Untitled - Rizzoli Libri

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Untitled - Rizzoli Libri
Proprietà letteraria riservata
Copyright © 2013 by David Dalglish
This edition published by arrangement with
Little, Brown and Company, New York, New York, USA.
All rights reserved.
© 2015 RCS Libri S.p.A., Milano
ISBN 978-88-915-1639-8
Titolo originale dell’opera:
A DANCE OF MIRRORS. SHADOWDANCE: BOOK 3
Prima edizione Fabbri Editori: luglio 2015
Realizzazione editoriale: Librofficina, Roma
La danza dei mantelli
Nel quinto volume di Shadowdance
La danza degli specchi
La città di Angelport non vive giorni di pace. Le relazioni con il popolo
degli elfi sono peggiorate, e già soffiano i venti di una guerra che avrebbe
esiti terribili. All’interno delle mura cittadine, i Lord mercanti, desiderosi
di soppiantare il rappresentante del Triumvirato, Laurie Keenan, hanno in­
gaggiato una lotta per il potere fatta di intrighi, sotterfugi, cospirazioni. E
da qualche tempo un misterioso assassino sembra essersi materializzato tra i
palazzi dei nobili e i vicoli del porto: si fa chiamare Fantasma, e il suo simbo­
lo è un occhio spalancato, tracciato con il sangue delle vittime…
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“Che cosa sta succedendo alla mia città, in nome di Karak?”
si domandava Ingram mentre prendeva posto sulla poltrona
a lui riservata nella grande sala riunioni della sua residenza,
in attesa che gli altri ospiti lo raggiungessero. Egar era seduto
accanto a lui. Avevano mentito di proposito a Yor sull’orario
della riunione, in modo che arrivasse in ritardo.
«La resistenza opposta da Laurie ai tuoi uomini è un pre­
cedente pericoloso» disse Egar, prendendo un frutto dalla
ciotola che un servo aveva posato tra lui e Ingram.
«Già, adesso però è morto» rispose Ingram. «È un bene sa­
pere che almeno uno degli dèi possiede il senso della giustizia.»
«C’è ancora la questione di sua moglie, e se stia o meno
nascondendo il Guardiano. Se le masse cominciassero a pen­
sare che non hai più il pieno controllo della situazione…»
«Basta così» lo interruppe Ingram, sollevando una mano.
«Ho un’altra serie di impiccagioni, stasera, e tutto per stanare
quel bastardo. Non ho mai avuto una scusa tanto perfetta per
svuotare le mie segrete, dopotutto. Quei corpi che penzoleran­
no col cappio al collo saranno suffcienti, il popolo saprà chi è
che comanda questa città.»
«Ma dovresti comunque fare pressioni su Madelyn perché
ti consegni il Guardiano, o almeno perché permetta un’ispe­
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zione in casa sua. È già abbastanza oltraggioso che il prigionie­
ro sia evaso, per non parlare del Fantasma che ti sfda aperta­
mente.»
«Ho detto basta!» ruggì Ingram. «Credi che sia uno stupi­
do? I traditori danno alloggio agli elf, i mercenari accettano
denaro per combattere contro di me, un vigilante sfda aperta­
mente il mio dominio, e sembra che ogni giorno un nuovo Lord
o una nuova Lady muoiano nel loro letto. La cosa peggiore è
che non posso mandare i miei stramaledetti soldati contro nes­
suno di loro. Troppo codardi, tutti quanti. Almeno gli elf
hanno la cortesia di ammettere che sono loro a uccidere chi dei
nostri oltrepassa i confni delle loro maledette foreste.»
Prese un bicchiere di liquore per calmarsi. Dopo averlo
buttato giù, lo porse a un servo perché lo riempisse di nuovo.
In quel momento arrivò il primo degli ospiti, e non era la per­
sona che Ingram si aspettava.
«Lady Madelyn» salutò Ingram, alzandosi. «Voi mi sor­
prendete.»
Madelyn chinò il capo in segno di saluto. Indossava gli abiti
scuri del lutto, ma il suo volto era scoperto, e mostrava persino
una traccia di belletto. La lunga coda di cavallo era avviluppa­
ta a una serie di collane. A scortarla c’era un mercenario dalla
corporatura massiccia, con muscoli enormi e una spada altret­
tanto impressionante assicurata nel fodero sulla schiena.
«Ci sarà tempo per il dolore, ma non ora» esordì Madelyn,
prendendo una sedia. Il mercenario rimase in piedi dietro di lei.
«Preferirei che tutte le armi venissero lasciate fuori dalla
sala» disse Egar, inarcando un sopracciglio.
«Considerati gli ultimi eventi, non mi reco da nessuna parte
se non c’è Torgar con me a badare alla mia incolumità.»
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Ingram lasciò correre, c’erano cose più importanti di cui
discutere.
«Sono più sorpreso della vostra presenza, considerato…
l’atteggiamento aggressivo nei confronti della mia indagine»
riprese, sedendosi a sua volta.
«Una circostanza assai spiacevole, vi assicuro. In effetti, que­
sto è uno dei motivi per cui devo parlarvi. In realtà il Guardiano
è venuto da noi in cerca di aiuto, ma non si trova più a casa mia.
Alyssa Gemcroft è la persona che l’ha portato qui da Veldaren,
ed è stata la sua mercenaria a farlo evadere dalle vostre prigioni.»
«È vero ciò che dite?» domandò Ingram. Il suo cuore aveva
accelerato i battiti. Uno dei capi del Triumvirato che aiutava
apertamente un criminale ricercato? Poteva esserci un pretesto
migliore per far abbassare la cresta a quegli egoisti bastardi?
«Allora dovete consegnarmela subito.»
«Lo farei, ma è fuggita eludendo la sorveglianza delle mie
guardie, e non so dove si nasconda…»
«Milord, Laryssa e la sua scorta» annunciò un servitore alla
porta, un istante prima che gli elf entrassero. Questa volta né
Ingram né Egar fecero il gesto di alzarsi, poiché entrambi si
erano stancati di trattare gli elf con tanta dignità. Soltanto
Madelyn ebbe questa accortezza, riducendo la sua riverenza
allo stretto necessario.
«Benvenuti» li accolse Ingram in tono gelido. «Siamo felici
ancora una volta di essere in vostra compagnia.»
«Lo stesso vale per noi» replicò Laryssa, senza dubbio men­
tendo a sua volta. Si sedettero, l’ambasciatore Graeven alla
sinistra della principessa e Sildur alla sua destra. A Ingram,
Graeven piaceva, in un certo senso. Quell’elfo sembrava in
grado di ragionare, ogni tanto. Sildur, d’altro canto, sembrava
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pronto alla guerra a ogni parola che pronunciava, e solo La­
ryssa poteva tenerlo a bada. Dietro di loro c’erano le guardie
del corpo, con elaborati pugnali appesi alle cinture. Ingram
tentò di scacciare dalla mente la faccenda del Guardiano. A
fne riunione, avrebbe potuto interrogare Madelyn per saper­
ne di più sul coinvolgimento di Alyssa, e avrebbe tentato di
scoprire dove i fuggiaschi si fossero nascosti.
Gli elf avevano appena preso posto quando fece il suo in­
gresso Ulrich, in rappresentanza dei Lord Mercanti. Solo che,
questa volta, era accompagnato da suo fratello, evento piutto­
sto sorprendente. I due si inchinarono mentre un servitore
annunciava il loro arrivo, quindi si sedettero al lungo tavolo,
di fronte alla delegazione degli elf. Ingram rivolse loro lo stes­
so saluto freddo e distaccato che aveva riservato agli ospiti
precedenti. Gli elf un giorno se ne sarebbero tornati a casa e
avrebbero lasciato in pace la sua città. Lo stesso, purtroppo,
non poteva dirsi dei fratelli Blackwater.
«Parlate per conto di vostro marito?» domandò Laryssa,
notando la presenza di Madelyn.
«Mio marito è morto» rispose lei. «Parlo a mio nome.»
«Le mie scuse» si affrettò a replicare Laryssa. «Ne sono
dispiaciuta.»
«Così come lo siamo noi» si inserì Ulrich, mentre Yor f­
nalmente arrivava nella sala, prendendo posto alla sinistra di
Ingram. «Un vero peccato, ma sono lieto di vedere che voi
siete in forze.»
Ingram ignorò l’evidente presa in giro nelle parole di Ulrich.
Erano tutti presenti tranne Alyssa e, tenuto conto di quanto
gli aveva appena riferito Madelyn, Ingram dubitava che avreb­
be presenziato al resto dei negoziati.
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«Grazie per essere venuti, grazie a tutti voi» esordì, alzan­
dosi in piedi. Gli altri tacquero. «Per cominciare, vorrei con­
dividere con voi le tristi notizie che ho ricevuto da un messag­
gero questa mattina. Due giorni fa, un gruppo di ventitré ta­
glialegna del villaggio di Redgrove è stato assalito, i loro corpi
traftti da frecce e scaricati al limitare del villaggio. Ventitré.
Spero che tutti voi comprendiate la collera che ho provato
nell’apprendere di una simile strage.»
«Abbiamo chiarito a tutti gli abitanti dei villaggi i rischi che
corrono mettendo piede nelle nostre terre» disse Sildur, inter­
rompendo l’ambasciatore che aveva cominciato a scusarsi. «Se
ciò che dite corrisponde al vero, allora quegli umani non de­
vono biasimare altri che loro stessi.»
«Esatto, prendersela con se stessi per le frecce confccate
nei loro corpi, che sono sicuro abbiano scagliato da soli» disse
Egar, alzando gli occhi al cielo con fare teatrale. «Il legname è
l’unico mezzo di sostentamento per quella gente, dopotutto,
quindi se viene a mancare tanto vale che si tolgano la vita.»
«Vi rivolgete a noi come se fossimo dei macellai» disse Grae­
ven. «Siamo una nazione sovrana, e abbiamo facoltà di proteg­
gere i nostri confni. Voi umani avete fatto lo stesso, in passato.»
«Soltanto in tempo di guerra» precisò Yor. Le sue parole
fecero calare una cappa oscura su tutto il tavolo.
«Non siamo venuti qui per questo motivo» prese la parola
Laryssa, raddrizzandosi sulla poltrona. «Desideriamo evitare
un confitto di simili proporzioni, altrimenti saremmo rimasti
a Quellassar. Non è nostra intenzione provocare dissapori né
inquietudine nella vostra città.»
«Vedremo che genere di inquietudine causerete quando la
notizia della morte di quei ventitré taglialegna si sarà diffusa
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