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In seguito al conferimento dell`incarico di sostituto del direttore della
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OGGETTO
TRASFERIMENTO PER INCOMPATIBILITÀ AMBIENTALE
QUESITO
(posto in data 23 agosto 2015)
Qualche giorno fa, in seguito al conferimento dell’incarico di sostituto
del direttore della struttura complessa di appartenenza ad un dirigente
con il quale mi ritengo incompatibile, ho fatto richiesta di trasferimento
dalla struttura complessa presso la quale lavoro alla stessa struttura
complessa di un altro presidio ospedaliero della stessa ASL situato
nella mia città di residenza, adducendo il ricongiungimento familiare
(sono padre di un bimbo di 8 mesi). Cosa mi posso aspettare? Esiste
l'incompatibilità ambientale tra dirigenti medici?
RISPOSTA
(inviata in data 2 settembre 2015)
La mobilità interna può essere usata dalle amministrazioni pubbliche
con totale libertà a seguito delle modifiche introdotte nella disciplina
dal comma 2 dell’articolo 4 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90:
i dipendenti pubblici possono essere trasferiti all'interno della stessa
amministrazione o, previo accordo tra le amministrazioni interessate,
in altra amministrazione, in sedi collocate nel territorio dello stesso
comune ovvero a distanza non superiore a cinquanta chilometri
dalla sede cui sono adibiti.
La ratio di questa disposizione è consentire alle amministrazioni
pubbliche la piena ed incondizionata fruibilità della prestazione
lavorativa dilatando a dismisura l’ambito di riferimento di questa.
Questo per quanto concerne la mobilità interna d’ufficio, disposta
dall’amministrazione per soddisfare proprie esigenze organizzative,
mobilità per la quale l’unico vincolo che deve essere rispettato è quello
dell’area e della disciplina di appartenenza.
Maggiori vincoli si pongono per la mobilità interna a domanda, che
peraltro non è prevista per motivi familiari come quelli prospettati nel
quesito, ma solo per assistere un congiunto affetto da grave disabilità.
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Come rilevato nell’articolo riportato in appendice, tratto da una rivista
telematica di diritto del lavoro, il trasferimento per incompatibilità
ambientale costituisce una facoltà che le amministrazioni pubbliche
possono esercitare laddove la permanenza in una determinata sede
comporti un pregiudizio alla funzionalità dell’ufficio. Il trasferimento
per incompatibilità ambientale, anche se non assimilabile ad un
provvedimento disciplinare, di fatto identifica nel dipendente trasferito
la causa dei problemi la cui soluzione ne consiglia il trasferimento.
Nella situazione descritta nel quesito occorre verificare se le difficoltà
di rapporto che costituiscono la motivazione sostanziale della volontà
di essere trasferito discendono da questioni di carattere personale, o
se sono ascrivibili a comportamenti del direttore facente funzioni che
lo rendano inviso ai dirigenti che operano nella struttura.
Se così fosse le iniziative da intraprendere devono essere finalizzate
non ad ottenere un trasferimento indebito, ma ad indurre la direzione
aziendale ad assumere le misure opportune ed in particolare la revoca
dell’incarico di sostituzione attribuito.
Se l’incompatibilità della quale si parla nel quesito deriva da fatti e
comportamenti riconducibili a specifiche responsabilità del direttore
facente funzioni, costituisce un preciso diritto, e per certi versi un
preciso dovere, adoperarsi per modificare quei comportamenti, per
realizzare quelle condizioni di benessere organizzativo che il comma 1
dell’articolo 7 del decreto legislativo 165 indica come condizioni
ordinarie di lavoro nelle amministrazioni pubbliche.
Per ottenere questo risultato possono essere intraprese le seguenti
iniziative:
1) affrontare il problema rapportandosi in modo trasparente e leale al
dirigente in questione, notificandogli una contestazione puntuale e
circostanziata dei comportamenti che si ritengono opinabili,
chiedendo che questi comportamenti siano oggetto di chiarimento
nell’ambito di un incontro con tutti i dirigenti della struttura;
questa iniziativa è opportuna non solo perché espressione di un
comportamento in sé corretto, ma anche perché può costituire,
laddove sia necessario intraprendere ulteriori iniziative, una prova
di aver improntato i propri comportamenti ai principi di correttezza
e buona fede sanciti dagli articoli 1175 e 1375 del codice civile.
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2) laddove questa iniziativa non sortisse gli effetti sperati la stessa
nota con la quale si sollecita l’eluso chiarimento può essere
utilizzata per segnalare i comportamenti ritenuti in contrasto con
precisi ed ineludibili doveri connessi con la funzione di direzione, e
trasmessa formalmente ai livelli sovraordinati di responsabilità
aziendale (direttore del dipartimento al quale la struttura afferisce,
direttore sanitario aziendale, direttore generale);
3) una ulteriore iniziativa che potrebbe essere intrapresa è investire
della questione il comitato unico di garanzia, organismo che è stato
istituito dall’articolo 21 della legge 4 novembre 2010, n. 183 e che
sostituisce, unificandoli, il comitato per le pari opportunità e quello
per il contrasto al fenomeno del mobbing. Compito specifico del
comitato unico di garanzia è quello di rimuovere situazioni che non
garantiscano ai lavoratori quelle condizioni di benessere
organizzativo che sono indispensabili affinché si realizzi il buon
andamento dell’azione amministrativa sancito dall’articolo 97
della nostra Costituzione. Nella direttiva emanata dal Dipartimento
della funzione pubblica per la concreta attuazione dei comitati
unici di garanzia si legge in particolare L'amministrazione pubblica
deve essere datore di lavoro esemplare. Un contesto improntato al
benessere organizzativo rappresenta elemento imprescindibile per
garantire il miglior apporto possibile sia in termini di produttività che
di affezione al lavoro. In quelle parole ogni dipendente pubblico
deve riconoscere quali sono i suoi doveri ma anche i suoi diritti, e
per quei diritti deve essere pronto a battersi nelle sedi e nei modi
opportuni, con le cautele necessarie (fondamentale che le iniziative
che costituiscono oggetto di queste indicazioni siano intraprese non
a livello individuale ma a livello collettivo, siano sottoscritte da tutti
i componenti l’équipe, sia per conferire ad esse maggiore efficacia
sia per prevenire inique ritorsioni);
4) laddove nessuna delle iniziative indicate dovesse rivelarsi efficace
l’ultima opzione resta quella di adire le vie legali, nello spirito e con
la consapevolezza che per certi versi ciò costituisce un atto dovuto,
non tanto per difendere i propri personali e comunque legittimi
interessi, ma anche, se non soprattutto, per realizzare quelle
condizioni di equità che sono presupposto indispensabile per far sì
che il proprio lavoro sia davvero quel great place to work che
Robert Levering delinea nel suo storico saggio e che il comma 1
dell’articolo 7 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 indica
quale diritto inalienabile di ogni dipendente pubblico.
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FUNZIONI E RESPONSABILITÀ DEL DIRETTORE DI STRUTTURA
Il comma 6 dell’articolo 15 del decreto legislativo 30 dicembre 1992,
n. 502, nel delineare il profilo funzionale di un direttore di struttura
complessa precisa Ai dirigenti con incarico di direzione di struttura
complessa sono attribuite, oltre a quelle derivanti dalle specifiche competenze professionali, funzioni di direzione e organizzazione della struttura, da attuarsi, nell'ambito degli indirizzi operativi e gestionali del
dipartimento di appartenenza, anche mediante direttive a tutto il personale operante nella stessa, e l'adozione delle relative decisioni
necessarie per il corretto espletamento del servizio e per realizzare
l'appropriatezza degli interventi con finalità preventive, diagnostiche,
terapeutiche e riabilitative, attuati nella struttura loro affidata. Il dirigente è responsabile dell'efficace ed efficiente gestione delle risorse
attribuite. I risultati della gestione sono sottoposti a verifica annuale
tramite il nucleo di valutazione.
L’assunzione dell’incarico di direzione, se pur come sostituto e non
come titolare, comporta precisi doveri riconducibili alla responsabilità
della gestione efficiente ed efficace delle risorse attribuite, in primis
ovviamente le risorse umane, rispetto alle quali il direttore deve farsi
carico di attuare quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 7 del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165: Le pubbliche amministrazioni garantiscono altresì un ambiente di lavoro improntato al
benessere organizzativo e si impegnano a rilevare, contrastare ed
eliminare ogni forma di violenza morale o psichica al proprio interno.
L’articolo 28 del CCNL 2002_2005, tra i criteri che devono essere
applicati nella valutazione di un dirigente medico da parte del collegio
tecnico indica la capacità dimostrata nel motivare, guidare e valutare
i collaboratori e di generare un clima organizzativo favorevole all’uso
ottimale delle risorse, attraverso una equilibrata individuazione
dei carichi di lavoro del personale, dei volumi prestazionali nonché
della gestione degli istituti contrattuali.
Dalla lettura delle disposizioni sopra riportate si evince che un
direttore di struttura complessa esercita un ruolo di guida che
comporta intrinsecamente molteplici responsabilità e precisi doveri.
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Laddove un direttore di struttura complessa non adempia a quelli che
la normativa vigente indica come precisi doveri, e disattenda quindi
precisi diritti di coloro che operano nella struttura da lui diretta, ogni
comportamento difforme dai principi che devono informarne l’azione
(trasparenza, equità, ragionevolezza, correttezza, buona fede,
efficienza, efficacia) deve essere segnalato agli organi che hanno
specifiche responsabilità: il direttore del dipartimento al quale
afferisce la struttura complessa in questione, il direttore sanitario
aziendale, il Presidente dell’Organismo Indipendente di Valutazione
(ex nucleo di valutazione) fino al direttore generale. Ovviamente
questa segnalazione avrà una forza tanto maggiore quanto più essa
sarà espressione collegiale e non individuale, quanto più essa farà
riferimento a circostanze puntuali e documentate.
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IL TRASFERIMENTO PER INCOMPATIBILITÀ AMBIENTALE
Il trasferimento per incompatibilità ambientale era esplicitamente
previsto dall’articolo 32 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (testo unico
delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili
dello Stato), articolo che è stato abrogato dal comma 5 dell’articolo 43
del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni
in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell'articolo 11, comma 4,
della legge 15 marzo 1997, n. 59).
Il citato articolo 32, che disciplinava i trasferimenti, disponeva
L'Amministrazione dà periodicamente notizia nel proprio bollettino
ufficiale delle, sedi vacanti che non abbia ritenuto di ricoprire per
esigenze di servizio. I trasferimenti dell'impiegato da una ad altra sede
possono essere disposti a domanda dell'interessato ovvero per motivate
esigenze di servizio.
Nel disporre il trasferimento, l'Amministrazione deve tener conto, oltre
che delle esigenze del servizio, delle condizioni di famiglia, di eventuali
necessità di studio del dipendente e dei propri figli, nonché del servizio
già prestato in sedi disagiate.
Il trasferimento da una ad altra sede può essere disposto anche
quando la permanenza dell'impiegato in una sede nuoce al prestigio
dell'ufficio.
Un ulteriore riferimento normativo in materia di trasferimento per
incompatibilità ambientale è costituito dall’articolo 55 del D.P.R. 24
aprile 1982, n. 335, che se pur riferito ad uno specifico e peculiare
settore dei dipendenti pubblici, precisa dei principi e dei criteri che
sono stati recepiti dalla giurisprudenza in materia , e che in sintesi
consentono il trasferimento per incompatibilità ambientale quando sia
accertato che la permanenza in un determinato ufficio di un
dipendente pubblico sia di pregiudizio al clima organizzativo per una
palese o latente conflittualità.
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DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
24 aprile 1982, n. 335
Ordinamento del personale della Polizia di Stato
che espleta funzioni di polizia.
articolo 55.
Trasferimenti
I trasferimenti di sede del personale della polizia di Stato, fatto salvo
quanto previsto dall'ultimo comma dell'articolo 88 della legge 1 aprile
1981, n. 121 (I trasferimenti ad altre sedi di appartenenti alla Polizia
di Stato che ricoprono cariche sindacali possono essere effettuati
sentita l'organizzazione sindacale di appartenenza) possono essere
disposti a domanda dell'interessato, ove questi abbia prestato servizio
nella stessa sede ininterrottamente per quattro anni. A tal fine
l'Amministrazione rende noto semestralmente per ogni sede il numero
delle domande presentate dal personale distinte per ruoli e qualifiche,
e pubblica annualmente l'elenco delle sedi disagiate, individuate con
decreto del Ministro, sentito il Consiglio nazionale di polizia.
Il personale che presta servizio nelle sedi disagiate può chiedere
il trasferimento dopo due anni di permanenza in sede.
Nel disporre il trasferimento d'ufficio l'Amministrazione deve tener
conto delle esigenze di servizio e anche delle situazioni di famiglia e
del servizio già prestato in sedi disagiate.
Il trasferimento ad altra sede può essere disposto anche in soprannumero all'organico dell'ufficio o reparto quando la permanenza
del dipendente nella sede nuoccia al prestigio dell'Amministrazione o
si sia determinata una situazione oggettiva di rilevante pericolo
per il dipendente stesso, o per gravissime ed eccezionali situazioni
personali.
La destinazione del personale appartenente ai ruoli della Polizia
di Stato è disposta dal direttore generale della pubblica sicurezza
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RIFERIMENTI NORMATIVI
la normativa di seguito riportata si riferisce all’istituto della mobilità
interna, ovvero al trasferimento di un dirigente da una unità operativa
ad un’altra della stessa azienda; specifici e diversi sono i riferimenti
normativi relativi alla mobilità esterna, ovvero al trasferimento di un
dirigente ad una diversa amministrazione pubblica.
CCNL 10 febbraio 2004
Integrativo del CCNL 1998_2001
Articolo 16
Mobilità interna
1. mobilità interna e incarichi dirigenziali
Nell’attuale sistema degli incarichi dirigenziali, la mobilità all’interno dell’azienda dei dirigenti in servizio può essere conseguenza
del conferimento di uno degli incarichi previsti dall’articolo 27 del
CCNL 8 giugno 2000 in struttura ubicata anche in località diversa
da quella della sede di precedente assegnazione, fermo restando
che il trasferimento ad una unità operativa diversa da quella in cui
il dirigente è inquadrato modifica uno degli elementi sostanziali del
contratto di lavoro con il quale viene perfezionata sia l’assunzione
in servizio che il conferimento di un incarico dirigenziale e pertanto
in applicazione del comma 12 dell’articolo 13 del CCNL 1998_2001
deve essere preventivamente comunicata al dirigente per il preventivo esplicito assenso e dà luogo ad una integrazione del contratto
individuale di lavoro.
2. accoglimento della domanda di trasferimento
La mobilità a domanda si configura come richiesta di un nuovo e
diverso incarico, anche se alla dotazione organica della sede
prescelta ne corrisponda uno di pari livello a quello rivestito
dal richiedente con riguardo alla tipologia e alla graduazione
delle funzioni. L’accoglimento della domanda segue, pertanto,
le procedure di conferimento degli incarichi previste dall’articolo 28
del CCNL 8 giugno 2000.
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RIFERIMENTI NORMATIVI
CCNL 10 febbraio 2004
Integrativo del CCNL 1998_2001
Articolo 16
Mobilità interna
3. mobilità interna d’urgenza e incarichi dirigenziali
Prescinde dall’incarico attribuito la mobilità interna di urgenza, che
avviene, nell’ambito della disciplina di appartenenza, nei casi in cui
sia necessario soddisfare le esigenze funzionali delle strutture
interessate in presenza di eventi contingenti e non prevedibili,
ai quali non si possa far fronte con l’istituto della sostituzione
di cui all’articolo 18 del CCNL 8 giugno 2000.
4. disciplina della mobilità interna d’urgenza
La mobilità d’ urgenza, ferma restando la necessità di assicurare
in via prioritaria la funzionalità della struttura di provenienza, ha
carattere provvisorio, essendo disposta per il tempo strettamente
necessario al perdurare delle situazioni di emergenza e non può
superare il limite massimo di un mese nell’anno solare salvo
consenso del dirigente, sia per la proroga che per la durata.
La mobilità di urgenza ove possibile è effettuata a rotazione tra tutti
i dirigenti, qualsiasi sia l’incarico loro conferito.
5. sostituzione temporanea di un direttore di struttura complessa
Qualora la necessità di provvedere con urgenza riguardi l’espletamento dell’incarico di direttore di dipartimento o di struttura
complessa e sempre nei casi in cui non possa farsi ricorso
all’articolo 18, commi 1 e 2 del CCNL 8 giugno 2000, le aziende
possono affidare la struttura temporaneamente priva di titolare ad
altro dirigente con corrispondente incarico nella stessa o in disciplina equipollente, ai sensi del citato articolo 18, comma 8.
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RIFERIMENTI NORMATIVI
CCNL 10 febbraio 2004
Integrativo del CCNL 1998_2001
Articolo 16
Mobilità interna
6. mobilità interna a seguito di ristrutturazioni organizzative
Nei casi di mobilità interna per effetto di ristrutturazione aziendale,
ai fini del mantenimento dell’incarico rivestito o del conferimento
di un nuovo incarico si tiene conto dei principi stabiliti dall’ articolo
31, comma 1 del CCNL 5 dicembre 1996, e dall’articolo 4, comma
2, lettera F del CCNL 1998_2001, che prevede debbano essere
oggetto di contrattazione integrativa le implicazioni derivanti dagli
effetti delle innovazioni organizzative, tecnologiche e dei processi
di esternalizzazione disattivazione o riqualificazione e riconversione
dei servizi sulla qualità del lavoro, sulla professionalità e mobilità
dei dirigenti
CCNL 1994_1997
articolo 31
accordi di mobilità
1. ricollocazione del personale a seguito di ristrutturazioni aziendali
Al fine di evitare le dichiarazioni di eccedenza, le aziende ed enti
in tutti i casi di ristrutturazione della dotazione organica, esperiscono ogni utile tentativo per la ricollocazione dei dirigenti, oltre
che nell’ambito delle discipline equipollenti a quella di appartenenza secondo le vigenti disposizioni, anche in discipline diverse
di cui gli interessati possiedano i requisiti previsti per l’accesso
mediante pubblico concorso ai sensi dell’articolo 15 del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 ovvero, infine, mediante
il conferimento di incarichi dirigenziali per lo svolgimento dei quali
non sia richiesto il possesso di una particolare specializzazione.
Questa ultima disposizione si applica anche ai dirigenti di struttura
complessa.
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RIFERIMENTI NORMATIVI
CCNL 1998_2001
articolo 28
affidamento e revoca degli incarichi dirigenziali
Criteri e procedure
1. incarichi conferibili all’atto della prima assunzione
Ai dirigenti, all’atto della prima assunzione sono conferibili solo
incarichi di natura professionale, con precisi ambiti di autonomia
da esercitare nel rispetto degli indirizzi del responsabile della struttura e con funzioni di collaborazione e corresponsabilità nella gestione delle attività. Detti ambiti sono progressivamente ampliati
attraverso i momenti di valutazione e verifica di cui all’articolo 15,
comma 5 del decreto legislativo 502.
2.modalità di conferimento degli incarichi di cui al comma 1
Gli incarichi di cui al comma 1 sono conferiti dall’azienda su
proposta del dirigente responsabile della struttura di appartenenza
decorso il periodo di prova con atto scritto e motivato ad
integrazione del contratto individuale di lavoro.
3. incarichi conferibili dopo cinque anni di attività
Ai dirigenti, dopo cinque anni di attività, sono conferibili gli incarichi di direzione di struttura semplice ovvero di natura professionale
anche di alta specializzazione, di consulenza, di studio e ricerca,
ispettivi, di verifica e di controllo indicati nell’articolo 27, comma 1
lettere b) e c).
4.modalità di conferimento degli incarichi di cui al comma 3
Gli incarichi di cui al comma 3 sono conferiti dall’azienda, a seguito
di valutazione positiva del collegio tecnico, su proposta del responsabile della struttura di appartenenza, con atto scritto e motivato.
Per quanto riguarda gli incarichi di direzione di struttura semplice
essi sono conferiti nei limiti del numero stabilito nell’atto aziendale.
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RIFERIMENTI NORMATIVI
CCNL 1998_2001
articolo 28
affidamento e revoca degli incarichi dirigenziali
Criteri e procedure
5. incarichi e sottoscrizione del contratto individuale di lavoro
Il conferimento o la conferma degli incarichi di struttura semplice o
degli incarichi professionali di cui alle lettere b) e c) del comma 1
dell’articolo 27 del CCNL 1998_2001 si perfeziona solo a seguito
della la stipulazione del contratto individuale di lavoro, che ferma
rimanendo la costituzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato definisce tutti gli altri aspetti connessi all’incarico conferito.
Il contratto è sottoscritto entro il termine massimo di trenta giorni
salvo diversa proroga stabilita dalle parti. In mancanza di consenso
da parte del dirigente alla scadenza del termine non si può procedere al conferimento dell’incarico e le parti riassumono la propria
autonomia negoziale.
6. criteri che devono essere seguiti per il conferimento degli incarichi
Nel conferimento degli incarichi e per il passaggio ad incarichi
di funzioni dirigenziali diverse, le aziende tengono conto:
a) delle valutazioni del collegio tecnico;
b) della natura e caratteristiche dei programmi da realizzare;
c) dell’area e disciplina di appartenenza;
d) delle attitudini personali e delle capacità professionali del singolo
dirigente sia in relazione alle conoscenze specialistiche nella
disciplina di competenza che all’esperienza già acquisita in
precedenti incarichi svolti anche in altre aziende o esperienze
documentate di studio e ricerca presso istituti di rilievo
nazionale o internazionale
e) dei risultati conseguiti in rapporto agli obiettivi assegnati nonché
alle valutazioni del collegio tecnico;
f) del criterio della rotazione ove applicabile.
g) che data l’equivalenza delle mansioni dirigenziali - non si applica
l’articolo 2103, comma 1, del codice civile
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RIFERIMENTI NORMATIVI
CCNL 1998_2001
articolo 28
affidamento e revoca degli incarichi dirigenziali
Criteri e procedure
7. valutazione comparativa in caso di più candidati
In caso di più candidati all’incarico da conferire, l’azienda procede
sulla base di una rosa di idonei selezionati secondo i criteri preventivamente definiti dai direttori di dipartimento o dai responsabili di altre articolazioni interne interessati.
8. criteri e procedure per il conferimento degli incarichi dirigenziali
Le aziende - nel rispetto dei principi stabiliti nel comma 6 formulano in via preventiva i criteri e le procedure per l’affidamento
e la revoca degli incarichi dirigenziali. Tali modalità, prima
della definitiva determinazione, sono oggetto di concertazione con
le rappresentanze sindacali aziendali.
9. durata degli incarichi professionali e di struttura semplice
Gli incarichi professionali e di struttura semplice indicati al comma
1 e al comma 3 sono conferiti a tempo determinato ed hanno una
durata non inferiore a tre anni e non superiore a cinque anni
comunicata all’atto del conferimento con facoltà di rinnovo.
La durata degli incarichi è connessa alla loro natura. L’assegnazione degli incarichi non modifica le modalità di cessazione
del rapporto di lavoro per compimento del limite massimo di età.
In tali casi la durata dell’incarico viene correlata al raggiungimento
del predetto limite.
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RIFERIMENTI NORMATIVI
DECRETO LEGISLATIVO 30 marzo 2001, n. 165
Norme generali sull'ordinamento del lavoro
alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.
Articolo 19
Incarichi di funzioni dirigenziali
1. criteri generali per il conferimento degli incarichi dirigenziali
Ai fini del conferimento di ciascun incarico di funzione dirigenziale
si tiene conto, in relazione alla natura e alle caratteristiche
degli obiettivi prefissati ed alla complessità della struttura
interessata, delle attitudini e delle capacità professionali del singolo
dirigente, dei risultati conseguiti in precedenza nell'amministrazione di appartenenza e della relativa valutazione, delle specifiche
competenze organizzative possedute, nonché delle esperienze
di direzione eventualmente maturate all'estero, presso il settore
privato o presso altre amministrazioni pubbliche, purché attinenti
al conferimento dell'incarico. Al conferimento degli incarichi e
al passaggio ad incarichi diversi non si applica l'articolo 2103
del codice civile.
1-bis. trasparenza e pari opportunità nel conferimento degli incarichi
L'amministrazione rende conoscibili, anche mediante pubblicazione
di apposito avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia
dei posti di funzione che si rendono disponibili nella dotazione
organica ed i criteri di scelta, acquisisce le disponibilità dei dirigenti interessati e le valuta.
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APPENDICE
Il trasferimento per incompatibilità ambientale nel pubblico impiego
Articolo pubblicato nel sito on line DL
1. Con riferimento al generale tema del trasferimento del lavoratore
nel pubblico impiego privatizzato, la questione che in prima battuta
assume rilevanza, anche con riguardo alla particolare forma di trasferimento per incompatibilità ambientale, è quella relativa alla disciplina applicabile al rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche
amministrazioni in seguito all’avvenuta privatizzazione dello stesso.
La questione sembra essere stata risolta dall’articolo 2, comma 2, del
decreto legislativo 165/2001, il quale prevede espressamente che i
rapporti di pubblico impiego sono disciplinati “dalle disposizioni del
capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di
lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni
contenute nel decreto stesso”.
A tale risultato si è giunti attraverso il lungo processo di contrattualizzazione del pubblico impiego, che ha trasformato la concezione
pubblicistico autoritativa del rapporto di servizio, secondo la quale
le logiche dell’organizzazione amministrativa degli uffici prevalgono
sugli atti di gestione del personale strettamente contrattuali, in una
concezione “paritario negoziale”, che valorizza i profili sinallagmatici
del rapporto di lavoro. La disciplina privatistica, pertanto, è ora
tendenzialmente applicabile al settore del pubblico impiego, ferme
restando le eccezioni tassativamente previste in forma esplicita
dal decreto legislativo 165/2001. Tuttavia, proprio con riferimento
alla materia del trasferimento sussiste ancora una differenza
di disciplina tra il rapporto di lavoro pubblico e privato.
Anzitutto, il trasferimento del pubblico dipendente non rileva tanto
per una connotazione in senso geografico spaziale, né risulta essere
intimamente collegato con il concetto di unità produttiva, come
avviene nella disciplina privatistica, ma si inquadra nel più ampio
fenomeno della cosiddetta mobilità nell’ambito del pubblico impiego,
in un’ottica di razionalizzazione delle risorse umane tra le amministrazioni.
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APPENDICE
Il trasferimento per incompatibilità ambientale nel pubblico impiego
La dottrina sul punto distingue tradizionalmente tra mobilità esterna,
verso ente o amministrazione diversi da quelli di appartenenza, e
mobilità interna, ossia nell’ambito del medesimo ente o amministrazione. Prima della privatizzazione, per i rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, l’istituto del trasferimento
del lavoratore era regolato dall’articolo 32 del D.P.R. 10 gennaio 1957,
n. 3 (testo unico delle disposizioni concernenti gli impiegati civili dello
Stato). Dopo l’abrogazione della suddetta norma, in applicazione del
comma 5 dell’articolo 43 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80,
con riferimento alla questione relativa al residuo ambito di applicazione della disciplina di diritto comune anche al trasferimento del
pubblico dipendente, la dottrina ha utilizzato la richiamata distinzione tra mobilità interna ed esterna, affermando che solo il trasferimento tra diversi enti o amministrazioni costituisca oggetto
della disciplina speciale (trasferimento dei dipendenti “in esubero”,
collocati “in disponibilità”, sia in via volontaria che “d’ufficio”, così
come prescritto dagli articoli 30 e successivi. del decreto legislativo
165/2001), mentre lo spostamento del lavoratore che avvenga
nell’ambito della medesima amministrazione risulta sottoposto
alla disciplina codicistica in materia di trasferimento del lavoratore
da un’unità organizzativa ad un’altra compresa nello stesso apparato
amministrativo. Pertanto, nel caso in cui un dipendente pubblico sia
sottoposto ad un atto di mobilità interna, quest’ultimo deve essere
considerato quale atto di gestione del rapporto di lavoro, con
la conseguente necessità di valutarne la legittimità secondo
le categorie proprie del diritto civile, ed in particolare in base
ai requisiti formali e sostanziali di cui all’articolo 2103 codice civile.
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APPENDICE
Il trasferimento per incompatibilità ambientale nel pubblico impiego
2. Parlando nello specifico di trasferimento per incompatibilità
ambientale, tale istituto è nato nell’ambito del pubblico impiego,
regolato dal quarto comma dell’articolo 32 del D.P.R. 10 gennaio
1957, n. 3 (testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto
degli impiegati civili dello Stato) , che ammetteva il trasferimento
d’ufficio qualora la permanenza dell’impiegato in una sede potesse
nuocere al prestigio dell’ufficio. Con l’abrogazione di tale norma,
il contrasto sorto in dottrina e giurisprudenza circa l’ammissibilità
di detta fattispecie alla luce dei limiti prescritti dall’articolo 2103
codice civile per il rapporto di lavoro privato assume rilievo anche nel
pubblico impiego privatizzato, essendo allo stesso applicabili gli
istituti privatistici in tema di trasferimento.
La dottrina più risalente, in base al combinato disposto dell’articolo
2103 codice civile e dell’articolo 7, comma 4, legge 300/1970, riteneva
che il trasferimento fosse consentito solamente per ragioni oggettive.
Considerata, infatti, non solo la formulazione della norma codicistica
(“ragioni tecniche, organizzative e produttive”), ma anche il divieto,
posto dall’articolo 7, comma 4, della legge 20 maggio 1970, n. 300
di irrogare sanzioni disciplinari che comportassero mutamenti
definitivi del rapporto di lavoro, il trasferimento per motivi soggettivi
doveva considerarsi nullo, in quanto contrario a norme imperative
di legge. Nella medesima ottica, non si poteva nemmeno sostenere che
la condotta del lavoratore, dalla quale derivasse una disorganizzazione
dell’unità produttiva o una disfunzione del servizio (situazioni queste
configurabili come “incompatibilità ambientale”), potesse giustificare
il trasferimento, in quanto si assumeva che tale comportamento
rilevasse solo in termini di corretta esecuzione dell’attività dovuta, e
quindi potesse comportare solo l’applicazione di sanzioni disciplinari
tipiche.
Il dibattito sull’ammissibilità o meno del trasferimento disciplinare è
rimasto acceso a lungo, soprattutto perché, a parere di molti
commentatori, in giurisprudenza è mancata l’elaborazione di soluzioni
univoche e costanti. Altra parte della dottrina, in contrapposizione
a questa critica, ha ritenuto di intraprendere una serie di doverose
precisazioni terminologiche.
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Il trasferimento per incompatibilità ambientale nel pubblico impiego
Si è sostenuto, pertanto, che l’asserita ambiguità delle decisioni
della Suprema Corte, in realtà, sarebbe collegata alla circostanza che,
con la medesima espressione, trasferimento disciplinare, vengano
qualificate fattispecie giuridiche del tutto distinte, tra cui quella del
trasferimento motivato da “esigenze tecniche, organizzative e
produttive”, consistenti in situazioni oggettive di disfunzioni aziendali
determinate, però, da comportamenti del lavoratore. Sulla base
di queste distinzioni tra le varie fattispecie, la giurisprudenza,
dunque, sarebbe in realtà approdata, su ciascuna di esse, ad indirizzi
uniformi. In particolare, per ciò che riguarda il trasferimento per
incompatibilità ambientale, la Cassazione ha affermato che tale
fattispecie, per effetto di un’impropria convenzione terminologica,
viene configurata come trasferimento disciplinare, mentre è più
corretto parlare di trasferimento motivato da comportamenti del
lavoratore, il quale è legittimo solo in quanto le suddette situazioni
realizzino un’obiettiva esigenza aziendale di modifica del luogo
di lavoro e in quanto la situazione di incompatibilità sia lesiva
degli stessi interessi tecnico-organizzativi dell’impresa, costituendo
causa di disorganizzazione e disfunzione dell’unità produttiva.
Secondo la richiamata opinione, inoltre, l’articolo 2103 codice civile
non distingue, di per sé, tra ragioni determinate da situazioni
oggettive e soggettive, né impedisce di prendere in considerazione
anche le situazioni soggettive in quanto concretamente condizionanti
le obiettive esigenze aziendali. Il dibattito si è riprodotto anche in seno
alla Suprema Corte, la quale, da un orientamento teso ad affermare
l’illegittimità del trasferimento per motivi disciplinari, perché sanzione
atipica, ha progressivamente fatto proprie le distinzioni richiamate
dalla più recente dottrina, riconoscendo la legittimità del trasferimento per incompatibilità ambientale, il quale, lungi dall’essere
considerato provvedimento disciplinare, può legittimamente conseguire ad un comportamento del dipendente avente conseguenze negative
sul normale svolgimento dell’attività d’impresa, in termini di disfunzione del servizio o di disorganizzazione dell’unità produttiva.
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Il trasferimento per incompatibilità ambientale nel pubblico impiego
Anche per lo specifico settore del pubblico impiego, la giurisprudenza
amministrativa si è orientata nel senso di escludere il carattere
sanzionatorio o disciplinare del trasferimento per incompatibilità
ambientale: la situazione di incompatibilità deve infatti essere
riferibile alla condotta tenuta dal dipendente nell’esplicazione del proprio servizio, indipendentemente dalla sua colpevolezza o dalla violazione di doveri d’ufficio. In virtù di un orientamento giurisprudenziale ormai prevalente, pertanto, le ragioni tecniche, organizzative e
produttive di cui all’articolo 2103 codice civile possono essere integrate anche da circostanze soggettive, ove la condotta del lavoratore
abbia prodotto conseguenze valutabili alla stregua di un criterio
oggettivo, quale è quello dell’incompatibilità creatasi tra un dipendente e i suoi colleghi, che si rifletta sul normale svolgimento
dell’attività d’impresa.
3. Sul tema dei requisiti procedurali e formali che devono sussistere
affinché il provvedimento di trasferimento possa essere considerato
legittimo ai sensi dell’articolo 2103 codice civile, è sorto un dibattito
in dottrina e giurisprudenza, ancora attuale.
In particolare, l’annosa questione ha preso le mosse proprio
dall’aggettivo comprovate che qualifica le ragioni tecniche organizzative e produttive legittimanti il trasferimento. Per una parte minoritaria della dottrina, il predetto termine assume un significato debole,
avente una rilevanza meramente processuale, sì da rinviare
all’eventuale fase giudiziale la specifica enunciazione delle ragioni
giustificative dell’atto. Secondo l’orientamento dottrinale prevalente,
invece, l’espressione “comprovate” assume una connotazione forte,
dalla quale deriva per il datore di lavoro l’onere di comunicare al
lavoratore preventivamente o contestualmente i motivi del trasferimento, dal momento che lo stesso dettato legislativo sembra
condizionare la legittimità del provvedimento all’esistenza di “comprovate ragioni”, le quali assumono la natura di elemento costitutivo
della fattispecie del trasferimento.
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Il trasferimento per incompatibilità ambientale nel pubblico impiego
Al contrario, l’orientamento giurisprudenziale prevalente, specie di legittimità, accreditato dalle sezioni unite della Suprema Corte. Gli
enunciati principi sono stati ampiamente criticati dalla prevalente
dottrina, secondo cui nella fattispecie descritta dall’articolo 2103
codice civile l’atto del datore di lavoro presuppone una valutazione
sulla sussistenza delle ragioni necessariamente antecedente o
quantomeno contestuale alla decisione sul trasferimento.
Secondo alcuni, addirittura, in virtù della “stretta interdipendenza,
logica e temporale” tra l’atto di trasferimento e le comprovate ragioni,
è possibile configurare “un diritto soggettivo del lavoratore”
alla comunicazione immediata dei motivi di trasferimento.
La richiamata opinione sembrerebbe avvalorata anche dalla ratio
legis, che pare contenere l’indicazione di una volontà di tutelare sia
l’esigenza del lavoratore ad un controllo preventivo sulla non
arbitrarietà del provvedimento, sia l’interesse dello stesso all’immutabilità delle ragioni addotte dal datore, in vista di un eventuale ricorso
giudiziale.
Il prevalente orientamento dottrinale viene sostenuto in via
minoritaria dalla sola giurisprudenza di merito, secondo cui, per
legittimamente disporre il trasferimento del lavoratore ad altra unità
organizzativa per incompatibilità ambientale, il datore di lavoro deve
allegare e provare che “la condotta del dipendente abbia prodotto o
possa produrre effettivamente conseguenze di disorganizzazione,
disfunzione o conflitto organizzativo interno all’unità produttiva”.
Parimenti, con riferimento alla questione riguardante il contenuto
della comunicazione, ad un orientamento prevalente, sia dottrinale
che giurisprudenziale, secondo cui il datore di lavoro è tenuto ad
enunciare le ragioni legittimanti il trasferimento in modo chiaro,
coerente e non generico, seppur sommario, si contrappone un’altra
opinione, più rigorosa, ma di minor seguito, secondo cui è necessaria
una motivazione specifica, completa e analitica.
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Il trasferimento per incompatibilità ambientale nel pubblico impiego
Resta comunque ferma l’illegittimità di quei provvedimenti in cui
i motivi siano espressi in termini soltanto generici ed indeterminati;
infatti, il contenuto della comunicazione consiste in una descrizione
compiuta ed univoca delle ragioni giustificative, sì da permettere al
destinatario del provvedimento «un ragionevole apprezzamento circa
la giustificatezza dello stesso, sia sotto il profilo della identificazione
della esigenza organizzativa, sia sotto il profilo della connessione
causale tra quest’ultima e il provvedimento adottato».
In base a questa impostazione, l’emanazione del provvedimento
di trasferimento ad altro incarico presuppone un accertamento
specifico e rigoroso delle cause di incompatibilità, che devono essere
tali da escludere in modo irreversibile ogni possibilità di permanenza
del dipendente nel posto ricoperto in precedenza. Tale onere motivazionale, secondo alcuni interpreti, discende altresì dai generali
principi di correttezza e buona fede di cui agli articoli 1175 e 1375 del
codice civile, che regolano il comportamento dei contraenti; ne deriva,
quindi che “la pubblica amministrazione deve adeguatamente
motivare il trasferimento, adducendo elementi di fatto probanti
il nocumento al prestigio dell’amministrazione e alla funzionalità
dell’ufficio”.
4. Un ulteriore profilo di illegittimità del provvedimento di trasferimento può derivare dalla contestuale modificazione in pejus
delle mansioni precedentemente attribuite al lavoratore, in violazione
dell’articolo 52, comma 1, del decreto legislativo 165/2001. Vi è,
infatti, una certa interferenza tra la disciplina sul trasferimento e
quella in tema di mutamento di mansioni, nel senso che, in caso
di trasferimento del lavoratore, l’adibizione dello stesso a mansioni
inferiori ha effetto sulla giustificazione del trasferimento stesso.
Di conseguenza, si ritiene sufficiente il prodursi di una lesione
degli interessi professionali del lavoratore per privare di ogni rilevanza
le ragioni tecniche, organizzative e produttive.
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APPENDICE
Il trasferimento per incompatibilità ambientale nel pubblico impiego
Il concetto di equivalenza, intimamente legato a quello di professionalità, è stato oggetto di accesi dibattiti, che hanno visto
l’emersione di due principali filoni dottrinali. Vi è chi adotta una
nozione rigida di equivalenza, dando rilievo alla salvaguardia
della professionalità già acquisita dal lavoratore nella fase pregressa
del rapporto di lavoro: in quest’ottica, «l’equivalenza non va intesa
in senso esclusivamente oggettivo, ma deve essere riferita alle mansioni in quanto connesse ad una posizione professionale e all’interesse alla conservazione delle stesse» ; per cui, «il rapporto di equivalenza
deve essere individuato nell’ambito di una scelta normativa che è
diretta al mantenimento del quantum di professio-nalità che è dedotto
nel rapporto», essendo quest’ultima tutelata solo in negativo.
Per l’altra impostazione, la professionalità è intesa in senso dinamico,
sì da valorizzare il bagaglio professionale potenziale del lavoratore,
in grado di evolversi in relazione ai cambiamenti strutturali
dell’impresa. La giurisprudenza pressoché costante si è mantenuta su
una posizione anelastica, richiedendo, per il giudizio sull’equivalenza,
la sussistenza contemporanea di due condizioni: una di tipo oggettivo,
la quale consiste nella collocazione delle mansioni di destinazione nel
medesimo livello di inquadramento contrattuale o nella medesima
area professionale di quelle originarie; l’altra, di tipo soggettivo,
in virtù della quale deve essere valutata «l’attitudine della nuova
posizione a consentire al lavoratore piena utilizzazione o l’arricchimento del patrimonio professionale acquisito dal lavoratore nella fase
pregressa del rapporto».
Sulla scorta di tali premesse, allora, l’indagine circa l’equivalenza
delle nuove mansioni assegnate al lavoratore deve essere svolta
in relazione all’attività effettivamente espletata dallo stesso; pertanto,
il riferimento all’inquadramento può non essere sufficiente ai fini
dell’accertamento dell’equivalenza, la quale presuppone che, in ogni
caso, «le nuove mansioni siano tali da consentire l’utilizzazione del
patrimonio professionale acquisito nella pregressa fase del rapporto,
permettendone ulteriori affinamenti e sviluppi».
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Il trasferimento per incompatibilità ambientale nel pubblico impiego
La giurisprudenza, nel procedere al giudizio sull’equivalenza, sembra,
pertanto, attingere ad entrambi i filoni dottrinali sopra richiamati,
restando ancorata, però, nel complesso, ad un concetto di professionalità non del tutto flessibile, volto più al passato, che al futuro.
Infatti, soprattutto nei contesti organizzativi incalzati dal progresso
tecnologico, «il contenuto delle mansioni non costituisce, dal punto
di vista fattuale, un qualche cosa di costantemente identico a se
stesso, avendo necessariamente carattere dinamico, dal momento che
è destinato a variare con il variare della tecnologia e degli assetti
organizzativi conformati dai poteri del datore di lavoro»; pertanto,
il concetto di equivalenza non può che modificarsi al variare di tali
fattori e non può che avere un punto di riferimento nei “dati di tipicità
ambientale”, così come interpretati dai soggetti collettivi. Anche
con riguardo al pubblico impiego privatizzato, peraltro, il ruolo svolto
dalla contrattazione collettiva risulta piuttosto rilevante, posto che
l’articolo 52, comma 1, del decreto legislativo 165/2001 si riferisce
alle “mansioni considerate equivalenti nell’ambito della classificazione
professionale prevista dai contratti collettivi”. Tuttavia, anche i criteri
di classificazione adottati dalla attuale contrattazione collettiva – che
ha ridotto le aree professionali di inquadramento, determinando
raggruppamenti di qualifiche precedentemente posizionate su livelli
diversi – rischiano di essere del tutto vaghi al fine della valutazione
dell’equivalenza. Onde, «nel verificare il corretto inquadramento del
lavoratore, il giudice dovrebbe ritenere in contrasto con i limiti
inderogabili dello jus variandi sistemi classificatori che comportino
l’indeterminatezza dell’oggetto della prestazione dovuta, per l’ampiezza
delle classificazioni o per la prevista rotazione dei lavoratori su
mansioni non equivalenti».
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