Le testimonianze, presentate dalla voce narrante interpretata da

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Le testimonianze, presentate dalla voce narrante interpretata da
GLI EBREI ITALIANI E LE LEGGI ANTIEBRAICHE DEL 1938
Le leggi antiebraiche promulgate in Italia dal governo fascista nel 1938, determinarono
l’emarginazione degli ebrei nel campo lavorativo, vietando loro di essere impiegati o assumere la
direzione di aziende, o essere proprietari di terreni, fabbricati urbani, o di insegnare nelle scuole
pubbliche, come affermano l’articolo 1 e 2 del Regio decreto 1390 e l'articolo 10 del Regio decreto
1728:
• ARTICOLO 1: All'ufficio di insegnante nelle scuole statali o parastatali di qualsiasi ordine e
grado e nelle scuole non governative, ai cui studi sia riconosciuto effetto legale, non
potranno essere ammesse persone di razza ebraica.
• ARTICOLO 2: Alle scuole di qualsiasi ordine e grado, ai cui studi sia riconosciuto effetto
legale, non potranno essere iscritti alunni di razza ebraica.
• ARTICOLO 10: I cittadini di razza ebraica non possono:
o prestare servizio militare in pace e in guerra;
o esercitare l'ufficio di tutore o curatore di minori o di incapaci non appartenenti alla
razza ebraica;
o essere proprietari o gestori, a qualsiasi titolo, e di aziende di qualunque natura che
impieghino cento o più persone, né avere di dette aziende la direzione, né assumervi,
comunque, l'ufficio di amministratore o di sindaco;
o essere proprietari di terreni che, in complesso, abbiano un estimo superiore a lire
cinquemila;
o essere proprietari di fabbricati urbani che, in complesso, abbiano un imponibile
superiore a lire ventimila.
Essa prevedeva anche grosse limitazioni nei confronti degli studenti ebrei, che come dimostra
l’articolo 2, non potevano essere iscritti “alle scuole di qualsiasi ordine e grado”.
In realtà, la legislazione antiebraica del ’38 fu un vero e proprio fulmine a ciel sereno, come
racconta il RABBINO LUCIANO CARO: “La promulgazione delle leggi razziali ha suscitato
grandissima sorpresa nelle comunità ebraiche, che le hanno considerate quasi un tradimento da
parte di una madre. Gli ebrei italiani erano profondamente inseriti nel tessuto sociale del paese,
molti avevano aderito al fascismo, anche perché aderire al fascismo pareva la quintessenza
dell’italianità. Per alcuni lo choc è stato così forte da indurli al suicidio”.
All’interno di questo panorama di terrore, che sfociò nella deportazione ad Auschwitz nel
1943 degli ebrei italiani, i giovani italiani vennero ovviamente esclusi dalle scuole e si trovarono
improvvisamente discriminati senza conoscerne il reale motivo. Questo è ciò che emerge dalle
testimonianze di alcuni ebrei, ora adulti, che nel ’38 erano semplicemente dei ragazzi, degli
studenti, incapaci di credere a ciò che stava accadendo attorno a loro: “All’epoca ero ragazza,
frequentavo l’ultimo anno delle magistrali a Milano. A settembre del ’38 venne vietato a noi ebrei
di tornare tra i banchi di scuola: ci hanno tolto il diritto di frequentare le scuole pubbliche con gli
altri ragazzi. Per me è stato un grande trauma, come un lutto: è mancato un affetto della mia vita”
sostiene la professoressa TINA OTTOLENGHI.
Un’altra testimonianza molto significativa è quella di PIERO TERRACINA, che nel ’43 venne
deportato ad Auschwitz insieme alla sua famiglia: “ Ero un ragazzo felice, l’ultimo di una famiglia
di otto persone, protetto dall’affetto di tutti. Tre giorni prima avevo compiuto 10 anni. Il 15
Novembre, come tutti gli altri giorni, entrai in classe e mi diressi verso il mio banco ed ebbi la
sensazione che i miei compagni mi osservassero in modo insolito. L’insegnante fece l’appello ma
non chiamò il mio nome; soltanto alla fine mi disse che dovevo uscire, e alla mia domanda
“Perché? Cosa ho fatto?” lei mi rispose. “Perché sei ebreo””.
I sentimenti dei giovani ebrei cacciati dalle loro scuole e privati delle loro amicizie sono chiari: “In
quell’estate del ’38, dopo un lungo anno passato sui libri, ero in vacanza e godevo il sole e il riposo,
ignaro di quello che mi aspettava”, racconta l’avvocato PAOLO RAVENNA “Una mattina vedo
facce scure attorno a me e mi accorgo di uno strano silenzio , insolito nella nostra famiglia. Poi mio
fratello maggiore mi dice che siamo esclusi dalle scuole. È l’inizio di un sentimento di diversità
finora mai vissuto in modo così chiaro e doloroso, anche se magari sottilmente avvertito anche
prima”. Il sentimento di diversità e profondo dolore di cui parla l’avvocato, venne certamente
esasperato da quegli stessi compagni di classe, ora “ariani”, che prima non conoscevano la
distinzione tra “uomini di razza A e B”, e che adesso consideravano gli ebrei “inferiori”:
“Ci fu una frattura violenta tra noi e gli altri compagni di scuola” racconta l’ingegner GIAN
PAOLO MINERBI “ quasi tutti i ragazzi della mia classe non mi salutavano più, cambiavano
marciapiede quando mi vedevano per strada”.
Lo stesso disagio venne vissuto dall’avvocato PAOLO RAVENNA, che racconta: “Tutto cambia. I
compagni di scuola e gli amici “ariani” che ora improvvisamente ci evitano, fingono di non
conoscerci o cambiano strada quando ci incontrano, e anche noi cominciamo a non salutarli ed
evitarli”.
L’Italia era completamente divisa, dilaniata dai pregiudizi e dal razzismo, come dimostra la
testimonianza del RABBINO CAPO DI FERRARA LUCIANO CARO, fuggito a Viareggio dopo il
‘38: “ I contadini ci guardavano con curiosità: non avevano mai visto degli ebrei e si aspettavano
degli umanoidi. Quando passavamo per strada, ci guardavano attentamente per capire se avessimo
la coda”.
Nonostante ciò, con immenso coraggio e forza di volontà, le famiglie e gli insegnati ebrei, si
organizzarono per poter garantire ai propri figli un futuro e un’istruzione: “ Ricordate che
qualunque cosa succeda, io sarò sempre la vostra professoressa”, comunicò la professoressa
DALLARMI ai propri studenti ebrei, tra i quali GIAN PAOLO MINERBI, che racconta: “ La
comunità si è organizzata; in via Vignatagliata 79, nei locali della scuola elementare ebraica,
vennero istituiti corsi per gli studenti delle medie e delle superiori. Era una situazione molto
stimolante, perché eravamo insieme a ragazzi più grandi e per l’alto livello dei professori: Giorgio
Bassani per l’italiano, Vittore Veneziani per musica, suo fratello, che era commercialista, per
matematica, il pugile Primo Lampronti per educazione fisica”.
Ciò che paradossalmente emerge dalle testimonianze, è che i giovani ebrei, dopo aver subito
l’umiliazione dell’espulsione dalla scuola, fossero orgogliosi di potersi prendere una rivincita e
studiare con i migliori insegnanti della penisola, anch’essi ebrei, e di conseguenza banditi dalle loro
cattedre: “ Lo ricordo quasi come un periodo glorioso. Era come se dicessimo “ voi non ci avete
voluti e noi stiamo meglio di prima””, racconta la professoressa TINA OTTOLENGHI.
La stessa versione è confermata dall’avvocato PAOLO RAVENNA, compagno di classe di Gian
Paolo Minerbi: “ è stata una scuola importante da molti punti di vista. Intanto per la qualità degli
insegnati, anche loro allontanati dall’insegnamento pubblico perché ebrei: c’erano professori
universitari come l’agronomo Ciro Ravenna e l’anatomopatologo Ettore Ravenna (….)”.
I fascisti non mancarono tuttavia di ricordare costantemente ai giovani ebrei che erano degli
studenti di serie B, come racconta TINA OTTOLENGHI: “ Fui l’unica ragazza ebrea a sostenere
l’esame di Maturità magistrale nel ’38-’39. Ebbi subito un altro trauma: un banco separato per me
sola, lontana dagli altri”. Una simile esperienza venne vissuta anche dal RABBINO LUCIANO
CARO: “ Facevamo gli esami da privatisti nelle scuole pubbliche, ma separati, lontani dagli altri
ragazzi, come se il contatto con noi potesse contaminarli. Qualcuno ci chiamava “gli ebreucci””.
Con l’armistizio dell’ 8 Settembre e l’occupazione tedesca, ci fu il precipitare degli eventi:
“Si passò dal fastidioso al violento senza pietà. La caccia all’ebreo era il primo obiettivo del regime
nazista. I fascisti lasciavano vivere, i nazisti volevano la soppressione fisica, il genocidio. Gli ebrei
dovevano essere arrestati e internati nei campi di concentramento, tutti i loro beni, confiscati”
racconta PAOLO RAVENNA.
Qualcuno cercò di fuggire in Svizzera, come Liliana Segre o TINA OTTOLENGHI, che racconta: “
noi abbiamo tentato due volte di superare la frontiera. La prima volta siamo stati ingannati dai
contrabbandieri; la seconda volta siamo riusciti a passare la frontiera, ma hanno accolto solo anziani
e bambini, e io son dovuta tornare in Italia. Poi in Svizzera hanno aperto le frontiere e sono stata
mandata in un campo di concentramento in Engadina”.
Qualcun altro, come Minerbi, si nascose alla Verna per evitare la deportazione. I più sfortunati
vennero deportati al campo di concentramento di Fossoli, e poi a Buchenwald dove si trovavano gli
ebrei figli di matrimoni misti, come il dottor Franco Schöneit, e ad Auschwitz, gli ebrei puri, come
Pietro Terracina e LILIANA SEGRE: “ Caricati su un camion, attraversammo Milano e fummo
portati alla stazione centrale, dove nel sotterraneo era pronto per noi un treno merci. Fummo fatti
salire a calci e pugni e piombati nei vagoni. Il viaggio durò una settimana, senza né luce, né acqua e
un secchio per gli escrementi. All’alba del 6 febbraio del ’43 eravamo ad Auschwitz”.
Dei trentanovemila ebrei italiani, tra settemilaottocento e ottomila sono morti: “la grande
maggioranza delle persone non ha avuto alcuna reazione. Non hanno chiesto perché, non hanno detto
“noi non ci adeguiamo”” racconta il RABBINO.
Anche PIERO TERRACINA, sopravvissuto ad Auschwitz, confessa“ Lo sterminio non è solo colpa
della Germania. Anche altri governi furono carnefici di questo male. Il governo francese dopo
l’armistizio ha consegnato tanti ebrei ai nazisti. Eppure in altri paesi come la Danimarca non è
successo. Il Re si oppose alla deportazione. Si mise anche lui la stella che contrassegnava gli ebrei,
fece pressioni sul popolo e questo bloccò la deportazione degli ebrei danesi. Anche in Bulgaria, un
governo fascista che aveva adottato la politica sulla razza adottata dall’Italia, gli ebrei furono salvati
dallo sterminio. Perché questo in Italia non accadde? Se qualcuno che poteva si fosse opposto, non ci
sarebbe stata nessuna deportazione. Se il pontefice Papa Pio XII fosse uscito, e fosse andato di fronte
al collegio militare di Roma e avesse allargato le braccia come fece in altre occasioni, e avesse detto
qualcosa sul salvare le persone rifugiate al collegio, lui non avrebbe subito nulla e almeno 1008
persone sarebbero state salve. Di queste 1008 persone che partirono ad Auschwuitz….tornarono vivi
in 16”. Testo a cura di Giorgia Balloi III^H anno scolastico 2011-2012