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Purificazione di sostanze solide
Una sostanza di definisce pura quando,
sottoposta a ripetuti trattamenti di
purificazione, mantiene inalterate le sue
grandezze fisiche caratteristiche
F. Ortuso - Analisi dei Medicinali II
Purificazione di sostanze solide
Esistono due metodi principali per la
purificazione delle sostanze solide:
la cristallizzazione (semplice o frazionata)
la sublimazione
L’avvenuta purificazione può essere
confermata attraverso il punto di fusione
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1
Cristallizzazione
La cristallizzazione è la dissoluzione della sostanza a caldo in un
solvente in cui la sostanza stessa sia insolubile a temperatura
ambiente; per successivo raffreddamento si ha deposizione di
cristalli della sostanza purificata.
Infatti:
Le impurezze possono essere più o meno solubili della
sostanza nel solvente prescelto.
Le meno solubili restano indisciolte nella soluzione a caldo e si
separano per filtrazione a caldo.
In soluzione va la sostanza e le impurezze solubili che si
trovano, rispetto ad essa, ad una concentrazione minore; con il
raffreddamento la soluzione diventa sovrasatura rispetto alla
sostanza che cristallizza, ma non rispetto alle impurezze, che si
trovano in concentrazione minore e che quindi restano in
soluzione.
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Cristallizzazione
Temperatura
Te
Tc
T = temperatura
C = concentrazione
g = solido
a = ambiente
c = cristallizzazione
e = ebollizione
Ta
Tg
Cg
Ca
Cc
Solubilità
Solubilità
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2
Cristallizzazione
Il processo di cristallizzazione può essere sintetizzato in:
Scelta del solvente opportuno;
Dissoluzione della sostanza da purificare nel solvente
all’ebollizione;
Filtrazione a caldo della soluzione ottenuta per eliminare
le impurezze insolubili;
Raffreddamento della soluzione filtrata ed ottenimento
dei cristalli;
Separazione dei cristalli dalle acque madri;
Lavaggio ed essiccamento dei cristalli.
F. Ortuso - Analisi dei Medicinali II
Cristallizzazione: scelta del solvente
Fra i solventi inorganici il più usato è l’H2O. In certi casi si
usa l’H2O con aggiunta di piccole quantità di acidi e basi. Di
rado si usano POCl3, SO2Cl2, SOCl2 ed H2SO4.
I solventi organici più usati sono: CH3OH, CH3CH2OH,
mentre l’etere va usato solo quando indispensabile offrendo
notevoli inconvenienti per il suo basso punto di ebollizione e
perché molto infiammabile.
Per sostanze difficilmente solubili si usano CH3COOH e la
piridina, aventi un elevato potere solvente anche a freddo.
In alcuni casi si ricorre alle miscele di solventi (es.
H2O/EtOH, ligroina/benzolo)
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3
Cristallizzazione: scelta del solvente
Le caratteristiche di un solvente adatto per la cristallizzazione
di una sostanza sono:
1. La curva di solubilità della sostanza nel solvente deve
salire rapidamente con la temperatura, in maniera che essa
si sciolga molto a caldo e poco a freddo. Si raffredda la
soluzione al di sotto della temperatura ambiente con
ghiaccio per facilitare la separazione del composto
cristallino.
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Cristallizzazione: scelta del solvente
2. Il solvente deve essere inerte, non reagire con la
sostanza: ad esempio non si usa mai l’alcool per
cristallizzare un cloruro acido in quanto si otterrebbe
l’estere.
3. Le impurezze che accompagnano la sostanza devono
essere rispetto ad essa o molto più o meno solubili nel
solvente impiegato.
4. Il solvente deve possedere una volatilità intermedia (T.eb.
> 60° C < 140° C) e comunque la sua temperatura di
ebollizione deve essere minore della temperatura di
fusione del soluto.
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4
Cristallizzazione: scelta del solvente
I solventi possono essere:
Polari protici: es. H2O, CH3OH
Apolari protici: es. CH3COOC2H5
Apolari: es. C6H6, CH3-C6H5
La scelta del solvente deve anche tenere conto della
cristallizzabilità potenziale (cp):
cp =
C
Cs
dove C è la concentrazione della sostanza da cristallizzare
rispetto al solvente e Cs è la sua solubilità alla temperatura
considerata nel medesimo solvente
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Cristallizzazione
Preparazione della soluzione satura alla
temperatura di ebollizione.
Si procede ponendo prima la sostanza e poi
aggiungendo circa una metà del solvente e
successivamente si scalda quasi all’ebollizione:
si aggiunge poi gradualmente il resto del
solvente necessario alla completa dissoluzione,
dopo aver allontanato la provetta dalla
fiamma.
Se la soluzione bollente è limpida non si filtra
perché non si hanno impurezze insolubili a caldo;
in caso contrario si filtra a attraverso un filtro
posto in imbuto riscaldato con il solvente all’ebollizione per evitare
cristallizzazione della sostanza sul filtro freddo.
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Cristallizzazione
Filtrazione, lavaggio ed essiccamento dei cristalli.
Per separare i cristalli dalle acque madri si usa il
buchner col fondo di porcellana collegato con
l’apposita beuta da vuoto. Il filtro di carta deve
essere delle stesse dimensioni del fondo per
evitare perdite. Il buchner presenta dei vantaggi
rispetto al comune filtrazione: permette grande
rapidità riducendo di circa 10 volte il tempo
necessario, inoltre per la limitata superficie della
carta vengono ridotte al minimo i pericoli di perdita.
L’aspirazione determina un iniziale essiccamento del
prodotto. Quando la filtrazione è cessata, si deve
staccare prima la gomma e poi chiudere l’acqua per la pompa: operando
inversamente avremmo dei pericolosi risucchi. Per filtrazioni più accurate si
usano i Gooch, col fondo di vetro poroso. Tenere pulita la beuta dove si
raccolgono le acque madri, queste non vanno mai buttate potendo servire
nel caso che passi nel filtrato anche del solido.
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Cristallizzazione
Filtrazione, lavaggio ed essiccamento dei cristalli.
Dopo aver staccato il vuoto si aggiunge qualche goccia di solvente in modo
che si possa scendere lentamente attraverso i cristalli sul buchner e lavarli
meglio da residui di acque madri; si riattacca poi il vuoto e si lascia
asciugare. Per il lavaggio conviene usare piccole porzioni di solvente ogni
volta.
L’essiccamento dei cristalli si esegue dapprima comprimendoli con una
spatola su un pezzo di porcellana porosa che assorbe per capilllarità il
liquido presente, indi ponendoli sotto vuoto e riscaldando per eliminare le
ultime tracce di solvente.
Il vuoto è necessario perché permette di eliminare agevolmente il solvente
senza raggiungere temperature elevate che potrebbero provocare
decomposizione. Si usa a tale scopo una pompa ad H2O (effetto venturi!).
Per l’essiccamento sotto vuoto si pone la sostanza suddivisa e non
ammassata sul fondo di una provetta protetta in alto con della carta da
filtro forata per evitare perdite e contaminazioni.
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Cristallizzazione
Essiccamento sottovuoto dei cristalli.
La provetta, la cui estremità superiore deve essere
chiusa mediante carta da filtro, si pone in un
provettone da vuoto il cui fondo va riempito di CaCl2
ed ovatta per adagiarvela comodamente.
Il provettone a sua volta si mette in un
bagnomaria che va riscaldato cautamente
a temperatura < di circa 20°C a quella di fusione
del composto che si sta essiccando.
Prima di staccare il vuoto, si toglie il bagnomaria
e si asciuga l’esterno del provettone per evitare
che l’ambiente saturo di umidità possa di nuovo
inumidire il prodotto data la facilità con la quale
il vapore acqueo verrebbe risucchiato per la depressione.
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Cristallizzazione frazionata
A sx del diagramma vanno i precipitati; a dx le soluzioni
Solido di partenza
1
2
4
8
- solubile
3
5
9 10
6
7
11 12
13
+ solubile
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Cristallizzazione frazionata
Permette di separare due o più sostanze, o purificarne una in maniera da
ottenere la massima quantità di sostanza.
Si consideri una miscela da separare che viene sciolta, elevando la
temperatura in un solvente per dare una soluzione (1).
Da quest’ultima, per raffreddamento, si separano i cristalli che vengono
filtrati ottenendo in precipitato(2) e nell’H2O madre (3).
Il precipitato (2) è sciolto nella minima quantità di solvente a caldo e, dalla
soluzione che ne risulta, dopo raffreddamento, si ottengono un precipitato
(4) e l’H2O madre (5).
Nel frattempo l’acqua madre (3) era stata concentrata, e dalla soluzione
concentrata, per raffreddamento, si ottengono il precipitato (6) e l’H2O
madre (7).
Si uniscono l’H2O madre (5) e il precipitato (6) in una singola frazione e,
dopo riscaldamento per formare una soluzione, vengono subito dopo
raffreddamento per originare il precipitato (10) e l’H2O madre(9).
Procedendo in questo modo il composto meno solubile rimarrà alla sinistra
del diagramma, il più solubile a destra, mentre i composti di solubilità
intermedia saranno compresi tra questi due estremi.
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Cristallizzazione frazionata
I precipitati cristallini vengono sottoposti ai test di
purezza, con l’osservazione del reticolo cristallino al
microscopio elettronico oppure con la determinazione del
punto di fusione.
Se il precipitato puro è costituito da due frazioni cristalline,
ciò indica che la soluzione da cui era stato ottenuto era
satura di entrambi i componenti. In tal caso si dovrà
scegliere un altro solvente, in cui le due sostanze hanno
solubilità diverse.
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Sublimazione
La sublimazione è il passaggio di una sostanza dallo stato solido allo
stato vapore senza formazione dell’intermedio stato liquido. Si tratta
di processo di purificazione di sostanze che sublimano facilmente.
Le sostanze che hanno una tensione di vapore molto bassa non
sublimano e questo passaggio dallo stato solido allo stato vapore si
ha solo per quei composti, la cui tensione di vapore non superi, nelle
condizioni di sublimazione, la tensione di vapore corrispondente al
punto triplo. Si considerano due diagrammi di stato: H2O e CO2.
Il diagramma di stato dell’H2O ci consente di conoscere, in funzione
della temperatura e della pressione, i campi di esistenza di ciascuno
stato di aggregazione della specie chimica (H2O).
La curva OA è la curva della pressione di sublimazione del ghiaccio,
che rappresenta la variazione della tensione di vapore del ghiaccio in
equilibrio con il vapore al variare della temperatura e che divide la
regione del solido da quella del vapore. O è il punto triplo, in cui
sono simultaneamente in equilibrio solido, liquido e vapore.
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Sublimazione: diagramma di stato dell’acqua
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Sublimazione
E’ evidente dal diagramma di stato che per pressioni inferiori a
quella del punto triplo, fornendo calore ad un solido, si ha la sua
completa trasformazione in vapore, e, sottraendo calore al vapore,
si ha la sua trasformazione in solido: in entrambi questi processi,
sublimazione e brinamento, non si ha formazione del liquido.
Nel caso di pressioni superiori a quella del punto triplo il passaggio
dal solido al vapore, e viceversa, avviene attraverso la formazione
dello stato liquido.
Esistono alcune sostanze per le quali la tensione di vapore al punto
triplo assume valori più alti di 1 atm.: queste sostanze sublimano
spontaneamente a temperatura ambiente.
E’ il caso della CO2 il cui diagramma riporta che essa è in grado di
sublimare a pressione ambiente perché la pressione corrispondente
al suo punto triplo è pari a 5,1 atmosfere. Tale diagramma mostra
che a temperatura ambiente la CO2 può essere liquida soltanto a
pressioni elevate, superiori a 5,1 atmosfere.
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Sublimazione: diagramma di stato della CO2
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Sublimazione: esecuzione pratica
I metodi di sublimazione sono:
1. Sublimazione a pressione atmosferica
2. Sublimatore a pressione ridotta
3. Microsublimatore di Craig
La sublimazione può essere effettuata a pressione ordinaria, per
sostanze che sublimano facilmente (naftalina e canfora); per esse la
curva di tensione del vapore cresce rapidamente con la temperatura
e raggiunge il valore della pressione atmosferica prima del punto di
fusione per cui si ha direttamente il passaggio allo stato di vapore.
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Sublimazione a pressione atmosferica
La sostanza da sublimare si pone tra
due vetrini da orologio sovrapposti
con le concavità affacciate, in modo
che il secondo funga da refrigerante;
si interpone tra di essi al di sopra
della sostanza un disco di carta ad
un filtro bucherellato, che permette
il passaggio dei vapori ed impedisce
che schizzi della sostanza, dovuti
alla corrente di aria calda proveniente dal basso, possano
inquinare quelle già sublimata.
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Sublimazione a pressione ridotta
Si tratta di operare la sublimazione sotto vuoto,
abbassando notevolmente la temperatura alla
quale il prodotto raggiunge con la sua tensione
di vapore il valore della pressione sovrastante.
Si usa un provettone da vuoto chiuso da un tappo,
attraverso il quale si fa passare una provetta col
fondo concavo che funge da refrigerante; nella
provetta si fa circolare dell’H2O fredda per
mantenere a bassa T la superficie concava.
Nel fondo del provettone si pone la sostanza da
sublimare, ricoperta da lana di vetro che
impedisce perdite eventuali per schizzi, specie
quando alla sublimazione si accompagna parziale fusione
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Sublimazione: microsublimatore di Craig
Tale microsublimatore permette di
lavorare su piccole quantità di
sostanza eliminando quasi
completamente i pericoli di perdite
per schizzi col gambo sottile che
separa il fondo dell’apparecchio
dalla superficie fredda.
Il riscaldamento viene effettuato con
un bm. o, per temperature
superiori ai 100°C, con un bagno
ad olio.
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Punto di fusione
E’ la temperatura alla quale coesistono la fase
liquida e la fase solida relativamente al passaggio
solido-liquido.
Si utilizza per la caratterizzazione, l’identificazione
e la stima della purezza delle sostanze.
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Punto di fusione
Una delle applicazioni più importanti del punto di
fusione è il suo uso come criterio di purezza: se una
sostanza è pura, il punto di fusione risulterà netto; nel
caso di miscele. La fusione avrà luogo entro un
intervallo di temperatura.
Per semplici scopi di caratterizzazione il metodo del
capillare fornisce risultati di discreta accuratezza; infatti
una volta noto che il composto rientra in una cerchia
ristretta di composti, anche un punto di fusione
approssimato potrebbe essere sufficiente a stabilire
l’identità del composto.
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Punto di fusione
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Punto di fusione
Considerazioni teoriche
Quando una sostanza pura allo stato solido fonde, le
molecole arrangiate secondo un alto grado di ordine nel
reticolo cristallino, vengono separate dalle forze di
agitazione termica per formare lo stato liquido, nel quale
esse sono nel disordine quasi completo.
Per una sostanza pura ideale tale trasformazione è
accompagnata da un brusco aumento dell’entropia, del
contenuto calorico e, di norma, del volume. (l’acqua è
un’eccezione!!)
Nel caso delle sostanze pure la temperatura, durante il
cambio di fase, si mantiene costante
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Punto di fusione: effetto della pressione
L’effetto della pressione, p, sulla temperatura di fusione T di una
sostanza pura può essere ricavata dall’equazione di ClausiusClapeyron:
dT T (Vl − Vs )
=
dp
∆H
dove Vl e Vs sono rispettivamente i volumi molari del liquido e del
solido (di solito Vl > Vs), e ∆H è il calore molare di fusione.
Da cui trivialmente si ricava:
 T (Vl − Vs ) 
dT = 
⋅ dp

 ∆H

Esiste quindi, di solito, una proporzionalità diretta tra T e p
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Punto di fusione: altri fattori influenti
Analogamente alla solubilità:
Dimensioni della molecola (P.M.)
Struttura della molecola (ramificata, lineare)
Interazioni intermolecolari quali:
legami idrogeno
interazioni elettrostatiche
interazioni dipolo-dipolo
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Punto di fusione in miscela (sistemi ideali)
Nel caso di una miscela contenente una quantità di componente A
molto maggiore rispetto a quella di un secondo componente B, il
punto di fusione sarà quasi sempre più basso di quello del
componente A puro.
La dimostrazione di quanto riportato necessita di associare
all’equazione di Clausius-Clapeyron la legge di Raoult la quale
afferma che, se la miscela è ideale, la tensione di vapore parziale dei
componenti la miscela è proporzionale alla loro frazione molare:
p = p0 ⋅ N A
dove p è la pressione parziale, p0 è la pressione del componente
puro ed NA la frazione molare (NB: NA=mol A/mol tot.
quindi 0 <= NA <= 1)
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Punto di fusione in miscela (sistemi ideali)
Dall’equazione di Clausius-Clapeyron otteniamo:
dT T (Vl − Vs )
dT T∆V
dp
∆H
=
→
=
→
=
dp
∆H
dp
∆H
dT T∆V
Considerando trascurabile la variazione di volume:
Assumendo un comportamento ideale V può
essere descritto attraverso l’equazione di stato dei
gas perfetti (PV=nRT -> V=nRT/P) da cui
dp ∆H
=
dT TV
ricaviamo (n è costante):
dp ∆H P
dp ∆HP
∆HP
=
⋅
→
=
→
dp
=
⋅ dT
dT
T RT
dT RT 2
RT 2
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Punto di fusione in miscela (sistemi ideali)
Visto che si opera a pressione ambiente (1atm):
dp =
∆HP
∆H
⋅ dT → dp =
⋅ dT
2
RT
RT 2
Integrando tra i limiti T0 e T (T0 = T.F. del componente A puro):
dp =
∆H
p  ∆H   ∆H 
p
∆H (T0 − T )
 ⋅ 
⋅ dT → ln
= 
=−
 → ln
2
RT
p0  RT0   RT 
p0
RTT0
dalla legge di Raoult sappiamo che p/p0= alla frazione molare
del componente A (Na), quindi:
ln
p
∆H (T0 − T )
∆H (T0 − T )
∆H (T0 − T )
=−
→ ln N a = −
→ lg N a = −
p0
RTT0
RTT0
2.303RTT0
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Punto di fusione in miscela (sistemi ideali)
Pertanto, considerando ∆G costante, la variazione (T0-T=Tv) del
punto di fusione del composto A ci sarà dato da:
lg N a = −
∆H (T0 − T )
 2.303RTT0 
→ Tv = −
 ⋅ lg N a
2.303RTT0
∆H


Attenzione Na è la frazione
molare quindi per composti puri
Na=1 -> lgNa=0
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Punto di fusione in miscela (sistemi ideali)
Affinchè quanto riportato sia valido è necessario
che:
1. i componenti A e B sono ideali allo stato solido;
2. Il vapore sopra il liquidi ed il solido si comporta
come un gas ideale
3. I volumi della fase liquida e solida siano
trascurabili
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Punto di fusione in sistemi non ideali
Esistono delle miscele di sostanze organiche che vengono considerate non
ideali, in quanto non seguono la legge di Raoult
Esempi di comportamento non ideale si verificano quando:
1. Se il soluto è in grado di formare dei dimeri o trimeri, il numero di
molecole effettive nel sistema, di conseguenza, si ridurrà e
l’abbassamento del punto di fusione sarà inferiore a quello previsto per i
casi ideali. (soluzione di naftalene e acido acetico)
2. Il solvente ed il soluto, A e B, si combinano parzialmente nella fase
liquida per dare origine ad un terzo composto AB. In questo caso si ha la
deviazione dal comportamento ideale dovuta alla solvatazione o alla
formazione di un composto molecolare: la formazione di AB non aumenta
il numero di molecole di soluto ma in realtà diminuisce il numero di
molecole di solvente libero residuo. La frazione molare del solvente è
minore mentre quella del soluto è maggiore di quella prevista, cosicchè
l’abbassamento del punto di fusione è più accentuato. (soluzione di m-
dinitrobenzene in naftalene)
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Punto di fusione in sistemi non ideali
3. In alcuni casi le molecole di soluto si dissociano per formare due o più
molecole, incrementando perciò la frazione molare del soluto e dando
quindi origine ad abbassamenti del punto di fusione più marcati di quelli
calcolati per i casi ideali. (soluzione di esafeniletano in naftalene)
(Ph3)C-C(Ph3) -> 2 • C(Ph3)
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Punto di fusione
Tecniche ed apparecchi per la misurazione del punto
di fusione.
Sono importanti le curve tempo-temperatura, che sono costruite
ponendo in ascisse il tempo trascorso dall’inizio del processo di
riscaldamento o raffreddamento e sull’asse delle ordinate la temperatura
rilevata. Se la sostanza è pura, la temperatura rimarrà costante, al punto
di solidificazione, per circa la metà del tempo richiesto per il processo
completo del raffreddamento.
Le parti essenziali di uno strumento per la determinazione di una curva
di raffreddamento sono:
1. Tubo da saggio che può essere riscaldato per fondere un campione;
2. Un termometro che misuri la temperatura del campione;
3. Un agitatore che mantenga l’equilibrio in tutto il campione;
4. Un rivestimento che consenta un raffreddamento lento e costante.
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Punto di fusione
✔ Tecniche ed apparecchi per la misurazione del
punto di fusione
Tale apparecchio consiste di due tubi concentrici, quello interno ha
15mm di diametro e 10 cm di lunghezza, quello esterno circa 30 mm
di diametro e 12 cm di lunghezza.
Il campione è posto nel tubo interno, il quale è chiuso con un tappo
dal quale viene sospeso un termometro ed un sistema agitatore
costituito da un filo metallico.
Il campione viene fuso fornendo calore al tubo interno, quindi si fa
raffreddare lentamente, collocando il tubo esterno a ricoprire il
primo, onde evitare le perdite di calore: è essenziale che nella
determinazione delle curve di raffreddamento il gradiente di T tra il
campione e l’ambiente esterno non sia troppo elevato.
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Punto di fusione
✔ Tecniche ed apparecchi per la
misurazione del punto di fusione
Gli apparecchi essenziali per la determinazione
del punto di fusione sono:
1. Capillare di vetro
2. Termometri
3. Apparecchio di Thiele
4. Apparecchio di Kofler
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Punto di fusione
✔ Tecniche ed apparecchi per la misurazione del
punto di fusione
Metodo capillare
Tale metodo consiste nel raccogliere il campione, nella forma più
suddivisa, in un capillare di vetro, immergendo in un bagno la
cui temperatura viene incrementata gradualmente, ed
osservando la temperatura del liquido adiacente al capillare
quando la sostanza fonde.
Questo metodo presenta due vantaggi:
1. Si richiede solo una piccola quantità di sostanza;
2. Fornisce risultati di sufficiente accuratezza.
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Punto di fusione
✔ Tecniche ed apparecchi per la misurazione del
punto di fusione
Metodo capillare
Il bagno deve essere sottoposto ad agitazione ed il suo
riscaldamento deve avvenire in modo costante; in ogni caso di
prossimità del punto di fusione questo aumento di temperatura
non deve superare 1°C/minuto.
Il bagno deve permettere la completa visibilità del capillare e del
termometro. La temperatura a cui l’ultimo cristallo si scioglie è
quella corrispondente al punto di fusione. Se la sostanza fonde
entro un intervallo di temperatura, la fusione iniziale non è
visibile in maniera netta.
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Punto di fusione
✔ Tecniche ed apparecchi per la misurazione del punto
di fusione
Si usano i termometri ad immersione parziale (si immerge il bulbo) e
termometri ad immersione totale (si immerge sia il bulbo che la colonna
dove si legge la T).
Liquidi per bagno di riscaldamento
Il liquido del bagno deve essere non volatile e inerte. I liquidi da scegliere
variano a seconda del grado di temperatura ce si deve raggiungere nel
corso della analisi.
Le paraffine liquide ed olii minerali sono liquidi per le temperature
moderate.
L’H2SO4 conc. e H3PO4 o mix (H2SO4 conc + K2SO4) per T non superiori ai
200 °C.
Lo ftalato dibutilico usato per T >150 °C.
Gli organosilicici usati in bagni con T di 425-450 °C.
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Punto di fusione
✔ Tecniche ed apparecchi per la misurazione del
punto di fusione
Apparecchio di Thiele
In tale apparecchio è disposto in maniera tale che il liquido è
riscaldato da un lato mentre il capillare ed il termometro sono
sospesi dal lato opposto( Fig.4.24, pag.71).
La migliore è quella di Markley-Harshberg, dove il liquido è
mantenuto in agitazione mentre il capillare con il campione ed il
termometro sono posti in una zona adiabatica in cui non si ha
differenza di T interna > a 0,025 °C.
Non si usa come liquido da bagno l’H2SO4 perché si decolora e
produce fumi, quindi si usa un blocco di rame che funge da
buon conduttore di calore.
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Punto di fusione
Apparecchio di Thiele
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Punto di fusione
Tecniche ed apparecchi per la misurazione del punto
di fusione
Apparecchio di Kofler
Si tratta di un apparecchio che sfrutta metodi ottici.
La sostanza viene posta su un vetrino posto a sua volta su un piattino
metallico F.
Un fascio di luce, attraverso il filtro polarizzatore, colpisce la sostanza
che si fonde e si legge la T attraverso il termometro.
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Punto di fusione
Apparecchio di Kofler
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