (ZER). Contesto di ritrovamento Campo arato. Contesto di ritrovamento Campo arato. Contesto attuale Campo arato. Contesto attuale Incolto, oliveto. Descrizione L’area si trova in una porzione di terreno pianeggiante ai piedi del rilievo della Calvana, nell’orto di una casa, in un terreno un tempo di pertinenza della Villa di Macia, il cui nucleo più antico risale al XII secolo (Lamberini 1987, p. 230); le raccolte furono effettuate dai membri del GAF in diversi periodi, a seconda delle colture stagionali. Descrizione Si tratta di un sito identificato da una raccolta di materiale effettuata dal GAF. L’area della raccolta si trova in una porzione di terreno pianeggiante alle pendici nord-occidentali del Colle di San Donato, attualmente adibita a campi coltivati stagionalmente. Materiali Materiali Esiguo numero di materiali, fra cui è da segnalare la presenza di ceramica da cucina e da mensa, unitamente a un frammento di opus latericium. Interessante il rinvenimento di frammenti di scorie di ferro, probabile attestazione di una lavorazione in situ non altrimenti documentata. Periodo classico: 46 frr. ceramici, 7 frr. opus latericium, 2 frr. scorie di ferro, 12 frr. ossei. Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0069. Grado affidabilità -/2/- Cronologia Periodo classico: periodo romano imperiale. Interpretazione Periodo classico: tutti i dati in nostro possesso inducono ad interpretare il sito come una fattoria che poteva produrre al suo interno anche oggetti in metallo da utilizzare nella vita domestica, nel contesto di un’economia di autosussistenza, com’è tipico degli insediamenti di questo tipo in questo periodo storico. La raccolta mostra, per quanto riguarda il periodo classico, una presenza di ceramica da mensa, da dispensa, da cucina e di opus latericium, con una maggiore quantità di ceramica da mensa, sia arretino modo confecta che di sigillata italica e tardo-italica, anche se scarsamente presente, mentre la maggioranza delle attestazioni è per la terra sigillata chiara. Significativa è anche la presenza di tubuli e di un frammento di lastra di marmo, probabilmente da interpretare come crusta di opus sectile. Per l’epoca medievale sono stati raccolti una trentina di frammenti, prevalentemente di ceramica ingubbiata e graffita riconducibile a forme aperte e di maiolica arcaica, almeno un boccalino e due forme aperte. Sono attestati anche un frammento di ceramica a fondo ribassato e uno di piatto di italo-moresca. Periodo classico: 158 frr. ceramici, 39 frr. opus latericium, 17 frr. altro. Periodo post-classico: 25 frr. ceramici. Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0019. Grado affidabilità -/2/1 Cronologia Periodo classico: il sito si può datare, come periodo centrale di vita, dal I secolo a.C. fino alla fine del II-prima metà del III secolo d.C., con un possibile attardamento fino al IV secolo d.C. Periodo post-classico: i materiali fanno pensare ad una frequentazione del sito tra i secoli XIV e XVII. Fonti di archivio Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano, prot. 25385 del 27 novembre 1996 (si veda Scheda 14, nota 1); pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano, prot. 22599 del 2004 (si veda Scheda 12, nota 1). Archivio GAF. Bibliografia Carta Archeologica 1995, p. 20; Baldini 2007-2008, pp. 210-212. Interpretazione Bibliografia 234 Periodo classico: i dati raccolti, pur mancando le strutture alle quali fare riferimento, sembrano far propendere per un insediamento di tipo abitativo. Data la presenza di tubuli e di un frammento di crusta marmorea, si può ipotizzare che questa abitazione avesse anche una parte riscaldata, verosimilmente quella dedicata all’otium. In base a ciò si può pensare che la struttura sia da riferire ad una villa, piuttosto che ad una fattoria. Questo dato confermerebbe l’importanza del sito e la sua ricchezza, come si evince anche dalle ceramiche da mensa rinvenute, che mostrano un corredo piuttosto vario. Periodo post-classico: si conferma la presenza di un insediamento poderale. Tra le segnalazioni bibliografiche non compare mai il toponimo Casa Zerino. Tuttavia, nella Carta Archeologica 1995, p. 20, viene descritto il sito di Casa La Gora (Scheda 56), posizionato topograficamente in una zona molto vicina a quella in oggetto e con numerosi materiali. Poiché sia i rinvenimenti del GAF sia quelli sicuramente riferibili a Casa La Gora sono esigui (13 frammenti ceramici), è possibile che i due toponomi di Casa Zerino e Casa La Gora corrispondano alla medesima evidenza topografica. Baldini 2007-2008, pp. 205-209. 235 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda Ceramica ingubbiata e graffita. 3041. Frammento di fondo di piatto. L 3,5; l 2,3; S 0,6. L 5,5; l 4,7; S piede 1,3; S parete 0,7; diam. piede ricostruito 11,5. Bordo con orlo arrotondato. La decorazione non si conserva altro che per una pennellata di ramina, viste anche le ridottissime dimensioni del frammento. Impasto rosa, duro, depurato. Smalto molto danneggiato. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Uffizi 2007. XIV secolo. Fondo con largo piede a ventosa appena distinto. Decorazione a fasce: prima fascia più interna decorata a punta con motivo a cordoncino, sovradipinta in verde, sovrastata da fasce orizzontali concentriche delimitanti un’ulteriore fascia decorata a stecca con motivo a “nastro spezzato”. La parete doveva essere decorata con motivi a tralci vegetali realizzati a stecca. Sul fondo, tracce del distacco di un distanziatore. Impasto rosa, duro, ben depurato. Ingobbio color crema, spesso e uniforme. Vetrina trasparente e sottile, interna e esterna, fino a coprire anche il fondo del piede. Cfr. Palazzo Pretorio 1978, p. 180, fr. 916; Wentkoswska 2007, pp. 41, 44, fr. 36. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987; Berti 1997, II; Uffizi 2007; Wentkoswska 2007. Ceramica ingubbiata e graffita monocroma a stecca. 3042. Frammento di fondo di forma aperta. L 7,2; l 2,3; S fondo 1,6; S parete 1; diam. piede ricostruito 7,8; diam. fondo ricostruito 7,9. Fondo concavo con piede distinto di una forma aperta (piatto con cavetto profondo o scodella). Decorazione caratterizzata da archetti decrescenti e motivo radiale centrale, circondati da due linee irregolari concentriche a sottolineare il fondo del cavetto. Impasto rosa scura, duro, depurato. Ingobbio, solo interno, bianco, coprente. Vetrina, solo interna, sottile, leggermente giallina. Cfr. Uffizi 2007, pp. 488, 498, fr. 31.2, fig. 24. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987; Berti 1997, II; Uffizi 2007; Wentkoswska 2007. XIX secolo. Ceramica ingubbiata e graffita policroma a punta. Frammento di fondo di piatto. Ceramica ingubbiata e graffita policroma a punta. Frammento di parete di catino. L 5; l 5; S fondo 1,6; S parete 0,8; diam. piede ricostruito 10,5. L 13,5; l 6,5; S 0,4-1,2. Fondo con piede a ventosa. Decorazione conservata solo parzialmente e consistente in un motivo centrale, floreale, elaborato e ben realizzato a punta, circondato da due linee concentriche. Sovradipinture sul bordo dei petali in verde ramina e giallo ferraccia. Impasto duro, ben depurato, rosa. Ingobbio, soltanto interno, color crema e uniforme. Vetrina, sia interna sia esterna, trasparente, uniforme e coprente (tracce anche sul fondo). Cfr. Varaldo 1997, pp. 439-451. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987; Berti 1997, II; Uffizi 2007; Wentkoswska 2007. Seconda metà del XV secolo. Grosso frammento di parete di un catino. Decorazione eseguita a punta sottile, con motivo vegetale di quattro foglie “a ciuffo” in verde ramina poste in croce con fiori stilizzati in giallo ferraccia nei settori. Traccia del distacco di un divaricatore cosiddetto “a zampa di gallo”. Sulla parete esterna, tracce di pennellate molto diluite d’ingobbio. Impasto arancio scuro, duro, depurato, con sporadici inclusi di chamotte (<3 mm). Ingobbio bianco, sottile ma uniforme, solo interno. Vetrina di colore giallo paglierino, sottile. Cfr. Palazzo Pretorio 1978, p. 182, fr. 935; Wentkoswska 2007, pp. 41, 42, fr. 30. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987; Berti 1997, II; Uffizi 2007; Wentkoswska 2007. Fine del XV-inizi del XVI secolo. XVI secolo. 236 237 [L.T.] Cartografia archeologica del comune di Calenzano Maiolica arcaica. 3040. Frammento di bordo. 61 – Areale XLVIII Localizzazione Galleria Colle. Contesto di ritrovamento Campo arato. Contesto attuale Campo arato. Descrizione Area leggermente rilevata a Ovest della zona di Colle Sopra. Materiali Periodo preistorico: reperti litici sporadici. Grado affidabilità 1/-/- Cronologia Periodo preistorico: imprecisabile. Interpretazione Periodo preistorico: il materiale è generico e numericamente insufficiente per un’interpretazione cronologica e culturale. Fonti di archivio Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano, prot. 25385 del 27 novembre 1996 (si veda Scheda 14, nota 1). Bibliografia Carta Archeologica 1995, p. 21. 3041 3042 3043 238 239 Cartografia archeologica del comune di Calenzano 3040 Scheda 62 – Areale XLIX Scheda 63 – Areale L Localizzazione San Donato, pieve (CSD). Localizzazione Casa Cafaggiolo, via delle Vigne (VI OR). Contesto di ritrovamento Strutture in elevato. Contesto di ritrovamento Oliveto. Contesto attuale Strutture in elevato. Contesto attuale Oliveto. Descrizione Edificio ecclesiastico composto dalla chiesa, dal campanile e da ambienti canonicali; situato sul colle di fronte al castello di Calenzano, si affaccia sulla piana. Particolarmente interessanti il campanile, che presenta numerosi fasi edilizie medievali e ha le dimensioni compatibili anche con quelle di una torre, e la canonica, che forse ingloba uno degli edifici più antichi del complesso. Descrizione Area corrispondente ad un piccolo pianoro localizzabile lungo la via delle Vigne. Negli anni fra il 1986 e il 1988, durante lavori di manutenzione dell’oliveto, sono stati raccolti diversi reperti ad opera del GAF, in ricognizioni effettuate in diversi periodi. Materiali Periodo preistorico: manufatti litici sporadici (poche unità)1. Periodo classico: periodo ellenistico: 1 fr. ceramico; periodo romano: 66 frr. ceramici. Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0047. Grado affidabilità 2/2/- Cronologia Periodo preistorico: fase non precisabile, probabilmente olocenica. Periodo classico: tardo Ellenismo-prima età imperiale. Interpretazione Periodo preistorico: la scarsa quantità e la genericità dei reperti impedisce un’attribuzione cronologica e culturale precisa; la presenza di una punta di freccia sembra tuttavia documentare una frequentazione olocenica della zona. Periodo classico: sulla base dei materiali rinvenuti, è ipotizzabile un esito insediativo, ma non meglio precisabile. Molto importante il frammento di orlo di olla in impasto chiaro granuloso, tipica produzione fiesolana di età ellenistica, che denota, insieme ad altri reperti di minime dimensioni, una frequentazione del sito già a partire da quel periodo. Grado di affidabilità -/-/5 Cronologia Periodo post-classico: le strutture murarie della pieve e dei suoi annessi sono attribuibili ad un lungo arco cronologico compreso tra il XII e il XVIII secolo. Interpretazione Periodo post-classico: si tratta di un complesso religioso che ebbe però anche funzioni militari e di controllo della viabilità, come testimoniato dalle cronache di Giovanni e Matteo Villani. Fonti Cartografiche Pianta di Popoli e Strade, c. 439 (S.to Donato a Calenzano). Bibliografia Lamberini 1987, I, pp. 59-64, 201-204; Bellometti 2003-2004, pp. 10-22, 30-39. Fonti di archivio Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano, prot. 25385 del 27 novembre 1996 (si veda Scheda 14, nota 1). Bibliografia Carta Archeologica 1995, pp. 23-25; Baldini 2007-2008, pp. 162-164. La raccolta comprende pochi pezzi provenienti dall’area di raccolta Case Fornace (Carta Archeologica 1995, p. 24); il GAF ha incluso tale materiale in quello della più ampia area di Cafaggiolo. 1 240 241 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda 64 – Areale LI Scheda 65 – Areale LI Localizzazione Sommaia, mulino (CMS). Localizzazione Sommaia, castello (BA SOM). Contesto di ritrovamento Strutture in elevato. Contesto di ritrovamento Strutture in elevato. Contesto attuale Strutture in elevato. Contesto attuale Strutture in elevato. Descrizione Mulino in muratura con palmento in legno ancora conservato che sorge subito ai piedi della collina del castello di Sommaia, a Sud-Est. Nel bosco retrostante sono ancora visibili le canalizzazioni e le chiuse che portavano l’acqua al margone, attualmente interrato. Il paramento murario dell’edificio principale conserva i suoi caratteri originali, attribuibili alla fine del XIII secolo. Descrizione Materiali I dintorni dell’edificio non intaccati dai lavori del cantiere sono boscosi e non sono stati oggetto di ricognizioni sistematiche, per cui non sono stati rinvenuti mobili. Grado affidabilità -/-/4 Posta sulla sommità occidentale della collina di Sommaia, attualmente coperta da un fitto bosco di lecci e cipressi, la villa rinascimentale ingloba due torri in alberese e arenaria, ben conservate, che presentano la muratura medievale in conci sbozzati a squadro, e ha accanto una cappellina romanica. Si conservano anche la porta di accesso, con arco acuto, e lunghi dossi ellittici che sembrerebbero essere l’antica cinta muraria interrata e in stato di crollo. I materiali sono stati reperiti in due diversi momenti: in occasione di lavori di ristrutturazione dell’edificio e in diverse ricognizioni effettuate dal GAF lungo le pendici del territorio circostante l’edificio, per lo più boschivo. Di recente il sito è stato oggetto di lavori di restauro che hanno previsto scavi, anche profondi, per i quali è stato necessario il controllo della SBAT. I risultati di questa collaborazione sono editi in Wentkowska 2007. Cronologia Periodo post-classico: XIII-XXI secolo. Interpretazione Periodo post-classico: mulino a palmento, probabilmente di pertinenza del castello di Sommaia. Fonti Cartografiche Piante di Popoli e Strade, c. 439 (S.to Ruffigniano a Somaia). Bibliografia Lamberini 1987, I, pp. 282-283. Materiali Periodo preistorico: sporadici frammenti ceramici di cronologia incerta. Periodo classico: periodo ellenistico: 67 frr. ceramici; periodo romano imperiale: 37 frr. ceramici. Si tratta di ceramica da mensa, fuoco e dispensa. Periodo post-classico: 13 frr. ceramici. Cfr. schede di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0022/49. Grado affidabilità 1/2/4 Cronologia Periodo preistorico: imprecisabile. Periodo classico: inizi del III secolo a.C.-II secolo d.C. Periodo post-classico: XIII-XVII secolo; le struttue sono attribuite alla fine del XIII-XIV secolo. Interpretazione Periodo preistorico: pochi frammenti ceramici potrebbero essere attribuiti alla Preistoria per la qualità dell’impasto. È presente una parete con carena. Periodo classico: piccolo sito di età ellenistica e romano imperiale, probabilmente ad esito abitativo, posizionato, in base ai rinvenimenti, sulla sommità della collina, attualmente occupata dall’edificio medievale. Periodo post-classico: insediamento fortificato medievale, trasformato in villa durante l’età moderna. La maiolica arcaica è presente in due soli frammenti, per cui la cronologia del sito deve sicuramente comprendere i secoli principali del Medioevo, testimoniati anche dalla tipologia muraria presente nelle torri, ed estendersi a tutta l’età moderna, come documentano le classi ceramiche post-medievali e l’esistenza stessa della villa rinascimentale. Fonti Cartografiche Piante di Popoli e Strade, c. 439 (S.to Ruffigniano a Somaia). Fonti di archivio Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano, prot. 12887 del 19991. Archivio GAF. Bibliografia Lamberini 1987, I, pp. 85-91, 157-164; Wentkowska 2007; Baldini 2007-2008, pp. 195202; Torsellini 2007-2008, pp. 27-32, R 23-25. La cassetta menzionata nel documento è depositata presso gli uffici della SBAT e contiene i materiali pubblicati in Wentkowska 2007. 1 242 243 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda L 3,9; l 2,3; S fondo 0,5; S piede 1,1. Piede con profili convergenti verso il basso, superficie esterna rettilinea, superficie interna inclinata. Piano di posa rettilineo. Impasto tipo CVN 1; vernice tipo VeVN 3. Bibliografia: Wentkowska 2007, p. 19; Baldini 2007-2008, p. 198, n. 81. Piede ascrivibile al tipo Morel 211 a (Morel 1981, p. 462, tav. 232). Si tratta probabilmente di una coppetta. Per il contesto di rinvenimento si veda Wentkowska 2007, p. 19. Fine del IV-III secolo a.C. Ceramica da mensa. 2093. Frammento di fondo di coppa di ceramica a vernice nera. L 2,7; l 1,8; S parete 0,8. Piccolo frammento di vasca. Nella parte interna, rotellatura composta da quattro cerchi concentrici. Impasto tipo CVN 3; vernice tipo VeVN 3. Stato di conservazione: nella parte esterna, vernice più chiara, con segni di arrossamento dovuti a cottura difettosa. Bibliografia: Wentkowska 2007, p. 19; Baldini 2007-2008, p. 198, n. 82. Sulla base della classificazione Pasquinucci (Pasquinucci 1972, pp. 278-279), la decorazione a rotellature è propria delle coppe di forma 8b, 82 con ansa non ripiegata, 82 A, delle patere ombelicate e di alcuni colini. Sono generalmente produzioni tipiche del territorio volterrano, datate al III-prima metà del II secolo a.C. In questo caso si tratta verosimilmente di una coppa, ma data l’esiguità delle dimensioni e la scarsa decorazione visibile non è possibile attribuirlo più precisamente. Come l’esemplare 2092, per il contesto di rinvenimento si veda Wentkowska 2007, p. 19. III-prima metà del II secolo a.C. 244 Ceramica da mensa. 2094. Frammento di piede ad anello di coppa di ceramica acroma depurata. L 5,5; l 4,5; S massimo vasca 0,7; S piede 1,1. Piede ad anello, a profilo interno obliquo ed esterno sagomato, con tracce di due piccole riseghe nella parte esterna, una delle quali all’attaccatura con la vasca. Si conserva una piccola porzione del fondo, con, nella parte interna, resti di due cerchi concentrici impressi. Impasto tipo CDR 3. Stato di conservazione: incrostazioni calcaree; fratture molto arrotondate. Ceramica da fuoco. 2095. Frammento di orlo di olla di impasto. L 6,1; l 5,1; S parete 0,9. Orlo obliquo, estroflesso, con bordo a sezione triangolare, aggettante verso l’esterno. Impasto tipo IGR 2. L 8,3; l 4,3; S parete 0,8; diam. orlo 10. Orlo triangolare a base concava, leggermente ribassato, con bordo ad angolo acuto. Non si conserva altro se non una piccola porzione di avvio di collo, per cui non è possibile determinare con sicurezza la forma del corpo. Stato di conservazione: fratture molto arrotondate, superficie interna lisciata. Impasto grezzo tipo ANF 1. Bibliografia: Baldini 2007-2008, p. 199, n. 84. Stato di conservazione: estese abrasioni su tutta la superficie del labbro esterno e fratture arrotondate. Per le dimensioni esigue è possibile soltanto istituire rimandi generici basati sulla forma, che trova un confronto piuttosto puntuale ad Artimino (Alderighi 1987, p. 125, fig. 89, n. 148, impasto I). La datazione del frammento è difficoltosa, vista la notevole distribuzione di piedi ad anello di questa tipologia e il vasto arco cronologico a cui è possibile ascriverli. Dall’inclinazione del piede tuttavia sembra possibile azzardare un inquadramento in periodo ellenistico. È confrontabile con il frammento proveniente dagli scavi di Cosa (Dyson 1976, p. 120, fig. 9, FG 31) attribuito dall’Autore alla classe 9. Un altro confronto a livello regionale può essere rintracciato nel frammento di olla n. 1.17, rinvenuta negli scavi del porto di Pisa-S. Rossore, nell’area tra il molo e la nave ellenistica (Grandinetti 2003, p. 155). In questo caso è stata sottolineata la vicinanza con esemplari dell’Etruria meridionale (Sutri), evidenziando dunque una certa permeabilità a livello morfologico-funzionale tra le varie zone dell’Italia centrale in periodo repubblicano, poiché anche il nostro esemplare può, per il tipo di impasto ceramico, essere ricondotto a produzioni locali di ceramica da dispensa. Età ellenistica. Seconda metà del II secolo a.C. Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp. 198-199, n. 83. Anfora da trasporto. 2096. Frammento di orlo. Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp. 199-200, n. 85. Il frammento, se pure di esigue dimensioni, può essere attribuito, per la caratteristica sezione triangolare dell’orlo, alle anfore c.d. “greco-italiche”, contenitori adibiti al trasporto del vino. Molto diffusi in tutto il bacino del Mediterraneo (Peacock, Williams 1986, pp. 84-85), tra il IV ed il II secolo a.C., iniziano ad essere prodotte in area magno greca ed in Sicilia, e, successivamente in Campania; con l’ultimo quarto del III secolo a.C. si afferma anche la produzione centro italica (Rossi 2003, p. 159), come attestano, ad esempio, i recenti rinvenimenti delle fornaci di Albinia nell’ager Cosanus (si veda Scheda 78 – 2048). Il tipo mor- 245 fologico dell’orlo e l’inclinazione del collo, probabilmente non cilindrico ma troncoconico, avvicinano l’oggetto in esame agli esemplari ritenuti generalmente più antichi (Tipo Will A – Van Der Mersch RMR V), trovati ad esempio, per limitarci a contesti regionali, a Pisa-S. Rossore (Rossi 2003, pp. 163-165, n. 2; Torelli 2003) e a Castiglioncello (Cibecchini 1999, p. 115, con rimandi bibliografici); un esemplare, senza preciso contesto di ritrovamento, è presente nel Museo Archeologico di Firenze (Bertone 1991, p. 135). Metà del III secolo a.C. Cartografia archeologica del comune di Calenzano Ceramica da mensa. 2092. Frammento di piede ad anello di coppa di ceramica a vernice nera. Ceramica da dispensa. 2097. Frammento di orlo di dolium di ceramica grezza (opus doliare). Anfora da trasporto. 2098. Frammento di labbro di anfora da trasporto. L 10,6; l 8,1; S massimo orlo 7,6. L 8,3; l 4,3; S parete 0,8. Orlo a tesa orizzontale, bordo dritto, pendulo. Lisciato a stecca. Orlo ingrossato ed arrotondato all’esterno, piano sulla superficie superiore, segnato esternamente da una lieve gola sulla base e distinto dal collo da una leggera risega. Impasto tipo IGR 4. Stato di conservazione: molte fratture fresche su tutta la superficie. Bibliografia: Baldini 2007-2008 p. 200, n. 86. Questa tipologia si trova diffusa in un vasto arco cronologico che va dal V secolo a.C. al I secolo d.C., con larga diffusione. Il frammento preso qui in esame trova confronto diretto con un esemplare da Artimino (Giachi 1987, p. 165, n. 274, tipo II, a cui si rimanda anche per la distribuzione), simile al nostro anche per impasto e per le tracce di lisciatura sulla superficie. Trattandosi, nel nostro caso, di raccolte di superficie, non è possibile determinare una cronologia precisa. Fine del IV-II secolo a.C. 2093 2094 2095 2096 Impasto tipo ANF 6. Stato di conservazione: porzione piuttosto esigua, con fratture arrotondate e lisciate da fenomeni post-deposizionali. Bibliografia: Baldini 2007-2008, p. 200, n. 87. Il frammento si può attribuire alla forma Dressel 20 (“globular amphora”, Beltrán V, Ostia I, Callender 2), anfora olearia prodotta nella Betica nel corso dei primi tre secoli dell’Impero, con la massima diffusione nel II secolo d.C. In particolare questo frammento è riconoscibile nella tipologia data da PeacockWilliams (Peacock, Williams 1986, p. 136, class 25, fig. 65, n. 1). Secondo quarto I d.C.-metà del II secolo d.C. [G.B.] 246 2097 2098 247 Cartografia archeologica del comune di Calenzano 2092 Cartografia archeologica del comune di Calenzano 3033 Maiolica italo-moresca. 3033. Frammento di fondo di scodella. L 7,6; l 5,9; S fondo 1,5; S parete 0,8; diam. fondo ricostruito 8,5. Fondo decorato da motivi fitomorfi stilizzati a cornice di un settore centrale distinto contenente riquadri alternati in bianco e blu, probabilmente uno stemma. Impasto rosa chiaro, poroso, depurato. Smalto, sia interno sia esterno, beige, spesso e coprente. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987. XV secolo. Maiolica di Montelupo. 3034. Bordo a tesa piana di piatto. L 5; l 5,5; S 0,7; diam. bordo ricostruito 20,6. Bordo a tesa piana con orlo arrotondato, decorato in blu e giallo ferraccia. Sulla tesa, motivo geometrico a rombi intrecciati (dipinti e profilati in blu) con puntinature in blu negli spazi di risulta e triangoli e crocette in giallo; cavetto bordato da una fascia dipinta in blu e giallo ferraccia. Impasto bianco, appena rosato, poroso e ben depurato. Smalto bianco grigiastro; spesso, coprente e uniforme all’interno, più sottile e diluito all’esterno. La decorazione è in genere riferibile al tipo “a fasce geometriche”. Cfr. Berti 1997, II, p. 238, n. 10. Per la classe si vedano Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987. Fine del XV secolo. 248 Maiolica di Montelupo. 3035. Frammento di fondo di grosso piatto. L 8,2; l 7; S 1; diam. fondo ricostruito 13,5. Fondo con decorazione, in blu e giallo ferraccia, conservata parzialmente e raffigurante una figura femminile nuda, con biondi capelli lunghi e mossi dal vento, forse una tipica rappresentazione di Venere; sull’incarnato della figura, sfumature gialle ottenute con un minuto tratteggio. Sul fondo, tracce dello stacco operato a lama. 3034 Impasto bianco, poroso, ben depurato. Smalto sia interno sia esterno (anche sul fondo), compatto, coprente e di colore bianco. Cfr. Uffizi 2007, pp. 475, 481, fr. 29.1.12. Per la classe si vedano Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987. Fine del XV secolo. 3035 [L.T.] 249 66 – Areale L Localizzazione Colle Sotto – San Donato (IC, IC II). Contesto di ritrovamento Campo arato. Contesto attuale Campo arato. Descrizione Zona pianeggiante, coltivata a seminativo, a Est del piccolo agglomerato di Colle di Sotto, interessata da raccolte di superficie effettuate dal GAF. Materiali Periodo preistorico: 26 manufatti litici, 12 frr. ceramici e concotto. Grado affidabilità 3/-/- Litica. 1093. Nucleo. Litica. 1094. Manufatto ritoccato. Litica. 1095. Manufatto non ritoccato. Cronologia Periodo preistorico: imprecisabile. La ceramica indica almeno una frequentazione olocenica; la litica può essere anche pleistocenica. L 5,6; l 4,7; S 2,4. L 3,4; l 2; S 0,4. L 3,7; l 5,1; S 1,1. Interpretazione Periodo preistorico: né la litica, di tecnologia e tipologia generiche, né la ceramica, che comprende solamente pareti di forme non determinabili, sono utili per un’attribuzione ad un particolare orizzonte cronologico e culturale. Sono presenti alcuni nuclei, tutti poco sfruttati, a parte un elemento a lavorazione tendente a centripeta, schegge di dimensioni variabili, perlopiù non ritoccate, e pochi strumenti, tutti appartenenti al Substrato, tranne una troncatura. Lo stato fisico è differenziato e non si può escludere che il gruppo includa elementi di diversa età e provenienza stratigrafica. Nucleo a sfruttamento bifacciale tendente al centripeto su una faccia. Troncatura su scheggia allungata con vari ritocchi complementari: un incavo diretto, un ritocco inverso parziale su un margine laterale, un ritocco diretto totale denticolato sull’altro. Scheggia larga con faccia dorsale interamente corticata. Fonti d’archivio: Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano, prot. 25385 del 27 novembre 1996 (si veda Scheda 14, nota 1); si veda anche Saccardo. Bibliografia Archeologia e territorio 1979, pp. 13-14; Giachetti 1989, p. 395; Spaterna 1992, p. 111, n. 41; Carta Archeologica 1995, p. 22. elce. Spigoli poco abrasi, pseudoritocchi presenti. Diaspro. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. 1093 1094 250 251 1095 Diaspro. Spigoli poco abrasi, pseudoritocchi presenti. [O.F.] Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda 67 – Areale LII Scheda 68 – Areale L Localizzazione Sant’Angelo. Localizzazione Casa Cafaggiolo, Fosso Garillino (CA-CA II, CCF). Contesto di ritrovamento Campo arato. Contesto di ritrovamento Campo arato. Contesto attuale Campo arato. Contesto attuale Campo arato. Descrizione Campi arati e parzialmente coltivati, a Ovest del torrente Marina, nei pressi del castello di Calenzano, non lontano dall’antica chiesa di Sant’ Angelo, attualmente trasformata in abitazione, e di alcune coloniche. La chiesetta è attestata nelle fonti per tutti i secoli centrali del Medioevo, ma attualmente è visibile solo per lo spiovente del tetto e l’oculo della facciata risparmiati dall’intonaco, all’interno di un complesso abitativo. Descrizione L’area si trova sulla stessa serie di terrazzamenti del sito oggetto della Scheda 69, ma leggermente più ad Ovest, verso l’autostrada A1. La raccolta del materiale è stata effettuata da parte dei membri del GAF in momenti diversi nel corso delle lavorazioni agricole dell’oliveto. Materiali Il materiale preistorico comprende litica e ceramica. Si nota come sia molto più numerosa la quantità dei reperti romani rispetto a quelli di periodo etrusco. D’altro canto i materiali etruschi rinvenuti sono appartenenti a classi rare, che potevano essere accompagnati anche da produzioni di ceramica comune da mensa e da dispensa, quasi del tutto assenti fra i materiali raccolti. Anche dal punto di vista dei materiali romani si notano alcune aporie nella raccolta: la ceramica fine da mensa sembra essere la più presente, dato che è di per sé insolito, dal punto di vista funzionale, mentre non vi sono o quasi attestazioni di anforacei o opus doliare e una sola attestazione di opus latericium, dato abbastanza stridente, vista l’entità del sito. Tutti questi materiali, d’altro canto, permettono di delineare molto bene l’entità del sito dal punto di vista delle produzioni di qualità, tracciando una fitta serie di rapporti che la zona doveva tenere con centri del Valdarno, dell’Etruria meridionale e con Pisa. La sigla CCF identifica un’area di distribuzione molto vasta che fa ipotizzare che si possa trattare dell’area di spargimento derivante da un sito localizzato nelle vicinanze, presumibilmente quello identificato dalle sigle CA-CA II. L’ipotesi sembra suffragata dall’assoluta identità delle attestazioni: entrambi i siti hanno testimonianza di una prima frequentazione in periodo tardo-arcaico per poi avere uno sviluppo maggiore in periodo romano imperiale fino al tardo II secolo d.C. Da quest’area proviene un frammento di antefissa (2072). Per quanto riguarda l’epoca post-classica si segnala un frammento di ingubbiata e graffita recuperato durante le ricognizioni del GAF. Periodo preistorico: circa 150 manufatti litici, circa 25 frr. ceramici. Periodo classico: periodo arcaico: 1 fr. opus latericium; periodo romano imperiale: 133 frr. ceramica da mensa, 70 frr. ceramica da dispensa, 104 frr. ceramica da cucina, 1 fr. vetro, 8 frr. altro. Periodo post-classico: 3 frr. ceramici. Cfr. schede di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0032/35/38/39. Grado affidabilità 3/3/2 Cronologia Periodo preistorico: probabilmente compreso tra il Neolitico e l’Eneolitico. Periodo classico: la prima fase di occupazione è databile al periodo tardo-arcaico; il sito risulta poi occupato stabilmente in epoca romana, nel periodo compreso tra il primo impero e la seconda metà del II secolo d.C. Periodo post-classico: XIV-XX secolo. Materiali Il sito ha restituito una cinquantina di frammenti, per lo più di acroma selezionata. Vista la provenienza dei reperti da ricognizioni di superficie, non è possibile attribuire una cronologia sicura alla maggior parte dei frammenti, che consistono in forme aperte di acroma selezionata. Periodo post-classico: 54 frr. ceramici. Cfr. scheda di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 0034. Grado affidabilità -/-/1 Cronologia Periodo post-classico: XIV-XVII secolo. Interpretazione Periodo post-classico: La presenza di pochi frammenti di ceramica rinascimentale e di un frammento di maiolica arcaica può solo suggerire una frequentazione del sito a partire dal basso Medioevo. Fonti Cartografiche Piante di Popoli e Strade, c. 434 (S. Angelo). Bibliografia Lamberini 1987, I, pp. 75-76. Interpretazione 252 Periodo preistorico: l’insieme litico è in gran parte ascrivibile all’epoca olocenica, comprendendo: piccole schegge e lamelle; ritoccati come grattatoi corti, anche molto piccoli; foliati, tra cui punte di freccia; alcuni strumenti a ritocco erto, tra cui una semiluna. La presenza di quest’ultimo tipo di strumento è considerata indicativa di un periodo compreso tra il Neolitico avanzato e l’età del Rame. Pochi elementi più abrasi e patinati, generici dal 253 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Scheda Fonti Cartografiche Piante di Popoli e Strade, c. 439 (San Ruffignano a Somaia). Fonti di archivio Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano, prot. 25385 del 27 novembre 1996 (si veda Sheda 14, nota 1); pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano, prot. 22599 del 2004 (si veda Sheda 12, nota 1). Archivio GAF. Bibliografia Carta Archeologica 1995, p. 23; Baldini 2007-2008, pp. 133-162. Anfora da trasporto. 2054. Porzione di fondo. L 6,8; l 6,2; S fondo 2,5. Fondo concavo, leggermente appuntito. Impasto tipo IGE 8. Stato di conservazione: porzione ricomposta da quattro frammenti; superfici non alterate, fratture a margini netti. Bibliografia: Filippi et alii 2007, p. 133; Baldini 2007-2008, pp. 136-137, n. 43. La porzione di fondo è attribuibile ad una anfora da trasporto etrusca arcaica, più specificatamente, ad una anfora tipo Py 4 (Py, Py 1974, pp. 193-199), soprattutto in virtù della morfologia del fondo a punta appiattito (Py, Adroher Auroux, Sanchez 2001, pp. 23-24). Le anfore di questo tipo, contenitori per il vino, sono considerate una evoluzione recente delle più antiche Py 3A (Corretti, Vaggioli 2003, al quale si rimanda per la descrizione dettagliata del tipo e per l’evoluzione nell’ambito della produzione) e conoscono una diffucione piuttosto ampia, non solo lungo le coste dell’Etruria tirrenica, ma anche a Genova (Milanese 1987, p. 279 con rimandi interni; Melli 1996, pp. 609637), lungo il Midi francese, la Spagna, la Sicilia, la Sardegna fino a Mileto (per la carta della distribuzione e relativi rife- 254 rimenti bibliografici si veda Cibecchini 2006, pp. 542-543; per i rinvenimenti in Sardegna si vedano inoltre Sanna 2006 e Botto 2007, pp. 91-92, fig. 22 p. 126), con un periodo di massima attestazione compreso tra l’ultimo quarto del VI e la prima metà del V secolo a.C. (Cibecchini 2006, p. 543). Il nostro esemplare, in base al tipo di impasto, sembra riferibile alla produzione ceretana (corrispondente quindi, nella classificazione del materiale dell’Etruria meridionale, al tipo EMD di Gras: Gras 1985, p. 329), in assoluto la più diffusa tra le coste dell’Etruria settentrionale e quelle della Francia meridionale (Rendini 1988, p. 195 e note 19-20) e l’unica al momento attestata in ambiente iberico e nel Midi francese (Cibecchini 2006, p. 543 e nota 3). Da notare infine che queste particolari anfore sono piuttosto diffuse anche nell’interno, in particolare lungo le valli del Serchio e dell’Arno, come dimostra anche l’esemplare in esame: dalle “vie d’acqua”, attraverso alcuni vici o oppida d’altura come Montereggi (Alderighi 1985, pp. 66, 75-76), questi materiali, così come gli altri materiali di importazione, venivano distribuiti attraverso un percorso di crinale, per giungere nelle zone più interne. Prima metà del V secolo a.C. 255 Ceramica da mensa. 2055. Frammento di fondo e piede di coppa carenata/piatto (catillus) di terra sigillata italica. L 8,3; l 4,3; h piede 1,2; S fondo 0,6; S piede 0,7; S piano di posa 0,4; diam. piede ricostruito 7. Fondo piatto, con un ispessimento centrale; piede ad anello, a pareti non parallele, quasi verticale quella esterna, inclinata quella interna. Sul fondo, tra una coppia di solchi profondamente impressi, parte iniziale di una cornice con margini arrotondati con cartiglio A·V[…]. Impasto tipo TSI 3; vernice tipo VeSI 3. Stato di conservazione: vernice omogenea su tutta la superficie; fratture nette. Bibliografia: Baldini 2007-2008, p. 138, n. 44. La coppa dovrebbe rientrare nella forma 3 del Conspectus (si veda Scheda 69 – 2083), in particolare nella variante 2.1 (Conspectus 1990, pp. 56-57), corrispondente alla XIX, varietà 3 di Pucci (Pucci 1985, p. 388, tav. CXXIV, 10) e alla 43 di Goudineau (Goudineau 1968, pp. 308-309). Il frammento, che trova un confronto piuttosto vicino nell’officina di L. Umbricius Cordo nell’Etruria interna, nella zona di Torrita di Siena (Mascione 1992, p. 102, n. 5, tav. Cartografia archeologica del comune di Calenzano punto di vista tipologico, potrebbero risalire al Paleolitico. La ceramica è poco indicativa; i pochi elementi più diagnostici non contraddicono l’ipotesi di una collocazione dell’insieme nell’Eneolitico. Periodo classico: per l’ambito classico, con tutte le cautele che il tipo di ricerca impone, bisogna pensare che nel sito in esame sia da identificare un piccolo villaggio del tipo pagus, indiziato dalla lunga continuità di vita e dall’estensione difficilmente conciliabile con un’unica struttura. Non è possibile avanzare alcuna ipotesi sulla tipologia dell’insediamento di periodo etrusco arcaico, vista l’esiguità del materiale pervenuto. Appare azzardato avanzare ulteriori ipotesi vista la mancanza di materiali di uso comune che possa delineare meglio il modello insediativo. Periodo post-classico: anche in questo caso, mancando del tutto strutture attribuibili al Medioevo, dobbiamo considerare i materiali post-classici rinvenuti come una semplice conferma della diffusione dell’insediamento poderale in età moderna in tutto il territorio di Calenzano. Età augustea. Ceramica da mensa. 2056. Frammento di orlo e parete di coppa carenata (catillus) di terra sigillata tardo-italica. p. 102, n. 5, tav. XXXV), e in quello recuperato nel territorio di Vecchiano (Menchelli, Vaggioli 1988, p. 102, n. 9.23). Ceramica da mensa. 2057. Porzione di orlo e parete di coppa carenata (catillus) di terra sigillata tardo-italica. un frammento trovato a Ponte a Elsa, nel territorio di S. Miniato, in località Poggio a Isola (Maestrini 1983, p. 23, n. 1, fig. 4.1). Ceramica da mensa. 2058. Frammento di orlo e vasca di coppa (acetabulum) di terra sigillata tardo-italica. L 4,9; l 3,3; S parete 0,5; S orlo 0,6. Produzione pisana, età flavia-primi decenni del II secolo d.C. L 9,7; l 5,5; S parete 0,5; S orlo 0,4; diam. orlo ricostruito 20,4. Produzione pisana, età flavia-primi decenni del II secolo a.C. L 2,9; l 2,1; S parete 0,4; S orlo 0,3. Orlo sporgente, arrotondato, distinto dalla parete da una gola; parete inclinata verso l’esterno, a profilo interno convesso. Nella parete interna, leggeri segni lasciati dalla lavorazione a tornio. Impasto tipo TSI 2; vernice tipo VeSI 2. Stato di conservazione: vernice in parte scagliata; corpo ceramico talcoso al tatto e tendente a sgretolarsi facilmente. Bibliografia: Baldini 2007-2008, p. 139, n. 45. La coppa è avvicinabile alla forma Conspectus 3, variante 2 (si veda Scheda 69 – 2083), corrispondente alla XIX, varietà 3 di Pucci (Pucci 1985, p. 388, tav. CXXIV, 10) e alla più generica 43 di Goudineau (Goudineau 1968, pp. 308-309). In particolare, pur nella generica aderenza alla forma, trova i confronti più prossimi, soprattutto nel profilo del labbro, in un esemplare ritrovato a Torrita di Siena, nella officina di L.Umbricio Cordo, dove la forma in esame è quella maggiormente rappresentata dal periodo tiberiano, con più della metà della produzione (Mascione 1992, 256 Orlo sporgente, leggermente assottigliato, superiormente appiattito, distinto dalla parete mediante una gola, resa più evidente da un solco parete inclinata verso l’esterno, a profilo interno convesso. Sia sulla parete esterna sia su quella interna, segni lasciati dalla lavorazione a tornio. Impasto tipo TSI 2; vernice tipo VeSI 2. Stato di conservazione: due frammenti contigui; vernice tendente a scagliarsi; fratture a margini arrotondati; orlo quasi del tutto abraso. Orlo assottigliato, arrotondato superiormente ed esternamente evidenziato mediante un listello plastico applicato, sporgente, a sezione quasi triangolare, sottolineato inferiormente da un solco; vasca emisferica. Tra l’orlo e il listello rilevato, decorazione plastica applicata à la barbotine, costituita da una rosetta con pistilli impressi, non meglio definibile nei suoi elementi costitutivi a causa del pessimo stato di conservazione. Impasto tipo TSI 1; vernice tipo VeSI 2. Stato di conservazione: vernice quasi del tutto perduta; margini delle fratture dilavati. Bibliografia: Baldini 2007-2008, p. 139, n. 46. Bibliografia: Baldini 2007-2008, p. 140, n. 47. La coppa è avvicinabile alla forma Conspectus 3, variante 2 (si veda Scheda 69 – 2083), corrispondente alla XIX, varietà 5 di Pucci (Pucci 1985, p. 388, tav. CXXIV, 12) e alla più generica 43 di Goudineau (Goudineau 1968, pp. 308-309). In particolare, pur nelle generica aderenza alla forma, trova i confronti più prossimi, soprattutto nell’esemplare illustrato da Pucci in tipologia e in Il frammento va ricondotto ad una coppa forma Conspectus 34 (si veda Scheda 69 – 2086), variante 1.3, corrispondente alla XXXVII, varietà 4 di Pucci (Pucci 1985, p. 396, tav. CXXXI, 8, anche se il listello nel nostro esemplare è a sezione più marcatamente triangolare), e alla più generica 38 di Goudineau (Goudineau 1968, p. 305). Nell’ampia casistica delle attestazioni, 257 Cartografia archeologica del comune di Calenzano XXXV), potrebbe essere un prodotto di Avillius, artigiano la cui attività è datata generalmente tra il 20 a.C. e il 40 d.C., con un periodo di massima produzione in età tiberiana. A questa identificazione tuttavia osta l’aspetto epigrafico perché, dovendo prendere in considerazione solo le redazioni in cui compare esclusivamente il gentilizio, non si spiega il punto in mezzo tra A e V (CVArr2 2000, pp. 152-153). Un’altra possibilità è che sia uscito dall’atelier di A. Vibius, nei cui cartigli la lettera del praenomen e il nomen sono divisi da un punto (A·VIBI, n. 2397: CVArr2 2000, pp. 478-479); non sappiamo se sia possibile identificarlo con la bottega di A. Vibius Scrofu(la), importante ceramista aretino la cui attività si data generalmente tra il 40 e il 15 a.C. (n. 2400: CVArr2 2000, pp. 479-481). In realtà la produzione di A. Vibius, attestata sicuramente ad Arezzo tra il 30 e il 10 a.C., si caratterizza per cartigli rettangolari, ma sono attestati esemplari con bolli entro cornice a margini arrotondati (tipo 451: CVArr2 2000), oltre ad un più tardo bollo con cartiglio in planta pedis, che l’editore considera molto più recente e non dello stesso ceramista. Anche la forma, piuttosto diffusa in età imperiale e nella produzione tardo-italica, è attestata precocemente anche in questa parte dell’Etruria settentrionale tirrenica, come dimostrano i dati emersi dagli scavi di Luca (Ciampoltrini 2007, pp. 61-65, fig.1 p. 60). Ceramica da mensa. 2059. Frammento di vasca di coppa (acetabulum) di terra sigillata tardo-italica. Produzione pisana, fine del I-primi decenni del II secolo d.C. Vasca emisferica, caratterizzata all’esterno da un evidente listello plastico applicato, sporgente, piuttosto sviluppato, a sezione circolare, sottolineato inferiormente da un solco; tra l’orlo e il listello rilevato, decorazione plastica applicata à la barbotine, costituita da una rosetta, con occhio centrale reso con un doppio circoletto e da sedici (?) petali radiali, in rilievo piuttosto evidente e ben conservato. L 2,4; l 1,7; S parete 0,4. Impasto tipo TSI 2; vernice tipo VeSI 2. Stato di conservazione: vernice non uniforme e in parte perduta; scheggiature sulla superficie. Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp. 140-141, n. 48. Il frammento va ricondotto ad una coppa forma Conspectus 34 (si veda Scheda 69 – 2086), corrispondente alla XXXVII di Pucci (Pucci 1985, pp. 396397, tav. CXXXI) e alla più generica 38 di Goudineau (Goudineau 1968, p. 305). In assenza di elementi ben definibili, come l’orlo, a causa delle ridottissime dimensioni e per il precario stato 258 di conservazione delle sue parti costitutive, non può essere ulteriormente classificato. È possibile tuttavia tentare un inquadramento sulla base sia del tipo di ceramica che di vernice, che rimanda alla produzione tardo-italica, anche in virtù di un esemplare proveniente da Cosa e recentemente pubblicato (Marabini Moevs 2006, p. 70, AB22I.21, tav. 35). Produzione pisana, fine del I-primi decenni del II secolo d.C. Ceramica da mensa. 2060. Frammento di fondo e piede di coppa di terra sigillata tardoitalica. L 5,9; l 2,7; h piede 0,9; S fondo 0,7; S piede 0,9; S piano di posa 0,5; diam. piede ricostruito 6,2. Fondo piatto, esternamente convesso; piede ad anello rastremato, con le pareti inclinate non parallele. Sul fondo, decorazione impressa, attualmente costituita solo da due solchi impressi. solitamente, per l’orlo indistinto. Nel nostro caso, non essendo conservato tale elemento, l’identificazione va letta solo come proposta generica. Tuttavia un confronto puntuale può essere trovato nella variante 58 dei fondi trovati nell’officina di L. Umbricius Cordo (Mascione 1992, p. 111, tav. XXXIX). Produzione pisana, età flavia-primi decenni del II secolo a.C. Impasto tipo TSI 1; vernice tipo VeSI 2. Ceramica da mensa. 2061. Porzione di fondo e piede di coppa carenata/piatto (catillus) di terra sigillata tardo-italica. L 5,8; l 3,5; h piede 0,7; S fondo 0,6; S piede 0,9; S piano di posa 0,5; diam. piede ricostruito 6,4. Fondo esternamente convesso, internamente appena concavo; piede ad anello, a pareti non parallele, quella interna inclinata, quella esterna quasi verticale. Sul fondo, parte iniziale di un bollo in planta pedis, circoscritto da un solco impresso e con cartiglio illeggibile. Impasto tipo TSI 6; vernice tipo VeSI 2. Stato di conservazione: vernice quasi del tutto caduta; corpo ceramico molto abraso; fratture con margini arrotondati. Stato di conservazione: porzione ricomposta da tre frammenti; vernice quasi completamente perduta; fratture con margini arrotondati ed ampie scheggiature; bollo illeggibile. Bibliografia: Baldini 2007-2008, p. 142, n. 49. La coppa è difficilmente classificabile; dovendo tuttavia tentare un’attribuzione, potrebbe essere avvicinata ad una coppa a pareti svasate tipo Conspectus 7.2 (?) (Conspectus 1990, pp. 64-65), corrispondente alla forma XV di Pucci (Pucci 1985, forse varietà 3: p. 387, tav. CXXIV, 1). Questa particolare coppa veniva prodotta in molte figlinae dell’impero, in particolar modo ad Arezzo, Pisa, Lione e nella Padania. La nostra variante, molto più tarda del tipo XV,1, si avvicina morfologicamente alla forma XIX, dalla quale si distingue, Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp. 142-143, n. 50. La coppa è difficilmente classificabile; dovendo tuttavia tentare una attribuzione, potrebbe rientrare nella forma Conspectus 3.2, corrispondente alla XIX di Pucci (Pucci 1985, forse varietà 5: p. 388, tav. CXXIV, 12) e alla Goudineau 43 (Goudineau 1968, pp. 308-309). Nello specifico, il frammento, per il tipo di fondo con piede ad anello caratterizzato da base di appoggio arro- 259 Cartografia archeologica del comune di Calenzano un confronto stringente è con un esemplare recuperato nel Relitto B di Punta Ala (inv. 222800: De Tommaso 1998a, pp. 108-109, n. 15; Bargagliotti, Cibecchini, Gambogi 2004, pp. 9496, n. 5). Ceramica da mensa. 2062. Porzione di fondo e piede di coppa carenata/piatto (catillus) di terra sigillata tardo-italica. Fine del I-primi decenni del II secolo d.C. Fondo interno piatto, leggermente convesso; fondo esterno a profilo nettamente convesso; piede ad anello, con superficie interna inclinata ed esterna quasi verticale. Sul fondo interno, bollo in planta pedis, conservato solo per metà e con all’interno sigla NON·FL[-]. Sul fondo esterno, segni incisi dopo la cottura, non interpretabili. Stato di conservazione: porzione ricomposta da due frammenti; vernice quasi del tutto caduta; superficie ceramica in gran parte abrasa; fratture del fondo quasi tutte recenti, nette e con ampie scheggiature; completamente lisciate ed arrotondate le fratture della vasca. 157), tipico delle forme 3-4, 6, 11-12, 18-20; inoltre per la vicinanza con il fondo fig. 6.3 (Conspectus 1990, p. 159) e per la particolare diffusione della forma ceramica a cui rimanda, è possibile avanzare l’ipotesi che il fondo appartenesse ad una coppa carenata Conspectus 3 e nello specifico – ma con molti dubbi – alla varietà 1.2, corrispondente alla XIX di Pucci (Pucci 1985, p. 388, tavv. CXXIV-CXXV), senza una corrispondenza puntuale in una varietà, e alla Goudineau 43 (Goudineau 1968, pp. 308-309). Anche in questo caso, come per il frammento 2061, al quale si rimanda, i confronti, anche se non puntuali, si possono trovare sia in ambito pisano-valdarnese (Menchelli, Vaggioli 1988, pp. 107-108, fig. 11.10) sia in area interna; a Torrita di Siena, nello specifico, si avvicina al fondo con base d’appoggio arrotondata varietà 59 (Mascione 1992, p. 111, tav. XXXIV). Il bollo sul fondo assegna senza dubbi la coppa all’ultima fase della produzione pisana della sigillata tardo-italica, ad una delle officinae di L. Nonius Fl[-]. Bibliografia: Baldini 2007-2008, p. 143, n. 51. Produzione pisana, fine del I-primi decenni del II secolo a.C. L 5,8; l 2,1; h piede 1,6; S piede 1,5; S piano di posa 0,5. Impasto tipo TSI 5; vernice tipo VeSI 2. Il fondo è difficilmente attribuibile ad una forma, anche se è possibile tentare un inquadramento su base tipologica. Pur non trovando rimandi diretti nel Conspectus, si può avvicinare al tipo di fondo B 2.5 (Conspectus 1990, pp. 156- 260 Ceramica da mensa. 2063. Porzione di orlo e parete di coppa (parapsis) di terra sigillata tardo-italica realizzata a matrice. L 6,7; l 4,8; S parete 0,9; S orlo 0,6. Orlo pendente a profilo arrotondato, distinto dalla parete mediante un solco; parete a profilo interno convesso-concavo, con spessore nettamente maggiore nella parte convessa. Sulla superficie esterna, parte della decorazione, attualmente conservata su due registri nettamente separati da un evidente gradino: in quello superiore, posto immediatamente al di sotto dell’orlo, decorazione a rotella impressa; in quello inferiore, giro di ovoli allungati. Sulla superficie interna, segni lasciati dalla lavorazione al tornio. Impasto tipo TSI 4; vernice tipo VeSI 2. Stato di conservazione: porzione ricomposta da due frammenti; vernice poco coprente e in parte perduta; fratture con margini molto arrotondati; ampie scheggiature. Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp. 144-145, n. 52. La piccola porzione di coppa è ascrivibile sicuramente alla produzione della terra sigillata tardo-italica decorata a matrice, classe piuttosto ben conosciuta grazie a recenti studi (Medri 1992; Medri 1995; Rossetti Tella 1996), prodotta tra il decennio 80-90 a.C. e l’età antonina. Il nostro esemplare può essere avvicinato dal punto di vista formale al tipo 1.8.2.b della Medri (Medri 1992, pp. 49-50, tav. 2.3 p. 53), che, nel labbro, corrisponde al tipo di orlo “A” di Lavizzari Pedrazzini (Lavizzari Pedrazzini 1972, p. 9, fig. 3a). Per quanto riguarda invece la decorazione accessoria a “giro di ovoli” (motivo decorativo n. 279: ibidem, p. 76) andrà citato un esemplare simile nella Collezione Pisani Dossi (ibidem, p. 28, n. 62, tav. XIII), attribuito, in base ad analogie del fregio che decora il resto del vaso con esemplari bollati da Albintimilium e Ostia, alla manifattura di Sex. M.F., nonostante vada ribadita la non infrequenza del motivo ad ovuli capovolti (Pucci 1973, pp. 317-318). In ambito regionale confronti stringenti si possono trovare a Pisa (Storti 1989, n. 550 p. 73), Settefinestre (Regoli 1985, n. 17, tav. 38) e nel Relitto B di Punta Ala (inv. 222799: De Tommaso 1998a, p. 112, n. 23; Bargagliotti, Cibecchini, Gambogi 2004, pp. 9697). Produzione pisana, prima metà del II secolo d.C. 261 Ceramica da mensa. 2064. Frammento di orlo e parete di coppa (parapsis) di terra sigillata tardo-italica realizzata a matrice. L 5,3; l 4,7; S parete 0,7; S orlo 0,5. Orlo sporgente, a profilo interno convesso, esterno arrotondato, distinto dalla parete a profilo interno convessoconcavo; mediante una profonda gola e un solco. Sulla parete esterna, subito al di sotto dell’orlo, decorazione a rotella impressa; sulla vasca, inizio di decorazione impressa a stampo, costituita da un giro di ovoli allungati delimitato in alto da un listello a rilievo; altri elementi non sono definibili, per le poche tracce conservate. Nella parete interna, segni lasciati dalla lavorazione a tornio. Impasto tipo TSI 4; vernice tipo VeSI 2. Stato di conservazione: vernice inconsistente, frattura a margini arrotondati; orlo molto consunto. Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp. 145-146, n. 53. Il frammento è pertinente ad una coppa Dragendorff 29 di sigillata tardoitalica decorata (si veda 2063 per la bibliografia di riferimento sulla classe). Nello specifico la coppa si avvicina al tipo 1.8.1.b della Medri (Medri 1992, pp. 49-50, tav. 2.3 p. 53), con orlo rotellato fortemente estroflesso, variante Cartografia archeologica del comune di Calenzano tondata, può essere avvicinato alla variante 59 dei fondi recuperati nell’officina di L. Umbricio Cordo (Mascione 1992, p. 111, tav. XXXIV); in ambito locale, trova un corrispettivo a Isola di Migliarino (Menchelli, Vaggioli 1988, pp. 107-108, fig. 11.5). Produzione pisana, prima metà del II secolo d.C. Ceramica da mensa. 2065. Frammento di parete di coppa (parapsis) di terra sigillata tardo-italica realizzata a matrice. L 5,2; l 2,4; S parete 0,7. Parete emisferica, con andamento del profilo interno diverso da quello esterno; sulla superficie esterna, decorazione ottenuta a matrice, costituita da una teoria di animali in corsa (canidi?). Impasto tipo TSI 4; vernice tipo VeSI 2. Stato di conservazione: vernice quasi completamente caduta, soprattutto sulle parti decorate; corpo ceramico abraso; fratture a margini mediamente arrotondati. Bibliografia: Baldini 2007-2008, p. 146, n. 54. Il frammento è pertinente ad una coppa Dragendorff 29 di sigillata tardo-italica decorata (si veda 2063 per la bibliografia di riferimento sulla classe). Nello specifico la coppa si avvicina al tipo 1.8 della Medri (Medri 1992, pp. 49-50, tav. 2.3 p. 53), con la carena poco accennata; la porzione conservata è così piccola da rendere impossibile stabilire se, verso il piede, ci fosse l’ispessimento tipico della variante (ibidem, p. 49). Il soggetto iconografico è difficilmente leggibile: sembra tuttavia, in base a quanto conservato – cioè il registro in- 262 feriore – che si trattasse di una sequenza semplice di tipo omogeneo, costituita da animali, forse canidi (il motivo è vicino al soggetto 2.2.8.10 della Medri: ibidem, p. 229). Se l’identificazione è giusta, corrisponde al motivo già documentato nella Collezione Pisani Dossi del Museo Archeologico di Milano (Lavizzari Pedrazzini 1972, fig. 127 p. 70), motivo piuttosto comune e non attribuibile con sicurezza a nessun artigiano, anche se la variante della coppa è ben attestata tra la produzioni dei Murrii e di L. Nonius Flo[-]. Produzione pisana, prima metà del II secolo d.C. Ceramica da mensa. 2066. Frammento di parete di coppa (parapsis) di terra sigillata tardo-italica realizzata a matrice. L 5,4; l 5,2; S parete 1. Parete carenata, con spigolo di carena raddolcito; sulla superficie interna, coppia di solchi impressi; sulla superficie esterna, decorazione ottenuta a matrice, distribuita su due registri: su quello più vicino al piede, elementi fitomorfi lanceolati (frecce); al di sopra, elemento lenticolare (?) di difficile interpretazione. Impasto tipo TSI 4; vernice tipo VeSI 1. Stato di conservazione: vernice del tutto perduta sulla superficie esterna e solo parzialmente su quella interna; corpo ceramico abraso, caratterizzato da numerose scheggiature. Bibliografia: Baldini 2007-2008, p. 147, n. 55. Il frammento è pertinente ad una coppa Dragendorff 29 di sigillata tardo-italica decorata (si veda 2063 per la bibliografia di riferimento sulla classe). Nello specifico la coppa si avvicina al tipo 1.6.3.a della Medri (Medri 1992, pp. 46-48, tav. 2.2 p. 52), con la carena poco marcata, profilo interno più arrotondato e spessore che tende ad aumentare dalla linea di carena al fondo. Si conserva parte della decorazione della fascia inferiore. Il soggetto iconografico è solo parzialmente riconoscibile e si tratta di una sequenza semplice di tipo omogeneo: nella porzione prossima al piede si trova una serie di frecce corrispondenti al tipo 9.5.2.07 (ibidem, p. 345). Per la restante decorazione, l’interpretazione è del tutto ipotetica, in quanto quasi del tutto abrasa: si conserva soltanto un elemento lenticolare disposto in orizzontale, che potrebbe ricordare quello che la Medri interpretata dubitativamente come una corona (elemento decorativo 4.6.9.02: ibidem, p. 262), oppure, con una ipotesi ancora meno convincente, potrebbe trattarsi della parte inferiore di un’aquila con corona e palma (elemento decorativo 2.6.2.01: ibidem, p. 238, corrispondente al motivo n. 115 di Lavizzari Pedrazzini: Lavizzari Pedrazzini 1972, p. 69), di un tipo analogo a quello già noto su una diversa variante di Dragendorff 29 (Medri 1992, tav. 3.9. p. 83). Sia il motivo a frecce sia gli altri motivi non sono attribuiti ad una specifica manifattura, anche se la forma della coppa sembra quella tipica della produzione centrale e finale delle officine dei Murrii e di L. Nonius Flo[-]. Produzione pisana, prima metà del II secolo d.C. 263 Ceramica da mensa. 2067. Frammento di parete di bicchiere di ceramica a pareti sottili. L 3,8; l 3,4; S parete 0,3. Parete ovoide; sulla superficie esterna, al di sotto della spalla, delimitata da un solco, decorazione plastica “a scaglie di pigna” applicata à la barbotine; sulla superficie interna, segni del tornio. Impasto tipo CPS 2. Stato di conservazione: rivestimento del tutto perduto; fratture nette e lineari. Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp. 147-149, n. 56. Il frammento è identificabile in un bicchiere forma Ricci 1, probabilmente tipo 106 (Ricci 1985, p. 266, tav. LXXXIV, 12), anche se non è da escludere la pertinenza ad una tazza a due anse. Questo bicchiere trova confronto con un esemplare rinvenuto nella Penisola Iberica, ad Osuna, e ricondotto alla forma XLII di sicura produzione locale (Mayet 1975, p. 96, n. 475). La forma Mayet XLII individua un particolare bicchiere dal corpo ovoide piuttosto allungato (ma sono attestati esemplari con corpo globulare) dal labbro obliquo, inclinato verso l’esterno, e fondo piatto o leggermente concavo. Gli esemplari dell’estremo occidente mediterraneo sembrano di produzione iberica: Cartografia archeologica del comune di Calenzano attestata tra la produzioni dei Murrii e di L. Nonius Flo[-]. Esemplari simili sono segnalati a S. Stefano ai Lupi, nell’area di Portus Pisanus (Ciampoltrini, Cianferoni, Romualdi 1984, p. 212, fig. 11.3), Settefinestre (Regoli 1985, n. 7, tav. 40, anche se con diversa inclinazione) e nel Relitto B di Punta Ala (inv. 222781: De Tommaso 1998a, pp. 111-112, n. 22: Bargagliotti, Cibecchini, Gambogi 2004, pp. 96-97, n. 11). Produzione locale, prima metà del I secolo d.C. Ceramica da fuoco. 2068. Frammento di orlo di olla di impasto grezzo. L 6,1; l 3,7; S parete 0,6; S orlo 1. Orlo ingrossato, estroflesso, superiormente appiattito, margine esterno arrotondato; all’interno, leggera depressione per l’alloggiamento del coperchio. Impasto tipo IGR 6. Stato di conservazione: superfici non alterate, fratture a margini netti; sulla parete esterna del labbro, microfessurazioni. Bibliografia: Baldini 2007-2008, p. 150, n. 57. Il frammento è attribuibile ad un contenitore di ceramica comune diffuso in ambito medio imperiale, sia in ceramica depurata fine da mensa o da dispensa sia in acroma grezza, adatta per la cottura sul fuoco (per la definizione di ceramica comune si veda in ultimo Giannoni 2001, pp. 111-113). In ambito strettamente regionale un confronto cogente è con il tipo OC 8b della tipologia elaborata per la ceramica comune trovata a Capannori, loc. Chiarone (Giannoni 2005, pp. 131-132, tav. V p. 137), datata alla seconda fase di vita, cioè in età antonina e realizzata nel tipico impasto locale “A”, e con contenitori attestati nel territorio di Vecchiano (Menchelli, 264 Vaggioli 1988, p. 123, fig. 15.14), con un inquadramento generico dal periodo ellenistico al periodo tardo-romano, in base non ad associazioni stratigrafiche ma a confronti tipologici (Artimino ed Albintimilium). Ad un periodo compreso tra il I e il III secolo d.C. sono datati anche gli esemplari di Cosa (Dyson 1976, pp. 124, n. 59, fig. 28; 155, n. 111, fig. 63, con qualche differenza nella pasta ceramica). Alla tarda età antonina è datata un’analoga porzione di olla da fuoco trovata nella villa di Settefinestre (Papi 1985, pp. 104-105, tav. 29.21), anche in questo caso definita di produzione locale. In ambito laziale simili contenitori sono stati trovati a Castel Giubileo tra i materiali di «un grosso fabbricato rustico costruito nell’ultima età repubblicana o nella primissima età imperiale», ma con una continuità di vita piuttosto lunga fino alla metà del V secolo d.C.: l’Autore inquadra la ceramica da cucina nel II-III secolo d.C. (Quilici 1976, p. 319). Tuttavia simili forme potevano essere utilizzate anche in dispensa o sulla mensa, come dimostrano gli esemplari in ceramica depurata acroma di Populonia (tipo 2.5: Curti 1998, p. 266, fig. 33.13). Produzione locale, seconda metà del II secolo d.C. Ceramica da fuoco. 2069. Frammento di orlo di olla di impasto grezzo. L 15,6; l 5,9; S parete 0,6; S orlo 1,2; diam. orlo ricostruito 23,6. Spalla a profilo continuo: breve collo a profilo concavo; orlo ingrossato, estroflesso, a sezione triangolare. All’interno, depressione per l’alloggiamento del coperchio. Impasto tipo IGR 6. Stato di conservazione: porzione costituita da quattro frammenti contigui; superfici alterate e scabrose al tatto; fratture con margini arrotondati. Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp. 150-151, n. 58. (Bianchi, Gargiani, Viti 1990, p. 232, con bibliografia). Più significativa la presenza del Chiarone, perché permette di fissare una cronologia precisa: infatti grazie al recupero di un consistente lotto di ceramiche da cucina distribuite nel corso del II secolo d.C. è possibile riuscire a seguire diacronicamente lo sviluppo formale di alcuni contenitori. Nel nostro caso il collo non è distinto – caratteristica della prima fase databile ad epoca traianea – ma breve ed indistinto, l’orlo è obliquo, estroflesso e superiormente arrotondato (Giannoni 2005, pp. 131-132): queste caratteristiche portano a datare ad epoca antonina la forma in questione. Produzione locale, seconda metà del II secolo d.C. Vitrum. 2070. Frammento di orlo e collo di bottiglia di vetro blu trasparente soffiato dentro stampo. L 2,9; l 2,3; S parete 0,4; S orlo 0,7; diam. orlo esterno ricostruito 6; diam. orlo interno ricostruito 2,8. Orlo estroflesso e ripiegato all’interno, leggermente pendulo, con le due porzioni fuse insieme e con bordo leggermente inclinato verso l’interno e superiormente appiattito; avvio di collo a profilo troncoconico. Stato di conservazione: superficie non ossidata e fratture nette. Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp. 151-153, n. 59. Lo stato estremamente frammentario dell’esemplare permette soltanto di stabilire che si trattava di una bottiglia realizzata a stampo, senza tuttavia poter distinguere se fosse a sezione quadrata con corpo cubico (forma Isings 50a) o prismatico (forma Isings 50b), oppure con corpo cilindrico, con una distinzione in base alla forma più schiacciata (forma Isings 51a) o meno (forma Isings 51b) della stessa (Isings 1957. Per la distribuzione delle forme Isings 50 e 51 nelle due varianti, si veda De Tommaso 1985, fig. 102 p. 197; fig. 104 p. 200). La bottiglia monoansata, nata in età augusto-tiberiana, diffusa soprattutto nel Come per il frammento 2068, si tratta della porzione di una olla di ceramica da fuoco, attestata tra la suppellettile domestica di età romana medio imperiale. Nello specifico la forma è attestata a Fiesole, nello scavo di via Marini-via Portigiani, (Bianchi, Gargiani, Viti 1990, p. 232, n. 33, tav. 45 p. 390) e a Capannori, in loc. Chiarone (tipo OC, variante 3c: Giannoni 2005, p. 137, tav. V). Per quanto riguarda Fiesole il frammento è datato all’epoca tardo-antica, tra il IV e il V secolo d.C., anche se nelle stratigrafie di Luni è presente in contesti di tardo I-III secolo d.C. 265 Cartografia archeologica del comune di Calenzano infatti, nonostante siano stati trovati in notevole quantità anche nella Narbonese, sembra accertato che la zona di produzione fosse la Lusitania, da cui venivano smerciati in un periodo compreso dalla tarda età augustea fino al periodo tardo flavio (Ricci 1985, p. 266). Noteremo infine che anche in Italia centrale si producevano vasi di forme diverse con decorazione “a scaglie di pigna”, come dimostra lo scarico di fornace de “La Celsa”, a Roma, databile tra la fine dell’età repubblicana e i primi due secoli dell’Impero (Carbonara, Messineo 1991-1992). Il frammento mostra evidenti difetti di cottura, al punto da sembrare uno scarto: poiché anche in contesti pisano-valdarnesi sono attestate produzioni di ceramica “a pareti sottili” (Menchelli 1994, pp. 208-209), è possibile avanzare l’ipotesi che esso rappresenti la testimonianza della produzione di tale ceramica in zona nel primo periodo imperiale. A parziale conferma di tale datazione, oltre agli esemplari di Cosa (Marabini Moevs 1973, p. 286, n. 253, periodo tiberiano o inizio del regno di Claudio) e di Ostia (Tatti 1970, p. 69; Ricci, Carandini 1973, p. 651, fig. 456), andranno citati anche gli esemplari da Albintimilium, datati al periodo claudio-neroniano (Lamboglia 1950, p. 47), e quello da Bolsena, datato nella prima metà del I secolo d.C. (Santrot, Santrot 1995, pp. 129-130, n. 326, fig. 40, 326). Probabile produzione nord-italica, me- tà del I secolo d.C. Ceramica da mensa. 2071. Porzione di fondo e piede di coppa di ceramica depurata acroma. L 4,2; l 3,9; S fondo 0,4; S piede 1. Fondo internamente concavo; piede ad anello a profilo echinoide, distinto dal fondo esterno, leggermente concavo, mediante una evidente solcatura. Sulla superficie interna del piede, tracce di ingubbiatura. Impasto tipo CDE 1. Stato di conservazione: ricomposto da frammenti; superfici del corpo ceramico non alterate; fratture arrotondate, ad eccezione di alcuni stacchi recenti. Bibliografia: Baldini 2007-2008, p. 154, n. 60. L’esemplare in esame, che conserva solo una piccola porzione di fondo e di piede, dovrebbe essere pertinente ad una coppa di medie dimensioni a vasca emisferica, piede ad anello “svasato”, con coste oblique non verticali. In assenza della vasca e del bordo è impossibile inserire l’esemplare in una tipologia precisa, anche se, in via del tutto ipotetica, si potrebbe avvicinare al tipo C2e della ceramica locale di Marzabotto (Tripponi 1970: in particolare sembra prossimo all’esemplare inv. 467, p. 46, 266 n. 83, fig. 6, soprattutto per il piede A2b ed il fondo esterno A3; per le definizioni della classificazione si veda pp. 21-25). Per quanto concerne più specificatamente il piede, il nostro è inseribile nel tipo A della tipologia proposta da Sandri per la ceramica di Marzabotto, cioè un piede distinto dal fondo esterno mediante una solcatura (Sandri 1972, n. 7 pp. 319-320, fig. 1). La datazione proposta è compresa tra il VI ed il III secolo a.C. Recentemente è stata presentata una classificazione della ceramica da mensa di tipo etrusco-padano trovata a Bagnolo San Vito, nel Mantovano, riferibile alle fasi di età arcaica (Casini 2005, pp. 252-263), con alcuni tipi della quale il nostro esemplare mostra strette analogie formali. Nell’ambito della classificazione dei materiali recuperati nel sito di Gonfienti, il nostro esemplare può essere agevolmente inserito nella forma I, datata tra la fine del VI e il V secolo a.C. (Millemaci 2005, pp. 285-287; per la distribuzione nell’area del bacino dell’Arno si veda nota 63). Un ulteriore confronto può aiutare a definire con maggior precisione la datazione: a Seravezza, in vocabolo Casa Baldi è stata trovata una coppa datata al periodo arcaico in quanto, in età ellenistica il piede ad anello presenta piuttosto coste diritte e verticali (Maggiani 1990a, p. 140, n. 3, fig. 74). Produzione locale, V secolo a.C. Terracotta architettonica. 2072. Frammento di antefissa a placca semicircolare realizzata a stampo. L 6,9; l 6,1; S placca 2. Sulla faccia anteriore è riconoscibile parte della decorazione costituita da una palmetta, di cui si conservano tre petali, inscritta in un semicerchio desinente in una voluta, solo parzialmente conservata; la faccia posteriore presenta due profonde cavità irregolarmente circolari dovute con probabilità alla pressione delle dita dell’artigiano che ha modellato l’antefissa, facendo aderire l’impasto alla matrice. Impasto grossolano, caratterizzato da grossi inclusi micacei; superficie color rosso, cuore grigio. Stato di conservazione: superficie molto rovinata e decorazione di difficile lettura; ampie scheggiature, fratture a margini arrotondati. Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp. 160-161, n. 61. Le antefisse decorate a palmetta sono piuttosto diffuse in area etrusca, sia nella redazione dipinta (tra gli esemplari più antichi va menzionato il tipo IV di Acquarossa: Wikander, Wikander, Rystedt 1986, p. 75, n. 64, con bibliografia; la Bonghi Jovino data l’esempla- re al primo quarto del VI secolo a.C.: Bonghi Jovino 1989, pp. 672-673) sia a rilievo (una delle prime attestazioni è documentata a Tarquinia negli scavi sul Pian della Civita: da ultima Ciaghi 1999, pp. 11-12, con l’interessante proposta di anteriorità di questa rispetto a quella di Acquarossa). La matrice utilizzata per la realizzazione della nostra antefissa, soprattutto per la cornice esterna desinente in una voluta, sembra riferibile alla fase matura dell’evoluzione del tipo a palmetta semplice, successiva cioè alla metà del VI secolo a.C. Sassatelli, commentando la proposta ricostruttiva della gronda di una falda di tetto di Marzabotto, realizzata utilizzando i materiali trovati in un pozzo nell’area della plateia D, inquadra il tipo nel V secolo a.C., precisando come tale decorazione non fosse esclusiva delle decorazioni templari ma anche delle abitazioni (Sassatelli 1985, pp. 158160, n. 6. 33). Sempre da Marzabotto, e precisamente dall’Insula V, 3, proviene un altro frammento della stessa tipologia, recentemente pubblicato senza specifica datazione per evidenti inquinamenti del contesto stratigrafico di riferimento (Briquel, Massa-Pairault, Brase 1997, p. 100, fig. 27.1 p. 101). Ma l’oggetto senza dubbio più prossimo al nostro, non solo perché proveniente da un sito vicino al luogo di ritrovamento dell’oggetto in esame, ma soprattutto per la strettissima aderenza iconografica nella resa dei particolari della decora- 267 zione e per il tipo di impasto con cui è realizzato, è l’esemplare proveniente da Gonfienti, trovato nell’edificio che occupa l’area di scavo definita Lotto 14. Integra, l’antefissa conserva tutti i particolari a rilievo, soprattutto i petali e le due volute alla base, decorazione conservata solo parzialmente nel nostro frammento (Donati 2005, pp. 279-280). Produzione locale, prima metà del V secolo a.C. [G.B.] Cartografia archeologica del comune di Calenzano periodo flavio fino a tutto il II secolo d.C. (De Tommaso 1990, p. 26), ma ancora utilizzata in certi contesti tombali del III secolo d.C. (Roffia 1993, p. 150), veniva utilizzata probabilmente per trasportare e conservare vino ed olio (ibidem, p. 149), forse vino pregiato (De Tommaso 1990, p. 24); più raro l’utilizzo in contesti tombali come contenitore delle ceneri del defunto, comunque limitato agli esemplari con bocca più grande ed attestato nelle province transpadane dopo il II secolo d.C. (Maccabruni 1983, p. 94). É possibile, sulla base di alcuni studi condotti recentemente (Rütti 1991; Roffia 1993; Masseroli 1998), datare il tipo con orlo pendente dal secondo quarto del I secolo d.C., laddove l’orlo appiattito orizzontalmente è attestato solo dalla metà del secolo (Masseroli 1998, p. 41; Albin Gaunum 1999, p. 89 – F. Paolucci). Questo dato sembra confermato anche dai rinvenimenti di Ercolano (Scatozza Höricht 1986, p. 45). A livello regionale bottiglie di questo tipo sono state trovate a Pistoia, nell’antico Palazzo dei Vescovi (Capecchi 1987, pp. 283-284, nn. 1708-1710; 769, nn. 4503-4504) e nel Relitto B di Punta Ala, in associazione con una coppa Isings 3, riproponendo quindi l’associazione di Casa Cafaggiolo, in un contesto datato al primo quarto del II secolo d.C. 2055 2061 2066 2067 2058 2056 2060 2062 2057 2063 2072 Maiolica arcaica. 3048. Frammento di bordo e parete di catino carenato. Maiolica arcaica. 3049. Frammento di bordo di catino carenato. L 5,8; l 4,9; S parete 0,6; S carenatura 0,9; diam. bordo ricostruito 23,6. L 3,3; l 4,2; S carenatura 1,2; S parete 0,4; diam. bordo ricostruito 23. Bordo con orlo a sezione rettangolare. Sotto il bordo, treccia in verde ramina, racchiusa tra linee orizzontali in bruno manganese. Al di sotto, banda in verde ramina. Concrezione grigiastra all’interno, forse dovuta al contatto con terreno umido. Bordo con orlo arrotondato decorato da linee in bruno manganese. Non si notano tracce in verde ramina. Concrezione grigiastra all’interno, forse dovuta al contatto con terreno umido. Impasto duro, depurato, di colore arancio chiaro. Smalto bianco, compatto, uniforme e lucido. 2064 2054 Cfr. Uffizi 2007, pp. 419, 422, fr. 23.1.12; Wentkoswska 2007, pp. 29, 31, fr. 18. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Uffizi 2007. Impasto duro, depurato, di color arancio chiaro. Smalto grigio chiaro, compatto, uniforme e lucido. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Uffizi 2007. XIV secolo. XIV secolo. 2068 2070 2071 2069 268 269 Cartografia archeologica del comune di Calenzano 2059 L 4,4; l 3,3; S orlo 0,8; S parete 0,5; diam. bordo ricostruito 16,5; diam. collo ricostruito 14,3. Casa Cafaggiolo, areale Est (CCFSE-CCFSE II). Contesto di ritrovamento Oliveto. Contesto attuale Oliveto. Descrizione Leggero pendio attraversato da diversi canali di drenaggio, compresi fra il torrente Chiosina (a Sud) e l’autostrada A1 (ad Ovest). La raccolta dei materiali di superficie è stata effettuata dai membri del GAF in campo arato o parzialmente lavorato. La quantità e la varietà del materiale raccolto qualificano il sito come uno dei più complessi per l’importanza e la continuità delle frequentazioni. Materiali Per il periodo classico, a differenza delle altre aree afferenti allo stesso toponimo di Casa Cafaggiolo, è stata accertata nella raccolta una maggior presenza di ceramica di uso comune, come gli impasti, di periodo sia etrusco che romano, che permettono una maggiore identificazione della tipologia insediativa. Per quanto riguarda l’epoca post-classica si annoverano una ventina di frammenti, in particolar modo maiolica arcaica e ingubbiata e graffita ma anche maiolica di età moderna, invetriata e acroma sia grezza sia depurata. Periodo preistorico: 47 manufatti litici, 10 frr. ceramici raccolti in superficie. Periodo classico: periodo etrusco arcaico: 5 frr. ceramici; periodo ellenistico: 23 frr. ceramici; periodo romano: 89 frr. ceramica da mensa, 59 frr. ceramica da dispensa, 43 frr. ceramica da cucina, 20 frr. opus latericium, 21 frr. altro. Periodo post-classico: 22 frr. ceramici. Cfr. schede di precatalogazione (cassetta) SSF1-FI 05 006/35/36. Grado affidabilità 3/2/2 Cronologia Periodo preistorico: i reperti sono, almeno in parte, da attribuire genericamente all’Olocene (Neolitico-età dei Metalli); forse qualche elemento può risalire al Paleolitico. Periodo classico: l’area è stata occupata dal periodo etrusco arcaico fino al periodo medio imperiale (II secolo d.C.), senza soluzione di continuità. Periodo post-classico: i materiali afferiscono al XIV-XVII secolo. Impasto di colore dal rosso al marrone scuro, con grossi (3-5 mm) inclusi di miche, calcite e vegetali (forse acini d’uva), tipicamente da fuoco. Fine del XIII secolo. Localizzazione 3050 Bordo con orlo svasato, ingrossato ed estroflesso e gola esterna. Cfr. Uffizi 2007, pp. 354, 396, fr. 21.9.9. Per la classe si veda Uffizi 2007. 69 – Areale L 3048 [L.T.] Interpretazione 3049 270 Periodo preistorico: il materiale è scarso e poco indicativo. I pochi frammenti ceramici sono molto ridotti e mal conservati (in diversi casi anche la stessa loro attribuzione alla Preistoria è dubbia); la litica è nel complesso poco diagnostica, se si eccettua la presenza di poche lamelle. Periodo classico: in mancanza di dati di scavo dobbiamo limitarci alle informazioni fornite dalla raccolta dei soli materiali “mobili” che sembrano delineare una struttura a carattere abitativo, ben attestata dalla ceramica di uso comune e dai laterizi e frammenti di opus caementicium. Periodo post-classico: mancando del tutto strutture attribuibili al Medioevo, dobbiamo considerare questi riferimenti come ulteriore conferma della diffusione dell’insediamento poderale in età moderna in tutto il territorio di Calenzano. Fonti Cartografiche Piante di Popoli e Strade, c. 439 (San Ruffigniano a Somaia). Fonti di archivio Archivio SBAT: pos. 9 Firenze 3, 1991-2000, Calenzano, prot. 25385 del 27 novembre 1996 (si veda Sheda 14, nota 1); pos. 9 Firenze 3, 2001-2010, Calenzano, prot. 22599 del 2004 (si veda Sheda 12, nota 1). Archivio GAF. Bibliografia Carta Archeologica 1995, p. 25; Baldini 2007-2008, pp. 165-192. 271 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Ceramica acroma grezza. 3050. Frammento di bordo di olla. Scheda Litica. 1103. Manufatto ritoccato. Litica. 1104. Manufatto ritoccato. Litica. 1105. Manufatto ritoccato. Litica. 1106. Manufatto ritoccato. Litica. 1107. Manufatto ritoccato. L 3,3; l 2,3; S 1,1. L 2,7; l 4,5; S 1. L 2,2; l 1; S 0,4. L 3,8; l 1,4; S 0,6. L 3,5; l 2,8; S 1,1. L 1,6; l 0,7; S 0,2. Scheggia con tallone corticato. Raschiatoio laterale su scheggia allungata; ritocco totale accurato. Strumento geometrico: semiluna. Ritocco accurato. Grattatoio ogivale con ritocco bilaterale; tallone faccettato. Raschiatoio lungo su lamella; ritocco inverso laterale parziale. Selce. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Selce. Selce. Grattatoio lungo a muso tendente alla morfologia ogivale; supporto laminare; muso leggermente evidenziato; ritocco complementare unilaterale marginale. Diaspro. Spigoli poco abrasi, rari pseudoritocchi. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Selce. Diaspro. Spigoli poco abrasi, rari pseudoritocchi. L’elemento, considerato nell’insieme dell’industria (litica e fittile), potrebbe indicare un periodo dell’epoca olocenica compreso tra il Neolitico avanzato e l’età del Rame. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. 272 Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. L’elemento è attribuibile, probabilmente, ad una fase di epoca olocenica. L’elemento è attribuibile con maggiori probabilità ad un periodo compreso tra la fine del Paleolitico e l’Olocene. 273 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Litica. 1102. Manufatto non ritoccato. L 2,9; l 2,4; S 2,2. Nucleo per l’ottenimento di lamelle e piccole schegge, molto sfruttato; un piano di percussione, preparato con un colpo unico; distacchi paralleli unidirezionali. Selce. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. L’elemento è attribuibile ad un periodo compreso tra la fine del Paleolitico e l’Olocene. Ceramica. 1109. Frammento di parete carenata. L 5,9; l 5,2; S 1,7. Forma probabilmente composta da parte inferiore a calotta e parte superiore troncoconica. Impasto grossolano. Epoca olocenica. Il reperto, considerato nel suo contesto, non contraddice l’ipotesi di un’attribuzione del materiale ad un ambito cronologico e culturale eneolitico. 274 Litica. 1110. Manufatto ritoccato. Litica. 1111. Nucleo. Litica. 1138. Percussore. Litica. 1139. Manufatto ritoccato. L 2; l 1,4; S 0,3. L 3; l 2,6; S 2,5. L 4,2; l 2,5; S 2,1. L 3,9; l 2,6; S 1,1. Punta foliata peduncolata; ritocco piatto bifacciale coprente; sagoma irregolare. Piccolo ciottolo allungato e spesso con tracce di percussione su un’estremità; probabile percussore per il prelievo di piccoli distacchi da nuclei o per il ritocco dei supporti scheggiati. Pezzo foliato unifacciale; ritocco coprente; sagoma ovalare allungata. Diaspro. Nucleo a distacchi ortogonali per l’estrazione di schegge di piccole dimensioni; tre piani di scheggiatura ortogonali; distacchi paralleli unidirezionali sulla faccia principale. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. Selce. Basalto. Epoca olocenica. Spigoli freschi, rari pseudoritocchi. Selce. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. L’elemento è attribuibile con maggiori probabilità ad un periodo compreso tra la fine del Paleolitico e l’Olocene. 275 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Litica. 1108. Nucleo. 1108 1111 L 1,4; l 1,6; S 0,6. Piccolo grattatoio frontale corto subcircolare; ritocco semierto. 1107 1140 1110 Diaspro. Spigoli freschi, pseudoritocchi assenti. 1105 1106 L’elemento è attribuibile con maggiori probabilità ad un periodo compreso tra la fine del Paleolitico e l’Olocene. Nel contesto specifico, il reperto non contraddice un’attribuzione dell’insieme ad un ambito neo-eneolitico. [O.F.] 1104 1139 1103 1138 276 1100 277 Cartografia archeologica del comune di Calenzano 1109 Litica. 1140. Manufatto ritoccato. L 10,5; l 10,1; h ansa 4,5; S parete 1,2. Calotta a sezione emisferica, superiormente appiattita; presa ad anello. Impasto tipo IGE 3; in particolare il frammento si caratterizza per il colore delle superfici generalmente arancio, con ampie zone di annerimento causate dall’esposizione sul fuoco. Stato di conservazione: superfici lisce, non alterate; fratture generalmente nette a spigoli vivi; rare scheggiature o abrasioni. Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp. 169-170, n. 62. Il tipo di coperchio con presa ad anello, attestato tra l’instrumentum domesticum di Murlo, al di sotto dei crolli dell’edificio più recente (forma K: Bouloumié Marique 1978, p. 86), è piuttosto diffuso, nel caratteristico impasto a scisti microclastici, in area etrusca tirrenica settentrionale, “pisana” in particolare, soprattutto in periodo arcaico e tardoarcaico, oltre che in contesti dell’Emilia (ad esempio, a San Claudio nel territorio di Reggio Emilia il tipo è attestato in un contesto abitativo della media età del Ferro emiliano, VII-VI secolo a.C.: Malnati, Losi 1990, pp. 92, tav. XXIV, 1; 95, tav. XXXI, 4) e della Romagna (sia sulla costa, a Cesena, sia nell’interno, a Faenza, il coperchio – tipo 1 – è ben documentato, anche se la calotta presenta sezione più marcatamente troncoconica. Per la distribuzione in ambito romagnolo si veda Romagna 1982, p. 369). Tuttavia, sulla base della documentazione offerta dai centri del territorio, bisogna registrare attardamenti o continuità della tipologia anche in periodo ellenistico, come dimostrano, sul versante versiliese, il sito di Bora dei Frati (Storti 1990, p. 214, nn. 115-116, fig. 117) o nell’entroterra, lungo le vie di comunicazione che dalla valle dell’Arno conducevano all’interno, l’abitato di Poggio Carlotta-Coiano, nel Comune di Castelfiorentino (Alderighi 1994, p. 75, n.124, tav. XIII). I confronti più vicini sia per quanto riguarda Pisa (scavi piazza Dante 1991: in ultimo Bruni 1998, p. 138, tav. 44) sia la sua chora (Usigliano di Palaia ha restituito un cospicuo lotto di materali arcaici: ibidem, pp. 186-187, tav. 88) permettono di datare il nostro esemplare al periodo arcaico. Degne di nota le attestazioni di esemplari in Garfagnana (Ciampoltrini 2005, pp. 44-49; Ciampoltrini, Notini 2005, pp.84-103) e all’Isola d’Elba (Maggiani 2006, pp. 443, tav. IVc). Ceramica da fuoco. 2074. Frammento di orlo di olla di impasto grezzo a scisti microclastici. Ceramica da fuoco. 2075. Frammento di orlo e parete di olla di impasto grezzo a scisti microclastici. L 4,3; l 3; S orlo 1,3. L 5,7; l 6; S parete 0,9. Orlo estroflesso e pendente, caratterizzato internamente da una solcatura; e con bordo ingrossato; collo concavo. Orlo svasato, con bordo assottigliato e obliquo, caratterizzato internamente da una solcatura; collo concavo; ventre ovoide. Sul collo e sull’orlo, digitazioni lasciate dalla manipolazione. Età etrusco arcaica. Produzione locale, fine del VI-V secolo a.C. 278 Impasto tipo IGE 7; il frammento presenta sia le superfici che l’interno di colore bruno scuro, quasi nero. Stato di conservazione: superfici lisce, fratture nette; sporadiche scheggiature o abrasioni. Bibliografia: Baldini 2007-2008, p. 170, n. 63. Il tipo di olla con orlo estroflesso pendente e bordo ingrossato è tipico di recipienti di età arcaica e tardo-arcaica di area etrusco settentrionale sia marittima – zona versiliese-pisana –, nel caratteristico impasto a scisti (Migliarina: Vaggioli 1990, p. 100, n. 27, fig. 47.27 p. 101), che interna, zona della Garfagnana (Ciampoltrini, Notini 2005, p. 95, fig. 15, 11 p. 97), ma anche di area padana, come attestano i rinvenimenti di Casale di Rivalta nel Reggiano (Macellari, Squadrini, Bentini 1990, pp. 182-184). Impasto tipo IGE 6; in particolare il frammento si caratterizza per il colore delle superfici generalmente arancio. Stato di conservazione: superfici non alterate, fratture per la maggior parte antiche ma a spigoli vivi, segno di giacitura in deposito non alterato. Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp. 170-171, n. 64. fatti l’impasto con cui è realizzata l’olla di Montereggi (tipo B) è caratterizzato dal colore arancio, da zone annerite più o meno estese e da grossi inclusi lamellari. Dal punto di vista formale il nostro esemplare si avvicina anche ad un frammento recuperato nello scavo di Vallebona a Volterra, attribuito al tipo 100.103a (Ostman 2004, p. 51, fig. 4.24 p. 77). Anche in questo caso l’olla è stata realizzata con un impasto grezzo utilizzato più frequentemente nella ceramica da cucina che in quella da mensa (impasto D, gruppo VI: ibidem, p. 140) e sul labbro sono evidenti le digitazioni lasciate probabilmente nell’ultima fase di rifinitura del pezzo, dal momento che la superficie interna ed esterna del corpo evidenziano la realizzazione al tornio e non a mano. Produzione locale, III-II secolo a.C. Il frammento conserva la parte superiore di un’olla dal corpo ovoide con orlo estroflesso e bordo obliquo, di una tipologia piuttosto diffusa nel caratteristico impasto a scisti in Etruria settentrionale e nel bacino della valle dell’Arno per tutta la facies ellenistica. In particolare si avvicina alla forma 1 B della tipologia delle olle di impasto grezzo trovate nell’abitato di Montereggi (Alderighi 1985, p. 37, n. 93). Tale rimando è particolarmente cogente, soprattutto per la somiglianza della pasta ceramica: in- Ceramica da fuoco. 2076. Frammento di orlo e parete di olla di impasto grezzo a scisti microclastici. L 5,3; l 4,3; S parete 0,7. Orlo svasato, caratterizzato internamente da una solcatura, con bordo obliquo, superiormente segnato da una scanalatura, collo troncoconico, spalla arrotondata. Impasto tipo IGE 7; in particolare il frammento si caratterizza per il colore della superficie esterna marrone, interna bruna. Stato di conservazione: superfici lisce e non alterate; fratture antiche, solo in parte arrotondate. Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp. 171-172, n. 65. Olle di questo tipo sono molto diffuse in Etruria, sia nella versione con il corpo globulare (Alderighi 1985, forma II, in particolare, p. 37, n. 96) sia nella versione con il corpo ovoide (Santrot, Santrot 1995, p. 183, n. 476, fig. 57.476 p. 223; Bianchi, Pro 2003, p. 426, n. 39, fig. 41.7). La caratteristica principale, infatti, non è rappresentata dal corpo, ma dell’orlo, che si presenta sempre estroflesso a profilo troncoconico; spesso il margine ha battente bifido – più o meno accentuato – con la 279 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Ceramica da fuoco e/o dispensa. 2073. Frammento di coperchio con presa ad anello di impasto grezzo. deriva dal confronto con i ritrovamenti in contesti tombali: in particolare nella necropoli di Poggio Grezzano a Sovana, nella tomba 95, è stata recuperata un’olla della stessa tipologia databile genericamente, sulla base del contesto, al II secolo a.C. (Pancrazi 1971, p. 188, n. 1, fig. 81 SPG 95/1 p. 143). Produzione locale, fine del III-II secolo a.C. Ceramica da fuoco. 2077. Frammento di orlo e parete di olla di impasto grezzo a scisti microclastici. L 7,1; l 7,3; S parete 1,1. Orlo estroflesso e arrotondato, collo concavo, spalla sfuggente. Sulla superficie esterna del collo, segni di digitazione impressi al momento della rifinitura dell’orlo a mano del pezzo. Impasto tipo IGE 5. Stato di conservazione: superfici non alterate; fratture nette, anche se caratterizzate da ampie scheggiature. Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp. 172-173, n. 66. Il frammento apparteneva ad una olla del tipo con orlo estroflesso e arrotondato, corpo ovoide con spalla sfuggente e fondo piatto o leggermente convesso. Piuttosto diffuso in Etruria in periodo ellenistico, questo tipo di olla, nel nostro caso di piccole dimensioni, veniva utilizzato in cucina come ceramica da fuoco, per la preparazione dei cibi. In ambito locale sono noti esemplari analoghi a Montereggi, realizzati nell’impasto locale A, caratterizzato da pasta color arancio con grossi inclusi bruni (tipo Montereggi 1 b, olla ovoide con orlo arrotondato: Alderighi 1985, p. 37, n. 94). A Volterra, negli scavi 280 sull’Acropoli, il tipo è attestato, anche se il bordo si presenta assottigliato e superiormente appiattito, differenze quest’ultime, legate piuttosto alla manifattura locale delle varie redazioni (Bianchi, Pro 2003, pp. 423-424, n. 33, fig. 40.16). Più stringenti i confronti con gli esemplari recuperati a Populonia, dove questa forma è ben documentata negli scavi sull’Acropoli (tipo Alberti OF Ia), in un periodo genericamente compreso tra il IV e il I secolo a.C. (Alberti 2002, p. 165, n. 56, tav. XII p. 163; per la distribuzione del tipo in Etruria si veda nota 50). Produzione locale, IV-I secolo a.C. Ceramica da mensa. 2078. Frammento di piede e parte di fondo di patera-vassoio di ceramica a vernice nera. L 10,5; S piano di posa del piede 1,8. Piede ad anello a sezione troncoconica; piano di posa piatto; profilo interno caratterizzato da un netto “gradino”; sul fondo della vasca, decorazione impressa, costituita da una stampiglia di forma subrettangolare, con, all’interno, tre linee rettilinee a rilievo, due delle quali si incontrano a formare un angolo acuto. Impasto tipo CVN 1; vernice tipo VeVN 1. Stato di conservazione: vernice tendente a scagliarsi; margini delle fratture completamente arrotondati. Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp. 173-174, n. 67. Si conserva solo una piccola porzione del piede e della vasca. Il piede, ad anello, è inquadrabile nella serie 174, tipo c 3 di Morel (Morel 1981, p. 460, tav. 231), cioè un piede con cercine appena pronunciato, largo piano di posa piatto, piccolo gradino orizzontale. Questo particolare profilo è, generalmente, riferibile a grandi patere tipo 2286 e 2287 di Morel (Morel 1981, pp. 162-163, tav. 46) che, già riconosciuto come tipico della produzione aretina, in base 281 ad una recente proposta di ridefinizione terminologica, possiamo inquadrare nella cerchia della Campana B, in particolare ad un atelier aretino del tipo B etrusco (Cibecchini, Principal 2004, pp. 162, 172). Nel nostro caso, in mancanza di ogni altro riferimento alla forma, non possiamo attribuire con sicurezza il frammento ad una delle due varianti, che, tuttavia, corrispondono entrambe alla forma Lamboglia 7 (Lamboglia 1952, pp. 11-12). In assenza di analisi di laboratorio, possiamo soltanto procedere ad una valutazione di massima sia della pasta sia, soprattutto, della vernice, che evidenzia le caratteristiche tipiche della produzione aretina, cioè vernice nera coprente, densa e non lucida, superficie liscia. Ben più complesso è cercare di identificare la stampiglia conservata solo in minima parte: rettangolare, era disposta radialmente insieme ad altre sul fondo della patera. All’interno, purtroppo poco leggibile, doveva esserci un monogramma a rilievo. Tra i vari monogrammi attestati, pur nell’assoluta incertezza, si preferisce la lettura CV (Lamboglia 1952, p. 16). Produzione aretina, I secolo a.C. Cartografia archeologica del comune di Calenzano funzione, probabilmente, di appoggio per il coperchio (questa olla, classificata come tipo OF Ia – corrispondente a Baroncelli 4 – è la forma in assoluto più diffusa negli scavi dell’acropoli di Populonia: Alberti 2002, p. 168, n. 60, tav. XIV; per la distribuzione si veda nota 54 p. 168). Vasi di questo tipo potevano essere utilizzati sia in cucina per la preparazione dei cibi sia in dispensa, come recipiente da conserva. Il frammento in questione apparteneva ad una olla, che, per la spalla arrotondata, potrebbe considerarsi a corpo globulare; il suo utilizzo in dispensa è suggerito dalla totale assenza di fumigazioni o annerimenti dovuti all’esposizione al fuoco. Si tratta di una forma piuttosto diffusa in tutto il periodo ellenistico, tuttavia il confronto con altri contesti d’Etruria orienta verso il periodo compreso tra la fine del III e la fine del II secolo a.C. In ambito valdarnese l’esemplare di Montereggi è datato su base stratigrafica agli anni compresi tra il III e il II secolo a.C.; per quanto riguarda Volterra, se per l’attestazione dell’acropoli è possibile proporre una datazione compresa tra la fine del III e gli inizi del I secolo a.C. in base a dati stratigrafici, per il frammento proveniente da Vallebona, sicuramente residuo in strati recenziori, la datazione proposta al periodo ellenistico è solo indicativa (forma 110.010 a, ceramica tipo D V: Ostman 2004, p. 52, n. 63, fig. 4.24 p. 79). Una ulteriore conferma alla datazione proposta L 3; l 1,9; S parete 0,7. Orlo verticale, leggermente svasato, appena assottigliato. Impasto tipo CVN 3; vernice tipo VeVN 1. Stato di conservazione: vernice tendente a scagliarsi. dell’Arcivescovado (Storti 1989, p. 50, n. 360, tav. 10.18), a cui lo avvicina anche la somiglianza della pasta, che analisi di laboratorio hanno dimostrato essere tipica della parte alluvionale della piana dell’Arno, sia interna che terminale (pasta 7: Storti 1989, pp. 47-48), di Pietrasanta, loc. Crocialetto (Paribeni Rovai 1995, p. 161, n. 27, fig. 162.27 p. 163) e, sulla costa, di Luni (Cavalieri Manasse 1977, p. 88, CM 7654, tav. 63.12). Ceramica da mensa. 2080. Porzione di vasca e piede di coppa di ceramica a vernice nera. Produzione aretina, I secolo a.C. Stato di conservazione: porzione ricomposta da due frammenti; vernice quasi completamente evanide; margini delle fratture piuttosto netti. Manasse 1977, in particolare p. 112, CM 7518, tav. 81.3). Dal punto di vista tecnico sembra che la nostra coppa sia molto vicina alla produzione di Luni, caratterizzata da argilla mediamente granulosa e relativamente dura, vernice sottile con chiazze rosse dovute a cattiva cottura e colature interne (tipo F). Non avendo a disposizione analisi archeometriche che possano indicare con sicurezza aree di produzione, ci limiteremo a constatare la vicinanza tra le manifatture dell’area tirrenica settentrionale nel II secolo a.C. nell’ambito del tipo etrusco della cerchia della Campana B (Cibecchini, Principal 2004, pp. 162, 172). Bibliografia: Baldini 2007-2008, p. 175, n. 69. Produzione di area valdarnese (?), II secolo a.C. Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp. 174-175, n. 68. Il frammento, a causa delle ridotte dimensioni, è difficilmente inquadrabile in una tipologia precisa; tuttavia, soprattutto per lo spessore e il diametro ricostruibile, può essere dubitativamente attribuito alla serie 2286 di Morel (Morel 1981, p. 162, tav. 46); il tipo non è identificabile con sicurezza, anche se sembra avvicinarsi alla variante a 1. Anche in questo caso si tratta di un esemplare di patera di produzione aretina a vernice nera; tuttavia la differenza di impasto sembra escludere la pertinenza allo stesso oggetto del frammento 2078. I confronti tipologici stringenti, a causa delle dimensioni minime del frammento, sono pochi: tuttavia nell’area della piana dell’Arno andrà citato il ritrovamento di Pisa, nello scavo del Giardino L 7,2; l 5,2; S parete 0,7; S piede 1,3. Vasca a profilo concavo; piede ad anello, con coste verticali e con piano di posa piatto e ampio. Impasto tipo CVN 2; vernice tipo VeVN 2. La porzione conservata è piuttosto esigua; tuttavia grazie soprattutto al profilo del piede è possibile avvicinare l’esemplare ad un coppa della serie Morel 2614 – il tipo non è identificabile – (Morel 1981, p. 191), ritenuta di produzione campana B, quindi di area etrusca, e datata genericamente nell’arco del II secolo a.C. A conferma di tale produzione sembra portare anche l’area di diffusione di questa forma: esemplari di piede simile infatti sono stati trovati a Pisa (Storti 1989, p. 53, n. 410, tav. 12.6), a Bolsena (Jolivet, Tassaux 1995, p. 78, n. 183, fig. 23 p. 93) e, sulla costa, a Cosa (Taylor 1957, p. 103, B 44e, tav. XXVIII) e Luni (Cavalieri 282 Ceramica da mensa. 2081. Frammento di orlo e vasca di piatto (?) di terra sigillata italica. L 2,8; l 2,4; S parete 0,4; S orlo 1,1. Orlo sagomato a sezione angolare, caratterizzato esternamente da una profonda gola e con estremità pendente, ricadente a becco leggermente ricurvo; superficie superiore appiattita, segnata da una profonda solcatura. Vasca a profilo emisferico. Impasto tipo TSI 1; vernice tipo VeSI 1. Stato di conservazione: vernice tendente a scagliarsi, soprattutto sull’orlo; fratture arrotondate. Bibliografia: Baldini 2007-2008, p. 177, n. 70. La porzione conservata è così limitata da rendere problematica l’identificazione della forma, non essendo possibile neppure calcolarne il diametro. Dovendo tuttavia tentare un inquadramento, potremmo avvicinare il frammento ad un piatto con parete svasata e orlo distinto tipo Conspectus 2, variante 2.1, corrispondente alla XI, varietà 6 di Pucci (Pucci 1985, p. 385, tav. CXXII, 3) e alla 12 b di Goudineau (Goudineau 1968, p. 288). Questa identificazione va letta con riserva, vista la difficoltà di attribuzione anche all’interno della stessa 283 forma (per certe caratteristiche, come l’orlo ripiegato “a becco” poco arrotondato, sembrerebbe più vicina alla varietà 2 di Pucci – Pucci 1985, p. 385, tav. CXXI, 15 – e alla 12 a di Goudineau, dalla quale si distingue tuttavia per la mancanza del solco sul profilo esterno dell’orlo e per l’assenza di carena sulla parete della vasca) e, soprattutto, vista la scarsa diffusione di questa particolare forma in contesti dell’Etruria tirrenica settentrionale – non sembra attestata, ad esempio, negli scarichi delle figlinae pisane. Interessante tuttavia la presenza di un esemplare simile negli scavi sull’acropoli di Populonia, datato alla prima età imperiale (De Tommaso 1994-1995, fig. 48.5 p. 495). Nello specifico, il confronto più prossimo sembra quello con un’analoga porzione di piatto proveniente da Pisa nell’ambito del recupero effettuato alla fine degli anni Sessanta all’incrocio tra via A. Pisano e via Vecchia di Barbaricina, datato alla prima età augustea (Arbeid, Bruni, Ferretti 2006, p. 206, n. 33, dove il frammento è attribuito alla forma Conspectus 10.2). La forma del piatto a cui si attribuisce il frammento è in uso dal primo periodo imperiale fino alla produzione tardoitalica, alla stregua del piatto forma Pucci XII, al quale è molto vicino sia per la tettonica formale sia per periodo di vita e con il quale condivide i centri di produzione (Pucci 1985, p. 386); anche per la datazione, soprattutto sulla base dei ritrovamenti di Luni, viene Cartografia archeologica del comune di Calenzano Ceramica da mensa. 2079. Frammento di orlo e parete di patera di ceramica a vernice nera. Databile in base ai confronti alla prima età augustea. Tuttavia il tipo di vernice e di ceramica non escludono l’attribuzione alla prima fase della manifattura tardo-italica, con una datazione ai decenni centrali del I secolo d.C. Ceramica da mensa. 2082. Frammento di fondo e piede di coppa/piatto di terra sigillata italica. L 2,4; l 1,4; h piede 1,2; S fondo 0,7; S piede 0,7; S piano di posa 0,2. Fondo piatto, con lo spessore del fondo esterno minore rispetto a quello della vasca. Piede ad anello, a pareti rettilinee non parallele; parete esterna, rastremata, caratterizzata da un angolo piuttosto evidente a metà dell’altezza; piano di posa piuttosto esiguo. Nel fondo interno, traccia di un solco impresso. Impasto tipo TSI 3; vernice tipo VeSI 3. Stato di conservazione: vernice compatta e lucente; fratture nette a margini vivi. Bibliografia: Baldini 2007-2008, p. 178, n. 71. Le ridotte dimensioni del frammento rendono impossibile riuscire a identificare con sicurezza la forma di pertinenza. Il piede, tuttavia, è inquadrabile nella vasta casistica della forma Conspectus B 2.5 (Conspectus 1990, p. 157, tav. 49) caratterizzato dalle pareti non parallele con un netto angolo (nel nostro caso a circa metà dell’altezza) a ridurre al minimo il piano di posa. Tra le forme indicate nel repertorio (3, 4, 6, 12, 18, 20: Conspectus 1990, pp. 156-157), si 284 propone di inquadrare il frammento in esame, in modo del tutto dubitativo, nella forma X di Pucci (Pucci 1985, pp. 383-385; si veda in particolare tav. CXXI, 9), corrispondente alla forma Conspectus 20 e alla Goudineau 39 (Goudineau 1968, p. 306), in virtù soprattutto sia del profilo del piede nel complesso della tettonica originale del vaso sia dell’ampia diffusione e fortuna che ebbe tale piatto dal periodo augusteo (10 a.C.) fino agli inizi del II secolo d.C. In ambito locale e regionale il medesimo tipo di piede ad anello è stato recuperato ad Isola di Migliarino (Vaggioli 1988, p. 108, fig. 11.12), a Pisa (piazza Dante: Pisano 1993, p. 387, n. 23; incrocio via A. Pisanovia Vecchia di Barbaricina: Arbeid, Bruni, Ferretti 2006, p. 209, n. 73) e a Cosa (Marabini Moevs 2006, p. 50, BNW I. 47-50), nella maggior parte dei casi datato al periodo augusteotiberiano. Età tardo augustea o tiberiana. Ceramica da mensa. 2083. Frammento di fondo e piede di coppa carenata/piatto (catillus) di terra sigillata tardo-italica. L 5,9; l 2,1; h piede 1,4; S parete 0,6; S piede 0,6; S piano di posa 0,5; diam. piede ricostruito 9,6. Fondo piatto, notevolmente più spesso nella parete esterna – nel punto di partenza della vasca – rispetto al fondo esterno; piede ad anello, a pareti leggermente inclinate, non parallele, con quella interna più alta. Sul fondo della vasca, profonda rotellatura, delimitata verso il centro da un solco; nella parete interna del piede, due scanalature. Impasto tipo TSI 1; vernice tipo VeSI 1. Stato di conservazione: vernice in parte scagliata; fratture con margini arrotondati e ampie scheggiature. Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp. 178-180, n. 72. Il frammento è difficilmente attribuibile ad una precisa tipologia a causa delle ridotte dimensioni, essendo conservate solo parte del piede e parte del fondo. Tuttavia la forma del piede ad anello, con profilo esterno leggermente svasato, il profilo interno troncoconico, l’attacco a spigolo tra fondo e piede e la superficie del piano di posa piana sembrano avvicinare il nostro esemplare a prodotti di terra sigillata tardo-italica databili tra la metà del I e gli inizi del II secolo d.C. (Rossetti Tella 2001, p. 179, n. 4, fig. 1; Mascione 1992, p. 111, varietà 67, tav. XXXIX). In base a tali considerazioni e confronti è possibile avanzare l’ipotesi che si tratti di un frammento di un piatto forma Conspectus 3, variante 3.1, corrispondente alla XIX, variante 7 di Pucci (Pucci 1985, p. 388, tav. CXXIV, 14) e 43 di Goudineau (Goudineau 1968, pp. 308-309). Grazie ad un recente studio è stato possibile indicare con un certo grado di sicurezza il nome con cui gli antichi definivano questo piatto (catillus), caratterizzato da un’alta parete svasata e dall’orlo distinto (Camodeca 2006, p. 213). Il piatto Conspectus 3 – la cui produzione sembra avviata tra gli anni compresi tra il 25 d.C. e l’inizio del principato di Claudio (Rizzo 1998, p. 811, nota 37), anche se i recenti dati di Luca sembrano mutare nettamente il quadro, con una anticipazione almeno all’avanzata età augustea (Ciampoltrini 2007, p. 65) – è il catillus che, senza dubbio, riscosse maggior successo dal periodo neroniano fino alla fine della produzione della sigillata tardo-italica (età antonina) (Rizzo 2003, p. 79 ). In ambito locale è attestata l’importazione grazie al frammento recuperato a Fiesole in via Marini-via Portigiani (Squarzanti 1990, p. 149, n. 4). Probabile prodotto di manifattura pisana attiva dall’età neroniana fino agli inizi del II secolo d.C. 285 Ceramica da mensa. 2084. Frammento di fondo e piede di coppa carenata/piatto (catillus) di terra sigillata tardo-italica. L 4,7; l 4,1; h piede 1,3; S parete 0,7; S piede 0,6. Parete solo in parte visibile ma probabilmente convessa, distinta dal fondo piatto, esternamente da una carena e internamente da un rigonfiamento; piede ad anello, a pareti inclinate leggermente, non parallele. Sul fondo della vasca, due coppie di scanalature concentriche. Impasto tipo TSI 2; vernice tipo VeSI 2. Stato di conservazione: vernice quasi del tutto perduta sulla superficie esterna; fratture con margini arrotondati con ampie scheggiature. Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp. 180-181, n. 73. Il pezzo, se pure allo stato frammentario, permette di essere ben inquadrato grazie alla porzione di vasca e al piede. Infatti la carena appena visibile ed il piede a sezione troncoconica a pareti non parallele e piano di posa piano (fig. 6.3: Conspectus 1990, pp. 158-159) avvicinano il pezzo in esame ad un catillus di forma Conspectus 3, verosimilmente tipo 1.2, corrispondente alla XIX, varietà 13 di Pucci (Pucci 1985, p. 388, Cartografia archeologica del comune di Calenzano fatto solitamente riferimento al piatto forma Pucci XII. Produzione pisana, età tardo-neroniano-inizi del II secolo d.C. Ceramica da mensa. 2085. Frammento di orlo e vasca di coppa carenata/piatto (catillus) di terra sigillata tardo-italica. Stato di conservazione: la vernice tendente a scagliarsi; fratture con margini arrotondati. buito alla forma Conspectus 8.1 ed è datato alla prima età augustea), a Coltano (Panicucci 1986, p. 136, fig. 19.17), e a Vecchiano (Menchelli, Vaggioli 1988, fig 103.22 p. 102), sia nell’interno a Torrita di Siena (Mascione 1992, p. 102, n. 20, tav. XXXVI p. 105). Tra i rinvenimenti subacquei riveste particolare rilievo il Relitto B di Punta Ala che ha restituito una coppa della stessa varietà (inv. 222808) in un contesto datato negli anni tra la fine del I e gli inizi del II secolo d.C. (De Tommaso 1998a, p. 108, n. 14; Bargagliotti, Cibecchini, Gambogi 2004, pp. 94-95, n. 4). Bibliografia: Baldini 2007-2008, p. 181, n. 74. Seconda metà del I secolo d.C.-inizi del II secolo d.C. L 3,1; l 2,4; S parete 0,4; S orlo 0,5. Orlo distinto, ingrossato, superiormente appiattito; parete della vasca leggermente concava. Impasto tipo TSI 2; vernice tipo VeSI 2. Il frammento apparteneva probabilmente ad una coppa carenata/piatto di forma Conspectus 3 (si veda 2083), tipo 2, corrispondente, genericamente, alla Pucci XIX (Pucci 1985, p. 388, tavv. CXXIV-CXXV), senza una corrispondenza puntuale in una varietà, e alla Goudineau 43 (Goudineau 1968, pp. 308-309). Questa varietà è attestata nell’Etruria tirrenica settentrionale, a Pisae (scarico di via S. Stefano: Menchelli 1995a, p. 345; S. Rossore: Paoletti 2000, p. 251, n. 75, fig. 9 p. 240; recupero di via A. Pisano-via Vecchia di Barbaricina: Arbeid, Bruni, Ferretti 2006, p. 206, n. 31, dove, anche se in modo dubitativo, il frammento è attri- 286 Ceramica da mensa. 2086. Frammento di orlo e vasca di coppa (acetabulum) di terra sigillata tardo-italica. L 3,9; l 2,6; S parete 0,6; S orlo 0,3. Orlo assottigliato, arrotondato superiormente; all’esterno, listello plastico applicato, sporgente, sottolineato inferiormente da una profonda gola e da due solchi; vasca emisferica, leggermente rientrante; Impasto tipo TSI 2; vernice tipo VeSI 2. Stato di conservazione: vernice in parte scagliata, superficie parzialmente abrasa con fratture arrotondate. Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp. 182-183, n. 75. Questo tipo di coppa emisferica con listello sporgente ed orlo verticale, di cui recentemente è stato recuperato il nome originario latino di acetabulum, grazie all’esame di un conto di infornata inciso post cocturam su una testa recuperata ad Isola di Migliarino (Camodeca 2006, pp. 213-214), è attribuibile con sicurezza alla forma Conspectus 34 (Conspectus 1990, pp. 112-113) – difficile stabilire, data l’esiguità della parete, se di tipo 1 o 2 – corrispondente alla forma XXXVII, varietà 6 di Pucci (Pucci 1985, p. 396, tav. CXXXI, 10) e alla forma 38, variante b di Goudineau (Goudineau 1968, p. 305). È senza dubbio tra le forme ceramiche più diffuse: se le prime attestazioni si possono forse far risalire agli anni che precedono il 15 d.C. (per Goudineau la produzione sarebbe iniziata dopo il 20 d.C.: Goudineau 1968, p. 306), gli esemplari come il nostro, con listello ingrossato nettamente sporgente e con la faccia inferiore orizzontale, sono piuttosto tardi (Degl’Innocenti 1987, p. 20), perdurando almeno fino agli anni iniziali del II secolo d.C. La coppa emisferica con listello sporgente ed orlo verticale, tipica dell’Etruria settentrionale marittima, sembra essere la forma maggiormente documentata a Roma in periodo traianeo (Rizzo 2003, p. 95) ed è considerata una delle produzioni più caratteristiche della sigillata “liscia”, spesso arricchita da appliques à la barbotine; luoghi di produzione furono l’Etruria e la Val Padana, sia nella fase della sigillata italica che della tardo-italica. A livello regionale vanno segnalati i frammenti recuperati a Pisa nello scarico di officinae in via S. Stefano (Menchelli 1995a, p. 346, dove, per questa forma specifica, viene proposta una datazione compresa tra il 30 d.C. e la fine del I secolo d.C.) e nel Giardino dell’Arcivescovado (Storti 1989, p. 68, n. 509, tav. 14.20, con il listello che presenta la faccia inferiore non orizzontale), a Pistoriae (antico Palazzo dei Vescovi: Degl’Innocenti 1987, p. 21, n. 68) e nella vicina Faesulae, nel- 287 lo scavo di via Marini-via Portigiani (Squarzanti 1990, p. 149, n. 9, tav. 15.9). Formalmente simile è anche un frammento recuperato ad Ordona (Vanderhoeven 1988, p. 209, n. 216), del quale tuttavia non si specifica l’area di provenienza. A produzione etruscosettentrionale marittima sono assegnati, oltre agli esemplari romani, il frammento del tutto simile al nostro trovato negli scavi di Albintimilum e datato all’età flavia (Lamboglia 1950, p. 124, n. 24, fig. 62) e la coppa recuperata nel Relitto B di Punta Ala (inv. 222807: De Tommaso 1998a, p. 109, n. 17; Bargagliotti, Cibecchini, Gambogi 2004, pp. 94-96, n. 7). Età flavia-primi decenni del II secolo d.C. Cartografia archeologica del comune di Calenzano tav. CXXV, 3) e alla più generica 43 di Goudineau (Goudineau 1968, pp. 308-309). Sulla forma Conspectus 3 si veda anche 2083. Se Pucci considera l’esemplare preso in esame di produzione campana (Pucci 1985, p. 388), nonostante il bollo Xant(hus) possa suggerirne anche una diversa (CVArr2 2000, pp. 506509, 2536), andrà notato come questa particolare varietà fosse comune anche ad altre figlinae, sia nella piana dell’Arno, nell’ager Pisanus, come dimostra lo scarico di via S. Stefano (tra le altre varietà della Pucci XIX è attestata anche la 13: Menchelli 1995a, p. 345) o l’area produttiva di Isola di Migliarino (Menchelli, Vaggioli 1988, p. 108, fig. 11.7), sia in area centro-italica, come testimoniano i frammenti recuperati nell’area produttiva di Torrita di Siena relativa alla officina di L. Umbricio Cordo (Mascione 1992, p. 111, varietà di fondo n. 66, tav. XXXIX). Esemplari dello stesso tipo sono stati inoltre recuperati sia in scavi nel centro di Pisae (Giardini dell’Arcivescovado: Storti 1989, p. 70, n. 542, tav. 15.25), a Pistoriae (Degl’Innocenti 1987, p. 704, n. 3997), oltre naturalmente a Roma (Rizzo 1998, p. 811 e passim; Rizzo 2003, p. 77 e passim; Rossetti Tella 2001, p. 181, n. 9). L 3,7; l 3,4; S parete 0,2; S fondo 0,1; diam. piede 3,4. Piede a disco, leggermente convesso, sagomato esternamente; avvio di parete con tracce di una leggera vernice. Impasto tipo CPS 1. Stato di conservazione: fratture a margini arrotondati. Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp. 183-184, n. 76. Il frammento conservato è troppo piccolo per poter tentare una attribuzione precisa, soprattutto perché il tipo di piede a disco sagomato esternamente è piuttosto comune nella produzione delle “pareti sottili”. Possiamo attribuire il fondo ad una coppa carenata (forma Ricci 2: Ricci 1985, pp. 281-313), piuttosto che ad un bicchiere o ad un boccalino, soprattutto per il profilo molto aperto delle pareti. Nello specifico, anche se in via del tutto ipotetica, è possibile avvicinare la porzione conservata alla forma Ricci 2, tipo 336 (Ricci 1985, pp. 309-310, tav. XCIX, 9), corrispondente, pur con qualche differenza, alla forma Marabini LXIII (Marabini Moevs 1973, p. 239, n. 463, tav. 49), molto diffusa soprattutto tra i prodotti di ceramica invetriata, e alla Mayet XLIII (Mayet 1975, pp. 98-99). Le analisi di laboratorio sembrano aver ormai accertato la presenza di officinae nella bassa valle dell’Arno, nel bacino del Bientina e nell’area dei Monti Pisani, dedite alla realizzazione di vasi a pareti sottili già dal II-I secolo a.C., con una diffusione ed un incremento tra l’età augustea e il I secolo d.C. (Menchelli 1994, p. 208). Ad Isola di Migliarino è stata trovata una porzione di coppa (?) dal profilo simile al nostro, che il tipo di pasta ceramica indicherebbe come un prodotto di officinae del Valdarno (Storti 1988, p. 95, fig. 7.8). Gli esemplari cosani sono datati dalla Marabini al periodo claudio-neroniano in base a considerazioni di carattere stratigrafico (Marabini Moevs 1973, p. 239). Attribuibile a produzione regionale in base all’impasto, prima metà del I secolo d.C. 288 Ceramica da mensa. 2088. Frammento di orlo e vasca di coppa di ceramica semidepurata. L 6; l 3,8; S parete 0,5; S orlo 1,2. Orlo ingrossato, ripiegato esternamente; all’interno, passaggio tra la parete della vasca emisferica e l’orlo segnato da un leggera risega. Sulla parete, foro pervio realizzato prima della cottura. Impasto tipo CSR 1. Stato di conservazione: superfici quasi del tutto abrase; fratture antiche con margini arrotondati, altre, piuttosto recenti, molto vive. Bibliografia: Baldini 2007-2008, p. 185, n. 77. Il frammento risulta di non facile identificazione. Infatti se il confronto con un oggetto di ceramica comune ritrovato a Pistoia nell’antico Palazzo dei Vescovi avvicinerebbe l’esemplare ad una coppa di ceramica semidepurata (Degl’Innocenti 1987, p. 48, n. 246; da notare che anche il frammento pistoiese è realizzato con un impasto arancio scuro con inclusi di media grandezza) databile, in base alla stratigrafia, tra il periodo neroniano e i primi decenni del III secolo d.C. (Palazzo dei Vescovi II 1985, pp. 114-115), non andrà tuttavia sottovalutato il foro pervio (da sospensione?) realizzato sicuramente prima della cottura. Questo particolare tecnico rende difficile la sicura attribuzione ad una coppa, non escludendo, ad esempio, la funzione di coperchio. Sembra invece da escludersi la possibilità che si trattasse di un colum, vista la grandezza del foro. Ceramica da dispensa. 2089. Porzione di coperchio (operculum) di ceramica semidepurata. Produzione del Valdarno, età medio imperiale. Parete troncoconica; presa a disco, esternamente sagomato; fondo esterno leggermente concavo, fondo interno caratterizzato da una profonda depressione circolare. L 7,9; l 6,3; S parete 0,7; S fondo 0,3; diam. 6. Impasto tipo CSR 2. Stato di conservazione: superfici completamente abrase, con ampie scheggiature; fratture consunte; molteplici fessurazioni. Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp. 185-186, n. 78. Il frammento può essere agevolmente interpretato come la presa di un coperchio di ceramica semidepurata. In particolar modo piuttosto indicativo è il profilo del piede, sagomato, di un tipo nato in ambito centro-italico meridionale in età medio repubblicana e diffuso fino all’età severiana, ma affermato soprattutto in area centro-italica tra la tarda età repubblicana e la seconda metà del I secolo d.C. (Pavolini 2000, p. 285). Per una cospicua esemplificazione delle varie tipologie di coperchi si veda Quilici 1976, pp. 263-326; tra questi il più prossimo al nostro per il profilo schiacciato, la presa sagomata e il tipo 289 di impasto è il n. 423, fig. 42 p. 289. Gli opercula come il nostro venivano utilizzati verosimilmente per coprire recipienti da dispensa (olle, brocche, piccole anfore) piuttosto che vasi da fuoco e ciò si evince sia dal tipo di impasto utilizzato – poco adatto all’esposizione prolungata al calore – sia perché, solitamente, i coperchi dei contenitori da fuoco erano di dimensioni maggiori (Pavolini 2000, pp. 281-282). In linea generale il nostro esemplare può essere avvicinato alla forma II dei coperchi di Ostia (Giannelli, Ricci 1970, p. 97, inv. 3162, fig. 442, tav. XXIV, in ceramica depurata e con fondo non convesso). Per restare in ambito ostiense si potrà citare lo studio di Pavolini sulla ceramica comune dell’Antiquarium, in base al quale il nostro coperchio andrà inserito tra quelli a profilo molto schiacciato e con presa a pomello (vicino a Pavolini 2000, n. 285 p. 161, fig. 67). Inoltre cfr. Dyson 1976, p. 77, n. 67, fig. 23 (Cosa, intorno al 70 a.C.); Cipollone 1984-1985, p. 142, fig. 30 (Gubbio, metà del I secolo d.C.); Bianchi, Sarri 1988, n. 108 p. 57 (Bagno a Ripoli, seconda metà del I secolo a.C.); Olcese 1993, p. 243, n. 168, con riferimenti bibliografici (Albintimilium); Paribeni Rovai 1995, p. 161, n. 27, fig. 162.27 p. 163 (Pietrasanta); Biondani 2005, p. 249, n. 100, fig. 154.100 p. 250 (Rimini). Produzione locale, I secolo a.C.-II secolo d.C. Cartografia archeologica del comune di Calenzano Ceramica da mensa. 2087. Porzione di fondo e piede di coppa carenata di ceramica a pareti sottili. L 7,1; l 4,3; S parete 0,1. Frammento di ansa di sympulum desinente a protome teriomorfa. Ansa costituita da una verghetta a sezione rettangolare, percorsa longitudinalmente da due profonde solcature, divergenti in alto a formare due apici triangolari; al di sopra dei due apici, dove l’ansa si piega, avvolgendosi su se stessa a “U”, la sezione diventa circolare; raccordo tra la verghetta circolare e la terminazione teriomorfa sottolineato da due rigonfiamenti anelliformi. Testa dell’uccello ben caratterizzata, soprattutto nella resa degli occhi, evidenziati da due profondi circoletti; dietro questi, due impressioni circolari apicate; lungo becco, non ripiegato, evidenziato all’origine da un ispessimento rispetto al profilo della testa e da due linee ondulate incise sulla parte superiore. Stato di conservazione: patina verde brillante, solo in parte perduta; segni di ossidazione sugli apici. Bibliografia: Filippi et alii 2006, p. 133 (erroneamente collocato in età etrusca arcaica); Baldini 2007-2008, pp. 187188, n. 79. Si tratta della parte finale di un’ansa di simpulum di bronzo con terminazione a testa di volatile. Nostante tali oggetti siano piuttosto diffusi nei servizi da banchetto in epoca etrusco-arcaica e classica (si veda, anche per una classificazione, Bini, Caramella, Buccioli 1995), il nostro esemplare è da riferirsi alla produzione enea di ascendenza ellenistica: il dubbio è se vada considerato un prodotto ellenistico o una riproposizione del modello ellenistico ma di ambiente campano del I secolo a.C. Analizzando tuttavia certe caratteristiche, come la resa della testa ornitomorfa, e alcune peculiarità tecniche come la curva della verga molto ripiegata o gli apici alla base della protome molto sviluppati, il nostro esemplare sembra più vicino alle redazioni romane di sapore ellenistico di I secolo a.C., inquadrabile nel tipo XIII della classificazione proposta per i materiali vesuviani (un solo esempio frammentario: Carandini 1977, p. 167, tav. LXXXVIII, 5, corrispondente a Radnati 41 e ad Eggers 163; per un esemplare bronzeo del poggio Talamonaccio si veda inv. 70859 Orbetello 2010, p. 138). Il tipo, piuttosto diffuso anche in ambiente non italico (per la diffusione in ambito iberico si rimanda a Raddatz 1969; per i rinvenimenti nelle necropoli del Basso Rodano a Barruol, Sauzade 1969), è attestato anche nella redazione in argento, come stanno a testimoniare gli esemplari del Tesoro di Arcisate (Piana Agostinetti, Priuli 1985, pp. 194-196), il ripostiglio di Palmi 290 (Guzzo 1980, pp. 196, 202, 204) e il servizio di argenti da Boscoreale (?), proveniente dalle collezioni del Museo Artistico Industriale (von Mercklin 1923, pp. 124-129; Pirzio Biroli Stefanelli 1991; Talamo 1993, pp. 279-285; Talamo 2006, p. 165, n. 216) e il Tesoro di Tivoli (Pirzio Biroli Stefanelli 1991, p. 253). Nonostante la scarsità di testimonianze in ambito vesuviano, sia per le redazioni in metallo più nobile sia per i più comuni oggetti di bronzo (un simpulum integro, in ottimo stato di conservazione, si trova nelle Collezioni del Museo Nazionale di Napoli), è stata avanzata l’ipotesi che tali prodotti siano da riferirsi ad ateliers campani. Per quanto riguarda la datazione, tutti gli esempi citati, tranne quello napoletano (datato al I secolo d.C.), concordano per una datazione compresa tra il primo quarto del I secolo a.C. e la metà dello stesso (Pirzio Biroli Stefanelli 1991, p. 253). Prima metà del I secolo a.C. Vitrum. 2091. Frammento di parete di coppa costolata di vetro blu soffiato dentro stampo. L 2,9; l 2,3; S parete 0,4. Parete emisferica con tracce di costolature verticali. Stato di conservazione: costolature del tutto perse; fratture con margini arrotondati e non più taglienti. Bibliografia: Baldini 2007-2008, pp. 188-189, n. 80. Il frammento è riferibile ad una coppa costolata tipo Isings 3, probabilmente variante a, cioè bassa e larga (Isings 1957, pp. 17-21). Questo genere di coppe con costolature poco rilevate (Biaggio Simona 1991, p. 60) nasce nel I secolo a.C. in ambito siro-palestinese (recentemente sulla manifattura tardo-ellenistica a Beyrut: Foy 2005), per poi diffondersi in tutto l’impero, nel corso del I secolo d.C., sia nella versione colorata, la più antica, sia nella versione monocroma, con una sempre maggiore standardizzazione della forma e minor cura nella realizzazione. Pur registrando una notevole flessione già dal II secolo d.C. (Roffia 1993, p. 63), la forma sembra sporadicamente attestata ancora agli inizi del IV secolo d.C. (Meconcelli Notarianni 1979, p. 42). Essendo la forma aperta maggiormente attestata nel corso del I secolo d.C. (Maccabruni 2007, p. 22) è possibile che queste coppe si producessero in molte località dell’impero (Italia, Gallia e Renania, oltre all’area orientale del Mediterraneo: Pepi 1992, p. 46): tuttavia, tra le altre, è possibile indicare come maggiori aree di produzione Aquileia, nella X Regio, Roma e la zona campana. In ambito regionale andranno citati gli esemplari recuperati a Pantani (Le Gore), nel territorio di Torrita di Siena (Pepi 1992, pp. 45-46, n. 61, tav. XIII p. 51), a Pistoia, nell’antico Palazzo dei Vescovi (Capecchi 1987, pp. 764-765, nn. 4475-4476) e la coppa recentemente recuperata integra negli scavi dello scalo di Pisa-S. Rossore (Stiaffini 2000, p. 283, n. 155); ad una variante più recente va attribuito l’esemplare Isings 3a dal Relitto B di Punta Ala, datato agli inizi del II secolo d.C. (inv. 222812: De Tommaso 1998a, p. 118, n. 37; Bargagliotti, Cibecchini, Gambogi 2004, p. 99). Databile nella seconda metà del I secolo d.C. per il tipo di fattura piuttosto corsivo, con costolature irregolari e presenza di bolle interne (Diani 2007, p. 227). [G.B.] 291 Cartografia archeologica del comune di Calenzano Instrumentum domesticum. 2090. Frammento di ansa di simpulum di bronzo fuso, decorato a cesello. 2074 2075 2076 2077 2078 2079 2080 Ceramica ingubbiata e graffita policroma a punta. 3045. Frammento di fondo di piatto. 2081 2082 2083 2084 2085 2087 2086 2088 Ceramica ingubbiata e graffita policroma a punta. 3046. Frammento di parete di ciotola. L 5,5; l 4,3; S 0,9-1,6; diam. piede ricostruito12,5. L 4,7; l 3,8; S 0,6. Fondo con piede a ventosa separato dalla parete da una gola piuttosto profonda. Decorazione costituita da sottili graffiture eseguite a punta e da pennellate verdi ramina e arancio metallico. Sulla pennellata color arancio, tracce impresse a crudo con un punzone a sezione triangolare, forse pertinenti a una decorazione “a stemma”. Parete con decorazione presente sia all’interno sia all’esterno. All’esterno, probabile serie continua di archetti, con alcune sovradipinture in giallo ferraccia. All’interno, motivi fitomorfi stilizzati, in particolare foglioline cuoriformi, anch’esse sovradipinte in giallo ferraccia, alternate a boccioli molto stilizzati. Impasto depurato di colore arancio. Ingobbio bianco, solo interno. Vetrina giallina, spessa e uniforme, sia interna sia esterna (presente anche sul piede). Impasto duro, depurato, di colore arancio scuro. Ingobbio bianco, coprente, sia interno sia esterno. Vetrina trasparente, sia interna sia esterna, mal conservata. Per la decorazione cfr. Varaldo 1997, p. 446, fig. 6c. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Palazzo dei Vescovi II 1985; Palazzo dei Vescovi II 1987; Berti 1997, II; Uffizi 2007; Wentkoswska 2007. Ceramica acroma grezza. 3047. Frammento di manico di paiolo. L 5; l 8,2; diam. 2,7. Manico a sezione ovoidale. Sull’esterno del manico, tracce di regolarizzazione della superficie attraverso una steccatura (10,7 mm). Impasto di colore arancio, duro, con inclusi di calcite, chamotte e mica (2,45,3 mm). Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Uffizi 2007. XIV secolo. Per la decorazione cfr. Varaldo 1997, p. 445, fig. 5a. Per la classe si vedano Palazzo Pretorio 1978; Uffizi 2007. XV secolo. XV secolo. 2091 2089 2090 3045 292 3047 293 [L.T.] Cartografia archeologica del comune di Calenzano 2073