Charles Baudelaire - Straccia Fabrizio

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Charles Baudelaire - Straccia Fabrizio
Charles Baudelaire
…Critica e analisi di Straccia Fabrizio
Classe V Informatica C anno 2004/2005
…Prefazione…
Perché Baudelaire?…
Perché in momento della mia vita in cui…
L’ unica cosa che aveva importanza…
…È caduta…
…Caduta…
…caduta come i petali di un fiore…
…che in principio inebria con i suoi colori …
…ed esalta con i suoi sapori…
…ma come ogni cosa…
…i petali di un fiore cadono…
…cadono…
…lasciandomi l ’esile stelo in mano…
…ed io rimango li…
… a guardarlo morire…
E quel fiore che un tempo era frutto di gioia e di passione
…Adesso è divenuto il fiore malsano del mio malessere…
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Autore: Fabrizio Straccia
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Indice dei contenuti
Prefazione …………………………………………………………………………………………………….pag. 2
Biografia …………………………………………………………………………………………………….…pag.4
Biografia Cronologica……………………………………………………………………………………..pag.5
Corrente letteraria di appartenenza………………………………………………………………….pag.6
-Dandy………………………………………………………………………………………………………..pag.6
-Simbolismo………………………………………………………………………………………………..pag.6
-Decadentismo…………………………………………………………………………………………….pag.7
Pensiero e opere……………………………………………………………………………………………..pag.9
I Fiori del Male……………………………………………………………………………………………….pag.10
Temi esposti nella raccolta i fiori del male…………………………………………………………pag.12
-Il poeta nel mondo borghese………………………………………………………………………...pag.12
-Spleen et Ideal…………………………………………………………………………………………….pag.13
-Attrazione al Male e aspirazione a Dio………………………………………………………..…pag.15
-Simbolismo…………………………………………………………………………………………………pag.17
-Il valore della donna…………………………………………………………………………………….pag.18
-Le droghe……………………………………………………………………………………………………pag.18
-I paradisi artificiali………………………………………………………………………………………pag.19
-Il Sogno………………………………………………………………………………………………………pag.20
-Il Viaggio…………………………………………………………………………………………………….pag.20
Conclusioni…………………………………………………………………………………………………….pag.21
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Autore: Fabrizio Straccia
fabriziostraccia.altervista.org
Biografia
Baudelaire, Charles (Parigi 1821-1867), poeta e critico francese.
Ebbe un’infanzia difficile, segnata dalla morte del padre e dall’insofferenza per il patrigno.
Difatti la madre Caroline, rimasta vedova, espande sul figlio tutta al sua ricchezza affettiva.
Ma neppure due anni più tardi Caroline si risposa con Aupick, un ufficiale ben avviato
nella carriera. Baudelaire non perdonerà mai alla madre questo tradimento e da allora il
rapporto tra i due diventa tormentoso, nutrito dagli impulsi di vendetta del figlio, che non
dissocia più l’amore dal bisogno di farla soffrire e dai lamenti e rimproveri di lei che al
figlio sono altrettanto necessari. Rimasta vedova del secondo marito si ritira a Honfleur,
ma è troppo tardi per eliminare i veleni accumulatisi nell’animo del figlio. Questi si rifugia
qualche volta da lei, ma ne riparte annoiato e irritato. Aupick è l’avversario di Baudelaire.
Ogni suo provvedimento educativo è accolto come una punizione intollerabile. La
vocazione poetica, che si manifestò precocemente, fu avversata dai genitori, i quali, per
sottrarlo alla vita disordinata che conduceva, nel 1841 lo indussero a compiere un viaggio
in India, dal quale il giovane Baudelaire fece ritorno ancor prima di essere giunto a
destinazione. Riprese allora la sua vita di dandy ed esteta, sperimentando i “paradisi
artificiali” dell’hashish, dell’oppio e dell’alcool, insidiosi rimedi al tedio e alla frustrazione,
procurandosi fama di eccentrico e immorale e dissipando ben presto il patrimonio paterno,
cui aveva avuto accesso con la maggiore età. Questo periodo di libertà assoluta e di ricerca
del piacere coincise con una fase creativa estremamente feconda, da cui nacquero le sue
poesie più celebrate. Costretto dalle preoccupazioni finanziarie, intraprese l’attività
giornalistica. Il riconoscimento della sua abilità di scrittore, giunse nel 1848, quando
furono pubblicate le traduzioni di opere di Edgar Allan Poe, scrittore con il quale
Baudelaire condivideva una profondo inquietudine.
Nel giugno del 1857 egli fece pubblicare la raccolta “I fiori del male”, che affiancava inediti
a poesie già comparse in riviste. In agosto l’opera fu sequestrata e all’autore fu intentato un
processo per oltraggio alla morale pubblica; il pubblico ministero comminò a Baudelaire
una pena pecuniaria e ordinò la soppressione di sei componimenti, che furono riabilitati
solo nel 1949. Dopo lo scandalo, continuò a pubblicare sulle riviste testi critici e traduzioni
di Poe, a cui si aggiunsero dei poemetti che sarebbero stati pubblicati con il titolo “Lo
spleen di Parigi” e con i quali l’autore riprendeva i temi e i motivi de “I fiori del male”. Nel
1866, colpito da un attacco di paralisi morì a Parigi. Il lavoro di Baudelaire rimaneva in
gran parte disseminato in giornali e riviste fino a quando, morto il poeta, Lèvy non
acquistò all’incanto i diritti su tutta la sua opera e provvide a ordinarla in sette volumi.
Autore: Fabrizio Straccia
Charles Baudelaire ormai maggiorenne, entrato in possesso dell’eredità paterna
conduce un’ esistenza fastosa: lo si può incontrare in quai d’Anjou elegantemente
vestito, con stivali di vernice, camiciotto azzurro, guanti color rosa freschissimi,
lunghi capelli ondulati. Nella posa, nell’ambiguità del sorriso, nella capigliatura
“ pretenziosamente Raffaellesca” il ritratto propone l’immagine di un Dandy,
quale Baudelaire era o amava apparire quegli anni: “Animale pieno di genio che
soffre sospira tutti i sospiri e tutte le ambizioni umane”
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Biografia Cronologica
1821- Il 9 Aprile nasce a Parigi Charles-Pierre Baudelaire.
1827- Morte del padre (funzionario amministrativo del Senato.
1832 - La famiglia Baudelaire si trasferisce a Lione (nel frattempo la madre si è risposata).
1839- Baudelaire viene espulso dal collegio. Ottiene comunque il baccalaureato.
1840- Si iscrive a giurisprudenza e comincia la sua libera vita parigina. Instaura un
relazione con Sarah, una giovanissima prostituta ebrea.
1841- Allarmato per il carattere e per le recenti abitudini di vita del giovane, il patrigno
decide, dopo un consiglio di famiglia, di farlo imbarcare per l'India. Il 9 giugno Baudelaire
parte da Bordeaux diretto a Calcutta. Si ferma prima nell'isola di Maurice, poi nell'isola di
Bourbon dopodichè si rifiuta di proseguire e il 4 novembre s'imbarca per la Francia.
1842- Poco dopo il suo ritorno in Francia, Baudelaire s'innamora di Jeanne Duval, una
mulatta che aveva visto esibirsi al teatro della Porte-Saint-Antoine; e si lega a lei per tutta
la vita. Il 9 aprile, maggiorenne, entra in possesso dell'eredità paterna. Conosce un certo
Arondel, pittore e mercante d'arte, imbroglione e usuraio, con il quale Baudelaire comincia
a indebitarsi: Arondel l'angustierà per tutta la vita.
1844- Istanza della madre del poeta presso il Tribunale affinché suo figlio sia dichiarato
incapace di amministrare i propri beni; di fatto il suo patrimonio è già dimezzato. Il
tribunale nomina un tutore.
1845- Il 25 maggio esce su 'L'Artiste' il sonetto "A une dame créole", prima poesia
pubblicata di Baudelaire. Con una lettera del 30 giugno, il poeta annuncia che intende
suicidarsi, poi ci ripensa e per qualche tempo torna a vivere con i genitori.
1847- Esce il racconto "La Fanfarlo".
1848-Partecipa alle giornate del febbraio e poi alle terribili giornate di giugno che
inaugurano la II repubblica. Lo si vede sulle barricate.
1848-54 - Vengono pubblicate le sue traduzioni delle opere di E.A. Poe.
1857- Il 28 aprile muore il patrigno. Il 25 giugno esce "Le Fleur du Mal", dopo pochi giorni
il libro viene sequestrato e Baudelaire e l'editore vengono processati per pubblicazione
oscena. Vengono condannati a pagare un'ammenda e a sopprimere sei poesie.
1859- Il 5 aprile Jeanne Duval, colpita da paralisi, è ricoverata in ospedale.
1861- Seconda edizione delle "Fleurs du Mal".
1862- Muore il fratellastro del poeta.
1866- Baudelaire è colpito da paralisi: si manifestano i primi sintomi di afasia. La paralisi
lo immobilizza e gli toglie la parola ma gli lascia il cevello lucido sino alla fine.
1867- 31 Agosto. Morte di Baudelaire. Viene sepolto nella tomba di famiglia accanto al
patrigno, nel cimitero di Montparnasse (Parigi).
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Corrente letteraria di appartenenza: …
Inquadrare Baudelaire in una determinata corrente letteraria è pressoché impossibile. La sua
estrema originalità, il suo talento, la sua voglia di rivoluzione, rendono la sua poesia libera da ogni
canone letterario. Tuttavia il ricorrere spesso al simbolo, fa si che Baudelaire sia considerato uno
dei simbolisti dell’epoca (la celebre opera “Corrispondenze” fu denominata manifesto del
Simbolismo). Il suo essere Dandy portano il poeta a comporre pezzi di spiccata capacità
trasmissiva, e la grande innovazione introdotta dal suo stile saranno poi i punti fondamentali della
nuova poetica del 900, rappresentata dal Decadentismo.
Di seguito verranno riportati i caratteri generali delle correnti letterarie sopra citate, in maniera
tale da poter facilitare l’analisi e la comprensione della poetica Baudeleriana.
Dandy
La figura del dandy nasce in Inghilterra con il romanticismo, ma si diffonde in Europa
negli anni del Decadentismo, grazie soprattutto all’esempio di Oscar Wilde. Il dandy è
l’eccentrico che si diverte a stupire e a colpire l’attenzione del pubblico, con gli
atteggiamenti, con il modo di vestire, di vivere, con i gesti provocatori.
Esibisce la
propria “diversità” e, mentre ne fa spettacolo, cerca di imporla e di servirsene come
trampolino di lancio per il successo. Si diverte dunque a scandalizzare e a provocare, ma in
realtà vuole il riconoscimento e il plauso del pubblico. La figura del dandy presuppone
l’isolamento sociale dell’artista e la spinta della concorrenza che lo induce a differenziarsi
con gesti clamorosi; ma rivela anche quanto sia ambiguo il suo anticonformismo : dietro la
rivolta si nasconde in realtà il desiderio di successo. Questo personaggio bene esprime,
dunque, il destino dell’artista nella società che mercifica l’arte ed in cui l’artista deve fare
propaganda a se stesso per vendere i propri prodotti.
Simbolismo
Il nome del movimento deriva da un'idea del mondo come una rete di simboli (le cose)
mediante la quale il poeta evoca una realtà più profonda, ricostruendola e reinventandola
su una trama di analogie e corrispondenze. Tale visione del mondo produce nell'arte una
rivoluzione totale, del contenuto e delle forme. Ammessa l'impossibilità di conoscere la
realtà vera mediante l'esperienza, la ragione, la scienza, si pensa che soltanto la poesia, per
il suo carattere d'intuizione arazionale ed immediata, possa esprimere le rivelazioni
dell'ignoto. La poesia diviene dunque la più alta forma di conoscenza, l'atto vitale più
importante: coglie le misteriose analogie che legano le cose, scopre la realtà che si
nasconde dietro le loro apparenze esteriori, esprime i presentimenti che affiorano
nell'animo.
Per questo la poesia è concepita come messaggio che giunge da lontano, come espressione
simbolica di ciò che è inesprimibile. La poesia non rappresenta più immagini o sentimenti
concreti, rinuncia al racconto, alla proclamazione di ideali. La parola non è più usata come
elemento del discorso logico, ma per la sua capacità evocativa e suggestiva. La struttura
espressiva tradizionale è abbandonata, insieme con ogni forma di costruzione intellettuale
e sintattica. Nascono la poesia del frammento illuminante, ricco di significati simbolici, e
una nuova metrica, sciolta dagli schemi della tradizione, intesa a rendere il ritmo della vita
interiore. La nuova poesia non si rivolge all'intelletto o al sentimento del lettore, ma al suo
inconscio. La poesia si propone di offrire non dei concetti, ma un'esperienza dell'ignoto. Il
poeta non è più il Vate romantico, guida e coscienza dei popoli: è il veggente che interpreta
la realtà.
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La vera novità di questa poetica si verifica a livello di linguaggio e di espressione. Si
prediligono le metafore che alludono alla complessità del mondo e ne riflettano la
cangiante metamorfosi, le analogie fra le cose come manifestazione d'una profonda e
segreta unità. Di qui, ad esempio, l'uso frequente del passaggio, nell'immagine, da un tipo
di sensazioni a un altro (es.: l'impressione visiva è sostituita da quella tattile, per indicare
la simultaneità di tutte le spinte emotive della coscienza).
La poesia è, per i simbolisti, una creazione del mondo attraverso il linguaggio, una prova
della creatività dell'Io. La ricerca d'una musicalità verbale, data dal verso libero, evocativa
ed impressionistica, rivela in tali poeti la volontà di raffigurare in forma unitaria
l'apparente diversità della vita.
Decadentismo
Il Decadentismo, che si può considerare come la fase estrema del moto romantico, ebbe la
sua concreta origine e la sua prima manifestazione letteraria in Francia, dove si sviluppò
in aperta polemica con la letteratura naturalistica, diffondendosi poi nelle altre nazioni
europee. Come primi esponenti del decadentismo sono da considerare i poeti e gli scrittori
simbolisti, che operavano in Francia nella seconda metà dell'Ottocento (tra il 1880 e il
1890), e che intendevano la poesia come una forma di vera e propria rivelazione.
Il primo interprete della nuova sensibilità poetica è Charles Baudelaire (1821-1867),
mentre tra i poeti più significativi della poetica simbolista, si possono poi ricordare
Stéphane Mallarmé (1842-1898), che fece valere il mito della poesia pura; Paul
Verlaine (1844-1896), che fece valere il principio della poesia come musica; e Arthur
Rimbaud (1854-1891), che fu una singolare figura di poeta maledetto.
Il termine "decadentismo" viene coniato dalla critica di indirizzo realistico e naturalistico
per indicare spregiativamente un gruppo di giovani intellettuali francesi, il cui
atteggiamento viene considerato dagli avversari come espressione di una degradazione
culturale. Questi giovani intellettuali, che si riuniscono a Parigi sulla riva sinistra della
Senna, la "Rive Gauche", accettano tale termine e ne assumono la definizione facendosene
un vanto; infatti il poeta Paul Verlaine in un suo verso famoso afferma: "Je suis l'empire à
la fin de la décadence" ("Io sono l'impero alla fine della decadenza"), e una delle più
autorevoli riviste porta proprio il nome "Le décadent".
Il complesso movimento culturale del Decadentismo si può considerare - nei suoi caratteri
generali - come lo svolgimento e, contemporaneamente, la crisi dell'idealismo e del
soggettivismo romantico. Anche la civiltà spirituale del Decadentismo si manifesta nel
campo del pensiero e della vita morale come un'inquieta e sempre più accentuata sfiducia
nelle forze della ragione, che assume le forme di una vera e propria crisi
esistenziale:
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Esasperazione dell'individualismo e dell'egocentrismo;
Visione pessimistica del mondo e della vita umana;
Polemica contro il positivismo;
Scoperta dell'inconscio e del subcosciente;
Tormentoso senso della solitudine e del mistero.
I cosi’ detti poeti decadenti si sentono smarriti, infatti essi derivando dalla media borghesia
si sentono come schiacciati da questa situazione, perdendo così il loro ruolo di artisti.
Secondo il loro pensiero la scienza, tanto elogiata nel positivismo ha fallito miseramente, e
la realtà ne è un inconfutabile esempio. Il progresso è servito soltanto a creare borghesia
egoista e imperialista. Ecco quindi che la realtà vera e proprio è quella che si trova
nell’anima e non quella tangibile. Per raggiungere questa realtà il poeta deve far ricorso
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all’Intuizione(arte): Folgorazione improvvisa con la quale il poeta riesce a cogliere la vera
essenza. Spesso per raggiungere questo stato era frequente l’uso di droghe o alcolici.
La poetica decadente…
Nell'età del Decadentismo si maturò una nuova sensibilità poetica: nella crisi pressoché
totale dei tradizionali valori etici e conoscitivi, la poesia apparve allora come il solo mezzo
di intendere e svelare la realtà. Uno dei più rilevanti caratteri dell'arte decadente è da
vedere, appunto, nello straordinario raffinamento della tecnica e dei mezzi espressivi: la
parola, negli esempi più originali e qualificanti dell'arte decadente, tende a sottrarsi ad
ogni vincolo di natura logica e concettuale per risolversi nell'incanto lirico di una pura
suggestione fonica e musicale:
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Nuova esperienza metrica del verso libero;
Significativo ricorso alle parole connotative ( nascondono mille altri significati);
Uso continuo di figure retoriche come l’ Analogia;
Uso frequente della Sinestesia (abbinamento di 2 percezioni differenti).
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Pensiero e opere : Charles Baudelaire
Baudelaire è il fautore della poesia moderna. Nelle sue poesie riesce perfettamente a far
capire lo stato d’animo e la condizione in cui i poeti di quel periodo si trovavano. La
musicalità, la profondità dei versi, rendono gli scritti affascinanti ma allo stesso tempo
angoscianti.
Le forme materiali della natura non sono che simboli di una realtà più profonda e
autentica, che si colloca al di là delle cose. Ma nella sua esperienza quotidiana l’uomo non
riesce a cogliere questi legami, anche se i simboli gli suonano famigliari perché
corrispondono a qualche cosa che giace nel profondo di ognuno. Per decifrare questo
linguaggio segreto occorre rinunciare alla visione razionale che si ferma solo alla superficie
delle cose, e abbandonarsi alle sensazioni che, nella loro essenza non razionale, mettono in
comunicazione col profondo.
In concreto, questa esplorazione dell’irrazionale si manifesta in un’attenzione per la vita
dei sentimenti, per la passionalità, ma soprattutto per gli stadi della psiche che escono
dalla normalità razionale: il sogno, la fantasticheria, l’ebbrezza, il delirio, la follia.
Questa esplorazione dell’irrazionale, della zona d’ombra fa si che si tenda a sprofondare
negli abissi dell’interiorità, concepita come unica realtà esistente.
C’è quindi l’esplorazione di zone ulteriori dell’esperienza. Perenne conflitto tra la tendenza
all’ideale e le sollecitazioni dei sensi, tra spirito e materia, Dio e Satana; ribellione alle
convenzioni, anticonformismo fino allo scandalo.
Per evidenziare l’innata capacità trasmissiva della sua poesia, attraverso la presentazione
di alcune poesie, andremo ad analizzare i temi e le opere, tentando di estrapolare il
pensiero celato tra i versi. Tutti i sonetti riportati sono ripresi dall’ estasiante opera
denominata “ I Fiori del male”.
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I fiori del male
Dal 1845, Baudelaire pensa a una raccolta di poesie, ma il titolo I Fiori del male apparirà
solo nel 1855. Dopo l'edizione del 1857 con cento poemi, quella del 1861 presenta
centoventisette poemi. Il titolo sorprende per l'unione di due termini contradittori: il fiore,
simbolo di purezza e bellezza, e il male che evoca un'idea di peccato. Baudelaire stesso
spiega di aver tentato di "estrarre la bellezza del male". Fin dal titolo è presente il segno di
un'estetica nuova,"moderna", in cui, grazie alla poesia, le realtà più banali o volgari della
natura e della carne (il "male") possono acquistare bellezza ed elevarsi al sublime(i "fiori").
I poemi che costituiscono la raccolta sono organizzati secondo un'architettura ben
precisa. "Il solo elogio che faccio a questo libro e che si riconosce che non è un album ma
ha un inizio e una fine", scrive il poeta in una lettera a Vigny nel 1861. La raccolta è divisa
in sei parti che rappresentano le tappe di un viaggio immaginario del poeta verso la
morte, per fuggire dallo spleen, dall'angoscia esistenziale. Nella prima poesia che funge da
prologo, il poeta invita "l'ipocrita lettore" a non chiudere gli occhi sulla sua condizione e a
seguirlo in questo viaggio che ripercorre le tappe del viaggio reale verso l'Inferno che è la
vita.
1.Spleen e Ideale. E' la parte più ricca, nella quale Baudelaire mostra il dualismo della
condizione umana. L'uomo aspira all'Assoluto, ma è incapace di realizzarlo sulla Terra. Da
qui il senso di Noia, il disgusto di sè stesso, lo spleen.
2.Quadri parigini. La città, rappresentata come un luogo orribile ed affascinante al
tempo stesso, è la prima tappa del viaggio del poeta che guarda tutt'intorno a sè per vedere
come vivono gli altri uomini. Nella città egli vede, al centro di uno sfondo sinistro,
prostitute, mendicanti, infermi ed esiliati : alcuni accettano il loro destino, altri lottano per
sfuggirgli. E nella città, vede tante possibilità di evasione attraverso la scelta deliberata del
male.
3.Il vino. L'alcool è un primo tentativo, effimero, di evasione verso l'"altrove".
4.I Fiori del male. Attraverso l'esperienza sessuale, gli amori proibiti e i paradisi
artificiali, l'uomo cerca di conoscere la sua vera natura, senza raggiungerla mai.
5.La Rivolta. Non resta che la rivolta contro Dio, che ha voluto l'uomo nella sua
condizione, e l'invocazione a Satana.
6.La Morte. La rivolta è inutile. Dio è sordo o non può fare nulla. La morte è quindi
l'ultima speranza dell'uomo : "E' la Morte che consola, purtroppo! e che fa vivere." Nella
poesia La morte dei poveri, il poeta vede così la morte e non la promessa di un paradiso,
ma una promessa di pace, la fine della tragedia dell'uomo, il termine della Noia. Solo la
morte, perchè è sconosciuta, può condurre il poeta verso la liberazione insperata.
Alla fine della raccolta, il conflitto tra spleen e ideale, salvezza e dannazione, non trova
soluzione. Resta, potente e disperata, la speranza del poeta di un viaggio che lo conduca
fuori dell'Universo in uno spazio sconosciuto, liberato definitivamente dal Tempo. "La sete
insaziabile di tutto ciò che è al di là, e che rivela la vita, è la prova più viva della nostra
immortalità. E' dunque con la poesia e attraverso la poesia, con la musica e attraverso la
musica, che l'anima intravede gli splendori situati dietro la tomba", scrive il poeta nelle sue
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note. Grazie alla creazione poetica, il poeta sopporta la situazione reale e giunge alla
conoscenza del mondo.
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Temi esposti nella raccolta: I Fiori del Male
Il poeta nel mondo borghese
Nel mondo moderno il ruolo dell’artista è cambiato; il poeta ha perso la sua funzione
sacrale di sacerdote della Bellezza e della Poesia, che lo aveva sempre celebrato nella
società aristocratiche del passato.
La condizione di prestigio non è più assicurata perché sono cambiati i valori dominanti; in
una società che ha come valori fondamentali l’utile, l’interessante, il senso pratico e che
culturalmente è improntata al Positivismo, il poeta è diventato un uomo come tutti gli altri.
Le numerose affermazioni di poetica di Baudelaire rivelano l'esigenza di giustificare la
propria funzione di poeta, ora che la fede romantica nella poesia appare dissacrata dalla
ricerca dell'utile e del piacere materiale, dall'egoismo sfrenato.
Nello Spleen di Parigi, Baudelaire descrive un dialogo con un amico che si meraviglia di
incontrarlo in un luogo malfamato. Il poeta spiega che può frequentare quei luoghi come
un comune mortale perché ha perso l’aureola che contrassegnava la sua sacralità "Ora
posso andare a zonzo in incognito... abbandonandomi alla crapula della carne come i
semplici mortali "
Questo poemetto è importante perché coglie con acutezza il mutamento del ruolo
dell’artista nel mondo moderno. Baudelaire ha perso l’aureola che gli garantiva una
condizione di privilegio e ora la società borghese non assicura più al poeta una dignità
spirituale. Il poeta finge ironicamente di accettare questa nuova condizione; in realtà si
getta nel vizio per accentuare la sua diversità dalla gente " normale". Così al posto di un
privilegio spirituale di un tempo ottiene almeno un privilegio negativo: quello del male.
PERDITA D'AUREOLA
Da Lo Spleen di Parigi, trad. it. di D. Cinti, in C. Baudelaire, Poemetti in prosa, dall'Oglio,
Milano, 1961
- Oh! Come! Voi qui, caro? Voi in questo luogo malfamato? Voi, il bevitore di quintessenze! Voi, il
mangiatore d'ambrosia! Davvero, ne sono sorpreso!
- Mio caro, vi è noto il mio terrore dei cavalli e delle carrozze. Poc'anzi, mentre attraversavo il boulevard
in gran fretta, e saltellavo nella mota, in mezzo a questo mobile caos, dove la morte arriva al galoppo da
tutte le parti ad un tempo, la mia aureola, ad un movimento brusco che ho fatto, m'è scivolata giù dalla
testa nel fango del selciato. Non ho avuto il coraggio di raccoglierla. Ho giudicato meno sgradevole il
perdere la mia insegna che non farmi fracassare le ossa. E poi, ho pensato, non tutto il male vien per
nuocere. Ora posso andare a zonzo in incognito, commettere delle bassezze e abbandonarmi alla crapula
come i semplici mortali. Ed eccomi qui, assolutamente simile a voi, come vedete!
- Dovreste almeno fare affliggere che avete smarrita codesta aureola, o farla reclamare dal commissario.
- No davvero! Qui sto bene. Voi solo mi avete ravvisato.
D'altronde, la grandezza m'annoia. E poi penso con gioia che qualche poetastro la raccatterà e se la
metterà in testa impudentemente.
Render felice qualcuno, che piacere! E soprattutto render felice uno che mi farà ridere! Pensate a X, o a
Z!...Eh? che cosa buffa, sarà!...
Un altro riferimento importante quanto alla diversità del poeta è nella poesia L'albatro
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L’ albatros ( versione originale)
L’albatro (tradotto)
Souvent, pour s'amuser, les hommes d'équipage
Prennent des albatros, vastes oiseauz des mers,
Qui suivent, indolents compagnons de voyage,
Le navire glissant sur les gouffres amers.
Spesso, per divertirsi, gli uomini d'equipaggio
Catturano degli albatri, grandi uccelli dei mari,
Che seguono, indolenti compagni di vïaggio,
Il vascello che va sopra gli abissi amari.
5
5
E li hanno appena posti sul ponte della nave
Che, inetti e vergognosi, questi re dell'azzurro
Pietosamente calano le grandi ali bianche,
Come dei remi inerti, accanto ai loro fianchi.
À peine les ont-il déposeés sur le planches,
Que ces rois de l'azur, maladroits et honteux,
Laissent piteusement leurs grandes ailes blanches
Comme des avirons traîner à côté d'eux.
Com'è goffo e maldestro, l'alato viaggiatore!
10 Lui, prima così bello, com'è comico e brutto!
Qualcuno, con la pipa, gli solletica il becco,
L'altro, arrancando, mima l'infermo che volava!
Ce voyageur ailé, comme il est gauche et veule!
10 Lui, naguère si beau, qu'il est comique et laid!
L'un agace son bec avec un brûle-guele,
L'autre mime, en boitant, l'infirme qui volait!
Il Poeta assomiglia al principe dei nembi
Che abita la tempesta e ride dell'arciere;
15 Ma esule sulla terra, al centro degli scherni,
Per le ali di gigante non riesce a camminare.
Le Poète est semblable au prince des nuées
Qui hante la tempête e se rit de l'archer;
15 Exilé sul le sol au milieu des huées,
Ses ailes de géant l'empêchent de marcher.
Qui il poeta viene paragonato ad un albatro, le sue imponenti e maestose ali non possono
nulla contro i legacci che i marinai gli legano per farlo stare sulla tolda( ponte della nave).
Deriso e schernito il poeta non può far altro che muoversi goffo tra i marinai.
Lo spleen et Ideal
Il termine inglese significa propriamente "milza": le concezioni mediche antiche infatti,
ritenevano quell’organo sede della cupezza e malinconia.
Con questa parola Baudelaire indica la noia, la malinconia senza nome, la tristezza senza
cause specifiche che gli antichi chiamano taedium vitae (la noia della vita).
Il poeta ha scritto diverse liriche con questo titolo, tutte inserite nella prima sezione dei I
fiori del male (di cui parleremo più avanti) , intitolata Spleen e ideale.
I due opposti sentimenti del poeta sono da un lato il disgusto per la vita distrutta dalla
noia, da una tormentosa inquietudine, e dall’altro l’aspirazione, destinata allo smacco ma
caparbiamente presente, verso l’infinito e l’assoluta purezza.
Il poeta si sente oggetto di un conflitto tra Cielo e Inferno: per lui nell’uomo vi è un bisogno
di purezza, di spiritualità, di elevazione a Dio. Dall’altro invece vi è una cupa attrazione per
il vizio, il male, la degradazione.
Questo conflitto ha alla base una concezione religiosa; il poeta tenta di sfuggire allo spleen
protendendosi verso l’ideale, la bellezza, la purezza; anche se la tensione è vana perché egli
ripiomba in basso per una sorta di voluttà della degradazione e della colpa. Ecco allora che
si rivolge a mezzi di evasione, ai paradisi artificiali, a Satana ("Satana, abbi pietà della mia
lunga miseri", litanie di Satana, nella sezione V de I fiori del male) e infine si rivolge alla
morte vista come possibilità di esplorare l’ignoto ("Al fondo dell’ignoto per trovare del
nuovo!" Il viaggio , nella sezione IV, La morte ).
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Spleen LXXVIII
Spleen LXXVIII
Quando il cielo basso e pesante pesa come un coperchio
Sullo spirito gemente in preda alle lunghe noie,
E che l'orizzonte che bacia tutto lo cerchio
Ci versa un giorno nero più triste che le notti;
Quand le ciel bas et lourd pèse comme un couvercle
Sur l'esprit gémissant en proie aux longs ennuis,
Et que de l'horizon embrassant tout le cercle
Il nous verse un jour noir plus triste que les nuits;
Quando la terra è cambiata in una segreta umida,
Dove la speranza, come un pipistrello,
Se ne va picchiando i muri della sua ala timida
E sbattendo la testa ai soffitti putrefatti;
Quand la terre est changée en un cachot humide,
Où l'Espérance, comme une chauve-souris,
S'en va battant les murs de son aile timide
Et se cognant la tête à des plafonds pourris;
Quando la pioggia che stende le sue immense strisce
Di una vasta prigione imito le sbarre,
E che un popolo muto degli infami ragni
Viene a tendere le sue reti in fondo ai nostri cervelli,
Quand la pluie étalant ses immenses traînées
D'une vaste prison imite les barreaux,
Et qu'un peuple muet d'infâmes araignées
Vient tendre ses filets au fond de nos cerveaux,
Delle campane saltano improvvisamente con furia
E lanciano verso il cielo un terribile urlo,
Così come degli spiriti erranti e senza patria
Chi si mette a gemere tenacemente.
Des cloches tout à coup sautent avec furie
Et lancent vers le ciel un affreux hurlement,
Ainsi que des esprits errants et sans patrie
Qui se mettent à geindre opiniâtrement.
-Et de longs corbillards, sans tambours ni musique,
Défilent lentement dans mon âme; l'Espoir,
Vaincu, pleure, et l'Angoisse atroce, despotique,
Sur mon crâne incliné plante son drapeau noir.
Analisi:
La poesia è composta da 5 strofe di quattro versi ciascuna (quartine). I versi sono
alessandrini (verso classico della letteratura francese). Tutta la poesia si articola in due sole
proposizioni (o "frasi"). La prima frase si sviluppa lungo le prime quattro strofe, ed è
composta da tre proposizioni subordinate (strofe 1, 2 e 3) più una proposizione principale.
Le subordinate sono molto simili tra loro: tutte cominciano con lo stesso avverbio di tempo
(Quando...) e si sviluppano attraverso vivide metafore (il coperchio, il pipistrello, la
prigione). Questa somiglianza, la ripetitività di una stessa struttura, insieme al fatto che le
subordinate sono poste tutte e tre prima della proposizione principale (strofa 4), crea un
clima di attesa, una certa suspense per quanto riguarda il seguito del discorso. Questa
"attesa" ha un nome ben preciso nel gergo letterario : si tratta di un climax, per cui la
disposizione in modo ascendente di certi elementi sintattici crea un "clima" di tensione, di
aspettativa. La tensione accumulata lungo le tre prime strofe, volutamente pesanti in
struttura e contenuti, esplode nella quarta strofa, nella proposizione principale. L'ultima
strofa, che è anche l'ultima frase della poesia, nonostante abbia una propria indipendenza
sintattica (ed anche visiva: c'è uno spazio bianco tra le varie strofe), è legata alle altre
dall'uso del segno tipografico " - " e dalla congiunzione con la quale comincia ( - E... ). Essa
rappresenta una conseguenza delle strofe precedenti, una specie di "rilassamento" finale
dopo l'esplosione del climax.
Osservazioni:
La struttura della poesia e il suo contenuto tematico si articolano in maniera tale da
creare un ritmo, un movimento particolare : lento e pesante all'inizio (str. 1, 2 e 3), poi
improvvisamente forte (str. 4), infine lentissimo (str. 5), tanto da ricordare uno schema di
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sonorità secondo l'alternanza piano-fortissimo-pianissimo*, racconta un'esperienza
drammatica vissuta tanto interiormente che esteriormente.
C'è un forte senso di costrizione nella poesia: tutto porta a mettere l'accento sull'idea
della disperazione dovuta all'incapacità di liberarsi, di respirare. Il poeta esprime così il
dramma del proprio tedio, dello "spleen" che gli impedisce di elevarsi, di toccare il lato
divino della propria esistenza. Questa osservazione ci riconduce alla concezione del
poeta propria di Baudelaire. Per lui, esso è un uomo diverso dagli altri, al contempo
benedetto e maledetto : benedetto, perché capace di cogliere significati superiori, di
elevarsi al cielo con la sua poesia ; maledetto, perché nonostante il suo continuo anelito al
divino, rimane pur sempre un uomo, facile preda dello "spleen".
Una poesia molto significativa e rappresentativa del mal di vivere è “la maschera”.
Statua allegorica di gusto rinascimentale
A Ernest Christophe, scultore
Contempliamo questo tesoro di grazie fiorentine: nell'ondulazione del suo corpo muscoloso Eleganza e Forza,
sorelle divine, ugualmente abbondano. Questa donna, pezzo veramente miracoloso, divinamente forte,
adorabilmente sottile, è fatta per troneggiare su letti sontuosi a carezzare gli ozi d'un pontefice o d'un principe.
- Guarda anche quel sorriso fine e voluttuoso in cui la Fatuità si muove estatica: quel lungo sguardo sornione,
languido e irridente, quel viso graziosamente fine, tutto ravvolto di veli, di cui ogni tratto ci dice con aria vittoriosa:
"La Voluttà mi chiama, l'Amore mi incorona!" A quest'essere maestoso, guarda che eccitante fascino la gentilezza
conferisce. Avviciniamoci e giriamo attorno alla sua beltà.
O bestemmia dell'arte, o sorpresa fatale. La donna dal corpo divino, tutto una promessa di felicità finisce in alto in
un mostro dalla doppia testa!
- Ma no, non è che una maschera, un ornamento ingannatore, questo volto rischiarato da una smorfia squisita.
Guarda, ecco, atrocemente contratta, la vera testa e l'autentica faccia, rovesciata dietro la faccia mentitrice. Povera,
grande beltà! Il magnifico fiume del tuo pianto finisce nel mio cuore turbato; la tua menzogna m'inebria e la mia
anima s'abbevera ai flutti che il Dolore fa sgorgare dai tuoi occhi.
- Perché piange, lei, la bellezza perfetta che terrebbe sotto i piedi la vinta umanità? Quale male misterioso divora il
suo fianco d'atleta?
- Lei piange, insensata, perché ha vissuto e perché vive! Ma quel che soprattutto ella deplora, e la fa fremere sino ai
ginocchi è il fatto che domani bisognerà che viva ancora. Domani, e domani ancora, e sempre. Come noi.
Attrazione al male e aspirazione a Dio
Il personaggio decadente non è univocamente definibile. Esso ci appare lacerato da spinte
contraddittorie, spesso sospeso nel dubbio, spesso proteso a sondare il mistero del proprio
io. Sono forti perciò gli interessi psicologici che portano l’attenzione verso le zone profonde
dove agiscono impulsi oscuri e moventi inconfessati.
Baudelaire è consapevole di essere lacerato, di essere richiamato dagli opposti. Questi
sono:
1) Dio, ossia l’aspirazione a salire verso l’alto, l’infinito.
L’uomo si merita il paradiso, senza ricorrere a strumenti che danneggiano la sua volontà.
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2) Satana, ossia il gusto del peccato, la gioia di discendere in basso.
Quest’ultimo impulso, che ci porta a ricercare anche un "paradiso provvisorio" al tempo
stesso "pericoloso e delizioso", sembra prevalere. Baudelaire ha una visione pessimistica
della condizione umana, che si può notare ad esempio in Al lettore. L’essenza dell’uomo è
profondamente corrotta, preda d’istinti abbietti, tutto ciò che appare onesto e positivo si
rivela frutto di ipocrisia, il solo sentimento capace di distogliere dal crimine è la viltà. Lo
stesso dolore non è momento di catarsi, ma puro sintomo di disagio.
Certo, come egli dice, l’uomo non è così derelitto, e così privo di strumenti onesti per
meritare il cielo, da dove ricorrere alle droghe a danno della propria volontà. Ma tuttavia il
poeta nei suoi momenti di debolezza, di impotenza creativa (e Baudelaire ne aveva spesso),
può aver bisogno di ricorrere agli eccitanti specie a quelli che procurano l’infinito nel finito,
che ci trasportano in un sogno inverosimile. Fondamentale dilemma è quello fra la voluttà
illusoria volutamente perseguita e la coscienza delle sue vanità e del suo "peccato"
(coscienza del male)
Concetto di morte: è vista nel suo agguato improvviso, che spazza via con un colpo d’ala
tutti i sogni, i piani, la gloria dei nostri ultimi giorni: alla fine del viaggio dell’esistenza
umana, il poeta invoca la morte come liberatrice per inabissarsi nel fondo dell’ignoto, non
importa se finirà in cielo o all’inferno.
Al lettore
La stoltezza, l'errore, il peccato, l'avarizia
occupano gli spiriti tormentando i corpi
e noi alimentiamogli amabili rimorsi,
come i mendicanti nutrono i loro insetti.
Caparbi i peccati, fiacchi i pentimenti;
ci pagano lautamente le nostre confessioni,
e sul sentiero di fango ritorniamo lieti
credendo che vili lacrime lavino ogni colpa.
Sul guanciale del male Satana Trismegisto
culla a lungo lo spirito incantato,
e il ricco metallo della nostra volontà
è svaporato dal quel sapiente chimico.
Tiene il Diavolo i fili che ci muovono!
Scopriamo un fascino nelle cose ripugnanti;
ogni giorno d'un passo, col fetore delle tenebre,
scendiamo verso l'Inferno, senza orrore.
Come un misero vizioso che bacia e morde
il martoriato seno d'una vecchia puttana,
noi rubiamo in fretta un piacere furtivo
spremendolo con forza come una vecchia arancia.
Come un milione di elminti, stipato, brulicante,
un popolo di Demoni fa bagordi nei cervelli,
e con il respiro scende nei polmoni,
fiume invisibile, la Morte, con lamenti sordi.
Se stupro, veleno, pugnale ed incendio
non hanno ancora ricamato con segni piacevoli
di pietosi destini il banale canovaccio,
è che l'anima nostra, ahimè! non è troppo ardita.
Ma tra gli sciacalli, le cagne, le pantere,
le scimmie, gli scorpioni, i serpenti, gli avvoltoi,
i mostri guaiolanti, urlanti, grugnenti e striscianti
nell'infame serraglio dei nostri vizi,
eccolo là il più brutto, il più immondo, il più maligno:
la Noia! Non si scalmana con gran gesti e grida,
ma farebbe facilmente una rovina della terra
e in uno sbadiglio ingoierebbe il mondo!
Ha l'occhio gonfio d'involontarie lacrime,
e sogna patiboli fumando la sua pipa.
Quel leggendario mostro, tu, lettore, lo conosci,
- ipocrita lettore, - mio simile - fratello!
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Autore: Fabrizio Straccia
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Il simbolismo
Un testo fondamentale e simbolista è quello delle Corrispondenze :
"E’ un tempio la Natura …". Qui la natura è vista come un tempio (animato da una
presenza divina) dove le cose, pilastri viventi, rimandano a enigmatiche rivelazioni.
L’universo è una foresta di simboli che alludono al mistero d’una vita più alta, oltre il
tempio e la contingenza: una vita di cui l’uomo e le cose sono insieme compartecipi.
I colori, i profumi, i suoni, i dati sensoriali appaiono un messaggio che va dalle cose
all’animo umano, facendogli presentire l’unità profonda dell’essere.
In questa contemplazione poetica si rivela l’unità di natura e spirito, di uomo e di mondo.
Così i profumi esaltano una suggestione indefinita che coinvolge insieme i sensi e l’animo e
coincide col protendersi dell’io verso l’infinito.
Il tempio della natura, in cui l’uomo cerca di addentrarsi, è misterioso; per lui è difficile
orientarsi, anche se i simboli sono familiari.
Al mondo visibile può corrispondere qualcosa di "sotterraneo", spirituale; la notte,
contrapposta al chiarore, ribadisce il concetto che rimanda alla foresta di simboli cioè alla
relazione fra certezza e mistero.
Corrispondenze
Correspondences
La Natura è un tempio dove pilastri vivi
mormorano a tratti indistinte parole;
l'uomo passa, lì, tra foreste di simboli
che l'osservano con sguardi familiari.
La Nature est un temple où de vivants piliers
Laissent parfois sortir de confuses paroles;
L'homme y passe à travers des forêts de symboles
Qui l'observent avec des regards familiars.
Come echi che a lungo e da lontano
tendono a una profonda, tenebrosa unità,
grande come le tenebre o la luce,
i profumi, i colori e i suoni si rispondono.
Comme de long échos qui de loin se confondent
Dans une ténébreuse et profonde unité,
Vaste comme la nuit et comme la clarté,
Les pafums, les couleurs et les sons se répondent.
Profumi freschi come la carne d'un bambino,
dolci come l'oboe, verdi come i prati
- e altri d'una corrotta, trionfante ricchezza,
Il est des parfums frais comme des chairs d'enfants,
Doux comme del hautbois, verts comme les prairies,
- Et d'autres, corrompus, riches et triomphants,
con tutta l'espansione delle cose infinite:
l'ambra e il muschio, l'incenso e il benzoino,
che cantano i trasporti della mente e dei sensi.
Ayant l'expansion des choses infinies,
Comme l'ambre, le musc, le benjoin et l'encens,
Qui chantent les transports de l'esprit et des sens.
Analisi:
Con questa poesia Baudelaire vuole reagire al declassamento che i poeti di quel periodo
hanno subito, scherniti e derisi dal pubblico borghese, Corrispondenze è un vero e proprio
“manifesto” del simbolismo. Nella prima quartina si dichiara che la natura è un tempio, un
luogo pieno di misteri, dove ogni cosa ha un suo significato nascosto (“ foreste di simboli
“). Nella seconda quartina viene chiarito il significato del titolo componimento; i profumi, i
colori, i suoni si “rispondono” reciprocamente, e tutto ciò che esiste in natura è legato da
corrispondenze, compone cioè una tenera e profonda unità. Per capire il mistero che il
poeta nasconde è necessario analizzare le parole, la sinestesia utilizzata non è una
semplice figura retorica, ma ben si un mezzo conoscitivo attraverso il quale decifrare
questo simboli.
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Autore: Fabrizio Straccia
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Il valore della donna
Tutto ciò che Baudelaire ha scritto sulla donna è dominato da un desiderio di purezza
impossibile e dalla volontà di non sottrarsi alla denuncia anche brutale della cruda verità.
Una delle fantasie ridicole di cui si era macchiata l’epoca in cui gli era toccato di vivere era
stata quella di abolire le tracce del peccato originale. Il peccato che l’uomo vive non può
essere abolito, è legato al piacere e al rimorso. Il piacere, fratello del disgusto, invade la
coscienza di chi ha incontrato il male.
La donna, simbolo del peccato, diventa per il demone della contraddizione da cui egli è
torturato oggetto di culto e di disprezzo. L’adorazione della donna si confonde con
un’ossessiva forma di misoginismo. Questo atteggiamento di avversione o repulsione per la
donna ha una ragione ora tragica ora satirica.
La donna è vicina alla natura, cioè abominevole; è sempre volgare e quindi l’opposto del
dandy, meraviglioso simbolo di lotta estetica alla natura. Fa orrore perché legata ai propri
bisogni; se ha sete beve, se ha fame mangia.. Ella non sa separare l’anima dal corpo.
Baudelaire riconosce nell’eterna Venere (nella sua convinzione di capriccio, d’isterismo,
d’immaginazione) una delle forme più seducenti del diavolo, della cui esistenza è ben
convinto.
Per ribadire la ferma opposizione dei due sessi, che si guardano come nemici e che il caso,
cioè l’amore, rende complici, almanacca che amare le donne intelligenti sia un piacere da
pederasti: dovremmo amare le donne quanto più esse le sentiamo diverse da noi.
L’atto dell’amore somiglia a una tortura o a un’operazione chirurgica. Anche quando due
amanti sembrano fortemente presi l’uno dall’altro e pieni di reciproco desiderio, l’uno dei
due sarà sempre più calmo o meno indemoniato dell’altro. Uno è il chirurgo, l’altro il
paziente.
Nella proclamazione di un silenzio, che è il sadismo, la voluttà unica e suprema dell’amore
consiste nella certezza di fare il male, e l’amore un delitto in cui non si poteva fare a meno
del complice.
L’Inferno, il Diavolo, il peccato, fonte di piacere e di dolore, l’amore che si allontana
sempre di più dalla semplicità e dal candore della natura, e nessuna volontà di cancellare
quelle macchie depositate dal male e averne alcuna consolazione, a vivere nel proprio
inferno fino all’ultimo: questo fu il destino di Baudelaire, il destino di un uomo solo. Questi
furono i suoi grandi temi.
Donne dannate
Le une, cuori innamorati di lunghe confidenze, nel folto dei boschetti sussurranti di ruscelli, vanno riandando
l'amore delle timide infanzie e incidendo il legno verde dei giovani arbusti;
altre, camminano lente e gravi come suore attraverso le rocce piene di apparizioni, dove Sant'Antonio vide
sorgere, come lava, i seni nudi e purpurei delle sue tentazioni;
e ve n'è che ai bagliori di resine stillanti, nel muto cavo di vecchi antri pagani, ti chiamano in soccorso delle
loro febbri urlanti, o Bacco, che sai assopire gli antichi rimorsi.
Altre, il cui petto ama gli scapolari e nascondono il frustino entro le lunghe vesti, mischiano, nelle notti
solitarie e nei boschi scuri, la schiuma del piacere e le lagrime degli strazi.
O vergini, o demòni, mostri, martiri, grandi spiriti spregiatori della realtà, assetate d'infinito, devote o
baccanti, piene ora di gridi ora di pianti,
o voi, che la mia anima ha inseguito nel vostro inferno, sorelle, tanto più vi amo quanto più vi compiango per i
vostri cupi dolori, per le vostre seti mai saziate, per le urne d'amore di cui traboccano i vostri cuori.
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Autore: Fabrizio Straccia
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Le droghe
Era prevedibile che quest’uomo solo, cercatore d’infinito e militato del quotidiano,
innamorato del piacere e spronato da un’intelligenza meravigliosamente acuta, vigile e
serena a veder chiaro anche in ciò che non accadeva sotto i suoi occhi; abbandonato alla
forza del sogno e prostrato dal dolore, della malattia, dal vizio, dall’impotenza; attratto
dall’esperienza dell’abisso e pur sempre sorretto da uno straordinario equilibrio: che
quest’uomo dovesse solo occuparsi a varie riprese della droga, lo spirito di poeta e con
spirito tecnico, quasi professionale, come se si trattasse di un problema così vitale e che
investiva anche l’intelletto e la morale.
La droga non era un surrogato dell’amore: un qualcosa che dà ciò che l’amore non può
dare.
E’ un paradiso conquistato senza bisogno dell’altro, dove non c’è nessun chirurgo e nessun
paziente.
Quel che più colpisce chi legge Baudelaire sull’hascisc e sul vino è che esse appaiono come
realizzazione circostanziate di un viaggio in paesi immaginari, ove la ragione sembra
ancora resistere dinanzi ad uno spettacolo che affonda i nostri sensi fino a farci
dimenticare di essere.
La personalità che scompare, il senso dell’oggettività che giunge a farci confondere con la
natura circostante, planate nell’azzurro immensamente disteso, fino alla scomparsa del
dolore e della nozione del tempo, o fino a che la musica e l’esistenza delle immagini note
dall’acqua ci conducano ad ebbrezza vertiginosa: tutto questo è seguito e descritto da chi,
immerso in una felicità assoluta, riesca subito dopo a ricordare con una lucidità che non ha
subito scosse.
I paradisi artificiali
L’autore lo presenta come uno scritto di morale; anche se manca qui una vera "morale",
cioè una condanna precisa dell’uso degli stupefacenti.
L’Inferno, da cui Baudelaire ci vuole mettere in guardia è quello della degradazione e
dell’impotenza che possono derivare dagli abusi e dalle overdosi. A chi viene attratto dagli
effetti "meravigliosi" delle droghe, lo scrittore ne mostra le deleterie e funeste conseguenze
finali, cioè gli spaventosi risvegli del giorno dopo, le ebbrezze del sogno.
In queste pagine Baudelaire non intende scrivere un trattato scientifico, bensì raccoglie le
sue esperienze personali e morali. L’autore cita spesso una frase di Barberau, che non sa
spiegarsi come l’uomo razionale possa servirsi di mezzi artificiali per raggiungere la
beatitudine. Nella prima parte de Il poema dell’hascisc chiamata Il gusto dell’infinito,
Baudelaire spiega gli elementi che spingono l’uomo a ricercare i presupposti capaci di
innalzarlo sopra se stesso, identificandoli "nei momenti di beatitudine che nulla sembra
umanamente giustificare né meritare, una vera e propria grazia paradisiaca". In parole
povere l’elevazione spirituale è un dono gratuito in senso religioso.
Le droghe possono far vivere l’uomo nel mondo dell’inconscio per alcuni momenti, ma
quando l’effetto finisce lasciano un senso di vuoto e di insoddisfazione. Tra le sostanze
considerate, condanna l’hascisc, una droga che egli gustò poco, ma esalta il vino,
considerandolo il più sano e sociale fra gli strumenti che l’uomo adopera per esalare la
propria personalità, per ravvivare le sue speranze ed elevarsi all’infinito.
1) il vino esalta la volontà
2) l’hascisc annulla la volontà
Tuttavia l’hascisc, pur condannato e disprezzato, non viene respinto totalmente. Anche
l’hascisc dà le sue immagini in Baudelaire, le quali costituiranno in seguito i principi della
sua poetica (es. La scomparsa del tempo).
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Autore: Fabrizio Straccia
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Il sogno
Il sogno occupa gli spazi che dividono il poeta dalla bellezza: allaccia la natura con il
sovrumano.
Poeticamente, la verità non è il reale, la verità è il possibile. Il realismo è insufficiente a
diventare poesia; Baudelaire così aderisce al sovrannaturale, che muta forma e luogo
secondo l’acutezza degli sguardi umani.
La sfiducia nella ragione ha portato Baudelaire a mescolare magia e religione, pratiche
occulte e divine fino a vedere nella preghiera un’operazione magica.
Baudelaire non aspira alla registrazione automatica di un segno; se il segno è diventato
poesia, è perché ancor prima è stato storia. Acquista il rilievo, l’unità, la prospettiva, il
tono, creati dalla lontananza; storia poetica, cioè la memoria.
Questa memoria baudelairiana non ha senso biografico, psicologico ma è una virtù
rasserenatrice che mette tutto al suo posto, tutto a misura. Attraverso la memoria sono
conciliabili surrealismo e melanconia, tristezza e delirio; il sogno resta l’espressione più
alta della malinconia.
Il Viaggio
In fine concludiamo alla stessa maniera di Baudelaire, con la poesia “il Viaggio”, posta in
chiusura dei I Fiori del male:
VIII
"O Morte, vecchio capitano, è tempo!
Sù l'ancora!
Ci tedia questa terra, o Morte!
Verso l'alto, a piene vele!
Se nero come inchiostro
è il mare e il cielo,
sono colmi di raggi
i nostri cuori, e tu lo sai!
Su, versaci il veleno
perché ci riconforti!
E tanto brucia nel cervello
il suo fuoco,
che vogliamo tuffarci nell'abisso
Inferno o Cielo cosa importa ?
discendere l'Ignoto nel trovarvi
nel fondo alfine il nuovo!
Potremmo dire che il viaggio di Baudelaire è una "discesa verso l'alto". Andare al fondo per
trovare "il nuovo": è questa sete di "novità" che anima tutta la dinamica di Baudelaire. Su
questa speranza di novità si chiude il libro..
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Autore: Fabrizio Straccia
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Conclusioni
Immagine di Chaerles Baudelaire durante gli ultimi anni
della sua vita.
L’espressione del volto mostra il suo desolato declino verso
il basso, sguardo intenso e dolente. Sfinito dalla malattia e
dal troppo vizio, ecco l’immagine del dandy ribelle giunto
ormai alla fine dei suoi giorni.
Chissà se il poeta, una volta raggiunta la destinazione del
suo viaggio, abbia trovato ciò che cercava. Magari una volta
dopo la morte l’ Ideal è stato raggiunto. Resta il fatto che
Baudelaire ha lasciato alle generazioni future una grande
opera, ricca di significato.
Il Baudelaire fu sostanzialmente un ribelle, sempre in lotta col mondo circostante, coi
sogni di progresso cari alla società borghese del suo tempo, con la prosaica mediocrità
dell'esistenza quotidiana: e la sua stessa irregolarità di vita, con la congiunta mania di
esasperata originalità, volle esser per lui rimedio alla noia di un mondo troppo ordinario e
volgare. Ma era un rimedio peggiore del male: ché quella lussuriosa sensualità, in cui parve
talora che il poeta esaurisse la sua ansia di evasione, fu in realtà per lui - animato da un
perpetuo desiderio di bellezza - motivo di più grave tormento spirituale. Il Baudelaire ebbe
vivo il senso del peccato: sì che non è meraviglia se troviamo in lui, con l'esperienza della
colpa, un anelito quasi religioso di liberazione e redenzione. Di qui, da questo contrasto tra
una situazione moralmente inferiore e l'aspirazione a uscirne in forza di un più alto ideale,
trae alimento la migliore poesia del Baudelaire: in cui s'inscrivono naturalmente i temi
quasi crepuscolari della sera, della notte, dell'autunno, e il pensiero della morte (ora
invocata come distensione e affrancamento, ora temuta come mero disfacimento fisico), ad
accentuare quell'aura di malinconia e di soffusa tristezza, che circola, avvivandoli, tra i
versi del poeta. Si comprende, pertanto, come i testi baudelairiani, formalmente assai
elaborati, non contengano che scarsi elementi descrittivi, e si arricchiscano piuttosto di
notazioni rapidamente evocative di nascosti affetti dell'anima, valendosi dell'analogia e del
simbolo come di strumenti espressivi insolitamente efficaci (donde la fortuna moderna del
Baudelaire, riconosciuto da "simbolisti" e "decadenti" come maestro e caposcuola).
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Autore: Fabrizio Straccia
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