scarica il PDF

Transcript

scarica il PDF
Strumenti
strumenti cres n.59 – supplemento al n. 478 di manitese – giugno 2012
spunti di riflessione
proposte educative
03 Il TFA:
la corsa
all'abilitazione
e il pantano
della formazione
10 La proposta
formativa
di Mani Tese Cres
a cura della redazione
di Gianluca Bocchinfuso
06 Speriamo
che sia dislessico!
di Carlo Petitti
59
parole, musiche,
immagini
34 Gelem Gelem:
il lungo cammino
delle genti Rom
a cura di Anna Di Sapio
38 Conversazioni
sull'educazione
(Z. Bauman)
Poste italiane s.p.a. - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1 comma 2. LO/MI
in caso di mancato recapito inviare al CMP Roserio per la restituzione al mittente che si impegna a corrispondere i diritti postali.
a cura di Elisabetta Assorbi
12 dossier
Né pubblico né privato
Riappropriamoci dei beni comuni
Strumenti_59.indd 1
38 Venivamo tutte
per mare
(J. Otsuka)
a cura di Elena La Rocca
40 Riprendiamoci
la scuola
(A. Corlazzoli)
a cura di Gianluca Bocchinfuso
40 22° Edizione
del Festival Cinema
Africano, Asia
e America Latina
a cura di A. di Sapio e Shara Ponti
44 Cinema e didattica.
Sguardi interculturali
(C. Bargellini e altri)
segnalazioni
45 Segnalazioni
bibliografiche
46 Le nostre
pubblicazioni
18/05/12 16.05
Né pubblico né privato – editoriale
Partire dalla scuola
Il dossier di questo numero è dedicato ai beni comuni. La scuola,
nella mente dei padri costituenti, si era configurata come un
bene collettivo per la fruizione del quale lo Stato era chiamato
a destinare le necessarie risorse. È ciò che avvenne nei decenni
successivi al Secondo dopoguerra, durante i quali le istituzioni
s'impegnarono a rimuovere gli ostacoli che impedivano alla
generazione del boom economico di cogliere l'opportunità di
studiare, acculturarsi ed elevarsi socialmente. Fu quella una
stagione di fermento, alimentata da idee innovative da cui
scaturì un rinnovamento che durò fino agli anni '80.
Si trattò di un coinvolgente processo di riforme che ebbe l'ultimo sussulto negli anni '90, quando –con il tentativo di riordino
dei Cicli promosso dai ministri Berlinguer/De Mauro– si cercò
di intersecare le Educazioni (pace, sviluppo, intercultura,
ambiente) con l'interdisciplinarità dei saperi, che andavano
acquisiti non attraverso un ripetitivo accumulo dei contenuti,
bensì mediante un organico ampliamento delle competenze
maturate con il graduale sviluppo degli stili cognitivi degli allievi dai 5 ai 16 anni di età. A questa preparazione di base, comune
a tutti, sarebbero poi seguiti i tre anni di approfondimento
specialistico degli studi pre-universitari.
La Moratti, dopo aver sospeso il Decreto attuativo di quel Disegno di legge già votato in Parlamento, si lanciò in una sistematica opera di demolizione che è stata coerentemente proseguita
dalla Gelmini. L'esito degli interventi governativi è stato
devastante, perché ha prosciugato le risorse delle comunità
scolastiche locali e fiaccato la resistenza dei docenti. Le ragioni
di questa condizione di frustrante impotenza sono molteplici.
Periodico in pdf
Per ricevere il periodico
in formato pdf scrivi a:
[email protected].
un piccolo gesto che permette
di ridurre la nostra impronta
ecologica quotidiana.
Strumenti_59.indd 2
I tagli economici, confermati dal governo Monti, hanno comportato l'aumento medio degli alunni per classe; hanno fatto
scomparire le figure dei facilitatori linguistici e dei mediatori
interculturali; hanno ridotto le ore di sostegno assegnate ai portatori di handicap; hanno cancellato la consulenza psicologica
di cui si avvalevano gli insegnanti per affrontare i problematici
casi di disagio. Tutto ciò ha eroso l'efficacia della relazione
pedagogica.
L'estinzione delle agenzie formative (ex IRRSAE/IRRE) e delle
SISS ha inoltre inaridito i canali istituzionali attraverso cui
si cercava di far transitare i neo-docenti dall'astratto apprendimento universitario al contesto del reale svolgimento delle
lezioni in classe. Il vuoto venutosi a creare ha penalizzato la
riflessione sulla mediazione didattica, che rimane affidata
alla ricerca solitaria e volontaristica dei più caparbi e meno
sfiduciati. I quali, invece di essere professionalmente valorizzati, si sono visti infliggere una serie di provvedimenti che hanno
peggiorato il loro stato giuridico e aggravato la loro condizione
economica: immissione in ruolo con il contagocce, allungamento da 7 a 9 anni degli scatti di livello, blocco del contratto.
Se si aggiunge che la categoria ha subito il prolungamento
dell'età lavorativa e la decurtazione di pensione e liquidazione
con il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo, si
può capire in quale stato di rassegnato immobilismo si trova
attualmente il mondo della scuola. Per venirne fuori occorrerebbe uno scatto d'orgoglio e una mobilitazione di energie che
al momento latitano. Al contrario, continuano ad affiorare i
sintomi di una stagnazione culturale che induce all'angusta
osservanza delle linee-guida tracciate dalle case editrici nei loro
manuali. Questo appiattimento è la spia di una subalternità
intellettuale che –inibendo la rielaborazione contestualizzata
dei curricoli disciplinari– rende gli insegnanti impreparati nel
gestire la negoziazione tra il sapere concettualmente denso
(veicolato dalla parola scritta/parlata) e la comunicazione di
saperi costruiti con l'uso di tecnologie multimediali (attrezzate
per la manipolazione creativa di testi, immagini e animazioni
visivamente appetibili).
Da tempo la società e i nativi digitali ci pongono di fronte alla
sfida di arretrare o stare al passo coi tempi. Come in tutti i
periodi di crisi le scelte sono ardue, ma solo se noi docenti sapremo governare i cambiamenti in atto, riusciremo a
salvaguardare la funzione educativa di una scuola al servizio
dei futuri cittadini. Nell'assolvimento di questo impegnativo
ruolo risiede il valore di bene comune generalmente attribuito
all'istituzione scolastica, ma inadeguatamente perseguito sia
per le colpevoli inadempienze del Ministero, sia perché fa fatica
a emergere un progetto alternativo al modello nostalgicamente
reazionario della Mastrocola.
Michele Crudo
18/05/12 16.05
Strumenticres n.59 – giugno 2012
3
Il Tirocinio Formativo Attivo:
la corsa all'abilitazione
e il pantano della formazione
di Gianluca Bocchinfuso
hanno portato anche alla nascita di diverse
Il mondo della scuola è in fermento per
scuole sperimentali motivando differenti
l'attivazione ufficiale delle procedure di
gruppi di docenti che, trasversalmente, si
accesso al cosiddetto Tirocinio Formativo
interrogavano sul loro “fare scuola” e sulle
Attivo, ultima modalità per conseguire
modalità di apprendimento degli studenti.
l'abilitazione all'insegnamento. OvviaPurtroppo, però, l'Istituzione, lentamente
mente, in questo turbinio sono entrati da
ma inesorabilmente, ha poi trasformato
subito associazioni, sindacati, gruppi che
–confondendole e sovrapponendole– la
si occupano di formazione dei docenti,
parola “formazione” in “aggiornamento”,
attivando salatissimi corsi di preparazione
imprimendo modalità organizzative che
ai quiz di ammissione. Il TFA è un corso di
preparazione all'insegnamento di durata
annuale istituito dalle Università che, dopo
un esame finale, attribuisce il titolo di
abilitazione all'insegnamento in una delle
classi di concorso secondo quanto previsto
dal Decreto Ministeriale n. 39 del 1998,
permettendo la partecipazione ai futuri
Concorsi Ordinari.
Prima di entrare nel merito del nuovo
percorso di reclutamento dei docenti,
facciamo una riflessione-quadro per capire
cos'è, cos'è stata e cosa sarà la formazione
docente in Italia.
Fino agli anni Settanta, la formazione dei
docenti era relegata solo ai saperi disciplinari, conseguiti durante gli studi universitari, da trasferire agli studenti delle classi di
primo e secondo grado in maniera unidirezionale. La materia rimaneva rigidamente
disciplina e gli studenti apprendevano
–secondo i propri mezzi cognitivi e strategifacevano dei docenti soggetti passivi di
ci– le conoscenze e i linguaggi specifici. La
lunghi e noiosi pomeriggi in cui direttori
didattica si limitava alla trasmissione dei
didattici e preside raccontavano pezzi di
contenuti in piena coerenza con la scuola
legislazione scolastica e idee didattiche
gentiliana che ha caratterizzato buona
“ballerine” che non trovavano poi nessun
parte del sistema scolastico repubblicano
riscontro nelle scuole. Anche per gli scarsi
per decenni. Solo negli anni Ottanta e
mezzi, la poca convinzione, la scarsa
Novanta, anche grazie ai fermenti che
motivazione. Erano momenti formali
hanno condizionato l'impianto durante
che regalavano mezzo punto/un punto
il decennio precedente, il Ministero della
per ascendere la graduatoria provinciale
pubblica istruzione ha avviato timidi pere di istituto: gli intenti di chi li proponeva
corsi di formazione docente, proponendo
e di chi li seguiva erano molto lontani
momenti e domande sulle “buone pratiche
dall'obiettivo della formazione, dal mettere
dell'insegnante” e le “buone pratiche dello
sotto la lente di ingrandimento il prostudente”. Questi modesti cambiamenti
Strumenti_59.indd 3
prio modo di insegnare per migliorarsi e
migliorare.
Infatti, noi siamo un paese che non ha
mai realizzato –e difficilmente lo farà– la
formazione come status giuridico di un
docente: uno strumento che possa rendere
il corpo insegnante capace di interpretare
la scuola –e quindi la società– in relazione
alle domande e ai bisogni interni ed esterni.
In questo quadro deformato, il blocco delle
assunzione, i concorsi-lotteria decennali,
l'abbandono definitivo dell'idea di scuola
con ruolo di “ente di formazione” per futuri
docenti, ha creato la figura del “docente
precario” contrapponendo generazioni di
insegnanti e delegando la politica a trovare
una soluzione al sistema.
Da questo confuso e incerto disegno,
nascono le SISS (Scuole di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario) –con
la Legge n. 341 del 1990 resa esecutiva
con Decreto Attuativo il 26 aprile 1998,
prima della Legge 124 del 03 maggio 1999
(Disposizioni urgenti in materia di personale
scolastico) e prima che fossero banditi il
Concorso Ordinario (01 aprile 1999) e i tre
successivi Concorsi Riservati per conseguire l'abilitazione all'insegnamento (OO.MM.
153/1999, 33/2000, 1/2001)– che, nell'idea del Ministero, avrebbero dovuto formare i docenti dopo un biennio di lezioni
universitarie, qualche laboratorio didattico
e un tirocinio nelle scuole. Testualmente,
sono nate per “adeguare la formazione
iniziale dei docenti nel nostro Paese alle
direttive europee, e quindi agli standard formativi che vigono da decenni negli altri Paesi
europei; per far recuperare professionalità al
ruolo docente e quindi fornire una maggiore
preparazione didattica agli insegnanti, poiché i Concorsi e i Corsi Riservati non possono
vantare pretese formative; per effettuare
una programmazione seria sulle assunzioni
del personale docente, al fine di risolvere in
modo definitivo il problema del precariato
18/05/12 16.05
4
Né pubblico né privato – spunti di riflessione
Nella pagina precedente:
Giovanni Gentile
alla sua scrivania.
docente”. Idea lodevole ma praticata in maniera deformata da Nord a Sud perché poggiava sul ruolo centrale delle Università che
hanno chiesto ai futuri docenti per lo più di
rinnovare le loro conoscenze disciplinari a
scapito del lavoro sistematico su didattica,
strategie e metodologie di insegnamentoapprendimento, misurazione-valutazione,
progettazione-programmazione, relazione
didattica ed educativa.
L'abolizione delle SISS –che generalmente
hanno dato il titolo di abilitazione ma hanno fallito sul piano della formazione dei
docenti e del legame scuole-università in
termini di innovazione didattica e funzionale– ha lasciato un vuoto normativo per
conseguire l'abilitazione all'insegnamento
di pari passo con l'inconsistente livello formativo dei docenti. Questo è il punto della
discussione e l'asse centrale del nostro
ragionamento.
Il Tirocinio Formativo Attivo, pur partendo
da intenti su cui difficilmente si può obiettare (riporto dal Decreto del 10 settembre
2012, n. 249, Art. 2, Obiettivi della formazione iniziale degli insegnanti 1. La formazione
iniziale degli insegnanti di cui all'articolo 1
è finalizzata a qualificare e valorizzare la
funzione docente attraverso l'acquisizione di
competenze disciplinari, psico-pedagogiche,
metodologico-didattiche, organizzative e
relazionali necessarie a far raggiungere agli
allievi i risultati di apprendimento previsti
dall'ordinamento vigente. 2. È parte integrante della formazione iniziale dei docenti
l'acquisizione delle competenze necessarie
allo sviluppo e al sostegno dell'autonomia
delle istituzioni scolastiche secondo i principi definiti dal Decreto del Presidente della
Repubblica 8 marzo 1999, n. 275. 3. Le competenze di cui ai commi 1 e 2 costituiscono
il fondamento dell'unitarietà della funzione
docente.), rischia di risultare, a conti fatti,
un ennesimo flop sul piano della formazione e un nuovo sistema di allargamento
dei numeri dei precari da aggiungersi agli
esistenti col rischio di generare una nuova
guerra tra poveri.
Andiamo per punti.
Strumenti_59.indd 4
1
1. L'accesso al Tirocinio Formativo
Attivo. Il prossimo mese di luglio sono
previste le prove di selezione iniziale
che consistono nella somministrazione
di Quiz a risposta multipla –comprensivi anche di domande inerenti
alle competenze sull'uso della lingua
italiana– da cui usciranno i candidati
per la prova scritta e orale, quella che
darà la graduatoria finale per l'accesso
al TFA. L'ammissione a sostenere i quiz
è a pagamento con costi al momento
valutati sui 100-130 euro a persona. Ai
quiz –su cui rimangono grandi riserve
da parte di chi scrive perché difficilmente si può fare una scrematura
obiettiva sul piano delle competenze
e delle conoscenze (un po' come era
accaduto con il concorso di dirigente) con questa modalità– possono
accedere tutti i possessori di titolo di
laurea (laurea del vecchio ordinamento
riconosciuta dal DM 39/98 e degli
eventuali esami richiesti per poter avere accesso all'insegnamento; laurea del
nuovo ordinamento specialistica o magistrale riconosciuta dal DM 22/2005
e degli eventuali crediti formativi per
poter avere accesso all'insegnamento;
diploma Isef, già valido per l'accesso
all'insegnamento di Educazione fisica
per i TFA di Scienze motorie) con la
proliferazione di un vulnus in partenza
che determinerà una nuova guerra
tra precari nel momento in cui non è
stato tenuto presente solo il numero
dei docenti che lavorano nella scuola
e che occupano, a tempo determinato,
le cattedre esistenti. L'ammissione al
TFA avrà cadenza triennale (2012, 2013,
2014) con una ripartizione di numeri
pensata con questa tempistica.
In data 2 marzo 2012, il Ministero ha
fatto sapere che, per la Scuola secondaria
di primo grado, per l'anno accademico
2011/2012, i posti disponibili per le immatricolazioni al TFA sono 4.275, definiti in
ambito regionale per ciascun ateneo; per
la scuola secondaria di secondo grado, le
immatricolazioni sono 15.792. L'accesso
non è previsto, però, per tutte le classi di
concorso ma solo per quelle in cui il Ministero ha riscontrato un reale fabbisogno.
Rimangono ancora questioni aperte per
quanto riguarda i docenti non abilitati che
lavorano dal 2007 e prima, con almeno 360
giorni di servizio, per i quali si sta valutando un corso riservato. Sono temi su cui le
ipotesi sono diverse e ricorrenti.
Ripartizione geografica
REGIONE
Abruzzo
Basilicata
Calabria
Campania
Emilia Romagna
Friuli-Venezia Giulia
Lazio
Liguria
Lombardia
Marche
Molise
Piemonte
Puglia
Sardegna
Sicilia
Toscana
Trentino Alto-Adige
Umbria
Veneto
TFA I
grado
130
60
190
435
298
65
595
80
501
215
80
130
530
140
335
190
66
70
165
TFA II
grado
580
135
685
945
1116
214
2690
187
2306
695
270
320
1770
534
1610
753
87
305
590
18/05/12 16.05
2
2. L'organizzazione del Tirocinio
Formativo Attivo. Dal punto di vista
normativo, i docenti ammessi al TFA
svolgeranno la loro attività su tre piani:
a) insegnamenti di materie psico-pedagogiche e di scienze dell'educazione;
b) tirocinio svolto nelle scuole sotto la
guida di un insegnante tutor, comprendente una fase osservativa e una fase di
insegnamento attivo; c) insegnamenti
di didattiche disciplinari da svolgere in
contesto di laboratorio mirante a stabilire una stretta relazione tra l'approccio
disciplinare e l'approccio didattico.
Per quanto riguarda il “punto c”, nei
laboratori è prevista la collaborazione
tra docenti universitari e tutor.
Chi, come me, conosce l'organizzazione
delle SISS, nota che si ripropone esattamente lo stesso impianto con l'aggiunta
di un tirocinio attivo su cattedra, molto
sfumato con le vecchie SISS e lasciato alla
buona volontà del docente tutor. Non è
dato sapere –questa è stata una delle debolezze delle SISS– in che modo e su quali
protocolli di intesa le scuole e le università
collaboreranno ai fini di un tutoring mirato
che abbia piattaforme didattiche condivise
tra gli istituti e le università, in modo tale
da fornire una buona base metodologica
ai futuri insegnanti abbastanza condivisa.
Una norma, questa del tirocinio, che deve
essere ancora riempita di contenuti e che
rischierà –ancora una volta– di lasciare
carta bianca alle Università e alle scuole
o ai singoli tutor. Sempre dal Decreto del
10 settembre 2012, n. 249, Art. 11, rispetto
al profilo del Docenti tutor, si legge: 1. Per
lo svolgimento delle attività di tirocinio
le facoltà di riferimento si avvalgono di
personale docente e dirigente in servizio nelle
istituzioni scolastiche del sistema nazionale
di istruzione. Ai predetti docenti sono affidati compiti tutoriali, in qualità di: a) tutor
coordinatori; b) tutor dei tirocinanti.
2. Ai tutor coordinatori è affidato il compito
di: a) orientare e gestire i rapporti con i tutor
assegnando gli studenti alle diverse classi e
scuole e formalizzando il progetto di tirocinio dei singoli studenti; b) provvedere alla
formazione del gruppo di studenti attraverso
le attività di tirocinio indiretto e l'esame
dei materiali di documentazione prodotti
dagli studenti nelle attività di tirocinio; c)
supervisionare e valutare le attività del
tirocinio diretto e indiretto; d) seguire le relazioni finali per quanto riguarda le attività
in classe. 3. I tutor dei tirocinanti hanno il
Strumenti_59.indd 5
Strumenticres n.59 – giugno 2012
compito di orientare gli studenti rispetto agli
assetti organizzativi e didattici della scuola
e alle diverse attività e pratiche in classe, di
accompagnare e monitorare l'inserimento
in classe e la gestione diretta dei processi di
insegnamento degli studenti tirocinanti. I
docenti chiamati a svolgere i predetti compiti
sono designati dai coordinatori didattici e
dai dirigenti scolastici preposti alle scuole
iscritte nell'elenco di cui all'articolo 12, tra
i docenti in servizio con contratto a tempo
indeterminato nelle medesime istituzioni e
che ne abbiano fatto domanda.
Quanto dichiarato per Legge, condivisibile
nel merito, difficilmente troverà attuazione
formativa nelle scuole perché queste ultime non sono considerate, ad iniziare dai
soggetti che le vivono, enti di formazione e
di autoformazione. L'esito avvilente e quasi
scontato è che ogni scuola farà da sé senza
una riflessione a monte sulla propria idea
di formazione da coniugare con quanto
dichiarato dal Ministero per Legge.
Un sistema molto lontano da un'idea di formazione che sia realmente la piattaforma
della nuova scuola che possa unire, come
si legge negli slogan del TFA, il “sapere” e il
“saper fare”.
3
3. La valutazione dei docenti. Abbiamo
due momenti: a) la relazione del tirocinio di cui è relatore un docente universitario e correlatore l'insegnante tutor
che ha seguito l'attività di tirocinio; b)
l'esame finale di abilitazione che ha come fulcro centrale la discussione sulla
relazione di tirocinio. Il titolo rilasciato
è appunto il Diploma di abilitazione
all'insegnamento che permetterà la
partecipazione ai futuri concorsi ordinari. Domanda: quali sono i criteri che
permetteranno di valutare il tirocinio
del docente? Quale organismo interno
o esterno misura –e quindi successivamente valuta– i progressi/regressi
in itinere del docente? Il tirocinio dei
futuri docenti abilitati sarà uguale tra
chi non è mai entrato in una classe e
chi è precario senza abilitazione da
anni? Che ruolo avranno i docenti delle
scuole ospitanti il tirocinio rispetto ai
docenti in formazione? O sarà tutto
relegato ai tutor? Nasceranno apposite
Commissioni formazione docente di
cui non c'è traccia e di cui non si parla?
Chi sarà il garante del tirocinio: il tutor
o la scuola in cui il tutor insegna?
4
5
4. Formazione e abilitazione. Due
parole-chiave che, invece di essere
connubio di una buona scuola, arrivano sempre a cozzare tra di loro con
la seconda che prende il sopravvento
sulla prima. Perché alla fine è il pezzo
di carta che conta.
Il TFA, abbiamo già detto, parte da una
base condivisibile, ma andando a leggere tra le righe non convince perché
non ha un'offerta omogenea e perché
l'Università rischia di avere una preponderanza dominante, a favore delle
discipline e a scapito delle materie. Si
registra, inoltre, uno scarto condannabile tra la formazione disciplinare,
come detto preminente, e quella
didattica, pedagogica e relazionali della
professione docente.
I colleghi che in questi mesi sono
impegnati su questo nuovo fronte
sanno benissimo che la loro è una corsa
che decidono di fare per avere il titolo
abilitante. La motivazione legata ad un
vero e monitorato percorso di formazione “in ingresso” rimane sullo sfondo
anche se nessuno lo ammette. L'energia è tutta per uno studio mnemonico
immediato con obiettivo i quiz per poi
sperare che, il sistema di punti su punti,
dia la possibilità di accedere al tirocini.
Una lotteria che rischia di bocciare in
partenza il ministero, le università e le
scuole come soggetti ufficiali di tutto
questo piano di reclutamento. In più,
la distonia che il TFA apre solo alla
partecipazione ad un futuro Concorso
ma non all'accesso alle Graduatorie
permanenti degli abilitati rimane un
fatto da chiarire.
Ancora una volta, le grandi questioni relative alla scuola rimangono sullo sfondo. Non
si può pensare che le scuole e le università –
così come sono strutturate e pensate– siano
garanti di una vera formazione didattica e
metodologica. Lo saranno sicuramente sul
piano di quella disciplinare ma la disciplina,
lo sappiamo tutti, è e rimane, “sapere”. Se
non diventa materia, cioè “sapere insegnato”,
non si può parlare di scuola, della buona relazione tra insegnamento e apprendimento.
Farlo è un errore di partenza che, ancora
una volta, la scuola italiana non merita.
Soprattutto i tanti futuri docenti a cui si
rischia di vendere una rinnovata illusione
professionale.
18/05/12 16.05
6
Né pubblico né privato – spunti di riflessione
Speriamo
che sia
dislessico
di carlo petitti, Neuro Psicomotricista
dell'Età Evolutiva*
illustrazioni di Federico Tosi
Non sarà dislessico?
Ecco una domanda che con sempre maggiore frequenza si sente fare da insegnanti,
genitori, operatori scolastici e sanitari.
Di fronte ad un disagio scolastico, un
ritardo nell'apprendimento, una scarsa
motivazione, una inibizione, una forte
distraibilità, un comportamento poco
adattivo, un disordine psicomotorio, la
domanda che oggi viene posta sempre più
spesso è proprio questa.
Non sarà dislessico?
La domanda, per carità, è legittima. Però
incuriosisce come mai sia aumentata in
modo esponenziale la frequenza di indagini in questa direzione, a volte anche a scapito della formulazione di ipotesi diverse.
Viene quasi il sospetto che la diagnosi di
dislessia faccia comodo a qualcuno.
Ma a chi?
Al sistema sanitario? Ai suoi operatori?
Al sistema scolastico? Ai suoi operatori?
Al bambino in difficoltà? Alla sua famiglia?
Potrà sembrare paradossale, ma per certi
versi può davvero far comodo a tutti, tanto
che non è raro che il “Non sarà dislessico?”
si trasformi, più o meno consciamente, in
“Speriamo che sia dislessico”.
Torneremo più avanti sui motivi per cui la
dislessia tenda a volte a trasformarsi magicamente da sindrome a cura del disagio:
si tratta indubbiamente di un meccanismo
molto interessante e, ritengo, piuttosto
nuovo.
Infatti, se fin'ora una diagnosi di tipo
neurologico, psicologico o neuropsichiatrico rischiava di essere vissuta come
un'etichetta con conseguenze discriminanti
per il bambino, pare invece in questa fase
che l'acclaramento della presenza della
dislessia e, in misura minore, dei diversi
Disturbi Specifici di Apprendimento
(disgrafia, discalculia) abbia spesso la
funzione di riabilitare e restituire dignità
al disagio vissuto dal bambino, e quindi al
bambino stesso e all'istituzione all'interno
della quale il disagio si è manifestato.
Mi pare evidente che questo meccanismo
possa a volte portare dei benefici; ma mi
sembra anche che, se non viene esplorato
convenientemente, possa portare al rischio
di sottovalutazione di situazioni diverse:
in fondo, se la dislessia è così “rassicurante”, se ha un protocollo di intervento tutto
sommato abbastanza semplice da porre in
atto, perché stressarsi ad indagare in altra
direzioni?
*www.carlopetitti.it - [email protected]
Strumenti_59.indd 6
18/05/12 16.05
Strumenticres n.59 – giugno 2012
7
ficoltà di apprendimento scolastico. I primi
sono disturbi che ostacolano l'acquisizione
di abilità strumentali che la stragrande maggioranza degli alunni conquista senza sforzo,
mentre le difficoltà scolastiche riguardano le
difficoltà e le fatiche di imparare, difficoltà e
fatiche che tutti abbiamo sperimentato e che
fanno parte dei processi di apprendimento.
Mentre nessuno di noi ricorda le fatiche per
imparare a leggere ad alta voce e a scrivere
(tranne i dislessici), tutti abbiamo memoria
di sforzi e ostacoli incontrati per imparare la
differenza tra area, perimetro o volume, ecc.
Per capire cosa sono i D.S.A. bisogna prima
di tutto distinguerli da queste fatiche, evitare
di fare di tutta l'erba un fascio.
La dislessia è una cosa seria
Non si vuole qui certo negare la serietà e
l'importanza del problema: la dislessia è
una cosa seria. Oggi è piuttosto facile per
chiunque documentarsi per conoscere
e imparare a riconoscerne cause, effetti,
possibilità di intervento. Vale comunque
la pena di sottolineare alcuni elementi importanti per sapere si cosa stiamo parlando.
Si parla di Disturbo Specifico di Apprendimento (D.S.A.) quando un bambino mostra
delle difficoltà isolate e circoscritte nella
lettura, nella scrittura e nel calcolo, in una
situazione in cui il livello scolastico globale
e lo sviluppo intellettivo sono nella norma e
non sono presenti deficit sensoriali.
In primo luogo è necessario fare un'importante distinzione tra disturbi specifici di
apprendimento e disturbi generici.
I disturbi specifici di apprendimento:
si manifestano in bambini con adeguate capacità cognitive, uditive, visive e compaiono
con l'inizio dell'insegnamento scolastico. Per
stabilire la presenza di D.S.A. si utilizza
generalmente il criterio della “discrepanza”:
esso consiste in uno scarto significativo tra
le abilità intellettive (Quoziente Intellettivo
nella norma) e le abilità nella scrittura,
lettura e calcolo;
I disturbi generici o aspecifici di apprendimento:
si manifestano nei bambini con disabilità
sensoriali (ad esempio, di udito o vista) o
neurologica e/o con ritardo mentale.
I problemi possono essere riscontrati in tutte
le aree di apprendimento (lettura, calcolo ed
espressione scritta) e interferiscono in modo
significativo con l'apprendimento scolastico.
Per esempio, bisogna distinguere con chiarezza la dislessia e gli altri D.S.A. dalle dif-
Strumenti_59.indd 7
(da: Vademecum Dislessia
in www.scuolamediatodi.it)
Questo mi sembra davvero fondamentale,
perchè porta a fare scelte didattiche differenti: con un bambino dislessico opterò
magari anche a favore di strategie di apprendimento compensativo che privilegino,
ad esempio, l'uso di strumenti multimediali, o le abilità di sintesi verbale, ecc…
Con un alunno che ha disturbi generici
dell'apprendimento, per esempio un ritardo nell'acquisizione dei concetti spaziali,
opterò invece per strategie di apprendimento che favoriscano l'acquisizione di
questi concetti (esercizi di orientamento
spaziale, giochi psicomotori etc…) e non
che favoriscano strategie compensative.
Dunque non è affatto insensato che una
diagnosi di dislessia venga fatta, come
suggeriscono gli specialisti, a fine seconda,
inizio terza elementare. Ricordo inoltre
che, secondo i dettami dell'Associazione
Italiana Dislessia, la diagnosi deve essere
effettuata da un equipe multidisciplinare
composta da Neuropsichiatra Infantile,
Psicologo, Logopedista e Psicomotricista.
Lo ricordo, e qui consentitemi un po' di
verve polemica, anche perchè non sempre,
nella mia esperienza, i suggerimenti e le
indicazioni di alcuni cosiddetti “specialisti”
si sono rivelate adeguate o efficaci.
Ricordo invece con piacere ed orgoglio
professionale che esistono professionisti
molto seri ed estremamente competenti, capaci di affrontare il problema della
dislessia con grande diligenza e anche con
una buona dose di creatività, riuscendo
così a facilitare lo sviluppo cognitivo dei
soggetti affetti da questa sindrome senza
cercare facili conclusioni, ma approfondendo in modo intelligente la complessità delle
problematiche che essi pongono.
Utilizzo magico della dislessia
Dunque, sia ben chiaro, concordo senza
riserve sul fatto che sia opportuno e doveroso riconoscere i portatori di dislessia e
aiutarli in modo adeguato nei loro processi
di apprendimento.
Vorrei però riflettere sulla tendenza che si
sta affermando verso un utilizzo magico
della dislessia, che a volte rischia di giustificare impropriamente un approccio superficiale al problema, diventando la panacea
di tutti i mali e i disagi scolastici.
Vi sono alcune ragioni che facilitano l'utilizzo magico di questa sindrome:
1. L'eziologia è complessa, per molti
versi ancora incerta.
Si parla di un disturbo specifico di
origine costituzionale trasmissibile per
via ereditaria, come il colore degli occhi,
i lineamenti del viso, la tendenza all'obesità, alla longilineità, alla timidezza o
all'aggressività.
18/05/12 16.05
8
Né pubblico né privato – spunti di riflessione
Le cause organiche non sono ancora
completamente note e sono state fatte
diverse ipotesi: una prima teoria suppone una “disconnessione funzionale”
fra i centri cerebrali deputati alla decodifica della lettura (Geschwind, 1965;
Marshall, 1983); viene ipotizzato un
deficit del processamento fonologico
che determinerebbe una difficoltà dei
ragazzi dislessici a manipolare i suoni
(per esempio ad effettuare lo spelling
delle parole) e nel passare dal codice
visivo a quello uditivo e viceversa
(Frith, 2002).
Una seconda teoria parla della difficoltà
di orientare l'attenzione in modo selettivo da sinistra a destra e di inibire correttamente gli stimoli visivi, creando
così un eccesso di informazioni e una
conseguente difficoltà a discriminarle
correttamente (Geiger e Lettvin, 1999).
Una terza teoria ipotizza una mielinizzazione (ricopertura delle cellule
nervose) incompleta che non permette
un'attenzione focalizzata verso gli stimoli visivi e una conseguente difficoltà
di discriminazione e decodifica degli
stimoli visivi che stanno alla base della
lettura (Bakker, 1998).
In ogni caso la sindrome non è ad oggi
accertabile con un esame neurologico,
e viene diagnosticata in base a test
prestazionali, basati sulla correttezza,
velocità e comprensione della lettura.
Sappiamo però come qualsiasi test
prestazionale, per quanto venga somministrato correttamente da personale
esperto, possa essere condizionato da
molti fattori diversi, di tipo emotivo,
relazionale, ma anche socioculturale,
motivazionale, eccetera. Può succedere che il risultato del test sia compatibile con una diagnosi di dislessia, pur
essendoci cause diverse che provocano
una difficoltà di lettura; e questo può
succedere più frequentemente se l'esaminatore vuole, o più semplicemente si
aspetta, un certo risultato.
2. Alcuni protocolli di intervento
sono relativamente semplici da
somministrare, in quanto utilizzano
per lo più procedure informatiche
standardizzate: questo naturalmente
semplifica il compito dell'operatore, e
sovente diventa una rassicurazione per
insegnanti e genitori, che evitano di
veder messo il crisi il proprio “modus
Strumenti_59.indd 8
operandi” e possono delegare al computer una buona parte della funzione
di cura del disagio.
3. Bambino, famiglia, istituzione scolastica si sentono “presi in carico”: soprattutto viene loro assicurato che la causa
del disagio ha motivazioni scientificamente spiegabili, e di norma curabili,
come un'influenza o una parotite. Il
disagio viene etichettato e catalogato
in modo comprensibile e socialmente
accettabile.
4. L'evoluzione della tecnologia permette ora di accedere con facilità ad un
elevato numero di strumenti compensativi (audiolibri, video…), che tra
l'altro sono estremamente compatibili
con le modalità di comunicazione oggi
utilizzate da internet.
Questi ed altri motivi facilitano la diagnosi e fanno sì che essere dislessico possa
diventare in qualche caso quasi desiderabile. Ho sentito con le mie orecchie questo
commento di una madre: “mio figlio sta
facendo gli esami della dislessia; speriamo
che glie la trovino, altrimenti vuol dire che
è deficiente!”
Se l'alternativa è questa, è chiaro che la
dislessia assume un aspetto rassicurante.
Inoltre, una ricerca non so quanto attendibile ma certamente molto sbandierata,
afferma che molti personaggi di successo
hanno sofferto di dislessia. Tra gli altri
vengono citati:
Muhammad Ali (alias Cassius Clay) (pugile), Hans Christian Andersen (scrittore),
Napoleone Bonaparte (generale), Carlo
Magno (imperatore del Sacro Romano Impero), Winston Churchill (primo ministro
del Regno Unito), Tom Cruise (attore),
Leonardo da Vinci (scienziato), Walt
Disney (fondatore della The Walt Disney
Company), Albert Einstein (scienziato),
Henry Ford (imprenditore), Galileo Galilei
(scienziato), Bruce Jenner (decatleta),
Greg Louganis (tuffatore), Isaac Newton
(fisico), George Patton (generale), Pablo
Picasso (pittore), Quentin Tarantino (regista), James van der Beek (attore), George
Washington (primo presidente degli Stati
Uniti). (vedi per es. su www.braingym.it)
Come si vede, un elenco importante: chi
non vorrebbe trovarsi in così buona compagnia? Scienziati, artisti, personaggi politici
di primo piano, sportivi.
A me però qualche dubbio sull'attendibilità
della diagnosi di Carlo Magno, o Galileo Galilei, o Napoleone Bonaparte, rimane; che
tipo di test avranno usato? È davvero così
facile e realmente credibile diagnosticare
una sindrome neurologica a personaggi
storici, senza neanche un forse o un punto
interrogativo?
Inoltre, un po' malignamente, mi domando: ammesso che un Galileo Galilei o
un Leonardo da Vinci fossero realmente
dislessici, non è che sono diventati quello
che sono anche perchè hanno saputo
compensare con il loro cervello, costruendo in modo magari inconsapevole mappe
concettuali adeguate, e non con delle
tecnologie preconfezionate, un handicap
di partenza? Forse proprio questo li ha
stimolati a sviluppare e incrementare la
loro genialità.
18/05/12 16.05
Strumenticres n.59 – giugno 2012
strade, altri sintomi per esprimersi, e non
è detto che non siano sintomi peggiori di
una difficoltà nell'apprendimento nella
lettoscrittura.
Effetti collaterali
Comunque, se ci fosse solo l'aspetto rassicurante e sdrammatizzante, niente di male:
avremmo nelle scuole qualche “deficiente”
in meno e un maggior numero di bambini
che si sentono presi in carico.
Il fatto è che, purtroppo, vedo alcune controindicazioni ed effetti collaterali.
• Se un bambino viene impropriamente
trattato come un dislessico, e si abitua ad
utilizzare con troppa frequenza strumenti
compensativi, diventerà con ogni probabilità un pessimo lettore: sarà quindi privato di un magnifico strumento di piacere
(che bello perdersi in un buon libro!) e di
accesso alla cultura; d'accordo, adesso
prevale la cultura dell'immagine ma,
accidenti, leggere rimane uno strumento
fondamentale, e dovere fondamentale
della scuola rimane quello di insegnare
ad amare la lettura.
• Come detto in precedenza, le cause di
una difficoltà nella lettoscrittura possono
essere molteplici: possono avere origini
relazionali o comportamentali; possono
contenere importanti ragioni motivazionali; possono essere legate a un semplice
ritardo nell'evoluzione psicomotoria;
ecc… Il bambino prova un disagio ed è
possibile che elabori come sintomo la
difficoltà in questione. Ora però se noi
trattiamo il sintomo in modo tecnico,
senza approfondire quale possa essere
la causa scatenante, può essere, come a
volte accade in medicina, che il sintomo
scompaia, ma il disagio rimanga; e se il
disagio rimane e non viene in qualche
modo elaborato troverà sicuramente altre
Strumenti_59.indd 9
Allora forse vale la pena di essere, o
rimanere, ossevatori attenti, curiosi, senza
cadere nella tentazione di semplificare
troppo: la magia, usata con garbo, come
nelle fiabe, può essere d'aiuto; ma se ne
abusiamo, il rischio è quello di trasformare
il principe in un rospo.
Non dimentichiamo che l'appellativo
dislessico, se usato impropriamente o con
superficialità, rimane un'etichetta: magari
funzionale, ma pur sempre un'etichetta.
Voglio qui ricordare che la parola etichetta,
in questo contesto, significa piccola etica;
io vorrei che facessimo lo sforzo di recuperare un'etica più grande, più complessa,
che ci consenta di rapportarci ai bisogni dei
bambini in modo più profondo.
Credo anche che dobbiamo “nutrire” la
nostra capacità di distinguere i problemi
reali dalle mode: fino a non molto tempo
fa era di moda l'ADHD, e molti bambini
sono di colpo diventati iperattivi (qualcuno, per fortuna non in Italia, curato con
uno psicofarmaco, il Ritalin, decisamente
molto pesante).
Ora è il turno dei Disturbi Specifici dell'Apprendimento, forse perchè recentemente
hanno fatto qualche corso di aggiornamento di troppo per psicologi e insegnanti:
quanti dislessici o discalculici dovremo
contare fino alla prossima moda?
Non dico di non affrontare il problema, ci
mancherebbe; soltanto di fare attenzione
a non farsi abbagliare dalla “magia” del
momento.
Oppure giochiamo…
Da bravo psicomotricista, ho imparato che
il gioco serve spesso a far evolvere, a comprendere meglio anche le situazioni più
problematiche. Allora perché non provare
a giocare?
Gioco n. 1:
cerca ancora
un dislessico “storico”
Cristoforo Colombo (navigatore): ha
scoperto l'America per errore; forse ha
sbagliato a leggere la cartina…
Re Artù (monarca): aveva difficoltà a
distinguere le forme; pensava che le tavole
fossero rotonde…
Giuseppe Ungaretti (poeta): forse le sue po-
9
esie erano così brevi per evitare problemi
di lettura…
Saffo (poetessa): anzi, lei è meglio escluderla; non vorrei che qualche adolescente
con problemi di lettura la leggesse dislesbica…
E tu, sei capace di scovare altri personaggi
famosi?
Gioco n. 2:
inventa la tua sindrome
• Esempio 1: io non trovo le cose.
“Dov'è lo schiacciapatate?” “Nel terzo
cassetto” “Non lo trovo…” “Allora guarda
nello scolapiatti” “Non c'è.” “Non è
possibile, forse l'hai lasciato in cantina…”
“Dai, non lo trovo, aiutami a cercarlo, per
favore!” …e lo schiacciapatate era nel
terzo cassetto. Mia moglie si innervosisce,
mi accusa di non guardare con attenzione,
ma davvero io fatico a trovare le cose.
Allora posso inventare la mia sindrome:
sono distrovico! Se trovo uno psicologo
che me la certifica, anche mia moglie
smetterà di accusarmi e sarà più comprensiva, magari inventeremo un sistema
coi bigliettini che mi faciliterà il compito,
e la serenità famigliare ci guadagnerà
sicuramente.
• Esempio 2: un mio amico ha una grossa
difficoltà a ricordare i nomi delle persone.
Questo lo espone a volte a situazioni
imbarazzanti, alcuni arrivano a giudicarlo
superficiale o troppo egocentrico per
prestare sufficiente attenzione agli altri:
se fosse un disnomico, probabilmente la
gente si mostrerebbe più comprensiva…
E tu, cosa aspetti a inventare la tua sindrome?
Conclusioni
Non si offendano gli intellettuali seri: il
gioco, se usato correttamente e consapevolmente, non serve a banalizzare; tutt'altro, serve a stimolare il pensiero in modo
creativo e critico.
Non si offendano neppure gli operatori
seri: ho già detto che il problema della
dislessia va affrontato con professionalità e
consapevolezza.
Ciò che mi preme è che la dislessia non
diventi una moda, e le modalità per affrontarla una via di fuga dall'affrontare altri
problemi, quando ci sono (magari pure
risparmiando sugli insegnanti di sostegno).
18/05/12 16.05
10
Né pubblico né privato – ProPoste educative
Corsi
di formazione
per insegnanti
Anno scolastico 2012-13
nell'editoriale del numero 57 Piera hermann,
presidentessa del cres, scriveva: “nonostante la
scuola abbia sempre meno cure, meno fondi e meno
personale, nonostante gli insegnanti siano di fatto
invitati a tornare indietro al modello –io spiego tu
ripeti–, siamo convinti che la nostra proposta sia
ancora, oggi più che mai, non solo giusta ma sensata,
soprattutto perché le idee che ci orientano sono già
al lavoro nella società contemporanea”.
È nel cercare di interpretarle e di renderle fruibili
per la scuola, di farle diventare materia da plasmare
fuori e dentro le discipline, che trovano senso i corsi
di formazione per insegnanti proposti dal cres per
l'anno scolastico 2012-13.
anche quest'anno i corsi si articolano intorno ad
alcune tracce, suddivise per macro temi, da modulare
in base alle esigenze degli insegnanti e delle scuole
richiedenti
in questo numero di strumenti ne proponiamo tre;
altre ne verranno pubblicate nel prossimo (previsto
per l'autunno).
Dalla “crisi” al cambiamento della scuola
passando per i beni comuni
Quando si parla di “crisi” e di
scuola, si pensa subito e solo al
problema dei tagli, alla mancanza
di fondi e/o di volontà politica
rispetto all'importanza pur
tanto sbandierata della cultura e
dell'istruzione. Questo Corso per
insegnanti vuole invece portare
a riflettere sulla attuale crisi
economica, sociale e politica come
occasione unica per ipotizzare,
introiettare e porre mano ad un
radicale cambiamento della scuola.
Un cambiamento che non è nuovo
rispetto ai dettami della pedagogia
e dell'epistemologia del sapere, ma
non è mai avvenuto nella realtà di
gran lunga prevalente della scuola
italiana nel suo insieme. L'elemento nuovo, volto qui in positivo,
potrebbe essere proprio la presa
di coscienza dell'inderogabile
urgenza del cambiamento alla luce
della comprensione delle cause e
delle conseguenze della situazione
di crisi che viviamo oggi.
I° PARTE - Si cercherà di mettere in comune idee e conoscenze,ovviamente
senza pretese di esaustività, per stabilire coordinate condivise per la necessaria comprensione del presente
×La finanza. Qualcosa che non possiamo permetterci di “non capire”
×Banche, impresa e lavoro: crisi economica, crisi sociale
×La crisi della politica: riflessioni sulla democrazia rappresentativa
II° PARTE - Si spiegherà e illustrerà l'ipotesi di andare oltre i comportamenti individuali e pubblici per riscoprire o scoprire la possibilità e la potenzialità
di unirsi per la difesa dei “beni comuni”, base per un modello veramente
alternativo di società
×I beni comuni
×Concetti relativi al diritto: né privato né pubblico
×Esperienze del quotidiano
×Ricognizione dell'esistente a livello globale e locale
III° PARTE - Si proporrà una riflessione esemplificata sulle necessità
formative per una visione alternativa della società che guardi veramente al
superamento della crisi di sistema in cui siamo oggi
×Un dibattito antico: più importante il canone o la metodologia?
×Informazione e conoscenze in percorsi disciplinari e interdisciplinari per
curricoli finalmente adeguati ed efficaci
×Pedagogia, metodologia e didattica funzionali alla formazione di
personalità curiose, collaborative e responsabili. Confronto tra i modelli
esplicitati e i modelli impliciti nella formazione scolastica oggi.
×Imparare dagli studenti e saperli guidare nelle immense potenzialità del
mondo digitale in relazione a informazione, conoscenza e, soprattutto,
impegno
×Il “glocale”, non una formuletta risolutiva e solo nominale, ma una linea
guida del lavoro scolastico: finalmente un vero lavoro sul e col territorio
in un'ottica di complessità
la nostra proposta educativa prevede anche percorsi didattici per studenti (vedi manitese n.478, pagg. 24 e 25).
Per conoscere le nostre attività visita il sito:
www.manitese.it/educazione o scrivici a [email protected]
Strumenti_59.indd 10
18/05/12 16.05
Strumenticres n.59 – giugno 2012
Educare alla cittadinanza attiva
L'«altro» nel nostro immaginario
La scuola si trova oggi, molto più
che in passato, di fronte al compito
di contribuire alla formazione di
personalità capaci di “leggere” una
società sempre più complessa,
teatro di continui cambiamenti
che, parallelamente a competenze specifiche, richiede sempre
maggiori capacità teorico-pratiche
non immediatamente derivabili
dai contenuti disciplinari: abilità
di lavorare in modo autonomo, di
affrontare e risolvere problemi,
di dare contributi personali, di
assumere responsabilità e di saper
prendere decisioni, di sapersi
confrontare con gli altri.
L'educazione alla cittadinanza è
compito della scuola in sinergia con altre agenzie formative
extrascolastiche. Essere/diventare
cittadino/a in un mondo globale
non significa soltanto conoscere
le leggi ma anche sentirsi parte di
una comunità allo stesso tempo
locale e globale e acquisire un
nuovo senso di responsabilità nei
L'immagine di me stesso, l'immagine dell'altro, l'immagine che io mi
faccio di me stesso, l'immagine che
lui si fa di me, le paure, gli stereotipi che plasmano, modellano il mio
comportamento, inducono quello
degli altri.
Come certi paesi sono ricoperti di
mine antipersone così nei nostri
cervelli sono seminate rappresentazioni apprese fin dalla più
tenera età, attraverso i media, la
famiglia, le letture, la scuola, le
conversazioni quotidiane in cui si
colma il vuoto delle parole che ci
mancano con delle generalizzazioni: “gli arabi”, “le donne sono tutte
uguali”, “loro”… Ci si dimentica
che stereotipi e pregiudizi alimentano il nostro immaginario
collettivo, che è il risultato di una
stratificazione millenaria, fatta
di condizionamenti ambientali e
culturali di varia natura, anche se
non tutti questi condizionamenti
hanno inciso nella stessa misura o
la stessa intensità.
Occorre abbandonare una visione
monoculare che appiattisce per
una visione nuova che ci permetta
di capire meglio la realtà complessa in cui viviamo. Si tratta di far
emergere pregiudizi e stereotipi
che ognuno porta in sé e capire
quali sono i meccanismi che li
determinano, capire che i mezzi
di comunicazione di massa, e la
televisione in particolare, hanno
un ruolo fondamentale.
Dobbiamo rinnovare la conoscenza
di noi stessi, mettendoci a confron-
confronti del pianeta e dei suoi
abitanti. La tutela e la promozione
dei diritti rappresentano l'agire
concreto, lo strumento di cittadinanza utile a promuovere la difesa,
la diffusione e la costruzione dei
beni comuni.
Il corso si propone di riflettere su
questa problematica di grande
attualità per:
×aumentare le informazioni sul
tema;
× individuare le metodologie più
adeguate per affrontarlo con gli
studenti.
L'obiettivo è quello di arrivare a
progettare un possibile percorso
di insegnamento/apprendimento,
da realizzare in classe, che aiuti gli
studenti a comprendere un tema
fortemente conflittuale del mondo
attuale e contemporaneamente
sviluppi competenze di ambito
storico, letterario e di Cittadinanza
e Costituzione.
Durante il corso si affronteranno i seguenti argomenti:
1) Il dibattito sulla cittadinanza
×il problema della cittadinanza dall'antichità ad oggi
×diritti e doveri del cittadino nella Costituzione italiana
×il dibattito sulla necessità di ripensare il concetto e i diritti di cittadinanza
alla luce dei flussi migratori. Le proposte di legge. Le esperienze di altri
paesi
×essere cittadini italiani o diventarlo? Come coniugare diritti e identità?
Paure e desideri negli italiani e negli stranieri.
×esperienze e vissuti della seconda generazione di immigrati
×oltre la cittadinanza formale: i diritti umani, i diritti dei minori e le pari
opportunità alla base della cittadinanza sostanziale
×come vivere una cittadinanza attiva: aumentare il protagonismo nel
proprio territorio di vita, nella consapevolezza dei propri diritti e doveri
2) Come progettare
un percorso di insegnamento/apprendimento
×La progettazione secondo la didattica per problemi
×Come arrivare a selezionare i percorsi di insegnamento/apprendimento
×Gli elementi fondamentali per un percorso: la motivazione, la rilevazione
delle preconoscenze, lo sviluppo del tema/problema, la valutazione, la
metacognizione
×Utilizzare un approccio metodologico che si serva di più mediatori didattici e più linguaggi
Strumenti_59.indd 11
11
to con gli altri, problematizzandoci
in rapporto agli altri. E interrogarci
sul processo storico che è alla base
della nostra specificità culturale.
Come afferma l'antropologo Clifford Geertz “I problemi, essendo
esistenziali, sono universali; le loro
soluzioni, essendo umane, sono
diverse”
Le sfide del presente impongono
uno sforzo transdisciplinare e
interculturale per una educazione
alla complessità umana. Siamo
come un viaggiatore, un esule in
territori inesplorati, che disponga
di mappe obsolete e abbia invece
bisogno di nuove mappe per risognare il mondo.
La trasformazione graduale e
irreversibile della nostra società
(italiana ed europea) in senso
multiculturale ci interpella in
prima persona a intraprendere
un percorso di trasformazione
radicale delle premesse culturali,
delle abitudini, dei comportamenti, delle modalità relazionali. Un
impegno che riguarda non solo la
sfera cognitiva, intellettuale ma
anche la sfera emotiva, affettiva.
Scopo del corso è di far riflettere
sull'immaginario collettivo che è
la lente attraverso cui noi vediamo
la realtà, riflettere sui meccanismi
di creazione, di funzionamento
e circolazione dell'immaginario,
suggerire percorsi per “decolonizzare la mente” anche alla luce delle
acquisizioni della letteratura comparata e degli studi postcoloniali.
Durante il corso si affronteranno i seguenti argomenti:
×Dietro le apparenze: stereotipi e pregiudizi (anche interni alla propria
cultura), il paradigma etnocentrista, l'iceberg di Kohls
×La sindrome di Tarzan: il buon selvaggio e lo sguardo esotico. Dominare
o ascoltare l'altro
×Le maschere dell'Altro: dal barbaro al selvaggio, al sottosviluppato. Mito
della superiorità, radice storica del pregiudizio occidentale
×Il rovescio del gioco: lo sguardo dell'Altro su di noi. Valore e limiti delle
nostre “mappe” culturali
18/05/12 16.05
12
Né pubblico né privato – dossier
Dossier
dossier cres – giugno 2012
Né pubblico né privato.
Riappropriamoci dei beni comuni
13 Spunti di riflessione
di Elena La Rocca
14 Se il mondo perde il senso
del bene comune
di Stefano Rodotà
16 Erosione delle risorse
e dei diritti: un processo
di lunga durata
di Michele Crudo
19 Una nuova “Educazione”:
ai Beni Comuni
di Piera Hermann
20 Dalle risorse ai beni comuni.
Un percorso a tappe
per educare alla sostenibilità
di giacomo petitti
24 Per la salvaguardia
dell'Infodiversità
26 Tsegung, il patrimonio
culturale di una comunità
Un progetto di formazione e tutela
del patrimonio artistico e culturale in
Camerun
di Bianca Triaca
30 Bibliografia ragionata
a cura di E. Assorbi e A. Di Sapio
di giulio sensi
Strumenti_59.indd 12
18/05/12 16.05
Strumenticres n.59 – giugno 2012
13
Spunti di riflessione
di elena la rocca
A sorpresa il referendum sull'acqua ha dimostrato
un forte interesse per il problema dei “beni comuni” ed in una specie di circolo virtuoso ha a sua
volta alimentato il dibattito sull'uso, l'importanza,
la definizione stessa di bene comune.
Da cosa deriva questa sensibilità? Molto probabilmente dal fatto che si percepiscono come
minacciati dei beni che fino a poco tempo fa
non venivano neppure messi in discussione (es.
evidente l'acqua). La minaccia è frutto di due fenomeni che si rafforzano tra loro: la tecnologia ed
un sistema economico fondato su un capitalismo
“onnivoro” e totalizzante, che riduce i rapporti
umani a rapporti di scambio desocializzati. Forse
proprio la durezza insita in questo tipo di rapporti
ha favorito un bisogno di coesione sociale, che
si esprime anche nella ricerca e nel bisogno di
proteggere i “beni comuni” dalla logica proprietaria del mercato, che tende sempre e dovunque a
massimizzare il profitto.
La scienza moderna e la tecnologia che ne deriva
sono in grado di intervenire in settori una volta
impensabili, basta ricordare gli OGM resi volutamente sterili per impedire al contadino di accantonare i semi per il nuovo raccolto e costringerlo
ogni volta a comperare il proprio fabbisogno
dalla multinazionale di turno; ma la tecnologia
in sé è solo uno strumento: come un coltello lo si
può usare per ammazzare il vicino o per affettare
la cipolla. Il coltello/tecnologia attualmente si
inserisce in un sistema economico, che subordina
tutto all'economia stessa: il denaro è diventato
l'unico generatore di valori simbolici e col denaro
si misura tutto, mentre un capitalismo selvaggio,
nello sforzo di massimizzare il profitto del capitale
investito, predica la liberalizzazione di qualsiasi
cosa, in altri termini la privatizzazione di ogni
bene o risorsa esistente.
In questo quadro lo Stato o per meglio dire i
governi, sempre a caccia di denaro, privatizzano
beni comuni, cioè vendono a privati cose che fino
a poco prima erano beni non tanto statali, quanto
collettivi.
La situazione è aggravata dal fatto che mentre la
nostra tradizione giuridica tutela il privato dei
confronti del pubblico, nulla dice nel caso opposto: se lo Stato ha bisogno del mio terreno per
costruire una strada deve indennizzarmi (esproprio ed indennizzo), ma se per fare cassa decide
di vendere una spiaggia dove nelle belle giornate
tutti andavano a prendere il sole…“nessuna tutela
giuridica (men che meno costituzionale) esiste nei
Strumenti_59.indd 13
confronti dello Stato che trasferisce al privato beni
della collettività (beni comuni) che non siano detenuti in proprietà privata.”1
Ma cosa si intende per “bene comune”? a prima
vista il concetto sembra semplice: istintivamente
si pensa ai beni indispensabili per garantire una
collettività, la sua esistenza, il suo benessere,
beni collettivi di cui nessuno dovrebbe avere una
disponibilità esclusiva. I beni comuni vengono
infatti definiti come “l'insieme dei beni che permettono la sussistenza dell'uomo in società, a livello
locale e globale.” Questo tipo di definizione rende
l'idea di bene comune, ma è poco utile sul piano
pratico, non risolve il problema di quali siano o
possano essere i beni comuni, sono definizioni
tanto generiche che possono comprendere quasi
tutto ciò che ci circonda secondo la cultura e la
sensibilità di chi le usa. Né basta fare riferimento
ai bisogni primari dato che nessuno è in grado o
ha il diritto di decidere quali sono i bisogni primari legittimi e quelli superflui.
Quando poi si cerca di andare oltre questa definizione generica, e chiarire il concetto, nonché
di stilare un elenco di beni comuni si incontrano
grosse difficoltà, né ci aiuta il diritto dato che in
passato la giurisprudenza non se ne è particolarmente occupata
Se è difficile dare una definizione teorica di bene
comune è difficile anche farne un elenco, alcuni
propongono di dividerli in tre gruppi.
Una prima categoria comprende l'acqua, la terra,
non intesa come proprietà terriera, ma come fonte
di vita, (piante animali ecc.) cioè i beni di sussistenza da cui dipende la vita. Si devono considerare compresi in questa categoria i semi selezionati
dalle varie comunità locali, lo stesso patrimonio
genetico dell'uomo e di tutte le specie vegetali e
animali (che invece le multinazionali cercano di
brevettare insieme ai semi selezionati nei secoli).
Vi sono poi i beni comuni globali: l'atmosfera, il
clima, gli oceani, ma anche la conoscenza, Internet, i frutti della creazione collettiva. Il problema
è molto complesso perché si scontrano interessi
individuali e collettivi, per esempio nel caso dei
farmaci l'industria che ne ha condotto la ricerca
vuole averne l'esclusiva (brevetto) per ottimizzare
il proprio profitto, mentre paesi poveri necessitano di questi farmaci a prezzi contenuti. Lo
stesso discorso vale per i prodotti della creatività
1 Ugo Mattei, Beni comuni un manifesto
Editori Laterza, 2011 - pag. VI
18/05/12 16.05
14
Né pubblico né privato – dossier
artistica come la musica o tecnico scientifica come
un software.
L'ultima categoria comprende i servizi pubblici forniti dai governi per soddisfare i bisogni
essenziali dei cittadini: dall'erogazione dell'acqua
e i trasporti pubblici alla sanità, dalla sicurezza
all'amministrazione della giustizia. Beni che spesso i governi tendono a trattare come una proprietà
che si può alienare tranquillamente, anzi secondo
il pensiero economico dominante si deve alienare
cioè privatizzare.
I beni comuni per essere e rimanere tali devono
essere gestiti in modo ben diverso, come sottolinea Stefano Rodotà , su Repubblica, “…sono a
‘titolarità diffusa’, appartengono a tutti e a nessuno,
nel senso che tutti devono poter accedere ad essi
e nessuno può vantare pretese esclusive. Devono
essere amministrati muovendo dal principio di
solidarietà.
Indisponibili per il mercato, i beni comuni si presentano così come strumento essenziale perché i diritti
di cittadinanza, quelli che appartengono a tutti
in quanto persone, possano essere effettivamente
esercitati.”
Forse, come suggerisce Paolo Cacciari “Più che
una definizione teorica univoca, ciò che li definisce
meglio è il processo di riconoscimento storicopolitico e il conflitto che sorge tra i possibili diversi
modelli di gestione.”2
Lo stesso Cacciari fa notare che il limite tra diritto
individuale e bene comune spesso è molto labile:
la salute può apparire un diritto individuale per cui
lo stato ha il dovere di garantire ai propri cittadini
cure ed assistenza sanitaria, ma può anche essere
vista come un bene comune, in questo caso lo Stato per es. ha il dovere di controllare e limitare l'inquinamento dell'aria ed in generale dell'ambiente
in cui viviamo. In effetti spesso il concetto di bene
comune e quello di diritto fondamentale tendono
a sovrapporsi tra loro, ma in ogni modo è diversa
l'ottica di chi guarda: se vedo la salute come diritto
individuale lo Stato mi deve garantire le cure, se
la vedo come bene comune ne sottolineo l'aspetto
sociale, la dimensione comunitaria, lo Stato allora
deve controllare il cibo che arriva nei negozi, la refezione scolastica o l'acqua dei rubinetti. Il diritto
individuale diventa un diritto collettivo, si trasforma in bene comune e ed acquista una dimensione
sociale collettiva cui non eravamo più abituati e di
cui ormai sentiamo il bisogno.
2 Paolo Cacciari, Beni comuni, una definizione (quasi)
impossibile - www.carta.org/2011/05
Strumenti_59.indd 14
Se il mondo
perde il senso
del bene comune*
di stefano rodotà
Ordinario di Diritto civile
all'Università di Roma
“La Sapienza”, è stato deputato
al Parlamento italiano dal 1979
al 1994 e vice-presidente
della Camera dei deputati (1992).
Editorialista de la Repubblica,
è stato presidente della
Commissione sui Beni Pubblici
(2007).
Pochi giorni fa l'Assemblea generale
delle Nazioni Unite ha approvato una
risoluzione che riconosce l'accesso
all'acqua come diritto fondamentale di
ogni persona. L'anno scorso il Parlamento europeo ha parlato di un diritto
fondamentale di accesso ad Internet.
Apparentemente lontane, queste due
importanti prese di posizione di grandi
istituzioni internazionali si muovono
sullo stesso terreno, quello dei beni
comuni, attribuiscono il rango di diritti
fondamentali all'accesso di tutti a beni
essenziali per la sopravvivenza (l'acqua)
e per garantire eguaglianza e libero sviluppo della personalità (la conoscenza).
Nell'ottobre del 1847, quattro mesi
prima della pubblicazione del Manifesto
dei comunisti, Alexis de Tocqueville
gettava uno sguardo presago sul futuro,
e scriveva: «Ben presto la lotta politica
si svolgerà tra coloro che possiedono
e coloro che non possiedono: il grande
campo di battaglia sarà la proprietà».
Quella lotta è continuata ininterrotta e
il campo di battaglia, che per Tocqueville era sostanzialmente quello della
proprietà terriera, si è progressivamente
dilatato. Oggi sono appunto i beni comuni –dall'acqua all'aria, alla conoscenza,
ai patrimoni culturali e ambientali– al
centro di un conflitto davvero planetario,
di cui ci parlano le cronache, confermandone la natura direttamente politica,
e che non si lascia racchiudere nello
schema tradizionale del rapporto tra
proprietà pubblica e proprietà privata.
Tra India e Pakistan è in corso una
guerra dell'acqua; in Italia la questione
dell'acqua è divenuta ineludibile dopo
che un milione e quattrocentomila
persone hanno firmato la richiesta di un
referendum; il parlamento islandese ha
deciso che Internet debba essere il luogo di una libertà totale, uno sterminato
spazio comune dove sia legittimo rende-
18/05/12 16.05
Strumenticres n.59 – giugno 2012
15
*Pubblicato su la Repubblica, 10 agosto 2010
re pubblici anche documenti coperti dal
segreto. Il tema dei beni comuni segna
davvero il nostro tempo, e non può
essere affrontato senza una riflessione
culturale e politica.
Un misero esempio italiano di questi
giorni ci mostra l'inadeguatezza degli
schemi tradizionali e i rischi che si
corrono. Da poco dichiarate dall'Unesco
patrimonio dell'umanità, le Dolomiti
sono oggetto di una mortificante contabilità, che sarebbe ridicola se dietro
di essa non si scorgesse lo sciagurato
“federalismo demaniale” che, trasferendo agli enti locali beni importantissimi,
mette questi beni nella condizione di
poter essere più agevolmente destinati
a usi mercantili o privatizzati o comunque destinati “a far quadrare i conti”. E
proprio questa eventualità mostra la
debolezza dell'argomento, usato per
l'acqua, secondo il quale basta che un
bene rimanga in mano a un soggetto
pubblico perché venga salvaguardato.
Non è questione di etichette. È la natura
del bene a dover essere presa in considerazione, la sua attitudine a soddisfare
bisogni collettivi e a rendere possibile
l'attuazione di diritti fondamentali.
I beni comuni sono “a titolarità diffusa”,
appartengono a tutti e a nessuno, nel
senso che tutti devono poter accedere
ad essi e nessuno può vantare pretese
esclusive. Devono essere amministrati
muovendo dal principio di solidarietà.
Incorporano la dimensione del futuro, e
quindi devono essere governati anche
nell'interesse delle generazioni che
verranno.
In questo senso sono davvero “patrimonio dell'umanità”.
Nel pensare il mondo, e le sue dinamiche, non possiamo sottrarci alla “ragionevole follia” dei beni comuni. Questo
ossimoro, che dà il titolo a un bel libro
di Franco Cassano, rivela un compito
Strumenti_59.indd 15
propriamente politico, perché mette in
evidenza il nesso che si è ormai stabilito
tra beni comuni e diritti del cittadino.
Un bene come l'acqua non può essere
considerato una merce che deve produrre profitto. E la conoscenza non può essere oggetto di “chiusure” proprietarie,
ripetendo nel tempo nostro la vicenda
che, tra Seicento e Settecento, in Inghilterra portò a recintare le terre coltivabili,
sottraendole al godimento comune e
affidandole a singoli proprietari. Per
giustificare quella vicenda lontana si è
usato l'argomento della crescita della
produttività della terra. Ma oggi il nuovo,
sterminato territorio comune, rappresentato dalla conoscenza raggiungibile
attraverso Internet, non può divenire
l'oggetto di uno smisurato desiderio che
vuole trasformarlo da risorsa illimitata
in risorsa scarsa, con chiusure progressive, consentendo l'accesso solo a chi è
disposto ed è in condizione di pagare.
La conoscenza da bene comune a merce
globale?
Così i beni comuni ci parlano dell'irriducibilità del mondo alla logica del
mercato, indicano un limite, illuminano
un aspetto nuovo della sostenibilità: che
non è solo quella imposta dai rischi del
consumo scriteriato dei beni naturali
(aria, acqua, ambiente), ma pure quella
legata alla necessità di contrastare la
sottrazione alle persone delle opportunità offerte dall'innovazione scientifica e
tecnologica.
Si avvererebbe altrimenti la profezia
secondo la quale “la tecnologia apre le
porte, il capitale le chiude”. E, se tutto
deve rispondere esclusivamente alla
razionalità economica, l'effetto ben può
essere quello di “un'erosione delle basi
morali della società”, come ha scritto
Carlo Donolo.
In questo orizzonte più largo compaiono
parole scomparse o neglette. Il bene
comune, di cui s'erano perdute le tracce
nella furia dei particolarismi e nell'estrema individualizzazione degli interessi,
s'incarna nella pluralità dei beni comuni.
Poiché questi beni si sottraggono alla
logica dell'uso esclusivo e, al contrario,
rendono evidente che la loro caratteristica è quella della condivisione, si
manifesta con nuova forza il legame
sociale, la possibilità di iniziative collettive di cui Internet fornisce continue
testimonianze.
Il futuro, cancellato dallo sguardo corto
del breve periodo, ci è imposto dalla
necessità di garantire ai beni comuni la
permanenza nel tempo.
Ritorna, in forme che lo rendono ineludibile, il tema dell'eguaglianza, perché
i beni comuni non tollerano le discriminazioni nell'accesso se non a prezzo di
una drammatica caduta in divisioni che
disegnano davvero una società castale,
dove ritorna la cittadinanza censitaria,
visto che beni fondamentali per la vita,
come la stessa salute, sono più o meno
accessibili a seconda delle disponibilità
finanziarie di ciascuno. Intorno ai beni
comuni si propone così la questione
della democrazia e della dotazione di
diritti d'ogni persona.
Spostando lo sguardo sui beni comuni,
dunque, non siamo soltanto obbligati
a misurarci con problemi interamente
nuovi.
Dobbiamo sottoporre a revisione critica
principi e categorie dei passato.
Dobbiamo rileggere in un contesto così
mutato la stessa Costituzione, quando
stabilisce che la proprietà dev'essere
resa “accessibile a tutti” e quando,
nell'articolo 43, indica una sorta di terza
via tra proprietà pubblica e privata.
Qui è l'ineludibile agenda civile e
politica non di un solo paese, ma di
tutti coloro che vogliono affrontare con
consapevolezza e cultura adeguate le
questioni concrete che ci circondano.
18/05/12 16.05
16
Né pubblico né privato – dossier
Erosione delle risorse
e dei diritti: un processo
di lunga durata
di michele crudo
Prima della rivoluzione agricola del
Neolitico, il nostro pianeta era abitato
da pochi milioni di esseri umani. Le
risorse erano illimitate e ogni clan
traeva dalla natura ciò di cui aveva bisogno. Il passaggio dal nomadismo alla
vita sedentaria e la nascita dei primi
villaggi inaugurarono la divisione dei
compiti (agricoltori, allevatori, artigiani) e la separazione dei ruoli (il capo, lo
sciamano, il consiglio degli anziani, i
guerrieri). Fu in questa fase che si procedette a una primordiale appropriazione dei beni della collettività, in
base alla quale si autorizzò il possesso
dei campi, degli animali, degli attrezzi
da lavoro. La formazione e lo sviluppo
delle civiltà fluviali segnarono il passaggio a un'articolata gerarchizzazione
sociale, che fu sancita dall'attribuzione
del potere ai nobili (proprietari di terre
e mandrie) e ai sacerdoti (custodi della
quota dei raccolti che i sudditi trasferivano nei magazzini del tempio). Il re,
nelle sue funzioni, era espressione della casta sacerdotale, che lo omaggiava
dei titoli divini, e dell'aristocrazia, che
lo affiancava nell'esercizio del comando
supremo.
L'avvento delle civiltà marittime creò le
premesse sia per una progressiva mercificazione dei beni prodotti, sia per
una tendenziale supremazia del valore
di scambio (prodotti prioritariamente
finalizzati al mercato) sulla funzione
d'uso (beni prevalentemente utilizzati
nel contesto in cui venivano prodotti).
Gli apripista di questo processo furono
i fenici, che fondarono la loro ricchezza
sull'espansione della rete commerciale,
grazie alla quale il redditizio scambio
delle merci elevò i mercanti al rango di
classe dirigente. I greci, emulando i loro rivali della sponda libanese, riuscirono a ritagliarsi un'ampia area d'influenza nel Mediterraneo. A una delle loro
facoltose colonie della costa anatolica
va riconosciuto il merito dell'invenzione della moneta, sintesi di un valore
assoluto in riferimento al quale tutte le
altre merci erano misurate e valutate.
Il potere di chi deteneva il denaro per
finanziare le attività produttive, gestire
i rapporti commerciali tra gli imperi,
assicurare regolarità alla distribuzione
dei prodotti, sostenere economicamente le guerre si consolidò con la civiltà
alessandrina, che unificò in un unico
mercato l'Oriente (da cui provenivano
seta, spezie e altri beni di lusso) e
l'Occidente (fornitore di materie prime
e produttore di utensili, suppellettili,
metalli).
L'impero romano raccolse l'eredità della civiltà ellenistica e potenziò gli scambi, intensificando le relazioni fra centri
urbani e campagna, fra città e città, fra
centro e periferia del suo vasto territorio. Per mantenere questa fitta densità
relazionale, garantita dall'efficienza
della circolazione via terra e via mare,
Roma incrementò lo sfruttamento delle
risorse naturali (disboscamento, centuriazione, urbanizzazione) e umane (diffusione del lavoro servile). Ne conseguì
un accumulo di ricchezze nelle mani di
chi controllava gli appalti per la riscossione delle tasse, possedeva le fornaci
per la cottura dei laterizi, disponeva di
latifondi e greggi per rifornire le città di
alimenti, armava le navi su cui viaggiavano le merci. La privatizzazione delle
risorse si accentuò con l'inarrestabile
schiavizzazione della manodopera, che
consentì ai proprietari di cave, cantieri
edili e navali, terreni agricoli e pascoli,
di impiegare forze lavorative a bassissimo costo.
Bassorilievo romano
che mostra scena
di vita quotidiana,
al mercato.
Strumenti_59.indd 16
18/05/12 16.05
Strumenticres n.59 – giugno 2012
Beni comuni.
Un manifesto
Mattei Ugo - Laterza,
Roma-Bari 2011
“Dalla lotta per l'acqua, l'università e la scuola pubblica a quella per
l'informazione critica; dalle battaglie contro il precariato e per un
lavoro di qualità, a quelle contro lo scempio e il consumo di territorio;
dalla lotta contro la privatizzazione della rete internet a quella contro
le grandi opere: i beni comuni non sono una merce declinabile in
chiave di ‘avere’. Sono una pratica politica e culturale che appartiene
all'orizzonte dell'esistere insieme”. Questo volume, scritto nella forma
agile del manifesto, teorizza i beni comuni come riconquista di spazi
pubblici democratici, fondati sulla qualità dei rapporti e non sulla
quantità dell'accumulo.
Il crollo dell'impero romano e la fine
della civiltà classica determinarono un
lungo periodo di carestie, epidemie e
arretramento che, contraendo la produzione e la circolazione delle merci,
rallentarono l'accumulo delle ricchezze.
Il calo demografico e l'economia di sussistenza in microcosmi autosufficienti
(monasteri, castelli, mansi) imposero
quindi un freno alla privatizzazione.
Questo fenomeno si verificò in tutta
l'Europa medievale e si manifestò
attraverso la proliferazione dei terreni
demaniali, delle libertà comunali, delle
autonomie concesse alle università e
alle corporazioni. In ognuno di questi
contesti venne infatti limitato il potere
d'intervento del re o dell'imperatore.
Lo testimonia la Charter of forest che
accompagna la Magna Charta firmata
nel 1215 in Inghilterra1. Il documento,
infatti, assicurava ai servi della gleba
il libero accesso alle foreste e l'uso dei
beni in esse contenuti. In questo modo,
impedendo ai feudatari e allo stesso
sovrano il privilegio incondizionato della caccia, si legittimarono le comunità
locali alla fruizione di legname, funghi,
frutta, selvaggina, erbe medicinali.
1 U. Mattei, Beni comuni Laterza, 2011 (pg. 33)
Strumenti_59.indd 17
L'affermazione degli Stati nazionali moderni creò una profonda cesura con il
passato. Bisognose di raccogliere tutte
le energie per ammodernare l'esercito,
rendere efficiente l'amministrazione, essere competitivi con le nazioni
concorrenti, le monarchie europee
ostacolarono le spinte centrifughe degli
organi ecclesiastici e della nobiltà,
imprimendo un'accelerazione alla
centralizzazione dei poteri che sfociò
nell'assolutismo. Questa politica, che
non ammetteva princìpi etici al di fuori
della ragione di Stato, fu favorita dalla
convergente partecipazione della borghesia mercantile, l'emergente classe
verso cui confluivano i profitti ricavati
dal lucroso commercio triangolare. Di
conseguenza, nel corso del Seicento e
del Settecento, l'espansione coloniale
olandese, britannica e francese s'intrecciò indissolubilmente con la crescente
prosperità delle Compagnie delle Indie
orientali e occidentali che programmavano e dirigevano: la tratta dei neri;
l'acquisto e la vendita di cotone, cacao,
caffè, canna da zucchero; la deportazione di orfani ed ergastolani nelle
colonie dove la mortalità dei bianchi si
aggirava intorno al 50%.
Un esempio emblematico della col-
17
laborazione tra sovranità statuale e
interessi privati è rappresentato dalle
recinzioni, eseguite con la forza dalle
autorità inglesi. Nel corso di un secolo,
alle comunità locali fu sottratto il bene
comune delle terre demaniali, che
furono acquisite dai proprietari terrieri
per essere usate come pascolo. L'allevamento del bestiame e la produzione
di lana assicurò una rendita costante ai
signori di campagna, mentre impoverì
le famiglie contadine che non ebbero
più un luogo dove raccogliere la legna,
portare al pascolo i maiali, catturare le
lepri. I proventi derivati dalle enclosures furono successivamente investiti
per costruire le filande. I proprietari dei
terreni recintati, insieme ai mercanti
delle città portuali, divennero perciò
imprenditori e utilizzarono le innovazioni tecnologiche per impiantare
opifici adatti ad ospitare la macchina a
vapore. La prima e la seconda rivoluzione industriale segnarono una svolta
nella storia dell'umanità perché crearono le condizioni per la produzione in
serie, l'aumento esponenziale del consumo delle merci, la proletarizzazione
della forza-lavoro. Ma, seguendo il filo
conduttore della riflessione sui beni
comuni, esse funsero da catalizzatore
del processo di appropriazione delle
risorse, che venne esteso alle fonti di
energia (carbone, petrolio, elettricità) e
alla tecnologia applicata ai settori della
chimica, dei trasporti, della metallurgia,
delle armi.
Il sistema capitalistico si dotò infatti
dei mezzi per reperire le materie prime
in ogni angolo del mondo, per poi
trasportarle nei centri industriali dove
venivano trasformate in prodotti finiti
che erano condizionati per essere immessi sul mercato internazionale. Tutto
questo veniva perseguito senza alcun
riguardo per il bene comune inestimabile che da allora in poi fu impunemente deturpato: il paesaggio. L'in-
18/05/12 16.05
18
Né pubblico né privato – dossier
dustrializzazione inquinò l'aria con lo
smog e i corsi d'acqua con gli scarichi;
costrinse la gente a vivere in malsani
ambienti metropolitani; contaminò
la produzione agricola con i concimi
chimici. I lavoratori furono trattati con
la stessa arbitrarietà che aveva indotto
gli industriali a saccheggiare l'ambiente. Per contrastare gli abusi padronali, i
lavoratori avviarono gli scioperi per la
riduzione della giornata lavorativa, la
tutela sanitaria, la giustizia sociale.
Alcuni di questi traguardi furono parzialmente raggiunti nei primi decenni
del Novecento, ma la crisi finanziaria
del ‘29 fece ripiombare le famiglie nella
precarietà del lavoro e nell'incertezza
esistenziale che aveva caratterizzato
la loro vita nel corso dell'Ottocento. La
disoccupazione cronica, la difficoltà di
accesso ai beni di prima necessità, le
limitazioni imposte alla libera espressione del pensiero, contribuirono a
formare la coscienza che le libertà
individuali e i diritti civili conquistati
erano un bene comune da salvaguardare. La cura dello Stato per il benessere dei cittadini (lavoro, casa, salute)
fu introdotta da Keynes negli Stati Uniti,
con il New Deal di Roosvelt, e fu seguita
in Europa dai governi che s'insediarono dopo la sconfitta del nazifascismo.
L'ottica in cui essi si muovevano era
convincente: preservare un tenore di
vita dignitoso per mantenere costante
la domanda da parte dei consumatori.
La regolarità degli acquisti avrebbe
conseguentemente stimolato l'offerta
dei beni prodotti dalle industrie. La
coerente teorizzazione della teoria
keynesiana innescò delle pratiche virtuose che, evitando una eccessiva polarizzazione tra ricchi e poveri, avevano
l'obiettivo di non acutizzare il conflitto
sociale. L'irrobustimento della classe
media promosse inoltre la mobilità sociale in verticale, che fu indirettamente
sollecitata da un più alto e generalizzato grado di istruzione.
Questa illuminata pratica politica è
andata a infrangersi contro la vorace
avidità di una struttura economica che,
ampliando a dismisura le transazioni
del mercato finanziario, ha sbilanciato
i rapporti di forza a favore di organismi
transnazionali spietatamente inclini
a imporre agli Stati la logica della
privatizzazione dei guadagni e della
Strumenti_59.indd 18
socializzazione delle perdite. Per cui,
quando gli affari vanno bene gli utili
vengono distribuiti agli azionisti, mentre se esplode una bolla artificialmente
gonfiata con la canalizzazione pilotata
dei risparmi, gli Stati sono chiamati
a sostenere le banche investitrici per
scongiurare il pericolo d'insolvenza.
L'aggravio di spese dello Stato viene
dunque scaricato sui cittadini che,
terrorrizzati dal rischio di una disastrosa bancarotta, si assumono l'oneroso
piano di sacrifici intenzionalmente
predisposto per intaccare ulteriormente le garanzie istituzionali racchiuse
nel prezioso scrigno dei beni comuni:
il soddisfacimento dei bisogni primari,
il diritto allo studio, la conservazione
di un ambiente paesaggisticamente e
socialmente vivibile, il funzionamento
dei servizi.
Come abbiamo potuto amaramente
constatare negli ultimi anni, l'agenda
dei governi è dettata dalle agenzie di
rating che stanno attualmente ottenendo ciò che richiedevano: aumento
delle tasse, privatizzazione dei servizi,
scardinamento dei contratti nazionali
di categoria. Su chi si oppone incombe
il ricatto dell'andamento in Borsa, come
è accaduto il 30 di marzo quando, in
coincidenza con lo sciopero nazionale
in Spagna, le quotazioni dei titoli di
stato spagnoli sono precipitate a causa
di una sospetta manovra speculativa.
Concludo il ragionamento con un'avvertenza. Dovendo privilegiare un'unica
chiave di lettura, la mia rapidissima
escursione attraverso millenni di storia
ha volutamente tralasciato gli aspetti
positivi delle civiltà, dell'economia
mercantile, del complesso sistema che
interconnette il mercato borsistico con
l'economia reale del mondo produttivo. L'intenzione non è quindi quella di
ingabbiare i fenomeni storici in una
visione improponibilmente univoca, ma
di fissare l'attenzione su un processo
di lunga durata di erosione delle
risorse, che rischia di consegnare il
nostro futuro a coloro i quali, ossessivamente proiettati verso la ricerca del
profitto, considerano un trascurabile
effetto collaterale la sottrazione dei
beni comuni alla collettività.
Qui sopra, John Maynard Keynes.
In alto, un gruppo di minatori.
18/05/12 16.05
Strumenticres n.59 – giugno 2012
19
Una nuova “Educazione”:
ai Beni Comuni
di piera hermann
Le “Educazioni” sono sempre state indicate da noi come fondamentali selettori
dei contenuti di un insegnamento per
temi e problemi che, grazie alla strumentazione sia disciplinare e interdisciplinare che metodologica, permetta alla
scuola di avere reale e fruttuosa efficacia
formativa. Ma le Educazioni non sono
categorie astratte definite una volta
per tutte. Esse sono invece le linee di
orientamento rispetto alla realtà nel suo
porsi e quindi anche nel suo trasformarsi.
È così, ad esempio, che una Educazione
come quella “allo Sviluppo”, che per anni
ci ha guidati in una progettazione didattica che voleva formare all'equilibrio e
alla giustizia socio-economica, è stata ad
un certo punto messa profondamente in
discussione perché è diventato sempre
più chiaro che la parola stessa “sviluppo”
sottintendeva la scelta di un modello di
società, quello economicista occidentale,
di cui si volevano invece evidenziare etnocentrismo, limiti e distorsioni (perciò
oggi si parla invece di Educazione alla
Sobrietà o, alla latino-americana, al buen
vivir ecc.).
Il rapporto tra la realtà e la lettura che ne
diamo è dunque soggetta alla trasformazione e al divenire. Non dobbiamo quindi
né stupirci (né…allarmarci) se si presenta
ormai davanti a noi una nuova Educazione! Sto parlando dell'Educazione ai Beni
Comuni.
Certo sarebbe preoccupante se la vedessimo come un altro onere da sommare
a quelli già numerosi di cui la scuola ha
il carico. Ma, come tante volte abbiamo
detto in queste pagine, non è così. La
necessità non è “aggiungere”, ma, come
del resto deve essere sempre in un lavoro
degno di essere definito “intellettuale”,
riesaminare, rileggere, ricalibrare contenuti e discipline alla luce del concetto di
bene comune.
Perché venti, trent'anni fa non se ne
parlava nella società e quindi nella
Strumenti_59.indd 19
scuola? La ragione è semplice e drammatica. Come l'uomo ha sempre modificato
per il proprio interesse l'ambiente che lo
circondava, ma ci siamo resi conto della
necessità dell'educazione ambientale
solo quando si è presentato il problema
della sostenibilità dell'azione umana
rispetto agli equilibri del pianeta in
funzione della nostra sopravvivenza, così
solo quando il concetto di proprietà ha
cominciato a scontrarsi con la sopravvivenza attuale e futura di strati sempre
più larghi (e vicini!) dell'umanità abbiamo colto la necessità di affermare, con
forza e a tutti i livelli, che ci sono beni
che non possono in nessun caso essere
alienati dalla proprietà comune, pena la
privazione della dignità in quanto esseri
umani o dell'esistenza stessa. Si parla di
acqua, di aria respirabile, di terra per la
produzione di cibo, ma anche di cultura,
di paesaggio…
Si tratta di un concetto in qualche modo
antico e nuovissimo che di colpo l'andamento della storia umana (globalizzazione, finanziarizzazione dell'economia,
divorzio di fatto tra democrazia e società
del capitalismo selvaggio, devastante
impoverimento dei poveri, inquinamento,
desertificazione, landgrabbing ecc.) ci
costringe a cogliere e declinare prima
possibile in tutte le sue conseguenze
emotive, giuridiche, politiche, istituzionali, culturali!
E, naturalmente, educative!
Non è un problema facilissimo come a
prima vista potrebbe apparire. Molti
aspetti si pongono ad una auspicabile
riflessione concettuale e culturale da
parte della Scuola e dei singoli insegnanti. Ne espongo qui due, senza voler dare
ad essi una risposta esaustiva, che non
ho, ma solo per sottolinearli all'attenzione degli insegnanti e per dare indicazioni
che volutamente sono solo pragmatiche,
ma non per questo meno convinte.
Il primo. L'Educazione ai Beni Comuni
coincide con l'Educazione ai Diritti? No.
Da molti anni a scuola, tanto per fare un
esempio, si lavora sull'acqua e si insegna
che essa è un diritto. Non si deve più
fare? E allora dove sta la differenza?
La differenza sta nel diverso percorso
storico del concetto di “diritto umano” e
del concetto di “bene comune”. L'Educazione ai Diritti parte dal presupposto che
ogni individuo è soggetto di diritti civili,
politici, economici, culturali e sociali ed
è un'idea che si è sviluppata a protezione contro la sopraffazione o l'incuria o
l'inettitudine dell'autorità pubblica, o, se
vogliamo, del potere1. Quello che cambia
è il soggetto. L'Educazione ai beni comuni si fonda infatti sull'idea che esista un
altro soggetto di diritti: la comunità2.
Le due Educazioni ovviamente non si
escludono, ma la necessità di cui oggi
stiamo parlando è la costruzione nella
mente dei giovani di un concetto, di un'idea che non può solo essere affermata
(come potrebbe farsi in un convincente e
appassionato discorso politico) per spingere alla pur indispensabile militanza del
cittadino, ma che deve essere culturalmente fondata e didatticamente costruita
perché stiamo parlando di un profondo
mutamento di mentalità e di nuove visioni del mondo. E questo ci costringe ad
andare, come sempre, ai nostri strumenti
del mestiere: una progettazione curricolare disciplinare ed interdisciplinare
1 Si veda a questo proposito l'articolo di
Elena La Rocca che apre il dossier.
2 Tralasciamo qui la riflessione su cosa
giuridicamente si possa intendere quando si
parla di 'comunità'. Assistiamo con passione
alla volontà di portare avanti e diffondere
una fondamentale elaborazione tecnicogiuridica che permetta di tutelare il pubblico
tanto dallo Stato quanto dal privato, in modo
ecologico e democratico. Per l'Italia, Rodotà,
Lucarelli, Paolo Cacciari, Mattei, ecc. sono
alcuni degli Autori cui rimandiamo nella
bibliografia del presente Dossier.
18/05/12 16.05
20
Né pubblico né privato – dossier
adeguata per epistemologia e contenuti (e
naturalmente coerente come metodo).
Un esempio chiarificatore, ma certo non
l'unico possibile, è quello dell'insegnamento della storia3. Una storiografia che
faccia risaltare il continuo processo di recinzione, esclusione, spossessamento dei
poveri che ha segnato il nostro passato
(dalla prima industrializzazione alla colonizzazione del mondo) è ben diversamente funzionale rispetto a quella che vede
lo stesso processo come cammino verso
sviluppo, modernità, civiltà (“lettura” che
ancora alberga nel nostro immaginario
collettivo, pur nella lampante contraddizione della società multiculturale, delle
crisi e della sfiducia presenti).
Il secondo problema. Il complesso concetto di “bene comune” comporta dei
rischi se ci si vuole addentrare nella sua
definizione per decidere su quali temi
lavorare.
Il rischio è di approdare impropriamente
ad una visione astratta e idealizzata
di società dei beni comuni nella quale
si rischia seriamente di perdersi. E, in
fondo, il difficile compito di elaborare
definizioni per ora possiamo lasciarlo
ai giuristi… Noi atteniamoci pragmaticamente alle evidenze, che ci danno già
un'enorme massa di temi e problemi
sicuramente coerenti con questa nuova
Educazione. Atteniamoci ai temi concreti
di azioni collegate alle urgenze sociali e
alle emergenze ambientali: la ripubblicazione dell'acqua, la lotta alle emissioni
in atmosfera, la fuoriuscita dall'era dei
combustibili, la difesa della terra e della
biodiversità, il libero accesso ai saperi…
E inoltre temi locali, legati al territorio
degli studenti, particolarmente preziosi
per la possibilità di lavorare su raccolta
diretta di informazioni, su testimonianze,
con esperienze concrete della classe. Cose particolarmente preziose e formative.
mazione ecc. coerente con l'Educazione
alla sobrietà, al buen vivir; proposte di
esperienze di impegno e partecipazione
concreta alla realtà del territorio coerenti
con l'Educazione alla Cittadinanza Attiva.
Tutto questo ed altro ancora concorre a
rendere possibile quel profondo cambiamento positivo in nome dei diritti della
comunità che non potrà essere raggiunto
se non grazie ad una generazione colta,
competente e responsabile.
Ancora una volta però, per finire, non
ci stanchiamo di ripetere (e possiamo
approfittare per ricordarlo anche a chi ci
governa?) che non c'è competenza che
basti da sola: per muovere all'impegno
per il cambiamento ci vuole un'idea di
miglioramento, di speranza e ci vuole la
consapevolezza, fatta appunto di informazione e di esperienze, che il cambiamento cui si aspira non è mito e utopia,
ma è qualcosa di possibile e spesso già
concretamente esistente in molte realtà
sia vicine che lontane da noi.
La consapevolezza di immani danni
domani non basta a muovere oggi! È
necessaria quella che, in tante altre
occasioni, io ho chiamato la capacità di
immaginare, accompagnata dall'idea che
ciò che immaginiamo è concretamente
possibile.
Del resto ce lo ripete quasi ogni sera l'affascinante George:” Immagina! (pausa)
Puoi!”.
Dalle
risorse
ai beni
comuni
Un giocopercorso a
tappe per
educare alla
sostenibilità
di giacomo petitti
Come sempre poi è da sottolineare la
sinergia con le altre Educazioni. Un insegnamento scientifico concettualmente e
metodologicamente coerente con l'Educazione ecologica e ambientale; un neoumanesimo coerente con l'Educazione
Interculturale; una riflessione letteraria
e linguistico-espressiva su esperienze,
bisogni, stili di vita, problemi dell'infor3 Per un discorso che approfondisce questo
tema si veda l'artico di Michele Crudo a pag. 16
Strumenti_59.indd 20
18/05/12 16.05
Strumenticres n.59 – giugno 2012
Un grande gioco all'aperto, da seguire tappa dopo
tappa in un percorso costruito tutto intorno alla
sede nazionale di Mani Tese, nel bel mezzo della
città di Milano. È l'idea un po' pazza che stiamo
provando a realizzare, certamente molto ambiziosa, per far giocare gli studenti di tutte le età a
combinare tra loro gli elementi naturali, trasformarli in risorse, infine scoprire che sono un bene
comune imprescindibile per la vita di ciascuno.
È un viaggio alla riscoperta di alcuni legami perduti: quello tra l'uomo e la natura che lo circonda
e quello forse addirittura più importante tra l'uomo e gli altri uomini, non più solo consumatori ma
soggetti attivi, creatori di relazioni e idee.
Il percorso è pensato con uno sviluppo circolare
suddiviso in tre fasi. In una prima fase gli studenti
si riuniranno nel punto di ritrovo per ascoltare
Gaia (Madre Natura, o più precisamente la Pachamama) e i suoi racconti sul mondo. Nella fase
centrale saranno invitati a intraprendere il viaggio
visitando le cinque tappe che lo compongono
(aria, acqua, terra, fuoco, uomo) e il corridoio
“Dal dire al fare”. Nella terza fase si riuniranno
nuovamente al cospetto di Gaia per riportare
quanto visto, sentito, imparato e tirare insieme le
conclusioni.
La simbologia del cerchio
La circolarità del percorso ha una forte valenza
simbolica. Da Gaia tutto parte e tutto torna. È lei
che racconta dei legami perduti tra l'uomo e il suo
pianeta, lei propone agli studenti di partire in un
21
viaggio alla scoperta degli elementi, di fronte a
lei si rifletterà sulle possibili soluzioni personali
e collettive. Il cerchio è la perfetta rappresentazione di un sistema economico che non consuma
oltre le proprie possibilità, in antitesi con la linea
retta, più adatta a rappresentare l'economia dei
materiali. Il cerchio, simbolo di complementarietà
e partecipazione, non non ha inizio né fine: in
esso ogni punto ha uguale importanza e tutto si
rigenera. La retta, al contrario, procede all'infinito, simboleggiando il postulato su cui poggia
l'economia moderna, secondo il quale è possibile crescere all'infinito inseguendo il mito del
progresso (progredire = andare avanti, avanzare),
senza far caso alla quantità né alla disponibilità
delle risorse naturali.
Cinque sensi, cinque elementi
Nella fase centrale Gaia inviterà gli studenti a partire alla scoperta degli elementi (acqua, aria, terra,
fuoco più il quinto elemento, l'uomo), affrontando
ad ogni postazione un tema specifico. Al fine di
aumentare la valenza esperienziale del viaggio, ad
ognuna delle postazioni che gli studenti incontreranno durante il percorso verrà associato lo sviluppo di un senso, secondo lo schema che segue:
ELEMENTO
Aria
Acqua
Terra
Fuoco
Uomo
TEMA
Deforestazione
Bene o merce?
Diritto al cibo
Energie rinnovabili
Impronta Ecologica
SENSO
Olfatto
Gusto
Vista
Tatto
Udito
Le attività
POSTAZIONE 1
Il gioco delle sedie
Prima fase
I ragazzi vengono fatti sedere su degli sgabellini
disposti a cerchio intorno al planisfero. Insieme
vengono individuati quattro punti sulla mappa,
corrispondenti a Africa, Asia, America latina, e
Nord del mondo. Considerando l'insieme degli
sgabellini come la totalità della ricchezza mondiale, si procede secondo le due fasi seguenti:
Fase 1: in ciascun angolo viene messo un numero
di sgabellini calcolato in relazione alla percentuale della ricchezza di quell'area rispetto alla
ricchezza mondiale. Con qualche arrotondamento
le percentuali sono le seguenti:
Africa = 3%; America latina = 8%; Asia = 26%;
Nord del mondo = 63%.
alla popolazione mondiale.
Africa = 16%; America latina = 9%; Asia = 56%;
Nord del mondo = 19%.
Fase 3: dopo aver distribuito la ricchezza (rappresentata dagli sgabellini) e la popolazione mondiale (i ragazzi), seguendo la stessa logica si distribuiscono tra le popolazioni dei continenti alcuni
bicchierini colorati che rappresentano le risorse
naturali (acqua, foreste, terra coltivabile, risorse
estrattive), ponendo l'accento sulla differenza tra
disponibilità e accesso (come si trasformano le
risorse in ricchezze? Chi e come le consuma?).
I ragazzi condividono idee, sensazioni, riflessioni
emerse dal gioco.
Fase 2: in ciascun angolo viene fatto accomodare
un numero di ragazzi calcolato in relazione alla
percentuale di popolazione di quell'area rispetto
Strumenti_59.indd 21
18/05/12 16.05
22
Né pubblico né privato – dossier
Seconda fase
POSTAZIONE 2
Elemento Aria
Tema Deforestazione
Attività Il gioco dei
100 alberi
Senso Olfatto
POSTAZIONE 3
Elemento Acqua
Tema Bene o merce?
Attività I sommelier
d'acqua
Senso Gusto
POSTAZIONE 4
Elemento Terra
Tema Diritto al cibo
Attività Spese dal
mondo
Senso Vista
POSTAZIONE 5
Elemento Fuoco
Tema Energie
rinnovabili
Attività Costruiamo
un forno solare
Senso Tatto
I ragazzi si preparano a iniziare il viaggio che,
attraverso gli elementi, li renderà protagonisti del
cambiamento possibile. Vengono divisi in quattro
squadre e ad ognuna si affida simbolicamente la
custodia di un elemento.
Ad un segnale dell'animatore le squadre vanno
alla ricerca della postazione relativa al proprio
elemento. Al nuovo segnale, dopo 15 minuti, le
squadre si muovono verso la postazione successiva. Ad ogni tappa i ragazzi saranno coinvolti in
una diversa attività:
La squadra si troverà in prossimità di questa
tappa a percorrere una rampa in salita. Il pannello-mostra presenta il tema e invita i ragazzi ad
osservare con attenzione il bosco disegnato sulla
parete a fianco della rampa. Ogni albero riporta
sulla chioma notizie e curiosità riguardanti la
relazione tra l'estensione delle foreste e le emissioni di CO2 prodotte dai paesi del mondo (Es: la
pianura padana una volta era una foresta e ora è il
posto più inquinato d'Europa, il quarto al mondo).
Una di queste notizie è falsa. Lo scopo del gioco è
individuarla e scriverla su un foglietto da riportare a Gaia, che durante la terza fase svelerà la
risposta esatta.
In cima alla rampa un cartello invita ogni ragazzo
a fare un bel respiro, annusare l'aria di Milano,
darle un voto da 1 a 10 e scriverlo sullo stesso foglietto dove ha indicato la frase falsa da riportare
a Gaia.
Il pannello-mostra della postazione spiega che
l'acqua dolce potabile è un bene scarso, e proprio
perché così prezioso va preservato nella sua
integrità. Poiché la scarsità è in aumento (a causa
dell'inquinamento prodotto dall'uomo, del riscaldamento globale etc.) ma il bisogno che ne abbiamo non diminuisce, anzi aumenta con il crescere
dei consumi e della popolazione mondiale, l'acqua
rappresenta un vero e proprio affare per chi vuole
guadagnarci.
Ce n'è relativamente poca e non possiamo farne a
meno!
Ma l'acqua privata è davvero più buona? I ragazzi
saranno invitati ad assaggiare l'acqua da due bottiglie diverse e dovranno indovinare quale è acqua
del rubinetto e quale acqua minerale, associando
alle bottiglie le etichette corrispondenti, dopo
avere letto le rispettive proprietà di ognuna.
Attorno al pannello-mostra sono sistemate dieci
fotografie di altrettante famiglie del mondo che
mostrano la loro spesa settimanale. Il pannello
invita ad osservare attentamente le foto, facendo
attenzione a tutti i dettagli. Ai ragazzi è richiesto
di:
▪▪ Mettere in ordine le foto dalla spesa più “ricca”
a quella più “povera”
▪▪ Rispondere alle seguenti domande:
̚̚ Se per ipotesi tutte queste famiglie ti aves-
sero invitato a cena questa sera, tu da chi
sceglieresti di andare?
̚̚ Perché?
Il pannello-mostra riporta inoltre alcuni dati sulla
quantità di terra coltivabile disponibile in relazione al fabbisogno calorico dei 7 miliardi di abitanti
del pianeta, mettendo in evidenza le diverse
destinazioni d'uso: quanta terra è utilizzata per
produrre frutta, verdura e cereali, quanta per produrre carne e quanta per produrre biocarburanti.
Il pannello-mostra riporta il fotomontaggio di un
planisfero che mostra come apparirebbe la Terra
dallo spazio se fosse possibile vederla tutta di notte nello stesso momento (inquinamento luminoso).
A partire dalla foto si invitano i ragazzi a ragionare sulla distribuzione dell'energia dando i dati di
quanti ne hanno realmente accesso e di quanta
proviene da combustibili fossili, nucleare ed
energie rinnovabili. Accanto al pannello è montato
un forno solare. I ragazzi devono scoprire come
funziona e se c'è sole metterlo in moto, verificando che si riscaldi. Un cartello a fianco del forno
racconta come viene usata questa tecnologia in
alcuni progetti di cooperazione di Mani Tese.
Al termine dell'attività verrà consegnato a tutti un
breve manuale di istruzioni su come costruire un
piccolo forno solare fatto in casa.
↳ Dopo aver viaggiato tra tutti e quattro gli elementi (terra, aria, acqua, fuoco) le squadre si riuniran→
no tutte insieme alla postazione numero 6.
Strumenti_59.indd 22
18/05/12 16.05
Strumenticres n.59 – giugno 2012
POSTAZIONE 6
Elemento Uomo
Tema L'impronta
ecologica
Attività Calcoliamo
la nostra impronta
Senso Udito
POSTAZIONE 7
Il corridoio “Dal dire
al fare”
Arrivati alla sesta postazione, i ragazzi trovano
un pannello uditivo, che spiega cos'è l'impronta
ecologica e come si calcola. Il pannello invita gli
studenti a calcolare individualmente la propria
impronta, compilando un test che trovano in un
espositore agganciato al pannello esplicativo. Una
volta calcolata l'impronta viene loro consegnata un'impronta da fissare sotto le scarpe, più o
meno grande a seconda del risultato ottenuto da
ciascuno.
Per passare alla tappa successiva i ragazzi si
troveranno a camminare su una rampa sulla quale
saranno dipinte delle impronte di diverse dimensioni, corrispondenti alle impronte ecologiche di
diversi paesi del mondo. I ragazzi potranno così
confrontare la propria impronta ecologica con
quelle dipinte a terra camminandoci dentro.
Per raggiungere la postazione iniziale/finale si
passa dal corridoio: “Dal dire al fare”, che presenta l'impegno e le attività di Mani Tese. Lungo la
parete di destra saranno appese immagini e testimonianze dai campi di volontariato, dai mercatini
dell'usato, dalle attività dei gruppi locali. Lungo la
parete di sinistra si troveranno invece immagini
e testimonianze dai progetti di Mani Tese nel Sud
del mondo.
Terza fase
Una volta riuniti nuovamente sul planisfero Gaia
chiede ai ragazzi che cosa hanno visto, sentito,
fatto e imparato lungo il percorso e fornisce le
risposte mancanti dai giochi.
Dopo averli ascoltati, Gaia li sottopone alla “prova
di Lustro”, Signore del tempo, che propone un'ultima attività: il gioco delle risorse. Il gioco stimola
la riflessione sul fatto che le risorse non sono
illimitate e, anche quando sono rinnovabili, hanno
dei tempi per farlo che devono essere rispettati.
Permetterà ai ragazzi di compiere il passo conclusivo, trasformando gli elementi naturali da mere
risorse da sfruttare in beni comuni da tutelare.
Il gioco delle risorse
L'animatore dispone su un tavolo alcune piccole
tavolette di metallo. Di fronte a lui i ragazzi sono
disposti a semi cerchio.
Ad alta voce leggerà le seguenti regole del gioco:
▪▪ Questi oggetti (tavolette) appartengono a tutti
voi.
▪▪ Quando dirò “VIA” ognuno potrà prendere quanti oggetti vuole. Quando dirò “STOP” nessuno
potra più prenderne.
▪▪ Dopo lo stop verranno contati gli oggetti rimasti
sul tavolo ne e verranno aggiunti in egual numero, senza però superare mai il numero iniziale.
▪▪ Chi arriverà ad accumulare 20 oggetti sarà il
vincitore. L'obiettivo di ciascuno di voi è però
quello di ottenerne almeno uno.
▪▪ Non potete parlare tra di voi o con me, né
mettervi d'accordo in alcun modo. Se non avete
capito queste istruzioni, potete solo chiedere di
Strumenti_59.indd 23
23
ripeterle. Ogni altra domanda è vietata.
Spesso si verifica che i giocatori si impadroniscono subito di tutte le tavolette che formano la
posta. In questo caso l'animatore dichiara finito il
turno e ritira gli oggetti, in quanto non potrà raddoppiare, non essendocene più, la posta rimasta
sul tavolo. Dopo essersi fatto consegnare tutte le
tavolette l'animatore ricomincia da capo. Quando
le tavolette si trovano al completo sul tavolo l'attività è accompagnata da una musica che riporta i
rumori di una foresta. Man mano che le tavolette
vengono prelevate la musica si abbassa. Quando
il tavolo sarà vuoto calerà il silenzio. Il gioco
finisce nel momento in cui i ragazzi hanno capito
il meccanismo cooperativo necessario a sfruttare
al massimo la “rinnovabilità” delle tavolette.
Debriefing
Il gioco mostra come alcune forme di cooperazione che sembrano allontanare il raggiungimento
di obiettivi “individuali” possono invece rivelarsi
necessarie per soddisfare i propri bisogni. Per
quanto riguarda certi beni, soprattutto quelli che
vengono definiti “beni comuni”, l'obiettivo collettivo è condizione necessaria per il raggiungimento
di quello individuale.
Lustro, Signore del tempo, aiuta in questa fase i
ragazzi nella riflessione, facilitando la rielaborazione di quanto emerso e dimostrando come sia
necessario fare i conti con lui nel ricercare un
vero benessere.
Si condividono infine pensieri e riflessioni e insieme si traggono le conclusioni.
18/05/12 16.05
24
Né pubblico né privato – dossier
Per la salvaguardia
dell'Infodiversità
di giulio sensi
L'articolo 19 della Dichiarazione
Universale dei Diritti Umani recita così:
“Ogni individuo ha diritto alla libertà di
opinione e di espressione incluso il diritto
di non essere molestato per la propria
opinione e quello di cercare, ricevere e
diffondere informazioni e idee attraverso
ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”.
Come ogni diritto sancito sulle carte,
pretende dagli Stati la creazione di
condizioni volte alla sua realizzazione
e la rimozione di qualsiasi ostacolo
che ne danneggi il compimento. Molta
letteratura degli ultimi anni, e non solo,
insiste sullo stato dell'informazione
di un paese come termometro dello
stato di salute della democrazia. Anche
fra la gente comune l'informazione
è avvertita sempre di più come un
bene primario –fra i molti altri–, la cui
fruizione libera e consapevole è uno dei
prerequisiti per il godimento dei diritti
fondamentali dell'uomo e della donna
e per la costruzione e rivendicazione
di tali diritti in piena consapevolezza.
Complici i fatti degli ultimi anni, sta
crescendo nella società civile mondiale,
e anche in quella italiana, l'attenzione nei confronti di questa tematica.
Questo anche alla luce delle frequenti
mobilitazioni della categoria professionale dei giornalisti che chiede maggiore rispetto delle proprie condizioni
contrattuali e della libertà di esercizio
del proprio mestiere, ma anche della
società civile che manifesta per regole
e condotte diverse nell'ottica di un
maggiore pluralismo. Contemporaneamente, lo sviluppo di nuove tecnologie
e il moltiplicarsi dei mezzi e delle possibilità a disposizione di chi vuole fare
informazione (tecnologie informatiche,
canali digitali terrestri) ridefinisce e
cambia in continuazione i modi e le
forme della circolazione dell'informazione, ampliando sempre più i confini
di un settore che è sempre meno coinci-
Strumenti_59.indd 24
dente con una categoria professionale
ben delineata (i giornalisti) e riguarda
in prima persona fette crescenti della
società che vedono prioritario il lavoro
sulla loro capacità di organizzarsi per
facilitare la circolazione delle informazioni di proprio interesse e di interesse
collettivo. In questo senso un ruolo
sempre più importante lo svolgono i
social network e il web 2.0 e 3.0 (vedi
anche Strumenti numero 58 “Se l'informazione è un bene comune”).
Con questo contributo alla riflessione
del Cres sui beni comuni, intendiamo dare alcune chiavi di lettura del
fenomeno proprio nell'ottica dell'informazione “bene comune”. Ne riportiamo
quattro fra le molte possibili, che ci
sembrano oggi molto attuali.
La concentrazione
dell'informazione
Una prima chiave di lettura è la concentrazione crescente in poche mani della
proprietà dei media. A questo tema, e
ai suoi risvolti per la democrazia, ha
dedicato un libro ricco di contributi
il giornalista di Rainews24 Maurizio
Torrealta intitolato “Democrazia e
concentrazione globale delle proprietà
mediatiche”. La questione è talmente
in evoluzione che una fotografia reale
della concentrazione dei media è quasi
impossibile, ma esistono studi a livello
internazionale che periodicamente
cercano di fare il punto sulla questione.
Anche in Italia la concentrazione dei
media, e nello specifico dei mezzi di
informazione, è molto alta e appare
irreversibile. Su questo tema fornisce
periodicamente aggiornamenti la
rivista Altreconomia con inchieste e
la pubblicazione del manuale “Informazione istruzioni per l'uso”. Basti in
questa sede ricordare che il 73% del
fatturato della carta stampata in Italia
è in mano a 5 aziende editrici e il 92%
di quello della televisione a 3 proprietari di emittenti. Un dato, peraltro, che
dimostra che il problema del pluralismo
non coinvolge solo il mezzo televisivo,
ma anche gli editori della carta stampata e le loro propaggini sul web.
Democrazia e
concentrazione
dei media
Maurizio Torrarlta
EdUP, 2008
18/05/12 16.05
Strumenticres n.59 – giugno 2012
25
Informazione
istruzioni per l'uso
Il controllo del flusso
delle notizie
Un'altra chiave di lettura è la cosiddetta “filiera delle notizie”, vale a dire la
catena che regola il flusso delle notizie
su scala globale e nazionale. Gli attori
principali nella filiera delle notizie del
sistema dell'informazione di oggi sono
le agenzie di stampa: fonti di informazione che si pongono a monte della
catena, a cui giornali, televisioni, radio,
testate online si collegano tramite un
abbonamento che permette loro di
ottenere in tempo reale aggiornamenti
costanti su fatti già noti o nuovi.
Tramite questa fonte i giornalisti riescono a coprire spesso gran parte delle
necessità. Soprattutto per le notizie
che rimangono “lontane dagli occhi”, le
agenzie di stampa svolgono un ruolo
centrale, dal momento che hanno
una rete di corrispondenti dislocati
sul territorio in grado di trasmettere
tempestivamente le “news”. Circa la
metà delle 300 più grandi sono nordamericane, 80 europee, 49 giapponesi
e 27 provengono dal resto del mondo.
L'80% delle notizie che circolano per il
Pianeta sono prodotte, secondo i dati
dell'Unesco, da 4 agenzie: le statunitensi Associated Press e United Press
International, la francese France Press
e la britannica Reuters. Uno strapotere
enorme, almeno per il momento, rispetto all'importanza della produzione di
notizie “dal basso”, supportata soprattutto dai social network e in particolare
da twitter, che ha giocato e gioca in
maniera crescente un ruolo cruciale
nell'affiancarsi al controllo dell'informazione da parte di poche grandi agenzie.
Strumenti_59.indd 25
La “concentrazione dei
consumi” e la “infodiversità”
In Italia, fino al 2008, il 67% delle
persone compravano almeno una volta
alla settimana un giornale a pagamento.
Oggi il numero di chi entra in edicola
chiedendo il giornale è calato a meno
del 55%. Fino al 2007 il 51,1% degli
italiani leggevano il quotidiano almeno
tre volte a settimana, oggi il 34,5%,
una riduzione dalla metà ad un terzo.
È difficile dire se sia colpa della crisi,
quanta responsabilità abbia internet, se
la causa sia legata alla qualità peggiore
dei giornali. Sicuramente molti fattori
concorrono a determinare tale crisi, di
fatturati e di lettori: un elemento su
tutti, la raccolta pubblicitaria che si
concentra soprattutto in televisione e
sempre meno sui giornali. Secondo i dati sui consumi televisivi forniti dall'Istat,
gli ascolti sono concentrati su alcune
specifiche reti o fasce orarie (solitamente lo share dei telegiornali è fra i più alti
della giornata televisiva). Un discorso
analogo vale per i giornali: il giornale di
gran lunga più letto in Italia è un quotidiano sportivo che fa parte del gruppo
Rcs, La Gazzetta dello Sport e occupano
poi posizioni di rilievo solamente il
Corriere della Sera e Repubblica. Questo
che abbiamo sinteticamente tracciato è
solo un disegno generale di uno scenario che non esclude l'esistenza, spesso
tenace, di molte realtà di informazione
di qualità. Ma il loro peso in termini
di dimensioni e di pubblico è estremamente ridotto, anche se simbolicamente
rilevante. Osservare i consumi di informazione (soprattutto con i dati Istat,
Censis e di società come Audipress, Auditel, Audiradio etc.) è un esercizio che
può essere utile per fornire, insieme al
dato circa le dimensioni sul mercato
dei vari giganti dell'informazione, una
mappa dell'“infodiversità” del mondo e
dell'Italia.
giulio sensi
Altreconomia, 2010
Accedere a un'informazione
di qualità è un diritto –e al
tempo stesso un dovere– di ogni
cittadino. Una guida pratica
per analizzare il mondo dei
media italiani –dalla tv al web–,
capirne i meccanismi, i poteri, i
limiti e le potenzialità, con un
occhio di riguardo per le realtà
indipendenti, che non temono
censure né ingerenze.
Il “conflitto di interessi”
degli editori
Una quarta e ultima chiave di lettura
può essere relativa alla proprietà dei
mezzi di informazione e agli interessi
degli editori in campi diversi da quelli
del giornalismo. L'Italia in questo senso
rappresenta una specificità poco invidiata nel mondo dal momento che non
esistono praticamente, tranne rare e
piccole eccezioni, i cosiddetti “editori
puri”, vale a dire proprietari di mezzi di
informazione che facciano dell'editoria
il loro esclusivo o prevalente interesse.
Osservando sempre la mappa dell'informazione italiana (per la quale segnaliamo ancora il volume “Informazione
istruzioni per l'uso” edito da Altreconomia) possiamo vedere come l'editoria e
l'emittenza radiotelevisiva italiana sia
quasi esclusivamente in mano a società
che hanno interessi in molti campi
dell'economia, oppure siano legati con
un filo diretto alla politica partitica
(come nel caso della Rai o dei giornali
di partito che godono di forti finanziamenti pubblici). È lecito chiedersi se
e in che modo questi grandi e meno
grandi conflitti di interessi abbiano un
impatto sulla qualità dell'informazione
e sulla sua indipendenza ed autonomia
dai poteri economici e politici.
18/05/12 16.05
26
Né pubblico né privato – dossier
Conclusioni: anche
l'informazione nell'universo
dei beni comuni.
Occorre assumere la consapevolezza
che la selezione e la gerarchia delle
notizie segue sempre di più logiche
esogene al giornalismo: analogamente
alla concentrazione delle risorse economiche e finanziare nelle mani di pochi
attori su scala mondiale, anche il flusso
di notizie si concentra su un numero
limitato di soggetti con il risultato di far
“sparire” dalle cronache pezzi importanti di società e rappresentare una realtà
sempre più parziale e “interessata”.
Il prodotto di cui i cittadini godono
(la pagina di giornale, il servizio
radiofonico e televisivo, le pagine del
sito di informazione) è la risultante
di differenti logiche che travalicano
la funzione classica dell'informazione
(fornire notizie rilevanti) e sintetizzano
spesso interessi politici o economici di
ben altra natura e dinamiche molto più
complesse rispetto a quella semplificata del cronista cacciatore di notizie che
vede, ascolta, indaga e scrive. Questi
fenomeni, sinteticamente presentati,
creano un crescente disorientamento
nell'opinione pubblica che è sempre più
scettica rispetto all'attendibilità di ciò
che legge e vede e si interroga su come
poter trovare mezzi alternativi di informazione. Emerge la necessità di essere
fruitori attivi e non passivi dell'informazione, ma anche di comprendere
meglio i meccanismi e gli interessi che
regolano questo mondo.
Guardare all'informazione come “bene
comune” significa innanzi tutto svelare
questi meccanismi, acquisendo maggiori strumenti di comprensione della
realtà: in una società dominata sempre
di più dalle leggi di mercato dove il
cittadino diventa consumatore e dove
l'informazione, l'intrattenimento e la
pubblicità hanno confini sempre più
sfumati e sovrapposti.
Come spesso accade, guardare fuori casa
propria aiuta a vedere con più chiarezza
le cose che ci sono vicine. Così ci pare
che l'affascinante esperienza di Bianca
Triaca, qui riportata, ci faccia capire con
immediatezza l'idea che “beni comuni” non
sono solo elementi come acqua, energia,
terra ecc. ma anche quel prodotto umano,
complesso e denso che chiamiamo Cultura.
Tsegung, il
patrimonio
culturale di una
comunità
Un progetto di formazione
e tutela del patrimonio artistico
e culturale in Camerun.
di bianca triaca, architetto
Collabora a progetti di cooperazione allo sviluppo nel settore della tutela
e della valorizzazione del patrimonio artistico e culturale
Tsegung è un termine in lingua ghomala', uno dei principali linguaggi bantu
del Grassland1. Significa “le cose del
paese” e indica il complesso di oggetti
rituali, sacri, di prestigio delle comunità che abitano in quell'area. Accanto
all'amministrazione dello Stato sono
ancora vive e determinanti nel Paese le
strutture sociali della tradizione che risalgono al passato precoloniale: i regni,
o “chefferies”. Sono territori più o meno
grandi, dove il fon, il capo tradizionale (re o chef) discendente di chi nel
passato ha guidato le migrazioni fino
allo stanziamento di uno o più gruppi
in un'area del Paese, ha il compito di
salvaguardare e trasmettere, attraverso
il perpetuarsi di antichi riti, la memoria
storica, i valori sociali e religiosi della
collettività, eredità sacra degli antenati.
Gli strumenti di questa ritualità autoc1 Regione che occupa l'ovest e il nord-ovest
del Camerun.
Strumenti_59.indd 26
tona, che materializzano e rendono
visibili i simboli della religiosità e del
potere, costituiscono un patrimonio
strettamente legato alla vita di ciascuna comunità. Si tratta di statuette,
maschere, troni, strumenti musicali,
decorazioni architettoniche, veri e
propri documenti della cultura e della
storia dei differenti popoli, della loro
organizzazione politica e sociale. Dotati ciascuno di una propria funzione specifica che può essere politica, militare,
religiosa, economica, amministrativa,
sono documenti di storia, di cultura, di
arte, carichi di significato. L'importanza
di questi oggetti è enorme. Secondo Engelbert Mveng, uno studioso camerunese che ha dato un contributo fondamentale allo studio della storia e dell'arte
africane “La storia africana è scritta
nelle opere d'arte. Decifrare questa storia
apre una pagina di epigrafia singolare e
inedita. Non è più vero dire che la storia
africana manca di documenti scritti; è ve-
18/05/12 16.05
Strumenticres n.59 – giugno 2012
Un progetto italiano in Cameroun ha portato
alla realizzazione di quattro Musei, come qui di
seguito leggerete. Dopo il saccheggio coloniale,
oggi esperti locali insieme ad esperti italiani
hanno collaborato alla raccolta, salvaguardia e
valorizzazione del patrimonio artistico e culturale che, bene comune dei camerounensi, può
vivere sia in questi luoghi dedicati, sia nella
vita reale in cui continua a svolgere la sua fun-
Il villaggio di Babungo al lavoro per il
montaggio di un pannello in bamboo sulla
facciata del museo.
zione. Il tutto, naturalmente, non inteso come
chiusura identitaria, ma proprio come possibilità di conoscere se stessi e farsi riconoscere
come portatori di Storia.
L'immagine del mondo, i valori, i riti e gli oggetti che li materializzano sono un bene di tutta la comunità e come tali vanno salvaguardati
e protetti ad opera e per il bene della comunità
stessa. Anche in Italia!
A sinistra:
museo di Mankon,
interno.
Museo di Bandjoun, interno.
profanazione degli altari, furto, sacchegro piuttosto che troppo spesso noi siamo
gio…”
analfabeti davanti alla sua scrittura.”
Il collezionismo privato è un'altra ricca
Un gran numero di capolavori dell'arte
riserva di documenti dell'arte e della
africana, carichi di senso e di storia,
sono oggi custoditi in prestigiosi musei cultura africana. Cito ancora Konaté:
“Allo scarseggiare degli oggetti antichi,
occidentali. In un intervento2 di Yacouba Konaté, professore di filosofia e
corrisponde lo spirito della collezione…
critica d'arte nell'Università di Abidjan, Spinto dall'interesse che ha per una o
si legge: “Il museo etnologico è nato nel
più famiglie di oggetti, il collezionista
cuore della violenza dell'impresa colonia- sviluppa una bulimia puramente feticista.
le che considerò i pezzi acquisiti come
A differenza dei nuovi ricchi che espongooggetti per la conoscenza degli uomini e
no sui loro corpi e sulle loro case i segni
delle etnie da “civilizzare”. Michel Leiris
esteriori della ricchezza, il collezionista
ha svelato le pratiche che erano in corso.
applica la sua volontà di potenza all'acEstorsione degli oggetti, mercanteggiacumulo di una categoria di oggetti di cui
mento, ricatto, intimidazione armata,
talvolta si innamora. Accanto a quelli che
accumulano meccanicamente, vi sono
2 “Musées en Afrique: esthétique du
coloro che si affezionano ai “loro oggetti”.
désenchantement”, pubblicato dalla rivista
Per ciascuno oggetto che possiedono,
Africultures n°70 (2007). Le citazioni sono
questi ultimi possono raccontare una
state tradotte a cura della redazione.
storia vissuta e più o meno toccante. Por-
Strumenti_59.indd 27
27
tatori di valori di civiltà, questi oggetti
diventano allora momenti di traiettorie
singolari…”.
Questi documenti di storia, di cultura,
di creatività, costituiscono i materiali
di eventi espositivi a volte epocali,
promossi da istituzioni prestigiose.
Propongono mappe preziose, vastissime, dell'arte del continente, sono
occasioni di scoperte, di confronti, di
discussione sulle influenze dell'arte
africana tradizionale sull'arte europea,
di questa sull'arte contemporanea
africana. Altri terreni di riflessione,
anche se rilevanti, rimangono purtroppo poco esplorati. Per esempio: che
cosa resta agli africani del loro patrimonio artistico? In che condizioni si
trova quanto, di questo patrimonio, è
sfuggito al saccheggio coloniale, alle
distruzioni che hanno accompagnato
18/05/12 16.05
28
Né pubblico né privato – dossier
www.museumcam.org
Un sito, in francese e inglese,
molto ricco di informazioni
sui quattro musei, sulla
storia della regione e sulle
collezioni ospitate. Molte
belle immagini permettono
di compiere una vera visita
virtuale.
le guerre nei vari paesi del continente,
a un mercato praticato spesso a livelli
di rapina? Come salvaguardare quello
che resta? Come valorizzarlo, farne un
elemento di sviluppo, senza strapparlo
al terreno culturale che lo investe di
significato e ne motiva l'esistenza? Perché è così raro che delle opere esposte
sia indicato l'autore? Ancora una volta
cito Konaté, per l'importanza del suo
impegno nella salvaguardia e nella
valorizzazione del patrimonio artistico
africano: “Non potendo stabilire in modo
chiaro l'autore dell'opera e fargli dire
“me io”, il museo lascia a ogni visitatore
la libertà di utilizzare il suo sguardo e di
descrivere per effetto della visibilità così
indotta, il proprio processo di senso… Ma
allora dove sono finiti i soggetti creatori
degli oggetti che popolano le collezioni
di arti africane? Come comprendere
quando invece di promuovere il soggetto,
il museo ha finito per privilegiare pratiche che rendono anonime le opere delle
collezioni?”.
Cercando risposte a domande come
queste è nato il progetto “Formation,
tutelle du patrimoine culturel et artistique, développement au Cameroun”.
Promosso dall'ong COE, finanziato dal
Ministero degli Affari Esteri e dalla
Conferenza Episcopale Italiana, il progetto ha portato alla realizzazione dei
musei camerunesi di Mankon, Babungo,
Strumenti_59.indd 28
Baham, Bandjoun.
pour le Développement en CoopéraI quattro musei raccolgono, salvaguartion), grande conoscitore dell'arte e
dano e valorizzano le collezioni dei
della cultura del Grassland camerunese,
palazzi reali, i tesori delle società tradi- di cui è originario, autore di numerose
zionali e dei notabili di quelle comunità, ricerche sull'arte di quella regione. La
supporti visibili di valori importanti,
sua formazione di antropologo e di stoancestrali. Tramandano il senso della
rico dell'arte, la sua grande esperienza
storia, partecipano quanto la tradizione di ricercatore e di studioso hanno costiorale alla trasmissione culturale, almetuito il fondamento essenziale del lavono finché la loro esistenza è assicurata
ro di formazione dei futuri conservatori,
e il loro senso è riconoscibile, generadello studio e della documentazione
zione dopo generazione.
delle collezioni, della redazione dei
Il museo è il loro luogo di conservaziocataloghi dei musei. Una personalità
ne ma non li imprigiona, non li sottrae
di grande valore intellettuale e umano
al terreno culturale che li esprime. Gli
cui si devono l'apertura e lo sviluppo in
oggetti continuano la loro vita nella
Cameroun della ricerca sul patrimonio
realtà sociale, culturale e religiosa della artistico. Purtroppo il professor Notué
collettività cui appartengono. Dal muè recentemente mancato lasciando
seo escono ogni volta che la tradizione
nella vita culturale del suo Paese un
li chiama, per portare la loro presenza
vuoto enorme che la ricchezza del suo
carica di significati nello spazio e nel
insegnamento potrà colmare attraverso
tempo della vita comunitaria. Una conil lavoro e l'impegno dei suoi allievi.
notazione questa che ha reso l'interAlla formazione dei conservatori sono
vento particolarmente rassicurante per
stati dedicati i primi due anni del
le popolazioni interessate. Ipotesi di
progetto. Una prima fase teorica di otto
sradicamento di questi materiali, mamesi, residenziale, si è svolta nella segari per contribuire a un grande museo
de del COE a Mbalmayo. I corsisti, venti,
nazionale, suscitano una diffusa, forte
erano tutti in possesso di baccalauréat,
resistenza, sollecitano interrogativi
taluni laureati in discipline diverse: linallarmati sulla liceità e sul senso della
gue, diritto, scienze naturali. Provenivadecontestualizzazione di documenti di
no dalle quattro località del Cameroun
“cultura vivente” profondamente legati
in cui sarebbero stati realizzati i musei,
alla realtà che li esprime, estranei ad
scelte secondo criteri che tenevano
una logica espositiva che li espropri
in considerazione la presenza di un
dell'importante e insostituibile funpatrimonio artistico interessante, la
zione spirituale e simbolica che essi
disponibilità delle autorità tradizionali
continuano a svolgere nel loro terreno
ad aprire allo studio e alla fruizione
di appartenenza.
sociale il “tesoro” di cui sono i custodi
La formazione dei conservatori ha
(gli oggetti culturali della comunità, tserappresentato un impegno prioritario e
gung), l'impegno dei responsabili locali
qualificante del progetto. Non esisteva
a destinare alla funzione di museo un
in Cameroun alcun percorso formativo
edificio, già esistente o da costruire.
di quel tipo. Non era possibile però, per Terminata la prima fase di corso teorico
la futura gestione dei musei, avvalersi
residenziale, i venti corsisti sono riendi operatori sprovvisti di un'adeguata
trati nei luoghi di provenienza di ciapreparazione o provenienti da altri
scuno per iniziare l'anno di formazione
paesi. Sarebbe stato in contrasto con
pratica, condotta direttamente sul
gli stessi obiettivi del progetto: formare terreno con la supervisione dei docenti.
nuove professionalità nel settore della
Ogni gruppo ha avuto in dotazione gli
tutela dei beni culturali, per salvastrumenti necessari per il lavoro di
guardare e valorizzare il patrimonio
studio e catalogazione delle collezioni.
artistico del paese e per creare nuove
Per un anno i ragazzi hanno studiato il
possibilità di lavoro ai giovani camepatrimonio artistico del loro territorio,
runesi.
applicando i criteri e i metodi di ricerca
La responsabilità scientifica del proe di documentazione appresi durante la
getto è stata affidata al professor Jean
fase teorica della loro formazione. Un
Paul Notué, docente di storia dell'arte
aspetto importante del loro lavoro ha
all'università di Yaoundé, ricercatore
riguardato l'attribuzione delle opere.
dell'IRD (Institut Français de Recherche Non sempre è stato possibile risalire
18/05/12 16.05
Strumenticres n.59 – giugno 2012
all'identità degli artisti ma in taluni
casi si sono potute individuare vere e
proprie scuole, influenze e scambi fra
diverse regioni. Io ho seguito costantemente il lavoro sul terreno, il responsabile scientifico ha fatto numerose
missioni per verificare i risultati della
ricerca in base ai quali si è potuta fondare la scelta dei materiali da esporre
in ciascuno dei musei.
L'intervento del museografo è stato
l'unico per il quale ci siamo rivolti all'esterno del paese, nel quale non esisteva
una simile figura professionale. Affidare
a un professionista straniero l'allestimento di questo tipo di collezioni, nel
contesto tradizionale del villaggio,
poteva comportare problemi non facili
da risolvere. Il contributo del professor
Antonio Piva, docente di museografia
alla facoltà di architettura del Politecnico di Milano, è stato di grande valore,
molto apprezzato e rispettato dalle
autorità e dalle collettività locali per la
costante attenzione a valorizzare i materiali, le tecniche, le abilità artigianali
locali.
Nell'ovest camerunese, la regione dove
sono stati realizzati i quattro musei, c'è
un materiale, la rafia3, di cui l'ambiente
naturale è particolarmente ricco e di
cui viene fatto un uso larghissimo, con
tecniche antiche e raffinate. Presente
dai banchi del mercato alle pareti
dell'edificio tradizionale più sacro e importante della residenza reale, la “grande case”, la rafia è un richiamo costante
alla cultura e alle abilità artistiche e
artigianali delle comunità locali. In
tutti i musei i supporti su cui sono stati
esposti gli oggetti sono stati realizzati
in canne di rafia legate da liane, esattamente come i banchi di ogni mercato di
ogni villaggio di questa zona. Soltanto
il ripiano orizzontale è in legno: il
padouk, un'essenza dal bel colore rosso
vivo, che dà un forte risalto ai legni e
alle argille di cui sono per lo più fatti
gli oggetti esposti. Le pareti di due dei
musei sono state rivestite di pannelli
realizzati con canne di rafia legate da
intrecci eleganti di liane. Sempre in
canne di rafia sono fatti i portalampade
che corrono lungo tutta la lunghezza
delle sale di esposizione. Nel museo
situato nella zona di produzione del
3 Genere di palma dalle cui foglie si ricava la
fibra omonima.
Strumenti_59.indd 29
29
Alcune spose reali restaurano antiche tenute
cerimoniali in tessuto ndop.
tessuto “ndop”, utilizzato tradizionalmente come sfondo prezioso degli
eventi più importanti della vita sociale
della comunità locale, un'intera parete
è stata rivestita da questi lunghi teli di
cotone lavorato a mano, tinti in un blu
indaco da cui restano escluse le decorazioni: una ricca simbologia tradotta in
disegni geometrici tracciati sul tessuto
ancora bianco, fittamente cuciti col filo
di rafia prima del bagno nell'indaco
perché la tintura non li tocchi.
Questi interventi hanno molto contribuito ad accorciare le distanze fra il museo e le comunità, che se ne appropriavano lavorando alla costruzione degli
spazi delineati dal progetto museografico, dandogli forma con i loro materiali,
le loro tecnologie. Le spose reali hanno
ricucito antiche tenute di notabili consunte dal tempo e dall'usura, che sono
state poi montate su manichini di legno
scolpiti da artisti locali. Gli oggetti e le
tecniche della tradizione entravano nel
museo con funzioni importanti, il villaggio si avvicinava ad un intervento del
tutto nuovo che assumeva, nel concretizzarsi, caratteri familiari e riconoscibili. Alla fine del secondo anno i quattro
musei erano allestiti e si aprivano ai
visitatori.
L'impegno nella salvaguardia del patrimonio di cultura diffuso nel territorio
esce anche dagli spazi espositivi. Ogni
museo presenta un itinerario della
memoria collettiva che guida attraverso
i luoghi delle leggende, dei miti, della
storia, della religiosità, della tradizione
della comunità. Spesso caratterizzati
dalla presenza dell'acqua –una cascata,
un fiume– di alberi, oppure contrassegnati da pietre, riconoscibili per i resti
dei sacrifici che ancora vi si celebrano,
ricordano un episodio, una leggenda,
un personaggio, oppure sono noti per
una qualche proprietà magica o terapeutica. Sono luoghi di appartenenza
e, contemporaneamente, confini che si
allargano per accogliere l'esperienza
dei visitatori.
I quattro musei vivono, con alterne
vicende, problemi e qualche successo,
come molti musei al mondo. Altri villaggi hanno organizzato il loro patrimonio
in strutture disseminate nel Paese
lungo quella che ora si chiama “La
route des chefferies”. Vi si incontrano
scolari camerunesi, visitatori stranieri,
famiglie camerunesi in vacanza. Piccoli
tasselli di bene comune, patrimonio
dell'umanità.
18/05/12 16.05
30
Né pubblico né privato – dossier
BIBLIOGRAFIA RAGIONATA
a cura di Anna Di Sapio ed Elisabetta Assorbi
Capitalismo 3.0
Il pianeta patrimonio
di tutti
Gli spossessati. Proprietà,
diritto dei poveri e beni
comuni
Barnes Peter - Egea, Milano 2007
Bensaid Daniel - Ombre corte, Verona 2009
Una proposta che può suonare un po' provocatoria (e un po'
visionaria), ma che intercetta un'opinione diffusa sull'opportunità di una riforma dell'assetto capitalistico. La versione
3.0 del sistema capitalistico dovrebbe fondarsi sulla rivalutazione e sul recupero dei beni comuni, i cosiddetti commons,
che tutti possono utilizzare, ma su cui nessuno può reclamare un diritto esclusivo, come quelli ambientali o culturali, ad
esempio aria, acqua, parchi, monumenti. Solo attraverso la
riappropriazione è possibile fronteggiare i problemi che il
capitalismo non ha saputo risolvere, come il cambiamento
climatico, l'esaurimento delle risorse energetiche, il degrado
ambientale e la povertà, assicurando così il funzionamento
del sistema-mondo per il futuro. Perché sia possibile procedere, occorre che i beni comuni vengano gestiti in modo
autonomo sia dalle leggi di mercato, sia dal controllo politico.
La soluzione, per Barnes, sta nell'affidare tali beni a Fondazioni o Trust, come avviene, per esempio, in Alaska, dove
in questo modo sono gestiti i proventi delle concessioni per
l'estrazione di gas e petrolio.
Nel 1842 Karl Marx pubblica una serie di articoli concernenti il dibattito alla Dieta renana a proposito dei furti
forestali. Diritto di proprietà, libertà di stampa, rapporto
delitto/pena sono i temi di cui essi si occupano. Lo sviluppo del capitalismo comportava allora uno spostamento
della linea di divisione tra il diritto consuetudinario dei
poveri (la raccolta della legna secca, per esempio) e il
diritto sempre più invadente dei proprietari. Due anni
prima, il famoso pamphlet di Proudhon sulla proprietà
aveva fatto scandalo, scagliandosi contro le giustificazioni
liberali dell'appropriazione privata.
Più di un secolo e mezzo dopo, le controversie in corso sul
brevetto del vivente, sulla proprietà intellettuale, sul diritto
all'esistenza ecc., danno a tali questioni teoriche e giuridiche una sconvolgente attualità. A partire da Marx, l'Autore
ritorna sulle fonti filosofiche del dibattito per scoprire, oggi
come ieri, che gli spossessati si sollevano contro la privatizzazione del mondo e la logica glaciale del calcolo egoistico.
Proprietà e beni comuni: questa la sfida del presente.
Beni comuni vs merci
Ricoveri G.
Jaca Book, Milano 2010
Questo libro introduce un concetto fondamentale per le
future sorti dell'umanità. Estranei alla dimensione privata e al
valore commerciale, ma anche all'alternativa privata e statale,
i beni comuni sono riemersi nella considerazione sociologica,
diventando la bandiera dei movimenti progressisti mondiali
che cercano una via d'uscita dal capitalismo. Il recupero dei
diritti delle comunità sui beni comuni, la riappropriazione
delle risorse naturali rappresenta un nuovo paradigma di
società organizzata a livello locale e a partecipazione democratica, ecologicamente sostenibile, in parte anche sostitutivo
del mercato, da rilanciare anche nei paesi del Nord.
Strumenti_59.indd 30
18/05/12 16.06
Strumenticres n.59 – giugno 2012
Governare i
beni collettivi
Ostrom Elinor
Marsilio, Venezia 2006
È un classico della letteratura in materia, pubblicato dalla
Cambridge University Press nel 1990, poi tradotto in diversi
Paesi. Il volume affronta una delle questioni più antiche
e controverse nel campo della gestione dei beni collettivi:
come l'utilizzo di questi può essere organizzato in modo da
evitare sia lo sfruttamento eccessivo, sia i costi amministrativi troppo elevati.
L'Autrice sostiene con vigore l'esistenza di soluzioni alternative sia alla «privatizzazione» , da una parte, sia al forte
ruolo di istituzioni pubbliche e regole esterne, dall'altra. Ci
sono soluzioni, invece, fondate sulla possibilità di mantenere
nel tempo regole e forme di autogoverno di uso selettivo
delle risorse; perciò nel saggio si prendono in considerazione
una gamma molto ampia di casi. Le conclusioni si basano sul
confronto di casi di successo e fallimento dell'autogoverno
ed identificano alcune caratteristiche fondamentali dei sistemi di gestione di risorse collettive, che hanno avuto successo.
Di conseguenza vengono formulati veri e propri «principi»
da rispettare nell'uso delle risorse collettive. Seguendo il
metodo dell'«analisi istituzionale», risultato da precedenti
lavori, sono stati necessari alcuni anni di lavoro , soltanto
per leggere un sufficiente numero di casi, studiare i precedenti tentativi di sintetizzare le conclusioni provenienti da
campi specializzati e sviluppare i moduli di codificazione. In
seguito, si è tentato di costruire una teoria in grado di comprendere le costanti presenti nei commons. L'auspicio finale
è che altri studiosi di scienze sociali continuino a monitorare
e interpretare il fenomeno..
Il bene di tutti. L'economia
della condivisione
per uscire dalla crisi
Grazzini E. - Ed. Internazionali Riuniti, Roma 2011
L'Autore, prendendo spunto dagli studi di Elinor Ostrom,
premio Nobel dell'economia,e di Peter Barnes, autore di
Capitalismo 3.0 (Egea, 2007), afferma che per uscire dalla
duplice attuale gravissima crisi –economica ed ecologica–
occorre sviluppare un'economia policentrica, che comprenda
tre comparti: i beni comuni, il mercato e il settore pubblico.
Il nuovo settore dei commons –ovvero dei beni che per loro
natura non possono non essere condivisi– dovrebbe offrire
beni immateriali e materiali aperti a tutti: quindi dovrebbe
assumere un ruolo centrale nell'economia e consentire un'effettiva competizione di mercato.
Strumenti_59.indd 31
31
Per il bene
comune.
Dallo stato
del benessere
alla società
del benessere.
Amoroso Bruno - Diabasis,
Reggio Emilia 2010
Una rilettura critica delle esperienze di welfare europeo
e dei contributi teorici, dallo Stato del benessere alla
Società del benessere. Questi processi ed elaborazioni
vengono approfonditi alla luce della nuova fase dello
sviluppo capitalistico, imposto con la globalizzazione, e
dell'insorgenza di comunità e movimenti sociali, che hanno
rielaborato un'idea del welfare in direzione del Bene comune
e di un'idea alternativa della Mondialità. La riflessione
teorica e il progetto politico si fondono: un testo scritto per
chi vuole capire, per agire.
Homo Civicus. La
ragionevole follia
dei beni comuni
Franco Cassano
Dedalo, Bari 2004
In un mondo in cui sembra possibile scegliere solo tra due forme di eterodirezione (quella del dubbio o quella del cliente),
la difesa dei beni comuni e la scommessa della cittadinanza
attiva sono l'unico modo per conciliare la difesa della libertà
e la cura del bene comune, per sottrarsi costruttivamente alla
tirannia degli Stati e a quella del mercato. “Homo civicus” è
una proposta teorica appassionata, un manifesto politicoculturale che muove dalla convinzione che siano maturi i
tempi per il risveglio civile del paese. La mobilitazione dei
cittadini non é un movimento antipolitico, ma al contrario una
straordinaria occasione per l'arricchimento della politica democratica, che chi ha a cuore il destino del nostro paese non
può perdere. In ideale continuità con il “Pensiero Meridiano”,
l'Autore propone una prospettiva di valore fondamentale per
il Mezzogiorno. Solo la costruzione di una solida tradizione
civica, fondata sulla gelosa difesa dei beni comuni, permetterà al sud di divenire un soggetto forte ed attivo della vita politica, economica e culturale del paese. È un compito tutt'altro
che facile, una scommessa rischiosa, ma necessaria. Il testo è
stato recensito da G. Bocchinfuso nel numero 41 di Strumenti.
18/05/12 16.06
32
Né pubblico né privato – dossier
La Società dei beni
comuni. Una rassegna
Paolo Cacciari - Ediesse, Roma 2011
Il libro raccoglie diciannove opinioni di autrici e autori italiani che da diverse visuali disciplinari (storiche, giuridiche,
filosofiche, antropologiche, ambientaliste.) si sono confrontati con il tema dei “commons”. Aria, acqua, terra, energia e
conoscenza sono risorse speciali, beni primari da cui tutto dipende e la cui fruizione richiede quindi attenzioni particolari,
tanto che l'applicazione a tali beni della logica del mercato
ha sperimentato clamorosi fallimenti. Il riconoscimento del
Nobel all'economista Elinor Ostrom dimostra che il pensiero
unico neoliberista sta incrinandosi, anche dentro l'accademia.
Nella sfera politica (specie in quella italiana) non vi è ancora
traccia di ravvedimento: le privatizzazioni procedono, ma
cresce anche l'opposizione da parte di numerosi gruppi di
cittadinanza attiva, comitati e associazioni che richiedono
maggiore consapevolezza nei confronti dell'uso del pianeta.
La
conoscenza
come bene
comune.
Dalla teoria
alla pratica.
c. Hess, E. Ostrom
(a cura di) - Bruno
Mondadori, Milano 2009
Oggi attraverso Internet, la conoscenza è potenzialmente
disponibile per tutti con un solo click. Ma proprio nel momento della sua apparente maggiore accessibilità, il sapere
è soggetto a norme sempre più restrittive sulla proprietà intellettuale, che limitano l'accesso alle risorse on-line. Queste
nuove forme di censura mettono a rischio il carattere di bene
comune della conoscenza. E proprio di fronte a tale pericolo,
questo testo ribadisce che il sapere deve essere una risorsa
condivisa, il propellente stesso per le moderne società che
legano la loro prosperità e il loro sviluppo alla ricerca, alla
formazione e alla massima diffusione sociale di saperi creativi e innovativi. Ma come preservare questo bene nell'epoca
del neoliberismo globalizzato dell'informazione? È quindi
necessario ripensare la proprietà intellettuale e il copyright,
ma anche il ruolo delle biblioteche, delle istituzioni formative
e delle forme di creazione e condivisione digitale dei saperi,
così come il modo in cui i nuovi contenuti digitali possono
essere conservati e resi disponibili attraverso il Web.
Strumenti_59.indd 32
Beni
comuni.
Dalla teoria
all'azione
politica
Lucarelli Alberto
Dissensi, Viareggio 2011
Il concetto di bene comune va oltre quello di proprietà
pubblica o privata. La grande novità rivoluzionaria del bene
comune è il voler superare il rapporto escludente tra proprietario e bene: non si può prescindere da questa nozione
senza aderire a un nuovo modello di partecipazione e quindi
di cittadinanza attiva. In questo libro Lucarelli, redattore
dei quesiti referendari sull'acqua, con contributi di Luigi
De Magistris e Alex Zanotelli, ripercorre le varie tappe del
cammino che ha permesso di riappropriarci del bene comune
per eccellenza: l'acqua. Inoltre, ora, come assessore ai beni
comuni a Napoli, spiega come si debba passare dalla teoria
alla pratica, per realizzare un nuovo modello di governo partecipato dei beni comuni, come risposta vincente alla crisi di
sistema che stiamo vivendo.
I beni pubblici tra regole
di mercato e interessi
generali. Profili di diritto
interno e internazionale
Colombini G. (a cura di) - Jovene, Napoli 2009
Gli interventi legislativi che hanno disciplinato la privatizzazione dei beni pubblici hanno delineato una cornice normativa che mette in luce alcune contraddizioni e limiti di fondo
della sistematizzazione teorica della proprietà pubblica,
incentrata, sino ad oggi, su specifici statuti proprietari di
ciascun bene e sullo stretto legame fra titolarità del bene e
soddisfacimento di una funzione pubblica. Accanto a questo
aspetto, il processo di privatizzazione dei beni pubblici ha
posto in evidenza l'ulteriore problema della loro gestione
in forma imprenditoriale con la conseguente distinzione tra
funzione di regolazione e funzione di gestione dei beni stessi.
Gli studi dimostrano che si è giunti a un nuovo criterio di
distribuzione delle competenze tra pubblico e privato, che
ha portato a ricalibrare il rapporto tra regole di mercato e
interessi generali.
18/05/12 16.06
Strumenticres n.59 – giugno 2012
33
Il dolce avvenire. Esercizi
di immaginazione radicale
del presente
Bosi A., Deriu M., Pellegrino V.
(a cura di) - Diabasis, Reggio Emilia 2009
Il libro si compone di saggi brevi su puntuali argomenti
che compongono un mosaico di riflessioni su questioni di
bruciante attualità. Intellettuali affermati (Serge Latouche,
Pietro Barcellona, Maurizio Chierici…) e altri studiosi, fra
cui molti giovani, riflettono sulla società mondiale attraverso temi-chiave come clima, decrescita, democrazia, laicità,
lavoro, migrazione, pace,salute, scienza…
Il lessico usato dà ragione della complessità del nostro tempo e rende accessibile e appassionante la lettura.
I mercanti della notizia
Centro Nuovo Modello di Sviluppo
Emi, Bologna 2010
L'informazione è potere, non solo l'informazione
dei telegiornali, ma soprattutto quella che indirettamente ci arriva dai media di intrattenimento,
dalla pubblicità e dal gossip. È proprio attraverso
queste forme “spurie” che l'informazione viene usata per influenzare le idee e le scelte dei
consumatori. In tutto il mondo esiste un legame
tra media e potere, ma in Italia risulta quanto mai
profondo, perciò il nostro paese rappresenta un
caso particolare. Il libro fa una radiografia chiara
e precisa delle proprietà e degli interessi economici che girano attorno alla comunicazione, aiuta
a riconoscere giornali ed emittenti televisive in
base ai loro proprietari. Una vera e propria guida
da consultare (con testi, schede e diagrammi) che
aiuta il lettore a sapersi difendere dalla manipolazione.
www.onthecommons.org
www.environmentaljustice.org
www.decrescita.it
(rete per la decrescita)
Strumenti_59.indd 33
Notizie
S.p.A.
Michele Polo
Laterza, Roma-Bari 2011
Sul pluralismo nell'informazione e sulla concentrazione nel mercato dei media si discute molto
in Italia, ma con poco rigore, senza tenere conto
dei dati e delle dinamiche economiche. L'Autore si
interroga sulle origini della situazione attuale, su
ciò che possiamo attenderci per il futuro e sulle
politiche che possono rivelarsi utili. Pluralismo
vuol dire avere tante voci che parlano assieme, se
viene meno è la democrazia a funzionare male.
Per scegliere, i cittadini devono disporre di una
informazione ampia e pluralista. Ma in Italia non
è così. Numeri alla mano, Polo spiega l'anomalia
italiana confrontandola con il panorama europeo e
avanzando alcune soluzioni.
www.facebook.com/groups/62205983998/
Su Facebook, esiste un Gruppo che si chiama La conoscenza
come bene comune, periodicamente aggiornato, dove troverete numerosi eventi inerenti il tema, e dove viene caricato
materiale, in italiano e inglese, per la discussione e l’approfondimento.
18/05/12 16.06
34
Né pubblico né privato – parole, musiche, immagini
PAROLE,
MUSICHE,
IMMAGINI
Gelem Gelem*:
il lungo cammino
delle genti Rom
a cura di anna di sapio
e sconvolgente in una vicenda umana fra
Che cosa possono avere in comune Rita
Hayworth, Charlie Chaplin, Schack August le più mirabili che l'umanità intera abbia
conosciuto nella sua variegata esistenza”.
Steenberg Krogh, premio Nobel per la meIl mondo romanò è costituito essenzialdicina nel 1920, Juscelino Kubitschek de
mente da cinque gruppi principali: Rom,
Oliveira, presidente del Brasile dal 1956 al
Sinti, Kale (penisola iberica), Manouche
1961, e Ceferino Giménez Malla morto du(Francia), Romanichals (Inghilterra), divisi
rante la guerra civile spagnola e dichiarato
in una miriade di comunità o sottogruppi,
beato nel 1997 da papa Giovanni Paolo II?
ciascuno con proprie tradizioni, dialetti,
Un'origine romanì. Nata a New York, ma di
origine spagnola, Rita Hayworth, il cui vero usi e costumi, che risentono dei condizionamenti storici, politici, linguistici,
nome era Margherita Carmen Cansino, era
religiosi, economici, sociali e culturali dei
figlia del celebre ballerino Calo Eduardo
paesi ospitanti. La popolazione romanì,
Cansino e nipote del danzatore Antonio
presente in ogni continente, conta oggi 16
Cansino; Charlie Chaplin nella sua biogramilioni di persone. In Europa sono undici
fia rivela che sua nonna era una “zingara”
milioni, presenti in tutti gli Stati. In Italia
Romanichal e per questo considerata
abbiamo solo Rom e Sinti, comunità di
la vergogna della famiglia; Krogh era un
antico insediamento; si tratta più o meno
Rom danese, diventato prima medico, poi
fisiologo, professore e ricercatore, insignito di 170.000 persone di cui circa il 60% sono
cittadini italiani. Le comunità romanès
di lauree honoris causa in varie università
e membro di molte accademie; Kubitschek, straniere sono quelle di recente immigrazione, provengono dalla ex Jugoslavia e
importante uomo politico brasiliano, era
figlio di una Romnì di origine cecoslavacca, dalla Romania, in totale 70.000 persone.
sotto la sua presidenza il paese conobbe un Al di là delle differenze hanno in comune una patria d'origine, l'India del Nord,
periodo di prosperità e stabilità politica.
anche se quello delle origini resta il periodo
Come si concilia la realtà di queste figure
più controverso: essendo rimasta per molti
con la romfobia di cui ancora è affetta la
secoli una cultura essenzialmente orale,
nostra società, con il pregiudizio che si ha
erano possibili solo ipotesi e congetture
nei riguardi degli “zingari”?
Grande è la disinformazione sul mondo dei “sui motivi e le circostanze che indussero gli
antenati degli attuali Rom, Sinti, Kale, MaRom e genera stereotipi e pregiudizi che, a
nouches e Romanichals ad abbandonare le
loro volta, sono alla base delle manifestazioni razziste e xenofobe. Ben venga quindi terre natie”. (p. 19) Fondamentale l'apporto della filologia alla ricostruzione della
il volume di Santino Spinelli Rom, genti
storia dei Rom: studi basati sulle affinità
libere. Storia, arte e cultura di un popolo milinguistiche, su alcune pratiche religiose,
sconosciuto, pubblicato da Dalai, con una
su alcuni tratti culturali e sui lineamenti
vibrante prefazione di Moni Ovadia che
somatici, sembrano confermare la provedefinisce l'opera “un viaggio appassionato
Strumenti_59.indd 34
Rom, genti libere
Santino Spinelli
Dalai editore, Milano 2012
18/05/12 16.06
Strumenticres n.59 – giugno 2012
35
“Una Nazione, non uno Stato”
*Gelem Gelem (Camminai camminai) composto
da Janko Jovanović, sulla base di un canto
tradizionale, e adottato come inno transnazionale
al Primo Congresso Mondiale della popolazione
romanì tenuto a Londra nel 1971, è il canto in cui
tutte le comunità di Sinti, Rom, Kale, Manouches
e Romanichals si riconoscono.
nienza dall'India, da un territorio compreso tra il Sindh, il Punjab, il Rajasthan,
l'Uttar Pradesh, l'Afganistan Meridionale e
l'attuale Pakistan.
Tutto il primo capitolo, dedicato alla storia,
ci illumina sulle migrazioni forzate che
portarono le genti Rom dapprima in Persia,
poi nell'Impero Bizantino e nei Principati
rumeni (dove furono tenuti in schiavitù per
secoli) per approdare infine in Occidente.
Dall'inizio del XV secolo vi sono documenti “sempre più numerosi e precisi” che
attestano l'apparire di comunità romanès
in Europa, anche se la maggioranza della
popolazione romanì rimase nell'Europa
balcanica, sotto il dominio turco. Credevano di essersi lasciati alle spalle le guerre
e la minaccia della schiavitù ma, anche in
Europa e in Italia avrebbero conosciuto
politiche repressive perché “la loro diversità incuteva timore e sospetto”, li faceva
apparire pericolosi e privi di moralità.
Eppure si trattava di un popolo che non
arrivava “con le armi, né con eserciti, né,
tanto meno, con pretese di conquiste (…)
come tutti i documenti confermano. (…)
Ma l'incomprensione e i risvolti politici
e sociali portarono gli europei ad adottare, nei loro confronti, misure repressive
spesso disumane, i cui danni sono evidenti
ancora oggi.” (p. 83) Costretti a spostarsi
di continuo per difendersi da misure
repressive, questo loro continuo girovagare
“fu scambiato per nomadismo e ancora oggi
(…) l'opinione pubblica ha questa errata
considerazione della popolazioni romanì” e
i media non fanno che speculare su questo
stereotipo lasciando l'opinione pubblica
Strumenti_59.indd 35
Noi Rom siamo i soli che rivendichiamo una rappresentanza per la Nazione che siamo, mentre non rivendichiamo affatto, storicamente e ancor meno oggi, uno
Stato. Né possiamo essere considerati una minoranza
visto che siamo più numerosi delle popolazioni di
svariati Stati europei. E ancor meno lo saremmo
nell'Europa che vedesse compiersi ormai l'antico sogno
federalista. Siamo convinti che porre questa domanda,
questa rivendicazione, sia nell'interesse diretto di tutti
gli europei, che si sentono «minoritari» o «maggioritari». Una rivendicazione transnazionale e per nulla pericolosa. Non è infatti difficile rendersi conto che quel
che ha provocato –e continua a provocare– disastri
e massacri è precisamente la volontà di sovrapporre
il concetto di Nazione a quello di Stato e non la mera
consapevolezza di essere parte di una Nazione, di una
tradizione, di parlare una lingua comune, condividere
origini e tragedie comuni (come l'Olocausto, dimenticato e del tutto celato e rimosso). L'Olocausto ha
ucciso quasi seicentomila nostri fratelli, ma nessuno
lo ricorda. Gli infiniti massacri europei sono puntualmente derivati –nel passato come recentissimamente
nei Balcani– dalla volontà di far coincidere nazionalità e cittadinanza, Stato e Nazione. Noi siamo una
Nazione, ma non vogliamo uno Stato (…) è inadatto
per gente come noi, cui storicamente e attualmente
non appartiene la volontà (peraltro ormai inattuale)
di identificare popolo e territorio, Nazione e Stato. (…)
noi vogliamo vivere da europei, come gli altri e con gli
altri; cittadini a prescindere dalla nazionalità, dalla
religione che si professa, dalla lingua che si parla…
Europei, cittadini europei di nazionalità Rom… I Rom
intendono essere cittadini europei. I Rom vogliono
aiutare le nuove forme del vivere associati, le nuove
norme, le nuove istituzioni dell'Europa politica fondata
sul diritto. Nuove, perché è nuova la società. Una Nazione transnazionale ha bisogno di uno Stato di diritto
transnazionale. Siamo davvero i soli ad avere bisogno
di questo? Riuscire a dare, insieme, una risposta alla
nostra «sfida» al nostro «sogno» è urgente per tutti.
Discorso pronunciato a Roma il 3 dicembre 2000 da
Emil Sćuka, Presidente del Presidium dell'IRU (International Romanì Union) nell'incontro col Presidente del
Consiglio Amato. (Santino Spinelli, Rom, genti libere.
Storia, arte e cultura di un popolo misconosciuto, Dalai,
Milano 2012, pp. 349-50)
18/05/12 16.06
36
Né pubblico né privato – parole, musiche, immagini
Latcho
drom
Buon viaggio
tony gatlif
Documentario
durata 103'
Francia 1993
disinformata e preda dei pregiudizi. (p. 88)
In realtà –sostiene Spinelli– le comunità
romanès “non accettavano e non accettano non l'integrazione, ma il ‘modo’ in cui
questa viene richiesta, ovvero attraverso
una coercitiva assimilazione che presume
una totale e umiliante spersonalizzazione.
Come chiedere a un italiano che vive in
Giappone di diventare ‘giapponese’ rinunciando totalmente alla propria identità.”
(p. 95)
Una storia contrassegnata da ripetuti
episodi di repressione e di persecuzioni,
che nel ‘900 vedrà in Europa il Porrajmos,
il genocidio di Rom e Sinti da parte del
nazifascismo; le cifre delle vittime oscillano da 500.000 a un milione e mezzo. Nel
dopoguerra nessun Rom o Sinto fu invitato
al processo di Norimberga, mancò la loro
testimonianza. Il Porrajmos –ricorda
l'Autore– è l'equivalente della Shoa degli
Ebrei, ma non è altrettanto conosciuto, né
ricordato.
Il racconto di Spinelli non si limita alle
pagine dolorose della storia del suo popolo,
il suo intento è quello di farci conoscere
la variegata cultura di Rom, Sinti, Kale,
Manouches e Romanichals, di farci entrare
nella loro quotidianità, ci offre gli strumenti per capire la mentalità romanì, la filosofia
di vita, ci mostra l'apporto di questa cultura alla cultura europea.
Musica, canto, danza sono i linguaggi
artistici più praticati da tutte le comunità
romanès nel corso dei secoli. “Gli stili
musicali romanès hanno seguito parallelamente l'evolversi delle vicende storiche e
sociali di un popolo costretto alla mobilità
coatta, alla dispersione e all'oppressione
in ogni parte del mondo, ma che ha saputo
Strumenti_59.indd 36
conservare straordinariamente i suoi tratti
culturali essenziali. La musica romanì
riflette fedelmente lo stato d'animo di un
popolo che ha fatto del dolore e della precarietà gli emblemi del proprio virtuosismo
artistico ed essendo figlia di un lungo travaglio fisico, morale e psicologico, non può
non avere connotati dissonanti, melancolici, graffianti, ribelli, ma allo stesso tempo
è una musica viva, briosa, piena di ritmo
incalzante e di vita, com'è il carattere della
popolazione Romanì.” (p.248) Dall'incontro dell'arte e della cultura romanì con
la cultura dei paesi ospitanti sono nati
nuovi generi musicali come ad esempio il
Flamenco, che ha affascinato compositori
e musicisti celebri come Bizet, De Falla e
tanti altri; in Francia si è affermato il Jazz
Manouche diffuso su scala planetaria.
I ritmi, le forme, le melodie e le armonie
della musica romanì hanno influenzato
moltissimi musicisti, soprattutto a partire
dal Romanticismo, basti pensare alle
Rapsodie Ungheresi di Liszt, alle Danze
Ungheresi di Brahms, alla Cigànské melodie
di Dvorák, alla Dance Tsigane di SainSaëns, alla Carmen di Bizet per ricordarne
solo alcuni. Franz Liszt, in particolare, capì
l'importanza di questa musica tanto che
fu il primo a dedicarle un saggio1 in cui
scrive: “Hanno inventato la loro musica e
l'hanno inventata per se stessi, per parlarsi,
per cantare fra loro, per mantenersi uniti e
hanno inventato i più commoventi monologhi.” (p.263)
1 F. Liszt, Degli Zingari e della loro musica
in Ungheria (1859). Ad ispirare le Rapsodie
ungheresi fu il violinista Rom moldavo Barbu
Lautaru (1775-1858) che colpì molto Liszt
La musica romanì –ricorda Spinelli– fa
parte di una cultura in cui “il sacro, il
simbolico, il magico, la comunità, le regole
familiari, si fondono con la quotidianità, la
determinano e la sostengono, sopportando le durezze, spesso disumane, di una
vita vissuta, sovente, ai margini di tutto.”
(p.269) Numerosi sono oggi i musicisti appartenenti alle diverse comunità romanès,
che suonano in Orchestre sinfoniche o
Orchestre da Camera, anche se spesso
nascondono la loro origine per paura di
ripercussioni negative.
Oltre ai musicisti molti sono gli intellettuali, giornalisti, scrittori, editori, saggisti,
poeti, drammaturghi, romanzieri, che
hanno prodotto opere in lingua romanì
o nella lingua del paese in cui risiedono.
The Pilgrims Progress, un classico della
letteratura inglese, è opera di un Romanichal inglese, John Bunyan (1618-1688). La
produzione letteraria romanì si è sviluppata soprattutto a partire dalla seconda
metà del Novecento, in particolare negli
ultimi quarant'anni. In epoca più recente
tra gli autori che si sono affermati a livello
internazionale si possono ricordare Matéo
Maximoff (1917-1999) dai cui romanzi
sono stati tratti dei film come Le Gitan del
1975; Veijo Baltzar, che scrive sia in romanì
che in finlandese, i cui romanzi La strada
infuocata e Il regalo delle nozze di sangue
hanno avuto un grande successo; il poeta
Jòse Heredia Maya, Jorge Bernal, Jimmie
Storey, Luminita Mihai Cioabà, Margarita
Reisnerová, Dragoljub Acković, la poetessa
bulgara Sali Ibrahim vincitrice del Premio
del Presidente della Repubblica Italiana al
Concorso Artistico Internazionale “Amico
Rom” di Lanciano (Chieti). “Un apporto
immenso –scrive Spinelli– ma sconosciuto
o non riconosciuto alle comunità romanès”.
Poco conosciuto anche l'apporto della
popolazione romanì in campo teatrale. A
Mosca nel 1931 nasce il Teatro Romen il cui
repertorio è andato diversificandosi nel
corso degli anni, e i cui attori devono saper
danzare, cantare e recitare. La compagnia
stabile conta sessanta attori di cui dieci
Rom. Dalla sua scuola sono usciti diversi
artisti che hanno raggiunto fama internazionale. Una compagnia teatrale che
recita esclusivamente in lingua romanì è
la Compagnia Phralipé (fratellanza) nata
in Macedonia poi stabilitasi a Colonia, in
Germania; fra le loro proposte la versione
romanès di Giulietta e Romeo di Shakespeare e di Edipo Re di Sofocle. Nel 1992 nasce
in Slovacchia il Teatro Romathan grazie
18/05/12 16.06
Strumenticres n.59 – giugno 2012
alla giornalista Romnì Anna Koptovà; la
Romnì Elena Lacková è autrice di Horiaci
Cigansky Tabor (Brucia il campo dei Rom),
un'importante opera teatrale sul genocidio
dei Rom; di grande impatto il dramma
Kosovo mon amour (1999) di Jovan Nikolić
e Ruždija Russo Sejdović, rom serbi residenti in Germania, che tratta della ricerca
dell'identità romanì nel conflitto tra serbi
e albanesi nel Kossovo. In Italia la prima
opera teatrale in lingua romanì Duj furàtte
mulò (Due volte morto) vede la luce nel
1994 ad opera di Santino Spinelli e Daniele
Ruzzier, premiata al XXI Premio Internazionale Flaiano di Pescara per il teatro
inedito.
Lo sguardo strabico dei gagè (i non rom)
finisce per vedere solo le questioni sociali
che riguardano i rom mentre non vede gli
aspetti culturali ed artistici di questo popolo transnazionale. Anche nel campo delle
arti visive troviamo artisti appartenenti alla
popolazione romanì diventati famosi come
il Rom albanese, residente in Inghilterra,
Ferdinand Koçi che è ritrattista, pittore di
talento e illustratore di libri. Nel 2007 alla
biennale di Venezia ha esposto le sue opere
la Romnì Kiba Lumberg, regista e pittrice
già affermata in Finlandia. Il mondo romanì, la sua realtà sono stati spesso immortalati in opere di pittori gagè come Van
Gogh (The Caravans), Monet (La gitane à la
cigarette), Renoir (La piccola bohémienne),
Manet (Gitanos), per restare ad epoche
a noi più vicine, ma anche Caravaggio
(La buona ventura), Piazzetta (Indovina),
l'elenco potrebbe continuare.
In campo cinematografico si è distinto il
regista francese Tony Gatlif, di madre Romnì e padre algerino, con i film Latcho Drom
(vuol dire Buon Viaggio ed è il tipico saluto
in lingua romanì) del 1993, Gagio Dilo (Lo
straniero matto) del 1997, Canto Gitano del
1981, Swing del 2002, che hanno ottenuto
riconoscimenti internazionali. Da ricordare
anche i documentari dedicati al Porrajmos:
Das Falsche Wort (La parola sbagliata) e
Wir Sind Sintikinder und Nicht Zigeuner
(Siamo Sinti, non siamo bambini Zingari)
di Melanie Spitta, Sinta tedesca. In Italia
Maria Bako, Romnì ungherese, è stata la
protagonista del film di Silvio Soldini Un'anima divisa in due, mentre la giovanissima
Romnì Laura Halilović, torinese di origine
bosniaca, è l'autrice del documentario Io,
la mia famiglia e Woody Allen.
Numerosi i film e documentari che hanno
come soggetto il mondo romanò o interessanti artisti romanès, come i documentari
Strumenti_59.indd 37
Porrajmos (2011) e Tzigari, una storia Rom
(2009) di Fabio Parente; Baro Romano
Drom (2003) di Gioia Meloni, prodotto
dalla Rai. Dura invece la critica rivolta
dall'Autore ai film del serbo Emir Kusturica
giudicati “pieni di becero folklorismo e di
dannosi stereotipi”.
A lungo si è sostenuto che le comunità
romanès non avevano una “loro” lingua o
una “loro” cultura mentre nel libro di Spinelli scorrono lunghi elenchi di personalità,
artisti, intellettuali, appartenenti al mondo
romanò, che sottolineano in modo indiretto quanto grande sia la nostra ignoranza
su quella realtà e quella cultura, e quanto
colpevole l'ignoranza dei media.
La parte finale del libro ripercorre le tappe
della legislazione internazionale concernente la popolazione romanì, i vari provvedimenti presi da organismi istituzionali
come Onu, Parlamento europeo, Ocse:
tanti buoni propositi, ingenti somme di denaro spese, ma le comunità romanès continuano ad essere discriminate, emarginate,
sconosciute presso l'opinione pubblica.
Seguono le tappe del movimento politico
romanò e delle organizzazioni politiche
romanès internazionali, che iniziano a sorgere fin dalla prima metà del XX secolo “per
la salvaguardia del patrimonio culturale
e per il riconoscimento dei fondamentali
diritti di questa etnia transnazionale”. Il
37
sogno di creare un movimento unito e
rappresentativo resta ancora incompiuto,
la popolazione romanì resta politicamente
frammentata e divisa. In Italia è nata nel
1990 l'Associazione Thèm Romanò (Mondo
Romanò), prima vera organizzazione
autonoma di Rom e Sinti italiani con una
vocazione interculturale e aperta a tutti,
rappresentante in Italia dell'International
Romanì Union (IRU), dell'European Roma
and Travellers Forum (ERTF), e dell'European Romanì Union (ERU). Fra gli obiettivi:
la volontà di porsi come soggetti di confronto e di non essere considerati semplici
oggetti di studio; la difesa dei diritti umani,
la valorizzazione della cultura romanì.
Un libro da leggere e da far leggere nelle
scuole come scrive Moni Ovadia nella
Prefazione:“Ogni persona perbene deve
sapere ciò che in questo momento si
consuma contro i nostri concittadini
europei Rom e Sinti, anche attraverso la
falsa retorica dell'emergenza con il suo
corredo di stanziamenti comunitari che
spesso riempiono le tasche di chi sfrutta
e strumentalizza la logica dell'emergenza
stessa. (…) Santino Spinelli, Rom italiano,
professore e musicista, in arte Alexian, offre alle nostre coscienze un dono prezioso.
Facciamone buon uso.”
Django
Reinhardt
Chitarrista jazz, di etnia sinti,
nato in beglio nel 1910. Fu uno
dei pionieri del jazz europeo
e il padre di quello che oggi è
conosciuto come jazz manouche
o gipsy jazz.
Tra i suoi brani più celebri: Minor
Swing, Manoir des mes reves,
Tears, Nagasaki, Belleville e
soprattutto Nuages.
18/05/12 16.06
38
Né pubblico né privato – parole, musiche, immagini
a cura di Elisabetta assorbi
La lettura dei saggi del sociologo polacco
è sempre piacevole, per la capacità del
Nostro di comunicare in modo schietto e
chiaro, utilizzando metafore illuminanti,
nonché originali. In questo saggio d'occasione, sulla scorta di venti brevi conversazioni-riflessioni con Riccardo Mazzeo,
un amico intellettuale italiano, Bauman
si occupa del ruolo dell'educazione e degli
educatori dell'attuale generazione di giovani, i più incerti sul futuro che si siano mai
avuti finora.
Anche in campo educativo, il ruolo
dell'Europa futura ha a che fare con i migranti e l'Autore fa subito notare che la loro
presenza, in questo mondo multicentrico
e multiculturale, presuppone l'inevitabilità di sviluppare in modo permanente e
quotidiano l'arte di vivere con essi, tanto
più che le nostre scelte, “i nostri doveri di
cittadini… vanno di pari passo con i loro
diritti” (pag. 14).
Dal punto di vista pedagogico, Bauman
apprezza Gregory Bateson, soprattutto
per la sua identificazione dei tre livelli di
Conversazioni
sull'educazione
Zygmunt Bauman
in collaborazione
con Riccardo Mazzeo
Erikson, 2012
a cura di elena la rocca
Venivamo tutte
per mare
Julie Otsuka
Bollati Boringhieri, 2012
Strumenti_59.indd 38
Agli inizi del ‘900 gli Stati Uniti furono
la meta agognata di in grande flusso
migratorio, gente in cerca di fortuna o più
semplicemente di un'occasione per fuggire
alla miseria: più di 14 milioni di persone
cercarono rifugio e speranza in quella
terra che veniva sbrigativamente chiamata “l'America”, l'America per eccellenza,
l'Eldorado…
La maggioranza di questi migranti veniva
dall'Europa, ma un numero consistente
dall'Asia (398.405) e soprattutto dal
Giappone: in un primo momento partirono
i maschi, poi li raggiunsero migliaia di giovani donne giapponesi, richieste appunto
dagli immigrati che si erano già insediati
negli Stati Uniti. Si trattava delle “spose in
fotografia”: prima di partire si sposavano
per procura con un uomo di cui spesso avevano visto solo la fotografia e lo raggiungevano piene di ansie ed aspettative. Proprio
la storia di queste donne vuole narrare
Julie Otsuka, giapponese californiana,
erede di quella lontana migrazione.
Affascinata dalle storie di queste donne,
su cui si è accuratamente documentata,
l'autrice decide di raccontarle in modo che
potremmo definire “collettivo” ricorrendo
ad un “noi” che si presenta come soggetto
narrante, espressione dell'intero gruppo.
Non c'è quindi una protagonista, né un
gruppo di personaggi principali che si stagli
sullo sfondo, ma un soggetto collettivo,
“noi”, spose in fotografia, giovani giapponesi che andiamo a raggiungere un uomo mai
visto, accettato per obbligo, per necessità o
per bisogno di fuga.
Un io collettivo che si frantuma di volta in
volta in mille rivoli, in mille storie individuali, frammenti anonimi di una storia più
vasta.
Il romanzo (anche se per certi aspetti si
tratta più di un poema che di un romanzo)
si sviluppa attraverso una serie di brevi
capitoli: la traversata in mare con le sue
speranze ed angosce; l'incontro con i mariti
mai visti prima. La delusione: le foto tanto
studiate nel viaggio erano un inganno, a
volte rappresentavano l'uomo di vent'anni
più giovane, a volte addirittura un amico
dello sposo. Alla delusione segue la prima
notte di nozze, con la sua impazienza e la
sua violenza, sesso tra due estranei, spesso
una ragazza vergine ed un uomo sicuro
dei propri diritti. E poi il lavoro, un lavoro
continuo, totalizzante, nelle condizioni più
dure ed umilianti, in un mondo estraneo,
spesso ostile ed incomprensibile.
Poi le gravidanze, i parti, i figli cui non si
può badare più di tanto “ li lasciavamo
in qualche canalone nei dintorni mentre
raccoglievamo e insaccavamo le cipolle e
18/05/12 16.06
Strumenticres n.59 – giugno 2012
apprendimento umano e in proposito le
considerazioni qui svolte sembrano persino banali nella loro evidente verità: “per
essere preparati ( i giovani) hanno bisogno
di un'istruzione che sia utile, dei saperi
pratici, concreti,spendibili” (pag. 31). Questo presuppone che la scuola, per essere
qualificata, debba essere aperta, diffonda
apertura e non chiusura mentale.
Con quest'opinione l'Autore intende evitare
l'ipersemplificazione della considerazione
sull'apprendimento citatagli da Mazzeo e
appartenente alla scrittrice Paola Mastrocola.
Costei, insegnante frustrata nei tentativi
di far apprendere nozioni di letteratura italiana agli allievi, sembra intender l'apprendimento come acquisizione “di tutto ciò
che l'insegnante spiega”, tanto da proporre
la “libertà di non studiare”. Bauman insiste
invece, in educazione, sul concetto di
scelta, giacchè “non esiste situazione che
non presenti più di un'opzione” (pag. 34):
è quindi indispensabile essere consapevoli
della gamma di possibilità che ci circonda,
la quale contiene opportunità, oltre che
pericoli.
L'Autore è quindi sì preoccupato, ma non
disperato dell'attuale situazione dell'educazione (e lo dichiara).
La critica del sociologo all'attuale società
globale fa quindi da battistrada per una
“rivoluzione culturale” che Bauman auspica
in modo provocatorio: “la depravazione è la
miglior strategia della deprivazione”, recita
il titolo di un capitoletto del saggio, nel senso che la cultura attuale (liquido-moderna
secondo la metaforica e famosa definizione) non è più quella dell'apprendimento
e dell'accumulazione, come nelle culture
studiate da storici ed etnografi. “L'arte del
surf ha preso il sopravvento sull'arte dello
scandaglio”, dice con una bella metafora
(pag. 46), con il risultato che l'apprendimento auspicato oggi dalla società è solo
quello frettoloso. Infatti
“…la fulmineità è il lato più attraente della
distruzione… nel nostro mondo ossessionato dalla velocità” (pag.50).
Se un tempo la laurea offriva lavori remu-
nerativi, oggi si pensa ai giovani come a un
mercato da sfruttare, afferma l'Autore e lo
spiega ampiamente come problema politico globale, analizzando in proposito la
vicenda recente, del settembre 2011, delle
sommosse avvenute a Londra. In queste
manifestazioni dai risvolti violenti e tragici,
il modo di essere consumatori è stato
protagonista: è stato un ammutinamento,
non una rivolta, agito da chi si era sentito
umiliato dall'esibizione della ricchezza da
parte di chi comunque ne negava l'accesso
ai cosiddetti consumatori squalificati, cioè
poveri e proprio perché poveri, esclusi.
L'analisi trasborda a questo punto nella
considerazione dello shopping compensativo come una sorta di atto morale del
nostro tempo, criticamente stroncato in
modo chiaro e dialettico.
Insomma, sono venti capitoletti fruibilissimi, che culminano nell'ennesima diatriba
su locale e globale, categorie che Bauman
considera in egual modo notevoli, non fosse altro perché costrette anzi “condannate
a coabitare”.
cominciavamo a cogliere le prime prugne…
e ogni tanto li chiamavamo per avvisarli
che c'eravamo ancora” (pag.71). Ed i figli
crescono, troppo alti, troppo grossi, troppo
chiassosi, “Mi sento un'anatra che ha covato
le uova dell'oca”. (pag.85)
“Parlavano un inglese perfetto, come quello
della radio, e quando ci sorprendevano a
inchinarci davanti al dio della cucina e a
battere le mani, alzavano gli occhi al cielo
ed esclamavano «Mamma,per favore»”.
(pag.85).
I figli acquistano le abitudini del nuovo
mondo e si vergognano un poco dei
genitori, ma sanno anche come muoversi
in una società che continua ad emarginarli
perché di colore: a nuotare all'Ymca vanno
solo di lunedì “il lunedì è il giorno della gente
di colore” (pag. 88), e prima di andare al
ristorante telefonano sempre “Servite i
giapponesi?”. (idem)
Così mentre i figli crescono e le condizioni
di lavoro migliorano le nippo-americane
si inseriscono faticosamente nella nuova
strana società in cui si trovano a vivere, ma
il processo viene bruscamente interrotto
da Pear Harbour, l'attacco trasforma di
colpo i nippo-americani in sospetti, se non
addirittura in traditori. La voce narrante
ricorda le diffidenze, gli arresti, i timori, le
dicerie più o meno assurde che di colpo
coinvolgono la comunità giapponese. “Le
signore del club cominciarono a boicottare le
nostre bancarelle di frutta, perchè temevano
che la merce fosse avvelenata con l'arsenico.
Le assicurazioni ci cancellarono la polizza. I
lattai smisero di consegnarci il latte a domicilio”. (pag.94)
Sia per evitare che fossero vittime dell'isteria collettiva, sia perché visti come spie,
quinte colonne del nemico, il Governo
decise di spostare tutti i giapponesi sulla
West Coast ed i presidente Roosvelt firmò
un'ordinanza che tra l'altro autorizzava
la costruzione di veri e propri campi di
concentramento, chiamati “centri di trasferimento”. Oltre 120.000 giapponesi (due
terzi dei quali erano nativi cittadini americani) furono allontanati dalle loro case ed
imprigionati nei “centri di trasferimento”.
Julie Otsuka rievoca l'angoscia, lo stupore
ed il disorientamento di fronte a queste
scelte incomprensibili. “Forse la Chiesa sarebbe intervenuta in nostro favore, o magari
la moglie del Presidente. O forse c'era stato
un terribile equivoco, e in realtà quelli da
portar via erano altri. «I Tedeschi» suggerì
qualcuna. «O gli Italiani» disse qualcun'altra”. (pag.113)
L'autrice conclude la sua ricostruzione
parlando delle giapponesi e più in generale
della comunità nippo-americana in terza
persona plurale, la voce narrante diventa
quella collettiva immaginaria dei vicini
di casa, gli abitanti di quelle cittadine
“liberate”:
“I giapponesi sono scomparsi dalla nostra
città. Le loro case sono sprangate e vuote.
Le loro cassette della posta cominciano a
traboccare”. (pag.125)
Tra soddisfazione, indifferenza o rimorso
la comunità statunitense si abitua alla
scomparsa dei propri vicini di casa, della
cameriera o del fruttivendolo: “Sappiamo
solo che i giapponesi sono da qualche parte
là fuori, in un posto o nell'altro e probabilmente non li incontreremo mai più in questo
mondo”. (pag140)
Così finisce la narrazione di Julie Otsuka,
un romanzo breve che coinvolge il lettore
e apre una finestra su un pezzo di storia
ingiustamente poco noto; l'uso del “noi”,
unito ad una prosa quasi ipnotica, dà voce
all'angoscia e alla sofferenza di chi non ha
voce ed è certamente in grado di sintetizzare in poche frasi molte storie ed esperienze
diverse, ma alla lunga diventa ripetitivo,
coinvolgente ed irritante insieme, proprio
perché spariscono le persone e rimane solo
l'angoscia e la sofferenza. Purtroppo l'angoscia e la sofferenza sono sempre uguali a
sé stesse.
Strumenti_59.indd 39
39
18/05/12 16.06
40
Né pubblico né privato – parole, musiche, immagini
a cura di gianluca bocchinfuso
ritorio nazionale (come fa l'autore di questo
testo parlando della “La scuola della pace”
e della Longhena di Bologna o di quella di
“frontiera” del quartiere Zen di Palermo),
la inseriscono nel discorso generale come
esempio da seguire o riferimento ideale.
Il testo di Alex Corlazzoli –maestro precario
e giornalista– sembra muoversi sui due assi
sopra enunciati con una chiosa extra libro
in cui l'intervista al maestro Mario Lodi,
l'amato autore di Cipì, permette di viaggiare
Alex Corlazzoli
nel tempo e nello spazio riflettendo sulle
Altreconomia Edizioni, 2011
dinamiche e i sentimenti che rendono la
scuola veramente una palestra di formazione e di educazione.
Periodicamente, in Italia, vengono pubblicati libri di maestri e insegnanti sulla scuola. Si rimane un po' scettici sull'impianto del
libro di Corlazzoli perché –al di là delle inteE, spesso, capita di trovarsi di fronte ad
analisi che fanno una fotografia della nostra ressanti narrazioni che svelano il suo “fare
scuola attiva” con i bambini sempre attento
realtà scolastica ai più conosciuta (precaall'inclusione, alla realtà italiana, ai “temi
riato, assenza di fondi, strutture fatiscenti,
forti” della nostra quotidianità, alla cornice
Riforme o pseudotali sbagliate) oppure ad
dell'educazione alla cittadinanza, alla vocaanalisi che, prendendo in prestito qualche
sana e proficua esperienza presente nel ter- zione a far ragionare i “suoi” bambini, a ren-
Riprendiamoci
la scuola. Diario
d'un maestro
di campagna
22° Edizione del Festival Cinema
Africano, Asia e America Latina
A colloquio con Manuela Pursumal,
responsabile dello Spazio Scuola
a cura di Anna Di Sapio e Shara Ponti
Il primo Festival del cinema africano risale
al 1991, nel corso di 22 anni molti sono i cambiamenti apportati; nel 2004 si è allargato
ad Asia e America Latina; si sono ampliate
le sezioni; nel 2008 si è aperto lo spazio del
Festival Center, luogo di ritrovo per gli ospiti
e il pubblico, dove si organizzano attività
culturali e ricreative; quest'anno abbiamo
notato la mancanza della retrospettiva; nel
corso del tempo sono aumentati i premi, alle
Giurie ufficiali si sono aggiunte le Giurie studenti e docenti, ampliando quindi lo spazio
dedicato alla scuola… un work in progress…
Sì, anche se i cambiamenti, come l'apertura ad Asia e America latina, ad esempio,
non hanno rappresentato un cambio di
rotta, ma un'occasione per permettere
ad altri paesi di rendere visibili i loro
film. Inoltre già da qualche anno era stata
Strumenti_59.indd 40
creata la sezione “Finestre sul mondo”
perché molti registi di altri continenti
chiedevano di partecipare, in questo
modo si permette anche uno scambio
Sud-Sud. L'Africa continua comunque
ad occupare un posto centrale. Alcuni
cambiamenti sono dovuti alle difficoltà
economiche, sempre più difficile reperire
risorse soprattutto dalle istituzioni. Ecco
perché quest'anno mancava la Sezione
retrospettiva.
Anche lo Spazio scuola, di cui mi occupo
io, nel tempo si è ampliato, oltre alle
proiezioni riservate alla scuola di base
e alle scuole secondarie, si è cercato di
coinvolgere anche gli studenti universitari, poi c'è stata l'introduzione della Giuria
degli studenti e infine quella dei docenti.
Ma il lavoro con le scuole, le classi, gli in-
segnanti non si limita alla settimana del
Festival, prosegue durante tutto l'anno.
Come si è arrivati a istituire le due Giurie dei
docenti e degli studenti?
Nel 2000, alla X edizione del Festival, si
costituì per la prima volta una giuria di
studenti per l'assegnazione del Premio Ministero della Pubblica Istruzione al miglior
cortometraggio africano in concorso. Era
formata da quindici alunni scelti con la
collaborazione della Consulta Studentesca
di Milano e, in parte, in base a spontanee
richieste di studenti. La partecipazione del
Ministero ci permise di potere provvedere
all'edizione italiana del film selezionato
dagli studenti e ai tempi realizzammo infatti la versione VHS. Nel corso degli anni
ci sono stati degli aggiustamenti dovuti a
18/05/12 16.06
Strumenticres n.59 – giugno 2012
derli curiosi, al sentirsi comunque sospeso
di anno in anno senza un progetto didattico
duraturo– in molte parti i ragionamenti
caldi sono incentrati sulle scarse risorse destinate alla scuola (Primo quadrimestre, pp.
9-44) o su lotte che, in alcuni casi, perdono
di vista i bisogni impellenti di un sistema
scolastico calato nella realtà del proprio
tempo, mantenendo posizioni ferme su
sani principi che rischiano di diventare solo
slogan (Secondo quadrimestre, pp. 45-88).
Sulla difesa e la centralità della scuola
pubblica siamo d'accordo tutti. Insegnanti
giovani e meno giovani. Il richiamo a Piero
Calamandrei (Discorso al III Congresso in
difesa della Scuola nazionale, Roma 1950,
pp. 6-7) è fondamentale e pertinente. Ma
di quale scuola pubblica abbiamo bisogno? E quale “profilo professionale docente”
dobbiamo ritagliarci per una rinnovata
scuola pubblica che finalmente esca dal suo
ruolo di “ammortizzatore sociale” per tutti
(tanti!) quei docenti che si sono ritrovati
su una cattedra non per scelta ma perché
hanno visto fallire altri progetti professionali? E come arrivare ad un “inquadramento
giuridico ed economico” coerente con l'importanza strategica del lavoro del docente
senza attivare un corretto, coerente e sano
processo di formazione e di merito? Come
capire che non tutte le scuole si muovono
dentro al ruolo didattico e pedagogico a loro
assegnato, perdendo la strada della qualità
dell'apprendimento dei ragazzi e della loro
formazione scolastica e culturale, trasformandosi così in luoghi da cui gli studenti
transitano e di cui ci si dimentica? Come
superare l'idea e la pratica della scuola
come contesto di lavoro part-time?
Ci sarebbe piaciuto trovare risposte e
proposte anche su questi e altri temi. Se
non altro per evitare che il corpo insegnante appaia solo come soggetto che ha subito
la catastrofe di cui si narra. La difesa del
posto di lavoro fine a se stessa, alla lunga,
fa perdere di vista il valore più profondo
condizioni contingenti, per cui è venuta
meno la collaborazione col Ministero, ma
è subentrata quella con CEM Mondialità.
Dal 2006 anche la Fondazione ISMU ha
istituito un premio al miglior cortometraggio africano con valore pedagogico e la
selezione viene appunto effettuata da una
giuria di docenti.
Le Giurie vengono formate sfruttando i
contatti che abbiamo con docenti e scuole,
soprattutto con quei docenti molto interessati che seguono da sempre il festival per
interesse personale, e che continuano a
lavorare sui film in modo costante. Negli
ultimi sei anni la Giuria studenti è realizzata in collaborazione con la Fondazione L'Aliante di Milano, che si occupa di sostenere
adolescenti in difficoltà e accompagna gli
studenti stranieri nel processo di apprendimento della lingua italiana e dell'integrazione scolastica. I ragazzi delle scuole
pubbliche e private che fanno parte della
Giuria si ritrovano nella sede dell'Aliante
per l'attività di visione, analisi e valutazione dei cortometraggi. L'impegno è notevole
perché gli incontri sono almeno dieci della
durata di due ore ciascuno, inoltre ci sono
gli impegni della Giuria studenti durante
la settimana del Festival: incontro con i
registi dei corti e la serata di premiazione.
In base ai Premi CEM Mondialità, ISMU
e altri premi di Enti collaboratori, il COE
riesce ogni anno a realizzare l'edizione
italiana in DVD di ben cinque cortometraggi africani e in questo modo promuove la
visibilità di opere significative sui temi del
dialogo interculturale e della cittadinanza
mondiale. Non solo le scuole ma anche le
sale cinematografiche d'essai, le parrocchie e le associazioni possono organizzare
minirassegne su questi temi, valorizzando
opere di registi giovani e di qualità.
Strumenti_59.indd 41
Come vengono scelti i cortometraggi da
sottoporre alle due Giurie, come si arriva a
scegliere il film vincente?
All'interno del Festival esiste una Commissione che opera una selezione, e per
quanto riguarda i cortometraggi africani,
tende a privilegiare quelli che nel loro insieme restituiscono la pluralità e la complessità dell'Africa, sia per i temi trattati,
sia per lo stile narrativo e l'idea di cinema
che lo sorregge, sia per la provenienza geografica e culturale. In genere si scelgono
film di autori giovani o giovanissimi, che
hanno più difficoltà a far vedere le proprie
opere. Gli studenti e i docenti si riuniscono, in sedi diverse e in giorni diversi,
e visionano i film selezionati. È molto
importante la visione collettiva, perché in
questo modo si condividono le emozioni
suscitate dai film, poi si discute, ci si confronta e si arriva alla decisione finale, per
cui gli studenti scelgono quello che, a loro
parere, maggiormente contribuisce a pro-
41
della scuola perché trasforma insegnanti
e studenti in numeri per cattedre e istituti
facendo –con ruoli diversi– lo stesso gioco
di chi decide sulla scuola non dal Ministero
della pubblica istruzione ma da quello
dell'economia e finanza.
Gli insegnanti (anche attraverso il sindacato) dovrebbero trovare la forza di porre al
centro delle loro istanze il “profilo professionale docente” coerente con un'idea
di scuola non solo “resistente” ma che
sappia costruire percorsi di ricerca-azione
positivi per l'apprendimento dello studente
e l'insegnamento del docente. Al centro del
discorso va posta la “formazione permanente” della classe docente, in ingresso e in
itinere. Docenti come ricercatori che, attraverso il loro “fare scuola”, ragionino su esiti,
bisogni, risorse, livelli. Un docente che sia
riconosciuto e riconoscibile socialmente
e professionalmente per pretendere che il
suo lavoro sia posto al centro della società e
delle scelte dei governi nazionali.
The mirror
never lies
Lo specchio dice sempre
la verità
Kamila Andini
Drammatico
durata 100'
Indonesia 2011
18/05/12 16.06
42
Né pubblico né privato – parole, musiche, immagini
muovere una cultura di pace e un interscambio culturale, i docenti quello che ha
un maggior valore pedagogico. Per motivi
contingenti si è provato una volta a vedere i film in sottogruppi, ma ha funzionato
poco. Come ho detto prima, il percorso
della Giuria studenti è più lungo di quello
della Giuria docenti. I ragazzi vedono i
film una prima volta poi stabiliscono una
graduatoria e rivedono una seconda volta
cinque o sei corti che a maggioranza sono
piaciuti di più e tra questi scelgono, dopo
la seconda visione, il film vincitore. Tutti
gli anni ci accorgiamo come sia importante questo rivedere non soltanto il film ma
anche il primo giudizio e come attraverso
il confronto si possa poi ridefinire la
propria posizione iniziale. Quest'anno
anche la Giuria docenti ha voluto rivedere
due o tre corti prima di emettere il proprio
verdetto e anche per questa Giuria è stato
importante questa possibilità di rivedere
un filmato. Tenete presente che parliamo
di copie inviate dalle case di produzioni o
dai registi in versione originale con sottotitoli in inglese e francese quindi anche la
comprensione dei testi in prima battuta
non è per tutti così immediata
E la collaborazione con l'Università come
funziona?
Lo Spazio Università del Festival, attivo
da circa dieci anni, offre agli studenti la
possibilità di fare uno stage formativo.
In generale si tratta di universitari degli
Atenei lombardi i cui studi sono legati alla
comunicazione e ai linguaggi audiovisivi,
alla formazione ed alla mediazione culturale, alle relazioni internazionali, all'interpretariato e alle lingue straniere. C'è quindi chi
affianca la direzione artistica collaborando
alla redazione del catalogo e ai rapporti con
le varie Giurie, chi dà una mano alla promozione del Festival presso le comunità
straniere, le ambasciate e i consolati, con lo
scopo di creare delle collaborazioni, e alla
distribuzione di materiali promozionali. C'è
poi chi affianca l'Ufficio stampa del Festival
o le attività di traduzione e gestione dei sottotitoli, e chi supporta le attività e l'organizzazione del Festival Center, dove vengono
organizzate mostre, laboratori, incontri con
i registi e altre attività collegate alle culture
dei tre continenti. I tirocinanti collaborano
anche allo Spazio Scuola coordinando le
giurie docenti e studenti, accompagnando
i registi ospiti e facendo assistenza durante
le proiezioni per le scuole. Agli studenti
tirocinanti se ne affiancano altri come
Strumenti_59.indd 42
Case
départ
Caselle di partenza
Fabrice Eboué,
Thomas Ngijol,
Lionel Steketee
Commedia
durata 94'
Francia 2011
volontari che collaborano all'accoglienza
degli ospiti e alle attività nelle sale cinematografiche. La collaborazione di tirocinanti
e volontari è preziosa anche per incrementare i rapporti con l'università e gli studenti
universitari.
Nelle proiezioni per le scuole ci sembra che,
nel corso del tempo, i cortometraggi abbiano
sostituito i lungometraggi: Come mai? Perché
sono più fruibili da un pubblico giovane
abituato a play station e videogame?
Non li hanno sostituiti del tutto, quest'anno al Festival abbiamo proiettato due
lungometraggi. Poi bisogna ricordare che
è sempre più difficile, anche in occidente,
trovare finanziamenti per fare film, dunque
è più facile fare un corto. Ma ci sono motivi
anche più squisitamente didattici. Vedere
due o tre cortometraggi invece di un unico
lungometraggio, dà la possibilità di creare
confronti tra l'uno e l'altro, tra il genere
e il linguaggio scelti dai vari registi. Dalla
visione di più cortometraggi risalta meglio
la complessità del continente, oppure la somiglianza di certe situazioni comuni a noi e
a loro. In questi anni abbiamo assistito a un
cambiamento dei linguaggi, dei generi, delle visioni da parte della nuova generazione
di cineasti africani. Prendiamo il corto algerino Garagouz di Abdenour Zahzah, uno
stile cinematografico, realistico e poetico,
che racconta la storia di un burattinaio e di
suo figlio che girano per le campagne del
paese, col loro camioncino, per portare lo
spettacolo ai bambini dei villaggi. Nel loro
girovagare si trovano ad affrontare l'eterna
lotta del bene e del male, come i burattini
delle loro storie. Possiamo far vedere poi
Lezare dell'etiope Zelalem Woldemariam,
fiabesco e surreale, che racconta la solitudine, l'emarginazione di Abush, un bambino
di strada sempre alla ricerca di qualcosa per
sfamarsi, mentre la comunità è intenta a
seminare nuovi alberi per arginare la desertificazione e sembra non accorgersi del suo
dramma. Infine un film di fantascienza di
una regista keniana, (molto vicino al modo
di vedere film dei nostri ragazzi) che parla
dell'acqua, un problema che ci riguarda tutti. Ecco, il confronto tra questi tre cortometraggi fa scaturire una riflessione non solo
sui problemi e la complessità dell'Africa
ma anche sulla nostra realtà perché sono
racconti aperti all'universale. Il microcosmo del villaggio di Abush diventa allora
simbolo dello scenario sociale e politico a
livello mondiale, in cui prevale la cultura
dell'esclusione, dell'indifferenza.
Anche il trio Amal, Deweneti e Lucky, raggruppati nello stesso Dvd, può funzionare
molto bene. Amal di Ali Benkirane affronta
il problema della scolarizzazione delle
bambine nei villaggi rurali del Marocco.
Amal e suo fratello vanno a scuola, ma un
giorno il padre decide che solo il maschio
può continuare a studiare. Si infrange così
il sogno di Amal, scolara studiosa e appassionata, di diventare medico. Amal non
può che accettare, subire, ma consegna a
suo fratello il suo stetoscopio giocattolo e
attraverso questo gesto ci interpella nella
nostra responsabilità. Deweneti di Dyana
Gaye affronta il tema della solidarietà e generosità di un bambino nei confronti degli
adulti. Ousmane, un piccolo talibé (allievo
della scuola coranica) chiede l'elemosina
per le strade di Dakar, è simpatico e trova
18/05/12 16.06
Strumenticres n.59 – giugno 2012
sempre la parola giusta per convincere
i passanti a gettare una moneta nel suo
barattolo. Un giorno scrive una lettera a
Babbo Natale per chiedergli di esaudire i
desideri delle persone che si sono mostrate
caritatevoli nei suoi confronti. Lucky
del sudafricano Avie Luthra affronta il
tema dell'incontro-scontro fra culture e il
superamento del pregiudizio. Lucky è un
orfano che abbandona il villaggio per recarsi a Durban da uno zio che invece non si
occuperà affatto di lui per cui Lucky dovrà
affrontare da solo la realtà urbana e fare i
conti con l'ostilità, la paura e la diffidenza
della gente, in particolare di una vicina di
casa, una indiana che odia i neri. Ma sarà
proprio l'anziana donna indiana che finirà
per prendersi cura di lui.
I cortometraggi sono più fruibili didatticamente anche perché nello stesso Dvd
ne troviamo raggruppati tre, quindi è più
facile per la scuola e il docente procurarseli, si possono fare varie combinazioni,
soprattutto il tempo di proiezione è ridotto,
rispetto al lungometraggio, il docente può
farlo vedere nelle sue ore, può far vedere un
corto alla volta e riproporne la visione se la
discussione che ne scaturisce lo richiede.
zione razziale, dei diritti di cittadinanza1.
Per quanto riguarda gli studenti di origine
straniera ho potuto notare che durante il
Festival alcuni trovano il coraggio di superare
la timidezza per esprimere la soddisfazione
di poter vedere storie che provengono dalle
aree geografiche d'origine della loro famiglia,
di sentir discutere e approfondire problemi
che spesso sono comuni (la globalizzazione,
il cambiamento climatico, il divario tra ricchi
e poveri, l'acqua…), di veder registi e film
trattati su un piano di parità, si sentono essi
stessi un po' protagonisti. Riescono anche a
parlare del loro vissuto, delle discriminazioni
subite, dei docenti che li hanno aiutati a
superare le difficoltà, esprimono il piacere di
seguire film parlati nelle loro lingue.
Un film, un corto può piacere più di un altro,
possono esserci pareri diversi, ma la discussione che segue aiuta comunque a capire, a
fare confronti, a riflettere su punti di vista
diversi, specialmente per quello che riguarda
realtà meno conosciute o conosciute in
modo frammentario e stereotipato.
Quest'anno per le quinte elementari e le
medie è stato proiettato The Mirror Never
Lies (Lo specchio non mente) lungometraggio dell'indonesiana, Kamila Andini. Pakis è
un'adolescente che ha perso il padre, disperso in mare dopo una battuta di pesca, e non
riesce ad elaborare questo lutto, tema quanto
mai universale. Per le superiori la scelta è
caduta su Case départ (Casella di partenza),
opera di tre registi francesi dalle origini multiculturali. Avevo qualche perplessità sulla
scelta di una commedia invece ha riscosso
grande consenso, qualche ragazzo mi ha
confessato di aver già visto il film e di essere
stato contento di averlo potuto rivedere. Il
tono comico e leggero del racconto surreale
(due fratelli si trovano catapultati nel 1780 e
ridotti a lavorare come schiavi in una piantagione) enfatizza l'assurdità della schiavitù.
A parte lo Spazio Scuola, quest'anno il
Festival in generale ha visto più presenze
giovanili e ha funzionato molto bene il blog
dove i giovani hanno postato recensioni dei
film visti2.
Le reazioni degli studenti italiani coincidono
con quelle degli studenti di origine straniera
o divergono? Quali film risultano più accettati, quali creano maggior dibattito?
Direi che lo Spazio Scuola del Festival è
soprattutto un luogo di incontro. Durante
le proiezioni del mattino possono ritrovarsi
assieme 300/400 ragazzi. Uno spazio in cui
si incontrano studenti e docenti, educatori e
mediatori culturali e anche i protagonisti della manifestazione: registi, attori, giornalisti.
La presenza dei registi aiuta molto i ragazzi
nella riflessione sul rapporto Nord-Sud, che
richiede approfondimenti al di là dell'emozione del momento. Molti dei docenti e delle
classi che partecipano hanno avviato o consolidato percorsi di conoscenza sul cinema
dei tre continenti, sulle tematiche del rapporto Nord-Sud, del dialogo o del conflitto
tra culture, quindi non si limitano a lavorare
solo nel periodo del Festival, ma continuano
Tra i film di cui disponete al COE, quindi
durante tutto l'anno. Certo dipende molto
facilmente accessibili anche agli insegnanti
dall'interesse e dalla passione del docente;
che vogliano lavorare sull'intercultura
c'è una classe della scuola media di Milano
partendo dal cinema, quali ritieni essere
che ha creato un blog “Sconfinamenti” e una
radio dove è possibile riascoltare le interviste
1 v. www.sconfinamenti.net/blog/archives/
che i ragazzi hanno realizzato durante gli
category/festival-del-cinema-africano il blog
incontri alla Feltrinelli per la Sezione Il razzi“esplosivo” dell'Istituto Comprensivo “Borsi”
smo è una brutta storia, che segnala e premia
film che affrontano i temi della discrimina2 www.cinemafricasiamerica.com
Strumenti_59.indd 43
43
particolarmente interessanti per i giovani e
perché? Quali le tematiche più interessanti, a
tuo parere, da affrontare?
I corti, come dicevo prima, sono tutti
interessanti, comunque il docente può
consultare il sito del COE (www.coeweb.
org/catalogo_film/) dove può effettuare
la ricerca per aree geografiche (Maghreb,
Africa Nera, Asia) o per tematica (acqua,
ambiente, bambini, cinema, colonialismo/storia d'Africa, commedie, disagio
giovanile, donna, film d'animazione,
genocidio/scontri civili/guerre, globalizzazione, handicap, immigrazione); una
volta operata la scelta trova una scheda
del film con dati tecnici e sinossi, e l'indicazione di altri film sulla stessa tematica,
che non sono più in catalogo (dei film acquisiti occorre ogni anno rinnovare i diritti
e questo comporta una spesa non indifferente) ma restano disponibili nell'archivio
COE. Il docente può comunque telefonare
e ricevere consigli e indicazioni.
È cambiata negli anni la produzione cinematografica africana?
Molto, c'è una ricchezza di linguaggi, di
generi e di stile nel recente cinema africano3. I cineasti dell'ultima generazione raccontano un'Africa attuale, microcosmo di
dinamiche ormai planetarie: decadimento dei valori tradizionali, cambiamento
dei modelli educativi, problemi legati alle
migrazioni, le ferite ancora aperte dei conflitti etnici, come in Ruanda, ma anche le
speranze e i sogni, i temi della denuncia
e del riscatto. Sono opere che intrecciano
presente e futuro, documentazione e
fiction, fantascienza e attualità, sogno e
realtà, e sorprendono per la freschezza, la
forza e l'energia che trasmettono. Spesso
hanno come protagonisti dei giovani
con la loro capacità di essere artefici
di un cambiamento possibile, come in
Garagouz in cui il viaggio di Mokhtar e del
piccolo Nabil è anche una metafora della
resistenza del sogno di fronte a un presente corrotto che sembra senza sbocco,
e sembra preannunciare i movimenti di
protesta che hanno interessato recentemente il mondo arabo.
3 Si veda l'articolo di Olivier Barlet di
Africultures I cinque decenni del cinema in
Africa, una carrellata sul cinema africano
dalle origini ai giorni nostri, su www.
cinemafrica.org/spip.php?article561&var_
recherche=barlet%20olivier
18/05/12 16.06
44
Né pubblico né privato – parole, musiche, immagini
Cinema e didattica. Sguardi interculturali
C. Bargellini, A. Barzaghi, M. Clementi, G. Lessana, M. Pursumal
Collana Strumenti, Fondazione Ismu, Milano 2012
La pubblicazione apre con alcune riflessioni
di fondo sulle due parole chiave “intercultura” e “cinema”. Intercultura da intendersi
come incontro dialogico tra storie, narrazioni, identità plurime che si trasformano in un
continuo processo discorsivo. Educazione
interculturale come relazione educativa
definita in termini processuali e dinamici.
Cinema non come semplice supporto alla didattica, né come strumento per avviare un
dibattito, ma come creazione artistica e produzione sociale, come gioco di sguardi tra
regista e realtà del film, tra film e spettatore,
tra spettatore e propria storia personale.
Cinema nella sua dimensione interculturale
in quanto meticcio, intreccio di narrazioni e
di sguardi, capace di attraversare frontiere.
Dimensione che, per essere adeguatamente
valorizzata, deve prevedere un approccio interculturale alla visione che tenga conto del
setting, delle modalità comunicative, dello
stile di lavoro, dei ruoli degli attori presenti,
dello spettatore come soggetto sociale.
La seconda parte “Fare didattica interculturale con il cinema” si compone di proposte
operative riguardanti l'utilizzo didattico di
opere filmiche con approccio interculturale: un lungo e un cortometraggio, scelti
per la qualità del prodotto filmico e per la
loro valenza interculturale e pedagogica. I
percorsi e le attività vengono presentati a
livello esemplificativo e fanno parte di un
più ampio patrimonio di sperimentazioni
condotte negli anni dagli insegnanti che
hanno partecipato ai percorsi formativi
promossi dalla Fondazione Ismu e dall'Associazione COE.
La sezione dedicata al lungometraggio “Una
storia: due narrazioni” è rivolta alla scuola
secondaria di secondo grado: i materiali e le
attività si snodano a partire dal film Hyènes,
trasposizione cinematografica del regista
senegalese Djibril Diop Mambéty del testo
teatrale La visita della vecchia signora di
Friederich Dürrenmatt. La scelta dei testi e
degli autori è stata dettata dalla spendibilità
in classe dei temi che, affrontati con linguaggi diversi e in modo originale e avvincente,
permettono riflessioni e attività didattiche di
ampio respiro su alcuni grandi e complessi
nodi della cultura contemporanea. La di-
Strumenti_59.indd 44
mensione interculturale di questa proposta
non si esaurisce nella dialettica degli sguardi
tra un autore svizzero e un regista senegalese
o tra culture europee e africane, ma ciò che
emerge in modo preponderante dallo studio
comparato dei due testi è l'universalità di
una condizione umana che soggiace all'incontro con le diversità e che travalica ogni
confine geografico, linguistico e culturale.
La sezione dedicata al cortometraggio “Un
film, tanti percorsi” presenta approcci diversi
del fare didattica con il cinema a partire da
uno stesso cortometraggio, Amal del regista
marocchino Ali Benkirane, vincitore del
premio Ismu 2006, nell'ambito del 16° Festival del Cinema Africano, d'Asia e d'America Latina di Milano. Il percorso proposto
nella scuola primaria, “Le emozioni…Silenzi
e Parole”, ha la peculiarità di sviluppare,
nella didattica, un approccio metodologico
che porta i bambini a “fare poesia”. Il secondo percorso, “Cinema e Sogni”, sviluppa il
tema legato ai sogni, ai desideri, ai progetti.
Anche il percorso sperimentato nella scuola
secondaria di secondo grado “Un sogno, un
Diritto” indaga il tema delle aspirazioni e del
progetto di sé, agganciandosi al tema dei
diritti universali, in particolare dell'infanzia
e dell'adolescenza. L'approccio interculturale, trasversale a tutti i percorsi, prende
così forma nell'esplorazione delle emozioni,
dei diversi punti di vista, del confronto, del
dialogo, dell'ascolto di sé e dell'altro per
operare incroci e connessioni e contribuire a
creare un pensiero dialogico e cooperativo.
La terza parte “Tanti film, tanti percorsi” offre
alcuni suggerimenti per costruire percorsi
di cinema a partire da tematiche specifiche
riferite al mondo dell'infanzia e dell'adolescenza: l'amicizia capace di oltrepassare
diversità sociali e culturali dei soggetti
coinvolti; le relazioni educative importanti
che si stabiliscono tra bambini e soggetti
adulti diversi dai genitori; sogni, speranze,
desideri e progetti di vita che si infrangono
contro i pregiudizi sociali e la faticosa realtà;
la percezione della diversità e i pregiudizi
sociali che rendono difficile una vita sociale
serena; le drammatiche esperienze che accorciano le tappe dell'infanzia e proiettano
in anticipo nel mondo degli adulti.
Per rendere fruibili altri materiali che non è
stato possibile inserire nella pubblicazione,
si è scelto di creare una sezione on line reperibile nelle pagine del Settore Educazione
del sito della Fondazione Ismu all'indirizzo
www.ismu.org. Potranno essere consultabili e scaricabili, ad esempio, altri percorsi
didattici sperimentati sugli stessi film e su
altri corti; l'analisi filmica, sequenza per sequenza, del lungometraggio Hyènes e del corto Amal; interviste a registi e autori ed altro
ancora. La sezione on line è da considerarsi
come work in progress: vuole infatti diventare un punto di incontro e di scambio fra insegnanti e operatori attraverso i suggerimenti
e la messa in comune di materiali qualificati,
sperimentati e didatticamente fruibili.
Hyènes
Iene
Djibril diop
mambéty
Drammatico
durata 90'
Senegal , Francia,
Svizzera 1992
18/05/12 16.06
Strumenticres n.59 – giugno 2012
45
SEGNALAZIONI
BIBLIOGRAFICHE
L'IMMIGRAZIONE RACCONTATA AI RAGAZZI.
VENT'ANNI DI PROPOSTE DELL'EDITORIA
PER L'INFANZIA
Lorenzo Luatti (a cura di)
Nuove esperienze, Pistoia 2011
SCRIVERE IL FUTURO A PIÙ MANI.
L'ORIENTAMENTO NELLA SCUOLA
MULTICULTURALE
L. Luatti e C. Melacarne (a cura di)
Vannini editrice, 2012
Le narrazioni dell'esperienza migratoria sono
Oggi più che mai i giovani, italiani al fianco di
ormai una presenza abbastanza diffusa nei libri
“nuovi italiani”, incontrano difficoltà ed esprimono
per ragazzi, e consentono ai giovani lettori di
inquietudini nel progettare il proprio futuro. Il
conoscere i vissuti dei tanti ragazzi immigrati o
volume, attraverso contributi teorici, ricerche emfigli di migranti, che sono i protagonisti di queste
piriche e “buone pratiche” presenta l'orientamenstorie. Questa pubblicazione, che propone un'amto come un processo da costruire nel tempo e dal
pia ricognizione su tali scritture, si prefigge due
“basso”, in forma “corale” e condivisa, attraverso
obiettivi: a) far conoscere l'esistenza di un vasto
la collaborazione di scuola, famiglia e territorio.
corpus narrativo che affronta l'esperienza migrato- Un prezioso strumento nelle mani di insegnanti,
ria sotto molteplici sfaccettature, b) indagare sul
operatori, genitori.
modo in cui la tematica migratoria è proposta e
sviluppata. Il catalogo si articola intorno ad alcuni
temi prevalenti (il viaggio, storie di integrazione
scolastica, amicizia e amore, le nuove famiglie, le
seconde generazioni) e su alcuni generi e filoni
narrativi (enigmi e misteri-le storie in “giallo”;
storie favolose). A conclusione di ogni sezione
sono indicate in elenco “Altre letture” (altri libri
che affrontano il tema specifico della sezione e
di cui si offre una breve descrizione), “Altri libri”
(libri tematicamente affini anche se inseriti in
altra sezione).
Strumenti_59.indd 45
18/05/12 16.06
Né pubblico né privato – editoriale
Pubblicazioni
Collana Crescendo Cres Mani Tese - Emi
1. Arcipelago Mangrovia Narrativa caraibica e
intercultura
Rita Di Gregorio, Anna Di Sapio,
Camilla Martinenghi
pagg. 256, 2004 - € 12,00
Il quaderno cerca di fornire una panoramica
della narrativa caraibica insulare dell'ultimo
secolo per favorire il superamento di stereotipi e
offrire chiavi di lettura e spunti di riflessione per
l'educazione alla differenza.
Le schede di presentazione degli autori e delle
opere sono suddivise per aree linguistiche.
Ipotesi di percorsi didattici. e strumenti utili per
gli stessi, completano il testo.
3. Cittadini under 18 I diritti dell'infanzia e
dell'adolescenza
Daniela Invernizzi
pagg.213, 2004 - € 11,00
Il testo presenta un approccio globale alle
problematiche dell'infanzia e dell'adolescenza
e, dopo aver descritto lo scenario culturale
generale, propone esperienze di processi
partecipativi locali e globali e suggerisce stimoli
educativi per lo sviluppo di attività di ricerca
e di sperimentazione centrate sulla tutela e la
promozione dei diritti delle giovani generazioni.
5. “Terra è libertà” La questione agraria in
America Latina
Luca Martinelli, Annalisa Messina
pagg.144, 2005 - € 9,00
Terrà è il punto di partenza per riflettere sui
concetti di latifondo, riforma agraria, migrazione,
libero commercio, diversità biologica, risorse
naturali, diritti dei popoli indigeni, movimenti
sociali, assumendo un punto di vista
interdisciplinare che spazia dall'ambito sociale a
quello politico, economico, culturale.
2. All'incrocio dei sentieri i racconti
dell'incontro
Kossi Komla-Ebri
pagg.192, 2004 - € 10,00
I racconti di Kossi Komla-Ebri, ambientati
in Africa, in Francia e in Italia, attingendo al
vissuto quotidiano, parlano di amore, di viaggi, di
nostalgia, di fierezza e di dignità e smascherano
gli stereotipi con lo strumento dell'ironia. I temi
dei racconti sono approfonditi dall'autore stesso
nelle interviste e nei documenti della seconda
parte, completata da un apparato didattico per
un'educazione interculturale.
4. “La tela del ragno” Educare allo sviluppo
attraverso la partecipazione
Michele Dotti, Giuliana Fornaro,
Massimiliano Lepratti
pagg.238, 2005 - € 13,00
Questo Manuale pratico-teorico, frutto
dell'esperienza sul campo degli animatori e delle
animatrici del CRES di Mani Tese, analizza e
decostruisce gli stereotipi più diffusi riguardo
alla povertà mondiale e illustra tecniche di
partecipazionee di coinvolgimento attivo utili per
accompagnare i ragazzi verso la conoscenza e la
comprensione critica delle problematiche attuali.
6. Uno, nessuno, centomila (ir)responsabili.
Itinerari didattici di educazione alla
cittadinanza
Michele Crudo
pagg.160, €12 - 2006
L'Educazione alla cittadinanza, anche in
rapporto ai controversi modelli sociali che la
nostra società propone, può diventare una
pratica didattica per aiutare lo studente a capire
l'universo degli adulti, a mediare tra gli opposti e
arrivare ad un proprio punto di vista in un'ottica
di mondialità. Alcune esplorazioni didattiche
realizzate attraverso l'uso sistematico dello
strumento filmico completano il testo.
Kit didattico
Nutrire il mondo per cambiare il pianeta
a cura di Mani Tese, CISV, Cres, COCOPA
2010 - gratuito su richiesta scritta
Il kit didattico introduce nel mondo scolastico
il tema della sovranità alimentare con proposte
metodologiche di lavoro per gli insegnanti,
schede tematiche, carte geografiche e una serie di
video sul tema.
Tutti i materiali possono essere
richiesti a [email protected] .
Si può effettuare il pagamento
on-line su www.manitese.it,
su c.c.p. 291278 intestato a Mani
Tese, con bonifico bancario Banca
Popolare Etica IBAN IT 58 W
05018 01600000000000040
Strumenti_59.indd 46
18/05/12 16.06
7. Ri/conoscersi leggendo Viaggio nelle
letterature del mondo.
a cura di Rosa Caizzi
pagg. 256, 2006 - € 13,00
Un viaggio attraverso le letterature araba,
nigeriana, sudafricana, indiana, afroamericana,
cinese e la recente letteratura della migrazione
può aiutare ragazzi e ragazze del Nord a stimolare
la curiosità nei confronti della diversità, a
combattere gli stereotipi sulle altre culture, a
indagare la contemporaneità di altri paesi, a
guardare con occhi nuovi la loro realtà, a
relativizzare il proprio punto di vista.
9. Il cinema per educare all'intercultura
Marina Medi
2007 - € 10,00
È importante che l'educazione all'informazione
e ai media trovi spazio in modo organico nella
programmazione curricolare diventando
strumento di cittadinanza e di comunicazione
interculturale.
Il testo suggerisce una serie di riflessioni
metodologiche per un uso critico dei media, che
parta da alcune cautele indispensabili quando
si propone agli studenti un lavoro che utilizzi il
cinema, e presenta piste di lavoro da realizzare
nelle scuole e percorsi didattici già sperimentati
che possono servire da stimolo.
8. Perché l'Europa ha conquistato il mondo?
Massimiliano Lepratti
pagg. 124, 2006 - € 10,00
L'Europa non ha conquistato il mondo per
investitura divina, né in quanto civiltà superiore.
Il capitalismo del Nord del mondo affonda
le radici nello sfruttamento economico e nei
contributi di pensiero e tecnico- scientifici di aree
lontane. Il testo indaga la storia della costruzione
di un sistema di squilibrio internazionale che
non esisteva fino ad alcuni secoli fa, attraverso
un approccio che integra i livelli politico,
economico e culturale. A corredo carte storiche e
un'appendice didattica.
10. L'economia è semplice
Massimiliano Lepratti
pagg. 125, 2008 - offerta minima € 5,00
Basta spiegarla con parole non tecniche e
diventa comprensibile a chiunque. L'economia
viene scomposta nelle sue parti elementari
presentando di ciascuna il funzionamento , il
collegamento con gli altri aspetti della vita, la
dimensione globale che coinvolge i paesi del Sud
e le fasce povere della popolazione mondiale. È
la conoscenza dell'economia internazionale a
farci comprendere più a fondo la realtà di oggi e a
motivare al cambiamento degli stili di vita e delle
scelte di consumo.
11. Il lontano presente: l'esperienza coloniale
italiana. Storia e letteratura tra presente e
passato
Anna Di Sapio, Marina Medi
pagg. 284, 2009 - offerta minima € 5,00
Non può esistere futuro senza memoria. Il
testo vuol essere uno strumento per rileggere
pagine della nostra storia che abbiamo rimosso.
Operazione particolarmente necessaria a scuola.
Per coglierne la complessità non ci si può limitare
ad un'analisi storiografica ma occorre mettere a
confronto punti di vista diversi e utilizzare anche
fonti nuove come romanzi e film.
Collana CrescendoCres Mani Tese - Ed Lavoro
1. Le migrazioni, a cura di D. Barra e W. Beretta Podini - 1995
2. Percorsi interculturali e modelli di riferimento, M. Crudo - 1995
3. Educare al cambiamento, AA. VV. - 1995
4. La conoscenza dell'altro tra paura e desiderio, M. Crudo - 1996
5. Lo straniero, L. Grossi, R. Rossi - 1997
6. Letterature d'Africa. percorsi di lettura, L. Bottegal, R. Di Gregorio, A. Di Sapio, C. Martinenghi - 1998
7. Penelope è partita, M. Crudo - 1998
8. Portare il mondo a scuola, a cura di ONG Lombarde, IRRSAE Lombardia, Provveditorato agli Studi di Milano - 1999
9. La gatta di maggio, R. Abdessemed - 2001
10. La sfida della complessità, M. Medi - 2003
Noci di cola, vino di palma. Letteratura dell'Africa sub sahariana
L. Bottegal, R. Di Gregorio, A. Di Sapio, C. Martinenghi - 1997 (fuori collana)
PROMOZIONE: 3,00 € ciascun libro (spese di spedizione incluse)
Strumenti_59.indd 47
18/05/12 16.06
un concorso
per invenzioni
…di classe!
Eccoci finalmente all'epilogo di Cibinviaggio,
il concorso per le scuole che Mani Tese ha lanciato
nell'ambito della campagna internazionale
“Food for World”, presentato nel n°57 di Strumenti.
La prova su cui le classi si sono cimentate
richiedeva creatività, inventiva e logica.
Gli studenti hanno dovuto mettere in campo
le proprie competenze e utilizzare materiali poveri
per inventare un gioco originale
e divertente, con obiettivi e regole chiare,
il più possibile cooperativo
e naturalmente coerente con il tema proposto,
quello del viaggio dei cibi intorno al mondo.
Ad aggiudicarsi la cena a km 0 in palio sono stati:
la I° E della scuola media
“Rinascita-Livi” di Milano
con il gioco Carrello intelligente
la III°D del Liceo
“Tommaseo” di Venezia
con il gioco Esploradoca
Al di là dei premi e delle classifiche
il concorso ha rappresentato per gli studenti
un'occasione per confrontarsi, riflettere, imparare
divertendosi e soprattutto per lavorare insieme
in vista di un obiettivo comune,
sperimentando in prima persona il significato
e l'importanza dello spirito cooperativo.
Sarebbe impossibile raccontare in poche righe
le regole, gli obiettivi e le caratteristiche di tutti
i giochi in concorso… Vi invitiamo perciò
a curiosare nel nostro blog:
Organismo contro la fame e per lo sviluppo dei popoli.
Redazione
Luigi Idili (dir.),
Luca Manes (dir. resp.),
Angela Comelli, Alberto Corbino,
Chiara Cecotti, Giosuè De Salvo
Elias Gerovasi, Giovanni Mozzi,
Giacomo Petitti, Lucy Tattoli.
Gruppo redazionale
per il supplemento
“Strumenti Cres”
Donatella Calati (segretaria di red.),
Giacomo Petitti (responsabile di red.),
Elisabetta Assorbi,
Gianluca Bocchinfuso,
Piera Hermann, Elena La Rocca,
Laura Morini, Shara Ponti.
Direzione, redazione e
amministrazione
Piazzale Gambara 7/9,
20146 Milano
Tel. 02/4075165
[email protected]
www.manitese.it
Stampa:
Staff S.r.l. - Buccinasco (MI)
Progetto grafico
e impaginazione:
Riccardo Zanzi
Hanno collaborato
a questo numero:
Elisabetta Assorbi,
Costanza Bargellini,
Alessandra Barzaghi,
Gianluca Bocchinfuso,
Mara Clementi, Michele Crudo,
Anna Di Sapio, Piera Hermann,
Elena La Rocca, Gabriella Lessana,
Carlo Petitti, Giacomo Petitti,
Stefano Rodotà, Shara Ponti,
Manuela Pursumal, Giulio Sensi,
Bianca Triaca
Gli articoli pubblicati
rispecchiano il punto di
vista degli autori, non
necessariamente quello
della Redazione.
Quando non specificato, gli
autori sono formatori Cres.
Il Cres,costituito da esperti ed insegnanti, cura le attività formative di Mani Tese in campo scolastico. Obiettivo
fondamentale della sua iniziativa di ricerca e di innovazione didattica è la diffusione di una nuova cultura dello
sviluppo e della mondialità nella scuola.
www.manitese.it/blog-educazione
Potrete scegliere se divertirvi facendo la spesa
intelligente tra bambini capricciosi
e attenti guardiani, chiedere un prestito
alla Banca della Terra, cercare di acchiappare
il cibo spazzatura, oppure sperimentarvi
con un Tabù in tour, Esploradocando
tra quiz alimentari e corse con i sacchi.
Buon divertimento!
Strumenti_59.indd 48
Si può sostenere la rivista StrumentiCres con una
offerta minima di 10,00 € specificando “Sostegno a
StrumentiCres”:
Versamenti on-line su www.manitese.it,
su c.c.p. 291278 intestato a Mani Tese,
con bonifico bancario Banca Popolare Etica
IBAN IT 58 W 05018 01600000000000040
18/05/12 16.06