il risarcimento diretto

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il risarcimento diretto
il Risarcimento diretto
I.
il Risarcimento diretto: strategie UTILIZZABILI
DAl danneggiato PER ottenere il risarcimento
del danno alle cose
(giorgio Gallone)
SOMMARIO
OBIETTIVO, p. 29
STRATEGIE:
- Strategia A p. 32; Competenza, p. 42; Scadenze, p. 43; Formule, p. 44
- Strategia B p. 46; Competenza, p. 51; Scadenze, p. 51; Formule, p. 52
- Strategia C p. 58; Competenza, p. 61; Scadenze, p. 61; Formule, p. 62
CONSIDERAZIONI FINALI, p. 66
OBIETTIVO
Individuare le azioni processuali idonee a consentire ad un danneggiato
da sinistro stradale di ottenere il risarcimento dei danni materiali dopo
l’infruttuoso esito della nuova procedura stragiudiziale prevista dagli artt. 149 e 150 del D.lvo 7 settembre 2005, n. 209 (c.d. Codice
delle Assicurazioni).
Caso
In data 15 febbraio 2007 il veicolo condotto e di proprietà di Tizio
viene tamponato sul lato posteriore dall’autoveicolo condotto e di
proprietà di Caio, riportando ingenti danni.
L’art. 149 Cod. ass. stabilisce che il danno riportato a seguito di un sinistro tra due veicoli a motore, entrambi identificati, immatricolati ed assicurati
in Italia, come è quello occorso a Tizio, debba essere risarcito dall’impresa
di assicurazione che ha stipulato il contratto relativo al veicolo utilizzato,
ovverosia da quella del danneggiato non responsabile dell’incidente. Nella
procedura di risarcimento diretto, disciplinata dagli artt. 149 e 150 e dal
relativo regolamento di attuazione (D.p.r. 16 luglio 2006, n. 254), si attua,
rispetto a quella ordinaria prevista dal combinato disposto degli artt. 145,
I comma, e 148 del Cod. ass., uno spostamento ex lege dell’obbligo risarcitorio [Gatta, Il codice delle assicurazioni private. Commentario al D.lvo
7 settembre 2005, n. 209, diretto da Capriglione, Padova, 2007, 508; Cuocci,
La disciplina della responsabilità civile automobilistica nel codice delle assicurazioni private, in Resp. civ. 2006, 385]: questo passa dall’assicuratore
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Il risarcimento e la liquidazione del danno nella R.C.A.
del responsabile del danno all’assicuratore del danneggiato che è chiamato
ad assumere la gestione del sinistro tanto nella sede stragiudiziale quanto
in quella giudiziale. Alla base di una tale “sostituzione” dal lato passivo
dell’obbligazione risarcitoria vi è l’obbligo legislativamente imposto alle
compagnie di assicurazione operanti sul suolo italiano di attribuirsi reciprocamente gli incarichi liquidativi indispensabili per la concreta attuazione
della procedura di risarcimento diretto (si vedano gli artt. 149, III comma,
e 150, I comma, lett. e) Cod. ass., nonché l’art. 13 del D.p.r. 16 luglio 2006,
n. 254) [Ballarani, Prime note sul sistema dell’indennizzo diretto: la qualificazione giuridica del pagamento per conto dell’impresa del responsabile
e la c.d. azione diretta del danneggiato nei confronti della propria compagnia, in Ass., 2007, I, 3; Gallone, Commento sub art. 150 del Cod. ass., in
Commentario al Codice delle Assicurazioni – R.C.A. e Tutela Legale, II ed.,
Piacenza, 2009]. L’intero sistema ruota intorno ad un “fascio” di reciproci
mandati ex lege senza rappresentanza.
Il nuovo sistema si ispira, nei suoi tratti essenziali, a quello adottato
dalle imprese assicurative nel 1978 con la stipula della Convenzione CID
[La Spina, La procedura di risarcimento diretto in materia di responsabilità
civile automobilistica, in Resp. civ. e prev., 2006, 967; Cassano, L’azione di
risarcimento nel nuovo codice delle assicurazioni, in Danno e resp. 2006,
373]. Il legislatore della riforma ha, quindi, convertito in termini di “vincolatività legale” regole di fonte convenzionale già sancite in precedenti
accordi di settore [Hazan, La nuova assicurazione della r.c.a. nell’era del
risarcimento diretto, Milano, 2006, 23 e Partisani, L’assicurazione obbligatoria dei veicoli a motore e dei natanti nel nuovo testo unico assicurativo,
in Resp. civ. e prev., 2006, 763]. Mentre, però, la pregressa Convenzione CID
operava su base volontaria, nella sola fase stragiudiziale ed entro determinati limiti quantitativi risarcitori, nel nuovo sistema la fonte delle relazioni
intercorrenti tra le imprese non è più rinvenibile in un accordo volontario
delle società assicuratrici, bensì nel dettato dell’art. 13 del D.p.r. 254/2006
che, espressamente, rinvia alla Convenzione CARD per ciò che riguarda i
comportamenti che le imprese devono tenere ai fini della regolazione dei
rapporti organizzativi ed economici per la gestione del risarcimento diretto.
La regolazione contabile dei rapporti tra le due imprese si verifica tramite
il meccanismo della “stanza di compensazione”, la cui gestione è affidata
alla CONSAP; il rimborso degli importi risarciti non avviene attraverso la
restituzione dell’integrale ammontare liquidato, ma è effettuato con la corresponsione di un forfait calcolato annualmente da un comitato tecnico.
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il Risarcimento diretto
L’importo del forfait può essere superiore o inferiore rispetto alle somme
corrisposte a titolo di risarcimento.
Nella nuova procedura di risarcimento diretto esiste, pertanto, uno scollegamento tra la somma pagata al danneggiato e la misura della rivalsa;
la previsione di un rimborso forfettario, anziché di quanto effettivamente
liquidato dall’impresa che ha sostenuto l’onere risarcitorio, fa sì che l’operazione non è neutra: vi è, infatti, un guadagno di quest’ultima se il risarcimento erogato è inferiore al forfait, mentre vi è una perdita nel caso
opposto.
Tizio e Caio, essendo palese la responsabilità di quest’ultimo nel verificarsi dell’evento dannoso, redigono e sottoscrivono il modulo di denuncia di sinistro di cui all’art. 143, II comma, del D.lvo 7 settembre 2005, n.
209. Questo modulo, approvato con provvedimento ISVAP n. 13 di data 6
febbraio 2008, ha il valore di confessione stragiudiziale nei rapporti tra i
due conducenti; le dichiarazioni contenute nello stesso costituiscono, però,
anche una presunzione juris tantum di veridicità nei confronti degli istituti
assicuratori. La presunzione è superabile solo attraverso la prova contraria
delle imprese di assicurazioni che il sinistro non si è in realtà verificato, o
si è verificato con circostanze, modalità e conseguenze diverse da quelle
descritte.
Tizio, al fine di ottenere il giusto ristoro del pregiudizio subito, inoltra
alla propria compagnia di assicurazione, Alfa Assicurazioni S.p.A., ed all’assicuratore per la r.c.a. di Caio, Beta Assicurazioni S.p.A., la formale richiesta
risarcitoria di cui all’art. 145 del Cod. ass. a mezzo lettera raccomandata con
avviso di ricevimento.
Mentre la Beta Assicurazioni non fornisce alcun riscontro alla richiesta
indirizzata da Tizio, la Società Alfa comunica a quest’ultimo il diniego di
offerta risarcitoria, assumendo una presunta incompatibilità tra gli ingenti
danni riportati dai veicoli di Tizio e di Caio e la dinamica del sinistro descritta nel modulo di denuncia.
Atteso il comportamento tenuto nella fase stragiudiziale dal proprio
assicuratore Tizio, al fine di ottenere il giusto ristoro del pregiudizio subito,
inoltra la richiesta risarcitoria anche a Caio, proprietario e conducente del
veicolo investitore, e, dopo aver atteso inutilmente il decorso di sessanta
giorni, decide di incardinare un giudizio.
Nell’ipotesi di sinistro tra due veicoli a motore entrambi identificati,
assicurati ed immatricolati in Italia, l’art. 149, VI comma, Cod. ass. prevede
testualmente che “in caso di comunicazione dei motivi che impediscono il
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risarcimento diretto, ovvero nel caso di mancata comunicazione di offerta o
di diniego di offerta entro i termini previsti dall’articolo 148, o di mancato
accordo, il danneggiato può proporre l’azione diretta di cui all’articolo
145, II comma, nei soli confronti della propria impresa di assicurazione”. Nel caso di specie, tuttavia, essendovi una contestazione in punto di an
debeatur da parte dell’assicurazione del veicolo utilizzato (Alfa Assicurazioni), la proposizione di un giudizio nei soli confronti di quest’ultima senza
la presenza di Caio renderebbe particolarmente gravoso l’accertamento del
fatto storico nonché della responsabilità dei soggetti coinvolti nel sinistro.
Si profila, pertanto, la necessità per Tizio di individuare il soggetto e/o
i soggetti da convenire in giudizio onde poter ottenere l’integrale
risarcimento dei danni patiti.
L’attuale normativa prevede, infatti, diverse possibilità per il danneggiato che intende agire in sede contenziosa:
a) azione aquiliana nei confronti del responsabile del danno ex art.
2054 c.c.;
b) azione ex art. 149, VI comma, Cod. ass. nei confronti dell’assicuratore
che ha stipulato il contratto relativo al veicolo utilizzato, con la presenza o
meno in giudizio del responsabile del danno;
c) azione ex art. 144, I e III comma, Cod. ass. nei confronti del responsabile del danno e dell’assicuratore per la r.c.a. che copre la responsabilità
di quest’ultimo.
STRATEGIE
STRATEGIA A
L’Azione giudiziale esperita nei soli confronti del responsabile
del danno ai sensi dell’art. 2054 c.c.
Tizio potrebbe citare in giudizio il solo responsabile del danno ai sensi
dell’art. 2054 c.c.
Gli artt. 145, II comma, e 149, VI comma, del Codice statuiscono che
nell’ipotesi di sinistro tra due veicoli a motore, entrambi identificati, immatricolati ed assicurati in Italia, il danneggiato, una volta decorso infruttuosamente lo spatium deliberandi, “può” proporre l’azione diretta “nei soli
confronti della propria impresa di assicurazione”. La nuova procedura
di risarcimento diretto, così come la relativa azione diretta, è stata introdot-
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il Risarcimento diretto
ta dal legislatore codificante al fine di fornire alle vittime di sinistri stradali
un ulteriore strumento di tutela finalizzato ad ottenere, in tempi brevi, il
risarcimento dei danni patiti. Il danneggiato continua, comunque, ad essere
legittimato ad esperire tutte le altre azioni previste dall’ordinamento.
D’altronde lo stesso art. 18 della legge n. 990/1969, introduttivo dell’azione diretta nei confronti dell’assicuratore del responsabile del danno, non
escludeva l’esperibilità dell’azione per responsabilità aquiliana nei confronti dei danneggianti (v., ex multis, Cass. 11 giugno 2008, n. 15462). Come
rilevato 35 anni fa nella prima decisione resa dalla S.C. (Cass. 7 giugno
1974, n. 1718) in tema di assicurazione obbligatoria per la r.c.a. l’eventuale
abolizione del principio fondamentale secondo cui il danneggiato da sinistro stradale, a prescindere dall’azione diretta contro l’assicuratore, ha diritto di pretendere il risarcimento dal responsabile del danno ai sensi degli
artt. 2043 c.c. e 2054 c.c. avrebbe richiesto, per l’enorme portata innovativa,
un’espressa statuizione al riguardo. Di recente sempre la Suprema Corte di
Cassazione (Cass. 28 maggio 2007, n. 12376) ha ribadito che “in tema di responsabilità derivante dalla circolazione dei veicoli a motore la vittima può
esperire sia l’azione ex art. 2054 c.c. nei confronti dei soggetti responsabili
indicati da tale norma, e, quindi, del conducente del mezzo, nonché di uno
dei responsabili di cui al III comma di detta norma, sia l’azione diretta nei
confronti dell’assicuratore ex art. 18 L. n. 990/69 (ed ora ai sensi dell’art.
144 del D.lvo n. 209 del 2005)” (v. anche, in senso conforme, Cass. 8 giugno 2007, n. 13537; Cass. 12 maggio 2005, n. 10017; Cass. 16 ottobre 2001,
n. 12612; Cass. 13 marzo 1996, n. 2056; Cass. 1° giugno 1995, n. 6128). Di
certo non è contestabile il fatto che la vittima di un sinistro stradale sia
astrattamente titolare di una duplicità di azioni, autonome e cumulabili,
vale a dire proponibili separatamente, come pure cumulativamente, entrambe di natura extracontrattuale e nascenti dal medesimo fatto illecito di
circolazione, ovverosia quella esperibile ai sensi dell’art. 144, I comma, del
Cod. ass., e quella proponibile ex art. 2054 c.c. (Cass. 16 ottobre 2001, n.
12612; Cass. 18 maggio 2001, n. 6824; Cass. 12 febbraio 1998, n. 1471; Cass.
3 maggio 1990, n. 3634).
Stante la medesima ratio posta alla base dell’azione diretta ex art. 144 e
di quella prevista dall’art. 149 Cod. ass., tali principi debbono trovare applicazione anche in caso di sinistro rientrante nell’ambito di applicazione della
procedura di risarcimento diretto. In ragione di ciò la dottrina maggioritaria [Bugiolacchi, Procedura di risarcimento «diretto»: dai dubbi interpretativi alla disapplicazione del nuovo sistema?, in Resp. civ. e prev. 2008, 633;
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Gallone, Commento sub artt. 141 e 149 del Cod. ass., in Commentario al
Codice delle Assicurazioni – Tutela Legale, Piacenza, 2008, 352 e 609; Sella
e Negro, L’infortunistica stradale. Responsabilità, assicurazione, risarcimento, Torino, 2008, 210; Rossetti, Le assicurazioni. L’assicurazione nei codici,
le assicurazioni obbligatorie, l’intermediazione assicurativa, a cura di La
Torre, Milano, 2007, 837; Cassano, Codice delle assicurazioni, Milano, 2006,
149], sin dall’emanazione del D.lvo 7 settembre 2005, n. 209, ha ritenuto che
l’art. 149, ai sensi del quale, nelle ipotesi legislativamente previste,
l’eventuale giudizio “può” essere promosso dal danneggiato “nei soli
confronti della propria impresa di assicurazione”, non ha abrogato
l’azione aquiliana di cui all’art. 2054 c.c.
I limiti imposti dalla legge delega al Codice delle Assicurazioni (v. art. 4,
I comma, lett. a) e b), della l. n. 229/2003) non consentivano, infatti, al legislatore di escludere le azioni già precedentemente previste dall’ordinamento in favore del danneggiato; come correttamente evidenziato dalla miglior
dottrina [Peccenini, Guida breve alla nuova disciplina dell’assicurazione della r.c.a, Padova, 2006, 59] si configurerebbe una grave e palese violazione
degli artt. 3, 24 e 76 Cost. se al danneggiato, qualora ricorressero i requisiti
per l’applicazione della procedura di risarcimento diretto, fosse preclusa la
facoltà di promuovere un giudizio risarcitorio nei confronti del responsabile del danno ex art. 2054 c.c., obbligandolo a convenire in giudizio il solo
istituto assicuratore del veicolo utilizzato. Questa interpretazione del dettato normativo è stata di recente accolta dalla stessa Corte Costituzionale la
quale, chiamata ad esaminare la conformità degli artt. 149 e 150 Cod. ass. in
relazione agli artt. 3, 24 e 76 della Costituzione ha ribadito, con le ordinanze n. 441 del 23 dicembre 2008 e n. 180 del 19 giugno 2009, che i Giudici
hanno l’obbligo di interpretare in maniera costituzionalmente orientata le
norme sospettate di illegittimità: le disposizioni introdotte dal Codice delle
Assicurazioni si limitano “a rafforzare la posizione dell’assicurato rimasto
danneggiato, considerato soggetto debole, legittimandolo ad agire direttamente nei confronti della propria compagnia assicuratrice, senza peraltro
togliergli la possibilità di fare valere i suoi diritti secondo i principi
della responsabilità civile dell’autore del fatto dannoso” (per un’applicazione di tale principio nella giurisprudenza di merito si veda G.d.p.
Frosinone 11 marzo 2008, in Arch. Giur. Circ. e Sin. 2008, 548; Trib. Torino
11 ottobre 2007, in Arch. Giur. Circ. e Sin. 2008, 65; Trib. Santa Maria Capua
Vetere 22 agosto 2007, in Resp. e ris 2007, 9, 50). Una simile interpretazione
“rafforza”, infatti, la posizione del “soggetto debole”, ponendosi in armonia
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il Risarcimento diretto
con i principi costituzionali e con la normativa comunitaria [Calò, Brevi
note in tema di procedure risarcitorie, “azioni dirette” ed azione aquiliana
ex art. 2054 c.c., in Arch. Giur. Circ. e Sin. 2008, 1061].
Tornando, quindi, al caso prospettato, la prima strategia processuale
attuabile potrebbe essere proprio quella di convenire nel giudizio
risarcitorio esclusivamente il responsabile del danno Caio ai sensi
dell’art. 2054 c.c.
Secondo un principio costantemente affermato dalla Suprema Corte
(Cass. 31 maggio 2006, n. 13019; Cass. 13 febbraio 1998, n. 1561), le dichiarazioni contenute nel modulo a firma congiunta costituiscono una confessione stragiudiziale che produce i suoi effetti tipici solo nei limiti in cui vengano fatte valere in una controversia in cui siano parti in senso processuale
quegli stessi soggetti che furono l’autore ed il destinatario della dichiarazione. In assenza del responsabile il modulo a firma congiunta non
avrebbe valenza assoluta ed incontestabile all’interno del giudizio,
essendo liberamente valutabile dal giudice al pari di qualsiasi altra
prova acquisita al processo (Cass. 25 marzo 1999, n. 2819; Cass. 23 gennaio 1997, n. 689; Cass. 2 aprile 1996, n. 3055).
A questo punto, notificato l’atto di citazione, potrebbero profilarsi tre
differenti scenari processuali:
1) Stante il chiaro disposto dei commi II e IV dell’art. 1917 c.c., che conferiscono all’assicurato il diritto di chiamare in causa il proprio assicuratore
per ivi sentirlo condannare al pagamento “diretto” in favore del danneggiato, e ciò anche in assenza di una sua specifica richiesta (Cass. 9 agosto
2003, n. 12049; Cass. 24 aprile 2001, n. 6026), Caio potrebbe costituirsi
in giudizio e, ammettendo la propria responsabilità, chiedere di essere autorizzato dal Giudice, ai sensi dell’art. 106 c.p.c., a chiamare
in garanzia l’impresa con il quale ha stipulato il contratto obbligatorio al fine di essere tenuto indenne da ogni pretesa avanzata dal
danneggiato nei suoi confronti (cfr. Cass. 20 febbraio 1998, n. 1784).
In tal caso il responsabile-assicurato ha diritto di far valere la garanzia nei
confronti dell’unico soggetto al quale è legato da un vincolo contrattuale,
vale a dire il proprio assicuratore per la r.c.a. Beta Assicurazioni; tra l’altro
Caio, confidando nella promessa di un servizio migliore rispetto a quello
offerto da altri assicuratori, ha operato la scelta di assicurarsi con la Società
Alfa Assicurazioni alla quale corrisponde un premio elevato che, però, è
commisurato alla prestazione posta a carico della compagnia.
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Il risarcimento e la liquidazione del danno nella R.C.A.
Per quanto riguarda l’operatività dell’istituto del litisconsorzio necessario di cui all’art. 144, III comma, del t.u., se il danneggiato esperisce l’azione
esclusivamente nei confronti del danneggiante, e questi chiama in causa
per il rapporto di garanzia il proprio assicuratore, non si verifica l’ipotesi
di litisconsorzio processuale, né si aggiunge all’originaria azione di responsabilità aquiliana l’azione diretta contro l’assicuratore (Cass. 24 aprile 2001,
n. 6026).
2) Caio, convenuto in giudizio, potrebbe decidere di accettare il
contraddittorio senza chiamare in garanzia la compagnia di assicurazione presso il quale ha stipulato il contratto per la r.c. auto. Una
simile evenienza potrebbe verificarsi, ad esempio, nel caso in cui il danneggiante, ritenendo che il danno provocato sia di modesta entità, riconosca la
propria responsabilità al fine di non subire l’aumento del premio assicurativo derivante dall’operatività di una clausola bonus malus. In tal caso Caio si
difenderebbe in maniera autonoma con tutte le relative conseguenze, e ciò
sia in ordine alla propria responsabilità che alle obbligazioni risarcitorie a
questa conseguenziali [Colombini, Il risarcimento del danno nel Codice delle
Assicurazioni, in Arch. Giur. Circ. e Sin. 2007, 765].
3) Caio, infine, potrebbe decidere di non partecipare al giudizio
a mezzo di un proprio difensore, affidandosi alla propria compagnia
di assicurazione: questa dovrebbe costituirsi in giudizio assumendosi l’onere di difendere il proprio assicurato in virtù del patto di gestione della lite sottoscritto al momento della stipula del contratto
di assicurazione. L’effettivo comportamento dell’impresa potrebbe, però,
essere quello di non costituirsi per sottrarsi alle conseguenze, oppure per
ottenere i benefici, derivanti dai vincoli dalla stessa assunti con la sottoscrizione della Convezione tra assicuratori per il risarcimento diretto (CARD),
stipulata in attuazione dell’art. 13 del D.p.r. 18 luglio 2006, n. 254 [Gallone,
Commento sub art. 149 del Cod. ass., in Commentario al Codice delle Assicurazioni – R.C.A. e Tutela Legale, II ed., Piacenza, 2009]. La norma operativa allegata all’art. 20 della CARD dispone, infatti, che nel momento in cui
l’assicuratore del responsabile del danno viene a conoscenza che il proprio
assicurato è stato citato in giudizio ex art. 2054 c.c. può non assumerne
la difesa, ma se informa l’altro assicuratore non dovrà sopportare tutti i
costi conseguenti all’esito negativo del giudizio ma soltanto il pagamento
dell’importo corrispondente al forfait di competenza. L’impresa gestionaria,
una volta informata della pendenza della causa, interverrà in giudizio, costituendosi, se lo ritiene opportuno, anche per il danneggiante-convenuto.
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il Risarcimento diretto
Qualora, infatti, non intervenisse, i costi subiti dalla compagnia del responsabile del danno per quanto risarcito al danneggiato, ivi comprese le spese
di assistenza legale di quest’ultimo e le spese di resistenza, le verrebbero
integralmente addebitati fuori stanza di compensazione, al netto dell’importo del forfait di competenza che avrebbe sostenuto l’assicuratore del
responsabile del danno in assenza di contenzioso, così come previsto dalla
norma operativa allegata all’art. 20 della CARD.
Gli effetti del “nuovo sistema” sarebbero, quindi, quelli di porre il danneggiante, regolarmente assicurato, nella condizione di rimanere contumace, ovvero di vedersi difeso da un’impresa assicuratrice, quella gestionaria,
alla quale non è legato da alcun tipo di rapporto. Tra l’altro, nel caso di
specie, il responsabile-assicurato Caio, confidando nella promessa di un
servizio migliore, aveva proprio evitato di assicurarsi con la Società Beta
Assicurazioni, ed aveva operato la scelta di assicurarsi con la Società Alfa
Assicurazioni, corrispondendo un premio più elevato rispetto a quello richiesto dalla Società Alfa, ma commisurato alla prestazione posta a carico
della compagnia.
Nulla quaestio qualora si verifichi l’ipotesi prospettata al punto 1).
Con la costituzione di Caio, e la contestuale chiamata in garanzia della
Beta Assicurazioni ex art. 106 c.p.c., il giudizio risarcitorio proseguirebbe
non solo nei confronti di Caio ma anche della compagnia di assicurazione
che copre la responsabilità di quest’ultimo; all’interno del processo verrebbe, quindi, accertata, attraverso le ammissioni di Caio effettuate all’atto della
sua costituzione in giudizio ed al momento della redazione della denuncia
di sinistro nella fase stragiudiziale, la responsabilità dell’autore dell’illecito quale presupposto necessario per la sua condanna al risarcimento del
danno cagionato e per la conseguente operatività della manleva da parte
dell’assicuratore in virtù del rapporto contrattuale. Per ciò che attiene all’efficacia probatoria del modulo di denuncia di sinistro congiuntamente sottoscritto da Tizio e da Caio il II comma dell’art. 143 del Cod. ass. testualmente
afferma che “quando il modulo sia firmato congiuntamente da entrambi i
conducenti coinvolti nel sinistro si presume, salvo prova contraria da parte
dell’impresa di assicurazione, che il sinistro si sia verificato nelle circostanze, con le modalità e con le conseguenze risultanti dal modulo stesso”. Tale
disposizione, come statuito dalla Corte di Cassazione, attribuisce “al modulo
di constatazione amichevole firmato da entrambi i conducenti coinvolti nel
sinistro l’efficacia di “prova legale” nei confronti dell’assicuratore: la stessa
può essere vinta solo dalla prova contraria, che quest’ultimo ha l’onere di
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Il risarcimento e la liquidazione del danno nella R.C.A.
fornire” (cfr. Cass. 16 aprile 1997, n. 3276). In subiecta materia il legislatore
ha introdotto una presunzione iuris tantum di veridicità di quanto descritto
nel documento, estendendo gli effetti probatori dello stesso anche all’assicuratore (v. G.d.P. Torino 9 luglio 2002, in Giur. mer. 2003, 699; Pret. Catania
4 dicembre 1995, in Arch. Giur. circ. e sin. 1996, 223; Trib. Cosenza 7 giugno 1988, in Arch. Giur. circ. e sin. 1989, 710). In tal modo la dichiarazione
compiuta dai due sottoscrittori cancella la rilevanza della presunzione di
concorso di cui al II comma dell’art. 2054 c.c., e tale circostanza è superabile esclusivamente attraverso la prova contraria che il sinistro non si è in
realtà verificato, o si è verificato con circostanze, modalità e conseguenze
diverse da quelle descritte, prova che può essere offerta solo dagli istituti
assicuratori, e ciò al fine di evitare frodi o truffe ai loro danni (Cass. 12
luglio 2005, n. 14599; Cass. 22 marzo 2005, n. 6149; Cass. 4 marzo 2005,
n. 4761). A questo punto, visto che nel giudizio Tizio ha depositato il modulo di denuncia a firma congiunta, la compagnia che si è costituita deve
provare la non veridicità delle dichiarazioni contenute nello stesso. Non è,
però, sufficiente che l’assicuratore si limiti a contestare in maniera generica
le dichiarazioni rese nel modulo dai conducenti, non costituendo una tale
contestazione un mezzo di prova idoneo a superare la presunzione iuris
tantum (Cass. 21 febbraio 2003, n. 2659; G.d.p. Torino 17 luglio 2002, AGCS
02, 866; G.d.p. Torino 19 agosto 1998, Giur. mer 99, 979). Qualora l’assicuratore decidesse di difendersi sostenendo che vi è incompatibilità tra i
danni lamentati dall’attore e la dinamica del sinistro descritta nel modulo di
denuncia di sinistro potrebbe chiedere al giudice di disporre la nomina di
un consulente tecnico d’ufficio. Trattandosi di un mezzo istruttorio affidato
al prudente apprezzamento del giudice del merito quest’ultimo potrebbe
decidere di non procedere alla nomina qualora rilevasse che l’accertamento
del consulente tecnico d’ufficio è stato invocato dall’assicuratore per sottrarsi all’onere probatorio cui è tenuta la parte, attenendo l’indagine peritale
unicamente alla valutazione dell’oggetto della prova che deve essere fornita
dal soggetto gravato dal relativo onere ex art. 2697 c.c. (Cass. 14 febbraio
2006, n. 3191; Cass. 4 novembre 2002, n. 15399; Cass. 10 dicembre 2002,
n. 17555). L’attore, qualora la Società convenuta dovesse tendere attraverso
la sua richiesta a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero a compiere un’attività esplorativa che miri a ricercare
elementi, fatti o circostanze non provati (Cass. 6 aprile 2005, n. 7097), si
opporrà alla nomina del consulente tecnico d’ufficio.
La possibilità che effettivamente si verifichi l’ipotesi sub 2) – costituzio-
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il Risarcimento diretto
ne di Caio senza chiamata in garanzia di Beta Assicurazioni – sembra,
invece, doversi ritenere più che marginale. A ben vedere, infatti, appare
maggiormente plausibile che Caio, una volta costituitosi in giudizio, decida
di chiamare in garanzia l’istituto assicurativo che copre la sua responsabilità (Beta Assicurazioni) avvalendosi del patto di gestione della lite, parte
integrante dei servizi assicurativi per i quali lo stesso ha pagato un importo
a titolo di premio.
A meno che Caio non intenda negare la propria responsabilità, e ciò
provando che le affermazioni contenute nel modulo di denuncia ex art.
143, II comma, del t.u. non siano rispondenti a verità, ad esempio perché rilasciate per errore di fatto, oppure estorte da Tizio il quale abbia manifestato un comportamento violento nei suoi confronti subito dopo il verificarsi
del sinistro, ovverosia in un momento in cui lo stesso si trovava in stato di
agitazione. Tutte queste circostanze dovranno, però, essere rigorosamente
provate.
Giova, infatti, precisare come il sottoscrittore di un modulo non può
modificare o integrare le risultanze che si ricavano dall’esame dello stesso
con successive dichiarazioni o prove di contenuto difforme da quanto è stato rappresentato (G.d.p. Torino 24 ottobre 2000, in Arch. Giur. Circ. e Sin.
2001, 210). A Caio non è neppure consentita la proposizione della querela
di falso (Trib. Matera, 17 marzo 1993, in Inf. prev. 1993, 418). La confessione
è, invero, dotata di efficacia vincolante sia nei confronti della parte che l’ha
resa, alla quale non è riconosciuta alcuna facoltà di prova contraria, sia nei
confronti del giudice che, a sua volta, non può accertare diversamente il fatto confessato (Cass. 10 agosto 2000, n. 10581). Anche la prova testimoniale
diretta a contrastare le risultanze delle dichiarazioni rese dal confitente è
inammissibile poiché la confessione rende prive di ogni valore probatorio
tutte le prove contrarie derivanti da testimonianze, presunzioni, documenti,
ecc. (v., tra le tante, Cass. 20 marzo 2001, n. 3975; Cass. 22 gennaio 1990, n.
328). Caio non può, pertanto, ritrattare la confessione adducendo, attraverso altri mezzi di prova, la verità di fatti contrari a quelli oggetto della stessa:
la revoca è, infatti, ammessa solo nei casi tassativamente previsti e nei limiti
consentiti dalla legge (G.d.p. Torino 13 aprile 1999, in Giur. mer. 1999, 979;
Cass. 10 febbraio 1995, n. 1483; Cass. 3 febbraio 1995 n. 1309). In una simile ipotesi, quindi, Caio risulterebbe totalmente vincolato alle dichiarazioni
da lui rilasciate e riportate nel modulo di denuncia sottoscritto da lui e da
Tizio, salva la possibilità di provare che le stesse siano state rilasciate per
errore di fatto ovvero estorte con la violenza.
39
Il risarcimento e la liquidazione del danno nella R.C.A.
Qualora, infine, si verificasse l’ipotesi sub 3), con la contumacia di
Caio senza l’intervento dell’impresa gestionaria, il modulo di denuncia a firma congiunta potrebbe essere ritenuto dal giudice insufficiente a
provare il fatto storico in quanto la contumacia del convenuto non introduce deroghe al principio dell’onere della prova, né consente allo stesso
di ritenere pacifici e non controversi i fatti dedotti, ma non provati dall’attore (si pensi, ad esempio, alla circostanza dell’effettiva provenienza delle
dichiarazioni da parte del soggetto che ha sottoscritto il modulo) (Cass. 19
agosto 2003, n. 12184; Cass. 11 luglio 2003, n. 10947). In caso di contumacia, non essendo escluso il potere-dovere del giudice di accertare se da
parte dell’attore sia stata fornita dimostrazione probatoria dei fatti costitutivi
e giustificativi della pretesa, sarà, quindi, onere di Tizio deferire l’interrogatorio formale nei confronti di Caio sulle circostanze attinenti alla redazione
e sottoscrizione del modulo.
Tizio potrebbe, però, dubitare della solvibilità del convenuto per fatti sopravvenuti, ivi compresa la sua contumacia; di conseguenza l’attore
avrebbe interesse a formulare la domanda di risarcimento danni anche nei
confronti dell’assicuratore del convenuto contumace.
Il giudice, a seguito della presentazione di un’istanza nel corso della
prima udienza da parte del difensore di Tizio, potrà, attesa la sussistenza
di una comunanza di causa tra il responsabile civile ed il suo assicuratore
per la r.c.a., ordinare l’intervento della società assicuratrice di Caio ai sensi
dell’art. 107 c.p.c. (Cass. 14 giugno 2007, n. 13955; Cass. 29 novembre 1985
n. 5928).
A tal fine è utile riportare il principio di diritto recentemente ribadito
dalla S.C. (Cass. 22 febbraio 2008, n. 4593), secondo la quale “nel giudizio
promosso dal danneggiato nei confronti del danneggiante-assicurato con
azione risarcitoria in relazione ad incidente stradale, deve riconoscersi al
giudice di primo grado, in applicazione dell’art. 107 c.p.c., il potere di ordinare l’intervento dell’impresa assicuratrice del responsabile civile, sia al
fine di un’eventuale estensione nei suoi confronti della domanda attrice, sia
in relazione all’eventuale pretesa del convenuto di trasferire a suo carico le
conseguenze della propria soccombenza verso il danneggiato, atteso che,
nella particolare disciplina dell’assicurazione obbligatoria introdotta dalla l.
24 dicembre 1969, n. 990, la stretta connessione del rapporto risarcitorio e
del rapporto assicurativo comporta una situazione di comunanza di causa,
giustificativa della suddetta chiamata iussu iudicis, anche in relazione ad
un interesse generale di economia processuale e di evitare la possibilità di
40
il Risarcimento diretto
giudicati contrastanti” (nello stesso senso si veda G.d. P. Roma 14 febbraio
2008, in Arch. Giur. Circ. e Sin. 2008, 1056). Si tratta di una soluzione compatibile con il prioritario interesse di ordine pubblico di attuare l’economia
dei giudizi, nonché di evitare la creazione di giudicati contrastanti che possono insorgere quando vengono decise separatamente cause caratterizzate
da elementi comuni. Giova, infatti, rilevare come la generale tendenza desumibile dai principi informatori delle leggi speciali in materia di r.c.a. sia
proprio quella di favorire la concentrazione, in un unico contesto processuale, della trattazione dei problemi connessi al rapporto risarcitorio (assicuratore-danneggiato) ed al rapporto indennitario (assicuratore-assicurato)
(Cass. 14 giugno 2007, n. 13955).
Qualora il giudice non disponesse la chiamata dell’assicuratore, ex art.
107 c.p.c., Tizio dovrebbe attendere la conclusione del giudizio instaurato
nei confronti di Caio, e la sentenza di condanna emessa nei soli confronti
del responsabile civile potrebbe consentire a Tizio di ottenere il risarcimento del danno dall’assicuratore di Caio: secondo la S.C. (Cass. 12 maggio
2005, n. 10017; Cass. 16 gennaio 2001, n. 12612) la sentenza di condanna al
risarcimento del danno emessa nei confronti di Caio potrebbe avere “efficacia riflessa” nei confronti dell’assicuratore per ciò che concerne la sussistenza dell’obbligo risarcitorio dell’autore dell’illecito e del correlativo debito.
In alternativa Tizio, una volta conclusosi positivamente il giudizio volto
ad ottenere la condanna di Caio, qualora il credito non venisse soddisfatto a
seguito dell’insolvenza di quest’ultimo, potrebbe proporre successivamente
l’azione diretta nei confronti del suo istituto assicuratore; in tale secondo
giudizio Tizio dovrà, però, chiedere l’accertamento della responsabilità di
Caio e la condanna della sola Beta Assicurazioni, non essendo possibile
richiedere, anche in tale causa, la condanna di Caio senza violare il fondamentale principio del ne bis in idem (Cass. 28 maggio 2007, n. 12376).
Nel diverso caso in cui Caio rimanga contumace ma intervenga
volontariamente l’impresa gestionaria, Tizio deferirà l’interrogatorio
formale del convenuto, Caio, a conferma della redazione e sottoscrizione
del modulo di denuncia depositato in giudizio.
In tale ipotesi sarà onere dell’impresa gestionaria fornire la prova contraria prevista dal II comma dell’art. 143 del Cod. ass. (relativamente al
contenuto della prova contraria si veda quanto indicato nella STRATEGIA B
a pag. 46; in caso contrario, le dichiarazioni contenute nel modulo avranno
l’efficacia di prova legale anche nei confronti dell’assicuratore.
41
Il risarcimento e la liquidazione del danno nella R.C.A.
COMPETENZA
Le controversie aventi ad oggetto il “risarcimento del danno prodotto
dalla circolazione di veicoli e di natanti” rientrano nella competenza del Giudice di Pace qualora la causa abbia un valore non superiore
all’importo di € 20.000,00; ciò in quanto la Legge 18 giugno 2009, n.
69, recante “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività, nonché in materia di processo civile”, modificando l’art. 7, II
comma, c.p.c., ha elevato per tale tipo di controversie la competenza per
valore del giudice di pace da € 15.493,71 ad € 20.000,00. Nell’ipotesi in
cui il valore della stessa esorbiti, invece, tale limite, la competenza spetterà
al Tribunale in composizione monocratica.
Secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. 18 gennaio 2005, n. 899;
Cass. 11 dicembre 2000, n. 15573; Cass. 18 aprile 2000, n. 5033) la competenza in esame rappresenta una competenza per materia con un limite di
valore. Una nozione normativa di circolazione è rinvenibile nell’art. 3, n.
9, del C.d.S. il quale definisce la stessa quale movimento, fermata e sosta
dei pedoni, dei veicoli e degli animali sulla strada. Esiste, comunque, una
sostanziale uniformità tra questa nozione di circolazione stradale e quella
elaborata, a partire dalla metà del secolo scorso, dalla giurisprudenza e
dalla dottrina in relazione all’art. 2054 c.c. (Cass. 9 gennaio 2009, n. 316;
Cass. 22 maggio 2008, n. 13239; Cass. 31 marzo 2008, n. 8305; Cass. 6
febbraio 2004, n. 2302; Cass. 9 maggio 2003, n. 7767). L’unica differenza
attiene al regime spaziale: secondo la S.C. (Cass. 1 agosto 2008, n. 20946)
la regola della competenza per materia è applicabile anche nel caso di
circolazione avvenuta su strada o su area privata. Secondo un orientamento minoritario (Cass. 23 gennaio 2002, n. 746; Cass. 11 gennaio 2000,
n. 15573), ai fini della competenza per materia con un limite di valore, la
circostanza che non sia applicabile l’art. 2054 c.c. non importa, di per sé,
che il danno in questione non possa rientrare nella nozione di danno prodotto dalla circolazione di veicoli. Seguendo tale pensiero i fatti prodotti
dalla circolazione non si esaurirebbero nell’ambito delle ipotesi contemplate dall’art. 2054 c.c., comprendendo anche le azioni civili promosse in
forza dell’art. 2043 c.c. L’art. 7 c.p.c. non opera alcuna distinzione tra le
varie tipologie di veicoli e di natanti; di conseguenza la norma si riferisce
ad ogni tipo di veicolo e, quindi, anche a quelli viaggianti su rotaie (Cass.
28 marzo 2006, n. 7072).
Per ciò che concerne, poi, il giudice territorialmente competente a
conoscere della causa promossa da Tizio nei confronti di Caio si dovrà fare
42
il Risarcimento diretto
esclusivo riferimento alla disciplina codicistica, ed in particolare a quanto
statuito dagli artt. 18 e 20 c.p.c.
Pertanto la causa potrebbe essere instaurata:
1) presso il giudice del luogo in cui Caio ha il domicilio o la residenza,
ovvero, se questi sono sconosciuti, quello del luogo dove questi ha la dimora. Nel caso in cui Caio non avesse residenza, né domicilio né dimora
nella Repubblica, ovvero se la sua dimora fosse sconosciuta, la causa potrà
essere incardinata presso il giudice del luogo ove risiede l’attore Tizio (art.
18 c.p.c.);
2) presso il giudice del luogo in cui è sorta l’obbligazione da fatto illecito dedotta in giudizio, ovverosia il luogo ove si è verificato il sinistro
stradale (c.d. forum commissi delicti, art. 20 c.p.c.).
SCADENZE
Trattandosi di un fatto illecito derivante dalla circolazione dei veicoli
il diritto al risarcimento del danno si prescrive in due anni, secondo
quanto previsto dall’art. 2947, II comma, c.c.
Qualora il conducente-proprietario non responsabile di un sinistro rientrante nell’ambito applicativo della procedura di risarcimento diretto abbia
anche riportato un danno alla persona di lieve entità (art. 139 del Cod.
ass.), ed il fatto illecito integri astrattamente gli estremi del reato di lesioni
colpose di cui all’art. 590 c.p., il diritto ad ottenere il risarcimento del danno si prescriverà in cinque anni dal verificarsi dell’incidente, ai sensi del
III comma dell’art. 2947 c.c. Questo prevede che “se il fatto è considerato
dalla legge come reato, e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga,
questa si applica anche all’azione civile”, e ciò a prescindere dalla presentazione di una querela nei confronti dell’autore materiale dell’illecito (Cass.
S.U. 18 novembre 2008, n. 27337).
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