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Alberto Di Vita
09/12/2016
Nell’arco della stagione c’è sempre una partita che ti dici “sarebbe meglio non giocarla”. Almeno
una: che si tratti dell’avversario fortissimo, di una partita in utile, di quelle che ti portano in dono
qualche infortunio serio e magari contano niente…
Ci sono quei rari, rarissimi casi, in cui sarebbe meglio non giocare perché il sapore di beffa che
rimane è talmente forte da diventare disgusto nel breve volgere di pochi minuti.
La classifica del girone di Europa League dell’Inter recita così:
Ebbene sì, la tanto vituperata Inter di Europa League rimane fuori dal turno successivo a causa di
una sola partita, non di più. Questo anche per ribadirlo a quei soloni che, dopo l’ultima sconfitta
contro il Beer Sheva, sentenziavano: “Eh, hanno mollato perché comunque la qualificazione era
ormai un miraggio”. E andrebbe ricordato anche a quei calciatori che, sia mai, potrebbero averlo
pensato anche solo per un minuto.
Perché il calcio è fatto così: nonostante una sua logica di massima, talvolta anche spietata, sa essere
imprevedibile e incalcolabile. E allora quello che sembrava il miracolo più improbabile, ovvero che
l’Hapoel uscisse indenne dallo scontro contro il Tottenham (e, perdio, addirittura in pareggio!), si è
avverato, lasciando rimasticare all’Inter il senso amaro di una campagna iniziata, gestita e condotta
malissimo: probabilmente il punto più basso della storia europea nerazzurra. Lasciato soprattutto ai
tifosi.
Cero, probabilmente non tutti. Allo stadio pochissima gente, a riesumare un record negativo che nel
2013 aveva un senso:
A San Siro per Inter-Sparta Praga presenti 14.856 spettatori: mai così pochi dai 12.714 di
Inter-Trapani del 4 dicembre 2013
— Matteo Spaziante (@MatteoSpaziante) 8 dicembre 2016
La Curva completamente vuota, fatta eccezione per gli steward, sulla quale campeggiava uno
striscione di protesta:
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Cartellone che, certo, stride un po’ con l’altro esposto fieramente nei momenti migliori:
Ma tant’è, la protesta, questa, rispetto ad altre del passato anche recente è più legittima e
comprensibile. Forse un po’ meno comprensibile, se è vero quanto viene riportato da alcuni allo
stadio, che la curva è stata letteralmente chiusa ed è stato impedito l’accesso a chiunque: tutti
reindirizzati negli altri settori.
Importa poco, anche se certe dimostrazioni credo andavano fatte prima e in altri contesti, ma
soprattutto con bersagli precisi, perché qui va a finire che tutti sono sul banco degli imputati, perché
tutti sono uguali, tranne quelli che sono più… “uguali di tutti”, per rispolverare il buon Orwell.
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COSA RIMANE DELLA PARTITA?
Nonostante sia una partita che regala quasi nulla per il futuro a breve termine, rimangono
comunque delle indicazioni che si possono rivelare utili.
Anzitutto il ritorno di Andreolli, premiato (giustamente) anche con la fascia di capitano. Una partita
dignitosa, con buoni spunti e un clamoroso errore (il rigore): ma, visti i tempi magri con le amnesie
di Murillo e il drastico calo di Miranda, nonché la storica inaffidabilità di Ranocchia, può certamente
essere un rientro importante, anche perché dietro si è sempre troppo pochi e Medel, sapete come la
penso, non è e non può essere la soluzione.
Pioli ha schierato una difesa a 3, con Andreolli, Ranocchia e Murillo, sugli esterni Miangue e
Biabiany. In fase di possesso è stata chiaramente una difesa a 3, mentre in fase di ripiegamento,
soprattutto se i ritmi si abbassavano, Miangue scalava nella sua naturale posizione di terzino,
Andreolli spesso si allargava a destra, rendendola chiaramente una difesa a 4, talvolta a 5 con il
rientro anche di Biabiany.
L’Inter non ha corso grandi rischi, ma non certo per la difesa a 3 né per lo schermo più avanti,
composto da Melo e da Ansaldi, che ha giocato per l’indisponibilità di Gnoukouri. Il problema
sostanziale è che lo Sparta, al di là degli uomini in campo, era letteralmente in villeggiatura: gli è
bastato spingere un paio di volte, per un quarto d’ora (dal 53esimo al 68esimo), per mettere la
squadra nerazzurra in seria difficoltà, accentuata inevitabilmente dalla solita benzina che finisce.
È arrivato il gol (al primo tiro: l’Inter subisce non appena l’avversario ne ha voglia, insomma, anche
se è in villeggiatura), il rigore e un paio di azioni pericolose, a dimostrazione che un difensore in più
o in meno (in questo caso 2) non cambiano l’ordine dell’universo caotico dell’imprevedibilità
nerazzurra: contano soprattutto la disposizione a metà campo e l’atteggiamento complessivo, inteso
non solo come baricentro basso o alto, ma anche come unità di intenti, squadra corta e distanze
adeguate al pressing che si porta nelle fasi di gioco.
Per la partita col Genoa rimane poco, se non la prova di Andreolli, ma soprattutto quella di Miangue.
Quello che sta accadendo quest’anno col calciatore belga è il secondo mistero della Fatima
nerazzurra: si piazza giusto dietro a Gabigol (che così mistero non è, ma si sta cercando di
proteggere l’investimento).
Il ragazzo si diceva essere stato scartato da Mancini, si era persino provato a cederlo salvo poi
fermare tutto perché De Boer voleva provarlo. D’altra parte, il ragazzo è sempre stato al centro delle
attenzioni di club europei, in primis l’Arsenal, e fino a qualche tempo fa si vociferava di City, per via
dei buoni uffici di Kompany (anche lui belga di origine congolese), di Liegi, Besiktas e altri.
Dopo aver giocato qualche partita e avere mostrato che in questa squadra può starci eccome (da
sottolineare come nessuna, nessuna, NESSUNA delle alternative dia più garanzie), è sparito dai
radar per riesumare Santon e l’immarcescibile Nagatomo. Fa il paio anche con la stranezza di
vedere in campo Kondogbia, che offre una copertura centrale ridicola, e fuori (almeno) uno tra Joao
Mario e Banega.
Insomma, stranezze che danno tutta l’impressione che la squadra c’entri poco e rientrano in qualche
disegno di chissà chi all’interno della società. Che, adesso, se ci fosse una logica in questa squadra,
se avesse un senso l’idea di “programmazione”, il primo passo sarebbe proprio quello di inserire in
pianta stabile Miangue, costi quello che costi.
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Così come potrebbe essere interessante capire da gennaio se Pinamonti potrà essere integrato in
squadra o meno, anche se scommettiamo di no, vista l’idiosincrasia del calcio italiano alla
scommessa vera nei confronti dei giovani, e l’Inter non fa eccezione, anzi. Il ragazzo ha dimostrato di
avere qualità, ottimo controllo di palla, già buon senso della posizione e predisposizione al sacrificio:
roba che se fosse nella Juventus e si chiamasse, che so, Kean, avrebbe già avuto 7 prime pagine in 6
giorni.
Nel primo gol di Eder, Pinamonti fa un controllo pazzesco, senza questo non ci sarebbe stato gol di
Eder. Detto che al ragazzo non gli si potranno chiedere miracoli e che pretenderne la titolarità a
breve è utopia oltre che sciocchezza, il gol ci regala doppia indicazione, perché Icardi non ha quasi
mai avuto una seconda punta più vicina, mobile, che sappia arrivare a rimorchio e che utilizzi al
meglio gli spazi lasciati dal centravanti, nonostante sia la carenza maggiore più volte denunciata da
più parti.
Quindi l’indicazione potrebbe proprio essere quella di una rinuncia agli esterni alti per giocare così
come ieri, con due seconde punte/trequartisti che aiutano in fase di non possesso, ma che sanno
muoversi alle spalle della punta o accanto.
Certo, questo significa rivedere un po’ di cose, compresa la contemporanea presenza di Candreva e
Perisic. A meno che qualcuno non pensi di schierarsi a 3, due mediani, Candreva e Perisic esterni ai
quali si dovrebbero aggiungere tre punte: improbabile e forse insostenibile da questa squadra, che a
metà campo ha lacune incredibili, a prescindere da chi gioca, che si chiami Medel o Banega.
La difesa a 3 vista ieri non è stata malvagia, sia perché in copertura era più spesso a 4, sia perché lo
Sparta è stato avversario molle per troppo tempo per essere davvero un test probante.
Adesso c’è il Genoa e l’impressione è che sperimentare possa portare più danni che altro, ma
soprattutto confusione, che è il rischio maggiore che corre Pioli. De Boer iniziò con una difesa a 3 e
fu criticato da tutti, nonostante quella scelta avesse una logica per la partita in sé, ma col tempo
abbiamo scoperto che la scelta era anche calata nella realtà della squadra, e l’olandese
probabilmente aveva già visto molto più di quel che si sospettasse all’inizio. Ma, fatto
quell’esperimento, non si è più tornati indietro e le elaborazioni tattiche sono state tutte sulla
falsariga di un 4-3-3 con variazioni nelle interpretazioni e nei movimenti.
Il rischio che corre Pioli è quello di sentirsi nell’obbligo di trovare una soluzione, pensando che la
soluzione stia nei numeri e nella disposizione: ribadiamo, contano testa, concentrazione,
applicazione, distanze, coesione d’intenti e tante altre cose che non appartengono ai numeretti del
modulo.
Quindi il ricorso alla difesa a 3 potrebbe essere niente più che la mossa di chi già si sente alle corde
e in gabbia: se poi si dovesse davvero vedere Miranda a centrocampo come vociferato da più parti,
significherebbe che il processo di “condondimento” del mister è già bello che avviato. A maggior
ragione, si pretende che esperimenti come quello di Ansaldi a metà campo siano solo frutto della
necessità e non un’idea: perché l’argentino ha fatto davvero male in molte occasioni, sbagliando
tempi e movimenti. Il gol dello Sparta ne è la prova: dopo una gran giocata di Miangue, Ansaldi
sbaglia a metà campo come sbaglierebbe un qualunque uomo di fascia sulla fascia: solo che al centro
certe cose non te le puoi permettere perché gli avversari ti castigano.
A gennaio, il reparto mediano dovrà essere giocoforza quello su cui porre maggiori attenzioni.
L’Inter è passata da Thiago Motta e Cambiasso a Guarìn, Mariga, Palombo, Mudingayi, Gargano,
Kuzmanovic, Medel, M’Vila, Brozovic, Kondogbia, Melo, e solo quest’anno s’è provato a porre
rimedio con più qualità, con Joao Mario e Banega. E nel frattempo si perdevano per strada i Kovacic,
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i Benassi e i Duncan che oggi sarebbero oro colato. E pensare che non è neanche il settore col
mercato più malvagio, perché se allarghiamo le considerazioni sugli altri ruoli potrebbe diventare
catastrofico.
Insomma, ci vuole una regolata: due giovani e un nome di spicco, di quelli con cui si va sul sicuro. A
Brozovic è già stato fatto il rinnovo, ci sono Joao Mario e Banega, non ci vuole molto insomma.
Dulcis in fundo, un applauso alla più grande presa per il culo televisiva mai subita da una qualunque
squadra di calcio, con TV8 che finalmente fa vedere in chiaro l’Inter proprio quando non serve.
Niente da dire, una scelta eccellente di Sky, come sempre. Avessero almeno uno streaming decente
sul sito: macché, una ciofeca pure quello.
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