La tutela delle novità vegetali alla luce del dibattito sulle biotecnolo

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La tutela delle novità vegetali alla luce del dibattito sulle biotecnolo
La tutela delle novità vegetali alla luce del dibattito sulle biotecnologie: evoluzione storica e situazione attuale.
Dr.agr. Fiorenzo Gimelli
Funzionario tecnico - Istituto Regionale per la Floricoltura Via Carducci 12 - Sanremo .
Nel dibattito sulle biotecnologie che con troppo ritardo è uscito dalla ristretta cerchia degli
specialisti è sempre in ombra il problema della tutela della proprietà intellettuale ( e cioè dei diritti
conferiti agli inventori ) in una discussione
concentrata sugli aspetti economici , etici e
sull‟impatto sociale
Penso che questo sia un grosso limite e una grossa sottovalutazione del problema se pensiamo che a seconda delle regole che verranno definite in questo specifico campo si delineeranno gli
scenari futuri e verranno canalizzati gli investimenti.
Secondo i dati forniti da ASSOBIOTEC in occasione della indagine conoscitiva condotta
dalla Commisssione Agricoltura della Camera dei Deputati nel 1997 e derivanti da una inchiesta
condotta su oltre 700 imprese operanti in Europa (Sussex University 1997) , l‟80 % di queste considerano tra i fattori prioritari per decidere investimenti industriali in biotecnologia come verrà definita “la protezione della proprietà intellettuale” e questo é secondo solo alla “dimensione e flessibilità del mercato” e nettamente più importante rispetto ad altri quali “l ‟ atteggiamento dei consumatori” e “la disponibilità di capitali di rischio”.
Discutere di questi argomenti non è quindi né peregrino, né marginale, né scontato, né antiscientifico ma è affrontare i problemi alla radice .
Io vorrei limitare il mio intervento al campo vegetale con qualche accenno a quello animale
escludendo a priori quello umano che comporta problemi simili per alcuni aspetti ma altri specifici
soprattutto dal punto di vista etico.
Tra l‟altro come ci ricorda la già citata indagine in Europa i prodotti delle biotecnologie in
Europa riguarderanno l‟agricoltura e l‟alimentazione per una percentuale stimata nel 2005 tra il 63 e
il 70 % del totale a fronte di una percentuale nel 1995 del 55 % e un valore assoluto calcolato di 40
mld di Ecu . Il valore stimato totale dei prodotti biotecnologici a seconda dello scenario di sviluppo
(normale o veloce ) varia da 95 a 175 mld di Ecu su un totale di 150-250 .
Da questi pochi numeri che dimostrano l‟enormità degli interessi in gioco si capisce il perché di un dibattito così acceso soprattutto negli ultimi tempi.
Io penso che per comprendere bene i temi in discussione e formarsi una opinione sia necessario avere chiari i termini della questione e cioè come storicamente si sia evoluta la questione della
protezione della attività inventiva in agricoltura in rapporto alla più generale problematica connessa
alle invenzioni in campo industriale.
Nel settore industriale l‟esigenza di tutela e remunerazione degli inventori come incentivo
alla loro attività ,che comunque migliora le conoscenze acquisite con un vantaggio generale, è molto
antica. Anticamente i brevetti costituivano un “ favore concesso dal sovrano” (Litterae Patentes) e
permettevano al titolare di esercitare alcune attività commerciali in esclusiva (Mast 1987).
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Venezia è spesso citata per essere il luogo di nascita della prima legislazione brevettuale
(1474) e analogamente si ricordano i più recenti Statuti dei Monopoli promulgati in Inghilterra nel
1623/1624.
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Questo articolo si basa su una relazione svolta dall‟autore a Sanremo il 17/09/1998 in occasione
dell‟Incontro-Dibattito avente per tema “Biotecnologie in ortofloricoltura: protezione della proprietà intellettuale e sicurezza d‟uso delle piante transgeniche” organizzato dal gruppo di lavoro “Orticoltura e Floricoltura” della Società Italiana di Genetica Agraria.
L‟istituto del brevetto per invenzione come oggi lo conosciamo risale alla rivoluzione industriale e cioè agli ultimi 2 secoli.
Negli U.S.A. il concetto di protezione delle invenzioni mediante brevetto è addirittura nella
Costituzione del 1787 “ per promuovere il progresso delle scienze” . In Francia la sua istituzione si
ebbe con la Rivoluzione (1789-1791) mentre in Germania la Legge Imperiale sui Brevetti è del
1877.
La Convenzione Internazionale che istituisce una “Unione Internazionale per la Protezione
della proprietà intellettuale “ detta Convenzione d‟Unione di Parigi è del 1883 e, successivamente
riveduta ed integrata , è sostanzialmente in vigore ancora oggi.
I requisiti indispensabili per ottenere un “ brevetto per invenzione “(Utility patents),strumento classico di incentivazione dell‟attività inventiva “industriale” sono (Sena 87):
a) Novità. Viene definita in riferimento a ciò che non e‟ compreso nello stato della tecnica.
b) Non ovvietà (o originalità o attività inventiva) . Si considera frutto di attività inventiva ciò che non discende in modo evidente dallo stato della tecnica per un “ esperto della materia”.
c) Industrialità. Quando si ha suscettibilità di applicazione in campo industriale in senso
esteso (comprendente quindi anche l ‟ agricoltura).
d) Descrizione sufficiente . Deve essere tale per cui un esperto possa riprodurre
l‟invenzione.
I diritti conferiti dal brevetto sono quelli rivendicati nella domanda e possono estendersi al
procedimento, al prodotto, all‟uso. Si tratta quindi di un diritto esclusivo (monopolio temporaneo ) a
cui fa eccezione l‟attività sperimentale pura e semplice e che può essere limitato solo da licenza di
dipendenza normalmente a titolo oneroso o da licenza di diritto pubblico.
Per molti anni, in analogia, i costitutori di novità vegetali cercarono di ottenere forme di protezione che garantissero il compenso all‟attività migliorativa e ripagassero lo sforzo economico , ma
inutilmente (Anderlini e Bianchi 1990).
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Oltre alla difficoltà di adattare ad organismi viventi ed autoreplicanti una legislazione nata
nel settore meccanico con riferimento a congegni ben determinati (Ricolfi 92), non si desiderava favorire lo sviluppo di monopoli in relazione all‟approvvigionamento del cibo.
Per questo motivo negli U.S.A., primo paese che nel 1930 regolò questa materia con il Plant
Patent Act (PPA), le piante proteggibili mediante questa legge sono solo quelle a propagazione vegetativa con esclusione dei tuberi (es. patata e topinambur) e quindi praticamente di tutte quelle interessanti per la produzione di cibo (Mast 87).
Il diritto conferito da questa legge è quello di impedire a terzi la moltiplicazione vegetativa,
la commercializzazione e l‟uso della varietà descritta.
E‟ permessa una sola rivendicazione riferita alla varietà descritta ed è esclusa ogni rivendicazione rispetto al procedimento necessario per ottenerla o rivendicazioni cosiddette di sbarramento.
Al 1987 erano stati concessi più di 6.000 “plant patents” soprattutto per piante ornamentali e
fruttiferi.
Si tratta sicuramente di un “titolo di protezione” ma con notevoli eccezioni e limitazioni nei
diritti conferiti, nell‟oggetto stesso e nell‟accertamento dei requisiti .
L‟esempio degli USA fu seguito solo da pochi altri paesi (Cuba, Repubblica di Corea, Sud
Africa).
Negli altri Stati prima del 1960 la protezione delle nuove varietà vegetali era esclusa oppure
in alcuni come Italia, Francia, Belgio e Germania si ricadeva sotto la tutela del brevetto industriale o
del marchio di impresa con notevoli problemi ed incertezze dovute anche al fatto che è dottrina brevettuale consolidata che il diritto si esaurisce quanto il bene protetto è immesso sul mercato e qui si
parla di materiale che si autoriproduce.
In Italia in particolare il problema cominciò a porsi nel dopoguerra in quanto prima di allora
gli interessati erano quasi esclusivamente enti statali ( Anderlini e Bianchi 1990) .In assenza di
strumenti legislativi idonei i costitutori cercarono di trovare un aggancio ad una qualsiasi norma esistente.
I primi furono gli ibridatori della Riviera dei Fiori che promossero l „ istituzione presso la
Stazione Sperimentale di Floricoltura di Sanremo ( l‟attuale Istituto Sperimentale per la Floricoltura
) di un “Registro provinciale delle varietà orticole” sul quale iscrivere le nuove varietà, in loro legittimo possesso, di fiori o di altre piante riproducibili agamicamente cui intendevano dare carattere di
privativa. Una volta inclusa tale procedura nella “Pubblicazione ufficiale degli usi approvati ed accertati in provincia d‟Imperia della Camera di Commercio, Industria e Agricoltura”, essa acquistò il
significato di consuetudine giuridica .
I costitutori che si occupavano soprattutto di frumento e cereali , fecero ricorso principalmente alle disposizioni legislative in materia di brevetti per invenzioni industriali (R.D. 29 giugno
1939, n. 1127) o per marchi d‟impresa (R.D. 21 giugno1942, n. 929) , forme tuttavia giudicate in
più occasioni improprie alla specifica materia A anderlini e Bianchi 1990 ).
Vista l‟incertezza delle fonti normative , nel nostro paese e in particolare in provincia di Imperia vi furono moltissime cause e una accentuata conflittualità tra costitutori di varietà di garofano
e floricoltori (Gimelli 1990 e 92).
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Anni di sforzi da parte degli ottenitori e delle loro associazioni ebbero finalmente successo
arrivando alla Conferenza Diplomatica di Parigi (1957/1961) , da cui scaturì la Convenzione UPOV
(Unione per la protezione delle novità vegetali) (Lodi 1976 ).
Tale convenzione sarà parzialmente rivista nel 1972 e nel 1978 e in modo più consistente e
radicale nel 1991.
All‟inizio gli stati aderenti erano 8 (Repubblica Federale di Germania , Belgio , Italia ,
Francia , Olanda , Danimarca , Svizzera , Regno Unito ) . Oggi hanno aderito anche altri importanti
stati quali U.S.A. , Giappone , Israele , Nuova Zelanda , Svezia , Ungheria , Sud Africa ed altri pur
non entrando formalmente a farne parte adottano criteri analoghi.
In essa vengono stabilite le condizioni minime a cui ogni stato deve soddisfare per aderirvi e
sebbene le norme siano modellate sui principi della proprietà industriale sono stati introdotti i necessari adattamenti per rendere applicabile il sistema ad una “ invenzione “ rappresentata da materiale vivente che si riproduce da solo e la cui individuazione non è sempre agevole attraverso una
semplice descrizione .
La Convenzione molto specifica e dettagliata è applicabile a tutti i generi e specie botaniche
anche se i singoli Stati possono stabilire limitazioni sul loro territorio. Oggi in Italia le specie effettivamente proteggibili sono più di 120 .
Lo scopo è quello di assicurare un diritto all ‟ ottenitore di una nuova varietà vegetale mediante il rilascio di un titolo di protezione “sui generis” (Plant breeders‟ rights) che conferisce diritti
nettamente diversi rispetto al brevetto per invenzione (Utility patents ).
Questi si riferiscono alla nuova varietà in quanto tale e non al procedimento usato per ottenerla né agli usi di questa e proteggono la sola commercializzazione del materiale di riproduzione.
Ciò nasce dal fatto che in molti casi questo è sicuramente unico ed irrepetibile (es. incroci,
ecc.) anche se descrivibile nel senso previsto dal brevetto industriale. In questo ultimo caso mediante la conoscenza della descrizione un esperto può riprodurre l‟invenzione mentre nelle piante non è
possibile.
Il selezionatore ottiene una varietà che ha valore di per sè e che può autoriprodursi o può essere riprodotta indefinitamente a partire dal primo esemplare ottenuto. I terzi eventuali sono semmai
interessati a moltiplicare la varietà per scopi produttivi e commerciali e non a ripetere il procedimento messo in atto per ottenerla.
La nuova varietà per essere tale deve avere i seguenti requisiti ( Borrini 1991 ) :
1) Novità .
2) Distinzione (diversa da una preesistente per una o più caratteristiche e non come nel
campo industriale rappresentare un salto inventivo in rapporto allo " stato della tecnica ").
3) Stabilità ( nei suoi caratteri essenziali nel tempo ).
4) Omogenea nello spazio, tenuto conto delle particolarità che presenta il sistema di
moltiplicazione).
Ci sono importanti limiti ai diritti dei costitutori di novità vegetali e che caratterizzano questo istituto rispetto all‟istituto del del “brevetto per invenzione”:
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1)
Il cosiddetto “privilegio dell'agricoltore” (o esenzione agricola) in base al quale nessuna autorizzazione è richiesta per moltiplicare all'interno dell'azienda il materiale di propagazione
necessario alla coltivazione negli anni successivi al primo.
Questa pratica si ricollega al diritto fondamentale di poter disporre dei prodotti della terra a
cui si è sempre ispirato il diritto agricolo e quello immobiliare.
2)L‟autorizzazione dell‟ottenitore non è necessaria per l‟uso della varietà come fonte iniziale
di variazione al fine della creazione di altre varietà nè per la commercializzazione di queste ( Research Exemption o Princpio della libertà di selezione).
3)La protezione non si estende ai prodotti salvo eccezioni poste dai singoli stati (ad es. in
Italia per le piante ornamentali) .
4)La protezione viene accordata dopo un esame delle caratteristiche da parte di ogni singolo
Stato allo scopo di verificare se la nuova varietà goda dei requisiti richiesti (novità, distinzione, uniformità, stabilità).
Questi principi insieme all'obbligo (teorico) di soddisfare le esigenze del mercato rappresentano il punto di equilibrio tra diritti soggettivi e interessi collettivi e fanno da contraltare alla durata
della protezione (da 15 a 30 anni a seconda della specie) durante la quale il costitutore ha diritto alla
riscossione di una "royalty” da parte di chi utilizza le sue varietà protette.
L‟Italia ha provveduto alla ratifica della convenzione solo il 1° giugno 1977 (legge di ratifica
16.7.1974, n. 722 ; attuazione della normativa DPR 12.8.1975 n. 974 entrata in vigore il 23/10/1976
) e a differenza degli altri paesi ha chiamato in modo improprio " Brevetto per novità vegetali " il
titolo speciale di protezione conferito probabilmente per potersi avvalere della preesistente normativa sul brevetto industriale ma causando una infinita serie di inconvenienti ed equivoci .
Questa normativa è tuttora in vigore nel nostro paese senza sostanziali modifiche .
Sono interessati ,caso unico tra i paesi aderenti , due Ministeri , quello dell‟Agricoltura e
quello dell‟Iindustria e Commercio (Schiva 1987 e 89 , Anderlini e Bianchi 1990). Questo dal punto
di vista pratico causa moltissimi disagi e disorganizzazione generalizzata e rende il nostro paese inadempiente rispetto a quanto previsto dall ‟ art. 30(4) della Convenzione UPOV secondo il quale “
ciascuno stato membro è tenuto ad istituire un unico servizio speciale per le nuove varietà vegetali “
.
Quasi contemporaneamente all‟approvazione della convenzione UPOV, nel tentativo di procedere ad omogeneizzare le diverse legislazioni nazionali ed evitare discrepanze e contenziosi infiniti, esigenza sempre più pressante vista l‟evoluzione della tecnica e dei commerci , sono state discusse ed approvate due importanti convenzioni:
1.Sull‟unificazione di alcuni principi della legislazione sui brevetti di invenzione (Strasburgo, 27.11.1963).
2.Sulla concessione di brevetti europei ( European Patent Convention – EPC - Monaco,
5.10.1973).
Entrambe (art. 2 (b) Strasburgo, art. 53 (b) Monaco - EPC) escludono categoricamente la
concessione di brevetti per le varietà vegetali o le razze animali come pure per i procedimenti essenzialmente biologici per la costituzione di vegetali o animali . Tali disposizioni non si applicano
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ai procedimenti microbiologici e ai prodotti ottenuti mediante questi procedimenti per i quali esiste
una apposita normativa.
Negli USA, Paese che viene continuamente citato come modello nel dibattito sulle forme di
protezione industriale, nel 1970 viene adottato un sistema simile a quello previsto dalla normativa
UPOV (Plant Variety Protection Act - PVPA) , che interessa le piante escluse dal Plant Patent Act
del 1930 e cioè quelle a riproduzione sessuale con esclusione di funghi, batteri e ibridi.
I diritti conferiti sono sulla commercializzazione del materiale di propagazione ed é previsto il deposito del materiale di propagazione . Dal 1970 al 1987 sono stati concessi circa 4000 certificati di protezione di questo tipo .
Dall‟inizio degli anni 80 la situazione muta radicalmente con l‟avvento di nuove tecnologie
utilizzabili nel miglioramento genetico di piante ed animali (biotecnologie ) e soprattutto con
l‟entrata in campo di nuovi soggetti , le grandi compagnie agroindustriali , fino ad allora estranee al
settore ( Beier et al. 1985 ,Agrobiotec 1988 , NRLO 1985 ).
Sono gli U.S.A. il primo Paese dove la tradizionale riluttanza a brevettare forme viventi mediante brevetti per invenzione (utility patents) viene meno ed è utile un rapido cenno ai passaggi più
significativi e che determineranno il corso degli avvenimenti.
In questo Paese e in Giappone si é ritenuto di lasciare alla giurisprudenza il compito di adattare la legislazione brevettuale preesistente e non , come sta avvenendo in Europa , di procedere
per via legislativa(Ricolfi 1998).
Nel 1980 negli USA la Corte di Appello dei Brevetti (C.C.P.A.) , rigettando una decisione
avversa dell‟Ufficio Brevetti e Marchi (caso Diamond vs Chakrabarty), ammise per la prima volta la
concessione di un brevetto per invenzione e cioè “di tipo industriale” per organismi “ingegnerizzati” sentenziando che “da un punto di vista legale non c‟è differenza significativa tra una sostanza
chimica attiva classificata come “morta “ ed organismi usati per le loro reazioni chimiche che avvengono perché sono “vivi” . La vita é in larga parte chimica .” ( Hodgins 1987 ).
Tale sentenza fu confermata a maggioranza (5 a 4) dalla Corte Suprema degli Stati Uniti che
ben precisa come l‟unico criterio da seguire è solo quello dell‟intervento dell‟uomo rispetto al semplice prodotto di natura “ .. Il detentore del brevetto ha prodotto un nuovo batterio con marcate caratteristiche diverse da ogni altro presente in natura e avente la potenzialità per significativi utilizzi
.La sua scoperta non é un prodotto di natura ma fatta da lui .Quindi questa é materia brevettabile.
..” (Hodgins 1987).
Una decisione successiva molto importante (caso Hibberd, 1985) della Camera di Appello
dei Brevetti e dei Marchi stabilì ulteriormente che può essere protetta da “utility patents” qualsiasi
pianta che non rientra nel concetto di prodotto di natura e che il PPA e il PVPA non escludono ulteriori possibilità al richiedente(Hodgins 1987) . L‟ampiezza dei diritti concessi nei due brevetti Hibberd è enorme ; nel primo si rivendicano semi di mais aventi un contenuto endogeno di triptofano
libero superiore a 0,1 mg/g di peso secco e nel secondo addirittura semi di monocotiledoni aventi le
stesse caratteristiche.Ricordo che appartengono alle monocotiledoni i cerali e moltissime ornamentali.
Ci sono esempi più recenti di “utility patents” su “ tutte le piante di cotone transgeniche” e
su “tutte le piante di soia transgenica” . Questo ,insieme alla concessione di brevetti su processi base
, fa si che sarà sempre più difficile sviluppare nuove piante transgeniche senza “ violare “ un qualche brevetto precedente (Barton 1997) .
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Da questi semplici esempi si può capire perchè da parte di molti si preferisca questo tipo di
brevetto “utility patents” che ha un enorme valore potenziale di sbarramento rispetto ad un “plant
patents” o a un “Plant Breeders‟ Rights” che tutelano una singola varietà e non il procedimento per
ottenerla.
Per quanto riguarda le razze animali la protezione brevettuale in Europa è tassativamente
vietata dalle citate Convenzioni (Monaco e Strasburgo) anche perché non c‟è mai stato alcun interesse da parte dei selezionatori , a cui era più che sufficiente la proprietà dei riproduttori , a proporlo. A titolo di curiosità si può citare l‟Ungheria che aderisce alla convenzione UPOV e che ha esteso agli animali senza modifiche la normativa applicabile alle varietà vegetali ( Lodi 1976 ).
Negli U.S.A. a seguito del caso Chakrabarty nel 1987 (Hodgins 1987) è stata presentata una
domanda di brevetto industriale per ostriche poliploidi ottenute mediante congelamento di uova fertilizzate ( caso Allen) . La Camera d‟Appello dei Brevetti e dei Marchi , nel rifiutare la concessione
per altri motivi ,ha confermato che poteva rientrare nella sfera del brevettabile in quanto ottenute
dalla mano dell‟uomo.
Il 12 aprile 1988 è concesso il primo brevetto riguardante animali (US patent 4736866) . E‟
il famoso Oncomouse (o topo di Harvard), topo di laboratorio per lo studio dei tumori. Il titolo del
brevetto è “ Mammiferi non umani transgenici” e le rivendicazioni sono amplissime …” ogni
mammifero con sequenze oncogene ricombinanti attivate introdotte ad uno stadio embrionale .Il
mammifero transgenico preferito è un topo sensibile ai carcinomi (Hodgins 1987).
Nel nostro paese il primo brevetto relativo ad un mammifero transgenico , anch‟esso un topo
per lo studio dei tumori , é stato concesso il 3/12/1996 dall‟Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (brevetto n° 1.265.794 a nome dell‟Istituto P.Angeletti S.p.A. ) (Morelli Gradi 1997 ).
Per favorire l‟adesione degli USA, nella revisione della convenzione UPOV operata a Ginevra nel 1978, si ammette che per ogni genere o specie deve essere rilasciato un solo titolo di protezione ( o PBR o patent), salvo aver firmato una clausola di salvaguardia. Di questa si sono avvalsi
solo gli USA.
La Convenzione UPOV di Parigi del 1961 è stata modificata nel 1972 e 1978 ed integralmente rivista e modificata nel marzo del 1991 con un notevole rafforzamento dei diritti dei costitutori.
Quali sono le novità più profonde ?
Vi è la estensione della tutela a tutti i generi e specie superando una vecchia concezione protezionistica e questo è sicuramente positivo per tutti i soggetti interessati .
Viene ammessa la possibilità di una doppia tutela (Brevetto di tipo industriale e diritto del
costitutore), cosa già oggi possibile negli U.S.A. ma vietata , come abbiamo visto , in Italia e negli
altri paesi aderenti alla Convenzione sul Brevetto Europeo di Monaco del 1973.
Altre novità estremamente importanti nel nuovo testo che innovano profondamente rispetto
alle norme precedenti sono che l'esenzione del coltivatore é resa facoltativa ( art.15.2 ) ed è stato
introdotto il concetto di varietà essenzialmente derivata (art.14.5) in analogia all „ istituto del “ brevetto di miglioramento “ tipico del diritto industriale.
E‟ interessante la definizione che viene data per immaginarci l‟impatto di questa norma su
quello che era uno dei caposaldi della Convenzione Upov 61 e cioè “ la libertà di selezione” e quin-
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di sul miglioramento genetico vegetale. “...Si considera che una varietà è essenzialmente derivata da
un‟altra varietà < varietà iniziale > quando :
1) deriva principalmente dalla varietà iniziale , o da una varietà che a sua volta è principalmente derivata dalla varietà iniziale ,pur conservando le espressioni dei caratteri essenziali
che risultano dal genotipo o dalla combinazione di genotipi della varietà iniziale. …
Le varietà essenzialmente derivate possono essere ottenute,ad esempio , mediante selezione
di un mutante naturale indotto o da un variante somaclonale , mediante selezione di una variante individuale tra piante della varietà iniziale , mediante reincroci o mediante trasformazione attraverso
l‟ingegneria genetica. ..” (Art.14(5) ) .
Con l‟introduzione di questo nuovo istituto sarà quindi necessaria una l‟autorizzazione del
costitutore , per sfruttare commercialmente una varietà ottenuta in modo “essenzialmente derivato”
e il costitutore della varietà iniziale potrà subordinare la propria autorizzazione , sicuramente a titolo
oneroso e comunque discrezionale , a condizioni e limitazioni.
Ad oggi non si è ancora in grado di valutare l‟impatto di questa norma sulla ricerca varietale
in agricoltura essendo passato un periodo troppo breve dalla sua introduzione .
Faccio notare ,incidentalmente , che le varietà vegetali ( e le razze animali ) non si creano dal
nulla per generazione spontanea ma derivano tutte altre preesistenti e che parliamo di ciò che produce il cibo per l‟umanità.
Mi sembra che si vada oltre la giusta necessità di tutela dal plagio ( miglioramento cosmetico ) e credo si avrà una conflittualità giuridica infinita e che la ricerca varietale sarà più difficile e
più costosa soprattutto per le piccole compagnie indipendenti o per chi voglia iniziare questa attività con rischi di sbarramenti difficilmente superabili.
Una soluzione potrebbe essere trovata con l‟introduzione della “ licenza legale “ che comporta una limitazione del monopolio assoluto dell‟ottenitore della varietà iniziale che non potrà utilizzare il suo potere discrezionale o di sbarramento.
All‟ottenitore di una varietà derivata l‟autorizzazione sarà accordata automaticamente dietro
il pagamento di una royalty prefissata legislativamente (Ricolfi 92 e 95).
Il 1993 e il 1994 sono anni importanti nell‟evoluzione dei sistemi di protezione a livello internazionale.
Dopo una lunga e complessa sessione di discussione (Uraguay round) nell‟ambito
dell‟accordo che regola il Commercio Internazionale (GATT) con l‟obiettivo di uniformare le normative e ridurre gli ostacoli che si frappongono alla circolazione delle merci a livello mondiale sono
stipulati il 15/12/1993 gli accordi TRIPS( Agreement on Trade Related aspects of Intellectual Property rights ,including trade in counterfeit goods ) . Questi , tra l‟altro , all‟art. 27.3 affermano che:
“.... (gli stati).. membri ... possono escludere dalla brevettabilità piante ed animali ... e i processi essenzialmente biologici per la produzione di piante e di animali. …(gli stati)... membri possono
prevedere per la protezione di varietà di piante o di animali sia mediante brevetti (patents) sia mediante un efficace sistema sui generis o su una combinazione di entrambi….”.
In pratica quella che prima era la regola diventa una delle ipotesi alternative.
Viene inoltre affermato un punto importante ( art. 27.2) “(gli stati).. membri ... possono escludere dalla brevettabilità invenzioni …per proteggere l‟ordine pubblico o la moralità, includendo
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la protezione della vita dell ‟ uomo,delle piante o degli animali e per evitare seri pregiudizi
all‟ambiente … .
Questo articolo che è generalmente citato come il supporto giuridico internazionale alla
“brevettazione di piante ed animali” penso debba essere letto ed interpretato in modo meno unilaterale.
L‟anno successivo dopo un lunghissimo dibattito avvenuto a partire dal 1985 svoltosi con
pochissimo clamore, schiacciato dalla relativa enfasi che nel frattempo ha assunto la discussione
sulla “Direttiva Comunitaria” relativa alla “protezione giuridica delle inversione biotecnologiche”
viene approvato il Regolamento del Consiglio CEE del 27.06.1994 n. 2100/94 avente per titolo
“PRIVATIVA COMUNITARIA PER RITROVATI VEGETALI” .
Questo regolamento , che in quanto tale ha immediatamente forza di legge , si applica su
tutto il territorio della Unione Europea a far data dal 27.4.95 . Esso rappresenta un ulteriore passo
nel processo di unificazione del diritto di proprietà industriale nel Mercato Interno della Comunità,
aggiungendosi all'accordo sul brevetto comunitario e al Regolamento sul marchio comunitario (De
Benedetti e Borrini 1994).
Il testo finale prodotto , come é evidente , ha una precisa collocazione storica all‟interno del
dibattito e contiene alcuni concetti chiave .
Tra questi i più importanti sono i seguenti:
a) riconoscimento dei problemi specifici di un sistema di protezione di entità "biologiche",
quali le varietà vegetali, che comporta la definizione precisa del concetto di varietà;
b) opportunità di offrire al titolare della privativa comunitaria una tutela più ampia di quella
tradizionalmente concessa dalla privativa sulle novità vegetali, senza che la protezione divenga eccessiva per non incidere sui meccanismi complessi che governano tradizionalmente il mondo agricolo;
c) necessità di armonizzazione con altri sistemi di proprietà industriale, primo tra tutti quello
dei brevetti di invenzione industriale, e con il complesso quadro normativo internazionale che include, oltre alla Convenzione UPOV, la Convenzione sul Brevetto Europeo nonché gli accordi
TRIPS conclusi nell'ambito del GATT.
Il Regolamento stabilisce un sistema di concessione "di privativa comunitaria per ritrovati
vegetali". Si tratta di un titolo “sui generis” con cui si tende ad escludere, che nel caso di novità vegetali si possa comunque parlare di brevetto, anche sotto forma di una fattispecie particolare di brevetto(De Benedetti e Borrini 1994).
La privativa comunitaria per ritrovati vegetali è stabilita quale "unica forma di proprietà industriale comunitaria per quanto riguarda le varietà vegetali" .Tale articolo si collega alla norma
dell'articolo 92, paragrafo 1, nella quale si afferma che ogni varietà oggetto di una privativa comunitaria non deve essere oggetto di un brevetto e qualsiasi diritto concesso contrariamente a tale disposto è inefficace.
Essenzialmente introduce le novità contenute nella Convenzione UPOV come modificata
nel 1991 estendendole a tutti i paesi della U.E.
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a)Mantiene il divieto di doppia protezione “ …mette in atto il divieto di rilasciare brevetti
per le novità vegetali unicamente nella misura in cui la C.B.E. lo preveda , relativamente alle varietà vegetali in quanto tali. “
b) Estende la tutela a tutti i generi e le specie nonché ai prodotti del raccolto (qualora questi
provengano da moltiplicazione illegale) e permette con una unica domanda per ogni nuova varietà
di ottenere una protezione omogenea in tutti i paesi della Unione Europea.
c)Introduce il concetto di varietà essenzialmente derivata che come abbiamo visto somiglia
all‟ istituto del brevetto di miglioramento.
d)Riduce l‟ampiezza del privilegio dell‟agricoltore (farmers‟ exemption)rendendolo una eccezione limitata ad alcuna specie di grande importanza economica ed alimentare : 1) Foraggere 2)
Patate3) Piante da olio . E‟ mantenuto gratuito solo per i “piccoli agricoltori” mentre per tutti gli altri é a titolo oneroso (Gimelli 1997).
Questo è molto schematicamente il quadro giuridico-normativo di riferimento allo stadio attuale per la protezione delle novità vegetali ( e razze animali).
Cosa sta succedendo oggi nel nostro paese ?
La legge attualmente in vigore si basa naturalmente sulle norme della Convenzione UPOV
come modificata nel 1978 e l‟applicazione della revisione del 1991 a sette anni e mezzo di distanza
non è stata ancora fatta .Tra l‟altro con la ratifica da parte di 5 stati é entrata definitivamente in vigore nel 1997.
A quanto risulta era stato predisposto un articolato di legge dai ministeri interessati (
M.I.P.A. e Ministero Industria e Commercio) nel gennaio 1995 dopodiché non si è avuta più nessuna notizia fino alla primavera di quest‟anno quando il 20/04/1998 è stata pubblicata sulla G.U. la
Legge 23/03/1998 n°110 avente per titolo “ Ratifica ed esecuzione della Convenzione Internazionale per la protezione dei ritrovati vegetali ,adottata a Parigi il 02/12/1961 e riveduta a Ginevra il
10/11/1972 , il 23/10/1978 ed il 19/03/1991.” L‟art. 3 contiene la delega al governo a provvedere
all‟adeguamento della legislazione interna entro 6 mesi (21 ottobre se non erro ) .
Visto che ci sono margini di discrezionalità anche piuttosto ampi e perplessità sollevate da
molti soggetti sulla bozza del 95 cosa si pensa di fare?
Ci sarà un minimo di discussione o avverranno solo mediazioni tra Ministeri con qualsiasi
esclusione degli interessati , produttori agricoli e costitutori di varietà ?
Staremo a vedere i prossimi eventi ; nel frattempo siamo di fronte ad una situazione paradossale percui praticamente oggi un costitutore di varietà può chiedere una protezione nazionale che
rifacendosi all‟UPOV del 1961 si basa su determinati presupposti o richiedere una privativa comunitaria che basandosi , come abbiamo visto , su UPOV 91 conferisce diritti nettamente diversi .
Cio‟ ingenera confusione ed é difficilmente accettabile in un settore, quello della costituzione di nuove varietà vegetali, considerato ovunque salvo che nel nostro paese strategico .
Questo mentre la struttura burocratica é debole e quella tecnica responsabile delle prove varietali , decentrata sul territorio , é poco funzionale.
Nel frattempo dopo un iter lunghissimo durato più di 10 anni (Borrini 1990 , Buiatti et al.
1991 , Ghidini e Hassan 1990 , Nardone 1997 , Ricolfi 92-95-97-98 , Llewelyn 1989 e 1997), segnato da uno scontro molto duro dopo una prima “storica “ bocciatura il 1° marzo 1995 è stata approva10
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ta dal Parlamento Europeo ,il 13 maggio 1998 ,a grande maggioranza una “Direttiva relativa alla
protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche".
E‟ stata la seconda volta nella sua storia che il Parlamento Europeo ha rigettato una posizione comune della Commissione e del Consiglio (Ricolfi 1998 ) .
Quella approvata ha enormi connessioni con la materia che stiamo trattando in quanto va a
regolare “le invenzioni “ in un settore ,le biotecnologie, che avranno un impatto sempre maggiore
nel comparto agroindustriale e alla luce dei contenuti rende ulteriormente più complesso il quadro
della situazione .
Le considerazioni che muovono questa direttiva sono prevalentemente di ordine economico :
a)la necessità di armonizzare la legislazione di paesi diversi
b)la garanzia di titoli di protezioni molto ampi per favorire il rientro dei notevoli capitali
impegnati.
c)il rischio di avere uno sviluppo inferiore a quello di paesi concorrenti come U.S.A. e
Giappone.
e)la necessità di incentivare l'attività innovativa.
In pratica si estende il sistema di brevettazione per invenzione “di tipo industriale” (Utility
patents ) a piante ed animali ingegnerizzati e si 'introduce il brevetto di procedimento e d‟uso considerando del tutto inadeguato "il diritto del costitutore “ e insufficiente la tutela data allo sforzo economico fatto in questo campo dai grandi gruppi industriali.
Sembra che l‟attenzione del mondo politico europeo sia stata tutta presa da una logica economicistica che ha giudicato importanti soprattutto la rincorsa della disciplina U.S.A. e Giapponese e forse meno lo spirito del Trattato di Roma istitutivo della Comunità che considera tra i suoi
obiettivi prioritari uno sviluppo armonioso delle attività economiche e l‟efficienza concorrenziale
solo come uno degli strumenti idonei per il raggiungimento di tali fini e non una finalità in quanto
tale. (Ricolfi 92 e ,98,Llewelyn 89 e 97 )
L‟art.1.1 stabilisce che “ Gli stati membri proteggono le invenzioni biotecnologiche tramite
il diritto nazionale dei brevetti . … “ e l ‟ art .3.1 “ …sono brevettabili le invenzioni nuove che
comportino un‟attività inventiva e siano suscettibili di applicazione industriale , anche se hanno ad
oggetto un prodotto consistente in materiale biologico o che lo contiene …”.
Voglio solo ricordare che su questo impianto l‟Italia, a livello di Consiglio dei Ministri d‟
Europa , si è astenuta , mentre 2 paesi non secondari come Olanda e Belgio hanno votato contro .
Il mondo politico italiano ha mostrato una maggiore sensibilità su questi aspetti .
Dopo una indagine conoscitiva condotta nel 1997 nella relazione conclusiva della Commissione XIII della Camera (Agricoltura) approvata all‟unanimità veniva tra l‟altro affermato :” …..si
ritiene discutibile … il postulato di fondo posto a base della legislazione internazionale sulla brevettabilità della materia vivente , e cioè sulla assimilazione della stessa a cose inanimate . Non è pensabile che l‟unico modo per proteggere la proprietà intellettuale nel campo biotecnologico sia quella
di annulllare la specificità della materia vivente per assimilarla a cose inanimate.”
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In modo analogo si è espresso il Senato della Repubblica il 10/3/1998 in un ordine del giorno in cui invitava il governo ad adoperarsi per invitare la Commissione europea ad elaborare una
nuova proposta.
Speriamo che almeno nel nostro paese ci siano margini per discutere evitando la ridicola
contrapposizione che si è artificiosamente voluta creare in questi ultimi mesi da parte di molti che
,senza mai essersi occupati prima del problema , hanno tacciato di oscurantismo e di negatore del
progresso chiunque osasse discutere “nel merito” di regole da applicare alle biotecnologie .Tra
l‟altro non è detto che esperti biotecnologi lo siano altrettanto nei sistemi di tutela della proprietà
intellettuale.
Come ho cercato di dimostrare non è vero che non esistano sistemi per la protezione della
proprietà intellettuale in agricoltura . Ci sono ,specifici e in continuo e dinamico sviluppo noti
,accettati e condivisi dal mondo agricolo anche se discutibili nella loro evoluzione più recente.
L‟errore radicale (Llewelyn 97) è quello di voler imporre uno strumento come il “ brevetto
per invenzione “ industriale (Utility patents ) estraneo al mondo agricolo e alle sue pratiche ma funzionale agli enormi interessi delle grosse industrie agroalimentari coinvolte.
Per quanto detto finora l‟approccio dovrebbe essere radicalmente alternativo mantenendo
loro specificità i “titoli speciali di protezione” o titoli “sui generis “ ( Plant Breeders‟ Right ) semmai da affinare ulteriormente alla luce dello sviluppo della tecnica (biotecnologie) .
Questi si adattano sempre meglio alle piante e agli animali superiori dei brevetti per invenzione industriale (patents) che come abbiamo visto sono molto più “datati” dei precedenti risalendo nella loro impostazione alla fine del 1800.
E' evidente che occorre un aggiornamento della legislazione sicuramente datata ma è necessario che questo avvenga coinvolgendo tutti i soggetti interessati ( agricoltori e loro associazioni ,
costitutori di varieta‟ , rappresentanti di ditte agroindustriali e biotecnologiche , scienziati e perché
no consumatori ) e tenendo ben conto di tutti gli interessi anche se spesso appaiono contrapposti .
Gli interlocutori non possono essere solo i rappresentanti della proprietà industriale che fanno attività di “ lobby “ , i costitutori delle varietà che , a mio parere , hanno tutto da perdere da una
protezione di tipo Brevettuale in senso proprio e , episodicamente , qualche ambientalista “fondamentalista”.
E‟ necessario avere ben chiaro che cosa potrà accadere quando i diversi sistemi di protezione
saranno a regime cercando di prefigurare gli scenari futuri , le loro eventuali sovrapposizioni , i diritti conferiti e il vantaggio che può derivare dall‟uno e dall‟altro ai diversi soggetti coinvolti e alla
collettività tutta in termini di produzione, di competitività e di concorrenza sui mercati nazionali ed
internazionali e di miglioramento delle condizioni di vita di popolazioni intere (Nardone 97 e Ricolfi 98 ).
Il rischio è quello che un giurista tedesco (Mast 87), ha definito con un'immagine molto azzeccata " darwinismo giuridico "e cioè lasciando coesistere due sistemi giuridici senza delimitarne
esattamente la sfera di intervento il più forte finisce per prevalere .
Purtroppo oggi con un quadro di regole che si va sempre più definendo i margini di discussione sono sempre di meno . Una grossa occasione é però rappresentata dalla legge nazionale di
conversione della Direttiva Comunitaria che dovrà essere predisposta nei prossimi due anni .
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Spero che i diversi soggetti che ho ricordato prima e soprattutto la comunità scientifica da
una parte ed il mondo agricolo dall‟altra ,spesso troppo distratti su queste tematiche , comincino a
porre profonda attenzione.
Da una parte ci si dovrebbe interrogare sulla funzione della ricerca , soprattutto pubblica , e
dall‟altra sullo sviluppo dell‟agricoltura e sulle ricadute che queste nuove norme avranno sulla produzione del cibo per l‟umanità.
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