consumi, risorse, scelte: un approccio tutto da rivedere

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consumi, risorse, scelte: un approccio tutto da rivedere
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CONSUMI, RISORSE, SCELTE:
UN APPROCCIO TUTTO DA RIVEDERE
di Salvatore Santangelo *
F
To deal with what appears to be an
impending and inevitable worldwide
water shortage, the daily water
consuming habits of the western world
must be immediately overhauled, as these
areas are only apparently out of the
reach of this impending catastrophe.
This view is supported also by recent
news reports. One of these, the one
published after 15 years of worldwide
inquiries and travels by the British
journalist Fred Pearce, deserves to be
read and carefully evaluated, and then
acted upon concretely and promptly.
Pearce argues that in under 20 years
time three billion people, will be affected
by chronic droughts might trigger a real
war for water resources.
red Pearce è un giornalista inglese che si occupa, con grande
competenza e passione, di ambiente, scienza e sviluppo.
Negli ultimi quindici anni egli ha maturato una grande esperienza internazionale, lavorando in 55 Paesi. Attualmente è consulente
ambientale per la rivista New Scientist, e collabora regolarmente con
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* Giornalista e saggista
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Per fronteggiare una crisi idrica mondiale che si annuncia come prossima e
inevitabile, è indispensabile rimettere in
discussione, da subito, lo stesso consumo
quotidiano che si registra nel mondo occidentale, solo apparentemente al riparo
dalla catastrofe. La sollecitazione viene
anche da recenti inchieste giornalistiche,
una delle quali, quella portata a termine dopo 15 anni di indagini e viaggi in
tutto il mondo, è del giornalista inglese
Fred Pearce che merita non solo la lettura e un’attenta riflessione, ma concreti,
solleciti interventi.
Egli prevede infatti che tra meno di
20 anni tre miliardi di persone affette
da siccità croniche potrebbero scatenare
una vera e propria guerra per l’acqua.
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Independent, Times Higher Education, Supplement, Boston Globe, High Life,
Country Livinged Ecologist. Nel 2001 è stato insignito del titolo di “giornalista ambientale” dell’anno in Gran Bretagna. Inoltre ha vinto il “Peter
Kent Conservation Book Award” e il “TES Junior Information Book
Award”. È autore di tredici libri su temi ambientali.
La sua ultima fatica, Un pianeta senz’acqua - Viaggio nella desertificazione
contemporanea (in Italia è pubblicato da “il Saggiatore”), è la cronaca di
un viaggio che ha toccato trenta nazioni del mondo per indagare i motivi della crisi idrica. Il suo non è stato un viaggio simbolico: ha navigato lungo il corso dei principali fiumi del mondo, attraversato laghi, pianure fertili o aride, visitato dighe e campi coltivati; ha parlato con agricoltori, tecnici, politici, funzionari, responsabili di progetti di ingegneria idrica. Così scopriamo che India, Cina e Pakistan, per irrigare le loro
colture, consumano da soli metà dell’acqua della terra; che i pozzi si
moltiplicano dappertutto; che la Libia, con 3.500 chilometri di tubi
grossi come gallerie della metropolitana, sta risucchiando l’acqua della
falda fossile sahariana, la più grande della terra, mentre le zone paludose africane, asiatiche o sudamericane, vengono bonificate e destinate all’agricoltura senza alcun criterio; che il Nilo in Egitto, il Fiume Giallo in
Cina, l’Indo in Pakistan, il Colorado e il Rio Grande negli Stati Uniti sono fiumi che si stanno trasformando in sabbia, a volte a centinaia di
chilometri dal mare.
«Prese una per una sono storie interessanti, ma nel loro insieme configurano qualcosa di peggio: una sorta di cataclisma si sta abbattendo
sui fiumi del pianeta». Seguendo questo itinerario acquistiamo la consapevolezza che le mappe dei nostri atlanti non corrispondono più alla
realtà, perchè i laghi e i mari interni stanno scomparendo, le falde sotterranee si svuotano e i fiumi si insabbiano prima di arrivare alla foce.
La conclusione a cui giunge Pearce è che stiamo andando incontro a
un grave deficit di risorse idriche. Si tratta di un fenomeno recente, in
rapida espansione e per lo più invisibile; questo problema, infatti, causato da un eccessivo prelievo e da un conseguente abbassamento del livello delle falde rispetto alle loro capacità rigenerative, non è immediatamente percettibile, a differenza degli incendi o della desertificazione,
e spesso si prende coscienza del problema quando i pozzi sono ormai
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prosciugati. Il deficit idrico globale è il frutto del recente aumento
(qualcuno parla di un triplicarsi), nell’ultimo mezzo secolo, della richiesta d’acqua e del rapido diffondersi in tutto il mondo di mezzi tecnologici - quali le potenti pompe diesel o elettriche - per raggiungere i giacimenti più profondi. Proprio la perforazione di milioni di nuovi pozzi
ha spinto il prelievo di acqua ben oltre la capacità di rigenerarsi di molte
falde acquifere. E il fallimento di molti governi, nel limitare il pompaggio (passando a un prelievo d’acqua sostenibile), ha portato all’attuale
abbassamento delle falde in numerosi Paesi, che avrà quale conseguenza che tra non molto (Pearce azzarda il 2025) tre miliardi di persone si
troveranno a fronteggiare siccità croniche e lo spettro di guerre per
l’acqua. E il rischio di trovarsi di fronte ad un vero e proprio dramma è
reso ancor più grave dal fatto che pochi se ne preoccupano davvero.
Ricapitolando, le cause di questa crisi idrica sono molteplici: fra queste gli sprechi, una serie di progetti ingegneristici sbagliati e le colture
ad alto rendimento, che - pur avendo salvato una generazione dalla carestia - stanno ora causando una progressiva desertificazione. Il titolo
del libro di Pearce non ammette sfumature, come la realtà che emerge
al termine della lettura di queste 400 densissime pagine (frutto di quasi
duemila giorni d’indagini): l’acqua a nostra disposizione si riduce rapidamente. Ne usiamo (o, meglio, ne sprechiamo) quantità sempre maggiori, e ne avremo sempre meno: la maggior parte dell’acqua dolce che
possiamo sfruttare proviene dai fiumi e ammonta, alla fine del ciclo, a
circa novemila chilometri cubi d’acqua. «Questa quantità equivale a
1.400 metri cubi all’anno per ogni abitante» - evidenzia Pearce. «Non è
poco» ma, aggiunge, «(…) ho calcolato che il mio fabbisogno di acqua
è compreso fra 1.500 e duemila metri cubi d’acqua. Immagino che anche al resto del pianeta farebbe piacere vivere come me, quindi abbiamo un problema».
L’acqua è l’elemento vitale per la sopravvivenza del nostro pianeta, e
la corretta gestione delle risorse idriche è la sfida principale del nuovo
millennio. Il nostro progressivo intervento sui cicli idrici ha creato una
crescente “appropriazione” dell’acqua per i nostri scopi (irrigazione,
agricoltura, industria, usi civici, ecc.), acqua che sottraiamo in sempre
maggiori quantità e della quale compromettiamo ulteriori usi a causa
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dell’inquinamento invasivo che ormai interessa pesantemente molti fiumi e laghi. Non sempre la risposta migliore alla scarsità d’acqua, all’attenuazione dei disastri e alla gestione dei rischi è lo sviluppo delle infrastrutture; ad esempio, le dighe sono oggi una tecnologia in declino.
Non solo, come sostiene Pearce, a causa di uno sbilanciato rapporto
costi/benefici, ma anche perché la loro costruzione è stata costellata di
errori ed episodi di corruzione, e la promessa di trattenere le rovinose
piene spesso disattesa. Schemi di infrastrutture elaborate, che mutano
in modo radicale l’ambiente acquatico, producono spesso più male che
bene, e sovente viene trascurato e sottovalutato il loro pesante e invasivo impatto ambientale.
Sarebbero invece le risposte non strutturali (la riforestazione o il risanamento delle zone umide) a fornire, nel lungo periodo, le alternative
più efficaci, anche da un punto di vista economico. Quindi la salvaguardia della salute degli ecosistemi deve essere considerata come un prerequisito - non un approccio competitivo - alla fornitura d’acqua e alle
esigenze sanitarie. L’acqua dolce deve essere gestita in modo armonico
con gli ecosistemi naturali, utilizzando e preservando i processi ecologici, che sono la fonte delle riserve dalle quali dipendiamo tutti. L’acqua
dolce, dopo tutto, è una risorsa naturale. Proprio le tecnologie a basso
costo, pratiche ed efficaci, saranno gli strumenti più importanti per
procurare acqua potabile e servizi igienici. In particolare Pearce sottolinea l’utilità della raccolta di acqua piovana con tecnologie diverse: sotterranei, cisterne per l’irrigazione nei campi, pozzi, bacini poco profondi, reti di canali e serbatoi.
Comunque, non si deve cadere nell’errore di ritenere che solo i Paesi
poveri o in via di sviluppo dovranno confrontarsi con le conseguenze
dell’emergenza idrica. Infatti anche i Paesi ricchi saranno toccati dalla
crisi mondiale dell’acqua: l’allarme arriva dal rapporto annuale del
WWF, pubblicato alla vigilia della Settimana mondiale delle risorse idriche (dal 20 al 26 agosto). In queste nazioni la crisi è generata dall’inquinamento e dalla cattiva gestione delle risorse. Nel rapporto vengono
esaminati i casi di due metropoli - Houston e Sydney - in cui il consumo di acqua è nettamente superiore al ritmo di ricostituzione delle riserve, mentre a Londra la cattiva rete di distribuzione porta alla disper-
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sione dell’equivalente di 300 piscine olimpioniche al giorno.
Per quello che riguarda i Paesi mediterranei, la crisi è acuita dal turismo di massa e dalla mancanza di una cultura per la conservazione delle risorse.
Il Giappone è un altro dei Paesi ricchi in cui il livello delle precipitazioni non è sufficiente e la contaminazione delle acque costituisce un
grave problema.
«I Paesi ricchi - si legge nel rapporto del WWF - devono attuare
cambiamenti drastici nelle loro politiche se vogliono evitare la crisi che
sta riguardando le nazioni più povere». «A livello retorico - si legge
sempre sul rapporto - nei paesi del “Primo mondo” è ormai generalmente accettato che l’acqua deve essere usata in maniera più efficiente.
Molti Paesi riconoscono che bisogna correre ai ripari per ridurre i danni inflitti al sistema idrico in passato. Tuttavia questo nella pratica spesso non è accaduto». Il WWF non si limita alle critiche: nel rapporto
vengono infatti evidenziate alcune iniziative per prevenire l’emergenza,
come bilanciare i consumi con la tutela dell’ambiente, cambiare radicalmente l’atteggiamento verso la “protezione” dell’acqua, riparare le infrastrutture obsolete, preservare i bacini idrici, diminuire la contaminazione dell’acqua e studiare di più i sistemi idrici.
Per concludere, volendo calare lo sguardo sulla specifica realtà italiana, si rivela un utilissimo strumento il volume Acqua Spa (Mondadori)
di Giuseppe Altamore, giornalista di Famiglia Cristiana. Si tratta di una
dettagliata inchiesta sul mondo dell’acqua e sui mille scandali che le
ruotano attorno: dalla presunta miglior qualità delle acque in bottiglia al
losco affare della privatizzazione delle risorse idriche. Questo coraggioso e documentato réportage svela gli enormi interessi economici e politici in gioco, ci fa viaggiare tra dighe incompiute e servizi idrici inefficienti o inaccessibili, ci insegna a leggere le etichette di “prodigiose” acque in bottiglia per svelarci che il vero prodigio l’hanno compiuto marketing e pubblicità nell’intercettare l’immaginario collettivo, manipolandolo con successo.
Quindi, alla fine di questo nostro percorso, appare sempre più evidente che per fronteggiare la prossima crisi idrica, oltre alle tecniche e
alle infrastrutture (perfezionabili), sarà inevitabile rivedere il nostro ap-
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proccio alle risorse di acqua, rimettendone in discussione il consumo
quotidiano, a livello sia di comportamenti e di scelte individuali, sia di
politiche e strategie di governo.
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