delle Bufale e del Debunking - Dipartimento di Filosofia

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Le proposte di Zuckerberg contro le bufale
Il fondatore di Facebook spiega in sette punti il piano di Menlo Park per abbattere la misinformation sul social, ma conferma la centralità dell'utente.
Web e Social
Punti di vista
zuck bufale
Marco Viviani, 20 novembre 2016, 12:02
Mark Zuckerberg torna sulla questione bufale, stavolta mostrando un piano in sette punti per affrontare un problema che specialmente negli Usa è
diventato politico. L’accusa dei media – decisamente ipocriti, visto che non possono certo chiamarsi fuori – è quella di aver permesso, per mancato
controllo, che una quantità esorbitante di contenuti falsi pro Trump influenzasse il voto. Una parte degli stessi dipendenti di Menlo Park pare minacci
di voler trovare da sola una soluzione, essendo convinta di questa teoria. Zuck lo è molto meno, tuttavia le bufale rappresentano comunque un
problema.
Il fondatore di Facebook ha affermato di considerare folle l’idea che il social network abbia favorito l’elezione di Donald Trump a 45° presidente
degli Stati Uniti. Diciamolo subito: ha perfettamente ragione. Nella baraonda di commenti e analisi che hanno fatto scempio di logica, sociologia e
statistica, Zuck sembra essere uno dei pochi a restare lucidi. Probabilmente perché conosce davvero le dinamiche della sua creatura e i suoi algoritmi.
Ecco perché il lungo post nel quale riprende l’argomento ruota su un principio: prendere sul serio la responsabilità di ciò che accade nel sito senza
assumersela per ciò che solo teoricamente ne sarebbe una conseguenza indiretta.
Il nostro obiettivo è collegare le persone con le storie e sappiamo che le persone vogliono informazioni precise. Abbiamo lavorato su questo
problema per un lungo periodo di tempo e prendiamo sul serio questa responsabilità. Abbiamo fatto progressi significativi, ma c’è ancora lavoro da
fare. Abbiamo sempre fatto affidamento sulla nostra comunità per aiutare a capire ciò che è falso e ciò che non lo è. Chiunque su Facebook può
segnalare qualsiasi collegamento e usiamo queste segnalazioni insieme ad altre informazioni per capire quali storie si possono tranquillamente
classificare come disinformazione, clickbait, spam e truffe: penalizziamo questo contenuto nel News Feed così che sia meno probabile che si
diffonda.
Un conto però è l’oggetto matematico, un altro la pretesa di fare di Facebook arbitro della verità. Concetto filosofico dal quale il ceo di Menlo Parl
vuole tenersi, saggiamente, lontano:
Noi crediamo nel valore di dare alla gente una voce, che significa lasciar dire alle persone quello che vogliono ogni volta che questo è possibile.
Dobbiamo stare attenti a non scoraggiare la condivisione delle opinioni o a limitare per errore i contenuti accurati. Non vogliamo essere arbitri della
verità, vogliamo fare affidamento sulla comunità e i soggetti terzi.
La strategia in sette punti
Con uno strappo alla regola Zuckerberg spiega pubblicamente il lavoro ancora in progresso che Facebook intende fare per contrastare la
misinformation restando nella cornice “al di là del bene e del male”, cioè confermando sia l’interesse ad abbattere le bufale e il loro modello di
business sia al contempo respingendo ancora una volta le richieste di una fetta di popolazione e di media democratici volte a fargli assumere un ruolo
pienamente editoriale (quindi politico). Il piano consta di sette punti, che passano dal rafforzamento degli algoritmi alla semplificazione delle
segnalazioni.
Rilevamento più forte. La cosa più importante che possono fare gli ingegneri, spiega, è «migliorare la capacità di classificare la disinformazione».
I sistemi tecnici per individuare ciò che la gente segnala come falso, prima che lo facciano, sulla base di un apprendimento del sistema.
Facilità di segnalazione. Rendere molto più facile la segnalazione delle bufale dovrebbe aiutare il sito a farle sparire più velocemente. Attenzione:
questo metodo è però utilizzato da coloro che considerano bufale sempre e solo quelle degli altri. Perciò è immaginabile come possa costituire uno
strumento, già oggi, di social bombing.
La verifica da parte di terzi. Questa è un’ammissione importante. Zuckerberg sostiene che «ci sono molte organizzazioni serie di fact checking:
abbiamo in programma di imparare da loro e di più».
Avvertenze. Somiglia all’etichetta elaborata da Google. In pratica, anche Facebook sta esplorando varie ipotesi su come mostrare avvisi quando la
gente legge o condivide contenuti già segnalati da terze parti o dagli utenti stessi.
Qualità degli articoli correlati. Un’altra piccola notizia da parte di Zuck: «Stiamo alzando il livello per le storie che compaiono in “articoli
correlati” sotto i collegamenti nel News Feed».
Taglio economico. Tranne rari casi, la disinformazione non ha affatto una natura ideologica, è invece una forma di spam. In altri termini, ai ragazzi
macedoni che hanno prodotto una montagna di bufale contro la Clinton interessava soltanto guadagnare soldi e i fan di Trump avevano
caratteristiche migliori per crederci o comunque condividerle. Il sesto punto del piano di Facebook è probabilmente quello decisivo: trovare il modo
di interrompere la continuità tra le bufale e i falsi annunci politici.
Ascolto degli esperti. Proprio perché Facebook non ritiene di essere una media company, continuerà a lavorare coi giornalisti e altri operatori del
settore notizie per capire meglio i loro sistemi di controllo e la loro sensibilità culturale. Un’idea che incontra la simpatia e l’accordo, ad esempio, di
Jeff Jarvis.
Facebook non c’entra nulla
Col passare delle settimane, a parte qualche analista superficiale o matematici che si credono sociologi (nuova categoria emergente) è sempre più
chiaro come la nevrosi post-voto ha rischiato di fare di Facebook un facile capro espiatorio. La composizione del voto, l’origine delle condivisioni
delle fake news illustrata da un eccellente articolo di Jonathan Albright, che ha mostrato come in realtà questi contenuti si sono diffusi con metodi
vari e anche più tradizionali, e infine gli stessi reportage che i media americani si sono (finalmente) decisi di fare negli Stati delle provincia
continentale, dove Trump ha conquistato l’elezione, hanno ridotto molto questa teoria dalle basi fragili.
Individuare l’ingegnerizzazione degli snodi, quantificare la diffusione della cattiva informazione (qualunque cosa significhi) è soltanto un grande
“come”, non un perché, non va perciò confuso con una spiegazione del voto. È un grave errore credere che le persone condividano della spazzatura e
di conseguenza votino Trump. È più probabile e storicamente dimostrato il contrario, cioè che il bisogno sociale, creando il bisogno di avere
argomenti a supporto, produca un interesse verso i contenuti di rinforzo, anche di conforto a una decisione già presa, a una posizione già costituita. Il
centro è l’uomo, non Internet, e la sua disponibilità mentale a cercare in un serbatoio ideologico-morale quei contenuti che diano “vestibilità” ai
propri orientamenti, che spesso – se studiati davvero – hanno a che fare con profonde radicate eredità educative, culturali, che raccontano delle
famiglie, dell’antropologia locale, delle trasformazioni dovute alla divisione sociale del lavoro.
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Inoltre, perdendoci le domande sul “senso” limitandoci ad osservare il “come”, paradossalmente facciamo un piacere proprio ai produttori di bufale,
ai quali andrebbe contrapposta la potenza positiva della Rete e un sano orrore per il determinismo tecnologico. Considerando sempre tutte le variabili
informative di cui è coprotagonista il web. La domanda che nessuno sembra porsi è se Facebook e Twitter siano davvero così informativi e
soprattutto se gli utenti li ritengano tali: non sarà che condividono quelle che sono palesemente falsità per il gusto di farlo, senza crederci davvero,
giusto perché idonee ad opporsi e aggredire una parte avversa? A nessuno passa questo dubbio per la testa: che venga prima l’orientamento personale
e poi il comportamento online.
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http://www.repubblica.it/tecnologia/socialnetwork/2016/12/02/news/bufale_dal_debunking_agli_strumenti_per_i_browser_ecco_come_difendersi_dall_ondata_di_fake_
news-153306807/
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Bufale, dal debunking agli strumenti per i browser: ecco come difendersi dall'ondata di fake news
In attesa che Facebook sforni almeno uno degli strumenti annunciati, cioè l'etichetta per i post poco credibili, i consigli per ripulire bacheca e
navigazione dalle estensioni per Chrome ai siti di verifica
di SIMONE COSIMI
SULL'onda delle dichiarazioni di Mark Zuckerberg di qualche giorno fa, quelle sui nuovi modi di contrastare le bufale su Facebook, nelle scorse ore
alcune fonti fra cui TechCrunch hanno pensato che il social network fosse già passato all'azione con uno di quei provvedimenti. Cioè quello che
consisterebbe nell'etichettare con un avviso ben visibile i post ritenuti dubbi o contenenti frottole palesi. Peccato che non fosse così: le segnalazioni
di molti utenti si sono in realtà rivelate non la prova che Menlo Park fosse già al lavoro su un simile marchio d'infamia che in molti attendono, simile
ma opposto al sistema partorito poche settimane fa da Google News ("Fact-check" di fianco ai pezzi verificati per le versioni statunitense e
britannica) ma un'altra cosa. Cioè un'estensione per il browser Chrome in grado di fare in sostanza lo stesso lavoro, segnalando agli utenti i post da
prendere con le pinze.
Gli strumenti per difendersi dalle bufale online
Si tratta di un ulteriore strumento per mettersi al sicuro dall'ondata di fake news che sembra invadere le piattaforme sociali e che ha per esempio
spinto l'agenzia Reuters, una delle più prestigiose del mondo, a sviluppare e lanciare un algoritmo (Reuters News Tracer) per filtrare i cinguettii su
Twitter. Serve ai giornalisti delle varie redazioni per capire quali siano spam, raccogliendo i termini più utilizzati sotto uno stesso argomento e
valutando se e quanto quel tema abbia probabilità di essere veritiero e sia dunque degno di essere ripreso e trattato giornalisticamente.
Nell'attesa che Facebook tiri fuori il coniglio dal cilindro ci sono dunque alcune strategie per difendersi da soli. Quella basilare sarebbe riuscire a
fiutare la bufala in autonomia, diffidando per esempio dei titoli ipersemplificativi e dei sommari poco esaustivi così come andando proattivamente a
cercare conferme su altre testate, risalendo alla fonte. Lavoro che in pochi hanno tempo e voglia di fare. Peccato, perché i siti che si occupano di
smontare, con certosino e salvifico lavoro, le falsità, i complottismi, le teorie dietrologiche o le semplici notizie false e inventate che circolano in rete
sono molti. In italiano Bufale.net, Butac.it (dove trovare anche una sterminata "lista nera" di siti, blog e profili social che spacciano panzane),
Attivissimo.net, del cacciatore di bufale Paolo Attivissimo, Medbunker.blosgpot.com, Bufaleedintorni.wordpress.com, Scetticamente,
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Fuffologia.blogspot.it e molti altri. In inglese Snopes, PolitiFact, disponibile anche come app per iOS e Android, FactCheck e The Sunlight
Foundation.
Ma siamo ancora nella sfera dell'iniziativa personale. Nel senso che se non si dispone di una certa sensibilità e non si ha voglia, conoscenza o tempo
delle fonti alle quali attingere per chiarirsi le idee, si rimane in balia della viralità dei social. BS Detector entra a gamba tesa nel corso delle nostre
passeggiate in bacheca, allertandoci quando un contenuto ha un'origine scivolosa. "This website is considered a questionable source", è la formula
standard che si ritrova visualizzata una volta installata in due clic questa estensione per Chrome. Cioè uno strumento che interviene durante la
navigazione sul social indicandoci quando il sito da cui proviene la news che ci ritroviamo sulla timeline senza sapere come è "una fonte non
garantita".
BS Detector è gratuito e funziona attingendo a una lista di siti di bufale molto noti. Un elenco modificabile su Github al quale si potrebbero dunque
agevolmente aggiungere anche tutti quelli censiti, per esempio, da Butac per rendere l'estensione sempre più efficace anche per gli utenti italiani di
Facebook. Realizzata da Daniel Sieradski, non passa dunque da un algoritmo ma marchia in blocco ciò che certi siti mettono in circolazione. Questo
è un limite, perché spesso le bufale s'innestano sottopelle, cioè passano anche fra le pagine delle testate più accreditate, ma è certo un ottimo punto di
partenza, specialmente per gli utenti meno esperti che vedono susseguirsi articoli dalle fonti più disparate, uno dietro l'altro, senza poter valutare nel
dettaglio l'attendibilità.
Lanciato due settimane fa, è stato messo in piedi "in un'ora" proprio dopo il post in cui Zuckerberg spiegava le difficoltà di individuare questo genere
di contenuti nel mare magnum della sua piattaforma. "Certo che si può fare - ha scritto Sieradski nella pagina da cui è possibile scaricare e installare
l'estensione - si tratta solo di un concept ma funziona già abbastanza bene". Stesso principio di BS Detector condivide Fake News Alert sfornato da
Brian Feldman e rilasciato pure questo sull'onda delle elezioni statunitensi intorno alla metà del mese scorso. In questo caso si esce dal social
network: i siti di bufale sono stati selezionati sulla base degli studi della professoressa Melissa Zimdar del Merrimack College, in Massachusetts. Se
si visitano certi indirizzi compare un avviso che ti mette in guardia dall'intossicazione disinformativa. Il codice è su Github, lo si può adattare per
Firefox o Safari.
Soluzioni del genere sembrano sembrano per ora le più sicure, in attesa che da Facebook arrivino i provvedimenti più volte annunciati dopo il trionfo
di Donald Trump all'apparenza favorito da un esercito di notizie costruite ad arte. Ma le polemiche sono durissime e toccano anche l'Italia, per
esempio con l'inchiesta di BuzzFeed che ha inchiodato il Movimento 5 Stelle alla sua rete di "siti redditizi che si descrivono come fonti di 'notizie
indipendenti' ma in realtà sono controllati dalla direzione del partito". Beppe Grillo ha replicato puntando su un elemento specifico, quello della
firma del contratto dei parlamentari con la Casaleggio Associati, limitandosi a definire "ridicolo" il resto delle accuse. Un'altra estensione per
Chrome è spuntata infine perfino da un hackathon supportato da Big G all'università di Princeton: si chiama "FiB: Stop living a lie", stavolta è un
algoritmo e classifica con un tag ogni post, sia immagine, contenuti per adulti, link fasullo o a malware utilizzando l'intelligenza artificiale.
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http://www.repubblica.it/vaticano/2016/12/07/news/papa_francesco_uso_dei_media_contro_avversari_e_coprofilia153668992/?rss
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Papa Francesco ai media: "Disinformare è coprofilia. E la gente tende alla coprofagia"
Il "forte" monito del Pontefice in un'intervista al settimanale belga Tertio. "Possono essere usati per calunniare, sporcare la gente, soprattutto in
politica. Questo è peccato e fa male. Dire solo una parte della verità è disinformare. Perché l'ascoltatore o il telespettatore non può farsi un giudizio
serio"
CITTA' DEL VATICANO - Disinformare, calunniare gli avversari politici, sporcare la gente, è "peccato", i media devono essere "limpidi e
trasparenti" e non devono "cadere nella malattia della coprofilia". E' il monito lanciato da Papa Francesco ai mezzi d'informazione in un'intervista al
settimanale cattolico belga Tertio, nel corso della quale il Pontefice ha usato termini davvero "forti" per rendere al massimo l'idea del danno che la
disinformazione può arrecare all'opinione pubblica. Perché, ha infatti aggiunto Bergoglio, "la gente ha la tendenza alla malattia della coprofagia".
"La disinformazione - spiega il Papa nell'intervista - è probabilmente il danno più grande che può fare un mezzo, perché orienta l'opinione in una
direzione, tralasciando l'altra parte della verità". Invece, prosegue Bergoglio, i media devono "essere molto limpidi, molto trasparenti, e non cadere
nella malattia della coprofilia, che è voler sempre comunicare lo scandalo, comunicare le cose brutte, anche se siano verità. E siccome la gente ha la
tendenza alla malattia della coprofagia, si può fare molto danno".
I media, per Francesco, "possono essere tentati di calunnia, e quindi essere usati per calunniare, per sporcare la gente, questo soprattutto nel mondo
della politica. Possono essere usati come mezzi di diffamazione: ogni persona ha diritto alla buona fama, però magari nella sua vita in precedenza,
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nella vita passata, o dieci anni fa, ha avuto un problema con la giustizia, o un problema nella sua vita familiare. E portare questo alla luce oggi è
grave, fa danno, si annulla una persona. Nella calunnia si dice una bugia sulla persona; nella diffamazione si mostra una cartella. Come diciamo in
Argentina, se hace un carpetazo. E si scopre qualcosa che è vero, ma che è già passato, e per il quale forse si è già pagato con il carcere, con una multa
o con quel che sia".
In conclusione, avverte Bergoglio, "non c'è diritto a questo. Questo è peccato e fa male. E una cosa che può fare molto danno nei mezzi di
informazione è la disinformazione: cioè, di fronte a qualsiasi situazione dire solo una parte della verità e non l'altra. Questo è disinformare. Perché tu,
all'ascoltatore o al telespettatore dai solo la metà della verità, e quindi non può farsi un giudizio serio".
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l cinico business delle bufale. Prima parte: Liberogiornale.com
di Paolo Attivissimo con la collaborazione tecnica di David Puente. Pubblicazione iniziale: 2016/12/16 7:00. Ultimo aggiornamento: 2016/12/17
14:30.
“Gentiloni choc: ‘Gli italiani imparino a fare sacrifici e la smettano di lamentarsi”, scrive Liberogiornale.com, e la notizia (completamente falsa)
diventa rapidamente la più letta in Italia, con decine di migliaia di condivisioni sui social network, secondo i dati di Repubblica.
Ma Liberogiornale.com non è un semplice sito d’informazione amatoriale che sbaglia o un sito di “satira e finzione” (come asserisce in caratteri
piccolissimi in un angolo ben nascosto): è una fabbrica professionale di panzane. Pubblica intenzionalmente balle per fare soldi; e se queste balle
disinformano un intero paese, creano panico infondato o danneggiano qualcuno, fa niente, tanto i soldi della pubblicità non puzzano e anzi lavano la
coscienza.
Altro che informazione “alternativa” di Internet: Liberogiornale.com è in realtà una struttura schiettamente commerciale, che lucra sulle false notizie
e sfrutta gli utenti che abboccano ai suoi strilli acchiappaclic. E fa parte di una rete professionale occulta di siti sparabufale che ha ramificazioni
anche fuori dall’Italia. Con l’aiuto di David Puente, collega debunker ed esperto in tracciamento online, oggi cominciamo a diradare la cortina
fumogena che ha finora coperto gli affari cinici degli spacciatori di false notizie-shock.
La piovra delle panzane
Liberogiornale.com fa parte di una galassia di siti bufalari che spesso storpiano in modo ingannevole i nomi di testate
giornalistiche molto note, come Ilfattoquotidaino.com (non è un refuso: è proprio quotidaino), News24tg.com o Gazzettadellasera.com.
L’intento sembra piuttosto evidente: ingannare i lettori facendo credere che le notizie pubblicate provengano da testate autorevoli e incassare grazie
al traffico pubblicitario derivante dalla frenetica condivisione.
I nomi dei titolari di questi siti sono nascosti: se si consulta il registro pubblico dei titolari, per esempio tramite Domaintools, risulta che
Liberogiornale.com è intestato alla società Domains by Proxy LLC, che è una delle tante aziende online alle quali ci si rivolge per proteggere la
propria identità da spammer e altri scocciatori.
Ma c’è un legame nascosto che unisce questi siti apparentemente distinti e permette di risalire ai loro veri proprietari, ed è proprio la pubblicità.
Esaminando attentamente il codice pubblico delle loro pagine, come ha fatto David Puente nell’ambito di un’indagine ben più ampia durata alcuni
mesi, emerge infatti che questi siti usano una stessa fonte, e addirittura condividono lo stesso account da publisher, per i propri banner pubblicitari.
La fonte è la società Edinet, con sede a Sofia, in Bulgaria. I suoi dati pubblici sono nel registro del Ministero della Giustizia bulgaro. Il sito della
società è Edinet.bg, il cui “Chi siamo” (scritto, stranamente, in italiano) spiega che si tratta di un “Gruppo editoriale” che ha uffici “in Francia,
Germania, Slovenia e soprattutto Italia. I componenti e collaboratori di Edinet sono al 90% Italiani ed è proprio in Italia che sono puntate tutte le
nostre risorse.” Ma che sorpresa.
Il registro del ministero bulgaro indica anche il nome del titolare di Edinet: Carlo Enrico Matteo Ricci Mingani.
Ulteriori ricerche fanno poi emergere un comunicato stampa, presso Comunicati-stampa.net, nel quale compare il nome di Matteo Ricci come
“responsabile delle pubblicazioni” di Edinet Ltd. Il comunicato annuncia che “Edinet Ltd ha rilevato il gruppo KontroKultura”. Guarda caso,
L’account publisher condiviso da questi siti si chiama “kontrokultura”. Ricci si vanta di gestire “oltre 30 testate online”.
Quali altri siti ospitano i banner pubblicitari di Edinet con l’account “kontrokultura”? A questo punto non è difficile scoprirlo, usando sempre
strumenti pubblici: oltre a Gazzettadellasera.com e Liberogiornale.com spuntano News24europa.com, News24tg.com, Notiziea5stelle.com e altri
ancora.
Ci sono molti altri elementi che legano e accomunano questi siti: questo è solo l’inizio e ne parleremo nelle prossime puntate. C’è anche, intorno a
questi siti, uno stuolo di promotori, di “pompatori” di queste false notizie sui social network: complici consapevoli e inconsapevoli. Ma se nel
frattempo volete sapere chi è che fabbrica queste bufale ad alto impatto sociale e politico, chi crea polemiche finte, chi coordina questo spaccio
destabilizzante, ora avete un nome. Un nome che ha fatto molto per nascondere le proprie tracce, ma che alla fine è emerso usando proprio le risorse
di quella Rete che i bufalari di professione vorrebbero sfruttare come miniera d’oro personale.
2016/12/17
Questo articolo ha superato le centomila visualizzazioni ed è stato ripreso da molte testate giornalistiche, sia online sia su carta: Il Secolo XIX,
Repubblica, Il Post, TGCom24, La Stampa e altri. È un buon passo verso l’obiettivo di questo ciclo di indagini, che non è la censura, ma la
segnalazione al grande pubblico dell’esistenza di un business della bufala, socialmente pericoloso e poco conosciuto. Poi ognuno deciderà se
alimentare questo business o no. E personalmente sono contrario alla censura, come chiunque può leggere nei miei articoli sul tema.
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Matteo Ricci Mingani ha fatto alcune dichiarazioni a Repubblica, al Secolo XIX e ad Agi.it. Sempre Agi.it, a firma di Matteo Flora e Arcangelo
Rociola, ha proseguito l’indagine, partendo dai dati pubblicati qui e fornendo altri dettagli sull’attività e la struttura di Edinet e della galassia di siti
promotori di articoli-bufala.
Mingani ha dichiarato di essere estraneo ai contenuti dei siti in questione e di fare semplice hosting: le prossime puntate di questa indagine
documenteranno che questa sua asserzione è perlomeno fantasiosa.
Intanto Liberogiornale.com e Ilfattoquotidaino.com hanno sospeso volontariamente le pubblicazioni: al posto delle bufale ora c’è solo un avviso che
recita “Servizio sospeso – Edinet Ltd in seguito a quanto appreso dai mezzi di comunicazione sospende l'erogazione del servizio gestito su nostri
server in via cautelare. Edinet Ltd è estranea ai contenuti pubblicati da terzi ospitati su nostri server.”
Matteo Ricci Mingani ha eliminato il proprio account Twitter (@nighyfly), che mostrava la sua affiliazione politica molto esplicita: un aspetto che
David Puente ed io conoscevamo ma abbiamo volutamente messo da parte per non prestare il fianco a chi, inevitabilmente, avrebbe teorizzato un
attacco politicizzato, distraendo dal reale scopo del debunking, che è ridurre i danni causati dalle bufale. Francamente a me non interessa il colore
politico degli spacciatori di bufale: di destra o di sinistra, sono comunque pusher della panzana e seminano odio e paure infondate.
Un altro chiarimento importante: molti hanno collegato la pubblicazione di questa indagine al recente appello della Presidente della Camera, Laura
Boldrini, contro le bufale del Web, pensando che l’indagine sia stata fatta in risposta a questo appello. Per farla breve: no. Una ricerca sistematica e
dettagliata come quella che David Puente mi ha fornito non s’improvvisa in qualche giorno. I dati che ho visto (e che non ho ancora pubblicato)
risalgono a mesi fa, quando non era neanche stato immaginato il convegno sulle bufale che ho moderato a Montecitorio.
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http://www.davidpuente.it/blog/2016/12/16/la-piovra-delle-panzane-chi-ce-dietro-il-sito-liberogiornale/
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Come illustravo in un mio precedente articolo, le bufale più virali e dannose delle ultime settimane sono state quelle del sito LiberoGiornale (che
nulla ha a che vedere né con “Libero Quotidiano” né con “Il Giornale”) partendo da quella dei “35 esponenti del PD arrestati per aver falsificato 2
milioni di voti al Referendum” (pubblicata a pochi giorni prima del voto) a quella contro il neo Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Tutti si son
chiesti chi c’è dietro a questo sito, diventato ormai tristemente famoso, come leggiamo anche dall’articolo di Repubblica del 14 dicembre:
Chi c’è dietro LiberoGiornale? Difficile a dirsi, visto che il sito non ha una sezione ‘contatti’, la pagina Facebook non riceve messaggi privati.
Abbiamo provato a chiedere ai protagonisti del mondo delle bufale, ma nessuno sa chi gestisce il sito o la pagina Facebook […] Anche i principali
siti di debunking, che lo catalogano tra i siti di satira, non forniscono informazioni sui proprietari del dominio e sugli autori degli articoli.
Bene, io lo sapevo da settimane e stavo raccogliendo le ultime prove necessarie per raccontarlo, ma non prima di aver mostrato il mio lavoro e
messo tutto sotto esame dal collega debunker Paolo Attivissimo che oggi pubblica la prima puntata di una serie di articoli che riguarderanno la rete
dei siti bufalari (che potremmo chiamare “La piovra delle panzane”). Come avrete capito la mia ricerca non si basa soltanto su LiberoGiornale, ma è
giusto raccontare alcuni elementi (oltre a quanto riportato nell’articolo di Paolo e che sono una piccola parte di tutto il lavoro svolto) per
comprendere alcuni aspetti di questa Rete.
Partiamo comunque dalla società a responsabilità limitata unipersonale bulgara “Edinet Ltd“, fondata dall’italiano Matteo Ricci Mingani (info qui –
PDF), la quale dichiara di occuparsi di “Gestione, amministrazione e sviluppo siti internet. Gestione amministrazione sviluppo e distribuzione servizi
editoriali, blog, giornali on line. Creazione, amministrazione, sviluppo creazione e promozione servizi pubblicitari“. L’immagine sottostante mostra
i collegamenti, spiegati nell’articolo di Paolo, tra la società italo/bulgara e una serie di siti dei quali alcuni bufalari, altri clickbaiting e altri di
informazione generalista.
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La Rete collegata alla società bulgara Edinet
Buona parte di questi si appoggiano al servizio di Whois Privacy, che di fatto impedisce la possibilità di controllare tramite gli archivi pubblici il loro
intestatario. Uno tra questi Gazzettadellasera.com, ma hanno fatto un errore: mostrarsi pubblicamente quando ancora non venivano tanto considerati
da noi debunker. L’errore fu quello commesso da “Sabrina Boni”, collaboratrice di Mingani per il sito Kontrokultura.it, che dal suo profilo Facebook
si dichiara collaboratrice del sito e che di fatto è autrice dei molti suoi articoli.
L’account principale di “Sabrina Boni”
Nel profilo dichiara di vivere a Sofia, proprio dove è situata la società bulgara Edinet. Di questo account posso dire con estrema certezza una cosa, e
cioè che le foto riportate non sono affatto le sue a meno che non sia un sosia eccezionale o la reincarnazione di un’altra donna. Vi presento Jean
Marie Smith, soldatessa dell’esercito americano uccisa lo scorso 2015:
La raccolta fondi online per il funerale di Jean Marie
Smith
Passiamo al sito News24Europa.com, il quale riporta un logo molto curioso usato in molti altri siti e nei video del canale Dailymotion”News 24
TG.com“:
Il logo preso altrove dai siti collegati a Edinet
I veri proprietari del logo sono il sito News24.com, un sito di informazione sudafricano dove venne pubblicato nel 2015 un video poi diffuso nella
pagina Facebook di LiberoGiornale spacciandolo per un episodio avvenuto a Bergamo. Lo stesso logo è stato usato in un recente articolo, e in
precedenti, di Gazzettadellasera.com:
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Il logo è presente in basso a destra dell’immagine dell’articolo, con la scritta “Circuito News 24”
Sarà anche un caso che la pagina Facebook di Gazzettadellasera, LiberoGiornale e di “News 24 TG – Informazione Indipendente” pubblichino
immagini nello stesso identico orario? Simpatica situazione, non credete?
Non poteva di certo mancare un sito che attiri i votanti del Movimento 5 Stelle. Uno dei siti collegati alla Rete di Edinet è Notiziea5stelle.com.
Il logo presente nel sito
Interessante che la pagina Facebook News 24 TG – Informazione Indipendente, la stessa che diffonde gli articoli dei siti collegati alla società
italo/bulgara, condivida gli articoli di questo sito:
La pagina Facebook che condivide gli articoli del sito associato al mondo pentastellato.
Signori bufalari, ho appena cominciato. Inutile che cambiate i vostri siti, che cambiate server, che cambiate i banner pubblicitari (se lo fate ci sarà
da ridere, sarebbe una bellissima ammissione), anche perché ho già tutto in mano e fornito il dovuto a chi di dovere.
Per concludere, ci tengo a precisare che questi siti non hanno a che fare con altri bufalari come Ermes Maiolica o “Alvaro Porfido”, pensate che
quest’ultimo è gestore del sito IlFattoQuotiDAINO.it e il sito omonimo IlFattoQuotiDAINO.com è collegato alla Rete di cui parliamo io e Paolo nel
suo articolo.
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http://www.agi.it/cronaca/2016/12/16/news/libero_giornale_fake_news_siti_italiani_grillo_movimento_5_stelle_matteo_ricci_
mingani-1318432/
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Viaggio in 10 tappe nella rete dei siti che danno notizie false in Italia
Matteo Flora e Arcangelo Rociola
Roma - Siamo entrati da una porta di servizio in una galassia tutta italiana delle fake news. Fake news della peggiore qualità. Si tratta dell’ecosistema
"LiberoGiornale.com”. E dei suoi contenuti correlati. Abbiamo fatto appena in tempo perché oggi, venerdì 16 dicembre, il sito è stato messo offline.
Insieme al suo gemello Il Fatto Quotidaino. Da quella porta di servizio però ci si è aperto un’ecosistema intero di notizie false.
Un fenomeno che sarebbe un errore ridurre a pura satira da web. Sono macchine nate per sparare bufale in rete facendo leva sui sentimenti più bassi
(rabbia, facile indignazione, contenuti volgari). Per spingere al click. E farci soldi con il traffico. Tanti soldi. Con milioni di pagine viste.
Avvelenando in modo incosciente il clima del Paese approfittando di chi non ha gli strumenti per capire che si tratta di falsi creati ad hoc. Non sarà
facile seguire tutte le tappe di questo viaggio. Ma facendolo si scoprirà chi c’è dietro, come fa a costruire questo ecosistema di notizie false. A volte
più o meno false. E perché lo fa. Troveremo siti politici. Di falsa cronaca su fatti inesistenti. Che raccontano notizie sugli immigrati. Di gossip. Di
cuccioli maltrattati. Quasi sempre falsità.
1. La bufala che ha fatto scoppiare il caso LiberoGiornale
Siamo partiti da LiberoGiornale.com. Il sito di bufale che ha messo in rete la notizia bufala su Paolo Gentiloni. Se andiamo a vedere i suoi codici in
rete, ce ne sono due che è meglio tenere a mente. Il codice di AdSense (il programma pubblicitario di Google), e quello di EdinetADV (la società che
distribuisce la pubblicità su questo sito: “kontrokultura”. Guardando dietro questi codici ci si accorge che il lavoro di costruzione di questa galassia è
fatto discretamente bene. Il dominio registrato anonimamente. E’ ospitato su Godaddy (uno dei big player mondiali nella registrazione dei domini),
quindi la possibilità di risalire al proprietario è molto scarsa.
Nessuna connotazione particolare sul sito LiberoGiornale.com (che a 5 mesi dalla nascita ha raggiunto 134mila visitatori mensili, dati SimilarWeb)
tranne una mail alla pagina "disclaimer" ([email protected]) che non porta ad altri risultati di rilievo. In teoria un binario morto. In teoria,
però.
In fondo alla pagina si legge in piccolo: "Easy News Media Ltd Copyright - Satira e Finzione sono la nostra Missione". Questa dicitura che Google
apparirà identica in altri due domini: "news24italia.com" e "ilfattoquotidaino.com".
2. Il secondo sito. Il Fatto Quotidaino
Ilfattoquotidaino.com Stesso film. Dominio registrato anonimamente sin da principio, con un nuovo indirizzo IP ( per i curiosi, è 50.62.88.95) ma
sempre condiviso con migliaia di altri domini e gestito da GoDaddy. Come facciamo a sapere che in qualche modo è un sito parallelo a
Liberogiornale.com? Stesso codice AdSense (1397269795950220)
Il sito per lanciare notizie false fa leva sul nome di una testata autorevole e conosciuta come il quotidiano diretto da Marco Travaglio (Il Fatto
Quotidiano). Ne mutua anche il simbolo. Ma per dare notizie assolutamente false (la specialità della casa sono gli immigrati armati di coltello, come
si evince dalla home page), con titoli scritti in maiuscolo e l’invito a condividere subito il post. Click dopo click. Euro dopo euro. Con un punto
esclamativo immancabile alla fine. Come succede per Libero Giornale (cercando di sfruttare in questo caso i nomi dei due quotidiani, Libero e Il
Giornale). Ma li accomuna anche un’altra cosa, oltre lo stile. La stessa pagina "disclaimer”, quella che riporta alla la medesima mail
"[email protected]". Un altro pezzetto dell’ecosistema di fake news all’italiana.
3. Il terzo sito. News24Italia.com
Ancora un pezzo pezzo. News24italia.com. Cosa lo lega agli altri due? Lo stesso indirizzo IP, la carta di identità di chi si collega ad internet.
News24italia è un sito molto più politico. Sulla home page ci sono attacchi a Gentiloni (che vogliono “processare per alto tradimento” e elogi del
Movimento5stelle. Questo il pensiero politico. La parte delle news invece è una catena di notizie spesso non verificate. Anche questo 130mila lettori
unici al mese.
4. La porta per il quarto sito. Direttanews24
Il suo codice AdiNetADV è "Direttanews24”. E apre una nuova porta. Quella ad un nuovo dominio. DirettaNews24.com. Si definisce un sito di
notizie, un giornale. Dove non compare però alcuna registrazione in alcun tribunale italiano, a dispetto di quanto prevede la legge. Anche qui la linea
“politica” è la stessa. Attacchi alla politica, agli stipendi “imbarazzanti” dei politici. 200mila visite al mese, partito da zero 4 mesi fa.
Tornando all’aspetto tecnico, per DirettaNews24.com gli indizi sono ancora più consistenti: registrato ancora anonimamente, chiaramente, e con un
indirizzo IP condiviso, ma con una grafica che ricorda moltissimo News24italia.com. Non solo: con News24Italia.com condivide il codice di
AdiNetADV "Direttanews24" ma anche il codice della pubblicità su Google AdSense. Mentre lo stesso è il codice di Google Analytics (che segna i
dati del traffico)
5. Quinta porta. Kontrokultura.it e la comparsa di Matteo Ricci Mingani
Ma nemmeno questo è un binario morto. La galassia si espande ancora. E arriva a Kontrokultura.it. Ricordate l’AdiNetADV di LiberoGiornale.com?
Bene, è lo stesso: "kontrokultura”. 100 mila lettori al mese. Un giornale di gossip se vogliamo. Con uno stile molto simile a quello dei precedenti.
Qui però abbiamo qualche indizio in più. La rivista pare essere riconducibile alla società Edinet E.o.o.d. Sofia (BG). E appaiono una serie di contatti:
* Matteo Ricci Mingani : Fondatore & Editore [email protected]
* Fiorella Atzori: Web editor [email protected]
* Sabrina Boni – Responsabile web marketing [email protected]
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* Sabrina Boni – Addetta Recruiting [email protected]
Anche il dominio appare registrato proprio a Matteo Ricci Mingani, e una visura storica della registrazione del 2014 porta i suoi recapiti. Ci siamo.
Fine del viaggio. Abbiamo intervistato Matteo Ricci Mingani che ci ha chiarito le sue posizioni. Le sue idee. Anche politiche. Legato agli ambienti di
estrema destra italiani. A Forza Nuova. Cacciato per indegnità dal segretario Roberto Fiore.
6. Sesta porta. Il sito geek Teknokultura.it
Da Kontrokultura.it si trova un link nel footer a "Teknokultura, la tecnologia a portata di tutti." che riporta direttamente al dominio teknokultura.it.
Gadget e rumors su smartphone. 120mila utenti mensili.
Qui i nominativi appaiono gli stessi, ma con indirizzi e-mail leggermente differenti e legati direttamente al dominio edinet.bg, e nel dettaglio:
Rimane Matteo Ricci Mingani il Direttore. Anche se nemmeno qui appare la dicitura sulla registrazione della testata al tribunale. Ma dati davvero
interessanti, come vedremo, sono racchiusi nella pagina contatti:
E' proprio in questa pagina, infatti, che si esplicita la ragione sociale di EdiNet come:
* Edinet Ltd
* Ulitsa SERDIKA, 22
* OBORISHTE
* 1000 Sofia (Bulgaria)
* VAT: BG 203972483
Quindi una azienda con sede a Sofia e con sede di Roma, stranamente coincidente con gli indirizzi della "Redazione".
7. La società che tiene le fila di tutto: Edinet
Ma chi è questa Edinet? Il forte sospetto è che sia la stessa EdiNet che gestisce il fantomatico circuito EdiNetAdv che popola tutti i siti sopra
menzionati e di cui , con i siti menzionati, Teknokultura condivide non solamente la proprietà (pare), ma i codici AdSense di di LiberoGiornale.com
e di IlFAttoQuotidaino.com. E crediamo sia così. Qui i codici di pubblicità e il sito:
* Dominio dei codici di Advertising: http://edinetadv.com/related/service/widget/v2/?ac=kontrokultura&ch=4
* Dominio di Edinet Bulgaria: http://edinet.bg/
In apparenza abbiamo torto. Se non che entrando nel sito di Edinet.bg, una azienda bulgara con un sito in italiano, e cliccando sul link "Area
Riservata" in alto a destra, si viene magicamente rediretti proprio al dominio che conosciamo EdinetAdv.com.
Che mostra un pannello di controllo riportante i dati aziendali:
* Edinet Ltd, VAT Number: BG 203972483, Ulitsa SERDIKA, 22 OBORISHTE, 1000 Sofia, Bulgaria
8. La pubblicitaria madre della galassia
Teknokultura, la concessionaria di pubblicità e i domini di bufale paiono tutte quindi essere correlate ad una unica grande "famiglia" pubblicitaria,
che fa capo a una entità chiamata, appunto, Edinet Ltd, con una serie di contatti italiani. Ma non solamente contatti, parrebbe: su Linkedin è proprio
Matteo Ricci Mingani di TeknoKultura a dichiararsi spontaneamente CEO della EdiNet LTD di Sofia dall'Aprile del 2016 qui.
9. Gli altri siti della rete
Cercando poi la concessionaria Edinet.bg saltano fuori una serie di altri siti molto, molto simili. Un esempio?
•
newsandroid.eu
•
viveresani.club
•
kontrokultura.net
•
kontrokultura.com
•
kkredazione.com (dominio delle mail e dei collaboratori)
•
thejetsetonline.net
•
chiedimitutto.com
Su kkredazione.com sono anche indicati i tariffari per chi ci lavora. 1,70 euro per ogni 1.000 visite. 17 per ogni 10.000.
Su un bel post di David Puente sono stati indicati altri siti:
•
Notiziea5stelle.com,
•
Newsandroid.eu,
•
Gazzettadellasera.com
Che sia proprio lui dietro al tutto? Ma, forse, non è nemmeno finito qui se analizziamo l'indirizzo IP del dominio EdinetAdv.com (per i curiosi,
109.233.123.30) Una macchina ospitata in un provider di Rivoli (TO):
* CriticalCase s.r.l
* Via Giolitti 4
* Rivoli(TO) - Italy
Su quella macchina sono ospitati tre domini:
•
twinpeople.com (Una Società di pubblicità online)
•
edinetadv.com
(la piattaforma di pubblicità che fa capo a Matteo Ricci)
10. L'intervista di AGI a Mingani, l'ex di Forza Nuova che ospita i siti di fake news
Non è l'unica similitudine. La società bulgara che, oltre alla strana similitudine dell’aspetto, presenta la medesima privacy policy, orientata
ovviamente al mercato italiano (un po’ anomalo visto le sue origini bulgare) citando il Codice della Privacy Italiano. Ma potremmo essere forse solo
sul piano delle coincidenze. Anche se assai strane per la verità. Rimane l’unica matrice comune. Matteo Ricci Mingani, 48 anni, di Albenga che ad
Agi.it ha tenuto a sottolineare di non essere uno spacciatore di bufale. Ma di offrire un servizio per ospitare siti web. Di bufale. 19 siti letti da milioni
di persone in Italia.
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