Bottino di guerra - Settimanale Tempi
Transcript
Bottino di guerra - Settimanale Tempi
anno 21 | numero 50 | 16 dicemBre 2015 | 2,00 Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr settimanale diretto da luigi amicone Bottino di guerra Protetta dall’ombrello Nato la Turchia di Erdogan saccheggia la Siria, traffica con l’Isis e taglieggia i profughi. E l’Unione Europea la premia con 3 miliardi di euro EDITORIALE IL FALLIMENTO DELLA RIEDUCAZIONE POLITICAMENTE CORRETTA Cosa abbiamo ottenuto con la nostra ansia di “neutralizzare” il mondo? I l fondamento di ogni società è l’educazione. A questo proposito, in una conversazione con una ricercatrice americana, l’educatore don Luigi Giussani osservò: «Durante un mio soggiorno negli Stati Uniti, nei primi anni Sessanta, ebbi modo di partecipare a gruppi di studio sui problemi dell’educazione, anche in riferimento alla pastorale. Dopo un po’ mi accorsi che tutto il problema era focalizzato sulle tecniche da adottare e sugli strumenti da usare, ma veniva del tutto dimenticato il soggetto, e perciò il punto di partenza. Invece, come tutta la tradizione cristiana insegna, l’educazione non è essenzialmente questione di mezzi e strumenti che una comunità si dà, ma è questione di verità di vita di colui che educa e della comunità stessa. Fissarsi sulle tecniche e sulle metodologie è un grave errore di prospettiva, che svuota la dinamica educativa». Di tutti gli strumenti e tecniche immaginati per educare alla “cittadinanza”, arginare i conflitti, neutralizzare certi cosiddetti “ideali divisivi” (come per esempio la ricerca di “Ragione” e “Verità” con la maiuscola), indivi- LA vIOLENZA E IL CAOs DOMINANTI duare una “religione civile” in fun- CI DANNO UN’IDEA DEL RIsULTATO A CUI è PERvENUTO IL PIù gRANDE zione coesiva della società, il “politiPIANO DI RIsCRITTURA DELL’UOMO camente corretto” è il tentativo più E DELLA sTORIA sECONDO UTOPIA universalmente riuscito e strutturato. Ne parliamo in questo numero. Registrando, tra l’altro, le inquietudini del Financial Times, bibbia finanziaria che della correttezza politica (o “relativismo” etico e ontologico) è fine cultore, naturalmente in chiave di plusvalore economico (vedi alla voce “finanza gay-friendly”). Il politicamente corretto non è solo la neolingua orwelliana che divide selettivamente ciò che si può pensare (in privato) e dire (pubblicamente) da ciò che è tabù. È una vera e propria “religione” che, attraverso mezzi di comunicazione, scuole, accademie, istituzioni, plasma gli esseri heideggerianamente “gettati” nel mondo globalizzato. Con quale risultato? Il disordine e la violenza dominanti dovrebbero già darci un’idea del fallimento a cui è pervenuto, dopo la caduta del Muro, il più grande progetto di riscrittura del mondo secondo utopia. Ci troviamo di fronte a nient’altro che a un’evoluzione del nichilismo. Ancora una volta, dopo i “cimiteri sotto la luna” del secolo scorso, il tentativo di produrre “cristianesimo dall’esterno”, cioè una civiltà universale con “codici” nel cristianesimo ma ignorante o addirittura rinnegante Cristo, ottiene esattamente il contrario degli ideali di pace, giustizia, tolleranza eccetera, diuturnamente quanto utopisticamente affermati, sbandierati, martellati in ogni piega della società. Eppure, non sono forse gli stessi ideali introdotti nel mondo da Lui, “la Tigre”, secondo Eliot, “Buona Novella” che aprì uno squarcio di speranza sotto un cielo cupo, dominato da poteri disperati e divinità crudeli? Purtroppo, la chiesa universale di Cristo-senza-Cristo non è una realtà storica, una compagnia tra uomini, un’esperienza di vita. Purtoppo è solo un teatro idiota, pieno di tecniche e strumenti, e che non significa nulla. L’ASCIA NEL CUORE Una risposta non fantozziana «Sarà mica di cl, lei?» era la domanda che un arcigno dirigente scolastico rivolgeva a Paolo Villaggio in Io speriamo che me la cavo, film di Lina Wertmüller che ricalcava le vicende del maestro Marcello D’Orta autore dell’omonimo libro. Villaggio-D’Orta, insegnante di buon cuore che alla didattica affiancava una sincera passione educativa per gli scugnizzi dei rioni napoletani, rispondeva stranito scuotendo il capo: io? Di Cl? Non sia mai. Scenetta eloquente e simpatica che mi è tornata in mente in questi giorni in cui sono state rese note le classifiche delle migliori scuole italiane curate dalla Fondazione Agnelli. Le classifiche, si sa, sono come i sondaggi: dipende da che parte le guardi e vanno sempre prese con le molle. Non sono mai verità assolute, ma solo buone indicazioni. Nel nostro caso, Eduscopio è andato a vedere i risultati ottenuti dagli studenti nei primi anni di università e ha scoperto che nel Milanese i migliori licei (classico e scientifico) sono due istituti paritari: il Sacro Cuore di Milano e il Liceo Don Gnocchi di Carate Brianza. Il primo è l’unica scuola che, senza ombra di smentita, possiamo definire di Comunione e Liberazione. La seconda è laica, ma all’ispirazione del sacerdote di Desio si rifà come intenti e linea educativa. Sia detto senza boria, ma al prossimo che mi ripete la lagna che tutte le paritarie sono solo dei “diplomifici” e che i prof ciellini sono solo dei mefistotelici manipolatori di giovani menti, risponderò così: amico, tu fai la scuola che vuoi. Io sono sicuro che me la cavo. Emanuele Boffi | | 16 dicembre 2015 | 3 SOMMARIO 08 PRIMALINEA COSÌ LA TURCHIA SPECULA SULLA GUERRA IN SIRIA | CASADEI NUMERO anno 21 | numero 50 | 16 dicemBre 2015 | 2,00 Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr settimanale diretto da luigi amicone 50 Bottino di guerra Protetta dall’ombrello Nato la Turchia di Erdogan saccheggia la Siria, traffica con l’Isis e taglieggia i profughi. E l’Unione Europea la premia con 3 miliardi di euro Protetta dall’ombrello Nato la Turchia di Erdogan saccheggia la Siria, traffica con l’Isis e taglieggia i profughi. E l’Ue la premia con 3 miliardi di euro LA SETTIMANA L’ascia nel cuore Emanuele Boffi ............................3 Foglietto Alfredo Mantovano...........7 16 SOCIETà L’ETà DEL POLITICAMENTE CORRETTO | REGUZZONI Boris Godunov Renato Farina............................ 15 Vostro onore mi oppongo Maurizio Tortorella..... 25 Mamma Oca Annalena Valenti ...............37 Sport über alles Fred Perri.......................................... 40 Cartolina dal Paradiso Pippo Corigliano ..................41 Lettere dalla fine del mondo Aldo Trento ................................... 43 26 CULTURA NEL NOME DI MARIA(M) | GHIRARDINI Appunti Marina Corradi ..................... 46 RUBRICHE Stili di vita .......................................... 36 Motorpedia ....................................... 38 Lettere al direttore ......... 40 Taz&Bao................................................44 30 CULTURA “L’UOMO CHE SAPEVA TROPPO” DI GKC | TEGGI Foto: Ansa, Ansa/AP Exchange Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994 settimanale di cronaca, giudizio, libera circolazione di idee Anno 21 – N. 50 dal 10 al 16 dicembre 2015 DIRETTORE RESPONSABILE: LUIGI AMICONE REDAZIONE: Rodolfo Casadei (inviato speciale), Caterina Giojelli, Daniele Guarneri, Pietro Piccinini IN COPERTINA: Ansa/AP Exchange PROGETTO GRAFICO: Enrico Bagnoli, Francesco Camagna UFFICIO GRAFICO: Matteo Cattaneo (Art Director) FOTOLITO E STAMPA: Reggiani spa Via Alighieri, 50 – 21010 Brezzo di Bedero (Va) DISTRIBUZIONE a cura della Press Di Srl SEDE REDAZIONE: Via Confalonieri 38, Milano, tel. 02/31923727, fax 02/34538074, [email protected], www.tempi.it EDITORE: Vita Nuova Società Cooperativa, Via Confalonieri 38, Milano La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250 CONCESSIONARIA PER LA PUBBLICITà: Editoriale Tempi Duri Srl tel. 02/3192371, fax 02/31923799 GESTIONE ABBONAMENTI: Tempi, Via Confalonieri 38 • 20124 Milano, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13 tel. 02/31923730, fax 02/34538074 [email protected] Abbonamento annuale 60 euro. Per abbonarti: www.settimanale.tempi.it GARANZIA DI RISERVATEZZA PER GLI ABBONATI: L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione scrivendo a: Vita Nuova Società Cooperativa, Via Confalonieri, 38 20124 Milano. Le informazioni custodite nell’archivio elettronico di Vita Nuova Società Cooperativa verranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati la testata e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (D.LEG. 196/2003 tutela dati personali). foglietto Dal “Disagio” alle crocifissioni La vergogna di Cristo non resterà senza conseguenze | Di alfreDo Mantovano M osul, Nord dell’Iraq. La Messa vi era celebrata ininterrottamente da 18 secoli: una continuità sacramentale che in Europa forse vanta solo l’Italia. Nell’estate 2014, con l’insediamento dello Stato islamico, questa tradizione viva è stata brutalmente interrotta. L’intelligenza di monsignor Moshe, vescovo di quella diocesi, ha permesso ai 120 mila cristiani residenti in città e nei dintorni di non fidarsi delle assicurazioni dell’Is, e di procedere a un esodo veloce e di massa nella non distante Erbil. Ma la presenza eucaristivengono in Mente Mosul, la cina, ca non è più garantita, e la corea Del norD ogni qual volta questa è una delle cause si apprenDe Di scuole cattoliche che dell’impoverimento, anrinunciano alla Messa Di natale che materiale, di quel tere Di presiDi che rifiutano il presepe ritorio. Nel resto dell’Iraq coloro che professano la fede di Cristo erano circa un milione simbolo religioso, a cominciare dalla Croall’inizio del 2003, sono scesi a 700 mila ce. Fino a gennaio 2015 – il dato non è stanel 2006, e attualmente sono 300.000: con to aggiornato – sono stati censiti 650 interquesto ritmo scompariranno nell’arco di venti di questo tipo. Alla diminuzione di edifici religiosi agibili corrisponde la diun quinquennio. Corea del Nord. Su una superficie di ol- minuzione della possibilità di celebrare tre 120.000 chilometri quadrati e con una la Messa. Possibilità, peraltro, già complipopolazione di poco meno di 25 milioni di cata dalla aperta persecuzione di vescovi e abitanti, pur stimandosi in circa 300 mila religiosi, puniti perché “clandestini”, cioè i cattolici che vi dimorano, non c’è un so- non aderenti alla Chiesa di Stato, alle “aslo sacerdote, e quindi la Messa non viene sociazioni patriottiche”, articolazioni del celebrata. Le tre diocesi esistenti sono sta- Partito comunista cinese, oltre i cui confite dichiarate sedi vacanti e chi si identifi- ni si è considerati fuorilegge. Potrei continuare nell’elenco. E ricorca come cristiano viene torturato, ucciso o deportato in uno dei gulag tutt’ora ope- dare, per esempio, i sacrifici che in tante rativi (“ospitano” complessivamente non zone dell’Africa compiono i sacerdoti, ma anche i fedeli, per celebrare i primi e parmeno di 200 mila prigionieri). Cina. Dall’aprile 2014 un numero cre- tecipare i secondi alla Messa domenicale. I scente di chiese è demolito col pretesto di preti spesso percorrono centinaia di chilorimuovere strutture che contrastano con metri in mezzo alla giungla o su vie sterle norme edilizie; in realtà si punta a di- rate prive di ogni sicurezza, conducendo struggere quel che richiama la fede: ogni fuoristrada o trattori. E quando arrivano al capanno adibito a cappella non sono così certi di terminare il rito, soprattutto se la comunità di ritrova in zone infestate da Boko Haram o al-Shabaab. Ho visto di recente la fotografia del luogo, in un villaggio dell’Egitto, nel quale i cattolici presenti accorrono per prendere parte alla Messa: è un muro diroccato sul quale è stata disegnata una croce, nulla di più. Con il pretesto del dialogo Sono immagini e storie alle quali non dovremmo mai cessare di dedicare attenzione, e di far seguire preghiera e aiuto; vengono in mente ogni qual volta si legge o si ascolta di presidi che rifiutano di far parlare del Natale a scuola, di prelati che dichiarano che su questo fronte i cattolici sono chiamati a fare “un passo indietro” (salvo poi non far capire quale sarebbe con esattezza questo passo), di preti che rinunciano a celebrare la Messa di Natale: è accaduto da ultimo in un istituto non statale di ispirazione cattolica. In alcuni luoghi del mondo si soffre per non riuscire a celebrare o a partecipare all’Eucarestia, e cresce il rischio che il sacrificio cruento della propria vita accompagni quello incruento che si consuma sull’altare. In altri, pieni di tanti splendidi edifici religiosi, ci si vergogna di dire Messa, accampando le esigenze del dialogo e del rispetto delle fedi altrui (e quando mai qualcuno è costretto a partecipare alle celebrazioni?). Non diamo per scontato che resti senza conseguenze vergognarsi della presenza reale di Cristo: ovunque nel mondo il disagio per un segno della croce fatto in pubblico presto o tardi è seguito dal “disagio” per la ricomparsa delle crocifissioni dei cristiani. Se avete dubbi telefonate a Mosul. | | 16 dicembre 2015 | 7 COPERTINA Non solo il petrolio low cost dell’Isis. Ankara specula in molti modi sulla tragedia siriana. Dalle aziende di Aleppo trasferite in Turchia ai profughi taglieggiati. Fino ai 3 miliardi promessi dall’Europa per fermare i migranti in fuga. Mentre la Nato giustifica il paese socio | Impetum suum posse sustineri existimabant. Accedebat quod suos ab se liberos abstractos obsidum nomine dolebant, atque Romanos non solum itinerum DI RODOLFO CASADEI Bottino di guerra 8 | 16 dicembre 2015 | | Foto: Ansa/AP Exchange | | 16 dicembre 2015 | 9 COPERTINA PRIMALINEA Degli 1,5 milioni di migranti irregolari che hanno raggiunto l’Europa quest’anno, la metà è arrivata dalla Turchia «A SMIRNE Lo StAto SEMbRA ASSIStERE INERtE ALLo SPEttAcoLo dI EMIgRANtI chE AttRAvERSANo LA cIttà E SI REcANo SULLA coStA PER SALPARE vERSo LA gREcIA» 10 | 16 dicembre 2015 | | tolineato che era importante condividere il peso nel quadro della cooperazione Turchia-Ue». Gli 8 miliardi vengono menzionati al fine di giustificare l’impegno europeo a «fornire una prima tranche di risorse supplementari di 3 miliardi di euro», da tutti interpretato come un segnale di cedimento a un ricatto e di debolezza politica. Degli 1,5 milioni di migranti irregolari che hanno raggiunto l’Europa quest’anno, la metà è arrivata dalla Turchia passando per la Grecia. Siriani per la maggior parte, ma non solo. Tutti hanno attraversato un tratto di mare pattugliato da decine di imbarcazioni militari turche impegnate a far rispettare le proprie acque territoriali, ma che per mesi non hanno visto niente sia quando i viaggi procedevano come previsto, sia quando le imbarcazioni naufragavano e centinaia di profughi morivano annegati. Occhiuti quando si tratta di abbattere jet russi e giustificati poi dalla Nato, i turchi diventano miopi in mare. Quando dalla Grecia i superstiti sono sciamati a centinaia di migliaia in tutta Europa, l’Unione ha dato il consueto spettacolo di disunione. Non riuscendo a decidere se doveva accoglierli o respingerli, sta cercando di attuare una terza soluzione: pagare chi glieli ha mandati perché smetta di mandarli. Da qui l’accordo con la Turchia, che si impegna a trattenerli sul suo territorio in cambio degli aiuti finanziari europei e del rilancio del processo di adesione del paese all’Unione. Bloccato praticamente da dieci anni a questa parte a causa dei ripensamenti di Francia e Germania e dell’evidente impossibilità per i turchi di fare progressi su certi capitoli del negoziato, il processo di adesione è stato riavviato da una dichiarazione firmata dai leader europei e dal primo ministro Davutoglu appena due giorni dopo l’arresto del direttore e del caporedattore di Cuhmuriyet, il giornale che aveva documentato collusioni fra i servizi segreti turchi e l’Isis. Bruxelles è talmente con le spalle al muro sulla questione dei profughi, che non ha avuto esitazioni a esporsi a una figuraccia macroscopica. Foto: Ansa N on è solo questione del petrolio di contrabbando proveniente dai pozzi petroliferi occupati dall’Isis, che secondo i russi farebbe la fortuna di un figlio e di un genero di Erdogan. La Turchia e i turchi hanno spogliato e ancora stanno spogliando materialmente la Siria in molti modi. Il petrolio è solo uno dei capitoli della storia. Fa un po’ sorridere che il comunicato finale della riunione dei capi di Stato dell’Unione Europea (Ue) col primo ministro turco Ahmet Davutoglu il 29 novembre scorso a Bruxelles citi esplicitamente la cifra che Ankara avrebbe speso dal 2011 a oggi per far fronte all’emergenza profughi siriani sul suo territorio. «Avendo la Turchia accolto più di 2,2 milioni di siriani e avendo speso 8 miliardi di dollari», si legge nel comunicato del Consiglio europeo, «la Ue ha sot- Un export in forte crescita Dunque la Turchia piange miseria per aver dovuto sborsare tanti soldi per soccorrere i poveri profughi siriani, e l’Europa per solidarietà e senso di responsabilità apre i cordoni della borsa. In realtà, a parte gli aspetti politici della questione e il ruolo che la Turchia svolge nella guerra civile del paese confinante, il bilancio delle entrate e delle uscite finanziarie turche causate dalla crisi siriana non è quello che Ankara vuol far credere. E nella colonna delle entrate non vanno con- teggiati solo i profitti del petrolio di contrabbando. Un recente studio del ricercatore David Butter per conto della britannica Chatham House – The Royal Institute of International Affairs, basato sui dati dell’ente statistico turco, mostra un curioso fenomeno: l’interscambio commerciale fra Siria e Turchia crolla con lo scoppio della guerra civile nella prima, e nel 2012 è ridotto a un quarto di quello che era nel 2010; successivamente però rimbalza, e mentre in Siria le devastazioni e i lutti raggiungono picchi senza precedenti, nel 2014 l’export turco verso il paese degli Assad torna ai valori del 2010: 1,8 miliardi di dollari. Invece l’export siriano verso la Turchia non ha conosciuto rimbalzi: valeva 452 milioni di dollari nel 2010, è sceso a 115 milioni nel 2014. Come si spiega il mistero? Secondo Butter il rimbalzo va interpretato «in parte come risultato della fornitura di aiuti attraverso il confine settentrionale della Siria, e in parte come risultato di nuove relazioni commerciali, incluse vendite da parte di compagnie siriane che si sono impiantate nella Turchia orientale. Un aspetto importante delle relazioni commerciali con la Turchia è stato il trasferimento di imprese siriane dall’altra parte della frontiera. Secondo fonti turche ufficiali, il 25 per cento circa delle 4.249 compagnie comprendenti soci stranieri che sono state create in Turchia nei primi undici mesi del 2014 comprendevano investitori siriani. Le imprese turche con soci siriani sono state le più numerose fra le imprese turche partecipate da stranieri anche nel 2013, ma allora rappresentavano solo il 12,6 per cento del totale. Il presidente della Camera di commercio della città portuale di Mersin, avrebbe dichiarato che il grande aumento di esportazioni dalla città verso la Siria è dovuto alla delocalizzazione di imprese siriane nell’area circostante. I dati ufficia- li sugli scambi commerciali non includono i considerevoli volumi di merci di contrabbando attraverso la frontiera turca, compreso petrolio e prodotti già raffinati del valore di svariate centinaia di milioni di dollari, che hanno raggiunto il mercato turco partendo da aree sotto il controllo dell’Isis». Le razzie criminose Insomma, la guerra ha trasformato molte imprese siriane in imprese turche, che in Turchia hanno trasferito macchinari e capitali finanziari. Ora esportano soprattutto nei territori siriani sotto controllo ribelle e pagano le tasse all’erario turco. Quanto all’accenno all’Isis e al suo ruolo nel contrabbando di petrolio e carburanti, quello citato non è l’unico passo che chiama in causa lo Stato islamico. A un certo punto si fa notare che nel 2014 si registrò «un picco di 311 milioni di dollari di esportazioni dalla Turchia alla Siria nel mese di luglio, mentre per il resto dell’anno la media mensile sarebbe equivalsa a 135 milioni di dollari. Non è chiaro che cosa abbia causato questo picco nelle esportazioni, ma sta di fatto che esso coincise col culmine delle avanzate dell’Isis in Iraq e in Siria, e almeno una parte delle vendite addizionali potrebbe essere rappresentata da approvvigionamenti addizionali di origine turca da parte dell’Isis, per esempio tubi d’acciaio e altro materiale per progetti di raffinazione di idrocarburi». Insieme al trasferimento delle attività industriali o commerciali dalla Siria alla Turchia, l’altro grande beneficio che l’economia turca ha avuto dalla guerra siriana è il trasferimento di capitali. Scrive Samer Abboud, docente all’Arcadia University della Pennsylvania e autore di un prezioso libro sul conflitto siriano: «Città come Reyhanli, Gaziantep e Antiochia, e le province meridionali in generale, hanno conosciuto un significati| | 16 dicembre 2015 | 11 PRIMALINEA COPERTINA LE FAbbRIChE ALEPPINE TRASFERITE IN TuRChIA SAREbbERO CIRCA 300 Su uN TOTALE dI 963 STAbILIMENTI. IN ALCuNI CASI I SACChEGGIATORI hANNO RubATO MACChINARI INTERI, IN ALTRI SOLO ALCuNI PEZZI PREGIATI vo boom economico a partire dal 2011. Le banche turche sono state inondate di denaro siriano e, secondo dati relativi all’ultima parte del 2012, le banche della provincia dell’Hatay hanno registrato un aumento dei depositi in valuta estera del 101 per cento. Aumenti simili sono stati registrati in tutte le banche della Turchia meridionale, lasciando concludere che molti dei siriani che hanno abbandonato il paese hanno portato con sé i propri risparmi e sono in grado di vivere fuori dai campi profughi. Inoltre molti industriali siriani che avevano venduto le loro proprietà nella Siria settentrionale avevano cominciato a riposizionarsi in Turchia, trasferendo i loro capitali finanziari per avviare nuove operazioni o entrare in partnership con imprenditori locali». Fin qui abbiamo parlato di trasferimenti di attività industriali da parte dei proprietari. Ma c’è anche il capitolo delle razzie e dello smantellamento criminoso di impianti e attrezzature industriali. Nel marzo del 2013 la Federazione delle Camere dell’Industria siriane fece causa allo Stato turco presso un tribunale tedesco accusando Ankara di complicità nel saccheggio e nello smantellamento di fabbriche e imprese del distretto di Sheikh Najjar, ovvero la zona industriale di Aleppo, posta una decina di chilometri a nord-est della città. Nel luglio 2014 l’area fu riconquistata dall’esercito governativo, e nell’agosto di quest’anno un giornalista turco del quotidiano Radikal ha fatto un reportage sul posto. Da esso risulta che le fabbriche smantellate e trasferite in Turchia sarebbero state circa 300, su un totale di 963 stabilimenti tessili, alimentari, chimici, farmaceutici. Il vicepresidente della Camera dell’Industria e del Commercio di Aleppo, Bassil Joseph Nasri, informa che le imprese danneggiate hanno deciso di rivolgersi alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja: «Abbiamo costituito un team speciale per seguire 12 | 16 dicembre 2015 | | CONTRO IL FRONTE NEGAZIONISTA Il libro-denuncia dell’intellettuale turco sul genocidio armeno Come tutti i turchi era convinto che il genocidio armeno fosse un’invenzione dei nemici della Turchia. Poi divenne amico di Hrant Dink, il più famoso giornalista turco di origine armena, assassinato nel gennaio 2007, e visitò il memoriale del genocidio a Yerevan, in Armenia. Nel 2012 Hasan Cemal, già direttore e commentatore di alcuni dei più importanti quotidiani di Istanbul, ruppe il fronte negazionista e scrisse il primo libro nel quale un intellettuale turco riconosce la colpevolezza del suo popolo nel genocidio. Nel centenario di quella tragedia, Guerini e Associati pubblica la traduzione del libro di Cemal: 1915: Genocidio armeno. «La richiesta di giustizia e la volontà di agire perché sia riconosciuta l’immensa tragedia che colpì gli armeni fra il 1915 e il 1923 – scrive nella prefazione Antonia Arslan, autrice de La masseria delle allodole – facendo chiarezza in una narrazione storica costruita su una spudorata menzogna di Stato (anzi, rovesciandola!), è diventata la sua missione, ed è la ragione profonda di questo libro, scritto per amore di una verità celata e negata». Cemal non è solo un giornalista che si è scontrato col potere e che ora è anche sotto inchiesta per i suoi articoli. È anche il nipote di Ahmed Cemal Pascià, uno dei tre triumviri del governo dei Giovani turchi considerati responsabili del genocidio. [rc] la denuncia. I proprietari dei beni rubati stanno cercando di rintracciarli. In molti casi i numeri di serie sono stati abrasi, ma si tratta di macchinari speciali, e non è difficile individuarli. Ci sono imprenditori che hanno localizzato i loro macchinari rubati, uno di loro è andato in Turchia e lo ha riportato indietro. Sappiamo che le attrezzature sono state vendute nelle province di Kilis, di Gazantiep e dell’Hatay. I saccheggiatori si erano fatti accompagnare da ingeneri dalla Turchia per individuare le parti più pregiate. In alcuni casi hanno asportato l’intero macchinario, in altri pezzi particolari. Stiamo individuando i ladri, e altre denunce in sede giudiziaria seguiranno». Il traffico umano Un altro flusso poco indagato di denaro da tasche siriane a tasche turche è quello che riguarda il traffico dei profughi verso l’Europa. Prima che la firma dell’accordo con l’Unione Europea imponesse un alt, si spera non temporaneo, al fenomeno, hanno tratto beneficio da questa attività illegale innumerevoli cittadini turchi. Racconta un reportage del New York Times da Smirne (terza città per numero di abitanti) del settembre scorso che in Turchia si è sviluppata una «economia sommersa multimilionaria» che «trae profitto dalla massiccia onda umana che corre verso l’Europa. Gran parte di questa nuova economia è visibile qui sulle stra- de, dove i trafficanti adescano i rifugiati, i negozi di abbigliamento espongono giubbotti e ciambelle di salvataggio, corriere e taxi trasportano passeggeri verso remote spiagge di partenza lungo la costa. Il denaro scorre attraverso Smirne, divenuta un triste snodo per gli emigranti e una città dell’oro per i residenti. Nascosta alla vista è l’estesa infrastruttura del contrabbando di esseri umani, con improvvisati “uffici assicurativi” dove viene depositato il denaro che serve al pagamento, fabbriche segrete che sfornano giubbotti di salvataggio inefficienti e fornitori clandestini di gommoni a poco prezzo che talvolta si bucano o si ribaltano durante il viaggio verso la Grecia, causando l’annegamento delle persone». Prima del recente giro di vite, le autorità apparivano coinvolte: «Qui a Smirne lo Stato sembra assistere inerte al quotidiano spettacolo di emigranti che attraversano la città e si recano sulla costa per salire sui gommoni per la Grecia. Osservatori internazionali dicono che mentre i migranti pompano denaro nell’economia ufficiale, chi realizza i guadagni più forti sono gang criminali molto organizzate che probabilmente corrompono le autorità perché guardino dall’altra parte. Gli stessi siriani e la manovalanza dei trafficanti asseriscono che le autorità vengono talvolta pagate per lasciar passare i migranti». Come titolava quel famoso film di Alberto Sordi: finché c’è guerra c’è speranza. Di fare soldi. n boris godunov Da OlTRE CINQUaNT’aNNI laVORIamO PER la TUa SICUREZZa SUllE FERROVIE ITalIaNE sEgni CrisTiAni AnCorA soTTo Tiro Per difendere il presepe non bisogna militarizzarlo ma renderlo “vivente” | di rEnATo fArinA d etesto chi si aggiunge ai cannoni per usare anch’egli la sua colubrina inutile contro chi è già debole. Sto parlando del segno cristiano. Oggi è sotto tiro. I guardiani della neutralità dello Stato, specie in Francia, ma anche da noi, hanno avuto il loro trionfo con i funerali sperduti di Valeria, in una Venezia piena di sole, e con la voce di Cristo zittita perché ritenuta divisiva. Un laico, anzi un ateo, come Renato Brunetta ha sentito un dolore intenso perché la neutralità delle esequie civili ha significato legare il leone di San Marco in una gabbia dove leggersi il Vangelo da solo. Anche chi non crede, ma anche gli islamici sono certo, avrebbero volentieri ascoltato parlare Gesù. Niente da fare. Però oso dire che non sopporto l’ideologia del presepe. Il presepe è un segno. Dice qualcosa che è accaduto e dura ancora. C’è dentro un mistero. Questo è il fascino del presepe. Sta nello sguardo dei bambini che aspettano che Gesù nasca a mezzanotte. Non era ancora disceso dalle stelle, ed eccolo nella mangiatoia. In altre culture, la stessa evocazione tocca l’albero di Natale. Per me parla tantissimo la poesia di Thomas S. Eliot, La coltura degli alberi di Natale. La trascrivo. Vorrei che allo stesso modo si comunicasse il senso del presepe. Vi sono molti atteggiamenti riguardo al Natale,/ e alcuni li possiamo trascurare:/ il torpido, il sociale, quello sfacciatamente commerciale,/ il rumoroso (essendo i bar aperti fino a mezzanotte),/ e l’infantile – che non è quello del bimbo/ che crede ogni candela una stella, e l’angelo dorato/ spiegante l’ali alla cima dell’albero/ non solo una decorazione, ma anche un angelo./ Il fanciullo di fronte all’albero di Natale:/ lasciatelo dunque in spirito di meraviglia/ di fronte alla Festa, a un evento accettato non come pretesto;/ così che il rapimento splendido, e lo stupore/ del primo albero di Natale ricordato, e le sorprese, l’incanto/ dei primi doni ricevuti (ognuno/ con un profumo inconfondibile e eccitante),/ e l’attesa dell’oca o del tacchino, l’evento/ atteso e che stupisce al suo apparire,/ e reverenza e gioia non debbano/ essere mai dimenticate nella più tarda esperienza (…) Il presepe fu inventato da san Francesco, e lo fece per ricordare al popolo che il cristianesimo era un fatto accaduto nella normalità della vita quotidiana, ma era nello stesso tempo un GRUPPO ROSSI (GCF & GEFER) V i a l e d e l l ’O c e a n O a t l a n t i c O n . 190, 00144 R O m a T E l . +39.06.597831 - F a x +39.06.5922814 - E - m a I l g c f @ g c f . i t - g e f e R @ g e f e R . i t AmmETTo di AvEr CApiTo il sEnso dEllA lAiCiTà dEllo sTATo grAziE All’orrorE provATo AsColTAndo pErsonE ChE sTimo molTo CAnTArE inni sACri in un ConTEsTo poliTiCo. non si fA evento eccezionale, e che era oggi. Infatti il primo presepe fu “vivente”. Non solo nel senso ovvio che a rappresentare le figure storiche c’erano persone in carne e ossa, ma che accadeva adesso, la novità non era diventata vecchia, museale, ma risorgeva. Grazie a Dio noi non abbiamo il muezzin Non sono contrario – figuriamoci! – alla difesa delle statuine dei canti di Natale. Ed è bello che una nazione trovi la sua architrave culturale nei simboli del Natale. Però i segni vanno rispettati, non trasformati in inni di congreghe politiche, fosse pure quella in cui milito. Ci si inchina davanti alla mangiatoia, e i canti devoti non li si intona in faccia “al nemico” come slogan. Apprezzo molto Vittorio Feltri che dice «guai a chi mi tocca il presepe», perché da ateo niente affatto devoto, riconosce il palpito religioso che animò un tempo la sua gente, e ne avverte nostalgia e vuol bene ai preti. Ma bisogna stare attenti a non succhiare il sangue della tradizione spogliandolo del mistero: e questo accadrebbe se i presepi diventassero obbligatori. Chiarisco ancora: il calendario riflette la memoria di un popolo. Dunque la laicità dello Stato e della scuola pubblica non può significare smemoratezza. E il Natale è la Natività di Cristo, ma guai a chi la falsifica in festa dell’inverno. Ma senza militarizzare i presepi. Libertà. La fede è libertà. Il cristianesimo è questo. È anche la libertà di rifiutarlo. Ammetto di aver capito il senso della laicità dello Stato grazie all’orrore provato ascoltando persone che stimo molto cantare inni sacri in un contesto politico. Non si fa. Quando ho ammirato al telegiornale il simpatico Ignazio La Russa cantare Tu scendi dalle stelle, ho pensato che grazie a Dio i cristiani non hanno il muezzin, ma le campane. | | 16 dicembre 2015 | 15 SOCIETÀ LIBERALISMO ILLIBERALE Anticipiamo in queste pagine alcuni stralci del saggio Il liberalismo illiberale, dell’Editore XY.IT, in libreria in questi giorni. L’autore, Giuseppe Reguzzoni, è uno storico e giornalista, traduttore (tedesco, francese, inglese) anche di opere di papa Benedetto XVI. Collabora con l’Istituto Mario Romani dell’Università Cattolica di Milano. I | DI GIuSEppE REGuzzOnI L’oppio dei popoli Così ci siamo condannati a campare sotto il tallone del Politicamente Corretto, la nuova indiscutibile religione della “sottomissione” al “non pensiero” del potere. L’alternativa all’irregimentazione? Il cristianesimo di ragione e di comunione 16 | 16 dicembre 2015 | | l Politically correct è il nuovo tabù e l’aura di timore che lo circonda è il nuovo senso del pudore, del tutto imposto ed eterodiretto. Preso alla lettera, “politically correct” richiama in qualche modo l’idea di “correct polity”, dunque una certa buona maniera di governare o, anche, di stare al mondo gli uni accanto agli altri, di costruire insieme la politéia, la comunità civile. (…) Il Politicamente Corretto è, nella prassi sociale di ogni giorno, un elenco implicito di divieti o, se si vuole, di dogmi indimostrabili. Il sacerdote del Politicamente Corretto non mira ad argomentare, ma a puntare il dito, con orrificato stupore, su chi osa mettere in questione la secolarissima sacralità del suo Credo. (…) Già solo accennare alle grandi aree semantiche di cui si occupa questo moderno e laico tribunale dell’Inquisizione costituisce in qualche modo un reato: immigrazione, sicurezza, differenze di civiltà e di origine geografica e razziale, omosessualità, gender mainstreaming, temi identitari, domande esistenziali e fedi religiose sono oggi i nuovi “tabù”, ciò di cui è bene non parlare, anche se, inconsciamente, quando sopravvive un minimo di spirito critico, lo si vorrebbe fare. L’idea di tabù è stata sviluppata anzitutto dagli antropologi, come una sorta di proibizione rituale, implicita e inconscia, ma è stato Freud a evidenziare il nesso tra tabù e nevrosi. La nostra è una civiltà nevrotica, a tratti schizofrenica, che nega l’esistenza stessa del problema, confinandolo nei propri tabù. Il Politicamente Corretto è, appunto, il tabù rispetto alla ricerca e alla percezione della verità, tutta intera. C’è, tuttavia, chi di questi tabù usa consapevolmente per consolidare i propri disegni di potere. (…) Il ministero orwelliano del condizionamento esiste e la sua forza sta nella sua apparente, superficiale, invisibilità. Come nel mondo immaginato da Orwell in 1984 la lingua, o meglio, la “neolingua” è strumento di potere. Solo che, a differenza che nel mondo distopico di Orwell, nel linguaggio politicamente corretto i termini sono in costante aggiornamento. Si dice e non si dice, attuando con efficacia forme di censura preventiva che ostacolano o impediscono ogni forma di pensie- | | 16 dicembre 2015 | 17 SOCIETÀ LIBERALISMO ILLIBERALE LA CASA EDITRICE Antaios, una collana controccorrente ro critico personale, qui proprio come in 1984. (…) Questi tabù, organizzati ectoplasmaticamente in quella realtà fluida e in continuo mutamento che è il Politically Correct, costituiscono la nuova religione civile della società globale. Qui sta il cambiamento in corso almeno da due decenni e coincidente con la crisi dei grandi sistemi politici di matrice ideologica, incluso il liberalismo e la sua pretesa di essere una sorta di via media. Qui sta il nocciolo della forma che il Politically Correct sta assumendo e il fatto che esso non sia ormai più solo un linguaggio, ma, appunto, un elemento di raccordo e coesione sociale, con tratti simili a quelli che Rousseau attribuiva alla sua religione civile. Cambiate pure canale Che la formulazione del modello del Politically Correct abbia avuto luogo prima negli Stati Uniti non è certamente un dato casuale. Rispetto all’Europa gli Stati Uniti, pur essendo un paese fortemente secolarizzato, restano tuttavia fortemente segnati da un ipermoralismo parabiblico, in cui Arnold Gehlen ha riconosciuto i tratti di «una nuova religione umanitaria». Dopo la Seconda Guerra Mondiale e, soprattutto, negli anni Sessanta del secolo scorso, il linguaggio puritano ha subìto una profonda mutazione a contatto con il linguaggio (neo)marxista veicolato dagli intellettuali della scuola di Francoforte o ispirato da loro, dapprima rifugiati negli Stati Uniti e poi installati nelle scuole e università occidentali. È stato soprattutto con le rivolte giovanili degli anni Sessanta che costoro hanno assunto il ruolo di sacerdoti del pensiero unico, esercitando un controllo progressivamente egemone sui media e sui sistemi scolastici ed educativi occidentali. Già le modalità con cui questo pensiero si è imposto presentano quei tratti di slealtà che sono caratteristici del linguaggio politicamente corretto, dal momento 18 | 16 dicembre 2015 | | Piccolo è bello, ma anche coraggioso. Lo dimostra, in un momento in cui la piccolo editoria è in crisi e i grandi monopoli avanzano nel deserto informativo (e formativo), l’Editore XY.IT, sinora conosciuto soprattutto per pubblicazioni accademiche di alto livello, e per le sue collane di narrativa giovane e glocal. La sua nuova collana libraria, di ambito storico-politico, inaugurata in occasione dell’ultima Fiera internazionale del libro di Francoforte, nell’ottobre 2015, rappresenta, infatti, una nicchia preziosa e controcorrente nella saggistica di taglio storicoculturale e filosofico-politico in lingua italiana. La collana, denominata “Antaios”, si richiama all’omonima rivista fondata dall’etnografo, fenomenologo delle religioni e scrittore franco-romeno Mircea Eliade e, dunque, a un’antropologia “della terra, della comunità e dei legami”. Anteo/Antaios è il gigante, divinità ctonia, invincibile quando rimane coi piedi per terra, vulnerabile quando perde questo legame primigenio. In apertura di collana, oltre al saggio di Giuseppe Reguzzoni, sul liberalismo illiberale e, dunque, sulla genesi e la natura di religione civile della Political Correctness, XY.IT ha pubblicato anche l’edizione italiana di un controverso volumetto dello svizzero Armin Mohler, inquieto protagonista della Nouvelle Droite europea, dal titolo duro ed emblematico: Contro i Liberali. Reguzzoni, che è anche direttore della nuova collana, ci spiega che la scelta di dare alle stampe questo pamphlet è volutamente provocatoria, in un momento in cui tutti, o quasi, si dicono liberali, mentre il liberalismo, ideologia ottocentesca, sta mostrando tutti i suoi limiti, primo tra tutti la sua involuzione in dittatura del politicamente corretto. Come ricordava William Buckley, «I Liberal dicono di voler dare spazio anche ad altre opinioni, ma, poi, sono scioccati e offesi quando scoprono che le altre opinioni effettivamente esistono». Non diversamente, Armin Mohler accusa il liberalismo contemporaneo di essere un’ideologia universalistica e generica, dunque incapace di rendere sino in fondo conto della realtà, in tutti i suoi nodi complessi e imprevedibili. Questa l’analisi e questa l’accusa. Mohler, poi, propone come soluzione la via da lui stesso percorsa, ovvero un nominalismo radicale e sostanzialmente anarco-rivoluzionario. Altre strade, però, sono possibili, una volta posto e recepito il problema. Antaios vuole essere anche questo: ascolto di voci scomode e controcorrente, perché il dialogo con la cultura non può ridursi a dialogo con la cultura di potere, pena la fine di ogni autentica e libera criticità. E, per quanto riguarda i cattolici, con il rischio concretissimo di trovarsi, perennemente in ritardo, a “dialogare” con la parte ora egemone, ma non con quella più autentica e innovativa, se pur nascosta e quasi clandestina. che la critica dell’autorità andava di pari passo con modelli di autoritarismo implicito: si contestavano le figure tradizionali dell’autorità, avvvalendosi dell’autorità che derivava dalle proprie cattedre e dai propri ruoli. Il politicamente corretto si presentava antidogmatico, imponendo però dogmi impliciti e indiscutibili, così come, nella sua versione sessantottina, si presentava come anticonformista, imponendo però nuove forme di conformismo radicale e disperato. In questo modo, sleale, il nuovo moralismo andava costruendo i suoi dogmi, e si avviava a trasformarsi in quella che Carl Schmitt definiva «la tirannia dei valori». (…) D’altra parte è l’Occidente, nel suo insieme, dunque anche l’America, a divenire vittima di se stesso e dei propri complessi di colpa, evidenti nelle nuove forme di autocensura. Il bombardamento di slogan antirazzisti, multiculturali, antiomo- fobi ha assunto toni parossistici, quasi religiosi. Non si offrono ragioni, ma tabù indiscussi, e il solo sollevare questioni, anche minime, è considerato blasfemo. Il politicamente corretto, in quanto nuova religione civile, impone un credo indiscutibile e indiscusso. Nella nuova religione non si crede perché essa è ragionevole, ma solo per paura o per assuefazione. Lungo sarebbe l’elenco dei “dogmi” di questa nuova religione civile, più facile identificare nei grandi media, voce dei poteri forti, la nuova inquisizione, che sentenzia senza ascoltare e condanna attraverso mantra ossessivamente ripetuti. Per essa non è vero ciò che è vero, ma è vero ciò che si riesce a far apparire tale. Il nemico di tale tribunale non è un’altra religione civile, filosofica o rivelata, ma il pensiero stesso. Chi pensa, per il fatto stesso che pensa, è un potenziale nemico. Non affannatevi a pensare, a voler conoscere la realtà, lo facciamo noi per voi. Voi limitatevi a divertirvi o compiangervi e, soprattutto, adeguatevi. Il laicismo come culto La dittatura del politicamente corretto suppone delle società liberali o, se si preferisce, apparentemente liberali, dove sia almeno a parole garantita la possibilità di scegliere, magari cambiando canale tra reti, in realtà tutte omogenee al sistema. È il paradosso del liberalismo, che vive di presupposti che non è esso stesso in grado di generare, (…) è l’involuzione di un modello culturale e politico che, partito in nome della libertà, finisce per ritagliare quest’ultima a uso di chi ha il potere finanziario e politico. (…) Nel Politicamente Corretto tutto ciò che marca la differenza tra comunità e individui, finanche tra i due sessi, è percepito e indicato come un ostacolo imbarazzante. (…) La laicità radicale, o laicismo negativo, mira finanche ad annullare i segni storici della presenza delle religioni in Occidente (dunque della religione cristiana) IL LIBRO Per la nuova religione non è vero ciò che è vero, ma ciò che si riesce a far aPParire tale. il nemico di tale tribunale non è un’altra religione ma il Pensiero stesso. chi Pensa è un Potenziale nemico LIBERALISMO ILLIBERALE G. Reguzzoni Editore XY.IT 13 euro sostituendovi altri segni in linea con la propria visione del mondo. Alle comunità religiose è riconosciuto, al massimo, lo status di enti privati, senza alcuna pertinenza diretta con la realtà statuale. È quanto non ha mancato di constatare, e denunciare, papa Giovanni Paolo II lungo tutto il proprio pontificato: «Nell’ambito sociale si sta diffondendo anche una mentalità ispirata dal laicismo, ideologia che porta gradualmente, in modo più o meno consapevole, alla restrizione della libertà religiosa fino a promuovere il disprezzo o l’ignoranza dell’ambito religioso, relegando la fede alla sfera privata e opponendosi alla sua espressione pubblica. Il laicismo non è un elemento di neutralità che apre spazi di libertà a tutti: è un’ideologia che s’impone attraverso la politica» (Ai presuli della Conferenza episcopale della Spagna, in visita Ad limina Apostolorum, 24 gennaio 2005). La campagna contro i crocifissi, sottoscritta anche da un altro Zagrebelsky, a nome del Consiglio d’Europa, non è che un elemento di questo complesso processo di sostituzione simbolica che pretende di investire la totalità del vivere civile e le sue espressioni non puramente individuali, come accade, esemplarmente, nella gestione del tempo e della sua dimensione pubblica. Per il momento la rimozione del calendario cristiano risulta ancora troppo complessa, ma val la pena di ricordare che essa è già stata sperimentata all’epoca della Rivoluzione francese e riproposta dai sistemi totalitari del XX secolo. La nascita di un calendario civile, con applicazione rigorosa di nuove forme di “precetto festivo” si colloca, a sua volta e in pieno, su questa medesima linea, dal momento che il calendario rappresenta la scansione ufficiale del tempo in una società. In Italia il 25 aprile, l’1 maggio e il 2 giugno hanno assunto funzioni che vanno ormai ben al di là della commemorazione civile di eventi storici importanti. Ci sono centri commerciali che sono aperti il 25 dicembre, Natale, ma non è possibile o è estremamente difficile che la stessa cosa avvenga il 25 aprile o il 2 giugno. Eppure, se il presupposto del laicismo radicale è che tutto è relativo e che, dunque, nessuna posizione debba essere considerata preminente, non si capisce bene su che cosa debba fondarsi la sacralità di tali ricorrenze “civili”. Alle feste “comandate” del calendario civile, paragonabili alle solennità del calendario liturgico, si sommano le “feste di precetto” e le “memorie solenni”, come la giornata della memoria (ormai imposta in tutte le scuole, con cerimonie e iniziative culturali), l’8 marzo (festa della donna) o la festa della mamma o il 14 febbraio, san Valentino, festa degli innamorati. Queste ultime, laiche feste di precetto, tra l’altro, che pur non hanno il carattere di solen| | 16 dicembre 2015 | 19 SOCIETÀ LIBERALISMO ILLIBERALE IL FINANCIAL TIMES CONTRO IL CONFORMISMO La sinistra americana elimina la libertà che si vanta di promuovere nità nazionali, sono oggi elementi costitutivi di una sorta di calendario universale del Politicamente Corretto. Tale calendario “civile”, non potendo annullare del tutto le festività religiose, tende a neutralizzarle. Così è avvenuto con il Natale cristiano, ormai scomodo sul piano dei dogmi della religione civile del Politicamente Corretto, che è stato trasformato in festa dei buoni sentimenti (con apertura dei negozi). D’altra parte, se internet è l’emblema della nuova società globale, quando si parla di calendario, è interessante osservare come il motore di ricerca Google ormai da anni scandisca il fluire dei giorni come una sorta di rubrica liturgica di questa nuova religione civile secolare, assumendo il ruolo di custode e guardiano della rete. Intorno al logo di Google abbiamo visto scorrere di tutto: dall’anniversario della nascita di Confucio, con tanto di costume mandarino stilizzato, a quella di Galileo, con allegato telescopio, e persino quello di Ludwik Zamenhof, ebreo polacco creatore dell’esperanto. Non sono mancati riferimenti alla nascita di Buddha, malgrado la scarsità di dati storici certi, e abbiamo potuto seguire quasi integralmente la scansione annuale delle principali festività ebraiche. Da qualche anno ci toccano anche gli auguri ai musulmani per l’inizio e la fine del Ramadan. Per par condicio il 25 dicembre ci si attenderebbe l’immagine di un piccolo presepe, ma non è mai stato così. Il massimo che ci è stato concesso è stato il grassone vestito di rosso, con tanto di renne al seguito, caricatura inventata dalla Coca Cola del vescovo greco anatolico Nicola di Myra. Il calendario di Google Su Google sono costantemente e volutamente assenti i riferimenti al calendario cristiano in quanto cristiano, benché il motore di ricerca non abbia ancora rinunciato al calcolo degli anni dalla nascita di Cristo. I richiami alle feste cristiane 20 | 16 dicembre 2015 | | sono “tabù”. Ma nella geografia politica la dicono lunga su questa profonda ingedell’imbarazzo, Google non è che un ele- nuità (è davvero solo tale?). Eppure i testi mento accanto a moltissimi altri, come il e i documenti che mettono in guardia da divieto esplicito del tradizionale augurio un atteggiamento che cerca di maschera“Merry Christmas” sulle insegne di mol- re l’ingenuità con la spocchia intellettuati comuni inglesi o quello implicito nel- le non sono pochi. Una cosa è il complottila stragrande maggioranza delle aziende smo, altra, e ben diversa, è la progettualieuropee ed americane, fino ad arrivare tà culturale sulla società, particolarmente all’esclusione di presepi e alberi di Natale quando essa non è esplicitata in programin alcune scuole statali italiane in nome mi politici trasparenti, ma in forme di condella multiculturalità. La domanda che dizionamento legate ai soft power. (…) sorge spontanea è se davvero si tratti solo Il cristianesimo non è una religione di imbarazzo o se, piuttosto, queste scel- civile; il laicismo radicale, almeno implicite non sottendano un disegno nascosto, non I DIRITTI UMANI DA UNA pARTe siano cioè l’espressione di una visione secolarisoNo DIveNUTI lA NUovA BIBBIA sta che si va imponenpolITIcA DI UNA coMUNITà do come una nuova e non esplicita religio pRIvA DI RIfeRIMeNTI IDeAlI, civilis, mascherandosi DAll’AlTRA soNo sTATI UsATI da laicità dello Stato che, addirittura, come coMe BANDIeRA DI UN vAloRe in Zagrebelsky, dichiara di considerare perie Del sUo coNTRARIo coloso ogni contributo che le religioni possono offrire alla coesio- tamente, sì. Si può discutere se e quanto le ne sociale in quanto tale. religioni possano contribuire alla religioLe forze che agiscono dietro questo ne civile di una nazione, ma, in una proprogetto sono molteplici e si muovono sul- spettiva cristiana, ciò implica che il terla base di processi anche molto differenti mine “religione” sia inteso in senso quadi autocoscienza. Sarebbe ingenuo, però, si metaforico. E implica che la religione pensare a un movimento in tutto e per tut- civile non si ponga in termini sostitutito spontaneo, di carattere culturale, qua- vi rispetto alle religioni storiche, ma ne si che la cultura e la mentalità dominan- accolga il contributo (…). Benedetto XVI, te non abbiano nulla a che fare con le for- riassumendo una posizione che non può me, indotte, del disciplinamento sociale. essere tacciata di integralismo fondamenUn’analisi compiuta di questi processi è talista, non dice che il cristianesimo è una arrivata sinora più dalla letteratura disto- religione civile, ma che esso ha una funziopica che dalla riflessione speculativa. Cer- ne civile. Non è la stessa cosa (…). to, la teologia successiva al Vaticano II non si è ancora confrontata in maniera seria L’idolo del progresso con il tema del condizionamento socio-cul- Per dirla con Carl Schmitt, si tratta di un turale come progetto di riscrittura della processo di continua “neutralizzazione” mentalità e della società. I sorrisini e le iro- dei riferimenti ideali. Alle religioni tranie quando si tocca il tema dell’influenza dizionali si sostituisce la pura razionalidella massoneria sulla mentalità odierna tà, sino ad arrivare a cercare un punto di Quando è troppo è troppo. Il Financial Times di Londra ha criticato tutti presidenti americani repubblicani dopo Ronald Reagan e appoggiato tutti quelli democratici, ha mostrato simpatia per cause liberal come i matrimoni fra persone dello stesso sesso e la legalizzazione della marijuana, ma a tutto c’è un limite: qualche giorno fa il suo corrispondente da Washington ha scritto un pezzo per denunciare il clima di conformismo, censura e intimidazione che regna nei campus americani in nome della correttezza politica. Edward Luce lamenta che «anziché farsi promotrice della libertà di parola, la sinistra sta cercando di eliminarla. In nome della diversità, esige la conformità». E fa alcuni esempi inquietanti: gli studenti che chiedono all’università di Princeton di togliere il nome del presidente Woodrow Wilson, che fu rettore della medesima e famoso nel mondo come promotore della Società delle Nazioni all’indomani della Grande Guerra, da tutte le istituzioni universitarie perché reintrodusse la segregazione razziale negli uffici federali; l’avvertenza “questo testo contiene argomenti che potrebbero risultare offensivi alla vostra sensibilità” apposta nelle biblioteche dei campus a libri come Le Metamorfosi di Ovidio, Il Mercante di Venezia di Shakespeare, Il grande Gatsby di Fitzgerald; l’annullamento di inviti a personalità come Christine Lagarde, Condoleezza Rice e Ayaan Hirsi Ali a causa di proteste degli studenti delle università che le avevano invitate a parlare; le pressanti richieste per l’introduzione di corsi obbligatori sui “popoli marginalizzati”. L’ossessione antirazzista sta producendo mostruosità: «Anziché rendere caduca la questione della razza, il movimento del politicamente corretto l’ha consolidata. (…) Le università rigurgitano di consulenti per l’orientamento multiculturale, responsabili per la “diversità” il cui compito è istruire al galateo razziale. Loro devono individuare l’insensibilità razziale. Naturalmente alcuni la trovano là dove non esiste». coesione il più neutro possibile nell’economia e nella tecnica. Tra queste suggestioni di massa, quella che fluttua da un centro conflittuale all’altro, mantenendo la propria funzione mitica, è certamente l’idea di progresso. (…) In fondo, mentre il cosmopolitismo settecentesco era una dottrina filosofica, il globalismo contemporaneo ne è l’erede in forma “neutralizzata”. L’altro elemento, accanto al mito del progresso e della “neutralità della tecnica”, impostosi soprattutto dal Sessantotto, è quello dei diritti dell’uomo, interpretati evolutivamente proprio alla luce del mito del progresso, come ha acutamente dimostrato la professoressa Janne Haaland Matláry proprio in rapporto all’idea di dittatura del relativismo. Il concetto riprende un passaggio fondamentale dell’omelia di Benedetto XVI durante la celebrazione della Messa Pro eligendo pontifice, che ben riassume il carattere (pseudo) “religioso” di questa prospettiva. Il dialogo, per funzionare, implica l’esistenza di un vocabolario comune, in cui i termini fondamentali non vengano usati in maniera e con significati ambigui od equivoci. Il relativismo etico dell’Occidente e il Politically Correct come sua implicita religione civile non sono in grado di realizzare questo dialogo dato che, nella migliore delle ipotesi, quel che ne deriva è solo una mera giustapposizione del diverso, una multiculturalità senza incontro e senza scambio. Anche i diritti dell’uomo, considerati in sé e per sé, non riescono a uscire dal rischio di un’interpretazione ambigua ed equivoca. A prescindere dal fatto che la maggior parte dei paesi islamici non riconosce la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, all’interno dello stesso Occidente è al centro di interpre- tazioni opposte che ne annullano il valore “universale”. Il punto è l’uso che oggi si sta facendo dei diritti dell’uomo. Da una parte sono divenuti la nuova Bibbia politica di una comunità sociale diversamente priva di qualunque riferimento ideale, dall’altra sono stati di volta in volta usati come la bandiera di un valore e del suo esatto contrario, per esempio, della difesa della famiglia tradizionale e della sua demolizione attraverso il riconoscimento dei cosiddetti matrimoni omosessuali. Nessuno in Occidente può oggi permettersi di andare contro i diritti dell’uomo, e allora si tenta di tirarli dalla propria parte, spostando il problema dall’applicazione dei diritti dell’uomo alla loro interpretazione. La strategia del soft power La Dichiarazione ha una sua precisa collocazione storica e si tratta di un riferimento storico che ha qualcosa di miracoloso, di irripetibile. Si usciva dalla Seconda Guerra Mondiale e dagli orrori del nazifascismo (quelli del comunismo erano ancora ipocritamente occultati). La Dichiarazione Universale nacque come reazione al relativismo politico e legale della Germania hitleriana e, più in generale, delle ideologie totalitarie, con un implicito riferimento all’idea che stava alla base del processo di Norimberga. Ai criminali nazisti che si appellavano all’obbedienza agli ordini ricevuti dall’alto, si ricordava che esiste un’altra obbedienza, ben più decisiva. Sulla base di questa idea, per la prima volta nella storia, un tribunale aveva emesso delle condanne non perché gli imputati erano nemici, ma perché avevano violato questa legge di natura, quella a cui si ispirò la Dichiarazione. Ora, perché questa legge possa davvero essere tale, in forza di quel “sentire comune” di tutta l’umanità a cui essa fa riferimento, bisogna che non possa essere modificata arbitrariamente dagli attori politici. Ma è proprio questa la cri| | 16 dicembre 2015 | 21 SOCIETÀ LIBERALISMO ILLIBERALE conquiste dei paesi civili e al tale pronunciamento della tale commissione per chiedere il “diritto” al matrimonio omosessuale, alla sperimentazione sugli embrioni, alla clonazione eccetera. Nel frattempo si dilata il vocabolario delle maledizioni politicamente corrette per far sì che gli avversari nemmeno vengano ascoltati: razzista, omofobo, oscurantista, rozzo. (…) È chiaro che la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo è stata svuotata. Essa ha senso solo in quanto espressione del diritto naturale, cioè di quel diritto che viene prima di ogni forma di organizzazione statale e che è inviolabile: «Nulla nella presente Dichiarazione può essere interpretato nel senso di implicare un diritto di qualsiasi Stato, gruppo o persona di esercitare un’attività o di compiere un atto mirante alla distruzione dei diritti e delle libertà in essa enunciati» (Art. 30). Mettere in questione il carattere universale di questi princìpi e il loro ancorarsi nelle «leggi non scritte e immutabili» diritto naturale significa Il bombardamento dI slogan del spianare la strada all’arbitrio e a nuove forme di totaantIrazzIstI, antIomofobI, litarismo. All’azione distrutmultIculturalI, ha assunto tiva del soft power Haaland Matláry oppone la necessità tonI quasI relIgIosI. non sI di riscoprire il valore fondaoffrono ragIonI, ma tabù, e tivo e universale della ragione. La sua proposta di rivaIl solo sollevare questIonI lutazione del diritto naturale indica in modo rigoroso è consIderato blasfemo un possibile percorso fondaMatláry nel suo volume sui «diritti umani tivo della categoria del “prepolitico” in un traditi»: si comincia a imporre la trattazio- contesto culturale e sociale secolarizzato. In una prospettiva cristiana, restano ne di certi temi, mettendo in conto il rifiuto della maggioranza ancora poco “illumi- due questioni: quella di come l’avvenimennata”; si pretende che se ne parli come di to cristiano debba porsi di fronte a questa “diritti civili”, magari facendo riferimento sorta di religione globale, incentrata sul a “casi pietosi” e con l’appoggio di impor- mito del progresso e sulla relativizzazione tanti figure del mondo dello spettacolo o dei diritti dell’uomo; quella del contributo dello sport; ci si appella al sostegno del alla coesione sociale che il cristianesimo è mondo scientifico, di volta in volta identi- chiamato a portare nella vita delle nazioni ficato con qualche personalità di comodo e e nelle relazioni internazionali. Il punto non è solo il ruolo che le relisi ottengono, alla fine, delle “direttive non vincolanti” emanate da organismi transna- gioni possono svolgere all’interno delle zionali (come – aggiungiamo noi – potreb- società secolarizzate, ma, soprattutto, le be essere anche il Parlamento europeo). A condizioni perché queste ultime possano questo punto il gioco è fatto e si può inter- sopravvivere e non sprofondare in una viovenire all’interno di ciò che resta dello sta- lenza di tutti contro tutti. (…) Una corretta to nazionale appellandosi alle moderne religione civile – sempre che si voglia ancosi che sta investendo i diritti dell’uomo. Se essi sono solo una convenzione, modificabile col cambiare delle opinioni, allora i diritti non sono più tali, perché possono a loro volta essere modificati. Perché i diritti dell’uomo siano tali, devono essere al di sopra degli stati, (…) essi non possono neppure essere in balìa dei nuovi poteri transnazionali che cercano di svuotarli dall’interno reinterpretandoli in direzione di quel mostro ideologico che è il politicamente corretto. Le grandi lobbies del potere transnazionale non potendo negare i diritti in quanto tali, tendono a dissolverli considerandoli solo come delle mere convenzioni, delle questioni di maggioranza all’interno di un’opinione pubblica da loro dominata o egemonizzata. (…) La strategia sottesa è quella del soft power, vale a dire del condizionamento dell’opinione pubblica da parte di agenzie internazionali di opinione, con meccanismi acutamente descritti da Haaland 22 | 16 dicembre 2016 | | ra insistere su questa espressione di per sé ambigua – sarebbe, dunque, necessaria allo Stato liberale e democratico occidentale proprio in funzione della realizzazione di questi presupposti che esso non può darsi da solo, ma che può ricevere dalle forze più vive che esistono al proprio interno. Le due tesi di Benedetto XVI Senza negare l’evidenza di una società occidentale divenuta plurale (…), ma comunque bisognosa di riferimenti etici e ideali comuni, si tratta di relativizzare l’idea di religione civile, riconoscendole – con Benedetto XVI – un valore necessario, ma non sufficiente: «Il concetto di religio civilis appare così in una luce ambigua: se esso rappresentasse soltanto un riflesso delle convinzioni della maggioranza, significherebbe poco o niente. Ma se invece deve essere sorgente di forza spirituale, allora bisogna chiedersi dove questa sorgente si alimenta». Ecco, allora, le due tesi ratzingeriane, per una rilettura della laicità dello Stato e della religione civile a essa sottesa: «La mia prima tesi è che una religio civilis che realmente abbia la forza morale di sostenere tutti presuppone delle minoranze convinte che hanno trovato la “perla” e che vivono questo in modo convincente anche per gli altri. Senza tali forze sorgive non si costruisce niente. La seconda tesi poi è che ci devono essere forme di appartenenza o di riferimento, o semplicemente di contatto con tali comunità», espressione con cui si intende non solo la presenza di nuove comunità religiose, ma il contributo fattivo e vitale che le comunità possono dare, come «sale della terra» (che più avanti Ratzinger chiama anche «minoranze creative»), alla coesione sociale e civile, in rapporto con tutti i fermenti più vivi che operano all’interno della società. È evidente che per essere se stessa, l’esperienza cristiana chiede e necessita di non essere privatizzata e ridotta a puro elemento individuale e soggettivo. È altrettanto evidente che questa esperienza non deve temere di rapportarsi a un mondo divenuto plurale, rimanendo però se stessa sino in fondo. Diversamente, il concetto di religione civile resta «prigioniero in quella gabbia di insincerità e ipocrisia che è il linguaggio politicamente corretto». n VOSTRO ONORE MI OPPONGO In collaborazione 5- 13 DICEMBRE, RHO FIERA INGRESSO PAD. 5/7 GUERRA AI “CENTURIONI” DI ROMA L’assurdo culto di Tronca, il commissario che fa le leggi perché sia rispettata la legge attende i bambini con LABORATORI -ANIMAZIONI E TANTO DIVERTIMENTO | VISITEREMO INSIEME LA FIERA Iscriviti al TOUR ORGANIZZATO su www.magicacompagnia.it ® DI MAURIZIO TORTORELLA S Seguici su pero di non essere considerato un bastian contrario, ma la folla che dalla fine di novembre inneggia unanime a Francesco Paolo Tronca, commissario straordinario del Comune di Roma, mi infastidisce un poco. Non per Tronca, che immagino sia una bravissima persona. Ma per il motivo dell’inneggiare collettivo. Nella vulgata, è passata la notizia che Tronca sia riuscito a mettere fuorilegge i cenesame da ambulante. In cambio, però, il turioni: quelle svariate decine di figuri che, vestiti da antichi romani, dalla fine deComune avrebbe offerto ai gladiatori adgli anni Novanta stazionano abusivamente intorno al Colosseo, alla fontana di Trevi dirittura ricchi costumi a sue spese. Puro in piazza San Pietro, per spillare denaro ai turisti in cambio di una foto. troppo per Tredicine, anche la sua propoIn realtà, il successo di Tronca sancisce la prevalenza del “diritto romanesco”, sta fece la stessa fine ingloriosa di quella versione aggiornata, corretta e farsesca dell’antico diritto romano. Che altro sendi Veltroni: seppellita nei sotterranei del so può avere un’ordinanza comunale che «vieta qualsiasi attività che preveda la diColosseo. sponibilità a essere ritratto in foto o filmati come soggetto in abbigliamento storico Tronca, va detto, ha superato tutti, ordietro corrispettivo di passaggio di denaro», se l’ordinanza stessa si applica a soggetdinando il rispetto della norma vigente. ti che notoriamente già operano sul suolo In realtà, non c’è regolacomunale in totale spregio di ogni norma mento comunale d’Italia SIAMO bEN OLTRE LE GRIDE MANZONIANE. e regola, e del tutto illecitamente? che non proibisca, una IL COMMISSARIO DELLA CAPITALE PER Eppure è così che dal 26 novembre per una, tutte le fastidioMETTERE fUORILEGGE I fIGURI VESTITI Tronca ha messo fuorilegge i “centuriose attività abusive riconni”. Va detto, si tratta di gente notoriaDA ANTIChI ROMANI è DOVUTO RICORRERE ducibili ai gladiatori romente problematica: i figuri-figuranti mani. Insomma, altro che ALL’ASSURDO LEGALE DI UN’ORDINANZA romani sono famosi per le mille scazzotgride manzoniane. Il rapChE IMPONE AI VIGILI DI APPLICARE tate, per le risse e perfino per qualche acpresentante del governo è REGOLE MUNICIPALI GIà PERfETTAMENTE coltellamento. Tant’è che il divieto, scridovuto ricorrere all’assurVIGENTI. E TUTTI AD APPLAUDIRE ve Tronca, «s’impone ai fini della tutela do legale di un’ordinanza della sicurezza urbana, in quanto i sogche impone ai vigili urbagetti dediti a tali attività agiscono freun tesserino di riconoscimento, tariffe ni di applicare regole municipali di per sé quentemente con modalità inopportune, prestabilite. Ma regolarizzare l’irregola- già perfettamente vigenti. insistenti e talvolta aggressive». Stupiti? E perché mai? Del resto, querizzabile era un’idea chiaramente imprasto è il Paese che da cent’anni sui suoi muticabile, e difatti non se ne fece nulla. Impossibile metterli in regola Nel 2012 ci riprovò Giordano Tredici- ri, ma anche sui treni, sugli autobus, nene, un consigliere comunale di centrode- gli ospedali e perfino nei tribunali scrive E sono ormai un problema davvero antistra poi coinvolto nella roboante inchie- sui cartelli: «È severamente vietato…». Coco, i centurioni. Nel 2002 l’allora sindasta giudiziaria sulle mille corruttele di me se l’avverbio dovesse o potesse in qualco Walter Veltroni, alla luce di una fama Mafia capitale. Tre anni fa, anche Tredi- che modo aggiungere forza cogente a un di “buonista”, ipotizzò un albo per regocine voleva imporre ai centurioni abusi- comando che invece nessuno rispetta. lamentarli: Veltroni prevedeva un esame vi una licenza, subordinata stavolta a un d’inglese, la verifica della fedina penale, Twitter @mautortorella | | 16 dicembre 2015 | 25 CULTURA DAL VANGELO A NOI Giovanni Battista Salvi, detto Sassoferrato, La Madonna in preghiera | DI PIER GIACOMO GHIRARDINI Nel nome di Maria(m) Dall’aramaico giudaico al greco e poi al latino. Con tracce che risalgono addirittura all’antico Egitto. Non è solo una questione grammaticale, ma il segno che gli evangelisti parlano di una persona vera. Così, in una consonante perduta ritroviamo una storia I la lingua di Gesù, il nome Maria è מריםMariam o Miriam. I vangeli, scritti in origine in greco, lo riportano in due forme: una indeclinabile Μαριάμ Mariam; l’altra declinabile Μαρία Maria. La vulgata, la traduzione in latino delle sacre scritture di san Girolamo, lo trascrive invariabilmente come Maria, e questo è il nome che ci è stato infine restituito, in italiano. Sia il greco sia il latino prevedono infatti la declinazione dei nomi propri di persona, ma alcuni di questi, di regola di origine straniera, sono indeclinabili (ad esempio Abraham), vengono cioè usati in una medesima forma in tutti i casi anche se spesso si aggiunge una forma declinabile degli stessi (ad esempio Abrahamus, -i). In latino, un’ipotetica forma indeclinabile come Miriam è però impensabile, per l’ovvia confusione che ne derivereb- 26 | 16 dicembre 2015 | | n aramaico giudaico, be per un nome femminile della prima declinazione, e san Girolamo adottò unicamente la forma declinabile Maria. Cadde così, anche in italiano, la emme finale dal nome di Mariam, ossia la mi greca μ che trascrive, a sua volta, la mem chiusa ebraica םdel nome originale. La forma indeclinabile, più fedele all’originale aramaico, non pone invece problemi in greco. Luca, cioè l’evangelista che tratta più diffusamente della nascita di Gesù e di sua madre, adotta Μαριάμ Mariam non solo al nominativo e al vocativo, dove è più naturale, ma anche all’accusativo (Lc 2,16; 2,34) e al dativo (Lc 2,5), giovandosi della forma declinabile esclusivamente al genitivo. Matteo utilizza la forma Μαριάμ Mariam solo al nominativo (Mt 13,55) e riportando un discorso diretto («sua madre non si chiama Maria?»). E così pure Luca, al vocativo, | | 16 dicembre 2015 | 27 CULTURA DAL VANGELO A NOI IL LIBRO GENESI Roberto Reggi EDB 248 pagine quando l’angelo saluta Μαριάμ Mariam con il suo «non temere, Maria» (Lc 1,30). In Marco, troviamo il nome della madre di Gesù solo una volta e al genitivo (Mc 6,3). In Giovanni, Gesù risorto per farsi riconoscere da un’altra Maria, la Maddalena, la chiama Μαριάμ Mariam e «quella, voltatasi, gli disse in ebraico: Rabbunì (che significa “maestro”)», facendo così della scena della resurrezione una delle più realistiche dal punto di vista psicologico (Gv 20,16). Non è solo una questione grammaticale: gli evangelisti che devono scrivere in una «metalingua», quale era il greco, per portare il vangelo in un impero romano che lo parlava ovunque, bene o male, come avviene oggi per l’inglese della globalizzazione, sottolineavano così il “dato di realtà”, il fatto che si parla non dei personaggi di una favola, ma di persone in carne e ossa, chiamandole con il loro nome storico. Con il nome Μαριάμ Mariam o Μαρία Maria si indicano non poche donne nel nuovo testamento, oltre la madre di Gesù: Maria Maddalena, Maria sorella di Lazzaro e Marta, Maria di Clèofa madre di Giacomo il minore, Maria madre di Giovanni detto Marco (At 12,12) e una Maria, cristiana romana («che ha faticato molto per voi»), salutata da Paolo nella Lettera ai Romani (Rm 16,6). Si deve trattare evidentemente di un nome assai popolare e amato se, al tempo di Gesù, una proporzione così significativa delle donne inserite nella narrazione neotestamentaria lo porta. Un nome che per fedeltà alla tradizione, come quasi tutti i nomi ebraici, è tratto dall’antico testamento. Ove però, in modo singolare, si registra un’unica Mariam o Miriam: la sorella di Mosè e di Aronne. Ciò ci riporta però molto indietro, all’epoca di una civiltà antichissima, dove gli israeliti erano solo manodopera. Praticamente niente. Un antico negazioni28 | 16 dicembre 2015 | | smo che perdura tutt’oggi, dal momento che c’è chi non concede neanche il beneficio del dubbio nel negare la storicità della presenza del popolo ebraico in Egitto, nonostante le numerose evidenze culturali, archeologiche e paleografiche. stina è divenuta vedova per l’Egitto, chi era turbolento è stato legato dal re Merenptah, sia egli dotato di vita come Ra, ogni giorno». E che dire, poi, di quell’incomprensibile «tra le due pietre» presente nel testo masoretico, ma espunto dai Settanta e da Girolamo, che forse non sapevano che le egiziane partorivano accosciate sui “mattoni della nascita”, personificazione della dea Meskhenet. Compare all’orizzonte la città-deposito di Pitom, dove vengono concentrati gli israeliti, costretti ai lavori forzati (Es 1,11). Non è un luogo di fantasia, ma il toponimo (PiTum) di un sito concesso per il manteni- Una scienza giovane La settimana scorsa ho provato una forte emozione nel ritornare a leggere, dopo diversi anni di letture egittologiche, i libri della Genesi e dell’Esodo, nella recente edizione quadriforme curata da Roberto Reggi, che raccoglie il testo ebraico masoretico e la versione greca dei Settanta (con le rispettive traduzioni interlineari a CON MARIAM SI INDICANO calco), la versione latina della Nova VulgaNON POCHE DONNE NEL NUOVO ta ed il testo Cei 2008. TESTAMENTO. SI TRATTA DI Appena fatto ritorno a casa, dopo averli acquiUN NOME POPOLARE E AMATO stati, mi sono precipiAL TEMPO DI GESù. TRATTO tato a cercarla: dove sei Mariam? DALL’ANTICO TESTAMENTO, DOVE Già alle prime righe del libro dei SI REGISTRA UNA SOLA VOLTA Nomi שמותmi sono trovato ricacciato in un mondo che sì, mento della popolazione nomade, attericonoscevo assai bene – dal punto di stato da un papiro di un alto funzionario, vista degli antichi egizi – ma che ora rive- che un egittologo del calibro di Gardiner devo con altri occhi. L’Esodo fa dire al colloca nel Wadi Tumilat. Lo sfruttamenfaraone: «Ecco che il popolo dei figli di to e le angherie dei sovrintendenti portaIsraele è più numeroso e più forte di noi. no i pur sottomessi scribi ebrei a un vano Cerchiamo di essere avveduti nei suoi reclamo “per via gerarchica” al faraone riguardi per impedire che cresca, altri- (Es 5,15-16), un po’ come avviene nel Papimenti, in caso di guerra, si unirà ai nostri ro dello sciopero conservato a Torino. Ma avversari, combatterà contro di noi e poi il risentimento fra egizi e israeliti, popopartirà dal paese» (Es 1,9-10). E inoltre: lo di eterni migranti (Es 6,4), monta oltre «Quando assistete le donne ebree duran- la storica soglia culturale di pregiudizio te il parto, osservate bene tra le due pie- verso gli stranieri, detti “i Nove Archi”, tre: se è un maschio fatelo morire, se è indistinta pluralità di genti ostili. Degeuna femmina potrà vivere» (Es 1,15-16). nera, secondo l’Esodo, in una crisi che la Ed ecco cosa ci manda a dire un faraone letteratura egizia descrive, con l’identinella stele ritrovata nel 1896 da Flinders co drammatico registro narrativo, nelle Petrie (Stela Cairo CGC 34025): «Israel è Lamentazioni di Ipuwer – uno dei riferidesolata, non c’è più il suo seme, la Pale- menti obbligati, in questo caso. mryt-jmn Meryt-Amon Il nome egizio da cui originerebbe il nome Mariam, quello della sorella di Mosè ed Aronne, apparteneva a Meryt-Amon, Grande Sposa Reale di Ramses II Ritratto di Meryt-Amon nella tomba QV68. Traduzione dal geroglifico: Meryt-Amon, abbia vita! Figlia del Re, Grande Sposa Reale, Signora delle Due Terre Sarà quindi esistita una “vera” Mariam in questa assai “verosimile” storia? Una ragazzina, come minimo sveglia e simpatica, che pilota il fratellino nelle braccia protettive della figlia del faraone e che “strappa”, con disinvoltura, un baliatico a vantaggio della stessa madre (contratto messo per iscritto, nell’antico Egitto, con tanto di penali per le balie che compromettessero la qualità del latte). Che sparisce com’è apparsa per poi ricomparire, adulta, con il suo nome, quando tutte le questioni con i loro oppressori verranno tragicamente risolte nel Mar Rosso, il Grande Blu-Verde degli egizi: «Allora Maria, la profetessa, sorella di Aronne, prese in mano un tamburello: dietro a lei uscirono le donne con i tamburelli e con danze. Maria intonò per loro il ritornello: “Cantate al Signore, perché ha mirabilmente trionfato: cavallo e cavaliere ha gettato nel mare!”» (Es 15,20-21). L’egittologia è una scienza molto giovane, anche da un punto di vista linguistico e filologico. Questioni importanti, ad esempio, sulle forme verbali – argomento ostico per una lingua che come l’ebraico non annota le vocali – sembrano aver trovato una sistemazione solo negli ultimi decenni. Molti studiosi suggeriscono che il nome Mariam derivi dall’anti- co egiziano. Altri propendono per un’origine ebraica. L’ipotetico contesto storico e l’effettivo contesto testuale, proposto dall’Esodo, impongono però che debba essere presa in considerazione la prima ipotesi, perché è da questo crogiuolo culturale che emerge tale nome e quello di Mosè, sicuramente egizio. La grande sposa reale Ipotizzando l’acculturazione conseguente all’integrazione, era del tutto normale per chi abitava in Egitto imporre nomi basilofori (contenenti nomi di re) o teofori (contenenti nomi di divinità) alla propria discendenza. In questa eventualità l’individuazione dell’antroponimo da cui deriva il nome Mariam si pone in modo quasi paradigmatico: è Meryt-Amon (si veda il riquadro illustrativo qui sopra). Il nome Meryt-Amon (trascritto anche come Meryt-Amun o Meryt-Amen, con o senza trattino) è ampiamente diffuso e documentato nel Nuovo Regno, il grande periodo storico in cui vanno letti gli eventi dell’Esodo, risponde a entrambe le caratteristiche ed è coerente con la vocalizzazione e la trasformazione in Mariam o Meriam. Meryt-Amon era niente meno che la Grande Sposa Reale di Ramses II. È quindi un nome femmini- le basiloforo per antonomasia, per quel tempo. Il significato è «amata da Amon». Dal momento che Amon è il potentissimo dio di Tebe si tratta, parimenti, di un importante nome teoforo. Ma come si concilia Meryt-Amon con Mariam? In realtà, la scrittura geroglifica restituisce solo lo scheletro consonantico del nome: mryt-jmn. Ma sulla base del copto, l’ultima fase della lingua egiziana antica che annotava le vocali (avendo adottato e integrato l’alfabeto greco), e di conoscenze ormai assodate sui principali fenomeni legati al fonetismo in egiziano, MerytAmon poteva venire pronunziato approssimativamente Meriàmun. L’accertata diffusa propensione ad adottare forme ipocoristiche (diminutivi e vezzeggiativi), specie in ambito familiare, poteva infine dar luogo alla lettura Meriàm, equivalente a Mariam, nel contesto semitico, dove la vocalizzazione è mutevole. L’egittologo potrebbe infine ricordarci delle “cantanti di Amon” (che accompagnavano i riti con canti, danze e con il sistro) o delle “profetesse di Amon”: le suggestioni non mancano (Es 15,20). A noi preme solo concludere che il nome di Maria ha una grande storia. Una storia vera. n | | 16 dicembre 2015 | 29 CULTURA FARE I CONTI CON LA VITA Il giallo indispensabile di Chesterton Quello che ci sussurra GKC con “L’uomo che sapeva troppo” è che l’esistere è una battaglia, non una conversazione. In tempi cupi e difficili come questi bisogna attraversare la paura per non cedere alla logica perversa del terrore | 30 | 16 dicembre 2015 | | DI ANNALISA TEGGI | | 16 dicembre 2015 | 31 CULTURA FARE I CONTI CON LA VITA IN LIBRERIA L’UOMO CHE SAPEVA TROPPO G. K. Chesterton Lindau 19,50 euro «U sen- ne immediata dovesse essere una reazione za morti per me coraggiosa e forte. Ma chi – onestamente – resta ancora un può dire di non aver avuto paura? Chi può racconto senza dire di non avere tuttora paura? È innatuvita», così scris- rale che un uomo vivo non abbia paura, se Gilbert K. perché essere vivi significa sentirsi semChesterton descrivendo la sua esperien- pre in pericolo – notò il signor Chesterza di scrittore giallista. E la verità di que- ton. Però tra l’ideologia del terrorismo e sto paradosso è piombata brutalmente la percezione della paura passa un abisaddosso anche a noi nell’ultimo mese. so. Bisogna attraversare la paura, per non Appena lo sfondo nero della morte irrom- cedere alla logica perversa del terrore. Il pe in mezzo alla realtà, la percezione del- mistero che da sempre aleggia su cose la vita si altera, ma non per deformarsi, sconcertanti come la vita e la morte combensì per assumere i veri contorni scon- porta una visione onesta dell’umano fatcertanti che l’esistere dovrebbe sempre ta anche di paura, che può degenerare in avere. Al di là di tutte le analisi politi- malsano terrore, ma può anche essere la che, al di là dei fondamentalismi religio- premessa di un sano stupore. Per via di paradosso, si può dire che la si e delle bandiere degli atei, al di là delle opinioni degli intellettuali blasonati, faccia tremenda dell’Isis sia la deformala tremenda notte del 13 novembre a Parigi È innaturale che un uomo non ci ha messo questo tra le mani: lo sconcerto. abbia paura, perché essere Il terrorismo funziona, vivi significa sentirsi sempre nella sua logica perversa, proprio perché non in pericolo – notò chesterton. inventa nulla, ma si però tra l’ideologia del arroga quel diritto che dovrebbe essere solo terrorismo e la percezione del Destino (o Natura, o Caso, o Provvidenza) della paura passa un abisso e cioè l’imprevedibile zione dei volti simpatici di Sherlock Holineluttabilità della vita e della morte. Il progresso ci ha regalato tanti sua- mes, di Miss Marple, del tenente Colombo denti strumenti per pianificare il vivere in e della signora in giallo. Si può anche dire modo tale che assomigli a una tabella di che l’investigatore sia la nemesi del terromarcia prestabilita dalla nostra volontà. rista, perché la sua ipotesi operativa è che Ma è solo un’illusione che ci tiene como- il mistero di una morte sia un enigma a di su una poltrona, posta sul ciglio di un lieto fine, un nodo che si scioglie (non un burrone. La caduta è stata rovinosa. La tra- cappio che soffoca). gedia di una strage di gente comune avvenuta nel cuore dell’Europa ci ha catapul- Il pessimista e l’idealista tato in una zona fatta di terrore e tremore. Fu per questo che Chesterton dedicò buoPerò, ci è stato subito detto che non biso- na parte delle sue risorse creative nel dar gnava cedere alla paura, per non darla vin- vita a indimenticabili racconti gialli. La ta ai terroristi. È parso giusto che la reazio- riteneva una forma letteraria indispensa- 32 | 16 dicembre 2015 | n racconto | bile per l’umanità, perché mette a tema la vita sullo sfondo della morte e in questo modo ricorda a tutti che l’esistere è una battaglia e non una conversazione. I suoi racconti gialli più famosi hanno per protagonista Padre Brown, un prete dall’aspetto dimesso, un segugio pronto a stanare una briciola di bene anche in fondo al cuore di un uomo cattivo. Ma la lista degli investigatori inventati dal genio di GKC è più lunga: c’è il Basil Grant de Il club dei mestieri stravaganti, c’è il poliziotto filosofico Gabriel Syme de L’uomo che fu Giovedì, c’è il poeta amico dei matti Gabriel Gale de Il poeta e i pazzi. E poi c’è Horne Fisher, l’investigatore meno probabile degli annali delle detective stories e protagonista de L’uomo che sapeva troppo, in libreria con Lindau. Il tratto tipico della sua persona sono le palpebre cascanti, lui sembra sempre sul punto di addormentarsi. L’autore lo ritrae in modo apparentemente offensivo: «Era un uomo che esprimeva le opinioni di un pessimista con il tono di un annoiato». Il problema di Fisher è che sa troppo, come annuncia il titolo: è un aristocratico imparentato con ogni membro del governo inglese e dunque sa tutto, sa davvero troppo, di ogni evento che accade. Conosce il risvolto gretto e tutt’altro che edificante di ogni vicenda politica e sociale. Niente lo stupisce più, sapendo che dietro ogni scelta, avvenimento e impresa ci sono interessi per nulla nobili o puri. Questa è la molla che lo stimola a interessarsi di crimine e omicidi, cioè di fatti oscuri che lo coinvolgono con qualcosa che – finalmente! – non sa. Lo accompagna nelle indagini un Watson che è il suo esatto contrario, si tratta di un giornalista in carriera di nome Harold March. È un entusiasta e un idealista, un brillante scrittore «abbastanza giovane da aver ben in mente tutti i politici, e da non volere solamente dimenticarseli tutti». Va detto che in questo libro la parola giornalista è un complimento. Insomma: nulla a che vedere coi nostri mestieranti che bazzicano tra intercettazioni private e documenti segreti. March è un vero inquisitore, partecipe della cosa pubblica e dunque intraprendente nell’interagire con ministri e personaggi influenti. Chesterton stesso scelse di definirsi giornalista, nonostante la sua multiforme attività letteraria; perché anche un poeta o un romanziere può essere, in fondo, nient’altro che un giornalista se a tema dei suoi contenuti c’è uno sguardo attuale sull’umanità. Anche l’uomo comune è un giornalista, se abita con meraviglia e senso critico i fatti di ogni suo giorno. Il giornalista che c’è in noi Un lettore può godersi L’uomo che sapeva troppo come una piacevolissima raccolta di racconti, confezionati da uno dei più brillanti giallisti (Chesterton, infatti, presiedette per sei anni il Detection Club, un gruppo che riuniva i più grandi giallisti inglesi e in questo ruolo lo sostituì niente meno che Agatha Christie). E dedicarsi a leggere e risolvere storie del mistero è già un fruttuoso passatempo, innanzitutto perché è coinvolgente e poi anche perché il giallo educa l’uomo a non dimenticare che il senso del pericolo è connaturato alla vita. Però, per chi voglia accettare la sfida, l’orizzonte dell’intera opera ha un’ambizione più azzardata. Si potrebbe dire che è il romanzo di formazione del giovane giornalista Harold March, grazie alla voce pigra e alla mente geniale di Horne Fisher. Perciò è anche un pungolo per quel bravo giornalista che c’è, o dovrebbe esserci, in ciascuno di noi. A chi voglia coraggiosamente imboccare la strada di questo “sussurro” che Chesterton fa al lettore si pone l’ipotesi di guardare l’umano secondo una prospet- agrodolce, anzi amara, di relazioni corrotte e biechi interessi. Ed è a questo punto che l’idealista March getterebbe la spugna e, invece, il disilluso Fisher sorprendentemente si desta a imprese gloriose. Ancora una volta è l’emergenza a togliere il torpore dal cuore e dagli occhi dell’uomo: la guerra. Lo sfondo tremendo di un conflitto armato che mette a fuoco e fiamme l’Inghilterra è in grado di compiere un miracolo. Ancora una volta, in una società tutt’altro che perfetta, sono il pericolo e la morte a fare chiarezza sul senso della vita e a suscitare un barlume di virtù in uomini tutt’altro che probi. Sarebbe molto bello se vivessimo in un mondo di colori nitidi e distinti: il bianco dell’onestà, il nero del male, il rosso dell’amore, l’azzurro dell’innocenza. Ecco, non è mai così. La nostra tavolozza umana è tutta scompigliata e mescolata, ma proprio perciò può ospitare un eroismo che non è quello delle fiabe. Il cavaliere puro e impavido si muove tra foreste di malvagi orchi e fate buone. Ma a un giornalista moderno può essere data un’occasione davvero interessante, quella di assistere all’unico momento in cui un gruppo di uomini corrotti e disonesti s’impegna per fare una cosa buona, dare la vita per il proprio paese. Verrebbe da dire che con Chesterton non c’è proprio scampo, bisogna rimboccarsi le maniche. Con la scusa di venerare la meritocrazia e le «mani pulite», potremmo tirarci indietro dalla cosa pubblica usando il pretesto dei nostri innumerevoli limiti e peccati. Ma in tempi cupi e difficili non c’è da fare gli schizzinosi, serve anche quel poco di buono che il peggiore degli uomini può dare. in una società tutt’altro che perfetta, È il pericolo a fare chiarezza sul senso della vita e a suscitare un barlume di virtù in uomini tutt’altro che probi. a togliere il torpore dal cuore dell’uomo tiva tutt’altro che politicamente corretta. «Credimi, nessuno conosce la parte migliore degli uomini, finché non ha conosciuto la loro parte peggiore. (…) Dio solo sa a quanto male può sopravvivere una coscienza e sa anche come un uomo, che ha perso il suo onore, possa ancora sforzarsi di salvare la sua anima», così dice Horne Fisher a Harold March. Questa è l’ultima paradossale tappa di un percorso in cui l’uomo che sapeva troppo stimola e provoca il giovane giornalista a prendere atto del torbido in cui l’umano è costretto a sguazzare. La meritocrazia, l’onore, l’onestà sarebbero ideali davvero ammirevoli su cui fondare la convivenza umana. Ma gli ideali non si incontrano mai nella loro purezza nella realtà. E il torbido guazzabuglio del reale può davvero far invecchiare prematuramente un uomo, rendendo apatico il suo viso e cascanti le sue palpebre: «Hooker Wilson fu il primo criminale che conobbi, ed era un poliziotto», ammette Fisher, raccontando la sua prima esperienza di investigatore, che gli svelò il volto meno rassicurante del mondo delle relazioni umane. E il primo caso in cui anche March si trova coinvolto si conclude con un omicida che non viene punito, perché «i pesci grossi vanno ributtati in acqua». Il mondo di grandi ideali e uomini integerrimi, che March avrebbe voluto raccontare con la sua penna, non esiste. Esiste una trama | | 16 dicembre 2015 | 33 imprese il ruolo di finmeccAnicA Cyber Security La tecnologia italiana contro le minacce del terzo millennio «s ad un nemico pericoloso, nessuno può sottovalutarlo», «i terroristi vogliono disintegrare il nostro modo di vivere», «ecco perché stiamo insistendo con la cybersecurity e diamo un contributo alle forze di sicurezza»: così il premier Matteo Renzi al Teatro della Pergola a Firenze inaugurando la Festa della Toscana, lo scorso 28 novembre, ha richiamato con forza l’impegno del governo nel consolidare un sistema di reazione in grado di operare in caso di incidenti o azioni ostili nei confronti delle infrastrutture informatiche nazionali (tema oggetto della direttiva che il 1° agosto 2015, a fronte di un’evoluzione normativa e strategica nel settore della sicurezza informatica, identificava azioni per contribuire alla sicurezza nazionale nella dimensione cyber). Mai come oggi infatti la sicurezza del cyberspace è diventata la priorità di chi opera a garanzia degli interessi nazionali di un paese: il cyberspace è oggi considerato, secondo l’approccio militare, un vero e proprio campo di battaglia e come tale ci si muove al suo interno anche in un’ottica di intelligence. Un’esigenza che in Italia ha trovato anche un’opportunità in termini di capacità industriali, ricerca e sviluppo di compeAl gruppo itAliAno tenze che il mondo ci invidia e ci compra. fA cApo il mAggiore È il caso di Finmeccanica – Selex ES, arteprogetto di cyber fice del maggiore progetto di cyber securisecurity AggiudicAto ty mai aggiudicato fuori dai confini degli Stati Uniti: la rete di protezione cyber delfuori dAgli usA: lA la Nato. Nel febbraio 2012, infatti, l’azienrete di protezione da del gruppo Finmeccanica ha firmato cyber dellA nAto che un contratto per lo sviluppo, la realizzagArAntisce sicurezzA zione e il supporto della Nato Computer Response Capability - Full Opedelle informAzioni Incident rating Capability (NCIRC-FOC): una capaAlle sedi dell’AlleAnzA cità di difesa cibernetica che oggi assicuAtlAnticA in 28 pAesi ra la sicurezza delle informazioni e delle 34 | 16 dicembre 2015 | | iamo di fronte comunicazioni di 52 siti e sedi dell’Alleanza Atlantica in 29 paesi in tutto il mondo, per un totale di oltre 20.000 utenti. Operativo dal 2014, il programma è stato progettato e realizzato da Finmeccanica, leader in Italia nelle alte tecnologie, e tra i maggiori operatori al mondo nel settore aerospazio, difesa e sicurezza, per fornire la capacità di rilevare, gestire e contrastare le minacce informatiche, oggi sempre più pervasive e strutturate, e al contempo consentire gli indispensabili sviluppi tecnologici collegati all’evoluzione della minaccia informatica. Un servizio capace di evolvere, dunque, e migliorare continuamente per la difesa informatica della Nato. «La Cyber security è diventata, per qualunque paese, una questione prioritaria di politica nazionale e internazionale – spiega Mauro Moretti, amministratore delegato e direttore generale di Finmeccanica – Con il nostro patrimonio di innovative soluzioni tecnologiche per la sicurezza delle informazioni siamo pronti a cogliere queste nuove sfide». Le minacce al cyberspace hanno oggi infatti forme diverse, diversi scopi e diversi attori: capire la complessità di questa nuova dimensione della sicurezza e comprenderne l’impatto reale sugli interessi nazionali, proteggendo il patrimonio tecnologico, informativo ed intellettuale di ogni organizzazione civile o militare, è la missione di Finmeccanica-Selex ES, che oggi continua a investire in knowhow e tecnologia per fornire soluzioni affiancando le istituzioni e le grandi aziende del settore industriale e dei servizi nella protezione delle infrastrutture critiche (energia, trasporti, telecomunicazioni), degli interessi pubblici, delle imprese e del singolo cittadino: per questi, la società di Finmeccanica ha la responsabilità della progettazione ed esecuzione (dall’analisi del rischio, alla progettazione e implementazione dell’architettura di sicurezza, al training per la prevenzione e la gestione di incidenti) di diverse attività di protezione dell’amministrazione statale e di aziende private, oltre che la realizzazione di servizi di intelligence e di analisi di informazioni da fonti aperte mediante una delle più potenti infrastrutture nel mondo dedicate a questa esigenza (Intelligence & Information Operation Centre – IIOC). Installato nel centro di eccellenza per la Cyber Security di Chieti - dove vengono progettati, realizzati e monitorati 24 ore su 24 i servizi di sicurezza e di Cyber Intelligence per la protezione da attacchi informatici in Italia e all’estero –, il Supercalcolatore (High Performance Computer) da 400 TFlops di Finmeccanica - Selex ES usato per calcolare algoritmi e programmi complessi che analizzano enormi moli di dati in tempo reale, ha infatti assicurato al gruppo il trentesimo posto nella lista “Top500” dei 500 supercomputer più potenti del pianeta e il secondo posto nella classifica mondiale “Green500” che valuta le infrastrutture di supercalcolo per il loro tasso di efficienza energetica. Segno tangibile delle capacità tecnologiche di Fin- meccanica – Selex ES nella sicurezza informatica, sostenute dagli importanti investimenti che l’azienda sta dedicando all’ambito diventato una priorità a livello mondiale, il centro per la Cyber Security di Chieti è costituito dal Security Operation Center (SOC) e dall’Open Source Intelligence Center, che erogano rispettivamente servizi di sicurezza e di Cyber Intelligence per la protezione da attacchi informatici, dove circa 170 dipendenti altamente specializzati lavorano quotidianamente alla definizione di un modello strategico per la Cyber Security, che sia di vero supporto allo sviluppo dell’Agenda Digitale italiana e risponda alle necessità dell’Europa. Proprio a Bruxelles, dal febbraio 2014, Finmeccanica - Selex Es ha affiancato Lockheed Martin nella realizzazione dell’infrastruttura di rete ANWI (Active Network Infrastructure) per la nuova sede generale della Nato, comprensiva dei sistemi di comunicazione wireless voce e dati e IPTV per i dispositivi degli utenti, pienamente integrata nell’architettura NCIRC; un contratto che dimostra l’ampliamento della partnership fra la società e l’Alleanza Atlantica nel settore della sicurezza. Un preziosissimo contributo di know-how e capacità tecnologica che ancora una volta racconta l’ampio spettro di soluzioni messe a punto dal gruppo per acquisire ed elaborare informazioni per uso governativo e militare e servizi di cyber intelligence finalizzati a identificare, prevenire e gestire potenziali minacce alla sicurezza nazionale, o altri reati gravi in un ambiente in continua evoluzione. Un ammodernamento continuo delle risorse a nostra disposizione in quel “vero e proprio campo di battaglia” che è il cyberspace per rendere la vita digitale più sicura. | a chieti Il centro per la Cyber Security di Chieti è costituito dal Security Operation Center (SOC) e dall’Open Source Intelligence Center in cui è installato il Supercalcolatore (High Performance Computer). Attraverso queste infrastrutture Finmeccanica - Selex ES eroga rispettivamente servizi di sicurezza e di Cyber Intelligence per la protezione da attacchi informatici | 16 dicembre 2015 | 35 STILI DI VITA Cucina melodica e concreta Il viaggio di Arlo, di Peter Sohn IN BOCCA ALL’ESPERTO di Tommaso Farina D oveva arrivare dalla più tradizionale delle enoteche, l’idea più rivoluzionaria della sonnolenta ristorazione di Roma centro. A un passo da Montecitorio e Palazzo Chigi, l’Enoteca Achilli al Parlamento è calata nel milieu più massificato e turistico possibile. Dunque, quando Daniele Tagliaferri, il simpatico e appassionatissimo proprietario, decise di restaurarne il magazzino per farne un ristorante, avrebbe potuto servire cucina romanesca furbetta, con la scusa dei vini. E invece, tirò fuori un asso inatteso: lo chef Massimo Viglietti, ligure, già anima del ristorante Palma, ad Alassio. Una vera e propria padella inquieta, dedita a quella che alcuni hanno definito “cucina anarchica”. Ma quale anarchia? Basta sedervi alle comode poltrone di questi pochi tavoli, per accorgervi che gli accostamenti arditi che Massimo pone in essere conseguono in realtà un risultato armonico, euritmico, mai insensato o anarcoide. Potete scegliere: tre portate a 60 euro, cinque a 80 e il super menù da sette portate a 100 euro vini esclusi. Da lì in poi, tutta fantasia sbrigliata, propiziata anche dal servizio di una serie di pani assolutamente strepitosi. Pastosa e sensuale la riunione di castagne, guanciale, baccalà in brandade (la parente provenzale del baccalà mantecato) e salsa di vino rosso. Pensavate al cazzeggio? Nossignori, concretezza. Sentire i profumi, i ricordi della grande cuisine francese nelle ostriche pochée servite con zuppetta di foie gras, caviale di tartufo, pastafrolla di olive e riso soffiato, fa venir voglia di partire lancia in resta per un viaggio transalpino. Pura poesia l’assemblaggio di patate, gamberi in tartare, caviale Calvisius, foglie d’oro e una leggerissima salsa di cioccolato bianco allo zafferano. Stranezza? No, armonia, melodia senza sbavature. Perfino il dessert diventa una cosa memorabile: gelato al tabacco di sigaro Toscano con prugne farcite di foie gras. E con questo popò di cucina, cosa bere? Le migliaia di vini del caveau, stappati a stretto prezzo di enoteca. Esperienza da fare. punto una tecnica che consente di eliminare completamente la malattia. Il loro lavoro, pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Circulation EP, ha dimostrato che 14 pazienti, sottoposti all’ablazione di una regione particolare del ventricolo destro, guarivano definitivamente senza mostrare più alcun segno elettrocardiografico o clinico della malattia. Si trattava di pazienti ad altissimo rischio di morte improvvisa, già sottoposti all’impianto di un defibrillatore: dopo 6 mesi, tutti i 14 pazienti non sono più affetti dalla Sindrome di Brugada. I ricercatori ipotizza- SANITÀ SInDromE DI BrugADA Nuova speranza da una ricerca italiana Si può guarire dalla Sindrome di Brugada, una malattia genetica che può portare a morte cardiaca improvvisa. Un gruppo di ricercatori italiani e spagnoli guidati da Carlo Pappone, Responsabile dell’Aritmologia dell’IRCCS Policlinico San Donato e da Josep Brugada, scopritore della sindrome, ha messo a | 16 dicembre 2015 | Un film per piccoli piccoli Un cucciolo di dinosauro deve tornare a casa dopo essersi perso. Film per piccoli piccoli questo ultimo della Pixar. Prodigioso da un punto di vista tecnico tanto che nelle prime sequenze pare di star davanti a un film vero e proprio, Arlo è un po’ come il piccolo Simba de Il re leone di cui il film di Sohn ricalca molti aspetti. L’idea del viaggio, di un ritorno a casa che va di pari passo con una nuova consapevolezza e soprattutto con la lotta con le proprie paure. Parec- chio sa di già visto con un paio di notazioni da Pixar: e cioè che la realtà non è mai contro di te, anzi è una bellezza tutta da scoprire e in cui lasciare una traccia che duri per sempre. E la figura, grande e potente di un padre (altro elemento spesso presente in altri film Pixar): uno con cui fare i conti, da seguire, l’ipotesi positiva che ti fa compagnia nel viaggio della vita. Meno complesso e profondo di film come Inside Out e Nemo, Arlo è il punto di incontro tra la classicità del nuovo corso Disney e l’innovazione della Pixar. visti da Simone Fortunato Dalla paura al coraggio Il regista Peter Sohn HOME VIDEO I bambini sanno, di Walter Veltroni I bambini e la vita Una serie di interviste a bambini delle elementari su vari temi della vita. | no di poter espiantare il defibrillatore dopo un intero anno senza segni elettrocardiografici e sintomi della patologia, migliorando significativamente la qualità della vita dei pazienti. La Sindrome di Brugada è una patologia genetica ereditaria ed è caratterizzata da un malfunzionamento dei canali ionici, cioè di una parte della membrana che riveste le cellule del cuore. Questo disturbo si manifesta con particolari alterazioni dell’elettrocardiogramma e con una pericolosa predisposizione alle aritmie ventricolari. Queste alterazioni non sono sempre presenti, ma pos- sono variare nel tempo ed essere accentuate dall’assunzione di alcuni farmaci e da condizioni fisiche. Oltre ad alterare l’elettrocardiogramma, la sindrome può provocare la comparsa di aritmie ventricolari maligne diventando causa di morte improvvisa anche in giovani che presentano un cuore sano. Fino ad oggi, nei pazienti in cui la sindrome fosse stata identificata, l’unica terapia possibile e palliativa era l’impianto del defibrillatore. Moltissimi pazienti tuttavia ancora muoiono, perché spesso la prima manifestazione clinica della sindrome è l’arresto cardiaco. AMICI MIEI IL LIBRO DELLO SPETTACOLO “Come una querca” La storia di Rolando, il piccolo martire Da dicembre è disponibile un piccolo pamphlet edito da Itaca contenente il testo dello spettacolo Come una quercia, dedicato alla vita di Rolando Rivi. A soli 11 anni Rolando entra in seminario, mentre l’Italia è in guerra. Il 10 aprile 1945 viene sequestrato da un gruppo di partigiani. Rin- MAMMA OCA di Annalena Valenti T il meglio si chiama fiaba. Adatta a ogni età, crea legami tra chi racconta e chi ascolta, apre una finestra sulla realtà, ben più vasta di quel che pensiamo, rafforza il senso di sé e il senso del mistero, rivela paure nascoste senza costringerci ad ammetterle e nello stesso tempo suggerisce come affrontarle. È l’Avventura con la a maiuscola, il migliore antidoto alla banalità funzionale e alla mancanza di senso. Dice chiaramente che non ci si fa da sé, che l’amicizia salva e che il mistero fa parte della vita. Se ci pone davanti ad avversità e paure, ci dice anche che abbiamo le armi per affrontarle, anzi, che è proprio di fronte alle difficoltà che viene fuori il meglio di noi. Doti personali, amici generosi, magie insperate e l’aiuto del Cielo, tutto concorre ad accompagnarti sulla strada dove le parole bene, bello e felicità acquistano il loro vero senso. Due titoli per la fiaba del momento, dove ingenuità e astuzia si incontrano e vincono contro la forza. Degli autori russi Afanasiev e Puskin, Masha e Orso e altre fiabe russe, Bur. Di Afanasiev, con bellissime storie di animali e magie, Masha e l’Orso e altre fiabe popolari russe, Newton Compton. Di questo editore esistono molte raccolte di fiabe, integrali ed economiche, dalle fiabe popolari a quelle d’autore. Storie che di fronte alla paura infondono coraggio, e di fronte all’ignoto un’amicizia per sempre. mammaoca.com Bel documentario firmato da Veltroni. L’idea è quella di far parlare ragazzini di estrazione sociale diversa di fronte a domande impegnative su famiglia, padri e il male. Con un occhio a Il piccolo principe e a tanto cinema ad altezza bambino, Veltroni si pone davanti ai piccoli interlocutori in modo discreto e cordiale, per nulla ideologico e anzi facendo emergere il loro desiderio di felicità, le loro paure, i loro dubbi. Per informazioni Enoteca Achilli al Parlamento enotecalparlamento.com Via dei Prefetti, 15 Roma Tel. 06 6873446 Chiuso la domenica 36 LA FORZA DELLE FIABE CINEMA EnoTEcA AchILLI AL PArLAmEnTo, romA chiuso e torturato per tre giorno in un casolare abbandonato, il 13 aprile, Rolando, a soli 14 anni, viene spogliato a forza dalla sua veste talare, tra- ra i libri per bambini, scinato in un bosco e ammazzato con due colpi di pistola. Il testo dello spettacolo è scritto da Davide Giandrini (attore e allievo di Giorgio Gaber) e interpretato da Daniele Bentivegna. Lo spettacolo è principalmente destinato agli alunni della scuola media, sta girando l’Italia in replica da settembre e ovunque ha riscosso molto interesse da parte dei ragazzi: stupiti e affascinati dalla figura di un giovane che, alla loro età, ha dato la vita per un grande ideale. La storia del giovane seminarista, nonostante Rolando sia stato beatificato da pa- pa Francesco nell’ottobre 2013, rimane ancora poco nota. Uno spettacolo rivolto solo ai cattolici? No, ci tiene a precisare Giandrini: «La figura di Rolando Rivi interpella tutti. Di fronte alla frase che pronuncia davanti a chi lo stava uccidendo (“Io sono di Gesù”), il cuore non può non aprirsi, almeno un po’. Rivi suscita le domande ultime del cuore dell’uomo, le domande di senso: perché vale la pena vivere? Per che cosa vale la pena morire?». Chi vuole portare lo spettacolo nella propria città deve scrivere a: [email protected] | | 16 dicembre 2015 | 37 WWW.RED-LIVE.IT ConCRETa,funzIonaLE,SEnzafRonzoLI. PREzzID’aTTaCCoDI14.500E18.700EuRo Torna la Tipo. Nuova e piena di sostanza C Comandiintuitivi consentono achiunque didaredeltu allanuovaTipo oncreta, funzionale, senza fronzoli: ecco l’identikit della nuova Tipo. Una berlina a quattro porte che, fatta eccezione per il nome, poco o nulla ha a che vedere con la due volumi prodotta dal 1988 al 1995. Erede del prototipo Aegea, presentato in occasione del Salone di Istanbul, è un’auto tutta sostanza: piacevole da guidare, dal feeling immediato, rifinita con discreta cura e, soprattutto, caratterizzata da una dotazione decisamente ricca se paragonata al prezzo d’acquisto. Concepita sin dall’origine come una berlina a quattro porte, la nuova Tipo è lunga 4,54 metri. Alle dimensioni generose si accompagna una capacità di carico di 520 litri con cinque persone a bordo: un valore degno di nota. La capienza da prima della classe è rafforzata dalla possibilità di frazionare 40/60 il divanetto, mentre l’abitabilità risulta soddisfacente, specie per guidatore e passeggero anteriore che godono di ampio spazio in ogni direzione, laddove gli occupanti dei sedili posteriori non hanno di che lamentarsi a livello delle gambe; solamente i più alti incorrono in alcuni contatti del capo con il cielo della vettura. Una smagliatura condivisa dalle concorrenti dirette. Due allestimenti, Opening Edition e Opening Edition Plus, due motorizzazioni Euro 6, 4 cilindri 1.4 16V aspirato a benzina da 95 cavalli e 127 Nm di coppia oppure 4 cilindri 1.6 tD Multijet da 120 cavalli e 320 Nm, e un’unica – al momento – trasmissione manuale a 6 rapporti: il massimo della semplicità. Prezzi d’attacco di 14.500 euro (1.4) e 18.700 euro (1.6 tD) che, complice la fase di lancio, vengono ridotti rispettivamente di 2.000 e 2.200 euro. La versione Opening Edition, nel dettaglio, è tutt’altro che povera: prevede di serie tanto l’indinonECCELLEIn spensabile – Abs, Esp, 6 airbag, fennuLLa,nonDELuDE dinebbia e assistenza alla partenza InaLCunaSPETTo, in salita – quanto accessori di preDISERIEhaTuTTo gio quali il sistema multimediale L’InDISPEnSabILE Uconnect corredato di schermo toumaCISonoanChE chscreen a colori da 5 pollici, lettore aCCESSoRIDIPREgIo Cd/Mp3, connettività Bluetooth, porte Aux/Usb, streaming audio, vivavoce, lettore Sms e riconoscimento vocale, oltre al climatizzatore automatico, i sensori di parcheggio posteriori e i cerchi in lega da 16 pollici. La telecamera in retromarcia, la navigazione satellitare TomTom e il cruise control sono invece un’esclusiva dell’allestimento top di gamma. Una volta al volante è impossibile non trovarsi a proprio agio con la berlina Fiat. La sensazione d’inserimento nel corpo vettura, la seduta lievemente ribassata e i comandi intuitivi consentono a chiunque di dare del tu alla nuova Tipo. Una sensazione di familiarità rafforzata dalla curata insonorizzazione dell’abitacolo e dalla generosa erogazione di coppia del 4 cilindri 1.6. Non eccelle in nulla, non delude sotto alcun aspetto. SebastianoSalvetti | | 16 dicembre 2015 | 39 LETTERE AL DIRETTORE [email protected] Il terrorismo è al 99% islamico, informate i negazionisti democrat G Signori, Stamani i media hanno dato notizia della fresca pubblicazione su “Eduscopio” (eduscopio.it) del rapporto annuale della Fondazione G. Agnelli, che fornisce la “classifica” delle migliori scuole superiori italiane, misurate sugli esiti degli ex alunni nei primi due anni accademici – nella fattispecie, si fa riferimento alle classi di maturità dell’anno scolastico 2011-12. I risultati sono lusinghieri per il “Don Gnocchi”, sia perché confermano la tenuta (con indice Fga che passa dal 90,9 al 91,21 per il Liceo Scientifico e dall’88,94 all’88,83 per il Classico) dei nostri diplomati, sia perché sempre più si distinguono dagl’Istituti concorrenti. Un punto però teniamo a precisare. Al “Don Gnocchi” non perseguiamo il mito dell’eccellenza né subiamo il richiamo delle sirene della tecnica, tanto meno pedagogica. A noi interessa curare e sviluppare la ragione e il senso del lavoro della conoscenza, e questo affermiamo con passione. Siamo contenti di veder riconosciuto il valore di tale lavoro, della cui bontà siamo certi. LucaMontecchi rettore dell’Istituto Don Carlo Gnocchi, Carate B.za (Mb) smo trasformista renziano e alla sinistra post comunista. Entro la primavera prossima si darà vita a un Nuovo Grande Soggetto Politico che si ponga come obiettivo di offrire un proprio contributo al riscatto della comunità italiana e internazionale e di favorire l’emergere di una nuova classe dirigente che, a partire dalle prossime elezioni amministrative, sappia raccogliere il testimone delle migliori tradizioni politico culturali della storia della Repubblica Italiana. ettore Bonalberti Alef (Associazione Liberi e Forti) Carlo Giovanardi Associazione Popolari Liberali mario mauro Associazione Popolari per l’Italia Gaetano Quagliariello Associazione IDEA entili Civorrannosecolieunnuovoregno diVisigotiperrenderegiustiziaallascuolaparitariainItalia.Intanto godiamocianchel’eccellenza,perchéno? 2 Una semplicissima mail per ringraziare calorosamente Marina Corradi per i suoi articoli, per la sua poesia, le sue parole cariche di profumi, ricordi, colori d’una nostalgia ch’emana speranza. Robertovia internet Condividiamo,comesa,questiricorrentiomaggiallasignora. 2 Egregio direttore, al convegno “Uniti si Vince”, organizzato dalle associazioni Popola è scaturito il “Patto di Orvieto”. Obiettivo del patto è Ringrazio per l’invito e la squisita ospitalità che avete reso al direttore di questa testata in quel di orvieto. Formulo i migliori auguri al Coordinamento che verrà e alle liste civiche di primavera. C’è bisogno di qualcuno che unisca invece della corsa alla divisione che ovunque impera. Impresa disperata, dunque degna. quello di dar vita al Coordinamento dei movimenti Popolari, liberali, conservatori e riformisti di tutti i partiti, associazioni, gruppi e persone che sono interessati a sviluppare nel Paese la nascita di un soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, transnazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel Ppe, da far tornare ai princìpi dei padri fondatori, alternativo al sociali- 2 355 stragi nei primi 336 giorni del 2015. Non direi che gli Stati Uniti di Barack Obama scoppino di salute sociale, nonostante il loro meraviglioso mondo di diritti e eguaglianza. Troppe armi o troppa disgregazione della società? Però mi ha colpito la lentezza e l’estrema prudenza con cui le autorità Usa hanno centellinato le no- L’ImmaCoLata ConCezIone La vera festa della Donna è quella dedicata a Maria CARTOLINA DAL PARADISO di Pippo Corigliano È passata da poco la festa dell’Immacolata concezIone e, come capita quando festeggio una persona che mi è cara, mi sembra di non averla festeggiata abbastanza. Mi è sempre piaciuto pensare che l’assenza del peccato originale in Maria la rendesse completamente donna come Dio l’aveva immaginata. Non mi aiuta considerarla una creatura irraggiungibile, mi piace vedere in lei le caratteristiche della vera femminilità. Eva fu creata da e per Adamo e Adamo trovò in lei un motivo di gioia profonda, tanto da prorompere in un inno di ringraziamento. Genesi 2,25 aggiunge: «Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, e non provavano vergogna». Questa assenza di vergogna suggerisce la perfetta comunicazione dei loro cuori. La prima conseguenza del peccato sarà invece il desiderio di coprirsi. Incomincia la difficoltà di comunicazione fra uomo e donna, che sembra insormontabile malgrado l’aspirazione di entrambi a una comunione perfetta. Maria, nell’essere perfetta donna, è capace di completa comprensione nei riguardi di ogni essere umano, anche il più degradato. Per questo mi commuove la festa dell’Immacolata, perché è la festa della Donna che davvero mi comprende. Quella Donna a cui rivolgo lo sguardo di un amore che non conosce noia. Come Adamo ha fatto festa quando ha visto Eva, a maggior ragione mi va di festeggiare la Madre e l’Amica a cui posso dire tutto, che sempre mi comprende e m’insegna ad amare senza misura. Mi dà il giusto criterio e mi porta per mano a imitare Gesù. tizie sulla strage di San Bernardino, “indicibile” carneficina e per di più in un centro per disabili. Il giorno dopo, sui maggiori quotidiani italiani, l’unica certezza in cronaca era quella di un assalto di «uomini bianchi» e il sospetto che appartenessero a gruppi razzisti. Appurato che, più classicamente, gli stragisti erano islamici, naturalmente tutti a ripetere che l’islam non c’entra niente. Paolo zurini via internet abbiamo notato anche noi l’ansia di omaggiare lo stereotipo del “razzista bianco”. Il fatto è che per quanti pazzi si cerchino dalle nostre parti – e ce ne sono – è stupido provare a metterli sotto l’ombrello “crociato” (come è successo per la strage nella clinica abortista in Colorado). Il terrorismo è un problema al 99 per cento islamico, come dice il presidente al Sisi. Informate i negazionisti democratici. SPORT ÜBER ALLES di FredPerri PRESEPEECATENACCIO U na delle migliori battute da film appartiene a Drax, il cattivo di Moonraker che dice a 007: «Mister Bond, lei compare con la tediosa inevitabilità di una stagione non amata». Fantastica. Ve la regalo così, compagni, amici e bastardi di ogni genere e grado. Il Natale s’avvicina, qualcuno ha messo le luminarie, qualcuno ha fatto l’albero e pure il Santo Presepe. Chi non ha ancora fatto nulla è mia moglie e vedere la casa spoglia mi intristisce assai. Nella sua famiglia prati- 40 | 16 dicembre 2015 | | camente mettono il Bambinello un attimo dopo aver finito il Presepe. Ovviamente, con la mia dotta citazione non abbinavo il tedio al Natale, ma alle futilità che si ripresentano con l’Avvento, cioè alle solite, meste storie di scuole che aboliscono il Presepe, di presidi che cambiano nome all’Evento, di consigli d’istituto che vietano la visita del vescovo, di Tu scendi dalle stelle sostituito da Imagine. Tutto in nome di una presunta neutralità, di un risibile rispetto per le altre culture. Le Foto: Ansa Le nostre radici manciniane nostre radici, cari miei, sono cristiane, rispettarle ora più che mai è questione di sopravvivenza, perché gli assassini hanno questo vantaggio: difendono la propria fede fino alla morte, nostra e loro. Dopo questa seria dissertazione un po’ mi secca precipitare nel football, anzi di più, arrivare a difendere l’Inter e il suo poderoso catenaccio. Compagni e amici, in particolare il commissario politico e tecnico Arrigo Sacchi, lo so, un altro calcio è possibile. Ma quando vedo la trincea del Mancio, penso alle radici, ai padri, a Pozzo, a Rocco, al vecio Bearzot, al bue e all’asinello e mi commuovo come quando sulla tavola accanto al Presepe comparivano i ravioli al tocco di mia madre. | | 16 dicembre 2015 | 41 LETTERE DALLA FINE DEL MONDO L’INIZIO DELL’ANNO GIUBILARE Un bacio e una carezza alla mia lebbrosa. Così imparo la misericordia | DI ALDO TRENTO Q uale regalo più bello, all’inizio dell’anno giubilare dedicato alla Misericordia Divina, del- la visita improvvisa di Marcos e Cleuza alcuni giorni fa! Sono arrivati alle due del mattino e sono ripartiti a mezzanotte dello stesso giorno. Un salto, un abbraccio, un incontro con la fraternità che riunisce i responsabili della Fondazione San Rafael e poi di nuovo in Brasile. Solo chi è stato abbracciato è capace di un gesto così pieno di misericordia. Ultimamente, a causa delle mie condizioni fisiche, non sono più riuscito a incontrarmi con loro in Brasile, ma loro sono sempre stati fedeli nel venire a visitarmi, condividendo con me le mie gioie, i dolori e le fatiche. Con loro è un rivivere quell’abbraccio di Giussani che ha salvato la mia vita e che ha preparato un fatto ancora più grande: papa Francesco che, rompendo ogni schema, è venuto a casa mia, consacrando con la sua presenza un’opera dove la misericordia, il perdono, l’abbraccio sono la ragione stessa della sua esistenza. Tutti i giorni il mio pensiero è fisso su quel fatto, che è stato per me come per Zaccheo quando Gesù è andato a casa sua. Avevo bisogno che Gesù mi visitasse attraverso il Suo Vicario per affermare la Verità di quest’opera, per dire al mondo che ciò che sta accadendo in questo villaggio della misericordia è opera di Dio, e che usando questo piccolo somaro che sono ha voluto rivelare ai poveri il Suo infinito amore. Ho sperimentato l’affetto che Francesco ha per quest’opera sin dall’inizio del suo pontificato, quando l’ho incontrato in Santa Marta; poi ancora l’8 gennaio di quest’anno inIL VOLTO DI QUESTA DONNA, 9 FIGLI, di Maria non solo si avvicinava a ogni paziente, ma lo basieme a suor Sonia, il cuore dell’opera, colei MALATA DI CANCRO E LEBBRA, È ciava, parlava con tutti con che continuerà questo carisma quando Gesù uno sguardo in cui vibrava il mi porterà con Lui. SFIGURATO E IMPRESSIONA. TUTTI suo entusiasmo, il suo amore Non mi stancherò mai di ricordare che il MiSIAMO AMMALATI E CONTAGIOSI, per Gesù. Grazie al Papa, la stero sceglie persone insignificanti per manicarità cristiana sta mostranfestare ai poveri la Sua misericordia. AbbiaEPPURE GESù NON HA PAURA DI NOI do il suo vero volto. mo un bisogno estremo di sentirci abbracciati Nella clinica abbiamo accolto una donna di 54 da Gesù, quel Gesù che vive oggi nella Chiesa, carestia e a Gesù sofferente. «Il povero è Gesù, anni, madre di 9 figli, malata di cancro e lebnella comunità dei battezzati, che si presenta ma l’ammalato è due volte Gesù, perché povebra. Il suo volto totalmente sfigurato all’ininella vita sacramentale e negli emarginati. La ro e ammalato». Questo modo di guardare ai zio mi ha impaurito, ma alcuni secondi dopo Chiesa in questo tempo di Avvento ci richiama bisognosi è sempre un rivivere ciò che Gesù faè scoppiato in me un desiderio potente di baal sacramento della confessione, perché è in ceva con gli umili, gli infermi, i peccatori. ciarla come faceva Gesù quando i lebbrosi si questo luogo che Gesù ci raggiunge con la Sua Il vero volto della carità avvicinavano per chiedergli aiuto. Tutti i giorpresenza piena di dolcezza. Ma se non viviaQuell’«Adelante, padre» non è stato un imperani mi siedo al suo fianco tenendole la mano. È mo questa modalità, è impossibile abbracciare tivo rivolto solo a me, ma anche a quanti mi votutto ciò che desidera. Molti si preoccupano l’altro che cammina al nostro fianco e che ha gliono bene. Tutti abbiamo bisogno di un uomo di un possibile contagio, ma è troppo bello veil nostro stesso bisogno! Per me è una carezza che, facendo suo il nostro dolore, ci dica «adedere come questo piccolo gesto, un bacio, una di Gesù, un sentirmi accolto, un sentirmi dire lante». Alcune settimane fa sono venuti a visicarezza, sveglia in lei un sorriso. Anche Fran«vai in pace, perché il mio peccato come il tuo tare l’ospedale un uomo con un carnet pieno di cesco ha baciato alcuni miei ammalati senza è stato perdonato». Ho vissuto una esperienza titoli e il regista spagnolo Juan Manuel Cotelo. preoccuparsi di sapere se fossero o meno conpotente di questa tenerezza di Gesù quando il Una differenza abissale fra i due, perché mentagiosi. Tutti noi siamo ammalati e contagiosi, Papa ha incontrato i miei malati riuniti nel satre il filosofo, il teologo guardava i pazienti daleppure Gesù non ha paura di noi. lone della clinica. Ha allargato le braccia, [email protected] la porta, il regista de L’ultima cima e di Terra festando con chiarezza il suo amore a Gesù eu| | 16 dicembre 2015 | 43 taz&bao Tradizione o nullità Un periodo storico può essere giudicato dal suo stesso modo di considerare il periodo da cui è stato preceduto. Una generazione che deprime la generazione precedente, che non riesce a vederne le grandezze e il significato necessario, non può che essere meschina e senza fiducia in se stessa (…) Nella svalutazione del passato è implicita una giustificazione della nullità del presente. Antonio Gramsci, Quaderni, XXVIII citato da don Luigi Giussani nella lettera “Natale, per dimenticare il nulla” inviata a Repubblica il 27 dicembre 1997 44 | 16 dicembre 2015 | | Foto: Ansa APPUNTI SE NON RITORNERETE COME BAMBINI La vecchia e la neve G girato in British Columbia, Canada. Una donna di 101 anni, Albina Foisy, in auto insieme al figlio si imbatte nella prima nevicata della stagione. Nevica a larghe falde, lentamente, e la strada e i boschi sono già candidi. La vecchia Albina vuole scendere dall’auto per toccare la neve, come una bambina. E così eccola che con passi incerti, intabarrata contro il gelo, affonda i piedi nella coltre bianca. È da anni, forse, che non lo faceva? Si china e allunga le mani, le dita aperte, a catturare un po’ di neve. Ride, al freddo che le brucia i palmi nudi. Poi con la neve fa una palla, la schiaccia bene – come quando, si ricorda, era bambina – e sorridendo della sua stessa audacia la lancia verso il bosco. La palla vola e dopo una breve traiettoria sprofonda silenziosa nel bosco. Attorno, la neve cade intensa e adagio, come in un libro di fiabe. La donna si strofina le mani rosse di gelo, guarda il figlio e sorride; grata, di averla lasciata giocare con la neve. Ho guardato questo video tre volte, senza sapere bene perché mi interessava. Era, ecco, che c’era in quella donna di 101 anni una gioia così puramente infantile. Se si mette un bambino di due o tre anni per la prima volta sulla neve, si comporta esattamente così: cammina incerto, la tocca con le mani, scopre il morso del freddo, la lascia cadere; la riprende, la assaggia – i cristalli gelidi che scricchiolano sotto ai denti – e poi ne fa una palla, e la tira, e sta a guardare l’arco che disegna, soddisfatto. 46 | 16 dicembre 2015 | ira sul web un video | di Marina Corradi Ma che a cent’anni suonati si possa essere ancora così candidi, mi meraviglia e mi rallegra. Avrà vissuto come noi, la signora Albina, tra guerre e amori, e figli, e fatica, e smarrimento. Eppure eccola qui, a cent’anni, vecchissima eppure intatta, che si china sulla neve come una bambina. Che serva a questo, il tempo che ci si accumula addosso come la neve quando cade densa? «Se non ritornerete come bambini non entrerete nel Regno dei cieli». La vecchiaia, da noi così temuta, la vecchiaia che, ci dicono, si deve camuffare e nascondere con vergogna, come un tempo dato per ritornare come si era in principio, quando tutto era vergine, tutto era nuovo. La vecchiaia come la neve che cade e sommerge ogni cosa, e la rifà, nel suo candore, nuova. Mi fa meno paura il tempo, guardando la signora Albina, che carezza la neve e poi sorride al figlio, grata perché – memore di quando era lui, il bambino – la ha lasciata giocare, come avesse tre anni, nella prima mattina d’inverno, a 101 anni, così.