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28 settembre 2016
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INDICE
ANICA - ANICA CITAZIONI
28/09/2016 La Repubblica - Nazionale
Il cinema ai confini tra fiction e realtà*
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28/09/2016 La Repubblica - Nazionale
"Fuocoammare" di Rosi ha la dignità dell'opera d'arte
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28/09/2016 La Repubblica - Nazionale
È come andare a Wimbledon con un paio di pattini
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27/09/2016 Dagospia 16:05
OSCARAMMARE! - GIUSTI: ''IL FILM DI ROSI È QUELLO CHE HA PIÙ CHANCE DI
ENTRARE NELLA CINQUINA'' - SORRENTINO: ''UNA SCELTA MASOCHISTICA,
SARÀ SCARTATO'' - ASPESI A MUSO DURO: ''I 'POTERI FORTI' DEL CINEMA SI
SONO SCHIERATI. SEMPRE STORIE IN DIALETTO, TRA
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28/09/2016 Il Fatto Quotidiano
" Ha ragione Sorrentino: Fuocoammare non è un film "
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26/09/2016 Pmi.it 09:30
Copyright, bocciati Equo Compenso e SIAE
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ANICA - ANICA SCENARIO
28/09/2016 La Repubblica - Nazionale
Alla corte di Dustin Hoffman: "Dalla saga dei Medici a oggi il potere assoluto
cambia gli uomini "
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28/09/2016 La Repubblica - Nazionale
Quando l'amore si nasconde tra le macerie della guerra
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28/09/2016 La Stampa - Nazionale
Godzilla rinasce dopo Fukushima Ma questa volta vince il Giappone
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28/09/2016 La Stampa - Nazionale
Quei Mostri del Cinema che ci terrorizzano e ci fanno innamorare
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28/09/2016 Il Messaggero - Nazionale
L'outsider "Moonlight" apre la Festa di Roma
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28/09/2016 Il Messaggero - Nazionale
Ben-Hur, che capitombolo
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28/09/2016 Il Messaggero - Abruzzo
Il nuovo «Ben Hur» griffato da Cameli
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28/09/2016 Il Tempo - Nazionale
Il produttore di «La bella gente» accusato di truffa
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28/09/2016 Il Tempo - Nazionale
Torna sul grande schermo Ben-Hur il remake girato tra Roma e Matera
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28/09/2016 Corriere della Sera - Nazionale
Mediaset, avanti con la causa Ma Vivendi vuole l'accordo
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28/09/2016 Il Sole 24 Ore
Premium, il cda Mediaset non chiude a Vivendi
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28/09/2016 La Repubblica - Nazionale
Accordo lontano tra Mediaset e Vivendi resta la guerra legale
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28/09/2016 MF - Nazionale
Su Premium si tratta a oltranza
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ANICA WEB - ANICA WEB
27/09/2016 www.cinematografo.it 13:17
Al via Roma Web Fest
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27/09/2016 www.ilmattino.it 22:12
«Fuocoammare» candidato all'Oscar il rimpianto di un'occasione mancata
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27/09/2016 www.ilgiornaledellaprotezionecivile.it
"Fuocoammare", il film su migranti e Lampedusa, candidato italiano agli
#Oscar2017
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27/09/2016 thefilmseeker.it 09:08
Fuocoammare candidato italiano agli Oscar
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27/09/2016 youmovies.it 18:30
"Io faccio film": prossimi appuntamenti al Roma Web Fest e a Napoli al Galà del
cinema e della fiction
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27/09/2016 larampa.it 08:41
Fuocoammare candidato italiano a Oscar. Il film di Rosi scelto da commissione
selezione tra 7 iscritti
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ANICA - ANICA CITAZIONI
6 articoli
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R2 CULTURA Il caso
Il cinema ai confini tra fiction e realtà*
Può un documentario candidarsi all'Oscar come film? Ecco perché la questione sollevata da Sorrentino non
è solo estetica
PEMILIANO MORREALE
Piccola premessa: l'osservazione di Paolo Sorrentino, sull'occasione perduta perché quest'anno l'Italia
avrebbe potuto avere il doppio delle chance agli Oscar se avesse candidato "Inseparabili" come miglior film
e "Fuocoammare" come miglior documentario, è ineccepibile. Soprattutto, condivisibile o meno, è
un'osservazione di strategia, non di estetica. Assai diverso sarebbe stato affermare, come pure qualcuno
fece a suo tempo, che "Sacro Gra" non doveva vincere il Leone d'oro perché era un documentario e non un
ve ro film. Comunque sia, l'ondata di interesse per i documentari comincia ad avere i tratti di una moda. Il
documentario esce dal ghetto dei festival specializzati, ma appare ancora un po' senza patria.
Questa situazione incerta può essere l'occasione per sollevare alcune questioni più generali e aggiornare il
lessico della critica. Il cinema documentario può essere letto e giudicato con lo stesso metro del cinema di
finzione? In che senso esso è, come ogni altro film, prima di tutto "bello" o "brutto"? Domande che in un
certo senso anche la letteratura ha dovuto affrontare quando il Nobel a Svjatlana Aleksievic di due anni fa
ha sancito (dopo decenni di new journalism)l'ingresso a pieno titolo della realtà nelle sacre stanze
dell'Accademia di Svezia.
Il cinema documentario, o "cinema del reale", come lo chiama qualcuno, non è, o non dovrebbe essere, un
parente del reportage, ma nasce storicamente dal corpo centrale della storia del cinema e anzi spesso in
forte legame con i movimenti d'avanguardia e le spinte di innovazione artistica.
Basti pensare a Luis Buñuel, che dopo i surrealisti Un chien andalou e L'âge dor, con lo stesso spirito gira
un documentario crudo e polemico come La Hurdes. Alberto Grifi, autore di Verifica incerta, caposaldo del
cinema sperimentale, realizzò uno dei più bei film degli anni '70 con Anna, ritratto di una ragazza smarrita
nella Roma post '68. Valorizzare la forza autonoma del reale, ci spiegano i teorici, è uno dei segni del
cinema moderno. Che è, potremmo dire, quello che lascia scorrere la realtà assecondandone il tempo, e
contemporaneamente (a volte nello stesso film) mette a nudo il proprio funzionamento e la soggettività del
proprio autore.
Del resto, per restare in Italia, chi potrebbe ragionare in termini di cronaca o di realismo davanti a film
come quelli di Pietro Marcello, per i quali è stato citato il "cinema di poesia" di Pasolini? Paradossalmente,
potremmo dire che, a volte, il cinema del reale non è necessariamente un cinema realista.
Il fatto è, probabilmente, che quello documentario non è un genere, ma un metodo, una maniera di
comporre delle storie, "scrivendo" il film non solo prima, in fase di sceneggiatura, ma a partire da un
incontro con situazioni reali. Da una quindicina d'anni, in Italia è proprio sul terreno del cinema del reale che
si sono avuti molti fra i titoli più sorprendenti.
Si tratta di film importanti non solo perché esploravano temi, luoghi, personaggi che il cinema di finzione
trascurava, ma perché avanzavano proposte estetiche interessanti, perché facevano cinema. E questo
"metodo" diventa spesso utile anche per chi fa cinema di finzione, da Garrone alla Rohrwacher. Potremmo
dire che nel cinema documentario alcuni dei problemi che ogni regista dovrebbe porsi appaiono in forma
più precisa, più pura, e soprattutto più piena di implicazioni morali. A che distanza pormi (in senso ideale)
da ciò che sto filmando? Quanto rimanere esterno se sto raccontando persone a cui sono vicino, e quanto
avvicinarmi se sto filmando il nemico, il male? Cosa tenere fuori campo? A che punto smettere di girare?
Come scegliere i frammenti da montare, imponendo una forma narrativa agli eventi? Che uso fare della
musica? Tutte questioni in cui estetica e morale sono connesse. Come è forse sempre, almeno secondo i
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vecchi slogan della giovane critica, che definivano "abietto" un movimento di macchina troppo estetizzante,
e proclamavano che «una carrellata è una questione di morale» (o, nella versione più provocatoriamente
formalista, «la morale è una questione di carrellate»). Per fare un esempio, la forza di certi documentari di
Stefano Savona, ad esempio viene dalla precisione istintiva con cui, anche in situazioni di emergenza
(magari entrando illegalmente nella striscia di Gaza per girare Piombo fuso) il regista trova l'immagine
giusta, "mette in scena" in equilibrio tra la forza delle cose e il proprio punto di vista. La serietà e la curiosità
di molti nostri registi che hanno assorbito la lezione del documentario è una sfida in un'epoca in cui la
grande difficoltà è trovare una bussola tra le immagini da cui siamo circondati. Ed è in fondo una delle
grandi sfide del cinema oggi, che parta da un copione o da un incontro con luoghi e persone.
Foto: L'IMMAGINE Qui a destra una scena del film Fuocoammare di Gianfranco Rosi
Foto: PROTAGONISTI Accanto, Bernardo Bertolucci A sinistra, Paolo Sorrentino. Sotto, Umberto
Contarello
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R2 CULTURA BERNARDO BERTOLUCCI PRO E CONTRO
"Fuocoammare" di Rosi ha la dignità dell'opera d'arte
Gioisco e mi congratulo con la commissione che ha scelto Fuocoammare come miglior film straniero per i
prossimi Academy Awards. So che il film è stato iscritto dal distributore americano anche nella sezione
Documentary (Feature) nella quale soprattutto negli ultimi anni abbiamo visto documentari di grandissima
qualità, a volte anche impressionanti.
Correre due gare diverse può voler dire aumentare la visibilità di Fuocoammare in entrambe le categorie.
Quando con la giuria di Venezia 2013 decidemmo di premiare Sacro Gra, sapevamo fosse una scelta in
qualche modo provocatoria. Ma quello che interessava alla giuria che io presiedevo era riconoscere a
Sacro Gra la stessa dignità dei film di finzione che avevamo visto in concorso. E Sacro Gra ci pareva un
pezzo di cinema molto più riuscito di tutti gli altri visionati. La giuria di Berlino 2016 ha riconfermato la
nostra scelta veneziana. Fuocoammare ha vinto l'Orso d'Oro, competendo con i film di finzione. Non ho
ancora visto Indivisibili, ma tra tutti i film italiani che ho visto quest'anno Fuocoammare mi sembra
sinceramente il più bello.
Consiglio a tutti di appoggiare come possiamo Fuocoammare. Avremo di certo delle sorprese.
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R2 CULTURA UMBERTO CONTARELLO
È come andare a Wimbledon con un paio di pattini
Quando ho sentito della candidatura di Fuocoammare ho fatto meccanicamente questo pensiero: è come
se a Wimbledon si presentasse qualcuno con dei lucenti pattini da ghiaccio. Che sono bellissimi, ma sono
uno strumento inadeguato per giocare a tennis. La nostra commissione sceglie un candidato che deve
concorrere - parola in cui c'è una radice sportiva - a vincere un premio oppure indica un nostro film che
rappresenti anche le cose più curiose prodotte in Italia? Dalla mia piccola esperienza americana con This
must be the place e La grande bellezza ho percepito quanto le categorie di giudizio siano nette: non
possiamo farci niente se gli Stati Uniti sono un paese grandioso e che però balbetta di fronte alle ambiguità.
Trovo fumosa la decisione della commissione non per la qualità del bellissimo Fuocoammare, ma per la
natura leggermente dislessica della scelta. È come se io invitassi qualcuno a cena e gli servissi tè freddo.
Potrei dire che per me è la cena. Ma lui potrebbe considerare la scelta eccentrica. Il mio ragionamento
verte su una banalissima questione sportiva: si vota il film che potrebbe avere il miglior piazzamento o si fa
una scelta che parte con un elemento problematico? Noi siamo per natura problematici, gli americani sono
per natura semplici.
L'autore è lo sceneggiatore, fra l'altro, di La grande bellezza. Testo raccolto da Arianna Finos
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Dagospia
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OSCARAMMARE! - GIUSTI: ''IL FILM DI ROSI È QUELLO CHE HA PIÙ
CHANCE DI ENTRARE NELLA CINQUINA'' - SORRENTINO: ''UNA
SCELTA MASOCHISTICA, SARÀ SCARTATO'' - ASPESI A MUSO DURO:
''I 'POTERI FORTI' DEL CINEMA SI SONO SCHIERATI. SEMPRE STORIE
IN DIALETTO, TRA
1. OSCARAMMARE!Marco Giusti per Dagospia La verità è che candidare agli Oscar Fuocoammare di
Gianfranco Rosi è una scelta giustissima. Non solo premia l'unico film e l'unico autore italiano che in questi
ultimi anni ha vinto festival importanti come Venezia e Berlino, un autore, inoltre, che si è formato più in
America che in Italia, ma offre al nostra paese una delle rare chanches di vittoria agli Oscar. Chanches che
i nostri film di fiction, purtroppo, per motivi diversi, budget-scrittura- messainscena, non credo che
riuscirebbero a avere.fuocoammare di gianfranco rosi 1452590519863 I film di Rosi, che di solito
cataloghiamo come documentari, sono veri e propri film, più vicini alla costruzione autoriale da fiction che al
documentario classico. Per questo hanno vinto i festival importanti a fianco di film di fiction più tradizionali.
Non è facile questa divisione in genere e ben venga questa discussione a riproporcela, ma di fatto è così.
Non credo, come sostiene Paolo Sorrentino, che sia una scelta masochistica. E, detto questo, sarei stato
contento, per motivi totalmente opposti, se fossero stati candidati altri film papabili, come Jeeg Robot,
Indivisibili, Perfetti sconosciuti, che ho sempre difeso e che rappresentano, attualmente, la parte sana del
nostro cinema. Ma Fuocoammare è più vicino di loro all'idea di grande cinema internazionale d'autore, con
tema universale e importante, che anche un giurato degli Oscar può capire. Può darsi che abbia ragione
Sorrentino e che finirà come è sempre finita in questi ultimi anni. gianfranco rosi lampedusaMa non
abbiamo tra le nostre commedie qualcosa di così forte e innovativo come il tedesco Toni Erdmann di
Marion Ade, non abbiamo un film di genere così forte come Elle di Paul Verhoven, candidato dalla Francia.
Il nostro cinema-cinema è di anno in anno più svuotato, tutti i bidget importanti vanno alle serie televisive, al
punto che a Venezia se l'unico film da spostare in concorso era Indivisibili, va detto che l'unico film a livello
delle produzioni internazionali era Young Pope di Sorrentino. Era molto più cinema e molto più cinema
internazionale dei tre film italiani presenti al concorso. Ma si può candidare una serie agli Oscar? No. Si
può candidare un documentare d'autore in quanto film? Sì. La tragedia è che Fuocoammare, oltre a avere
dalla sua, ripeto, un tema importante e ben attuale, una visione pacifista e non cattolica, dimostra in
maniera esemplare che il nostro cinema di fiction non riesce, con i mezzi e gli strumenti che ha, a trattare
gli stessi argomenti come li tratta il documentario o come li tratta Rosi con un documentario.paolo
sorrentino Abbiamo (ho) spesso rimproverato a Sorrentino una magniloquenza di messa in scena, un
eccesso di autorialità, ma almeno accetta le grandi sfide e vede in grande. Come il Garrone di Gomorra.
Ma la gran parte del nostro cinema si limita da subito a piccole storie, piccoli budget, piccoli voli autoriali e
non riesce mai a liberarsi dal realismo un tempo post-rossellianiano ora post-garroniano o postsorrentiniano. Jeeg Robot e Indivisibili dimostrano quanto sia difficile cercare di far cinema innovativo in
Italia tra produttori che non ti ascoltano e film commission, dimostrano che c'è una guerra che non è ancora
vinta, purtroppo. Fuocoammare dimostra quanto il documentario italiano sia più libero dagli incastri
produttivi e dagli schematismi critici. Per questo, in qualche modo clamoroso, riesce a liberarsi perfino dalle
maglie del post-rossellinismo o, forse, ci torna, ma facendo un lungo giro autoriale. No. Credo che sia la
scelta giusta, Che vinca, ovviamente, è un'altra cosa. 2. SORRENTINO: SCELTA MASOCHISTICAValerio
Cappelli per il "Corriere della Sera" Fuocoammare , il docu-film di Gianfranco Rosi che dovrebbe unire le
coscienze sugli sbarchi dei migranti, divide i selezionatori incaricati di designare il film italiano nella corsa
agli Oscar. Hanno scelto il film sui migranti e la vita a Lampedusa. Il «caso» è acceso dal premio Oscar
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Paolo Sorrentino, uno dei nove addetti ai lavori che si sono riuniti all' Anica. meryl streep«Una scelta
masochistica», ha detto, «non dò giudizi sul film di Rosi, che mi è piaciuto. Ma quando il 24 gennaio si
arriverà alle nomination, prenderanno il nostro documentario e lo metteranno da parte. E' stato un segno di
debolezza del cinema italiano. E puntando su un altro film avevamo la possibilità di candidarne due». Si
riferisce al fatto che Rosi molto probabilmente sarà candidato anche nella categoria dei documentari.
Intanto è entrato nella short list non ufficiale dei documentari dal MoMa e da altri enti culturali USA.
Sorrentino ha votato per Indivisibili . «Sono felicissimo, è da otto mesi che giro il mondo e non mi sono mai
fermato, ormai è un film di tutti, questa candidatura ha un abbraccio ampio», dice Rosi. Peserà l' amore per
il suo film che le manifestò Meryl Streep, presidente della giuria alla Berlinale, quando le diede l' Orso d'
oro? «Posso dire ciò che mi sussurrò all' orecchio durante la premiazione: vorrei che tu arrivassi agli Oscar,
dimmi cosa posso fare per te». gianfranco rosiCi sono volute quattro votazioni per arrivare a Fuocoammare
, che l' ha spuntata di misura su Indivisibili , il film di Edoardo De Angelis sulle gemelle siamesi: 5 voti a 4. E
De Angelis, sarcastico e sibillino sul verdetto: «Quando i conti tornano ci trovano qua». Il favorito alla vigilia
era Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese, campione d' incassi con 18 milioni e prossimo al remake Usa;
ma proprio il remake è stato valutato negativamente, come se l' originale versione italiana, con sottotitoli in
inglese, non fosse adatta al pubblico Usa. Già alla seconda votazione il bel film di Genovese era fuori dai
giochi, racimolando 1 preferenza. Anche Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, caso dell' anno,
alla seconda votazione (quando le preferenze scendono da 3 a 1) era sparito. Sandro VeronesiIn
commissione: Nicola Borrelli direttore generale del ministero dei Beni Culturali, il regista Paolo Sorrentino,
lo scrittore Sandro Veronesi, i produttori Tilde Corsi e Roberto Sessa, i distributori Osvaldo De Santis e
Francesco Melzi D' Eril, i giornalisti Piera Detassis e Enrico Magrelli. Si cerca di mandare avanti chi ha più
possibilità di avere una credibilità e un linguaggio internazionale. «Sono contento - dice Rosi - che anche l'
Ucraina abbia candidato un documentario. Tante barriere fra i generi si stanno infrangendo». Una rivincita
dopo l' amarezza ai David di Donatello: 4 candidature a vuoto? «No, però mi è dispiaciuto che non abbia
vinto Jacopo Quadri per il montaggio». In USA uscirà il 21 ottobre, è stato venduto in 60 Paesi, in Italia ha
incassato 1 milione.Berlino, ora la corsa agli Oscar: Rosi, che anno ha vissuto? «Un anno assurdo che mi
fa una paura enorme. Mi ha impressionato ciò che ha detto Obama: chi costruisce un muro costruisce una
prigione per se stesso. Vorrei fare mie queste parole, spero che accompagnino il cammino del mio film». 3.
MA IN ITALIA ESISTE ANCHE UN ALTRO CINEMANatalia Aspesi per "la Repubblica" natalia aspesiSono
come sempre centinaia i film del mondo che aspirano a essere candidati all'Oscar per il miglior film
straniero: sperando di arrivare se non alla vittoria, anche solo alla cinquina finale, o almeno alla prima
scrematura. Si sa che per la prossima fatale notte di premiazione in febbraio si sono già messi in coda tra
gli autori celebri, il russo Konchalovsky (con Paradise che alla recente mostra di Venezia ha vinto il Leone
d'Argento), lo spagnolo Almodóvar, il cileno Larraín (con il film Neruda che sta per arrivare in Italia) e
adesso l'italiano Gianfranco Rosi con il suo bellissimo film Fuocoammare: che però è un documentario e
non c'è quindi la certezza che la categoria cui aspira ne tenga conto. Ma siccome il film verrà presto
distribuito negli Stati Uniti, potrebbe aspirare anche alla categoria documentari, in cui imporre tutta la sua
drammatica attualità. Nel 2014 Paolo Sorrentino vinse trionfalmente l'Oscar per il miglior film straniero, ma
non capita spesso che un film italiano riesca almeno ad entrare nella cinquina: dagli altri paesi, asiatici,
europei, sudamericani, nordafricani, arrivano film molto più belli di quelli che noi mandiamo agli Oscar, o
per lo meno dialettali, meno locali, di umanità più comprensibile ovunque. Dei sette nostri film tra cui la
giuria italiana doveva scegliere quello da inviare agli Oscar, c'erano le nostre piccole storie di successo
locale: tranne forse Perfetti sconosciuti che però gli americani stanno rifacendo, e quell'Indivisibili di
Edoardo De Angelis che infatti si è battuto sino all'ultimo con Fuocoammare: però sempre storie in dialetto
incomprensibile, tra poveri, criminali, sfruttatori, immigrati, come se in Italia non ci fosse altro.marco giusti
Comunque si sa che a parte le autentiche qualità il film di Rosi era molto sostenuto da quelli che i
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ANICA - ANICA CITAZIONI - Rassegna Stampa 28/09/2016 - 28/09/2016
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pentastellati chiamerebbero noiosamente "poteri forti", ma che questa volta almeno nel ramo del cinema, lo
sono davvero.
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" Ha ragione Sorrentino: Fuocoammare non è un film "
S C E LT E " L ' opera di Rosi andava candidata nella categoria dei doc. Questa scelta è un inutile
depotenziamento del cinema italiano "
MALCOM PAGANI
No, no, no, no, no " . Per cinque secche volte, Gianni Canova, critico, giornalista, cinemaniaco di Sky,
responsabile della rivista 8½ e direttore artistico di CortoLovere in pista da 19 anni e al via da oggi: " Un
piccolo festival di cortometraggi internazionali dal budget inversamente proporzionale alla passione di chi ci
lavora " d i ssente dalla scelta della commissione che ha designato Fuocoammare di Rosi come titolo da
sottoporre al giudizio dell ' Academy. Della decisione sul lavoro di Rosi e del parere di Paolo Sorrentino: "
Fuocoammare è un bellissimo film, ma andava candidato all ' O s ca r nella categoria dei documentari.
Questa scelta è un inutile masochistico depotenziamento del cinema italiano " . Canova non sapeva nulla: "
Lo giuro. L ' altroieri sera ho avuto un guaio e oggi non ho letto i giornali, ma sono completamente d ' ac c o
rd o con Sorrentino. F u oc o a mmare è un film molto importante, ma avendo possibilità di vincere avrebbe
dovuto correre tra i documentari. Anche io però avrei portato In di vi sib il i di De Angelis. Un ' opera
strepitosa che è vergognoso non fosse in concorso a Venezia. Hanno sbagliato in laguna e ha sbagliato la
commissione. In vista degli Oscar, considerare tattica e strategia, non è opportunismo, ma semplice
raziocinio " . Presiedere artisticamente un piccolo festival come CortoLovere invece confina con la follia?
Non credo. Viviamo sempre di più nell ' era del frammento perché il tempo del nostro tempo è
inevitabilmente corto. C ' è stata un ' epoca in cui i corti erano vissuti dai giovani cineasti come una palestra
propedeutica al lungometraggio. Adesso hanno una piena autonomia e sono spesso prodotti più compiuti,
suggestivi, interessanti, originali e radicali di tanti lunghi. Lei è nato nelle valli bergamasche, CortoLovere è
un ritorno a casa? Come diceva Carmelo Bene, le radici servono nella misura in cui sono capaci di farti
allontanare da loro. Sono sempre più convinto che disgraziati poi tornavano a casa e con grande sforzo
riuscivano a far studiare i figli, è una fotografia della mia vita. Avevo fame. Tutti avevamo fame. Nel ' 68
qualcuno ha coltivato le proprie passioni e altri hanno fatto quel che sappiamo soprattutto perché si
annoiavano. Il cinema era un ' eva si on e dalla noia? il cinema debba provare a creare pubblici diversi
nella vasta complessità dell ' I t alia. Fare un piccolo festival in provincia e portare immagini, visioni,
fantasmi, flussi e desideri da tutto il mondo generando scambi e attriti, mi sembra un ' o p e r azione
culturalmente interessante. CortoLovere - ci ha detto - ha un budget minimo. In Italia esistono due
importanti festival, Venezia e Roma. Assolvono ancora alla loro funzione? È cambiato il mondo, il cinema, il
modo di vedere i film. Venezia e Roma, ma anche Cannes, sono ancora come erano 50 anni fa, con un '
impermeabilità totale a ll ' innovazione, alla sperimentazione e alla ricerca. Il rischio di trasformarsi in
stanche passerelle per i soliti noti o per i grandi autori, è fortissimo. È un peccato? Al di là del trito balletto
dei grandi nomi - non c ' è un solo film di Loach o dei Dardenne che non vada in concorso - mi pare
manchino capacità, curiosità e volontà di interrogarsi su come rientrare in contatto con i giovani o rifondare
pratiche nuove di circolazione dei film. Sono perplesso. Il porno, la commedia e il melò, solo per citare tre
generi, al festival non hanno diritto di cittadinanza. Prenda il delizioso Piuma di Johnson. A Venezia ho visto
colleghi ridere fino alle lacrime e poi cambiare idea una volta presa la penna scrivendo tutt ' altro. Pe rc h é
? Credo si siano vergognati. C ' è questa vecchia idea per cui la cultura non deve ridere, eccitarsi o
commuoversi. Pare quasi che tutto ciò che ha che fare con il corpo sia qualcosa da allontanare come la
peste. Eppure ha frequentato i cineforum anche lei. Sono figlio di emigranti che negli anni 50 lasciarono le
valli bergamasche e migrarono in Belgio e in Svizzera. Tutta l ' epopea di un nord misero e miserabile in cui
i Per il cinema sono finito persino in galera. A 16 anni proiettai L ' ora dei forni di Solanas. I fascisti
arrivarono e spaccarono tutto. Poi giunse la polizia e portò dentro me e gli altri due amici che mi avevano
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Il critico: " Agli Oscar avrei portato ' I nd iv i s i bi l i '" SECONDO TEMPO GIANNI CANOVA
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ANICA - ANICA CITAZIONI - Rassegna Stampa 28/09/2016 - 28/09/2016
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aiutato. Allora ero convinto che il cinema potesse cambiare il mondo. Oggi penso che il cinema sia utile a
farci vivere meglio. È un ripiegamento? Non lo so, non devo dirlo io. E la politica? Fino a 12 anni fa
insegnavo in un istituto professionale di periferia. I ragazzi sotto al banco avevano i coltelli. Era politica
anche quella. Ed è la parte della mia vita di cui sono più orgoglioso. Ricarica n TENCO, FAMIGLIA
CONTRO GILETTI "Con profondo dispiacere abbiamo visto e ascoltato le fantasiose rivisitazioni su Luigi
raccontate da Giulio Mogol e Gino Paoli e le opinioni prive di conoscenza musicale del conduttore Massimo
Giletti": così la famiglia del cantautore ha commentato la parentesi dello speciale "Viva Mogol" di Rai1
dedicata a Luigi Tenco
Foto: Dal Leone d ' Oro a Los Angeles Grande, una scena di " Fuocoammare " di Rosi. Qui il critico Gianni
Canova Ansa
26/09/2016 09:30
Sito Web
Pmi.it
News Tasse sulle imprese
La legge italiana sull'equo compenso deve essere rivista, in parte, per essere allineata al diritto dell'Unione
Europea: a stabilirlo è stata la Corte UE secondo la quale la SIAE dovrebbe prevedere l'esenzione
automatica per i professionisti. => Imprese, come non pagare la SIAE Equo compenso Con la propria
sentenza la Corte UE ha dato ragione ai colossi hi-tech quali Microsoft, HP, Telecom Italia, Samsung, Dell,
Fastweb, Sony Mobile e Wind, che da anni lamentavano l'iniquità della legislazione italiana del 2009 sugli
aspetti relativi all'equo compenso per copia privata e avevano avanzato la causa presso la Corte di
Bruxelles contro Ministero dei Beni Culturali, SIAE, IMAIE, ANICA e APT hanno torto. Nel 2014 le aziende
avevano presentato ricorso al TAR del Lazio contro la legge italiana sull'equo compenso, ovvero sulla
richiesta sia ai consumatori finali che alle imprese di indennizzo forfettario agli autori applicato sugli
apparecchi elettronici che consentono la registrazione di audio e video. Sentenza UE Da quanto si evince
dalla sentenza UE, tre sono gli aspetti incompatibili con la direttiva UE in materia: il fatto che si parli di copie
private, secondo le aziende e la Corte UE, escluderebbe fini professionali e questo significa che per i
professionisti dovrebbe esservi un'esenzione automatica a priori; sarebbe contraddittorio, in particolare
rispetto al principio di parità di trattamento, anche il fatto che l'applicazione delle esenzioni sia il "frutto di
una negoziazione sostanzialmente privatistica in mano alla SIAE, regolata esclusivamente dalla SIAE
stessa e senza che una legislazione precisa disciplini il procedimento e indichi i criteri da seguire"; il
rimborso ex post inoltre, secondo la Corte, «può costituire, in astratto, un'alternativa all'esenzione ex ante e
può essere generalmente previsto a favore dei soli utilizzatori finali», ma «questa limitazione non è
possibile in un sistema che non prevede un esonero ex ante per i produttori, importatori o distributori che
forniscono i propri macchinari a soggetti con fini manifestamente estranei alla riproduzione per uso
privato». Viene inoltre respinta da parte della Corte di Giustizia la richiesta della SIAE di limitare gli effetti
nel tempo della decisione, constatando l'assenza di buona fede e ritenendo non ci siano «gravi rischi» per
la SIAE stessa in merito al recupero delle somme già accordate agli aventi diritto all'equo compenso.
Risposta della SIAE In una nota della SIAE si legge, in commento alla sentenza: «La sentenza di oggi della
Corte di Giustizia non mette in alcun modo in discussione la legittimità della copia privata, né mette in
discussione l'intero decreto Bondi o la correttezza del nostro operato». La SIAE si dichiara inoltre pronta:
«Ad adeguare immediatamente la propria attività alle eventuali disposizioni che il Ministero vorrà adottare in
materia, così come è pronta ad adeguarsi alle decisioni che il Consiglio di Stato vorrà adottare in ragione
dei principi sanciti dalla Corte di Giustizia».
ANICA - ANICA CITAZIONI - Rassegna Stampa 28/09/2016 - 28/09/2016
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ANICA - ANICA SCENARIO
13 articoli
28/09/2016
Pag. 38
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Alla corte di Dustin Hoffman: "Dalla saga dei Medici a oggi il potere
assoluto cambia gli uomini "
SILVIA FUMAROLA
ROMA «ABBIAMO girato in luoghi bellissimi in Toscana: paesi, piazze e palazzi rimasti uguali nei secoli. È
stato interessante tuffarsi nella storia della famiglia de' Medici e riscoprire il Cinquecento. Sono stato
fortunato, girare la serie sulla loro storia mi ha permesso di rimettermi a studiare». Al telefono da Los
Angeles, Dustin Hoffman, 79 anni, due Oscar ( Rain man, Kramer contro Kramer ), protagonista di film
indimenticabili, racconta la sua avventura italiana nei panni del patriarca Giovanni de' Medici nel kolossal in
otto episodi diretto da Sergio Mimica-Gezzan (ideato da Frank Spotnitz e Nicholas Meyer) dal 17 ottobre su
RaiUno, il titolo più atteso della stagione.
La saga familiare dell'ambizioso figlio di un mercante di lana fiorentino che diventa re senza corona, il
primo banchiere del Papa, e dei suoi eredi, Cosimo e Lorenzo, è anche thriller politico.
Giovanni chiederà al figlio Cosimo, che vuole fare l'artista, di seguire le sue orme. Imparata la lezione,
dopo la morte del padre (Giovanni de Medici è scomparso in circostanze misteriose, nella fiction viene
ucciso) Cosimo diventerà spietato. Nel cast Richard Madden, Suart Martin, Annabel Scholey, Guido
Caprino, Miriam Leone, Sarah Felberbaum, Fortunato Cerlino.
Hoffman, che idea si è fatto di Giovanni de' Medici? Era spietato o saggio? «Non lo so, non so se credere
a tutte le cose che ho letto. Certo era ambizioso, amava il potere e il potere che dà i soldi è immenso. Però
è stato un mecenate, sosteneva gli artisti. Diventa il banchiere più potente e temuto, prestava i soldi a tutti:
è il banchiere del Papa. Il copione è bellissimo».
Decide della vita del figlio Cosimo.
«Sì, Giovanni è il padrone della sua famiglia, ne tiene le fila. Cosimo sognava di essere architetto, non gli
interessava diventare banchiere ma capita che i padri chiedano ai figli di seguire le proprie orme. Anche il
mio ci ha provato. Sotto sotto pretendeva di stabilire come avrei dovuto vivere». Però non è successo.
«No. Ho deciso io della mia vita ».
Giovanni de' Medici amava il potere: lei? «Per cinquant'anni ho visto intorno a me gente che voleva avere
potere e provava empatia anche per persone prive di scrupoli.
Ma io no, non ambisco al potere».
Pensa che cambi le persone? «Sono molte le cose che ti cambiano: gli incontri, il dolore, le sconfitte, ogni
esperienza che facciamo, anche un buon matrimonio può cambiarti la vita. Non è vero che oggi sono la
stessa persona di quando ho cominciato.
Nessuno resta uguale. Ero un povero attore, ho studiato quindici anni poi ho interpretato Il laureato. Avevo
trent'anni, il film ha vinto l'Oscar ed è cambiato tutto». All'inizio cosa avrebbe voluto fare? «Il musicista.
Volevo fare il pianista, quando ero adolescente sognavo di diventare un jazzista.
Ma non avevo talento per la musica: al college ero uno studente pessimo, non avevo la testa, durante le
lezioni non mi concentravo, guardavo fuori dalla finestra». Quando ha capito che voleva recitare? «Al mio
primo Tennessee Williams. Per la prima volta non contavo il tempo, stavo bene. A quel punto avrei dovuto
dire ai miei genitori che avevo deciso di diventate attore: andai a New York non avevo alternativa. Ho capito
che era l'unica cosa che volevo fare». Come reagirono? «Dopo un paio di anni vennero a trovarmi. Vivevo
con Gene Hackman e Robert Duvall, nessuno credeva che avremmo avuto successo. Nel mestiere dell'
attore contano passione e talento. Poi c'è la fortuna, che non va mai sottovalutata. Mi creda, sono molti gli
attori di talento ad aver collezionato rifiuti. Ricordo quando mi ritrovai tremila dollari in banca: non li avevo
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 28/09/2016 - 28/09/2016
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R2 SPETTACOLI Parla l' attore che interpreta il kolossal in onda dal 17 ottobre su RaiUno, in cui è
Giovanni il capostipite
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ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 28/09/2016 - 28/09/2016
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mai avuti, era straordinario per me. Se mi guardo indietro, le cose che ho fatto e i "no" ricevuti mi hanno
reso la persona che sono».
È ancora innamorato del cinema? «Rimpiango la magia delle sale, ma oggi è cambiato il modo di guardare
i film, si vedono nei telefonini, sul computer.
Negli anni Ottanta ebbi la fortuna di andare a cena con Federico Fellini e lui, già allora, mi parlò di questo:
di come tutto stesse cambiando mentre nascevano le multisale. Oggi la gente va nei centri commerciali sui
pattini e le sale sono sparite».
Ha dichiarato che "il cinema sta vivendo la sua fase peggiore da cinquant'anni a questa parte mentre la
televisione è al suo meglio".
«Oggi lavorano alle serie televisive gli autori migliori, gli attori più bravi. Si scrive per la televisione con una
cura che, se penso agli studios, il cinema non conosce. In tv il regista può anche cambiare, magari firma il
primo episodio e poi ne arriva un altro, ma lo script è perfetto, sono le storie a vincere perché c'è dietro un
grande lavoro di scrittura. Ha visto John Turturro in The night of? È eccezionale. Difficile trovare al cinema
ruoli tanto belli».
LE SERIE
"
Oggi la qualità si trova nelle serie televisive: sono scritte benissimo con una cura che spesso non c'è al
cinema
IL TALENTO
Nel mestiere dell'attore è importante il talento ma non va mai sottovalutata la fortuna
"
Foto: PATRIARCA Dustin Hoffman nei panni di Giovanni de' Medici nella serie "I Medici" di Sergio Mimica
Gezzan, prodottoda Luca e Matilde Bernabei (Lux Vide) con Light Productions, Wild Bunch Tv e RaiFiction
Foto: PROTAGONISTA Qui sopra, Dustin Hoffman nel film "Il laureato"di Mike Nichols ; sopra, l'attore in
"Kramer contro Kramer" di Robert Benton che gli è valso l'Oscar nel 1980
28/09/2016
Pag. 41
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Quando l'amore si nasconde tra le macerie della guerra
Un film in grigio e nero che si colora quando i protagonisti ricordano
NATALIA ASPESI
IN UN' antica rustica cittadina tedesca una figurina eterea immalinconita da un lungo soprabito nero, il
giovane viso sepolto sotto un gran cappello nero, porta fiori al cimitero; è il 1919, la Germania ha perso
disastrosamente la guerra, quasi due milioni di suoi giovani sono morti tra gli orrori delle trincee, è l'inizio di
un precipizio economico. Pare di ritrovare il tempo, il luogo e il dolore delle prime puntate (in tutto 59) di
Heimat, la meravigliosa tetralogia di Edgar Reitz mandata in onda negli anni 80 dalla nostra televisione in
ore antelucane. In questo nuovo film la ventenne Anna si china sulla tomba dove dovrebbe essere sepolto il
fidanzato, il cui corpo straziato è rimasto invece sotto la terra nemica di Francia. Un giorno, a piangere su
quello spoglio rettangolo di terra vuoto, che è tutto quel che ad Anna è rimasto del suo passato, ma anche
del suo futuro, c'è uno sconosciuto, un giovane uomo dai piccoli baffi romantici e dai grandi occhi neri che
paiono quelli di Marcel Proust. Un francese, quindi tuttora un nemico, anche se la guerra è finita ormai da
un anno, uno di quelli che al fronte avrebbero potuto uccidere il suo amore.
Frantz è una bella storia d'amore e lutto, menzogna e senso di colpa, disperazione e ritorno alla vita, ed è
il sedicesimo film di un gran bell'uomo di 49 anni, François Ozon, purtroppo (lo dico per le signore)
apertamente gay, come era gay, ma non dichiarato, Maurice Rostand, autore del dramma L'homme que j'ai
tué (1930) a cui è ispirata la prima parte di questo film: per il cinema se ne era già appropriato nel 1932
Ernst Lubitsch, regista tedesco emigrato negli Stati Uniti, con Broken Lullaby, uno dei suoi film più
importanti e meno noti, forse perché drammatico, tra i suoi tanti divertenti come Ninotchka.
Anna vive con Hans e Magda Hoffmeister, i genitori dell'amato e defunto Frantz, destinata con loro a
sopportare il grigiore della malinconia e del rimpianto. E il film, in grigio e nero più che in bianco e nero, si
colora nei ricordi, quando Adrien, prima respinto dai genitori di Frantz in quanto francese, poi accolto come
amico parigino del figlio al tempo dei suoi studi e in ricordo del comune pacifismo, anche se la guerra li ha
trascinati su due fronti opposti: le gioiose visite al Louvre, l'uno che aiuta l'altro a suonare il violino, in un
intreccio delicato di mani che fa pensare a un possibile legame d'amore.
Ma non è così. L'anziano padre, medico, che pare Sigmund Freud (Ernst Stötzner, nel film di Lubitsch era
Lionel Barrymore) e la madre (Marie Gruber) si consolano con quei ricordi, si affezionano ad Adrien e
anche Anna si trova sperduta in quel sentimento incerto che forse è più gratitudine e curiosità che amore
per quel giovane uomo che le svela ciò che Frantz non le aveva mai raccontato.
C'è un vago riferimento a quel capolavoro irraggiungibile, pure in bianco e nero, che è Il nastro bianco di
Haneke, palma d'oro nel 2009, quando Adrien viene circondato dall'ostilità di chi dopo la tragedia della
guerra perduta, brinda alla speranza di un uomo forte che ricostruirà la Grande Germania. Nessuno di
questi uomini vuole accettare una birra dal vecchio Hoffmeister, colpevole di aver accolto in casa il
francese: e qui Ozon gli fa dire la stessa frase di Lionel Barrymore nel vecchio film americano, «se sono
stati i soldati francesi a uccidere i nostri figli nelle trincee, siamo stati noi padri tedeschi a mandarli alla
guerra».
Un giorno Adrien scompare.
Gli Hoffmeister spingono Anna ad andarlo a cercare a Parigi, per loro, ma soprattutto per lei. Questa
seconda parte in Francia, creata da Ozon, dà al personaggio di Anna un'indipendenza e risolutezza nuove
molto interessanti. L'ultima scena, che torna al colore, è inattesa. Pierre Niney, premiato protagonista di
Yves Saint Laurent di Jalil Lespert, è un Adrien che ha il languore dei divi del cinema muto, Paula Beer,
giovanissima attrice tedesca di talento, è una Anna dal bel volto semplice e intenso, che sa portare con
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 28/09/2016 - 28/09/2016
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R2 SPETTACOLI Il film In sala "Frantz" di François Ozon ambientato nella Germania del 1919 VISTI DA
NATALIA
28/09/2016
Pag. 41
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ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 28/09/2016 - 28/09/2016
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antica grazia la tremenda moda di quegli anni, gli abiti lunghi e senza vita alla Poiret, i velluti alla Fortuny.
Alla recente Mostra di Venezia ha vinto il premio Marcello Mastroianni per l'attrice emergente. Il film in
originale è parlato, come è giusto per la storia, in tedesco e francese: nella nostra versione il tedesco è
doppiato in italiano, il francese rimane, sottotitolato.
trovacinema.repubblica.it repubblica.it/spettacoli/cinema PER SAPERNE DI PIÙ
Foto: I PROTAGONISTI "Frantz" con Pierre Niney e Paula Beer premiata a Venezia col Mastroianni
all'emergente
Foto: IL REGISTA François Ozon, nato a Parigi nel 1967 è autore di sedici lungometraggi Tra gli altri "8
donne e un mistero" del 2002 e "Potiche" del 2010
28/09/2016
Pag. 32
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Godzilla rinasce dopo Fukushima Ma questa volta vince il Giappone
Il lucertolone torna in patria dopo il film americano: ed è un grande successo
GIANMARIA TAMMARO
Sei miliardi e 600 milioni di yen. Circa 65 milioni di dollari. E il primato di film più visto di quest'anno in
Giappone. Torna G odzilla e vola, almeno al box office. Il merito, secondo The Economist, sarebbe del
messaggio filo -nazionalista che contiene il film: anche quando sono in difficoltà e la fine sembra essere
vicina, i giapponesi si rifiutano di cedere alle pressioni internazionali e continuano con il piano per
sconfiggere il lucertolone radioattivo. Alla fine (piccolo spoiler) ce la fanno e vincono; ma - ennesimo
piedino alla politica del Primo ministro Shinzo Abe - lasciano la porta aperta al nucleare. La pellicola,
intitolata Shin G oj ira, non ha ancora una distribuzione italiana, mentre arriverà a L os Angeles il prossimo
3 ottobre per la première americana. Non si tratta di un sequel, come l'ultimo G odzilla: Final Wars, ma di
un vero e proprio reboot: i registi, Hideaki Ann o, che ha scritto anche la sceneggiatura, e Shinji Higuchi,
responsabile degli effetti speciali, hanno voluto da re un nuovo inizio, un inizio « vero», come recita il titolo,
«shin», a uno dei mostri più famosi e amati della cultura giapponese: metà gorilla e metà balena, come era
stato descritto du rante la produzione del film del 1954 di Ishiro Honda. È la ventinovesima pellicola su
Godzilla che la Toho Company, una delle case di produzione cinematografiche più ricche e grandi al
mondo, produce; la trentunesima, volendo contare anche i due film americani. Se in America e nel resto del
mondo la moda dei remake sembra essere arrivata alla fine (vanno bene I magnifici 7; malissimo, invece, il
redivivo Ben Hur ), in Giappone continua ad avere fortuna. Sarà che dopo il Godzilla di Gareth Edwards,
distribuito nel 2014, più di 500 milioni di dollari al box office internazionale, e un cast all star tra cui Bryan
Cranston, i giapponesi non vedevano l'ora di riappropriarsi della loro creatura e di celebrarla ancora. Ci
sono riusciti? Pare di sì: più di 4 milioni di persone sono andate al cinema per vedere Shin Gojira. La storia,
simbolicamente, parte dal 2011, anno del disastro di Fukushima: non se ne parla mai direttamente, ma la
minaccia del nucleare - suggerito dalle Nazioni Unite come unica soluzione per sconfiggere il mostro - è
sempre in primo piano. Ci sono intrighi, giochi di potere; ogni tanto spuntano gli Stati Uniti (che si off rono di
da re una mano al Giappone). La soluzione è mettere nel congelatore il kaiju: teorie e contro teorie sul
corpo del mostro che funzionerebbe come un reattore. Agli amanti del genere piacerà. Ma attenzione,
niente a che vedere con il Godzilla hollywoodiano: qui il Giappone è l'unico, vero protagonista. c
Foto: Qui sopra, una scena di «Shin Gojira», o «Godzilla Resurgence», che in Giappone hanno già visto
quattro milioni di persone; a fianco, Godzilla in tutta la sua mostruosità: la serie di film che lo vede
protagonista è nata nel 1954
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 28/09/2016 - 28/09/2016
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La storia
28/09/2016
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Quei Mostri del Cinema che ci terrorizzano e ci fanno innamorare
GIUSEPPE CULICCHIA
Era il 1976, avevo appena 11 anni e per la prima volta andai in una sala che oggi non esiste più a vedere
un film che aveva come protagonista un Mostro del Cinema. E che mostro: si trattava del remake di King
Kong, diretto da John Guillermin e prodotto da Dino De Laurentiis. Fu quello il pomeriggio in cui
m'innamorai perdutamente di Jessica Lange, e però piansi anche calde lacrime per la sorte del tenero
scimmione, che certo mi aveva fatto paura ma che poi con le sue dita gigantesche aveva accarezzato la
bionda prigioniera per cui, come me, aveva perso la testa. In precedenza, e in bianco e nero, avevo visto in
tivù il Frankenstein interpretato dal mitico Christopher Lee ne La maschera di Frankenstein, tutto sommato
senza farmi troppo spaventare. Mi ero invece precauzionalmente allontanato dal teleschermo la sera in cui
era passato il Dracula impersonato da quell'altro mostro di bravura di Bela Lugosi. Panico e distruzione
Oggi invece in Giappone tutti si mettono in coda per venire terrorizzati da Godzilla. In Rete si può già
vedere il trailer, nel quale com'è bene in questi casi del mostro made in Japan creato dagli effetti delle
radiazioni nucleari non si vede quasi nulla: giusto la punta della coda, un piede, e nel finale la sagoma che
si erge su uno sfondo va da sé apocalittico. Nel mezzo, le classiche scene di panico collettivo e distruzione,
che però ricordano inevitabilmente quelle viste nei notiziari tivù all'indomani dello tsunami che ha provocato
il disastro di Fukushima, non fosse che la qualità delle riprese è migliore. Di Mostri del Cinema con cui
spaventarsi nel buio di una sala, come Godzilla e King Kong e Frankenstein o Dracula, è piena la storia
della settima arte. Il primo fu il Golem: correva l'anno 1915 e il regista Paul We gener portò sugli schermi
tedeschi il film muto che aveva come protagonista il mostro d'argilla creato per magia da un rabbino per
proteggere gli abitanti del ghetto dalle persecuzioni dell'Imperatore Rodolfo II nel XVI Secolo. Ispirato al
protagonista di una vecchia leggenda ebraica praghese diventata romanzo a opera di Gustav Meyrink, il
mostro venne interpretato dallo stesso Wegener, che sulla scorta del grande successo della pellicola girò
nel 1917 un sequel, Il Golem e la ballerina, e nel 1919 una sorta di prequel, intitolato Il Golem - Come
venne al mondo. E proprio questo film, arrivato negli Stati Uniti nel 1923, ispirò il regista James Whale per il
Frankenstein che sarebbe uscito nel 1931. Dopo il Golem, l'altro mostro a seminare il terrore tra gli
spettatori fu nel 1922 Nosferatu il vampiro, ispirato al Dracula di Bram Stoker e girato da Friedrich Wilhelm
Murnau. A quel punto, un genere era nato. E dunque, oltre ai già citati Frankenstein e Dracula, sul grande
schermo comparvero via via altri mostri: La mummia nel 1932, L'uomo invisibile nel 1933, e nello stesso
anno il primo King Kong. Il padre di tutti i G odzilla i nvece venne alla luce nel 1954. E trattandosi di un
dinosauro mutato geneticamente per effetto delle radiazioni nucleari, non poteva essere che giapponese.
Jun Fukuda, il regista scomparso nel 2000 che girò nel corso degli anni diverse pellicole con varie
avventura del Re dei Mostri, sosteneva che G odzilla impersonasse la violenza e l 'odio verso l'umanità:
originato dall'energia atomica, costituiva ai suoi occhi il simbolo della complicità della nostra specie nella
sua autodistruzione. Ragionamento che non fa una piega, anche alla luce dell'effetto che fa l'odierno trailer
a cui accennavo sopra. I Mostri del Cinema ci fanno paura ma in fondo ci piacciono perché ci aiutano a
esorcizzare i mostri che albergano dentro di noi: vedi quell'altro grande film del filone mostruoso che è
Jurassic Park. Anche lì, i dinosauri tornano a terrorizzare il mondo a causa dell'uomo e della sua cecità di
fronte ai rischi che è disposto a correre pur di soddisfare la sua brama di potere, avidità, celebrità. Poi certo
i bambini di oggi, forse meno facilmente terrorizzabili dai Mostri del Cinema rispetto ai loro coetanei di ieri
anche perché più esposti al quotidiano terrore vomitato loro addosso da ben altri mezzi che non la vecchia
tivù in bianco e nero, coi vari Godzilla e TRex e via discorrendo giocano, si divertono. Ed è bene che
continuino a farlo il più a lungo possibile, senza ricollegare le finte devastazioni dei Mostri del Cinema a
quelle vere, prodotte da noi adulti. c
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 28/09/2016 - 28/09/2016
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King Kong, Frankenstein e altri miti
28/09/2016
Pag. 32
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tiratura:241998
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 28/09/2016 - 28/09/2016
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Foto: Qui sopra, Christopher Lee nella parte di Dracula; sotto, una scena del «King Kong» del 1976, con
Jessica Lange, remake del film del 1933; lo scimmione e la bionda sono tornati nel 2005 (lei era Naomi
Watts)
28/09/2016
Pag. 27
diffusione:123081
tiratura:170229
L'outsider "Moonlight" apre la Festa di Roma
Sarà Moonlight di Barry Jenkins il film d'apertura dell'undicesima edizione della Festa del Cinema di Roma,
che si terrà dal 13 al 23 ottobre con la direzione artistica di Antonio Monda, prodotta dalla Fondazione
Cinema per Roma, presieduta da Piera Detassis. Moonlight è una riflessione intensa e poetica sull'identità,
il senso di appartenenza, la famiglia, l'amicizia e l'amore. Il film racconta la vita di un ragazzo di colore,
dall'infanzia all'età adulta, che lotta per trovare il suo posto nel mondo, crescendo in un quartiere malfamato
alla periferia di Miami. Il film è diretto e co-sceneggiato da Barry Jenkins al suo secondo lungometraggio
dopo Medicine for Melancholy , dramma romantico candidato a tre Indipendent Spirit Awards. Il cast del film
comprende Mahershala Ali, Naomie Harris, Trevante Rhodes, André Holland, Janelle Monáe, Ashton
Sanders, Jharrel Jerome, Alex Hibbert e Jaden Piner. « Moonlight è un film straordinario, che riesce ad
essere potente e tenero, realistico e poetico: per me è un grande onore aprire l'undicesima edizione della
Festa del Cinema con un'opera d'arte come questa»,ha detto il direttore artistico Antonio Monda. «È un film
che andrà lontano e rimarrà nei nostri cuori, e che conferma il grande, sincero talento di Barry Jenkins».
Scoperto dal piccolo ma prestigioso Festval di Telluride, Colorado , Moonlight è stato prenotato da molti
altri festival statunitensi, tra cui quelli di Chicago e New York.Foto: "Moonlight" di Barry Jenkins
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 28/09/2016 - 28/09/2016
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FESTIVAL
28/09/2016
Pag. 27
diffusione:123081
tiratura:170229
Ben-Hur, che capitombolo
L'attesissima nuova versione del classico già portato tre volte sullo schermo fa acqua da tutte le parti
Modesto il 3D, aridi gli effetti speciali, inadeguato il protagonista. E la famosa corsa delle bighe dà il mal di
mare
Francesco Alò
Ben-Hur? Mal di mare. Non solo perché il nuovo adattamento dal classico epico firmato Lee Wallace nel
1880 vede il protagonista principe ebreo Judah Ben-Hur (Jack Huston) finire, in catene, ai remi di una nave
romana insieme ad altri schiavi in un Mar Ionio simile all'Oceano, ma soprattutto per via di una regia così
caotica e confusa da mettere a dura prova occhi e stomaco dello spettatore anche grazie a un 3D non
proprio sopraffino. Ci riferiamo principalmente a una certa corsa con le bighe. Ma procediamo con ordine:
questo Ben-Hur del secondo millennio diretto dal kazako-hollywoodiano Timur Bekmambetov (aveva
cominciato benissimo nel 2004 con la saga vampiresca russ a I guardiani della notte ) arriva come quarto
importante adattamento dalle pagine di Wallace. Prima ci fu la versione muta del 1907, poi quella faraonica,
ma sempre silente, del 1925, infine l'indimenticabile interpretazione in chiave machista del 1959 con il virile
Charlton Heston, le bighe lanciate a folle velocità in una Cinecittà scomparsa (ora in quel punto c'è un
centro commerciale) e un Sergio Leone ragazzino assistente alla regia della seconda unità. FAMIGLIA
ALLARGATA Periodo storico che vai, Ben-Hur che trovi. Nel 2016 la versione di Bekmambetov rappresenta
una Hollywood nei panni degli imperialisti romani in cerca di redenzione grazie all'epopea di un
protagonista pronto a mettere da parte la rabbia (solo dopo 125 minuti però) per abbracciare il perdono.
Ben-Hur è sempre un ricco principe di Gerusalemme mentre Messala (Toby Kebbell), a differenza delle
versioni 1925 e 1959, è addirittura un fratello adottivo in una famiglia allargata giudaico-romana che sa
molto di salotti buoni di oggi. Peccato, però, che quella Gerusalemme fosse un calderone scontroso di ieri.
IL MESSIA Quando gli Zeloti si ribellano, un giovane falegname dalla lingua lunga (Rodrigo Santoro)
predica la compassione mentre, contemporaneamente, pialla il legno e Ponzio Pilato è appena diventato
governatore, il viziato temporeggiatore Ben-Hur viene pressato da un Messala diventato ufficiale di un
Impero molto simile a quello di Guerre Stellari... A questo punto, o Ben-Hur vende gli Zeloti e diventa
collaborazionista dell'esercito invasore; o passerà dei guai venendo trattato come i ribelli. Rifiutatosi di
tradire i propri connazionali, il nostro si troverà a remare come schiavo prima di essere salvato da un ricco
mercante africano (Morgan Freeman con treccine rasta semplicemente imbarazzanti sul capo di un
79enne) pronto a insegnargli tutto circa la corsa con le bighe. Sarà attraverso una sfida ippica che Ben-Hur,
tornato a Gerusalemme, si vendicherà dell'ex "fratello" Messala? HUSTON VS HESTON Huston, nipote di
quel John regista di capolavori come Il tesoro della Sierra Madre (1948) e Giungla d'asfalto (1950), è
incapace di essere Heston, o anche solo il Russell Crowe de Il gladiatore (2000). Il suo Ben-Hur è un
dandy, magrolino, metrosexual per di più antipaticissimo. Freeman è il solito mentore arrogante degli ultimi
anni (vuoi mettere con il comicissimo Hugh Griffith, premio Oscar nel 1959?), mentre nessun personaggio
femminile riesce ad essere altro se non una querula donna in difficoltà. E le bighe? Nella versione del '59
sentivi tutto di quella gara mortale. La polvere, il caldo e la tensione. Oggi è difficile distinguere qualcosa di
vagamente concreto, o emotivamente viscerale, in mezzo a un tripudio di effetti speciali al computer di rara
bruttezza, cacofonia e contraddizione (per come finisce in modo roboante e truculento la gara, di Ben-Hur
non dovrebbero restare che dei pezzettini sulla pista dell'arena). Rimane l'idea di fondo che il perdono vinca
sull'odio vendicativo grazie agli insegnamenti di un Gesù Cristo capace di convincere l'eroe in soli tre minuti
di presenza scenica. Girato tra Matera, Puglia, California e, ancora una volta, Cinecittà, la pellicola è già
ora la versione più flop delle quattro tratte da Wallace. Ed è molto difficile che venga candidata a 11 Oscar
come il capolavoro di William Wyler del 1959. Ben-Hur 2016? Male. Anzi, malissimo.
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 28/09/2016 - 28/09/2016
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IL REMAKE
28/09/2016
Pag. 27
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tiratura:170229
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Ben-Hur m 1/2 STORICO-AZIONE, USA, 125' di Timur Bekmambetov con Jack Huston, Toby Kebbell,
Nazanin Boniadi, Morgan Freeman, Rodrigo Santoro
Foto: Morgan Freeman
Foto: GIRATO A CINECITTÀ COME LA MITICA VERSIONE DEL 1959 FA RIMPIANGERE UN'EPOCA
ORMAI SCOMPARSA
Foto: MITICO Jack Huston nel remake del celebre film del 1959, nel ruolo che fu di Charlton Heston
28/09/2016
Pag. 53 Ed. Abruzzo
diffusione:123081
tiratura:170229
SILVI
Lo scenografo Paolo Cameli firma le pitture di scena e le decorazioni al nuovo Ben-Hur, il remake del
colossal del 1959 in uscita in tutte le sale a partire da giovedì 29 settembre. Dopo le importanti esperienze
acquisite negli anni con alcuni dei personaggi più grandi del cinema italiano, da Roberto Benigni a
Giuseppe Tornatore, il maestro di Silvi paese offre un altro saggio delle proprie potenzialità artistiche e
creative in un film attesissimo, basato sul romanzo del 1880 di Lew Wallace e relativo all'epica vicenda di
Giuda Ben-Hur, un giovane dalle nobili origini che è ingiustamente accusato di tradimento dal proprio
fratello adottivo Messala, ufficiale dell'esercito Romano. Per l'occasione, Cameli ha lavorato un po' in tutte
le location che il regista kazako Timur Bekmambetov ha scelto per produrre la pellicola: buona parte del
film è stata girata a Matera, mentre nei teatri di Cinecittà sono stati effettuate le riprese interne, specie nel
mitico Teatro 5 dedicato a Federico Fellini. In questo teatro è stato costruito il palazzo di Ben Hur con le
sue grandiose stanze, un grande cortile interno ed un patio a forma di esedra, con otto colonne e balaustra
sormontata da una architrave tutta realizzata da Cameli, pittore in molte scene del film tra cui la costruzione
scenografica relativa alla realizzazione in grandezza quasi reale dell'anfiteatro (il Circo Massimo) dove
sono state girate le corse delle bighe, una delle più belle sequenze del cinema mondiale. La trama del film
è la stessa del '59 sottolinea Cameli ma la lavorazione è stata differente poiché tutto è incentrato
sull'elettronica con tanti effetti digitali che mi hanno sorpreso. C'è una scena unica nel suo genere dove gli
attori recitano all'interno di una galea romana lunga 30 metri, strutturata in legno e con un sistema idraulico
per poter simulare il movimento come se stesse navigando in alto mare. E' una delle stupende scene di
questo film, che mi ha dato tanto anche in termini professionali e mi ha fatto conoscere il mondo del cinema
europeo e americano. Per questo ringrazio la mia famiglia e tutti i miei amici di Silvi che mi hanno
incoraggiato e supportato nella lavorazione del set.
Paolo Martocchia
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Il nuovo «Ben Hur» griffato da Cameli
28/09/2016
Pag. 12
diffusione:14229
tiratura:29645
Il produttore di «La bella gente» accusato di truffa
Il film Catalogato come un'opera «di interesse culturale»
Enrico Lupino
Una produzione cinematografica che doveva essere una collaborazione è finita con l'accusa di truffa per
Guido Servino. Il produttore napoletano è finito in aula per le vicende legate ai soldi stanziati dal Mibact per
la sua opera del 2009, «La bella gente». Finito nelle aule del Tribunale di Roma, l'amministratore della XFilm, avrebbe agito illecitamente «nello stipulare il contratto con il Ministero dei Beni e le Attività Culturali Direzione Generale per il Cinema». Il film, per il quale il 51enne produttore avrebbe avuto un finanziamento
di 230mila euro dal ministero, sarebbe stato infatti catalogato come un lungometraggio di «interesse
culturale». Usufruendo inoltre di una deroga, l'imputato avrebbe ottenuto «un ulteriore contributo» fino a
raggiungere «complessivamente la somma di 450mila euro». Tutto bene fin qui per la X-Film, se non per il
fatto che il contratto con il Mibact avrebbe previsto una clausola. Il produttore avrebbe infatti dichiarato
espressamente che il film «sarebbe stato realizzato utilizzando sistemi di ripresa a basso costo tipo hd».
Aggiungendo che la stessa società «si sarebbe fatta carico direttamente dei costi di distribuzione avendo
destinato la totalità del contributo concesso alla copertura dell'intero costo di produzione». Ma le cose non
sarebbero andate così, per questo per il produttore sarebbero cominciati i guai giudiziari. Il film infatti non
sarebbe stato girato come previsto dal patto, ma «totalmente su pellicola». Neanche la parte dell'accordo
relativa alla distribuzione sarebbe stata rispettata. La produzione della pellicola non si sarebbe rivolta a una
casa di distribuzione in grado di diffondere il film come negli accordi stipulati in Via del Collegio Romano. Il
contratto firmato per mandare il film nelle sale sarebbe stato chiuso con la «Lumiere Group Multimediale,
società che non aveva le garanzie minim e d i n a t u r a tecnico/finanziaria per distribuire il film». La
vicenda vede nelle parti offese Nicola Borrelli, dirigente responsabile della Direzione Generale Cinema del
Mibact, che nello specifico aveva accordato il finanziamento alla casa di produzione. «La bella gente», film
premiato al festival di Annecy nel 2009, vedeva nomi importanti del cinema italiano. Nel cast figuravano fra
gli altri Antonio Catania, Elio Germano, Iaia Forte e Monica Guerritore.
Foto: Attore Antonio Catania, uno dei protagonisti del film «La bella gente», di De Matteo
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In aula L'amministratore della X- Film avrebbe stipulato illecitamente un contratto con il ministero dei Beni
Culturali
28/09/2016
Pag. 22
diffusione:14229
tiratura:29645
Torna sul grande schermo Ben-Hur il remake girato tra Roma e Matera
Protagonista Jack Huston nei panni del principe ebreo
Giulia Bianconi
Cinquantasette anni dopo il kolossal di William Wyler, con protagonista Charlton Heston, torna al cinema la
storia di «Ben-Hur», prodotta sempre dalla Metro Goldwyn Mayer insieme stavolta alla Paramount Pictures.
A dare corpo e volto al principe ebreo nel remake da 100 milioni di dollari diretto dal kazako Timur
Bekmambetov (lo stesso di «Wanted-Scegli il tuo destino») sarà Jack Huston, l'attore inglese della serie
televisiva «Boardwalk Empire» e, tra gli altri, di «American Hustle-L'apparenza inganna». Lo vedremo
protagonista della pellicola di oltre due ore, da domani nelle sale italiane con Universal Pictures in versione
3D, insieme a Morgan Freeman, Toby Kebbell e Rodrigo Santoro. Sono stati sei gli adattamenti (contando
anche quelli per il piccolo schermo) del romanzo omonimo di Lew Wallace del 1880. I primi del 1907 (in
realtà, un cortometraggio in bianco e nero) e 1926, quando ancora i film erano muti. Nel 1959 arrivò poi la
grande opera cinematografica di Wyler: 219 minuti di pellicola in grado di vincere ben undici premi Oscar,
dalla Miglior regia alla Miglior colonna sonora. Passando per il film d'animazione del 2003 direct-to-video
con la voce proprio di Heston e la miniserie del 2010, si arriva al remake odierno. Al centro della pellicola di
Bekmambetov, c'è naturalmente ancora una volta la storia di Giuda Ben-Hur, che dopo essere stato
accusato di tradimento dal suo amico d'infanzia e fratello adottivo, il tribuno romano Messala, diventa uno
schiavo. Dopo sette anni passati in mare, il protagonista cercherà la sua vendetta, anche se il regista ha
scelto una linea narrativa diversa rispetto all'originale che punta sul perdono: «Pensiamo che la
competizione sia l'unico modo di far andare avanti il mondo, ma credo che la collaborazione sia la
soluzione ai nostri conflitti». Come il film di Wyler, anche questo «Ben-Hur» è stato girato in Italia, tra Roma
e Matera. E ancora una volta le major statunitensi hanno fatto ricorso alla professionalità delle maestranze
artigianali di Cinecittà, affidandogli il compito di realizzare gran parte delle scenografie. Dalla casa di BenHur costruita all'interno del Teatro 5 (oggi dedicato a Federico Fellini) degli Studios di via Tuscolana alla
galea, altra immagine simbolo del film. Fino al Circo di Antiochia, realizzato a Cinecittà World sulla Pontina
dove è stata girata la corsa delle bighe, scena indimenticabile nella pellicola di Wyler. Rispetto agli anni
Cinquanta e ai tempi della Hollywood sul Tevere, è cambiato non solo il modo di fare cinema, ma anche il
pubblico, in passato più pronto a recepire la grandiosità dei cosiddetti «peplum». Non bastano così oggi le
imponenti scenografie e gli effetti speciali a rendere un film del genere unico. Ci vogliono anche degli attori
all'altezza in grado di reggere la scena, come era riuscito a fare Charlton Heston (premiato, tra l'altro,
anche lui con un Oscar). In questo caso il rischio era alto già in partenza decidendo di fare un remake come
«Ben-Hur» e scegliendo come protagonista il poco carismatico Jack Huston, nipote del famoso regista
John (quello di «Moby Dick», per intenderci). Funzionano sicuramente di più nel film Toby Kebbell nei panni
del fratello adottivo e nemico Messala, Morgan Freeman nel ruolo di Ilderim e Rodrigo Santoro nella parte
di Gesù. Il kolossal di Wyler, costato poco meno di 15 milioni di dollari, all'epoca riuscì a incassarne quasi
150. In America «Ben-Hur» di Bekmambetov, dove è uscito nelle sale lo scorso 19 agosto, è stato un flop,
guadagnando al box office appena 86,5 milioni di dollari e ricevendo critiche negative. Staremo a vedere
cosa ne penserà il pubblico italiano.
Foto: Ben Hur Cinquantasette anni dopo il remake prodotto sempre dalla Metro Goldwyn Mayer insieme
stavolta alla Paramount Pictures
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 28/09/2016 - 28/09/2016
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Nelle sale da domani
28/09/2016
Pag. 29
diffusione:256969
tiratura:369226
Mandato per un provvedimento d'urgenza. Le mosse di Sky La proposta Il gruppo francese sta lavorando
alla nuova offerta che potrebbe arrivare tra 15 giorni
Federico De Rosa
La linea di Mediaset su Premium non cambia. Semmai dopo il consiglio di ieri è diventata ancora più netta
la presa di distanza da Vivendi e la chiusura nei confronti del gruppo francese, citato in tribunale sia dal
Biscione sia dalla holding Fininvest per il mancato adempimento del contratto firmato ad aprile per
l'acquisto della pay-tv. Ieri il board di Mediaset si è riunito a Cologno per fare un punto della situazione e nel
corso della riunione è stata ribadita la volontà di andare avanti con le carte bollate e cercare, se è il caso, di
accelerare l'esito del confronto attraverso una richiesta di un provvedimento urgenza (ex articolo 700, ndr),
per il quale è stato conferito mandato al management.
La porta quindi resta chiusa, sebbene da Parigi le diplomazie continuino a lavorare per cercare di superare
l'ostilità di Cologno, recuperare la fiducia, e portare a termine l'acquisizione di Premium con delle modalità
che consentano a entrambe le parti di raggiungere gli obiettivi, di bilancio e industriali, previsti
dall'operazione sulla pay-tv. In base agli accordi siglati ad aprile, Vivendi ha tempo fino al 30 settembre per
perfezionare il contratto, anche se il termine non è perentorio, nel senso che se dovesse arrivare una nuova
offerta da Vivendi, a Cologno si prenderebbero il tempo necessario per esaminarla, senza comunque
rinunciare alle cause civili.
Ieri, per quanto si è saputo, non è stata portata all'attenzione dei consiglieri una nuova proposta, che pure
sembrava possibile. Serve ancora tempo per mettere a posto tutti i tasselli. Un paio di settimane, o forse
anche meno. Rispetto all'impianto originario, che prevedeva l'acquisizione del 100% di Premium da parte di
Vivendi con l'aggiunta di uno scambio azionario con Mediaset, ora il ragionamento ruoterebbe attorno al
coinvolgimento di un terzo, un fondo o un operatore, che prenderebbe una quota di Premium consentendo
così a Mediaset di deconsolidare la pay-tv senza obbligare Vivendi a consolidarla nei propri conti. Problema
che è stato alla base della rottura di luglio, dovuta a una differente valutazione delle prospettive di
Premium, che avrebbero costretto Vivendi a svalutare subito la partecipazione appesantendo un bilancio
che presenta già alcune complessità.
Durante l'estate si era parlato di un possibile coinvolgimento di Telefonica, che ha una quota del 10% di
Premium, a fianco di Vivendi, poi di Telecom, di cui il gruppo francese è primo socio, che però ieri ha di
nuovo preso le distanze ribadendo, per bocca del presidente Giuseppe Recchi, che «non abbiamo niente in
corso su Mediaset Premium».
Sullo sfondo c'è sempre l'interesse di Sky. Dopo la rottura con Vivendi, le diplomazie di Rupert Murdoch si
sono rimesse in movimento, riallacciando i rapporti con gli advisor di Mediaset, con i quali avevano già
dialogato a lungo due anni fa. Si tratta di contatti preliminari, non certo di colloqui, anche perché comunque
fino al 30 settembre Mediaset ha le mani legate.
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d'Arco IN BORSA NEGLI ULTIMI SEI MESI I SOCI 3.848 4.158 3.538 3.228 2.917 2.607 2.296 Il gruppo
apr mag giu 2016 lug ago set IERI 2,758 euro +0,58% Fininvest 41,3% Flottante 54,9% Mediaset (azioni
proprie) 3,8%
20 per cento
la quota di Mediaset Premium che a luglio Vivendi ha detto di voler comprare, rinunciando al 100%
previsto
10 per cento
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 28/09/2016 - 28/09/2016
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Mediaset , avanti con la causa Ma Vivendi vuole l'accordo
28/09/2016
Pag. 29
diffusione:256969
tiratura:369226
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 28/09/2016 - 28/09/2016
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
la quota detenuta dal gruppo Telefonica in Mediaset Premium. La quota è stata valutata 100 milioni di euro
Foto: Pier Silvio Berlusconi, 47 anni, figlio di Silvio Berlusconi, dall'aprile del 2000 è vicepresidente del
gruppo Mediaset oltre che presidente e ammi-nistratore delegato di Rti
Foto: Vincent Bolloré, 64 anni, francese di origine bretone, è il primo azionista del gruppo transalpino del
settore dei media Vivendi, primo socio di Telecom Italia con una quota del 24,9%
28/09/2016
Pag. 27,29
diffusione:124550
tiratura:183852
Premium, il cda Mediaset non chiude a Vivendi
Mandato al management per valutare eventuali nuove azioni legali
Andrea Biondi
PMediaset tira dritto nel contenzioso con Vivendi sul nodo della vendita della pay tv Premium. Il cda di ieri
ha deciso, in assenza di novità da parte dei francesi, di proseguire nel contenzioso e ha dato mandato agli
amministratori di intraprendere, se necessario, nuove azioni legali per ottenere la massima tempestività
nell'esecuzione del contratto. Tuttavia anche il silenzio conta e, in questa fase, l'assenza di una
comunicazione - e ancora di più l'assenza di una comunicazione dai toni battaglieri-a valle della riunione
del Cda di Mediaset ieri pomeriggio può a buon diritto essere letta come un'aperturaa un tentativo di
mediazione che fra Mediaset e Vivendi si fa sempre più complicato, ma non ancora da dare per morto e
sepolto. La chiave per fermare le lancette, nei fatti, è nella proposta che lato Vivendi sarebbe allo studioe
già oggetto di varie release e che vorrebbe cambiare lo schema di gioco: Premium non più acquistata per
intero dai francesi, ma solo per una quota che potrebbe essere intorno al 40%, con un altro 40% in capo a
Mediaset e un 20% in mano a un fondo di investimento o a una telco o a entrambi. Il tempo però stringee il
Cda Mediaset si è compattato attorno all'idea di andare fino in fondo con l'azione legale se necessario. u
pagina 29 pMediaset mostra i muscoli, va avanti con il contenzioso e e pare pronta a nuove azioni
tempestive avallate dal Cda. Ma la porta rimane aperta al dialogo con Vivendi.E questo non era da dare per
scontato. Anche il silenzio conta e, in questa fase, l'assenza di una comunicazione-e ancora di più
l'assenza di una comunicazione dai toni battaglieri - a valle della riunione del Cda di Mediaset ieri
pomeriggio puòa buon diritto essere letta come un'aperturaa un tentativo di mediazione che fra Mediasete
Vivendi si fa sempre più complicato, ma non ancora da dare per mortoe sepolto. La riunione del Cda del
gruppo di Cologno poteva essere l'occasione per un redde rationem con Vivendi. Le due società stanno
duellando da fine luglio, da quando cioè è stata resa pubblica l'intenzione della media company francese di
rivedere l'accordo siglato l'8 aprile scorso negandosi all'acquisizione totalitaria di Premium. Certo, non sono
rituali in casa Mediaset comunicazioni alla fine di riunioni del consiglio d'amministrazione che non
riguardino i conti. Quindi, tutto sommato, l'assenza di comunicazioni in sè nonè un elemento di novità. Ma
in questa fase non era da dare per assodata a priori. Se questo è l'elemento che in qualche modo denota la
volontà di tenere aperto uno spiraglio per una trattativa finalizzataa un possibile accordo, dall'altra parte
però quanto trapelato dalla riunione del Cda di ieri fa capire che Mediaset non recede dall'idea di andare
giù duro nella vicenda, anzi. La volontà a Cologno è invece di stringerei tempie di far capire che il tempo
per ricevere una eventuale proposta (prima)e raggiungere un accordo (poi) in grado di scongiurare le vie
legali sulle quali ci siè già incamminatiè considerato in scadenza. E quindi, proprio in assenza di novità da
parte dei francesi, il cda -a quanto trapelato- ha deciso di proseguire nel contenzioso e ha dato mandato
agli amministratori di intraprendere, se necessario, nuove azioni legali per ottenere la massima tempestività
nell'esecuzione del contratto. Al momento è fissata per il 21 marzo prossimo la prima udienza al tribunale
civile con richieste di danni, sia da parte di Mediaset sia dell'azionista Fininvest, che potrebbero arrivare
fino a 2 miliardi di euro. Finora nonè stata fatta alcuna richiesta formale di una procedura di urgenza
(articolo 700) da parte dalle società della famiglia Berlusconi. Ma l'opzione, da ieri, è ancora di più
percorribile anche se non ancora percorsa. La chiave per fermare le lancette, nei fatti,è nella proposta che
lato Vivendi sarebbe allo studio e già oggetto di varie release e che vorrebbe cambiare lo schema di gioco:
Premium non più acquistata per intero dai francesi, ma solo per una quota che potrebbe essere intorno al
40%, con un altro 40% in capoa Mediasete un 20% in mano a un fondo di investimentooa una telco o a
entrambi (va ricordato che Telefónica è azionista di Mediaset Premium all'11%). Ma la proposta nonè
ancora arrivata. E quindi, nell'assenza di qualcosa messo nero su bianco, al Cda di Mediaset nonè rimasto
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 28/09/2016 - 28/09/2016
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Media. Ieri il consiglio sul contenzioso con il gruppo francese per il mancato acquisto della pay-ty
28/09/2016
Pag. 27,29
diffusione:124550
tiratura:183852
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
che ricompattarsi ancora di più esprimendo apprezzamento per l'efficaciae la tempestività delle azioni
messe in atto dalle direzioni aziendali giàa partire da fine luglio sulla vicenda Premium. Di tempo a
disposizione per trovare una quadra che non passi dai tribunali, intanto, ce ne è sempre meno. Il 30
settembre, del resto, è la data che era stata indicata come limite per il closinge dopo la quale Vivendi ha
dichiarato di voler considerare decaduto il deal. Posizione, questa, non condivisa da Mediaset che puntaa
far leva su un contratto che considera il 30 settembre quale data del closing, ma salvo accadimenti
imprevisti in cui rientrerebbe il braccio di ferro fra le due società. C'è però da fare i conti con un'operatività
di Premium messa in difficoltà da un interim management che cozza con la necessità di un rilancio della
piattaforma pay di casa Mediaset. Il tempo nonè scaduto, ma oltre l'autunno non si potrà sicuramente
andare per un accordo che sarà poi anche da mettere alla prova dei fatti. Oltre questo scenario, c'è solo il
contenzioso.E lì Mediasetè convinta di avere cartea prova di bomba e nei fatti ha ribadito di essere pronta a
farle valere in tutti i modi possibili.
Dati in milioni di euro
Mediaset Premium: ricavi e margini
€
€ € 0 800 600 400 200 -100 -150 50 -50 -200 19 -75 1.000 RICAVI EBIT -115 -184 Fonte: Mediaset e stime
Ubs 797 700 618 598 2014 2015 2016 2017 2014 2015 2016 2017
2
miliardi La richiesta danni Miliardaria la richiesta danni da parte di Mediaset e Fininvest
Mediaset 2,98 2,94 2,90 2,86 2,82 2,78 2,74 2,70 26/08 2,842 2,758 27/09
Andamento del titolo a Milano
I numeri di Vivendi 1.775 925 500 Ebit 911 5.200 4.900 4.600 4.300 4.000 -1,0% 2.200 1.350 +3,4%
+4,0% 1.991 Utile Utile lordo -54,2% Fonte: Dati societari 2015 2016 5.095 5.044 2015 2016 1.027 1.062
2015 2016 1.028 1.069 2015 2016
Dati al 30 giugno. In milioni di euro Ricavi
28/09/2016
Pag. 23
diffusione:251862
tiratura:369812
Non arriva la controfferta francese su Premium il consiglio del Biscione prepara nuove cause
SARA BENNEWITZ
MILANO. Fumata nera su Mediaset Premium. Al termine di un cda lampo riunito per questioni minori e per
aggiornare il consiglio sulla vendita della pay tv a Vivendi, il gruppo di Cologno non ha comunicato niente
per le vie ufficiali. Per le vie ufficiose è invece trapelato che i consiglieri, dopo aver espresso il loro
apprezzamento per l'efficacia e la tempestività delle azioni messe in atto, avrebbero detto di voler andar
avanti con la causa contro Vivendi dando mandato al management di intraprendere nuove azioni legali,
qualora siano ritenute opportune, per obbligare i francesi a rispettare il contratto su Premium. In verità già lo
scorso 19 agosto, Mediaset aveva comunicato ufficialmente di essere pronta a usare tutti i mezzi possibili,
minacciando di voler chiedere al giudice la proceduta d'urgenza ex articolo 700, o altre azioni simili volte a
ottenere l'«effettiva esecuzione del contratto vincolante concluso tra le parti». E ancora prima, al termine
del cda sulla semestrale del 28 luglio, il consiglio aveva «dato mandato agli amministratori di adottare tutte
le opportune azioni finalizzate ad ottenere l'adempimento del contratto da parte di Vivendi e, in caso di
inerzia di quest'ultima, di agire in sede civile ed eventualmente penale a tutela degli interessi della società».
Tuttavia, a distanza di due mesi, ancora ieri il cda di Mediaset ha esitato a passare dalle parole ai fatti,
perché probabilmente dopo aver ricevuto un'apposita richiesta da Parigi, starebbe lasciando ancora un po'
di tempo al gruppo guidato da Arnaud de Puyfontaine per formalizzare una proposta alternativa, che rispetti
i termini essenziali del vecchio accordo. E lo stesso de Puyfontaine, più volte pubblicamente aveva ribadito
di voler tenere in piedi l'alleanza strategica con Mediaset, trovando un punto d'incontro.
Fatto sta che il contratto firmato lo scorso 8 aprile prevedeva che in cambio di un 3,5% di azioni Vivendi,
Mediaset avrebbe dato al gruppo francese il 3,5% di azioni proprie e il 100% di Mediaset Premium. Poi
però il gruppo francese avrebbe cercato di rinegoziare l'accordo, studiato insieme a Mediaset il modo di
non consolidare le perdite della tv a a pagamento, chiedendo agli italiani di restare soci di Premium e
cercando nuovi soci per la pay tv. Nonostante lo schema del nuovo accordo sia stato illustrato agli italiani
nelle linee generali, Mediaset non avrebbe però mai ricevuto una proposta formale scritta, nè avrebbe
negoziato i dettagli della nuova operazione. E in proposito secondo fonti finanziarie, de Puyfontaine
sarebbe pronto a discutere con Pier Silvio Berlusconi i termini di un nuovo proposta in tempi brevi, tanto più
che venerdì il manager sarà comunque a Milano, in vista del cda di Telecom Italia convocato per
l'approvazione delle linee guida del nuovo piano industriale di Flavio Cattaneo.
Il tempo stringe, e anche chi inizialmente si diceva fiducioso, ora inizia a dubitare che Mediaset e Vivendi
possano trovare una quadratura del cerchio. Intanto lo studio Mariconda avrebbe già messo insieme tutte le
carte per una nuova causa contro Vivendi, che a differenza del rito civile la cui prima udienza è fissata per il
21 marzo 2017, avrebbe tempi più stretti.
LE TAPPE 8 APRILE Vivendi firma un contratto in base a cui rileva il 100% di Mediaset Premium e il 3,5%
di Cologno 25 LUGLIO I francesi fanno una contro proposta "irricevibile" volta a modificare l'accordo sulla
pay tv italiana
Foto: LO SCAMBIO Un nuovo accordo sul controllo di Mediaset Premium passerebbe per un negoziato
diretto tra l'ad Pier Silvio Berlusconi e l'ad di Vivendi Arnaud de Puyfontaine
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 28/09/2016 - 28/09/2016
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Accordo lontano tra Mediaset e Vivendi resta la guerra legale
28/09/2016
Pag. 1
diffusione:98970
tiratura:162805
Andrea Montanari
Mediaset accelera sul contenzioso ma attende ancora una proposta da parte di Vivendi a pagina 13 Il fatto
che nessuno dei due contendenti, a pochi giorni dalla scadenza del 30 settembre (data in cui Mediaset farà
scattare la richiesta di risarcimento danni, pari a 50 milioni al mese), abbia ancora espresso una posizione
ufficiale, la dice lunga sul braccio di ferro in atto tra il Biscione e Vivendi su Mediaset Premium dopo che i
francesi hanno fatto marcia indietro sull'acquisto della pay tv. Anche ieri, al termine del consiglio
d'amministrazione del gruppo televisivo guidato da Pier Silvio Berlusconi, non è stata diramata alcuna nota.
In ogni caso entrambi i contendenti, in guerra per il futuro e la gestione di Mediaset Premium, vorrebbero
evitare un lungo scontro giudiziario. Una sorta di Lodo Premium, infatti, non gioverebbe né al broadcaster di
Cologno Monzese né al gruppo francese. E neppure agli azionisti di riferimento, ossia da una parte
Fininvest e dall'altra Vincent Bolloré, che tra l'altro in questa fase è impegnato anche nella battaglia per il
controllo di Ubisoft. Come si potrebbe uscire da questo angolo? Soltanto con un nuovo accordo che Vivendi
dovrebbe presentare a Mediaset per porre fine alla diatriba e non incorrere nelle giustizie ordinarie italiana
e francese, visto che il Biscione si è rivolto anche alle autorità transalpine (Amf). Per questo a Parigi Arnaud
de Puyfontaine, amministratore delegato di Vivendi, e i top manager d e l l ' a z i e n d a francese stanno
valutando la possibilità di rivedere la propria offerta nell'ambito, come riferito da MF-Milano Finanza lo
scorso 22 settembre, di un più ampio piano strategico relativo al business della Iptv, che vede coinvolti la
controllata Canal+ (oltre 100 milioni di perdite nel primo semestre e un piano di tagli da 300 milioni ai nastri
di partenza), gli alleati commerciali di Orange e la Iliad di Xavier Niel. De Puyfontaine infatti sta mettendo
mano a un progetto complessivo per lo sviluppo dei contenuti televisivi non solo in patria ma anche
all'estero, visto che Vivendi è, tra le altre cose, anche il socio di riferimento di Telecom Italia con il 24,6%. Il
nodo da sciogliere resta quello del controllo e del consolidamento di Mediaset Premium (100 milioni di
rosso nel primo semestre di quest'anno, che si sommano agli 83 milioni persi nell'intero 2015). Né Mediaset
né Vivendi vogliono il 50% della pay tv. Per questo in Francia si sta cercando una soluzione che preveda
l'ingresso di un terzo partner nel capitale di Mediaset Premium per poter condividere l'investimento, i costi e
le perdite. Chi potrebbe essere questo alleato? Da settimane di parla di fondi sovrani mediorientali, magari
del Qatar (l'emirato gestisce l'all news Al Jazeera, già in passato indicata come interessata a Premium, e
BeIn Sports, titolare di molti diritti tv che fanno gola a Vivendi). Mentre pare che Telefonica, azionista
all'11% della pay tv del Biscione, non sia convinta di restare nel capitale. Quanto a Telecom Italia, per voce
del suo presidente Giuseppe Recchi continua a chiamarsi fuori dall'operazione. Un'alternativa potrebbe
essere Sky Italia, anche se sul fronte antitrust un legame con Premium non sarebbe facile. Nel frattempo, a
Cologno Monzese non mollano la presa. Anzi, secondo indiscrezioni di mercato, il cda riunitosi ieri, in
assenza di nuovi riscontri oggettivi da parte di Vivendi ha deliberato di proseguire nel contenzioso con i
francesi e ha dato mandato agli amministratori di intraprendere, se opportuno, nuove azioni per ottenere la
massima tempestività d'esecuzione del contratto vincolante siglato lo scorso 8 aprile. Intanto ieri è arrivata
notizia che una corte d'Appello statunitense ha confermato il giudizio contro Vivendi nell'ambito di una class
action, che accusa il gruppo di aver dato agli investitori informazioni ingannevoli nei primi anni 2000. Nel
2010 un tribunale federale aveva condannato lo società a pagare 50 milioni di dollari. Infine va anche
registrato che il gruppo di Bolloré presto dovrà fare i conti con la grana Ubisoft. Vivendi, dopo aver scalato
Gameloft, vuole conquistare anche il terzo player mondiale nel campo dei videogame. Domani è in
calendario l'assemblea dei soci: la sfida con la famiglia Guillemot, che oggi controlla il cda di Ubisoft, sarà
dura. (riproduzione riservata)
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 28/09/2016 - 28/09/2016
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Su Premium si tratta a oltranza
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Berlusconi
ANICA WEB - ANICA WEB
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27/09/2016 13:17
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Partirà venerdì la quarta edizione della kermesse dedicata all'audiviosivo della rete: tra le anteprime la serie
HBO Westworld - Dove tutto è concesso
Al via Roma Web Fest
Westworld
La 4° edizione del Roma Web Fest (30 settembre - 2 ottobre), manifestazione dedicata alle web serie e ai
prodotti originali e innovativi per il web, è alle porte.
La kermesse, sotto la direzione di Janet De Nardis, anche quest'anno avrà come location il MAXXI - Museo
Nazionale Arti del XXI secolo, dove sarà possibile vedere i migliori prodotti web seriali italiani e
internazionali, poter assistere a tavole rotonde, incontri e panel presieduti da studiosi, giornalisti e web
artist, ma sarà anche possibile partecipare a workshop e eventi speciali insieme a talent come Matteo
Bruno, Astutillo Smeriglia, I Nirkiop, Ivan Silvestrini, e star del cinema protagoniste di web serie in concorso
come Francesco Montanari, Giorgio Colangeli, Gianmarco Tognazzi, Sara Zanier, Andrea De Rosa,
Marianna Di Martino, Massimo Bonetti, Massimiliano Buzzanca, Valeria Solarino, Antonia Liskova, Giulia
Michelini, Carolina Crescentini, Lillo & Greg, Sabina Guzzanti, Matteo Branciamore, Enzo Salvi. Tra le
anteprime la presentazione di Westworld - Dove tutto è concesso, la nuova serie di HBO.
Il ricco programma di questa quarta edizione è stato presentato ieri, lunedì 26 settembre, presso il MiBACT.
Sono intervenuti i rappresentanti delle istituzioni coinvolte, a partire da Maria Giuseppina Troccoli (Dirigente
Direzione Generale Cinema MiBACT) e, a seguire, Cristina Priarone (Direttore Generale Roma Lazio Film
Commission), Pietro Barrera (Segretario Generale Fondazione MAXXI), Miche Conforti ( Direttivo 100Autori
che insieme a SIAE ha sostenuto il workshop su "come scrivere una web serie"), Federico Bagnoli Rossi
(FAPAV che insieme a ANICA, MPA e Univideo promuovono la campagna "Io faccio film"), Il Collettivo
Zero, Erminio Fracassi (DG e Presidente di Micromegas Comunicazione Spa).
Un festival impreziosito dai migliori prodotti della serialità webnativa italiana e internazionale: workshop,
masterclass, panel, proiezioni, anteprime, web radio, la sezione speciale dedicata ai fashion film, gli incontri
e confronti con broadcaster, buyer, pitch, tavole rotonde, premiazioni e iniziative legate al territorio, come
Movieland per la promozione attraverso le webseries sostenuto dall'Assessorato Formazione e Turismo
della Regione Lazio con Roma Lazio Filmcommission. Inoltre non mancherà il glamour dei fashion film che
verranno proiettati sabato 1^ ottobre a cui seguirà l'attesa kermesse di stilisti guidati dalla presidente di
giuria Anna Fendi.
"Negli ultimi 4 anni, grazie alla collaborazione con il Roma Web Fest, l'attività della Direzione Generale
Cinema nel campo della normative si è ampliata moltissimo", ha dichiarato Maria Giuseppina Troccoli.
Cristina Priarone ha aggiunto: "Fin dal primo momento abbiamo sostenuto il festival perché le web serie
rappresentano una realtà dinamica e in forte crescita e le istituzioni entrano in queste iniziative perché
funzionano".
L'evento di premiazione finale, condotto da Saverio Raimondo, è previsto per domenica 2 ottobre.
ANICA WEB - ANICA WEB - Rassegna Stampa 28/09/2016 - 28/09/2016
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Al via Roma Web Fest
27/09/2016 22:12
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Un Orso d'oro a garanzia e l'endorsement di Meryl Streep come viatico. Accanto alle indubbie qualità
cinematografiche di «Fuocoammare», candidato dalla commissione di esperti dell'Anica a rappresentare
l'Italia nella corsa agli Oscar per il miglior film straniero, devono aver avuto il loro peso anche questi due
fattori per così dire «ambientali». Intendiamoci: il documentario di Gianfranco Rosi sull'emergenza migranti
a Lampedusa è un magnifico esempio di cinema del reale, capace di incidere nella carne viva del massimo
problema dei nostri tempi, di raccontare la disperazione di chi parte e il coraggio di chi accoglie con codici
d'artista.
Liberi dai condizionamenti della retorica e dai luoghi comuni della politica. E l'entusiasmo della presidente
di giuria Meryl Streep nell'assegnargli il premio più importante del Festival di Berlino è senz'altro un
autorevole biglietto da visita. «Spero che vinca l'Oscar» aveva detto la diva che nel campo detiene il record
di candidature, diciannove, e nel leggendario curriculum tre statuette vinte. Il suo incoraggiamento,
nell'ambiente, vale dunque più di un semplice augurio.
Dalla sua, «Fuocoammare» ha anche la dichiarata sensibilità dei giurati dell'Academy verso i temi
dell'impegno civile e infatti non sono pochi i titoli che, negli anni, hanno vinto raccontando la tragedia
dell'Olocausto - «La vita è bella» di Benigni fra questi - le devastazioni delle guerre, il dolore provocato
dalle dittature. Ma erano film cosiddetti di finzione, cattedrali drammaturgiche ispirate alla realtà, non letture
autorali della realtà stessa quali si prefiggono di essere i documentari. In un premio così saldamente
strutturato, così «pesante» per l'industria cinematografica mondiale, il distinguo di genere che negli altri
festival sta perdendo progressivamente di valore (proprio Rosi ha vinto anche il Leone d'oro a Venezia con
«Sacro G.R.A») rischia di penalizzare la corsa italiana all'Oscar. Va letta in questo senso la posizione
polemica di Paolo Sorrentino, l'ultimo italiano ad aver vinto la statuetta, tre anni fa con «La grande bellezza,
e ora nella commissione selezionatrice: «È un film bellissimo, ma andava candidato nella categoria
documentari» ha detto il regista non senza ragione, forte della propria esperienza. La scelta dell'Anica,
invece, «depotenzia masochisticamente» il nostro cinema perché gli impedisce di concorrere in due
categorie: cinema del reale e film straniero, dove «Indivisibili» di Edoardo De Angelis, a parere di
Sorrentino e non solo suo, avrebbe avuto non poche carte da giocare.
La sfida è finita cinque a quattro e va bene così. A nulla serve recriminare. Ora bisogna incrociare le dita e
sperare che «Fuocoammare» (iscritto peraltro anche nella categoria documentari) finisca nella cinquina
finale, che la storia di Bartolo, Samuele e Peppino colpisca al cuore i giurati dell'Academy, che la Rai
coproduttrice con Donatella Palermo lo sostenga al meglio nel lancio e nella promozione americana,
spietata come una campagna elettorale, che la commozione suscitata dal film al Parlamento Europeo si
riverberi sui votanti di Los Angeles, a volte distratti, a volte ignari, a volte lontani. La candidatura di
«Fuocoammare» è un'opzione stilistica coraggiosa e, allo stesso tempo, un grido, una richiesta di
attenzione su quel che accade sulla prima frontiera del Mediterraneo, su un dramma che scuote e
preoccupa il mondo. Non a caso, nella felicità del momento Rosi cita Obama e la sua dichiarazione contro i
«costruttori di muri» che finiscono per imprigionare la propria anima. Non a caso le reazioni più
entusiastiche sono arrivate, ieri, dalle istituzioni più che dagli organismi di categoria.
Per «Indivisibili» resta il rimpianto di una bella occasione mancata. Il film, ambientato da De Angelis nelle
terre violentate del Casertano, racconta attraverso la storia di due gemelle siamesi il dolore della crescita e
lo strazio della separazione. A pensarci bene, solo gli stessi temi di «Fuocoammare».
ANICA WEB - ANICA WEB - Rassegna Stampa 28/09/2016 - 28/09/2016
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«Fuocoammare» candidato all'Oscar il rimpianto di un'occasione
mancata
27/09/2016
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Martedi 27 Settembre 2016, 17:16
E' "Fuocoammare" di Gianfranco Rosi il film italiano candidato agli Oscar (Los Angeles, 26 febbraio 2017),
come miglior film in lingua non inglese. "Una decisione importante e un film importante - commenta il
delegato Anci all'Immigrazione - che valorizzano la posizione del nostro Paese impegnato nell'accoglienza
quotidiana a chi fugge da guerre e violenze"
Si chiama Fuocoammare, il film proposto per l'Italia della Commissione di selezione dell'Anica, riunitasi
oggi, per le nomination all'Oscar come miglior film in lingua non inglese: si tratta di un film documentario di
Gianfranco Rosi che parla della vita dei lampedusani, dell'emergenza sbarchi e della tragedia dei naufragi
di migranti.
Fuocoammare ha già vinto l'Orso d'oro al festival di Berlino, è stato presentato a Bruxelles al Parlamento
europeo ee è previsto uscire nelle sale di ben 70 Paesi. Il fllm è anche stato iscritto dai produttori nella
selezione agli Oscar per il miglior documentario.
Da Parigi, dove sta ricevendo recensioni entusiastiche sul film, Rosi commenta: ''Questa candidatura va
oltre il mio film. In questi 8 mesi il film è stato distribuito in più di 60 paesi. E mi sembra sia diventato un film
di tutti. In un mondo in cui si continuano a erigere muri e barriere spero che questo film possa seguire le
parole di Obama: 'chi costruisce dei muri costruisce una prigione per sé stesso'".
E dopo il tweet del Presidente del Consiglio Matteo Renzi "Un onore per l'Italia essere rappresentata da
Fuocoammare", grande soddisfazione è stata espressa anche dal delegato ANCI all'Immigrazione, Matteo
Biffoni: "Accogliamo con grande soddisfazione la scelta di Fuocoammare come film italiano candidato ai
prossimi Oscar - ha dichiarato Biffoni -. E' una decisione importante, questa, che valorizza la posizione del
nostro Paese impegnato nell'accoglienza quotidiana delle persone in fuga da guerre, violenze e violazioni
dei diritti umani. Si tratta di un film importante che rende merito al nostro Paese e a quanto stiamo facendo
sui territori per garantire un'accoglienza sicura e dignitosa". E prosegue: "In questa direzione va l'impegno
dell'ANCI, a sostegno soprattutto dei Comuni e dei sindaci che più da vicino si trovano ad affrontare la
questione dell'accoglienza dei migranti attraverso percorsi mirati di integrazione e inclusione sociale, con i
progetti di accoglienza dello SPRAR".
"Il tema dell'immigrazione è un fenomeno ormai strutturale, che va affrontato coinvolgendo appieno i
Sindaci - ha aggiunto Biffoni - L'ANCI è impegnata assieme al Ministero dell''Interno nell'applicazione del
piano nazionale di ripartizione dei migranti sul territorio, per sostenere i Comuni e garantire un'accoglienza
equa e sostenibile sui territori".
red/pc
Guarda qui il trailer ufficiale del film "Fuocoammare":
ANICA WEB - ANICA WEB - Rassegna Stampa 28/09/2016 - 28/09/2016
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"Fuocoammare", il film su migranti e Lampedusa, candidato italiano agli
#Oscar2017
27/09/2016 09:08
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fuocoammareFuocoammare del regista Gianfranco Rosi rappresenterà l'Italia agli Oscar. E' stato scelto
dalla commissione di selezione, riunita presso la sede dell'Anica, tra i sette film iscritti per la candidatura
italiana all'Oscar . Oltre al film di Rosi erano in lizza: Gli ultimi saranno gli ultimi di Massimiliano Bruno,
Indivisibili di Edoardo De Angelis, Lo chiamavano Jeeg Robot, di Gabriele Mainetti; Perfetti sconosciutidi
Paolo Genovese; Pericle il nero di Stefano Mordini; Suburra di Stefano Sollima, ma i giurati hanno optato
per questo film documentario che si era già aggiudicato l'Orso d'Oro al Festival di Berlino 2016 grazie alle
immagini molto forti che raccontano la vita quotidiana a Lampedusa e storie di vita dei migranti. La
cerimonia di consegna degli Oscar si terrà a Los Angeles domenica 26 febbraio 2017.
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Fuocoammare candidato italiano agli Oscar
27/09/2016 18:30
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On line la campagna Io faccio film a supporto delle maestranze del settore audiovisivo.
Prossimi appuntamenti con gli eventi al Roma Web Fest e a Napoli al Galà del cinema e della fiction in
Campania.
A pochi giorni dalla presentazione di Io faccio film e dalla contemporanea messa on line del sito
www.iofacciofilm.it vengono svelati i prossimi appuntamenti con gli eventi speciali della campagna: Io faccio
film arriverà a Roma in occasione del Roma Web Fest (30 settembre 2016) e a Napoli nell'ambito del Galà
del cinema e della fiction in Campania (5 ottobre 2016).
Presentata il 6 settembre scorso nell'ambito della 73/ma Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di
Venezia, Io faccio film è un'iniziativa, unica nel panorama italiano, promossa dalle Associazioni
dell'industria audiovisiva a tutela del patrimonio creativo italiano.
I primi dati indicano un successo della campagna: la pagina Facebook
(https://www.facebook.com/IoFaccioFilm) ha raggiunto più di 85.000 utenti con contenuti organici nella
prima settimana.
Per sostenere la campagna gli utenti possono twittare le proprie foto con il gesto "finger frame", utilizzando
l'hashtag #IoFaccioFilm. Sul sito ufficiale dell'iniziativa verranno raccolte le foto degli utenti e di tutti coloro
che desiderano mostrare il loro amore per il cinema.
Il progetto Io faccio film è una straordinaria campagna nata per sostenere e valorizzare le professionalità
del cinema italiano e gli appassionati della settima arte. Con oltre 170.000 professionisti impiegati, infatti,
l'industria audiovisiva italiana ha un valore di circa 14 miliardi di euro e costituisce un'importante risorsa
culturale, economica e occupazionale per il nostro Paese. Una preziosa risorsa che va sostenuta, tutelata e
rispettata. Per questo Io faccio film chiama in campo e si propone di coinvolgere non solo l'industria
cinematografica, le istituzioni e gli addetti ai lavori ma anche il pubblico.
La campagna è promossa da ANICA (Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e
Multimediali), FAPAV (Federazione per la Tutela dei Contenuti Audiovisivi e Multimediali), MPA (Motion
Picture Association EMEA) e UNIVIDEO (Editoria Audiovisiva Media Digitali e Online).
ANICA WEB - ANICA WEB - Rassegna Stampa 28/09/2016 - 28/09/2016
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"Io faccio film": prossimi appuntamenti al Roma Web Fest e a Napoli al
Galà del cinema e della fiction
27/09/2016 08:41
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larampa.it
Gianfranco Rosi sul set di Fuocoammare, unico film italiano in corsa in questa 66/ma edizione del Festival
di Berlino, 13 febbraio 2016. Il documentario, girato dal regista durante tutto un anno nell'isola di
Lampedusa, racconta la realtà degli isolani anche rispetto al fenomeno dell'immigrazione. ANSA/ UFFICIO
STAMPA +++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO
ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN
THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++
E' Fuocoammare di Gianfranco Rosi il film italiano candidato all'Oscar per il miglior film in lingua non
inglese, scelto dalla commissione di selezione, riunita presso l'Anica. Oltre al film di Rosi erano in lizza: Gli
ultimi saranno gli ultimi di Massimiliano Bruno, Indivisibili di Edoardo De Angelis, Lo chiamavano Jeeg
Robot, di Gabriele Mainetti; Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese; Pericle il nero di Stefano Mordini;
Suburra di Stefano Sollima.
Fuocoammare, documentario che racconta con immagini molto forti la vita quotidiana a Lampedusa tra
normalità e dramma con gli sbarchi dei migranti, ha vinto l'Orso d'Oro a Berlino 2016. La cerimonia di
consegna degli Oscar si terrà a Los Angeles domenica 26 febbraio. Nella commissione di selezione: Nicola
Borrelli, Direttore Generale Cinema del Mibact; Tilde Corsi e Roberto Sessa, produttori; Osvaldo De Santis
e Francesco Melzi d'Eril, distributori; Piera Detassis e Enrico Magrelli, giornalisti; il regista Paolo Sorrentino
e Sandro Veronesi, scrittore.
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Fuocoammare candidato italiano a Oscar. Il film di Rosi scelto da
commissione selezione tra 7 iscritti